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2/2006 LETTER L’impresa: comunità di persone EDITORIALE Etica gestione delle risorse umane LA GIUSTA STRATEGIA La vocazione “in verità” FEDE E IMPRESA Radicare la cultura della legalità ETICA E FISCO

UCID Letter n°2/2006

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UCID Letter n°2/2006

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2/2006

L E T T E R

L’impresa: comunità di personeEDITORIALE

Etica gestione delle risorse umaneLA GIUSTA STRATEGIA

La vocazione “in verità”FEDE E IMPRESA

Radicare la cultura della legalitàETICA E FISCO

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Periodico quadrimestrale dell’UCIDUnione Cristiana Imprenditori Dirigenti

Anno IX, 2/2006

Autorizzazione del Tribunale di Roma

N. 437/05 del 4/8/2005

L E T T E R

UCID, Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti, èun’Associazione privata, nata nel 1947, che impe-gna i propri Soci alla realizzazione del Bene Comu-ne mediante comportamenti coerenti con lo spiritoevangelico e con gli indirizzi della Dottrina Socile del-la Chiesa Cattolica.Con questo impegno l’UCID pone al servizio dellacomunità civile le esperienze e le conoscenze che de-rivano ai propri Soci dalle loro attività imprendito-riali e professionali.I fondamentali princípi etici ispiratori e di riferimen-to che l’UCID ha adottato e che propone a tutti i pro-pri soci sono:• la centralità della persona, accolta e valorizza-ta nella sua globalità;• l’equilibrato utilizzo dei beni del Creato, nelpieno rispetto dell’ambiente, sia per le presenti cheper le future generazioni;• il sano e corretto esercizio dell’impresa e del-la professione come obbligo verso la società e co-me opportunità per moltiplicare i talenti ricevuti abeneficio di tutti;• la conoscenza e la diffusione del Vangelo,ap-plicando le indicazioni ideali e pratiche della Dottri-na Sociale della Chiesa;• un’efficace ed equa collaborazione fra i soggettidell’impresa, promuovendo la solidarietà e svilup-pando la sussidiarietà.Da queste linee ideali e di impegno deriva una or-ganizzazione composta, a livello nazionale, di circa4.000 soci. UCID Nazionale è articolata a livello ter-ritoriale in 16 Gruppi Regionali e 74 Sezioni Provincialie Diocesane. L’UCID Nazionale fa parte dell’UNIA-PAC,“International Christian Union of Business Exe-cutives”.

U C I D

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2/2006UCID LETTER

ATTIVITA’

Periodico quadrimestrale dell’UCIDUnione Cristiana Imprenditori Dirigenti

Direttore ResponsabileGiovanni Locatelli

RedazioneSegreteria UCID Nazionale

Via Di Trasone 56 - 00199 RomaTel. 06 86323058 - fax 06 86399535e.mail: [email protected]

site web: www.ucid.it

Anno IX 2/2006

Autorizzazione del Tribunale di RomaN. 437/05 del 4/8/2005

Sped. in Abbon. Postale - D.L. 353/2003(conv. in l. 27/02/2004 n° 46)art. 1, comma 2, DCB Padova

Progetto grafico e impaginazioneGermano Bertin

TipografiaNuova Grafotecnica,Via L. da Vinci 835020 Casalserugo - PadovaTel.049 643195 - Fax 049 8740592site web: www.grafotecnica.it

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SOMMARIO

Parte PrimaEditoriale 5

Parte SecondaQuando cultura e mercato s’incontranodi Amedeo Nigra 7

Rispetto della persona e partecipazionedi Angiolo Trequattrini 10

Radicare la cultura della legalitàdi Claudio Sacchetto 17

Lavorare in verità per costruire il Bene Comunedi Piergiorgio Marino 21

Un esempio di valorizzazione del rapporto familglia-lavorodi Giacomino Iob 32

Lavoro e famiglia nell’ambito di uno sviluppo solidaledi Lorenzo Caselli 37

La conciliazione tra il lavoro della donna e la famiglia: una rispostadi Gianfranco Vanzini 43

La vocazione “in verità” del cristiano imprenditoredi Piva mons. Pompeo 45

Etica gestione delle risorse umane nei Paesi in via di sviluppodi Massimo Ferdinandi 59

Parte TerzaAttività Gruppi Regionali e Sezioni 69

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L’IMPRESA DEVE

ESSERE COMUNITÀ

DI PERSONE CHE

LAVORANO INSIEME

PER LA CRESCITA

MORALE E CIVILE

DELL’UOMO.L’AUTORITÀ

È UN SERVIZIO

EDITORIALEATTIVITA’

Occorre ripartire dai valori

della famiglia, nucleo fondante

della società, per andare verso

l’impresa come istituzioneper lo sviluppo e la diffusione

del bene comune

Adicembre dello scorso anno abbiamo celebrato a Milano,ospiti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il ses-santesimo della costituzione del Gruppo UCID della Lom-

bardia. Dobbiamo alla grande figura dell’Arcivescovo di Milano, Car-

dinale Ildefonso Schuster (1880-1954), e alla Sua sollecitudinepastorale, accompagnata da una profonda visione profetica, la vo-lontà di costituire l’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti cre-dendo nell’importanza fondamentale dell’impresa come fattoredi sviluppo per il bene comune, all’indomani della grande trage-dia della seconda guerra mondiale e della necessità della rico-struzione morale e civile dell’Italia.

Accanto al Cardinale Schuster ci piace ricordare la figura delProfessor Francesco Vito, che è stato il primo consulente econo-mico dell’UCID e Maestro insigne di economia all’Università Cat-tolica.

Alla celebrazione sono intervenuti il Presidente del Senato,Marcello Pera, il Magnifico Rettore dell’Università Cattolica, Or-naghi, il Presidente dell’UCID Nazionale, Angelo Ferro, mentreil Presidente del Gruppo Regionale Lombardo, Renzo Bozzetti,ha fatto gli onori di casa.

Per ricordare questo importante evento, apriamo questo nume-ro di UCID Letter con un contributo di Amedeo Nigra, Presiden-te del Centro Culturale del Gruppo Regionale Lombardo.

Segue una stimolante analisi di Angiolo Quattrini, della Sezio-ne UCID di Roma, sul tema dei rapporti tra lavoro e capitale nel-la globalizzazione.

L’intervento successivo è del Presidente della Sezione UCIDdi Rimini, Gianfranco Vanzini, sul tema delicato della concilia-zione tra lavoro e famiglia, con particolare riferimento al ruolodella donna come madre nella nostra società.

Nella seconda parte degli approfondimenti viene pubblicata laraccolta selezionata degli atti del Convegno di Genova organiz-zato dall’UCID della Liguria, dall’UCID nazionale e dall’Uffi-cio Nazionale per i Problemi Sociale e il Lavoro della CEI il 9 eil 10 giugno scorso sul tema “Famiglia, Lavoro e Impresa”.

Si è trattato di un momento importante di analisi e discussionesulla necessità di ripartire dai valori della famiglia, nucleo fon-dante della società, per andare verso l’impresa come istituzioneper lo sviluppo e la diffusione del bene comune. L’impresa deveessere vista, secondo gli insegnamenti della Centesimus Annus,come comunità di persone che lavorano insieme per la crescitamorale e civile dell’uomo, in cui l’autorità viene esercitata noncome potere ma come servizio. Emerge in questo modo la cen-tralità dell’uomo con i suoi valori di libertà e di dignità, fatto aimmagine e somiglianza di Dio. La chiamata, come insegna l’e-vangelista San Giovanni, viene da Dio e l’uomo può dare la sua

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La famiglia è il nucleo primo della società che deve mirare alla crescita integraledell’uomo

risposta in spirito di libertà. L’impresa è importante, ma è la famiglia il nucleo primo della

società che deve mirare alla crescita integrale dell’uomo e l’im-presa non può essere vista come istituzione di supplenza di que-sto suo fondamentale ruolo. Non vanno dimenticate le funzionifondamentali della Parrocchia, famiglia di famiglie, e della scuo-la, che devono preparare gli uomini nuovi della società, con sal-di riferimenti al sistema dei valori naturali e cristiani che trovia-mo nella Dottrina Sociale della Chiesa: sviluppo per il bene co-mune, solidarietà, sussidiarietà.

I contributi del Convegno hanno tutti sottolineato l’importan-za della responsabilità dell’imprenditore per il bene comune uni-versale nel nostro mondo globalizzato. L’imprenditore deve mi-rare all’eccellenza, sviluppando la creatività che è un in riflessodell’onniscienza di Dio, essendo l’uomo fatto a sua immagine esomiglianza.

Il collegamento di questa visione con l’appello degli impren-ditori cristiani dell’UCID lanciato alla fine di settembre delloscorso anno è molto forte, in segno di continuità e di crescita conquell’impegno verso una nuova cultura dell’offerta per la costru-zione di un nuovo umanesimo cristiano nella visione dell’inte-grazione europea.

La terza parte di UCID Letter è, come sempre, dedicata alle at-tività dei Gruppi e delle Sezioni, molto intense e partecipate peri temi scelti, soprattutto nel campo della formazione dei soci perun’autentica catechesi della Dottrina Sociale della Chiesa.

Tra le attività, riteniamo infine utile ricordare che una delega-zione dell’UCID nazionale ha partecipato il 25-27 maggio scor-so a Lisbona al XXII Congresso mondiale dell’UNIAPAC. Il te-ma del Congresso ha riguardato il rafforzamento della leadershipdei nuovi imprenditori nello spirito di servizio per il bene comu-ne universale. Il Presidente del Comitato Scientifico dell’UCIDnazionale, Francesco Merloni, ha presentato una stimolante te-stimonianza di imprenditore italiano per il bene comune nello sce-nario della globalizzazione.

Gli amici della Presidenza Nazionale

Settembre 2006

ATTIVITA’EDITORIALE

L’impresa non può essere che un’istituzione di supplenza del ruolocui è chiamata la famiglia

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l’esperienza, la conoscenza ela riflessione che derivano dal-le attività imprenditoriali e pro-fessionali dei suoi soci, per te-stimoniare i valori cristiani nel-l’agire quotidiano».

DA VIRTÚ A VALORE

La parola, passa al ProfessorLorenzo Oraghi, secondo ilquale, «Noi siamo oggi in unastagione storica, in cui “neces-sariamente” cultura e mercatosi debbono incontrare. Culturae mercato - prosegue - si devonoper forza incontrare, perché so-lo attraverso l’alimento di unacultura, dei valori di una cultura,il mercato davvero funziona».

«Valore è qualcosa che valeoggettivamente», afferma ilmoderatore Massimiliano Fi-nazzer Flory, «ma valore è an-che scelta, la scelta di inter-pretare, anche in modo forseanticonformista, le parole mer-cato e cultura».

«Questo termine “valore” -afferma, nel proprio interven-to, il Senatore Marcello Pera -è un termine moderno perchéin tutta la storia del pensieroantico e poi moderno il termi-ne “valore” non si incontra mainel senso di valore morale, per-ché nel senso di valore moralela tradizione ha un’altra espres-sione, e cioè il termine “virtú”.

Il termine valore esiste, esi-ste anche in greco, ma esiste nelsignificato di valore di qualchecosa, cioè di prezzo. Il respon-sabile vero, principale, dell’in-troduzione di questo termine, alquale ormai tutti siamo legati,è Nietzsche. Nietzsche intro-duce questo termine “valore”,

QUANDO CULTURA

E MERCATO

SI INCONTRANO

L’esperienza e le conoscenze imprenditoriali e professionali vengono poste a servizio della comunità

e dopo Nietzsche, la tradizio-ne se n’è appropriata».

«Che cosa accade quando sisostituisce il termine virtú coltermine valore? Nietzsche lofa perché predica la morte diDio e allora, dalla premessa“Dio è morto” discende che èmorta la verità. È morta la mo-ralità, sono morte le virtú cri-stiane. Ergo, rimangono i valori,i quali valori però, essendo “isostituti” di tante morti, sonosemplicemente le espressionidi individui: nel caso di Nietz-sche, di individui forti, fino alpunto di essere il superuomo,che contrappone i valori tra diloro».

UCID LOMBARDA:60 ANNI

ATTIVITA’

di Amedeo NigraPresidente Commissione Cultura,

Gruppo Lombardo

Il Gruppo Lombardo del-l’UCID ha ricordato i suoisessant’anni di vita, con un

convegno tenuto all’universitàCattolica di Milano. Nell’aulagremita di iscritti e di simpa-tizzanti, erano presenti il mo-deratore, Massimiliano Finaz-zer Flory, il Presidente dell’U-cid Gruppo Lombardo, RenzoBozzetti, il Presidente del Se-nato (in carica al momento del-la conferenza), Professor Mar-cello Pera, il Rettore dell’Uni-versità Cattolica di Milano, Pro-fessor Lorenzo Ornaghi, il Pre-sidente dell’Ucid nazionale,Professor Angelo Ferro.

«Oggi siamo qui per ricor-dare le origini della Ucid, sor-ta 60 anni fa come GruppoLombardo Dirigenti d’ImpresaCattolici, nel vasto movimen-to di opere e di idee che ha ca-ratterizzato in Italia il dopo-guerra» ricorda il PresidenteRenzo Bozzetti. E prosegue:«Successivamente nel 1947, daquesto primo seme i singoligruppi, riunendosi, costituiro-no l’attuale UCID, Unione Cri-stiana Imprenditori Dirigenti,oggi presente sul territorio ita-liano con 15 gruppi regionali e85 sezioni. Il 28 giugno del ’48l’UCID, con una visione inter-nazionale, contribuí alla costi-tuzione all’Aia dell’UNIAPAC,organizzazione mondiale allaquale aderiscono associazionimotivate dagli stessi fini cri-stiani».

«Ma oggi, che cos’è e checosa si propone l’Ucid?». Sichiede il Presidente Bozzetti. Eprosegue. «Ucid significa por-re al servizio della comunità

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La forza di una società, senza concepirla come un’unità assoluta,sta nel fatto che le virtú sono abiti di comportamento quotidiano. Sono praticate piú che dichiarate

battaglie politico-ideologicheconia questa formula che poiavrà un grande successo: l’in-teresse è un concetto autenticoe, pertanto, “non mente”, per-ché se è un interesse beninte-so, cioè che io so conoscere,guida le mie azioni, appunto,tiene a freno le passioni, miguida al perseguimento di uncerto tornaconto. Ma l’interes-se non mente, perché se io co-nosco dove sta l’interesse diuna persona, so come quellapersona si comporterà».

Ora, con queste premesse, lacapacità di prevedere compor-tamenti (indotti dall’interesse),pone in primo piano la normadi legge, ossia l’elemento checi aiuta a guidare e regolare ilcomportamento. Come esatta-mente dicevano i giuristi ro-mani “Ius est norma agendi”ossia il diritto è ciò che guidale nostre azioni. E questo è perl’appunto il cuore del proble-ma, che qui ci occupa.

«Siamo cosí - afferma il Pro-fessor Ornaghi - alla “neces-sità di regole”. Peraltro, esistetutta una serie di regole - que-sta è la parte che io considerouna risposta al quesito di Fi-nazzer - che sono le regole deicomportamenti quotidiani ed èquello di cui anche questo no-stro Paese, o questo nostro Pae-se forse con gli altri, ha biso-gno.

Perché, giustamente, il Pro-fessor Pera diceva che le virtú,che io ho chiamate il bene co-mune, sono astrazioni, non so-no enunciazioni, non sono co-se che troviamo soltanto nelcatechismo o nei manuali del-

la storia del pensiero o del di-ritto, perché la forza di una so-cietà, senza concepirla comeun’unità assoluta, sta nel fattoche le virtú sono abiti di com-portamento quotidiano. Sonopraticate piú che dichiarate. Al-lora le istituzioni o la doman-da sulle istituzioni è in realtà suquali regole consentono i com-portamenti quotidiani virtuosiche, vivaddio, in questo nostroPaese sono ancora la grandemaggioranza».

«Indirettamente, nella rispo-sta del Prof. Ornaghi, ancorauna volta - afferma il modera-tore Massimiliano FinazzerFlory - vi è, secondo me, laconvinzione di un pensatoredel Novecento che è Max We-ber, dove si incontrano culturae mercato. A volte questo in-contro non è possibile o, doveè possibile, è comunque me-diato dalla burocrazia, la qua-le ragiona sulla base del pre-cedente, al contrario degli im-prenditori, che tendenzialmen-te ragionano sulla base del-l’innovazione».

REGOLARE, NON CORREGGERE,IL CAPITALISMO

«Allora, io pure ritengo cheil capitalismo - precisa il Se-natore Marcello Pera - non siada abbattere e non mi piacefrancamente molto nemmenol’espressione “da correggere”,anche perché non so chi sia ilcorrettore e con quale dirittonoi possiamo pensare o conquale fondamento possiamopensare, che c’è un correttoreche vede le ingiustizie nasceree le corregge.

L’INTERESSE NON MENTE

E VA REGOLATO

Aquesto punto, il moderato-re Massimiliano Finazzer Florychiede al Professor Ornaghi:«dove si incontrano per neces-sità, ma non per ragioni eco-nomiche, bensí per ragioni mo-rali, attraverso un ordine (e l’or-dine il mercato in qualche mo-do lo favorisce) il mercato e leistituzioni?».

Il Professor Lorenzo Ornaghirisponde richiamando il con-cetto di “interesse”. «È talmenteimportante questo elementodell’interesse - ricorda il Pro-fessor Ornaghi - che nel ‘600un autore inglese, nel pieno di

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Il mercato vale quando sono presentiquesti cinque talenti:

la moralità, l’affidabilità,

il rigore, la competenza,

il rispetto degli impegni

No, il capitalismo è da man-tenere e da regolare. Regolarecome? Con quelle regole cuiho fatto riferimento prima, chesono regole di comportamento,quindi sono norme di compor-tamento, e in questo senso so-no generali e astratte.

Il cristianesimo si è inventa-to una cosa che ha un valoreuniversale: il capitalismo. Que-sta è la conquista della tradi-zione animata da una tradizio-ne che è imbevuta di valori cri-stiani.

Il capitalismo nasce in Eu-ropa. Il capitalismo nasce, co-munque, in quella che è la tra-dizione cristiana, e poi si por-ta, ovviamente, negli Stati Uni-ti».

«E un’istituzione è un’isti-tuzione, un’invenzione del-l’Occidente che è imbevuta diquesta tradizione. A fonda-mento della nozione di demo-crazia, cui oggi siamo tutti le-gati, c’è un concetto che è ba-silare ed è il concetto di perso-na».

«Senza un’identità vera, sen-za un’identità forte, senza un’i-dentità consapevole, non è chesi diventi tutti piú tolleranti,piú aperti, piú disponibili: sidiventa semplicemente tutti piúdeboli, tutti piú incapaci di agi-re, tutti piú inerti».

DAL RELATIVISMO

AI “CINQUE TALENTI”

La conclusione è affidata alPresidente dell’UCID, Profes-sor Angelo Ferro. «Oggi ci tro-viamo, a distanza di ses-sant’anni - ricorda il Presiden-te - con un mercato mondiale,

da regolare. Ho trovato moltosuggestiva l’espressione usatadal Professor Pera quando di-ce che “sono i comportamentiche determinano il mercato”.Ormai il mercato è esteso a tut-to il mondo. Ma la qualità delmercato viene determinata daicomportamenti».

Il mercato, d’altra parte, va-le quando sono presenti questicinque talenti: la moralità, l’af-fidabilità, il rigore, la compe-tenza, il rispetto degli impegni.

Questi talenti danno vita auna cultura forte, una culturache fa fare le scelte in funzio-ne di questo collegamento traetica e produzione, etica e fi-nanza. La grande conquista deitempi moderni consiste nelcombattere la povertà e nel fa-re in modo di distribuire risor-se.

L’impresa è l’istituzione chevive, in quanto crea risorse. Seno, non è legittimata a vivere.

Dunque, è assolutamente de-cisiva questa capacità di recu-perare tutti i cinque talenti, nonsolo con la finanza, ma anchecon l’innovazione, l’organiz-zazione, la tecnologia».

Giunti cosí al termine di que-sta breve cronaca, dobbiamodire che la conclusione del Pro-fessor Angelo Ferro è davverorassicurante, e, soprattutto, uti-le. Il mercato - in pratica - de-ve creare risorse, cioè “beni”.E deve agire “bene”.

Questo agire bene, questobuon comportamento, non puòessere lasciato al caso o al re-lativismo. Perché, come giu-stamente ci ricorda il Santo Pa-dre Benedetto XVI, il relativi-

smo è un difetto. Il relativismo- aggiungiamo noi - è il con-trario della norma ed è l’oppo-sto del programma.

Al contrario, il modello daseguire deve essere chiaro e de-ve essere determinato, attra-verso regole concrete.

I cinque talenti, la moralità,l’affidabilità, il rigore, la com-petenza, il rispetto degli impe-gni, sono un buon principio,per superare il relativismo e peraumentare la solidarietà tra gliuomini.

Sono questi “talenti”, in fon-do, a determinare quando e secultura e mercato si possanoincontrare.

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ATTIVITA’

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RISPETTO

DELLA PERSONA

E PARTECIPAZIONE

La globalizzazionedeve portare a una piú vasta partecipazione delle persone e nonalla loro esclusione o emarginazione

LAVORO UMANO È CAPITALE

Lavoro e capitale identifica-no due dimensioni dell’agireumano solo apparentementecontraddittorie, in cui però lapersona è preordinata al fred-do e inanimato capitale.

Lavoro è sinonimo di occu-pazione; evoca le condizionioperative, la struttura delle pre-stazioni lavorative, la parteci-pazione dei lavoratori alle im-prese e i problemi della cosid-detta “share economy”.

Dalla capacità creativa degliimprenditori e dalle nuove sco-perte, invenzioni o iniziativedell’uomo dipende in gran par-te la vita delle comunità.

Secondo una diffusa acce-zione, il termine “capitale” de-riverebbe dal latino “caput”,che indica arguzia, invenzio-ne, intraprendenza e soprattut-to il luogo dove tali doti han-no sede, cioè la mente dell’uo-mo. Nel tempo, il capitale e ifattori decisivi della produzio-ne si sono via via identificati nelbestiame, nella terra, nei mac-chinari, nei beni strumentali,ma gli economisti hanno sem-pre avuto ben presente che il la-voro è il fattore principale del-lo sviluppo.

Nella “Ricchezza delle Na-zioni” Adam Smith afferma cheil lavoro umano di un Paese èla fonte di ogni incremento diricchezza e fornisce il fondo alquale si attingono i mezzi diconsumo, tutte cose che consi-stono sempre o nel prodottoimmediato del lavoro o in ciòche con questo prodotto vienecomprato presso altri Paesi.

In una società post-indu-

Le linee per mitigare le asprezze del mercatosono il rispetto della persona umana e la partecipazione dell’uomo alle decisioni che riguardano il proprio destino

ATTIVITA’LAVORO, CAPITALEE GLOBALIZZAZIONE

di Angiolo Trequattrini Ucid, Sezione Roma

Obiettivo del presente in-tervento è dimostrareche l’evoluzione in cor-

so nell’economia, caratterizza-ta dal prevalere del modello ca-pitalista sulle sue alternativestorielle e riassunta nel concet-to di globalizzazione, conducea considerare il lavoro umanocome la principale forma di ric-chezza delle nazioni e il fatto-re principale della produzione,rendendo sempre meno netta latradizionale linea di demarca-zione tra lavoro e capitale.

Ciò sta avvenendo attraver-so processi che comportano be-nefici e costi, non sempreuniformemente distribuiti tra idiversi Paesi e categorie di per-sone. Nel suo complesso, pro-babilmente, il fenomeno dellaglobalizzazione non può esse-re evitato; è necessario peròche sia governato.

Nel campo delle relazioni in-dustriali, sembrano ormai ma-turi i tempi per stabilire un col-legamento fra i risultati eco-nomici conseguiti dall’impre-sa e la distribuzione di una quo-ta di profitti ai suoi dipenden-ti, come parte variabile del lo-ro reddito. A tale scopo, sem-brano di grande utilità gli indi-rizzi e gli insegnamenti che pro-vengono dalla Dottrina socia-le della Chiesa, che attraversotalune magistrali Lettere Enci-cliche indica, nel rispetto del-la persona umana e nella par-tecipazione dell’uomo alle de-cisioni che riguardano il propriodestino, le linee per mitigare leasprezze del mercato sia neirapporti interni all’impresa, sianei rapporti tra i popoli.

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La vera ricchezza di un Paese

è data dalla capacità e

dalla preparazione professionale dei lavoratori

striale, in cui la ricchezza èsempre piú immateriale, l’in-telligenza, la capacità di ini-ziativa, di invenzione, di orga-nizzazione, costituiscono ilnuovo motore della ricchezzadei popoli, al centro della qua-le si pone quindi il capitaleumano assistito da un’adegua-ta istruzione, da sistemi nor-mativi che non ostacolino gli in-tenti associativi.

Il capitale ha valore in quan-to sorgente di flussi di reddito;il complesso delle conoscenzeracchiuse nella mente dell’uo-mo costituisce una riserva diabilità e di competenze destinataa produrre frutti e la vera ric-chezza di un Paese è data dallacapacità e dalla preparazioneprofessionale dei lavoratori.

Negli ultimi decenni i prin-cipi classici della teoria del ca-pitale sono stati estesi al capi-tale umano; è emerso semprepiú evidente che l’uomo, con lasua capacità di ideare, proget-tare, produrre, è il fattore fon-damentale di ogni progressoeconomico. Il premio Nobelper l’economia Garry Becker hadimostrato che le spese per edu-cazione, formazione, assisten-za medica sono investimenti incapitale, anche se riguardanoil fattore umano; anzi, essi ga-rantiscono i rendimenti econo-mici piú alti.

CARATTERISTICHE

DEL SISTEMA CAPITALISTA

È comune opinione che il ter-mine capitalismo si applichi asistemi apparsi negli ultimi due-cento anni, nel corso dei qualigli esseri umani sono saliti da

750 milioni a 6 miliardi e l’etàmedia al momento della mor-te è passata da 18 a 77 anni.

È noto che il capitalismo met-te al centro dei valori l’accu-mulazione del capitale, la pro-prietà privata dei mezzi di pro-duzione, la compravendita dellavoro e si avvale del mercatoe della concorrenza per garan-tire la piú efficiente allocazio-ne delle risorse che, essendo li-mitate, richiedono la raziona-lizzazione del loro uso; attra-verso la distribuzione del pro-dotto remunera i fattori pro-duttivi. Il mercato e la concor-renza dovrebbero assicurare laconciliazione del massimo diutilità individuale con il be-nessere collettivo.

Spesso quel termine è asso-ciato a quello di darwinismo,nel senso che solo il piú abilead adattarsi può sopravvivere;tale associazione, che implicala noncuranza per il piú debo-le, appare in netto contrasto conl’attenzione nei confronti deipoveri, mostrata dallo stessoAdam Smith, con i concetti dalui espressi nella “Teoria deisentimenti morali”; con il suosogno di liberare dalla prigio-ne della povertà ogni essereumano sulla terra.

La logica del sistema, conte-nuta nella sua frase piú nota, se-condo cui non dobbiamo allabenevolenza del produttore odel commerciante se possiamodisporre delle merci che ci ser-vono, ma dalla loro conve-nienza a produrle e a vender-cele, va integrata con la preci-sazione che le regole del mer-cato debbono essere onorate

dagli operatori con comporta-menti in linea con gli standardetici che sanciscono il rispettoreciproco nei comportamentiinterpersonali.

È una posizione che l’eco-nomista indiano premio NobelAmartya Sen rafforza, soste-nendo che una teoria della con-dotta umana che guardi solo al-le motivazioni interessate edegoistiche appare inadeguataanche sul piano economico,perché non pone nelle miglio-ri condizioni per prevedere ciòche accade nel mercato.

Due caratteristiche hanno po-sto il capitalismo al di sopradelle sue alternative storiche:

LAVORO, CAPITALE E GLOBALIZZAZIONE

ATTIVITA’

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La sfida della globalizzazione si è conclusa finora con il trionfo del capitalismo di stampo anglosassoneche affrontala competizione attraverso la mobilità e la flessibilità delle regole e della remunerazionedei fattori produttivi

obiettivo. Come è stato autore-volmente osservato, un sistemache ricerca onestamente il be-nessere e che dà a tutti la facoltàdi esercitare liberamente e pro-ficuamente la propria capacitàin campo economico, contienei presupposti per allacciare, su-perando le tradizionali riserve,rapporti di sintonia e di colla-borazione con il cristianesimo(cfr. A. Tosato, Economia di mer-cato e cristianesimo, 1994).

GLOBALIZZAZIONE E BENESSERE

Fino al 1980 ha prosperatonegli Stati Uniti e, con alcunevarianti, negli altri principaliPaesi occidentali, un modellodi capitalismo controllato cheha apportato ricchezza, cresci-ta sostenuta, redistribuzione deiredditi, sensibile riduzione del-la povertà di grandi masse del-la popolazione, consolidamen-to della coesione sociale, ridu-zione dei redditi apicali della pi-ramide, ascesa dei ceti poverie semipoveri verso la classemedia. In generale, però, l’at-tenzione alla stabilità dell’eco-nomia ha finito per prevaleresull’efficienza e la rigida di-sciplina introdotta attraversoregolamenti, tariffe, canoni, inmolti settori economici (lineeaeree, trasporti ferroviari, te-lefoni, banche, elettricità, gasnaturale) ed è divenuta un osta-colo alla distribuzione creativacaratteristica del sistema im-prenditoriale, fonte dello svi-luppo capitalistico.

Verso la fine degli anni Set-tanta, sono emersi i fautori delmercato completamente libe-ro, che hanno propugnato la

privatizzazione di ogni generedi servizi e la loro gestioneesclusivamente nell’ottica delprofitto, con la promessa di unaeconomia piú dinamica in gra-do di generare piú ricchezza.

La reciproca apertura delleeconomie nazionali, le inno-vazioni tecnologiche, la rivo-luzione informatica, la rapidadiffusione di un sistema di te-lecomunicazione affidabile, ladiminuzione della incidenzadel costo dei trasporti, sono gliingredienti di quel fenomenocui è stata attribuita la deno-minazione di globalizzazionee che costituisce la caratteri-stica che unisce i vari tipi dicapitalismo all’inizio del Ter-zo Millennio.

La sfida della globalizzazio-ne si è conclusa finora con iltrionfo del modello di capita-lismo di stampo anglosassone,che ha mostrato di saper meglioaffrontare la competizione, at-traverso la mobilità e la flessi-bilità delle regole e della re-munerazione dei fattori pro-duttivi, rispetto a modelli piú at-tenti agli equilibri dinamici disviluppo di medio e lungo ter-mine e alla protezione socialedei lavoratori, ma meno capa-ci di risolvere il problema del-la disoccupazione.

Non vanno però sottovaluta-ti i segnali negativi e i disagi so-ciali derivanti dalla riduzione dipersonale legata a ristruttura-zioni; l’arricchimento a una ve-locità mai vista in passato de-gli artefici della eliminazione diprassi inefficienti, accanto aiquali si creano i nuovi poveri(disoccupati, occupati a tempo

rappresenta una condizione ne-cessaria per il successo dellademocrazia; aiuta i poveri auscire dalla loro posizione me-glio di qualunque altro siste-ma, come provano i flussi mi-gratori dei poveri del mondoverso i Paesi capitalisti.

Ma i valori della democraziasi realizzano pienamente solo sealla democrazia politica si ac-compagna la democrazia eco-nomica: la diffusione tra i la-voratori della partecipazione al-la proprietà del capitale delleimprese attraverso le azioni del-le società, simbolo del capita-lismo, costituisce un efficacestrumento per raggiungere tale

ATTIVITA’LAVORO, CAPITALEE GLOBALIZZAZIONE

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Le disuguaglianze non nascono

dalla globalizzazione,ma dal divario

tecnologico, colmabilesolo attraverso

incisivi e diversificati interventi

e investimenti nei settori della formazione

tecnica, scientifica e dell’istruzione superiore

ridotto, rioccupati senza ade-guate funzioni e mal pagati) chevanno a infoltire la schiera del-la generazione perduta dei cin-quantenni non ricollocabili.

Le situazioni di disugua-glianza tra i popoli si sono ac-centuate: la quota di redditoglobale del quinto piú poverodella popolazione mondiale èscesa dal già basso livello del2,3 a quello dell’ 1,4%; moltiPaesi dell’Africa sub-saharia-na hanno redditi piú bassi intermini reali di 20 anni fa; au-menta la vulnerabilità dei Pae-si le cui economie sono basatesulla vendita di pochi prodottisul mercato mondiale.

L’esperienza però dimostrache i Paesi che sono riusciti aentrare nella generale intercon-nessione delle attività econo-miche a livello internazionalehanno conosciuto lo sviluppo,mentre quelli che si sono esclu-si o sono piú distanti dalla glo-balizzazione conoscono sta-gnazione e regresso e sono mag-giormente afflitti dalla povertàe assediati dalle malattie.

Le disuguaglianze non na-scono dalla globalizzazione,ma dal divario tecnologico, col-mabile solo attraverso incisivie diversificati interventi e in-vestimenti nei settori della for-mazione tecnica, scientifica edell’istruzione superiore.

Sarebbe quindi errato opporsialla globalizzazione: occorretrovare il modo per governar-la, potenziando e irrobustendole istituzioni finanziarie inter-nazionali e cercando una mag-giore collaborazione tra tutti iPaesi.

LA PARTECIPAZIONE

DEI LAVORATORI ALL’IMPRESA

Le trasformazioni in corsonella tecnologia e nelle teleco-municazioni stanno apportan-do grandi cambiamenti nellastruttura produttiva di quasi tut-ti i Paesi; emergono la media epiccola impresa e una nuovaimprenditoria locale, che pre-figurano una organizzazioneorizzontale dell’impresa reti-colare, che può contare su diuna maggiore flessibilità e ca-pacità di adattamento alle mu-tevoli esigenze dei mercati, ri-spetto a una organizzazione ge-rarchica verticale di stampo for-dista. Ciò provoca significati-vi riflessi nel mondo del lavo-ro e delle professioni.

Già a metà degli anni Ottan-ta, il premio Nobel James Mea-de aveva intravisto nella ricer-ca di maggiore efficienza a li-vello di impresa, nel migliora-mento dei livelli occupaziona-li e in una piú equilibrata di-stribuzione della ricchezza edel potere le motivazioni chegiustificavano ormai un diver-so rapporto tra capitale e lavo-ro. Atali motivazioni si sono ag-giunti il cambiamento del re-gime monetario derivante dal-la creazione dell’Unione Mo-netaria Europea, la bassa in-flazione e la maggiore cresci-ta dei profitti delle imprese ri-spetto ai salari verificatasi ne-gli ultimi anni.

Tutto ciò ha posto le pre-messe per una nuova stagionedelle relazioni industriali lega-ta essenzialmente alla produt-tività, da tenersi nei luoghi incui avviene il suo incremento.

La rivoluzione informatica ela diffusione di nuove tecnolo-gie hanno facilitato la costitu-zione anche in Italia, già carat-terizzata da una struttura fami-liare delle imprese in prevalen-ze medio-piccole, di nuove pic-cole imprese per la fornitura an-che di prodotti e servizi allegrandi imprese e la nascita dinuove figure professionali, conaumenti dell’occupazione nelsettore terziario, lo sviluppo dellavoro autonomo e l’aumentodella quota di lavoro irregola-re; ne è risultato sensibilmentemutato il contesto delle presta-zioni lavorative e delle condi-zioni remunerative, con la pos-

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La partecipazione aumenta la flessibilità eil grado di competitivitàdell’impresa e rafforzala sua posizione nelmercato; stimola la domanda di beni,servizi e lavoro; utilizza il risparmio dei dipendenti; conduce a una influenzadei dipendenti sulle scelte strategiche dell’impresa

ziale. È tornata d’attualità an-che la ricerca del superamentodel tradizionale scambio lavo-ro/salario attraverso strumentiche, intrecciando efficienza edequità, conducano a una con-vergenza, sia pure parziale, diinteressi e convenienze tra i di-versi attori dell’impresa e gliequilibri economico-sociali piúgenerali.

Pur incontrando ancora dif-fuse resistenze e diffidenze nel-le classi imprenditoriali, mana-geriali e sindacali, si è rinnovatala riflessione sulla necessità diun modello di società attiva,fondata sulla responsabilità esulla partecipazione dei lavo-ratori alla vita delle imprese, alfine di raggiungere forme dicollegamento tra i risultati eco-nomici conseguiti dall’impresae la quota degli stessi attribui-ta ai suoi addetti come parte va-riabile del loro reddito.

Indipendentemente dalle di-verse forme che la partecipa-zione può assumere (economi-ca, finanziaria, distributiva, or-ganizzativa, strategica) e pre-scindendo dalle numerose pro-blematiche che essa solleva, sualcuni aspetti esiste convergenzadi giudizi: la partecipazione au-menta la flessibilità e il gradodi competitività dell’impresa erafforza la sua posizione nelmercato; stimola la domanda dibeni, servizi e lavoro; utilizzail risparmio dei dipendenti met-tendo a disposizione dell’im-presa ingenti capitali di carat-tere non speculativo; conducea una influenza dei dipendentisulle scelte strategiche dell’im-presa e quindi sulle condizioni

lavorative e sullo stato profes-sionale dei dipendenti, capacitàche in un logica collaborativa di-venta sempre piú importantenell’attuale quadro dell’econo-mia dominata da competitivitàe insicurezza.

Fermo restando che la retri-buzione del lavoro non puòscendere sotto il livello di sus-sistenza, va prendendo consi-stenza l’idea che, in via di prin-cipio, ulteriori quote di remu-nerazione, variabili in relazio-ne al merito e all’andamentodell’impresa, dovrebbero deri-vare da coinvolgimenti dei di-pendenti nelle sorti dell’im-presa stessa.

L’avvicinamento a una eco-nomia di partecipazione è ri-scontrabile nella tendenza dimolte società a introdurre pia-ni di “stock option” indirizza-ti al top management e a partedella dirigenza, che peraltronella concreta applicazione sisono rivelati un perverso mec-canismo, anche fiscale, indi-pendente dagli utili aziendali,che ha accentuato i fenomeni disperequazione nella distribu-zione del reddito.

È noto che nel mondo occi-dentale, fino agli anni Settan-ta, vigeva una regola non scrit-ta, fissata negli anni della gran-de crisi del 1929, pare su sug-gerimento del banchiere Mor-gan, circa il rapporto di 1 a 20fra il salario medio di una im-presa e il compenso piú eleva-to. Successivamente gli arginisi sono rotti e tale rapporto è di-ventato mediamente di 1 a 200,con diffuse punte anche moltopiú alte, a cui ha contribuito

sibilità di meglio adeguare lamassa salariale all’andamentodella produzione attraverso lavariazione delle ore lavorativee della retribuzione.

La dimensione medio-pic-cola delle imprese e la struttu-ra familiare non dovrebbero co-stituire un ostacolo a questa ul-teriore trasformazione, che giànell’ultimo decennio ha vistol’altra grande trasformazionenel mercato del lavoro sia nel-la variazione del livello del-l’occupazione, sia nella intro-duzione e sviluppo di formecontrattuali piú flessibili, nel-la specie dei contratti di dura-ta determinata o a tempo par-

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I princípi fondamentalidella Dottrina socialedella Chiesa possono

essere riassunti nella giustizia,

nel primato della persona umana,

nel principio di solidarietà

e nel principio di sussidiarietà

non poco il meccanismo delle“stock option”. In generale, co-munque, in Italia l’istituto del-la partecipazione dei dipendential capitale della propria azien-da, la condivisione del rischioe dei benefici dello sviluppodell’impresa da parte dei lavo-ratori attraverso l’azionariato,non si collocano ancora ai li-velli esistenti in altri Paesi(USA, Gran Bretagna, Francia,Germania, Giappone).

Sui risultati delle esperienzecompiute i giudizi non sonoconcordi; trattasi peraltro di ca-si alquanto atipici. Nuove pos-sibilità dovrebbero presentarsicon la crescita della previden-za integrativa. Lo sviluppo del-la partecipazione dei lavorato-ri alle imprese e la collabora-zione strategica tra lavoro e im-presa in un’ottica di lungo pe-riodo costituiscono un benepubblico che il legislatore do-vrà cercare di perseguire attra-verso facilitazioni (fiscali, pre-videnziali, assicurative, finan-ziarie e normative) da riserva-re alle imprese e ai lavoratoriche dimostrino di aver istitui-to l’impianto partecipativo.

UMANESIMO E GLOBALIZZAZIONE

In una società che cresce ilruolo del lavoro umano deve di-ventare sempre piú rilevante econfigurarsi come una realiz-zazione della personalità; lamoralità dell’azione dell’ope-ratore economico deve assu-mere connotati diversi dal pas-sato e essere rivolta a creare la-voro a sufficienza per tutti co-loro che sono in grado e vo-gliono partecipare al processo

produttivo: vanno contrastatele degenerazioni nell’utilizzodel lavoro che potrebbero de-rivare dal perseguimento di unefficientismo esagerato. Dareun lavoro a tutti è un dovere co-stituzionale e morale; un mer-cato che impedisca ad alcuni diparteciparvi a pieno titolo è unmercato che non funziona; al-l’impegno per accrescere l’oc-cupazione va unito lo sforzoper migliorarne la qualità.

La Dottrina sociale dellaChiesa propugna il diritto al la-voro e il diritto a un salarioequo. Il rapporto tra dottrinaeconomica e dottrina socialecristiana, disegnato da PapaLeone XIII nel 1891 con la en-ciclica “Rerum Novarum”, ri-preso da Giovanni Paolo II nel-la “Laborem Exercens”, incen-trata su una generale acuta ri-flessione sul lavoro umano, èstato magistralmente ap-profondito nella “CentesimusAnnus”.

Rispetto alla dottrina tradi-zionale, l’enciclica “Centesi-mus Annus” di Giovanni PaoloII contiene elementi di grandenovità con riferimento alla fun-zione sociale dell’impresa e del-la proprietà privata, alla capa-cità d’iniziativa e alla dimen-sione umana dell’imprendito-re, la cui intelligenza conducealla scoperta delle potenzialitàproduttive e delle diverse mo-dalità con cui i bisogni umanipossono essere soddisfatti.

L’Enciclica ricorda che l’a-zienda non è solo società di ca-pitali, ma è anche società dipersone che collaborano con ilproprio lavoro alle fortune del

capitale; il patrimonio piú pre-zioso dell’azienda è costituitodagli uomini che non possonoessere umiliati e offesi nella lo-ro dignità; l’esistenza dell’im-presa come comunità di uomi-ni si inquadra nello scopo del-l’impresa stessa. I princípi fon-damentali della Dottrina so-ciale della Chiesa possono es-sere riassunti nella giustizia enel primato della persona uma-na, nel principio di solidarietàe nel principio di sussidiarietà.

In particolare, la giustizia po-stula che il sistema economicorispetti il piú possibile tutte ledimensioni delle persone mi-rando al soddisfacimento dei

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I Paesi industrializzatidovranno prestare maggiore cura ai bisogni collettivi, ripensare la politica dell’assistenza, sviluppare la società civile, valorizzare la libertàeconomica, porre al centro il rispetto della persona umana

con chi lo può svolgere; la va-lidità morale dell’impresa ri-siede nella sua capacità di va-lorizzare il lavoro umano; spet-ta all’imprenditore renderel’impresa una comunità di uo-mini che «insieme si aiutano amaturare come esseri umani».

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Con suggestiva immagine, lasocietà umana è stata parago-nata a una colonna di personeche marciano verso il propriofuturo, alcune delle quali in ta-luni momenti decidono di ac-celerare il passo in testa allacolonna utilizzando egoistica-mente le scoperte o le risorsedi cui dispongono.

Tale scelta provoca in brevetempo un allungamento dellacolonna e numerose categoriedi persone o di popoli non cela fanno a tenere il passo dei ca-pofila e rischiano di passaredall’indigenza alla povertà ealla miseria. Nel mondo ci so-no centinaia di milioni di per-sone che non hanno cibo, abi-tazione, beni di consumo es-senziali, istruzione, assistenzamedica; centinaia di milioni dipersone disoccupate e altret-tante che lavorano con salaripiú bassi della soglia della po-vertà dei rispettivi Paesi.

L’anomalia dell’eccessivo esocialmente pericoloso allun-gamento della colonna mar-ciante deve essere corretta in-tervenendo sulle cause del ri-tardo del gruppo di coda, of-frendo a costoro l’opportunitàdi divenire piú ricchi o menopoveri, di partecipare al pro-cesso di sviluppo e di produ-

zione della ricchezza.«La globalizzazione deve por-

tare a una piú vasta partecipa-zione delle persone e non alla lo-ro esclusione o emarginazione,a una maggiore condivisione enon a un impoverimento di unaparte importante della popola-zione a beneficio di pochi», am-moní Giovanni Paolo II.

Nella consapevolezza che laprosperità di tutti è legata almiglioramento delle condizio-ni dei Paesi piú svantaggiatidel mondo, i Paesi industria-lizzati dovranno prestare mag-giore cura ai bisogni collettivi,ripensare la politica dell’assi-stenza e di aiuto, sviluppare lasocietà civile, valorizzare la li-bertà economica, ponendo alcentro dei propri obiettivi il ri-spetto della persona umana.

Nei Paesi del Terzo Mondo,il panorama economico com-plessivo e il livello di vita pos-sono cambiare abrogando leg-gi inique che soffocano la pro-duzione e approntando condi-zioni favorevoli alla creazionedi risorse da investire nelleriforme sociali e nell’istruzio-ne. Una alleanza tra libero mer-cato e solidarietà, che valoriz-zi pienamente la libertà eco-nomica entro la piú generalecornice della libertà della per-sona umana, sembra contene-re dirompenti potenzialità; larealizzazione di un capitalismoumanistico, basato sull’equili-brio tra egoismo individuale eetica dell’attività economica,sulla coesistenza dell’efficien-za con la solidarietà, richiedecomportamenti coerenti di tut-te le parti in causa.

loro bisogni fondamentali, allavalorizzazione della loro par-tecipazione attiva attraversol’accesso a una giusta parte deibenefíci economici, all’oppor-tunità di avere un lavoro ade-guato alle capacità e alla corre-sponsabilità sulle decisioni chehanno conseguenze nella lorovita. Il fondamento della mo-derna economia d’impresa è in-dividuato nella libertà della per-sona, che si esprime nella tri-plice espressione economica,politica e religiosa, tra loro in-terconnesse e interdipendenti.

Sono compiti dell’impresa edell’imprenditore individuaree coniugare il lavoro da fare

ATTIVITA’LAVORO, CAPITALEE GLOBALIZZAZIONE

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sta) nel quale fornisce una de-finizione di “Etica Tributaria”ormai da tutti accettata: «L’e-tica tributaria è la teoria chestudia la moralità dell’eserciziodel potere pubblico (legislati-vo e amministrativo) e del com-portamento del contribuente inmateria tributaria».

Il tema, ormai di interesseanche presso le culture non eu-ropee come quelle nord e sudamericane, è sempre stato og-getto di attenzione particolareda parte della Chiesa Cattolica.

In questo contesto è dovero-so menzionare i fondamentalicontributi che ne hanno scan-dito l’evoluzione da parte diS.Paolo, S.Agostino, S.Tom-maso. In tempi a noi piú pros-simi, un ricco e interessantesaggio del Cardinal Martini,dal titolo “Solidarietà e Fisco”,ha sviluppato la materia in ot-tica moderna [ n.d.r. si veda an-che da ultimo il pregevolissimoarticolo di Padre Salvini s.j.pubblicato su “La Civiltà Cat-tolica” 2006 n. 6 (vol. I pp.561-571), quaderno 3738].

SOLIDARIETÀ FISCALE

Il citato patrimonio di rifles-sione, non solo etica ma di eti-ca religiosa, ha trovato attua-zione e riconoscimento in al-cune moderne carte costituzio-nali vigenti, tra le quali spiccaquella italiana.

L’art. 53 della Costituzione,infatti, prevedendo che «tuttisono tenuti a concorrere allespese pubbliche in ragione del-la loro capacità contributiva»,è in materia tributaria espres-sione e attuazione dell’art. 2

RADICARE

LA CULTURA

DELLA LEGALITÀ

L’esperienza giuridica non può essere separata daquella etica, perchél’esperienza giuridicasi occupa di diritti,l’etica si occupa anche di doveri

che statuisce solennemente che«la Repubblica riconosce e ga-rantisce i diritti inviolabili del-l’uomo, sia come singolo sianelle formazioni sociali ove sisvolge la sua personalità, e ri-chiede l’adempimento dei do-veri inderogabili di solidarietàpolitica, economica e sociale».

Un dovere, inderogabile egenerale, di solidarietà politi-ca economica e sociale, postoin capo a tutti gli individui, co-me profilo integrante logico-giuridico dei diritti fondamen-tali di ogni soggetto.

Padre e autore di questa tra-duzione costituzionale è statoil cattolico EzioVanoni, una

ETICA E FISCOATTIVITA’

di Claudio SacchettoOrdinario Diritto Tributario,

Università di Torino

Il tema dei rapporti tra eticae fisco come quello tra fi-scalità e religione sono tra

i piú risalenti, affondando nel-le prime forme di civitas e divita in comune.

Nell’evoluzione di questorapporto un momento conven-zionalmente significativo è rap-presentato dalla regola postada Gesú Cristo e ripresa da Mat-teo «Date a Cesare quel che èdi Cesare e a Dio quel che è diDio» (Mt 22,21). Essa vieneinterpretata in chiave fondati-va non solo del rapporto tra lareligione e lo Stato ma anchedel modello comportamentaleche l’individuo deve persegui-re nella doppia identità di cit-tadino e di credente nei valoritrascendenti.

Tale aforisma, nel corso deltempo, ha poi assunto valoreulteriore e specifico in materiafiscale per legittimare il dove-re del pagamento dei tributi an-che in base a ragioni morali.

ETICA E FISCALITÀ

Sul rapporto tra l’etica e la fi-scalità esiste una letteratura adir poco sterminata. A partiredall’Etica Nicomachea di Ari-stotele, fino a giungere a periodipiú recenti e limitandoci al set-tore solo fiscale nella prospet-tiva tecnico-laica, si possonocitare gli scritti di Berliri sullagiusta imposta, di Einaudi, Gri-ziotti, Uckmar, Steichen, SainzDe Bujhanda, Herrera Molinae Klaus Tipke, giustamente no-to per il pamphlet (Köln, 1997)“Besteuerungsmoral undSteuermoral”(Morale dell’im-posizione e morale dell’impo-

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L’evasione va condannata perché rispecchia il fatto che si fa piú forte la tentazione dell’eticaindividualistica e non la consapevolezzadel sistema fiscale come pubblico bene

ordine prima che giuridico, an-tropologico e quindi etico, chel’individuo non vive solo masempre in una comunità. La suarealtà non si esaurisce nei suoidiritti fondamentali ma si so-stanzia anche nell’appartenen-za a tale comunità.

Il principio di solidarietà,inoltre, viene menzionato e ap-profondito anche dallo stessoCatechismo della Chiesa cat-tolica [CCC] e riconosciuto dalPontefice Giovanni Paolo IIche, al lemma Fisco, stabilisceche «pagare le tasse è obbligodi solidarietà».

EVASIONE FISCALE

La mancata conoscenza del-l’aspetto testuale della potestàdi imposizione e quindi del si-gnificato del vivere sociale èuna delle principali cause del di-rompente fenomeno dell’eva-sione fiscale e, conseguente-mente, della errata percezionedella sua origine e causa ulti-ma. Tale aberrante fenomeno,che rende drammaticamente at-tuale il rapporto tra etica e fi-sco, ha raggiunto la cifra rag-guardevole di un terzo del PIL;ciò comporta, in base a un’al-tra lettura dei dati, un “som-merso” che raggiunge il 40%dell’intera economia italiana.

Essa investe tutte le catego-rie economiche e sociali, ed èpresente non solo in Italia, maanche in altri ordinamenti.

Sulle cause di questo feno-meno la letteratura tecnica èamplissima e si divide su varieposizioni e soluzioni (altezzadelle aliquote e reazioni degliindividui alle stesse, ineffi-

cienze della Pubblica Ammi-nistrazione, inadeguatezza del-le leggi, …).

Esse sono tutte cause con-correnti, ma in una prospettivadi etica fiscale non si può sot-tacere il ruolo criminogeno, co-me è stato giustamente defini-to, delle leggi sul condono, pro-prio per la colpevole (o dolosa)ignoranza delle norme costitu-zionali e, soprattutto, per la nonconsapevolezza della violazio-ne del dovere morale del paga-mento delle imposte, perché,come detto, chi non paga le im-poste viola un dovere morale.

Un segnale negativo di que-sta mancanza di percezione delfondamento ultimo della pote-stà d’imposizione si può av-vertire in occasione dei dibat-titi politici sul tema della fi-scalità. Essa viene letteralmente“svenduta” come fastidiosoonere al fine di accrescere ilconsenso degli elettori e scate-nando vieppiú la spinta indivi-dualista da parte degli appar-tenenti alla comunità.

Questo profilo è sapiente-mente individuato e valorizza-to dal Card. Martini quandoegli, nel volume citato, affermache «[…] l’evasione va con-dannata perché rispecchia il fat-to che si fa piú forte la tentazionedell’etica individualistica e nonla consapevolezza del sistemafiscale come pubblico bene».

Fiscalità che viene presenta-ta inoltre in modo mistificatocome causa delle inefficienzedell’economia, quando non sivuole riconoscere che questesono riconducibili ad altri fat-tori e dovute per cause indi-

delle piú eminenti figure poli-tiche e giuridiche della storiaitaliana.

Il citato articolo 2 Cost., tra imeno conosciuti nella culturadiffusa, non solo nell’enuncia-to ma anche nella sua ratio e nel-le sue motivazioni storico-po-litiche, recepisce la piú mo-derna concezione del fonda-mento della potestà tributariadegli enti pubblici, secondo laquale il concorso alle spese pub-bliche non è piú un dovere ba-sato sulla mera autorità-sovra-nità né sul principio del bene-ficio o corrispettivo (scambio diservizi contro imposte) ma fon-dato appunto sulla premessa di

ATTIVITA’ETICA E FISCO

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2/2006 • UCID Letter

L’evasione si traduce

in un forte ostacolo alla trasparenza

del sistema economico ealla sua conoscibilità.

Essa provoca in modo emulativo

frustrazione e incitamento

negli individui a violare sempre

piú la legge

pendenti da essa. Si condividepertanto l’assunto che una di-minuzione piú o meno signifi-cativa della tassazione non pos-sa rappresentare, essa stessa ein quanto tale, la panacea del-la stagnazione o arretratezzadel sistema economico italiano.

Come le cause del fenomenocosí noti sono anche gli effetti:il mancato e adeguato reperi-mento delle entrate si traducenella speculare mancanza o ina-deguatezza di servizi pubbliciessenziali, nella violazione del-le regole della libera concor-renza, della libertà economicae dell’uguaglianza sociale. L’e-vasione si traduce cosí in unforte ostacolo alla trasparenzadel sistema economico e quin-di alla sua conoscibilità.

E sempre tra gli effetti, inun’ottica morale (in quanto in-centrata e diretta all’agire), es-sa non può che provocare inmodo emulativo frustrazione eincitamento negli individui aviolare sempre piú la legge.

A TUTELA DEL CONTRIBUENTE

Le misure da attuare posso-no e devono essere prese, nonsolo per rimediare alle ineffi-cienze del sistema produttivoe non, ma anche per raggiun-gere le finalità di politica eco-nomica e sociale previste dal-la stessa Carta costituzionale;in altri termini per eliminare (oalmeno attenuare) una redistri-buzione irrazionale della fi-nanza sociale e un divario ec-cessivo tra chi lucra sui servi-zi e beni pubblici senza pagar-ne il costo e chi ne soffre inmodo esclusivo l’onere senza

spesso averne il ritorno in ter-mini di benefici (si pensi al ser-vizio della sanità).

Il problema dell’etica e fisconon si esaurisce solo nel san-zionare i comportamenti illecitidel singolo contribuente, mainveste anche altri soggetti chenella attività di imposizione so-no coinvolti a diverso titolo:basti pensare all’amministra-zione finanziaria quando nonadempie eticamente, cioè cor-rettamente, alle proprie fun-zioni, (p. es. quando abusa deipropri poteri), o al caso del giu-dice tributario che non applicacon giustizia la norma.

Non a caso a tale consape-volezza si è accompagnata lanascita di speciali forme di tu-tele e garanzie come i codici eti-ci o la istituzione di figure co-me quella del Garante del con-tribuente.

FISCALITÀ EQUA E ACCESSIBILE

Ancora e piú fortemente l’e-tica investe le responsabilitàdella politica perché un dove-re di “dare a Cesare” - concor-rere alle spese pubbliche - sipuò incardinare solo in un si-stema fiscale che sia anche giu-sto. Questo fondamentale aspet-to che investe i rapporti tra eti-ca e fisco era già perfettamen-te percepito da san Tommasonella sua Summa Teologica.

La politica ha la responsabi-lità anche morale di appresta-re normativamente un sistemaequo, semplice e trasparente.

Non è morale un sistema fi-scale nel quale il 70 % (per es-sere ottimisti) dei contribuentinon può assolvere il proprio

dovere tributario senza l’ausi-lio di un professionista.

Non è morale un sistema chenasconde oneri della piú varianatura all’interno di corrispet-tivi a fronte spesso di servizi es-senziali (gas, benzina,…), me-no percepibili dalle fasce piúdeboli e culturalmente menopreparate della popolazione.

Un sistema fiscale invece èe diviene giusto quando valo-rizza gli obbiettivi primari del-l’individuo e delle istituzionifondamentali umane per la cre-scita della sua personalità co-me la famiglia; o quando di-venta strumento per contribui-re e permettere di elevare il li-

ETICA E FISCO

ATTIVITA’

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È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitandola libertà e l’eguaglianzadei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana el’effettiva partecipazionedi tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese

la cd. finanza funzionale, ter-mine che sottolinea il nuovoruolo dello Stato: esso deve in-tervenire nell’economia e mas-simamente con lo strumento fi-scale. Corretta quindi ci sem-bra l’impostazione di coloroche sostengono che non ci pos-sa piú essere una finanza neu-trale, in base alla nostra Costi-tuzione, per il raggiungimentodelle finalità del bene genera-le (il “sommo bene” di cui par-lava san Tommaso).

CONCLUSIONI

Le conclusioni, che una dia-gnosi della situazione in Italiamostra, sono che il nostro Pae-se non si può qualificare comeetico dal punto di vista fiscale.

Che fare? La risposta alla so-luzione coinvolge innanzi tut-to le responsabilità della poli-tica a cui si chiede di avere co-raggio, perché senza interven-ti di grande coraggio è inim-maginabile un revirement del-la posizione attuale. E tra i pri-mi comportamenti etici che sichiedono alla politica vi è an-che quello di dire la verità.

Come strumenti operativi, inprima battuta si chiede di affi-dare a misure migliorative di ca-rattere legislativo e ammini-strativo la risoluzione delle an-nose questioni legate alle pa-tologie del nostro ordinamen-to tributario (i princípi del giu-sto processo, l’efficacia e l’ef-fettività delle sanzioni, …).

Ma è chiaro che ogni solu-zione non possa prescinderedal comportamento etico delsingolo soggetto, comincian-do, come detto, dai soggetti at-

tivi della politica. Non è morale,ad esempio, incitare all’eva-sione fiscale o sottovalutarel’importanza del danno del fe-nomeno, perché in tal modo sicorrompe il valore solidaristi-co proprio della comunità cuiessi sono tenuti a provvedere.

Premessa la via della legalitàcome strumento positivo, nelsenso legale (ius positum) del-l’espressione, occorre altresíritornare alla morale e recupe-rare la cultura della legalità pri-ma ancora delle “buone leggi”.

Non una legalità formale, maquella che nasce dall’accetta-zione di princípi morali condi-visi: dagli obiettivi da raggiun-gere agli impegni da rispettare.Occorre porre le fondamentaculturali ed etiche delle nuoveforme di convivenza - statali, lo-cali e internazionali - che pos-sano essere ad un tempo coi-bente e motivazione profondadelle misure giuridiche adotta-te; stabilire, in questi tre diver-si contesti, quali devono esse-re i nostri impegni e quali - traessi - quelli di solidarietà equelli di natura fiscale.

In conclusione, etica e dirit-to sono due dimensioni che pos-sono essere separate concet-tualmente, ma che nel concre-to non possono vivere separa-te (cfr. Habermas, Morale, Di-ritto, Politica, Einaudi 1992).Anche nella visuale laica, Im-manuel Kant affermava infat-ti con grande enfasi che «l’e-sperienza giuridica non può es-sere separata da quella etica,perché l’esperienza giuridicasi occupa di diritti, l’etica sioccupa anche di doveri».

vello qualitativo dell’istruzio-ne complessiva di una nazione,o per garantire la dignità dellavoratore in ogni settore e at-tività secondo il dettato del-l’art. 3. 2 Cost.: «È compitodella Repubblica rimuovere gliostacoli di ordine economico esociale, che, limitando di fattola libertà e l’eguaglianza deicittadini, impediscono il pienosviluppo della persona umanae l’effettiva partecipazione ditutti i lavoratori all’organizza-zione politica, economica e so-ciale del Paese».

In altri termini è consustan-ziale alla nuova visione di fi-nanza pubblica e solidaristica

ATTIVITA’ETICA E FISCO

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2/2006 • UCID Letter

5) Progetti esemplificatividi “buone pratiche”

Illustrazione di tre progetti, desunti da quelli esaminati dal gruppo di lavoro, corri-spondenti ad altrettanti ambi-ti e caratterizzati dai specifi-ci riferimenti qualificativi

6) Esemplificazione sullametodologia di misurazionedel valore economico-socialedella Impresa che pratica laResponsabilità Sociale (RSI):

- Valutare la “convenienza” del-la RSI non solo per gli azioni-sti ma per tutti gli stakeholders

- Superamento dei limiti della metodologia contabile sem-plice del Bilancio Sociale

- Proposta di una nuova meto-dologia di misurazione del va-lore economico-sociale dell’impresa

- Risultati ottenibili dall’im-prenditore, dirigente, profes-sionista con la nuova meto-dologia

7) Capacità degli àmbiti dirappresentare i contenuti del-la giustizia e carità con cuigli imprenditori/dirigen-ti/professionisti lavorano inverità per il Bene Comune:

- Coerenza con i fondamenti teologico-spirituali e la Dot-trina Sociale della Chiesa

- Rispondenza ai presupposti della “nuova responsabilità degli imprenditori, dirigenti, professionisti”, secondo l’appello della Presid. UCID

- Capacità di rappresentare i contenuti del Bene Comune che si ritrovano nella realtà

- Possibilità di valutazione dei risultati raggiunti

LAVORARE

IN VERITÀ

PER COSTRUIRE

IL BENE COMUNE

In vista del Congressodi Verona un gruppodi lavoro Ucid ha riflettuto su “Il lavoroe la festa. La centralitàdella famiglia”

(*) Il Gruppo di Lavoro è stato co-stituito dall’UCID per promuo-vere la diffusione di una NuovaResponsabilità Sociale dell’Im-presa tramite la richiesta di unimpegno qualificato da parte de-gli Imprenditori, Dirigenti e Pro-fessionisti a “Lavorare in veritàper costruire il Bene Comune” ela verifica e diffusione del man-tenimento di questo impegno neiconfronti dei beneficiari (i cosid-detti stakeholders), cioè degli ope-ratori dell’impresa (dipendenti,fornitori, azionisti, clienti, ecc.) edella comunità (istituzioni pub-bliche, associazioni della societàcivile, popolazione in generale).

CONVEGNO CEI-UCIDATTIVITA’

a cura di Piergiorgio MarinoReferente Gruppo di lavoro (*)

SOMMARIO

1) La Responsabilità Socia-le della Impresa (RSI): signi-ficato, origine e applicazioni

- Cosa si intende per RSI ?- Perché il ricorso alla RSI

da parte delle imprese ?- Perché il sostegno delle

Istituzioni alla diffusione della RSI ?

- Modalità di applicazione o strumentalizzazione della RSI da parte delle Imprese

2) Il ruolo dell’UCID peruna Nuova Responsabilità So-ciale dell’Impresa

- I presupposti della “nuova responsabilità degli impren-ditori/dirigenti/professionisti” secondo l’appello dei tre ultimi Presidenti UCID del settembre 2005

- L’approccio individuato dal Gruppo di Lavoro per promuovere la nuova RSI

3) Riferimenti qualificatividegli ambiti:

- Elementi del valore econo-mico/sociale dell’impresa

- Componenti dello sviluppo sostenibile

- Categorie di stakeholdersbeneficiati

- Tipologie di indicatori di performance

4) Individuazione degli am-biti di giustizia e carità

Elenco e significato degli am-biti risultanti della analisi sui progetti concreti esaminati dal Gruppo di Lavoro e abbinati ai contenuti della triplice sostenibilità: economica, sociale e ambientale

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UCID Letter • 2/2006

CONVEGNO CEI-UCID GENOVA, 9-10 GIUGNO 2006

1. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE

DELL’IMPRESA (RSI): SIGNIFICATO, ORIGINE E APPLICAZIONI

Cosa si intende in Generaleper RSI?

Secondo il Libro Verde del-la Commissione Europea del2001 «La responsabilità socia-le non va ritenuta un sostitutoalla regolazione o alla legisla-zione sociale, ma si tratta alcontrario di un contributo spon-taneo delle imprese al progresso

della società e alla tutela del-l’ambiente, mediante l’inte-grazione di preoccupazioni so-ciali ed ecologiche alle opera-zioni aziendali e nei rapporticon gli stakeholders (portatoridi interesse, quali azionisti, di-pendenti, clienti, fornitori, fi-nanziatori, istituzioni e societàin generale)

Perché il ricorso alla RSI daparte delle imprese?

Reazione a casi di malgo-verno che hanno generato per-dite economiche ai risparmia-tori, riduzioni di posti di lavo-ro, danni ambientali: es. Enron(speculazioni azionarie del ma-nagement per arricchirsi), Nike(massimizzazione profitti conutilizzo di lavoratori bambini),Parmalat (trasferimento perdi-te per strategie sbagliate su pic-coli risparmiatori), naufragiodi diverse petroliere (danni am-bientali rilevanti per risparmisui costi). Tale reazione delleimprese ha in generale lo sco-po di dissociarsi da questi ca-si, dimostrando la propria cor-rettezza in modo da evitare pe-nalizzazioni o per convenien-za.

Perché il sostegno delle Isti-tuzioni alla diffusione dellaRSI

Evitare gli stessi casi di mal-governo per il futuro, a tuteladei cittadini, richiedendo alleimprese una maggiore traspa-renza e responsabilità nella ge-stione, attraverso:

- l’adozione volontaria diprincípi e linee guida emessida parte di Istituzioni interna-

zionali (OECD, OIL, ONU, Co-munità Europea) e nazionali(codici autodisciplina societàquotate in Italia, Legge Fran-cese sulle Nouvelles règula-tions èconomiques) e strumen-ti per il controllo della loro ap-plicazione (codici etici, bilan-ci sociali, certificazioni etiche)

- la incentivazione di com-portamenti responsabili (pre-mi, agevolazioni fiscali, ecc.)

Modalità di applicazione ostrumentalizzazione della RSIda parte delle Imprese

Da parte della maggior par-te delle imprese applicazionedella RSI tramite comporta-menti che privilegiano gli in-teressi degli azionisti rispetto aquelli degli altri stakeholders,in una logica di costi/beneficivalutati nel lungo termine, inquanto mirati a:

- coniugare la economicitàdella gestione con interventinel campo sociale e ambienta-le, compatibili con tale econo-micità ma anche funzionali a ot-tenere una buona reputazionedell’impresa (rispetto delle leg-gi di tutela sociale e ambienta-le, in particolare verso i dipen-denti; pagamento delle tasse edei contributi dovuti; incenti-vazione e promozione seletti-va della professionalità e dellaproduttività, rispetto dei con-tratti con i dipendenti e i for-nitori, flessibilità degli orari,riduzione dell’assenteismo,ecc.).

Di conseguenza questi inter-venti vengono scelti in quantosono convenienti economica-mente per gli azionisti sia in

La responsabilità socialenon va ritenuta un sostituto alla regolazione o alla legislazione sociale, ma si tratta di un contributo spontaneo delle impreseal progresso della società e alla tutela dell’ambiente

ATTIVITA’CONVEGNO CEI-UCID

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2/2006 • UCID Letter

Si deve sperimentare e dimostrare

l’applicabilità di vie diverse

che offrano criteri di valutazione

dell’impresa piú equilibrati

rispetto a quello, esclusivo del massimo

e piú rapido incrementodi valore

per gli azionisti

positivo (finanziamenti piú con-venienti, buona immagine com-merciale) o in negativo (man-cate sanzioni o penalizzazionida parte dei clienti)

- pubblicizzare i risultatiraggiunti tramite il ricorso acodici etici, bilanci sociali ecertificazioni.

Da parte di una minoranzadi imprese strumentalizzazionedella RSI tramite comporta-menti che privilegiano sempregli interessi degli azionisti , maa scapito degli alti stakehol-ders, ottenuti nel breve termi-ne e speculativi, in quanto mi-rati a:

- massimizzare la redditivitàimmediata tramite il drasticocontenimento dei costi (p. es.bassi salari e alta produttività,delocalizzazioni produttive persfruttare lavoratori a basso co-sto, riduzione degli investi-menti, ecc.), l’aumento artifi-cioso dei prezzi tramite il ri-corso a protezioni e accordimonopolistici, la compraven-dita di aziende/rami di aziendaper fini finanziari e non indu-striali, ecc.

- nascondere questi com-portamenti scorretti ricorrendoper fini di immagine a codicietici, bilanci sociali e certifi-cazioni, allineandosi solo for-malmente alle indicazioni del-le istituzioni pubbliche.

2) IL RUOLO DELL’UCID PER

UNA NUOVA RESPONSABILITÀ

SOCIALE DELL’IMPRESA

I presupposti della “nuova re-sponsabilità” degli imprendi-tori/dirigenti/professionisti"

secondo l’appello dei tre ulti-mi Presidenti UCID del set-tembre 2005:

- moralità/onestà degli im-prenditori, che porta a impie-gare le risorse a disposizioneper creare nuove opportunitàdi crescita, a «interpretare ilperseguimento della competi-tività e della redditività … nelrispetto dei princípi del prima-to della persona, della piú am-pia partecipazione allo svilup-po e dell’equità della destina-zione universale dei beni». È datutelare quindi non solo l’inte-resse degli azionisti ma anchequello di tutte le categorie dioperatori e della comunità (glistakeholders). «Occorre evita-re di perseguire il massimo pro-fitto comunque conseguito aesclusivo vantaggio degli azio-nisti e di ricorrere a operazio-ni speculative che arrechereb-bero un danno ad alcune cate-gorie di operatori».

- capacità professionale nel-la conduzione dell’impresa, tra-mite «strategie mirate a rag-giungere e mantenere livelliadeguati di competitività, at-traverso l’innovazione, l’of-ferta di beni e servizi reali, l’ac-cettazione del rischio in ini-ziative di nuova imprendito-rialità. Guardare al futuro perprodurre nuove occasioni di in-novazione e di sviluppo, e nonper accrescere il proprio patri-monio personale o fare do-manda di incentivi, di prote-zione, di dazi, di politiche pub-bliche».

- visione di lungo periodo,Occorre «assumere posizioni ecomportamenti anche con-

tro…le tendenze e mode pre-valenti in cui spesso il criterioprincipale, se non esclusivo, divalutazione della attività im-prenditoriale e manageriale, èil profitto comunque conseguitoe realizzato in tempi brevi econ cadenze ravvicinate, in di-spregio di ogni visione proget-tuale di lungo periodo, e, so-prattutto, in contrasto apertocon i valori che a noi stanno acuore». Si deve «sperimentaree dimostrare l’applicabilità divie diverse che offrano criteridi valutazione dell’impresa piúequilibrati rispetto a quello,esclusivo, del massimo e piúrapido incremento di valore per

CONVEGNO CEI-UCID

ATTIVITA’

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UCID Letter • 2/2006

I processi di generazionee utilizzazione del profitto e le scelte relative alla sua utilizzazione vanno ripensate, andando benoltre quelle forme di auto-referenzialità etica e di mecenatismo di immagine nelle qualisembra esaurirsi l’appagamento dell’impegno sociale dell’imprenditore

rimento a:- valori e princípi etici che

si ispirano agli insegnamentidella Dottrina Sociale dellaChiesa.

- contenuti che reinterpreta-no quelli indicati dall’ONU edalla UE per la sostenibilitàeconomica, sociale e ambien-tale dello sviluppo, in linea coni presupposti precedenti:

a. finalizzandoli all’obietti-vo della creazione di valoreeconomico-sociale reale del-l’impresa nel medio-lungo ter-mine e a beneficio di tutti glioperatori interni ed esterni adessa (gli stakeholders),

b. identificando dieci àmbitispecifici di intervento, coeren-ti con l’obiettivo precedente,attraverso l’analisi di un vastocampione di iniziative real-mente realizzate da imprese inanni recenti

- valutazione “sociale” deirisultati che privilegia le testi-monianze attraverso le “buonepratiche”, quali quelle desuntedal campione esaminato, non li-mitandosi a utilizzare strumentidi “auto-validazione” solo for-mali delle stesse, ma verifi-cando l’effettiva e positiva rea-lizzazione di tali “pratiche” at-traverso l’impiego degli stru-menti e delle metodologia piúadatti a trovare riscontro deibenefici che sono conseguiticon il concorso degli stessistakeholders interessati

Per la realizzazione di taleapproccio si intende:

- chiedere agli imprenditori,dirigenti e professionisti un im-pegno a «lavorare in verità percostruire il bene comune» se-

condo i presupposti preceden-ti e realizzando i dieci àmbitidi intervento prima individua-ti.

- verificare il rispetto di que-sto impegno attraverso la va-lutazione anche da parte deglistakeholders delle “buone pra-tiche” realizzate, diffondendo-le tramite opportuni rapportiperiodici, convegni, ecc.

3) RIFERIMENTI

QUALIFICATIVI DEGLI AMBITI:

Elementi del valore economi-co/sociale dell’impresa (cfr. esemplificazione al pun-to 6)

- sono elementi caratteristi-ci del «valore economico del-l’impresa»: la redditività, il ca-pitale investito, il tasso di in-teresse che remunera il rischiodell’investimento.

- devono essere ottimizzatisecondo una visione di lungotermine, perseguire la sosteni-bilità economica, sociale e am-bientale a favore dello svilup-po duraturo della impresa ed abeneficio di tutti gli stakehol-ders, essere controllabili da par-te degli operatori e della co-munità (gli stakeholders) tra-mite indicatori associati ai sin-goli progetti (cfr. punti se-guenti).

Componenti dello sviluppo so-stenibile

- riguardano l’economia ingenerale e quindi anche l’im-presa.

- sono stati individuati dal-l’ONU nel rapporto Burtlanddelle Nazioni Unite del 1987 e

gli azionisti»; e ancora «i pro-cessi di generazione e utilizza-zione del profitto e le scelte re-lative alla sua utilizzazione van-no ripensate in modo origina-le e creativo, andando ben ol-tre quelle forme di auto-refe-renzialità etica e di mecenati-smo di immagine nelle qualisembra esaurirsi l’appagamen-to dell’impegno sociale del-l’imprenditore».

L’approccio individuato dalGruppo di Lavoro per pro-muovere la nuova RSI

Questo approccio, elaboratocon il supporto di diversi sociUCID del Nord Italia, fa rife-

ATTIVITA’CONVEGNO CEI-UCID

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2/2006 • UCID Letter

Lo sviluppo sostenibile è quello che

consente la soddisfazione

dei bisogni economici, ambientali e sociali

delle presenti generazioni,

senza comprometterequello delle

generazioni future

ripresi da tutte le definizionisuccessive di ResponsabilitàSociale della Impresa (RSI)(compresa quella del Libro Ver-de sulla RSI della Commissio-ne Europea del 2001), comesegue:

«Lo sviluppo sostenibile èquello che consente la soddi-sfazione dei bisogni economi-ci, ambientali e sociali delle at-tuali generazioni, senza com-promettere quello delle gene-razioni future».

- coprono tutta la gammadelle responsabilità dell’im-prenditore verso la propria im-presa e la società, in quanto ri-guardano: la componente eco-nomica (capacità di produrresviluppo attraverso l’innova-zione, la formazione e la of-ferta di beni reali, la compo-nente sociale (tutela delle per-sone sul lavoro e delle pari op-portunità delle fasce deboli, se-condo criteri di giustizia e ca-rità, come donne, giovani, di-sadattati, anziani, immigrati,ecc.), la componente ambien-tale (utilizzo razionale delle ri-sorse naturali e riduzione del-l’inquinamento, anche per latutela dei lavoratori).

Categorie di stakeholders be-neficiati

- si riferiscono a tutti i por-tatori di interesse che diretta-mente o indirettamente sonocoinvolti dall’impresa

- gli stakeholders diretticomprendono gli azionisti (ostockholders), gli altri finan-ziatori, i dipendenti, i clienti, ifornitori; gli stakeholders indi-retti comprendono tutte le com-

ponenti della società civile (p.es. componenti delle famiglie:madri, bambini, appartenentialle fasce deboli/disagiate, an-ziani, giovani studenti, immi-grati), delle associazioni e del-le istituzioni pubbliche (Stato,Enti locali, ecc.).

Tipologie di indicatori diperformance

- gli indicatori sono specifi-ci di ogni progetto ideato dal-la Impresa per la realizzazionedegli ambiti di intervento fina-lizzati a «costruire il Bene Co-mune secondo giustizia e ca-rità».

- gli indicatori piú frequen-ti riscontrati nei progetti in cor-so di attuazione da parte di uncampione di 38 imprese ana-lizzato dal gruppo di lavoro ri-guardano:

a. per la componente econo-mica: ricavi, occupazione, pro-duttività, riduzione costi, nu-mero imprese create, soddisfa-zione clienti, qualità prodotto,ore/investimenti in formazio-ne del personale, riduzione cau-se per illegalità, riduzione rischisu prestiti;

b.per la componente sociale:contributi economici a Onlus ecategorie disagiate, oneri so-ciali risparmiati dagli enti pub-blici, numero di anziani valo-rizzati e curati, numero di im-migrati inseriti, ore di volonta-riato sociale retribuite, prestitia famiglie bisognose, orari fles-sibili, asili nido;

c. per la componente am-bientale: riduzione tassi di mor-bilità immigrati, numero di Kmcon trasporti ecologici, ridu-

zione abuso di alcol tra i gio-vani, aumento numero di ri-storanti con cibi adatti ai ce-liaci, riduzione fabbisogno dilegno utilizzato.

4) INDIVIDUAZIONE DEGLI AM-BITI DI GIUSTIZIA E CARITÀ

Elenco e significato degli àm-biti risultanti dell’analisi suiprogetti concreti esaminati dalGruppo di Lavoro e abbinati aicontenuti della triplice soste-nibilità: economica, sociale eambientale:

Sostenibilità economica:

1) Innovazione/soddisfazio-ne bisogni reali, rispondenti al-

CONVEGNO CEI-UCID

ATTIVITA’

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UCID Letter • 2/2006

L’innovazione si riferisce sia a nuoveiniziative industriali che alla ricerca e allo sviluppo finalizzataa realizzare nuovi prodotti o a miglioramenti del processo produttivoper soddisfare i bisogni effettivi delle persone

2) Legalità/rettitudine/re-sponsabilità, rispetto delle leg-gi ma anche andare oltre, concomportamenti improntati allacorrettezza nei confronti di tut-ti gli stakeholders e assumen-dosi la responsabilità delle pro-prie scelte

3) Cultura/educazione/for-mazione: acquisizione e divul-gazione delle conoscenze persapere, per fare, per essere eper vivere nei confronti di tut-ti gli stakeholders. In partico-lare la formazione si rivolge aidipendenti in quanto piú il per-sonale della impresa è prepa-rato, tanto piú è in grado di uti-lizzare i propri talenti per mi-gliorare il proprio status e didare un maggiore contributo al-lo sviluppo della impresa

Sostenibilità Sociale:

1) Fratellanza/uguaglian-za/pari opportunità, attraver-so il contributo alla promozio-ne sociale e del lavoro per tut-ti (in particolare giovani, don-ne e immigrati) dando a tutti fi-ducia nelle proprie possibilitàe/o facilitando il loro inseri-mento e la loro permanenza sullavoro

2) Partecipazione di tutte lepersone coinvolte direttamen-te nella vita della impresa, inquanto piú vengono condivisigli obiettivi e i benefici della ge-stione, minori sono le tensioniinterne e maggiori sono i ri-sultati complessivi, derivati dalclima di fiducia reciproca e dicondivisione

3) Giustizia/Trasparenza:onestà con sé stessi e con gli al-tri, cioè onestà nel dichiarare ciò

che si fa per sé e ciò che si faper gli altri, proprio per nonscivolare nei rischi dell’eticafunzionale, a partire dal giustorapporto tra qualità e prezzodei beni o servizi venduti.

4) Carità (Solidarietà)/Au-topromozione: per la globaliz-zazione degli interventi socia-li che va oltre il prossimo vici-no, piú comodo, verso chi nonsi conosce, verso le generazio-ni che ci saranno. Per la Auto-promozione rendere ciascunoprotagonista per quello che puòdare, in particolare per chi èconsiderato fuori, emarginato(gli anziani, le fasce deboli).

Sostenibilità Ambientale:

1) Salute: tutela della sicu-rezza e della salubrità degli am-bienti di lavoro per tutti glistakeholders.

2) Rispetto della natura/ri-duzione inquinamento: mante-nimento delle risorse naturalidel creato, attraverso la ridu-zione dei consumi e l’utilizzoprivilegiato di risorse rinnova-bili. Contenimento dell’inqui-namento dell’aria, dell’acquae del terreno attraverso pro-cessi/prodotti “ecologici”.

3) Nuovi stili di vita: contri-buire dal lato dell’offerta a in-generare modalità di consu-mo/utilizzo dei servizi (p. es.trasporti) consapevoli della li-mitatezza delle risorse natura-li e della necessità di condivi-derle con tutti gli abitanti del-la terra e di salvaguardarle perle generazioni future.

5) Progetti esemplificativi di“buone pratiche”

la missione originaria dell’im-prenditore, che si assume il ri-schio della conduzione e dellosviluppo della propria impresa:l’innovazione si riferisce sia anuove iniziative industriali chealla ricerca e sviluppo finaliz-zata a realizzare nuovi prodot-ti o a miglioramenti del pro-cesso produttivo.

La soddisfazione di servizi ebeni reali è mirata a soddisfa-re i bisogni effettivi delle per-sone in termini di offerta, conconseguente allargamento del-la base produttiva e quindi del-l’occupazione, e non a perse-guire rendite finanziarie, magarispeculative.

ATTIVITA’CONVEGNO CEI-UCID

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Gli “stakeholders diretti”comprendono

gli azionisti, gli altri finanziatori, i dipendenti,

i clienti, i fornitori; gli “stakeholders indiretti”

comprendono tutte le componenti

della società civile, delle associazioni e

delle istituzioni pubbliche

Illustrazione di tre progetti,desunti da quelli esaminati dalgruppo di lavoro, corrispon-denti ad altrettanti àmbiti e ca-ratterizzati da specifici riferi-menti qualificativi:

Esempio relativo alla soste-nibilità economica (àmbito 1:innovazione/soddisfazione bi-sogni reali).

- Azienda profit: GruppoLoccioni

- Progetto: nuovi lavori in-novativi (dal metalmezzadroall’impresa della conoscenza),tramite: zona di ospitalità stu-denti per allenarli a capire l’e-voluzione del mondo del lavo-ro e le possibilità per loro di en-trarvi; organizzazione che dàspazio a iniziative personali eimprenditoriali (percorsi di cre-scita personalizzati); spazio-vetrina per veicolare i prodot-ti delle attività extra lavorativedei collaboratori del gruppo edei loro famigliari; accompa-gnamento di chi lo desidera nel-la fase di start-up imprendito-riale, offrendo strutture e ser-vizi operativi-strategici gratui-ti.

- Risultati per categoria distakeholders beneficiari: per igiovani avviamento al lavorosia autonomo (anche come for-nitori della azienda) che di-pendente (1300 in 3 anni); perl’azienda reputazione di buonambiente di lavoro e creazionedi nuova rete di fornitori; perla comunità (popolazione) van-taggi indotti dal potenziamen-to di iniziative di ricerca e orien-tamento/training di studenti(1500 in un anno).

- Elementi del valore eco-

nomico-sociale: maggiore va-lore della azienda da ricavi dif-ferenziali per buona reputazio-ne, utilizzo di potenzialità deigiovani sia come dipendentiche come fornitori autonomi

- Indicatori del controllo del-le performances: numero digiovani formati e avviati al la-voro dipendente o autonomo,maggiori ricavi dell’aziendaper buona reputazione e ridu-zione costi di fornitura.

Esempio relativo alla soste-nibilità sociale (àmbito 4: fra-tellanza/uguaglianza/pari op-portunità)

- Azienda profit: MarchiGroup - Altavilla Vicentina

- Progetto: possibilità da par-te dei lavoratori di genere ma-schile e femminile di ricorrereal part-time e flessibilità oraridopo la maternità fino all’in-serimento del figlio/a alla scuo-la dell’infanzia.

- Risultati per categoria distakeholders beneficiari: per lemadri/padri lavoratori possibi-lità di adattare gli orari di lavoroai bisogni della famiglia; perl’azienda vantaggio di tratte-nere le professionalità al pro-prio interno.

- Elementi del valore eco-nomico-sociale: beneficio so-ciale derivante dall’aiuto allanatalità; maggiore valore del-la azienda da buona redditivitàconseguente al contributo pro-fessionale delle donne/uominineo genitori .

- Indicatori del controllo del-le performances: numero di ma-dri che conservano il lavoro;maggiore produttività del per-sonale con alta professionalità.

Esempio relativo alla soste-nibilità ambientale (àmbito 9:rispetto natura/riduzione in-quinamento).

- Azienda profit: CartieraLucchese

- Progetto: utilizzo della car-ta da macero come materia pri-ma alternativa alla cellulosa.

- Risultati per categoria distakeholders beneficiari: per lapopolazione beneficio dal mi-nore taglio di alberi e dal mi-nore inquinamento ambientale;per l’azienda maggiore reddi-tività del business.

- Elementi del valore eco-nomico/sociale: maggiore va-lore della azienda derivante dal

CONVEGNO CEI-UCID

ATTIVITA’

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Non ci si può limitare a misurare gli obiettivi competitivi ed economico-finanziari(come nel bilancio sociale), ma occorreconsiderare anche quelli sociali e ambientali (lo sviluppo sostenibile)

Valutare la “convenienza” del-la RSI non solo per gli azio-nisti ma per tutti gli stakehol-ders

- convenienza per gli azio-nisti: minore costo del denaro,maggiori finanziamenti, as-senza di sanzioni per mancatorispetto delle leggi, ricadute fa-vorevoli dal giudizio positivodei consumatori.

- convenienza per tutti glistakeholders: oltre quella a fa-vore degli azionisti maggiorevalore della impresa nel tempo;maggiore motivazione e parte-cipazione di tutti gli stakehol-ders allo sviluppo e ai benefi-ci della impresa, maggiore si-curezza per minori rischi e piúelevati investimenti.

Superamento dei limiti dellametodologia contabile sem-plice del Bilancio Sociale

- non limitarsi a misurare gliobiettivi competitivi ed econo-mico-finanziari (come nel bi-lancio sociale), ma considera-re anche quelli sociali e am-bientali (lo sviluppo sostenibi-le).

- individuare, tramite la ca-tena del valore, le azioni stra-tegiche necessarie per rag-giungere gli obiettivi prece-denti e misurarne l’avanza-mento tramite appositi indica-tori.

- adottare come metro di mi-sura finale il valore economi-co (V.E.), in quanto, rispetto alvalore aggiunto (V.A.) utiliz-zato normalmente per i bilan-ci sociali: a) è piú completo nelmisurare la creazione di valo-re (oltre la redditività, consi-

dera anche il capitale investi-to, il fattore tempo ed il rischioimprenditoriale); b) è piú adat-to per evidenziare (e ricom-pensare equamente) il contri-buto di tutti gli stakeholders intermini di costi/benefici, comequota dello stesso V.E., ( e nonsolo come ricavi attribuiti o co-sti sostenuti per ognuno di es-si, come nei bilanci sociali cheutilizzano il V.A.).

Proposta di una nuova meto-dologia di misurazione del va-lore economico-sociale dellaimpresa

Innanzitutto si fissano gliobiettivi finali della RSI che ri-spettano le componenti dellosviluppo sostenibile e gli àm-biti di intervento prima indivi-duati (cfr. punto 4).

In secondo luogo, tramite lapianificazione strategica, si fis-sano i risultati attesi, le azionie gli indicatori necessari percontrollarli attraverso quattrofasi:

- nella prima fase si indivi-duano in modo integrato glielementi del valore che contri-buiscono per ogni stakeholderai risultati della impresa, te-nendo distinti quelli economi-ci, sociali e ambientali (es. perclienti e fornitori equo rappor-to qualità/prezzo e prodotti eco-logici, per i dipendenti aumen-to delle retribuzioni secondo ilreale contributo dato alla rea-lizzazione degli obiettivi, ecc.)

- nella seconda fase, attra-verso la catena del valore, siindividuano le azioni e i para-metri per funzione aziendaleatti a migliorare le performan-

riconoscimento da parte dellapopolazione/istituzioni dellasostenibilità ambientale (ven-dite, incentivi) e dalla maggio-re redditività per minori costidi produzione.

- Indicatori del controllo del-le performances: minore con-sumo di legno corrispondenteagli alberi risparmiati per la po-polazione, minori costi dellamateria prima per l’azienda.

6) ESEMPLIFICAZIONE SULLA

METODOLOGIA DI MISURAZIO-NE DEL VALORE ECONOMICO-SOCIALE DELL’IMPRESA CHE

PRATICA LA RESPONSABILITÀ

SOCIALE (RSI)

ATTIVITA’CONVEGNO CEI-UCID

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2/2006 • UCID Letter

La coerenza con i fondamenti

teologico-spirituali e la Dottrina Sociale

della Chiesa (DSC)è assicurata

dall’impegno dell’imprenditore

a lavorare in verità per costruire

il bene comune

ces di impresa, utilizzando almeglio il contributo dei singo-li stakeholders (p. es. creazio-ne di nuovi prodotti per la R&S,riduzione scarti e inquinamen-to per la produzione, sicurez-za e salubrità del posto di la-voro, flessibilità orari per il per-sonale, ecc.);

- nella terza fase viene va-lutato il rischio specifico di im-presa per la strategia seguita,che si ipotizza in riduzione peril contenimento di diversi ele-menti di tale rischio, quali: in-quinamento, infortuni, malattie,scarsa collaborazione dei di-pendenti, sfiducia dei clienti edei finanziatori;

- nella quarta fase si calco-la il valore attuale del ritornoeconomico/finanziario dellastrategia, assegnandolo, trami-te i componenti della catenadel valore, ai singoli stakehol-ders.

Risultati ottenibili dall’im-prenditore, dirigente, profes-sionista con la nuova meto-dologia

- Aiuto a dotarsi di strumentiinnovativi per gestire la com-plessità del perseguimento del-la RSI;

- potenziamento della pro-pria capacità di controllare larealizzazione dei risultati eco-nomico/sociali, integrando glielementi della valutazione eco-nomica delle imprese (valoreeconomico, azioni, indicatori)con quelli creati per il control-lo della RSI (codici etici, cer-tificazioni, bilanci sociali).

- diffusione della propria te-stimonianza verso tutti gli

stakeholders non solo con ar-gomentazioni qualitative maanche con supporti quantitati-vi adeguati alla complessità de-gli obiettivi e dei rapporti.

7) CAPACITÀ DEGLI AMBITI DI

RAPPRESENTARE I CONTENUTI

DELLA GIUSTIZIA E CARITÀ

CON CUI GLI IMPRENDITORI/DI-RIGENTI/PROFESSIONISTI LA-VORANO IN VERITÀ PER IL BE-NE COMUNE

L’elenco degli àmbiti indivi-duato si ritiene costituisca unabuona base di riferimento pertale scopo in quanto essi, se-condo l’approccio seguito dalGruppo di Lavoro, sono carat-terizzati da:

- coerenza con i fondamen-ti teologico-spirituali e la Dot-trina Sociale della Chiesa(DSC). È assicurata dall’im-pegno dell’imprenditore/diri-gente/professionista di «lavo-rare in verità per costruire ilbene comune», perseguendocon coscienza gli àmbiti di in-tervento individuati, in coe-renza con le indicazioni dellaDSC.

- Rispondenza ai presuppo-sti della “nuova responsabilitàdegli imprenditori, dirigenti,professionisti”, secondo l’ap-pello della Presidenza UCID.La responsabilità morale e l’o-nestà dell’imprenditore/diri-gente/professionista è incen-trata sullo spostamento dellaprospettiva dalla massimizza-zione del profitto per gli azio-nisti al suo utilizzo per crearevalore per tutti gli stakehol-ders, nel rispetto del primatodella persona.

La capacità professionale siritrova specialmente nella com-ponente economica dello svi-luppo, che è focalizzata sulla in-novazione e sulla capacità diiniziativa dell’imprenditore percreare risorse e nuove oppor-tunità di crescita e di occupa-zione, tramite la offerta di be-ni e servizi reali.

La visione di lungo terminee non speculativa dell’azioneimprenditoriale trova rispon-denza nella finalizzazione de-gli elementi del valore econo-mico-sociale (redditività, capi-tale investito e rischio):

- agli interessi di tutti glistakeholders e non solo di quel-

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ATTIVITA’

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Il contributo che i cattolici possono dare alla riflessione etica attuale, non è tantoquello di promuovere un valore piuttosto che un altro, ma forse quello di promuoverel’etica in quanto tale, un’etica orientata alla verità

il percorso che “dalla teoriapassa alla pratica” a quello in-verso che “dalla pratica passaalla teoria”.

- Possibilità di valutazionedei risultati raggiunti. La pos-sibilità di valutazione e con-trollo dei risultati dei progettiattraverso le “buone pratiche”,evidenziando i benefici per isingoli stakeholders e misu-rando gli elementi del valore amedio-lungo termine dellaazienda (anche tramite specifi-ci indicatori), consente la veri-fica da parte dell’imprenditoree degli operatori e della co-munità (gli stakeholders) siadella bontà effettiva dei pro-getti (e non solo di facciata ofilantropica) che del loro gra-do di realizzazione. Infatti l’im-prenditore/dirigente/professio-nista acquisisce e/o affina lacapacità di gestione integratadella azienda, oltre che per latradizionale componente eco-nomica, anche per quella so-ciale e ambientale, e la capacitàdi scegliere e finalizzare agliobiettivi del Bene Comune an-che l’utilizzo degli strumentidi accountability (p. es. codicietici, bilanci sociali, certifica-zioni).

Ne consegue l’opportunità diproporre questi àmbiti di in-tervento come rappresentativied esplicativi di un “impegno”che l’imprenditore/dirigen-te/professionista dovrebbe dar-si al momento di esprimere lavolontà di lavorare in verità percostruire il Bene Comune se-condo giustizia e carità e comesuscettibili di controllo pub-blico del mantenimento di que-

sto impegno.Il contributo che i cattolici

possono dare alla riflessioneetica attuale, non è tanto quel-lo di promuovere un valorepiuttosto che un altro, ma for-se quello di promuovere l’eti-ca in quanto tale, l’etica direiquasi come metodo, un’eticaorientata alla verità.

Il Papa ci ha sollecitati, pro-prio a noi dell’UCID, ad af-frontare la complessità, io cre-do che per affrontare problemicomplessi occorrono strumen-ti complessi, le semplificazio-ni e gli slogan non servono e laprincipale complessità dell’e-tica contemporanea è data dal-la sua pluralità, è un processoirreversibile e contrastarlo nonserve granché.

È impreciso e fuorviante peròparlare di una pluralità di eti-che che sembrerebbe caratte-rizzare la complessità della so-cietà contemporanea, esistesemmai una pluralità di valo-ri a cui la società pluralista siriferisce, davanti a una siffattamolteplicità il cristiano può as-sumere o un atteggiamento pro-fetico e quindi ribadire un’in-sindacabile gerarchia valoriale,oppure un atteggiamento “diservizio” e accompagnare lamolteplicità verso l’alto, me-mori dell’intuizione di Theillardde Chardin per cui “tout ce quimonte converge” tutto ciò chesale converge.

Se per alcune tematiche, co-me la famiglia, la questionedella vita e del rispetto dellapersona umana, l’atteggiamentoprofetico è da preferire; perquanto riguarda l’etica econo-

li degli azionisti;- alla logica dello sviluppo

sostenibile, affiancando la com-ponente sociale e ambientale aquella economica.

Capacità di rappresentare icontenuti del Bene Comune chesi ritrovano nella realtà.

La elevata associabilità deiprogetti del campione esami-nato di “buone pratiche” con gliàmbiti individuati avvalora laelevata capacità di questi ulti-mi a rappresentare potenzial-mente se non tutti la gran par-te dei contenuti del Bene Co-mune che si possono trovarenella realtà. In questo modo sitrova una sintesi equilibrata tra

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L’imprenditore deve definire i suoi valori,

la sua missione, il valore sociale

che col suo lavoro intende produrre

a vantaggio del bene comune

e in ascolto delle realiaspettative sociali

dei suoi interlocutori

mica forse concede a noi che cene occupiamo da cattolici, lafortuna di poter avere un at-teggiamento piú conciliante.

Quello che conta non è cheun’azienda sia etica (le azien-de non vanno in paradiso), mache tutte le persone che ci la-vorano lo siano, quello che dob-biamo misurare, misurare piúche certificare, è la qualità deirapporti umani e anche la loroeticità, tra le persone che co-stituiscono la comunità che ruo-ta attorno all’azienda.

Le encicliche papali ci inse-gnano che «vissuto in comune,condividendo speranze, soffe-renze, ambizioni e gioie, il la-voro unisce le volontà, ravvi-cina gli spiriti e fonde i cuori:nel compierlo gli uomini si sco-prono fratelli». E che «bisognatendere a far sí che l’impresa di-venti una comunità di persone,nelle relazioni, nelle funzioni enella situazione di tutti i suoicomponenti».

Credo che per far questo siaindispensabile prevedere dicoinvolgere tutti, in un modo onell’altro, nella misurazioneetica; misurazione che è ancherisveglio delle coscienze, crea-zione di humus positivo, maanche uno strumento capace diinnescare quei meccanismi dicontrollo sociale, reciproco, au-spicati dalla legge 231.

È assai importante sottoli-neare questa convergenza trala cultura del coinvolgimento dicui stiamo parlando e l’unico ef-fettivo strumento normativo diResponsabilità Sociale d’Im-presa.

In questa sede però mi pre-

me dare qualche spunto meto-dologico che potrà essere ar-ricchito dal dibattito.

Per prima cosa è importantedefinire i ruoli:

- l’imprenditore deve defi-nire i suoi valori, la sua mis-sione, il valore sociale che colsuo lavoro intende produrre, ilsuo contributo al bene comune… Dovrà farlo in totale auto-nomia, certo le sue scelte eti-che avranno maggior valorequanto maggiore sarà stata lasua capacità di ascolto dellereali aspettative sociali dei suoiinterlocutori, ma ciò non toglieche è la sua vocazione e su quel-la è pronto a misurarsi.

- I collaboratori dell’impre-sa sono la prima comunità, so-no portatori di interesse(stakeholder), ma anche “agen-ti” etici, responsabili, in modopiú o meno ampio, dell’eticaaziendale (la responsabilità dif-fusa è un concetto troppo po-co approfondito dalle varieRSI).

- Infine i “beneficiari” ester-ni all’impresa: clienti, Stato,generazioni future …, certa-mente questi soggetti sono por-tatori di diritti, ma non dob-biamo dimenticare che ancheloro hanno delle responsabi-lità, sono chiamati ad avereun’etica, pensiamo ad esempioai clienti delle assicurazioni oai passeggeri di un treno; cri-stianamente dobbiamo ricor-dare anche a loro che tutti sia-mo chiamati alla costruzionedel bene comune; il concettoche assumersi delle responsa-bilità vuol dire anche richia-mare gli altri alle loro respon-

sabilità ce l’ha insegnato il prof.Ferro.

Una volta elaborati dei princí-pi etici per ciascun soggetto eaverli diffusi, occorre verifica-re la loro realizzazione, quindiancora una volta possiamo di-re che affrontare la comples-sità della pluralità, vuol dire in-dividuare le istanze eticheemergenti, tradurle in impegni,ma poi anche verificare il ri-spetto di questi impegni.

Proprio quest’ultimo puntodella verifica sembra essere ilmeno applicato oggi nel nostroPaese: una società che dice divoler scegliere la pluralità (el’individualismo) ma poi non sa

CONVEGNO CEI-UCID

ATTIVITA’

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governarla, è una prova di im-maturità che la cultura cristia-na può contribuire a superare:andare verso l’autogoverno del-la società, è percorso comples-so, da affrontare con strumen-ti complessi e non con slogan.

Il bilancio etico può essere lostrumento per verificare perio-dicamente lo stato di salute del-l’etica, della qualità delle rela-zioni umane, del rispetto deiprincípi che un ente liberamentesi è dato, attraverso l’ascoltodel giudizio che, su ciascunaspetto, dà la comunità circo-stante; una misurazione dellatensione etica, un vero e propriocalcolo sul bene comune pro-dotto.

Quindi semplificando al mas-simo possiamo ipotizzare diascoltare, con questionari o al-tri sistemi di indagine, i diffe-renti soggetti che costituisconola comunità aziendale i quali inquesto modo potrebbero dareuna valutazione finale sull’ef-fettiva realizzazione delle scel-te etiche aziendali.

A loro, quindi, si potrebbechiedere, in forme e modi tut-ti da vedere, ma comunque di-scretamente, un parere sul ri-spetto dell’etica aziendale nel-la vita quotidiana dell’impre-sa. Dare poi visibilità a talemisurazione contribuisce arafforzare gli atteggiamenti eti-ci e il controllo sociale neces-sario a scoraggiare quelli nonetici.

UN ESEMPIO DI VALORIZZAZIONE DEL RAPPORTO FAMIGLIA-LAVORO

a cura di Giacomino Iob

Tra i gruppi UCID ce n’è unonon legato né a una logica pro-vinciale né a una diocesana: èquello di Tolmezzo/Illegio cheè stato opportunamente costi-tuito per dare forza a una ini-zativa, meglio a un modo di es-sere degli ucidini in un territo-rio che vedeva declinare lo svi-luppo.

Il processo di radicamento diuna comunità - l’obiettivo altodell’iniziativa congiunta traesponenti ucidini e uomini diChiesa - accettando le sfide delmercato globale è stata attuatodallo strumento della Coope-rativa Nord 2000; il suo Am-ministratore Delegato, Giaco-mino Job, ne descrive la storia.

1. CENNI SULLA COOPERATIVA

La Cooperativa NORD 2000Società Cooperativa, costitui-ta nel 1992, è concepita noncon finalità speculative, macome partecipazione dei sociai benefici della mutualità ap-plicandone i metodi e ispiran-dosi, nella sua attività, ai prin-cipi della libera e spontaneacooperazione alla cui diffusio-ne ed affermazione è impe-gnata.

Il ns. modello aziendale è na-to in primo luogo per dare unarisposta concreta allo spopola-mento e alla disoccupazioneche si verificano nella monta-gna carnica.

La ns. azienda, attraverso una

attività di produzione di astuc-ci per occhiali, ora in fase di ri-conversione, e una attività ar-tigianale di cucitura di lenzuo-la, ridà impulso e vigore a unpiccolo paese di montagna (Il-legio di Tolmezzo, circa 400abitanti) ed è tanto piú impor-tante perché evita l’immigra-zione interna, causa principaledella attuale situazione pocofelice in cui versa la Carnia coni suoi piccoli paesi.

La NORD 2000 Società Coo-perativa, attualmente opera indue settori: a) servizi di pulizie;b) produzione in conto terzi.

a) Servizi di pulizie. In que-sto settore occupiamo circa 30soci lavoratori. Il ns. cliente piúimportante è il gruppo Bardel-li, con il quale operiamo dal1993. Il ns. appalto principale,sono le pulizie del Centro Com-merciale “Città Fiera” a Tor-reano di Martignacco, il piúgrande centro commerciale del-la Regione. Abbiamo poi altriappalti di diverse dimensioni,dislocati essenzialmente a Udi-ne e dintorni.

Il servizio di pulizia rivesteun riconosciuto ruolo di pri-maria importanza poiché è so-stegno alla tutela dell’immagi-ne dei nostri clienti. La nostraofferta in questo settore si ri-volge a: centri commerciali,fabbriche, uffici, scuole, strut-ture pubbliche e private in ge-nere, mense, scale condomi-niali, banche.

b) produzione in conto terzi.In questo settore occupiamo at-tualmente 12 soci lavoratori.L’attività lavorativa consistenella cucitura di lenzuola di al-

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La Cooperativa NORD 2000 Società

Cooperativa: un modello aziendale -

ispirato ai princípi ucidini - nato in primo

luogo per dare una risposta concreta

allo spopolamento e alla disoccupazione

che si verificano nella montagna carnica

ta qualità. Abbiamo svolto l’assem-

blaggio di astucci per occhialiin conto terzi per la ditta FE-DON SPA di Vallesella di Do-megge, leader mondiale del set-tore. Questa attività è stata av-viata nel 1995 in un piccolopaese di montagna della Carnia,Illegio di Tolmezzo. Attual-mente questo ramo aziendale ècessato, per mancanza di com-messa a causa della concor-renza dei mercati del far east,a partire da novembre 2005.

La cucitura di lenzuola arti-gianali è svolto in conto terziper la ditta La.r.a. di FelettoUmberto. Questa azienda, rea-lizza lenzuola di alta qualità,che vengono esportate nei piúprestigiosi negozi d’Europa.Questa attività è situata a Ille-gio di Tolmezzo, ed è stata av-viata nel 2003, quale parzialericonversione dell’attività diastucci per occhiali.

L’organigramma del perso-nale della NORD 2000 SocietàCooperativa con specifico ri-ferimento al settore produzio-ne in conto terzi, è cosí com-posto:

- Presidente e legale rap-presentante: Iob Giacomino, alquale è stata affidata la dire-zione generale; si occupa del-la supervisione di tutte le atti-vità della cooperativa, e in par-ticolare delle relazioni esternee della parte relativa allo svi-luppo commerciale. È un sociofondatore della NORD 2000Società Cooperativa (1992), ericopre questo ruolo dal 1994.

- Vicepresidente: Iob Clau-

dio, al quale è stata affidata lavice direzione generale; si oc-cupa della supervisione di tut-te le attività della cooperativa,ed in particolare della parte am-ministrativa e gestionale delsettore lenzuola. È un sociofondatore della NORD 2000Società Cooperativa (1992), ericopre questo ruolo dal 1994.

- Parte tecnica: è stata se-guita dal socio ConsigliereScarsini Diego, il quale si oc-cupava della programmazionedella produzione, della gestio-ne del personale e della ge-stione del magazzino del settoreastucci per occhiali. Opera incooperativa dal 2001 ed ha ma-turato nel corso degli anni, an-che attraverso corsi specifici, leconoscenze e le competenzenecessarie a ricoprire questoruolo fondamentale.

- Personale operativo: at-tualmente operiamo con 12 so-ci lavoratori. Dopo un primoperiodo caratterizzato dal ne-cessario start-up iniziale, ab-biamo consolidato le commes-se ottimizzando la produttivitàe la qualità del prodotto. Infat-ti, dai 10 soci lavoratori inizialinel 1995, siamo arrivati a un or-ganico pari a 23 soci lavorato-ri con la commessa degli astuc-ci e attualmente ne abbiamo12.

Dal 1998 la cooperativa siavvale del servizio di un con-sulente esterno, il dott. Pez Da-niele, al quale è stato affidatol’incarico di riorganizzazioneaziendale finalizzato all’incre-mento del valore aggiunto deiprocessi produttivi. Inoltre col-labora con la Direzione gene-

rale e con la Vicedirezione perla gestione dei rapporti con iclienti piú importanti.

Maggiori problemi da af-frontare, problemi risolti e co-me. Il maggior problema af-frontato dalla NORD 2000 So-cietà Cooperativa, è stato quel-lo di superare la fase dello start-up. Come spesso accade nellecooperative, abbiamo dovutofar fronte nella fase iniziale, al-la scarsità di mezzi finanziarie competenze professionali. Laprima attività avviata in NORD2000 Società Cooperativa nel1992 è stata quella delle puli-zie. Con il passare degli anni ab-biamo intrapreso in questo set-

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ATTIVITA’

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Il principale punto di forza della cooperativa sono i soci stessi e gliorgani amministrativo ecommerciale, i quali, ispirandosi ai princípi mutualistici,hanno sempre profuso il proprio lavoro con dignità, serietà, professionalità e flessibilità

cercando al tempo stesso di ap-portare ulteriori diversifica-zioni. Recentemente, nel 2003,la cooperativa ha avviato altredue nuove attività, quella delfacchinaggio e quella della pro-duzione in conto terzi di pro-dotti per la biancheria da casa,in particolare lenzuola, federee copri piumini. L’attività difacchinaggio è durata un soloanno, il 2003, ed è poi statachiusa a causa della perdita del-la commessa. L’attività di sar-toria invece è tuttora attiva e infase di consolidamento e po-tenziamento, perché offre buo-ne prospettive, legate al fattoche produciamo prodotti di al-ta qualità che ci mettono al ri-paro dalla concorrenza che ope-ra con un basso costo del lavoro.

Per far fronte ai problemi diinvestimento iniziali, dovuti al-l’acquisizione di attrezzature emacchinari, la NORD 2000 So-cietà Cooperativa si è attivatapresentando domanda di con-tributo ai sensi della L. R.28.08.1995, n° 35 Asse in mi-sura 3 Tipologia 1. La doman-da presentata è stata accolta eci ha permesso di ottenere uncontributo pari a circa 90 mi-lioni delle vecchie lire. Suc-cessivamente, per far fronte alproblema relativo alla forma-zione a alla professionalità deipropri soci, NORD 2000 So-cietà Cooperativa si è attivataattuando un progetto di forma-zione cofinanziato dal FondoSociale Europeo (Obiettivo 5B- Anno 1997). Infine, NORD2000 Società Cooperativa haattivato una collaborazione conun consulente esterno, al fine

di migliorare l’organizzazioneinterna e la redditività delle at-tività svolte. In sostanza,NORD 2000 Società Coopera-tiva, è riuscita attraverso l’au-mento del fatturato e della pro-duttività a ottenere un proces-so di miglioramento continuo,che ha portato nell’esercizio2003 al migliore risultato del-la sua storia, con un attivo pa-ri a 36.315,00 euro.

Dal novembre 2005, causaperdita di commessa, abbiamochiuso l’attività del settoreastucci e ora stiamo valutandola riconversione aziendale diquesto settore.

I punti di forza e di debolez-za della cooperativa. Il princi-pale punto di forza della coo-perativa sono i soci stessi e gliorgani amministrativo e com-merciale, i quali ispirandosi aiprincípi mutualistici che sindalla costituzione hanno carat-terizzato l’attività della NORD2000 Società Cooperativa, han-no sempre creduto in questacooperativa, profondendo ilproprio lavoro con dignità, se-rietà, professionalità e flessi-bilità. Essi hanno permesso disuperare la difficile fase di av-viamento prima e poi hannoperseguito una politica di po-tenziamento e di consolida-mento dell’azienda.

Il principale punto di debo-lezza è rappresentato dal settoredi produzione astucci per oc-chiali in conto terzi, in quantoquesta attività è collegata a ununico cliente, la FEDON SPA.Con il processo di globalizza-zione in atto, il cliente FEDON

tore un graduale processo dipotenziamento e consolida-mento. Nel 1995, parallela-mente all’attività di pulizie enell’ottica della diversificazio-ne aziendale, abbiamo avviatol’attività di produzione in con-to terzi, con la ditta FEDONSPA. Ciò ha richiesto per lacooperativa, un ulteriore sfor-zo finanziario, dovendo paga-re lo scotto dell’avvio di que-sta nuova attività, sia in termi-ni di nuovi investimenti (mac-chinari e attrezzature), che intermini di formazione del per-sonale. Abbiamo poi persegui-to una politica di consolida-mento di questi due settori, ri-

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2/2006 • UCID Letter

I clienti ricercano nelle aziende

la capacità di offrirebuon servizio

e buon rapporto tra la qualità

e il prezzo, e la garanzia di affidabilità

ha orientato la produzione ver-so nuovi mercati del lavoro piúappetibili, perché a un costomolto piú basso del nostro.NORD 2000 Società Coopera-tiva dovrà affrontare questa sfi-da cercando di riqualificare ilpersonale operante nell’attivitàdegli astucci in settori di altagamma di prodotto. Nel casospecifico verrà riconvertito nel-la produzione di articoli di bian-cheria per la casa di alta qua-lità.

Il secondo punto di debolez-za è quello di reperire adegua-te risorse finanziarie necessa-rie per gli investimenti. Questoproblema NORD 2000 SocietàCooperativa lo sta risolvendocon l’autofinanziamento, dovegli utili di bilancio sono sem-pre stati accantonati a riservaper patrimonializzare la coo-perativa.

Infine, permane il rischio do-vuto alla crisi nazionale e in-ternazionale della stagnazioneeconomica in atto, che è di na-tura strutturale e non congiun-turale.

2) AMBIENTE COMPETITIVO

I mercati di riferimento scel-ti per i nostri prodotti sono laComunità Europea e gli StatiUniti d’America. La situazio-ne attuale dei mercati di cui so-pra è stabile. Le previsioni peril prossimo triennio sono di unaumento annuo pari al 10%.

I Clienti ricercano aziendecapaci di offrire buon servizioe buon rapporto di qualità-prez-zo, con la garanzia di qualità eaffidabilità. Pertanto, la nostracooperativa cerca di curare in

particolare l’aspetto della fide-lizzazione del cliente, attra-verso un rapporto di collabo-razione volto a ricercare e ri-solvere i problemi derivanti dal-l’attività svolta.

La concorrenza nel settorespecifico produzione in contoterzi di biancheria per la casaha generalmente strutture pic-colo-artigianali per il livello fi-ne e medio-grosse per quellomedio e basso. Il settore medio-basso a livello nazionale è inforte calo a seguito del trasfe-rimento delle strutture produt-tive nell’Est europeo e estremoOriente Asiatico.

Le strategie piú centrate so-no quelle legate al servizio, fi-nitura e inserimento nella fasciaalta del mercato tramite lavoridi precisione e finiture accura-te. Il prezzo connesso alle stra-tegie di cui sopra è riferito adun lavoro strettamente artigia-nale e si posiziona su una fa-scia alta, lontana quindi da rap-porti quantità-tempo di esecu-zione.

I punti di forza sono legati aquelle lavorazioni artigianali ri-scoperte dall’evoluzione delmercato verso l’alto, in grado disviluppare margini adeguati.

I punti di debolezza sono le-gati alla formazione del perso-nale, lenta, laboriosa ed one-rosa.

3) IL PROGETTO DI SVILUPPO

La NORD 2000 Società Coo-perativa, amplierà il settore del-le confezioni di articoli per lacasa, specificatamente le len-zuola di alta qualità che già pro-duce per conto della ditta La.r.a.

ditta individuale di Feletto Um-berto.

In sostanza l’ampliamentosuddetto porterà a una qualitàancora piú elevata, in quantol’obiettivo sarà quello di ese-guire dei ricami sulle lenzuo-la, utilizzando e cercando di re-cuperare quell’arte della “sar-toria del ricamo” che sta scom-parendo quasi del tutto.

Quindi, oltre all’ampliamen-to del settore con conseguenteacquisizione di quote di mer-cato, la finalità sarà quella di au-mentare sempre piú la qualitàdel prodotto, attraverso la “sar-toria del ricamo”. Questo è unservizio che ha continua ri-

RAPPORTO IMPRESAFAMIGLIA, LAVORO

ATTIVITA’

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Il progetto NORD 2000Società Cooperativapersegue le seguenti finalità: 1) evitare l’immigrazione internanella disagiata zonamontana carnica e proporre un “modellonuovo” di sviluppo; 2) coinvolgere nel futurofra loro le altre realtàdella montagna, creandosinergie e facendo sempre piú “squadra”

del prodotto con l’innovazionedella “sartoria del ricamo”.

4. STRATEGIE DI MERCATO

Abbiamo già accennato al-l’opportunità offerta dal mer-cato che tende a riscoprire la-vorazioni artigianali da temposostituite dall’evoluzione tec-nologica dettata da brevi tem-pi di esecuzione.

L’ampliamento della produ-zione con conseguente ingres-so in nuovi mercati chiaramentericchi è strettamente legato astrategie di formazione del per-sonale in grado di eseguire unatipologia di prodotto di alta qua-lità.

5. MOTIVI DI SUCCESSO

DELL’IDEA IMPRENDITORIALE:RISULTATI ATTESI, EVOLUZIO-NE DEL FATTURATO, CRESCITA

DELL’OCCUPAZIONE, CRESCITA

DELLO STANDARD QUALITATIVO

DELL’OFFERTA

Il progetto di NORD 2000Società Cooperativa permet-terà la creazione di una cultu-ra imprenditoriale nel territoriomontano carnico, soprattuttoper quanto riguarda la mano-dopera femminile. Infatti le fi-nalità del progetto sono le se-guenti:

1) evitare l’immigrazioneinterna nella disagiata zonamontana carnica e quindi pro-porre un “modello nuovo” disviluppo;

2) coinvolgere nel futurofra loro le altre realtà della mon-tagna, con le sinergie derivan-ti dal fare “squadra assieme” e,quindi, diffondere un concettodi complementarietà per evita-

re gli errori del passato, ovve-ro necessità di unirsi come pro-spettiva futura;

3) nell’arco temporale diun triennio andare sul mercatocon un servizio proprio.

Gli attori principali di questainiziativa sono locali e, la par-ticolare cura dell’aspetto an-tropologico, garantirà una cre-scita del territorio, con ricadu-te positive sullo stesso in ter-mini di cultura imprenditoria-le. L’aspetto antropologico èimportantissimo perché com-porterà amore nel lavoro daparte dei lavoratori-soci e amo-re nell’immagine da parte deidirigenti-manager delle azien-de.

Il progetto potremmo deno-minarlo: “Lenzuola di alta qua-lità in montagna». L’occupa-zione prevede un incrementoprudenziale di circa 5 unità la-vorative, che unite a quelle giàesistenti, porterà il totale a 18unità a regime, con le relativeeconomie di scala.

In sostanza verrà riconverti-to il personale della ns. azien-da e in futuro si innescherà un“progetto di vallata” con la ri-qualificazione del personale dieventuali altre aziende e, fattoimportantissimo, verranno uni-te le specifiche competenze peressere piú competitivi sul mer-cato.

Tale riqualificazione procu-rerà del lavoro a manodoperafemminile e non sarà soggettoa concorrenza a basso costo,perché riguarderà la “gamma al-ta” di prodotto, visto che i com-mittenti sono inseriti in questafascia.

chiesta da parte delle aziende.Il mercato a cui la NORD

2000 punterà sarà quello di nic-chia, perché la tendenza gene-rale e gli scenari competitiviglobali vanno in questa dire-zione. Ed è l’unico modo per re-stare competitivi nel mercato at-tuale. Tale mercato si sta pola-rizzando in quasi tutti i settorie praticamente la gamma diprodotto media è destinata ascomparire, mentre resterannoi due segmenti: quello di gam-ma alta e quello di gamma bas-sa.

La strategia sarà quella dipuntare alla gamma alta, mi-gliorando sempre piú la qualità

ATTIVITA’RAPPORTO IMPRESAFAMIGLIA, LAVORO

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La famiglia va intesa come

“soggetto sociale”, capace di attivare relazioni (ad intra

e ad extra) costitutive e significative

per l’intera società di cui essa

rappresenta la prima cellula

Nell’arco temporale di untriennio il fatturato dovrebberaddoppiare.

La crescita dello standardqualitativo dell’offerta sarà da-ta dall’applicazione entusiastae vincente, fatta di passione ecollaborazione mai imposta esenza dispersioni, da parte deilavoratori-soci e manager-di-rigenti, aiutandosi l’un l’altrodentro le aziende e nel loro ter-ritorio, crescendo tutti insieme:la Carnia e il suo territorio, lasua gente, la sua storia, comeorganismo sociale che è parteviva delle aziende e del lorosviluppo.

Si arriverà a un prodotto contante mani e un’anima sola, ini-mitabile e di stile riconoscibi-le. Tale miglioramento quali-tativo dell’offerta, richiederàuna grande attenzione nella ge-stione delle risorse umane intutta la loro molteplicità di rap-porti.

Questa gestione e questi rap-porti saranno legati non solo aragioni professionali, da svi-luppare soprattutto all’internodelle aziende, ma a quelle su-periori di ordine umano e so-ciale, a loro volta, legate alle ra-gioni del territorio, del suo svi-luppo e della sua normalità divita.

Innovazione dunque nella ge-stione del personale, ricondot-ta alle logiche del bene comu-ne, in cui la produttività è con-seguenza della responsabilitàsociale di ciascuno, in un recu-pero di merito, onestà e capa-cità, dentro e fuori l’azienda, inuna comunità sempre megliointegrata con la stessa.

LAVORO E FAMIGLIA NELL’AMBITO DI UNO SVILUPPO SOLIDALE

a cura di Prof. Lorenzo Caselli, Università di Genova

Nel nostro Paese la famiglianon è un problema ma ha mol-ti problemi che se non affron-tati in maniera adeguata po-trebbero vanificare non poco idiscorsi di prospettiva. L’ipo-tesi interpretativa e normativacui intendo far riferimento as-sume la famiglia come “sog-getto sociale”, capace di attivarerelazioni (ad intra e ad extra)costitutive e significative perl’intera società di cui essa rap-presenta la prima cellula.

Parole come equità, benes-sere, solidarietà, partecipazio-ne, cittadinanza, se declinate aprescindere dalle famiglie, ri-schiano di esaurirsi in mere af-fermazioni di principio. Qualitàdella vita famigliare e qualitàdella vita sociale sono stretta-mente connesse o meglio in-terdipendenti.

L’interdipendenza - tra lavo-ro e casa, tra mercato e casa, trapubblico e privato - è una ca-tegoria morale che va vissutacome il sistema determinantedelle odierne relazioni econo-miche, sociali, politiche e quin-di tradotta in vincoli di solida-rietà. A partire dalla famiglia èpossibile una lettura non ridut-tiva di molti cambiamenti inatto e nel contempo sperimen-tare forme di convivenza civi-le e anche di organizzazioneeconomica piú efficaci.

Tutto ciò non può però esse-

re dato per acquisito; occorrepertanto interrogarsi da un la-to su ostacoli e impedimenti edall’altro sulle indispensabilicondizioni politiche, istituzio-nali e culturali.

UNA DIFFICLE CONCILIAZIONE

Il rapporto famiglia-lavoro omeglio la conciliazione tra fa-miglia e lavoro costituisce unfondamentale banco di prova edi verifica rispetto alle consi-derazioni generali preliminar-mente condotte. Non v’è chinon veda che la famiglia, inquanto soggetto sociale, il piúdelle volte si arresta o cessa diesistere alle soglie del mondo

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Il lavoro è e resterà ancora per lungo tempouna dimensione fondamentale della vita degli individui e delle famiglie, una condizione - anche se non sufficiente - per essere a pieno titolopersone in grado di realizzare un proprio progetto di vita

me fondamentale terreno diconfronto. Il lavoro è e resteràancora per lungo tempo una di-mensione fondamentale dellavita degli individui e delle fa-miglie, una condizione - anchese non sufficiente - per esserea pieno titolo persone in gradodi realizzare un proprio pro-getto di vita. Con altre parolela tematica del lavoro chiede diessere assunta sia con riferi-mento alla famiglia nel suo in-sieme sia con riferimento allesoggettività che - nella loro re-lazionalità coniugale e genito-riale - la costituiscono.

La difficile conciliazione trafamiglia e lavoro assume va-lenze leggibili in termini diquantità, qualità, organizza-zione, senso. Da tali valenze, traloro strettamente connesse,emergono al presente deficitpreoccupanti.

Valenze e deficit quantitati-vi. Per molte famiglie il lavo-ro è troppo poco e incerto percondurre un’esistenza dignito-sa. Ciò fa diminuire l’integra-zione sociale nel mentre si svi-luppano fenomeni di frantu-mazione e isolamento. Al ri-guardo si tenga presente che lamancanza di lavoro, non sol-tanto si riflette in modo forte-mente negativo sul benesseredel disoccupato o di chi è co-stretto a rimanere fuori dai mer-cati del lavoro, ma ha conse-guenze molto importanti dalpunto di vista della distribu-zione dei redditi ovvero dellaproblematica della povertà del-le famiglie coinvolte. Ma nonè soltanto il flusso del redditodisponibile a essere compro-

messo dalla mancanza o perditadi lavoro. Sono in gioco que-stioni piú profonde, connesseall’esercizio di quelle che A.Sen definisce “libertà positi-ve” per l’acquisizione di auto-nomia e identità personale e fa-migliare. Per converso non pos-siamo ignorare le situazioni disegno contrario. Primo, secon-do e talvolta terzo lavoro si tra-ducono in processi di auto-sfruttamento ove la spirale la-voro-consumo fine a sé stessadepotenzia la famiglia e la pri-va dei valori piú autentici e fon-dativi nello stare insieme.

Valenze e deficit qualitativi.Non basta un lavoro purchessia,occorre un lavoro decente ca-pace da un lato di valorizzare lerisorse e le potenzialità di cia-scuno (le differenze di genererestano ancora massiccie) e dal-l’altro fornire le condizioni percostruire un affidabile proget-to di vita famigliare. Flessibi-lità è oggi una parola di moda,carica però di ambiguità speciese essa viene intesa a senso uni-co ovvero funzionale alle soleesigenze della produzione e nonanche delle persone che lavo-rano. In non pochi casi dietro laflessibilità stanno forme di ve-ra e propria precarietà: rappor-ti di lavoro a termine senza sa-pere cosa succederà dopo; part-time non scelto ma subito sen-za possibilità di arricchimentoprofessionale, ecc. La flessibi-lità, l’atipicità sono sovente fon-te di nuovi disagi, generanostress, ipercompetizione, dere-golamentazione. Le giovanicoppie procrastinano la forma-zione della famiglia e poi la na-

del lavoro organizzato (impre-se, istituzioni). Il “carico” difamiglia (l’espressione tradi-zionalmente usata è significa-tiva al riguardo) è assunto co-me un vincolo, un intralcio di-retto o indiretto per la fluiditàdei processi produttivi, salvopoi accorgersi che, in molti ca-si, la famiglia piú che un pesoè una riserva di flessibilità, ca-pacità di ammortizzazione ecompensazione, spirito di ini-ziativa cui largamente attinge-re (decentramento produttivo,lavoro a domicilio, servizi pre-stati in nero, ecc.).

Il lavoro che manca, che cre-sce, che cambia si pone oggi co-

ATTIVITA’LAVORO, FAMIGLIAE SVILUPPO SOLIDALE

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Le famiglie hanno sempre

esercitato una funzione di mediazione

tra i propri membri e il mercato del lavoro,

rendendo, in non pochi casi, meno drammatico

il dato della disoccupazione

giovanile

scita dei figli. La flessibilità di-venta un valore e una risorsasoltanto se traguardata sulle esi-genze di un bene comune e con-diviso.

Valenze e deficit di organiz-zazione (specie temporale). Iritmi della produzione preval-gono sulle esigenze della vitapersonale e famigliare nel men-tre i tempi della città, delle isti-tuzioni, dei servizi raramenteesercitano una funzione di ar-monizzazione, al contrario ac-centuano separatezze e con-trapposizioni. La riduzione deltempo tecnicamente necessarioper produrre beni e servizi nonlibera tempo per l’educazione,la cura, le relazioni famigliarie sociali. L’incertezza e la pre-carietà spingono a lavorare dipiú per fronteggiare il rischio diun domani che potrebbe esseresenza lavoro. Del pari l’ansia perla carriera, la fedeltà all’azien-da che si esprime nel prolungarela permanenza in ufficio ren-dono progressivamente il geni-tore (il padre di solito) estraneoalla famiglia, alla vita dei figli.Nasce una circolarità viziosa: lalontananza del genitore creatensione, problemi; per non af-frontarli si prolunga ulterior-mente l’assenza dalla famiglia.Gli effetti devastanti sono dipiena evidenza.

Valenze e deficit di senso dellavoro. Sono strettamente con-nessi ai punti precedenti. Lecarenze in termini di quantità,qualità, organizzazione impat-tano pesantemente sul signifi-cato che il lavoro viene ad as-sumere nella vita della fami-glia. Lungi dall’essere una for-

za liberante, di socializzazione,di integrazione verso l’internoe di apertura verso l’esterno, discoperta di altre dimensioni, illavoro finisce per diventare unqualcosa di incombente, inva-dente, talvolta angosciante. An-che la funzione educativa del la-voro viene meno specie nel rap-porto genitori-figli. Questi ul-timi finiscono per vivere in con-testi di iperprotezione, che ri-tardano l’impatto con la vita econ l’assunzione di responsa-bilità verso il proprio futuro.

È opinione largamente con-divisa che storicamente le fa-miglie italiane, piú che altrove,hanno impedito o attenuato ildegrado sociale, hanno inner-vato i circuiti della produzione,del consumo e del risparmio,hanno supplito alle “defaillan-ces” delle istituzioni. Hannosaputo cioè mantenere e ali-mentare la propria vitalità e au-tonomia. In particolare le fa-miglie hanno esercitato una fun-zione di mediazione tra i pro-pri membri e il mercato del la-voro, rendendo in non pochicasi meno drammatico il datodella disoccupazione giovani-le. Si pensi, ad esempio, al giàcitato ruolo di ammortizzatoresociale (con la fornitura di ser-vizi e reddito), ai margini disostegno e di resistenza offer-ti ai figli nella ricerca del lavoro,alla messa in campo delle pro-prie capacità relazionali peragevolare la transizione versoil mercato del lavoro, ecc..

Con il senno di poi si po-trebbe forse dire che sulle ca-pacità di intrapresa delle fami-glie italiane si è fatta anche

molta apologetica e non si so-no messi adeguatamente in lu-ce i costi e le contraddizionisottostanti. Costi e contraddi-zioni che l’incertezza delle pro-spettive pone in chiara eviden-za. Tensioni, per lungo tempolatenti, affiorano con particolarevirulenza, nel contempo ci si in-terroga se molte scelte, decan-tate e mitizzate, erano effetti-vamente frutto di libertà e co-sciente responsabilità.

Credo si possa dire che mol-ti equilibri e capacità mediato-rie faticosamente costruiti a li-vello di reddito famigliare e diimpiego del tempo disponibi-le sono oggi prossimi al limite

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La conciliazione tra famiglia e lavoro è assicurata per lo piú dalla donna. Ciò brucia opportunitàper una vita famigliarericca di significato e priva la società di risorse e potenzialitàessenziali per la sua crescita equilibrata

nella quasi totalità dei casi ilproblema viene scaricato sulladonna, moglie, madre con bim-bi nei primi anni di vita, figliadi genitori anziani, e nel con-tempo impegnata nel lavoro perun mix di ragioni che vanno dal-le necessità contingenti alla ri-cerca dell’indipendenza eco-nomica di fronte al futuro, alleesigenze di socializzazione, dipiena realizzazione di sé. Mo-tivazioni queste ultime larga-mente presenti nelle giovanidonne che chiedono di entrarenel mercato del lavoro, met-tendo in linea di conto di pro-crastinare il matrimonio, di ri-tardare, la nascita del primo fi-glio e di rinunciare al secondo.

La conciliazione tra famigliae lavoro è assicurata dalla don-na che sostiene cosí costi cre-scenti tanto sull’uno quanto sul-l’altro fronte. Un lavoro pro-fessionale che si complessifica,che diventa piú esigente, pe-sante o stressante. Un lavorodi cura che vede progressiva-mente aumentare le attività dasvolgere, i rapporti da tenerecon altri soggetti che concor-rono a fornire i servizi prima-ri di cui l’unità familiare ne-cessita. Ne consegue che la don-na finisce con il rinunciare adimensioni e tempi propri.

Costi crescenti, dunque, cheper la donna possono assume-re manifestazioni molteplici.Quella di dover progressiva-mente rinunciare a un lavoroimpegnativo, gratificante e va-lorizzante, con lo spostamentosu posizioni residuali, margi-nali, sottopagate e discrimina-te, con un livello di protezioni

ridotte. È il caso delle forme de-qualificate di lavoro part-time,accettate in quanto rappresen-tano l’unica possibilità di im-piego; è il caso del ritorno al la-voro dopo avervi rinunciato perla nascita dei figli, ritorno che- quando si verifica - significadover ripartire da zero se nonaddirittura da posizione anco-ra piú svantaggiata. Quella divivere la famiglia in manierastressata, con il condiziona-mento psicologico dei figli pic-coli “sequestrati in casa” e de-gli anziani lasciati soli, nellaricerca affannosa di tampona-re le situazioni con interventiraccogliticci e onerosi. Il trade-off tra piú tempo per i figli e piútempo per realizzarsi nella pro-fessione si presenta solo per ladonna. E allora può succedereche sia forte il desiderio di la-sciare tutto, ma con lo stipen-dio del solo marito come si faad andare avanti: a preoccupa-zione si aggiungerebbe preoc-cupazione. I costi di questo sta-to di cose sono pesanti anche alivello famigliare e sociale. Ilsovraccarico delle donne bru-cia opportunità per una vita fa-migliare ricca di significato,priva la società di risorse e po-tenzialità essenziali per la suacrescita equilibrata. Orbene aquali fattori determinanti ascri-vere tutto ciò? Possiamo per lomeno far riferimento a tre si-tuazioni:

a) La prima riguarda le im-postazioni correnti sul merca-to del lavoro e nelle impreseper cui il modello di lavorofemminile è quello di un lavo-ro ritenuto costoso, rischioso,

di rottura. Ulteriori sovracca-richi non potrebbero piú esse-re sopportati. Motivazioni con-giunturali e strutturali com-provano tutto ciò ed esigonol’impostazione di discorsiprofondamente innovativi tan-to sul piano concettuale quan-to operativo.

QUALI SOLUZIONI?

Come affrontare concreta-mente il problema della conci-liazione tra famiglia e lavoro?O meglio come non affrontar-lo? Per lungo tempo la rispostanon è stata difficile: lasciandoche le singole famiglie si ar-rangino, il che vuol dire che

ATTIVITA’LAVORO, FAMIGLIAE SVILUPPO SOLIDALE

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Se la famiglia, la maternità,

la paternità sono valori sociali essenziali

per lo sviluppo di tutta la comunità,

ne consegue che le attività di cura

non sono un fatto meramente privatistico

ma costituiscono una ricchezza

per l’intero Paese

poco affidabile;b) La seconda si collega a

visioni di politica sociale scar-samente attente alle esigenzedelle famiglie specie con figlipiccoli. Pochi interventi finan-ziari di sostegno; poche op-portunità di conciliazione traresponsabilità familiari e par-tecipazione attiva al mercatodel lavoro; pochi servizi realiper la prima infanzia congiun-tamente a una organizzazioneche dà per scontata la presen-za a casa di una madre a pienotempo;

c) La terza concerne lasperequata divisione del lavo-ro famigliare tra uomini e don-ne. (La doppia presenza valesoltanto per queste ultime. Ri-cerche recenti evidenziano cheal lavoro di cura l’uomo dedi-ca giornalmente poco piú diquindici minuti).

Occorre dunque riflettere sul-le condizioni necessarie affin-ché la conciliazione tra famigliae lavoro, da gioco a somma ze-ro (o peggio negativa e la ne-gatività - lo abbiamo visto -grava sulle donne), possa di-ventare un gioco a somma po-sitiva. In questa prospettiva oc-corre la ricerca e la progetta-zione di interdipendenze si-gnificative e significanti traqualità della vita nella fami-glia, nei luoghi della produ-zione e dell’economia, nel con-testo sociale. Occorre riconsi-derare il senso del lavoro inrapporto alla famiglia e vice-versa nell’ambito di una rela-zionalità solidale tra uomo edonna e anche tra genitori e fi-gli. Si impongono soprattutto

mentalità e culture nuove e di-verse in grado di dar vita a nuo-vi comportamenti, strutture,modalità organizzative.

VALORE SOCIALE EMINENTE

In una risoluzione del Con-siglio dei ministri del lavoro edegli affari sociali dell’UE diqualche anno fa sta scritto: «Lamaternità, la paternità come pu-re i diritti dei figli piccoli sonovalori sociali eminenti che de-vono essere salvaguardati dal-la società, dagli stati membri,dalla Comunità europea … Lafecondità e la scolarità sono es-senziali per la salute dell’eco-nomia e dell’impresa. L’im-presa non può svilupparsi inuna società in crisi demografi-ca». Con altre parole potrem-mo dire che la famiglia è unsoggetto politico e sociale cheproduce un bene prezioso: i fi-gli. L’esperienza insegna che iperiodi di stagnazione e invo-luzione demografica coincido-no con periodi di declino eco-nomico e sociale. Orbene inEuropa, ma soprattutto in Ita-lia, i figli sono troppo pochi ri-spetto a quello che sarebbe ne-cessario. Occorre creare le con-dizioni favorevoli per la loro ac-coglienza, occorre far sorgeree sostenere una responsabilitàcollettiva nei confronti dellanatalità. Nel contempo si rive-la essenziale una politica per igiovani, per la loro crescita in-dividuale e sociale, per l’as-sunzione delle loro responsa-bilità sul fronte del lavoro, del-la famiglia, dell’impegno so-ciale.

Se la famiglia, la maternità,

la paternità sono “valori socia-li eminenti”, essenziali per losviluppo di tutta la comunitàne consegue che le attività di cu-ra non sono un fatto meramen-te privatistico ma costituisco-no una ricchezza per l’interoPaese. Non si pongono a vallené delle convenienze di mercatoacriticamente assunte né di so-vraordinate regolamentazioniburocratiche. Al contrario de-vono poter interagire con le di-verse dimensioni del vivere ci-vile in vista di una società e diuna economia piú equilibrateche non possono espropriaregli spazi per tali attività di cu-ra. Lo sviluppo umano è ali-

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ATTIVITA’

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Attraverso l’esperienzae la cultura della donna è possibile una reinterpretazionedel lavoro in rapporto alla famigliae alla società. Ci si rende conto che tematiche e valori ritenuti “femminili” diventano strategici per tutti

volezza - attraverso una profon-da riconsiderazione dei ruoli -finora largamente separati e di-stinti - assolti dalle donne e da-gli uomini nei diversi àmbitidel lavorare e del vivere.

La donna, con le sue speci-ficità, entra oggi a pieno titolonel mondo della produzioneconcorrendo al suo cambia-mento; l’uomo riscopre il suoposto e il suo tempo nella sfe-ra domestica e parentale for-nendo apporti indispensabili fi-nora mancati, trovando terreninuovi di condivisione. Scattaqui la possibilità di un patto disolidarietà tra i sessi nel lavo-ro, nella famiglia, nella società.La ricomposizione o meglio lariconciliazione di dimensionifinora separate consente la va-lorizzazione delle specificità,lo scambio di cose diverse, ilcomune apprendimento. Il tut-to in una ottica di complemen-tarietà, reciprocità o - per dir-la con Ardigò - di “reversibilitàsignificante”.

Orbene le donne, da sempre,hanno rivendicato la loro iden-tità plurale. Questo diventa og-gi un valore per tutti e fonda-mento di vita buona. Dall’e-sperienza faticosa e sofferta del-le donne, specie nel nostro Pae-se, deriva oggi un messaggiofondamentale che va colto intutta la sua portata. Intendiamoriferirci alla volontà di conciliareil ruolo di moglie e di madre conla valorizzazione piena dei pro-pri talenti nel piú ampio conte-sto del lavoro extradomestico eanche dell’impegno civile. Conaltre parole attraverso l’espe-rienza e la cultura della donna

è possibile una reinterpretazio-ne del lavoro in rapporto alla fa-miglia e alla società. Ci si ren-de conto che tematiche e valo-ri ritenuti “femminili” diventa-no strategici per tutti. Il mondodel lavoro richiede umanizza-zione, ricomposizione di aspet-ti e dimensioni per lungo tem-po separati. Con altre paroleesiste la possibilità di riconci-liare o armonizzare la raziona-lità dei sentimenti, della reci-procità, della condivisione, deldono e la razionalità strumen-tale dell’impresa. Ma anchel’impresa può essere ripensatacome una comunità, come un in-sieme di persone assunte nellaloro pienezza relazionale ov-vero inserite nei circuiti dell’e-conomia e della società conproiezioni interne ed esterne,ove l’autocoscienza e la cultu-ra dei suoi membri, valori diresponsabilità e di partecipa-zione, anche se variamente gio-cabili e configurabili, non sonodelle mere sovrastrutture. Lafamiglia chiama dunque l’im-presa e si propone come suostakeholder fondamentale, mal’impresa-comunità chiama asua volta la famiglia per invi-tarla a “trafficare” i suoi talen-ti, ad aprirsi e ad intraprende-re, a “creare valore” per i suoicomponenti e, in un’ottica direlazionalità, per il contesto so-ciale in cui è inserita.

SCUOLA DI SOLIDARIETÀ

La solidarietà trasforma dun-que i giochi da “somma zero”a“somma positiva”, ai tiri alla fu-ne sostituisce l’intrapresa del-la cooperazione in vista di un

mentato non solo dalla cresci-ta del reddito, dalla scolarizza-zione, dalla salute, dalla distri-buzione del potere, ma anchedalla cura. Il ruolo della curanella formazione delle facoltàumane e nello sviluppo umanoè fondamentale … Il lavoro dicura produce beni sociali, creacapitale umano e sociale.

La costruzione di una societàequilibrata, ove la produzionedel reddito non viene separatadalla produzione di senso e ovela sfera mercantile interagiscecon quella della reciprocità edella gratuità, passa necessa-riamente - e questa è un’ulte-riore acquisizione di consape-

ATTIVITA’LAVORO, FAMIGLIAE SVILUPPO SOLIDALE

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Crescere dei figli sani,equilibrati, senza traumi

e con sani princípi, significa costruire

una sana società per il domani.

Uno Stato, un Sindacatoe una Impresa

responsabili devono avere

questa consapevolezza e comportarsi

di conseguenza

bene comune il piú ampio pos-sibile. La famiglia può esserescuola di solidarietà e, attra-verso la solidarietà, anche didemocrazia. Ciò nella misura incui consente, nella quotidia-nità, l’attuazione di un percor-so finalizzato a precostituire lecondizioni per l’esercizio co-sciente e coerente della citta-dinanza attiva. La realizzazio-ne dei progetti di vita, personalie famigliari, lungi dall’essere unfatto meramente privato, pre-suppone la progressiva con-quista di spazi di libertà, re-sponsabilità, partecipazione neidiversi àmbiti della vita asso-ciata e quindi anche nell’eco-nomia e nel lavoro.

In ordine a questi grandiobiettivi, le famiglie devonoacquisire la consapevolezza dinon essere soggetti disarmati.Le risorse che esse muovono sulfronte del consumo e del ri-sparmio e le energie che esseesprimono nell’àmbito dellaproduzione e del lavoro di cu-ra - se organizzate, dotate divoce, rapportate ad altri sog-getti collettivi - potrebbero di-spiegare un potenziale innova-tivo per cambiamenti di gran-de importanza.

Cambiamenti di grande im-portanza in vista anche di unaeffettiva “ecologia umana” ov-vero di recupero di senso in or-dine al vivere e al lavorare. Illavoro, proprio a partire dalle fa-miglie, richiede di essere cor-relato con le dimensioni che lotrascendono e che, al tempostesso, sono in grado di com-pletarlo ponendolo al serviziodell’agire e dell’essere.

LA CONCILIAZIONE TRA IL LAVORO DELLA DONNAE LA FAMIGLIA: UNA RISPOSTA

Lettera aperta a:Politici, Sindacalisti,Imprenditori,Uomini e Donne di buona volontà

a cura di Gianfranco Vanzini

Agosto 2002. Pochi giorniprima di lasciare il mio incari-co di Direttore Generale di unaimportante azienda di abbi-gliamento (piú di 1.000 dipen-denti di cui due terzi donne)una giovane madre, al momentodei saluti, mi ha inviato una e-mail che fra le altre cose dice-va: «… la ringrazio enorme-mente per quello che ha fattoper noi donne e soprattutto noimamme, per averci dato la pos-sibilità di continuare a sentircirealizzate come persone che la-vorano e che operano all’in-terno della società e, che allostesso tempo, si prendono cu-ra dei propri figli e della pro-pria famiglia …».

Era una mamma che lavora-va con un contratto di lavoropart-time.

I ringraziamenti mi hannoovviamente fatto piacere, mail messaggio nel suo comples-so mi ha fatto riflettere. È unariflessione lunga, che dura tut-tora e che vorrei a questo pun-to condividere con tutti coloroche, in posizioni di potere, gran-de o piccolo non ha importan-za, possono raccogliere il mes-saggio e “fare qualcosa”.

Non c’è ormai piú dubbio eanche la moderna pedagogia losostiene, che la presenza ma-

terna sia fondamentale nei pri-mi anni di vita dei bambini.

Il mondo è cambiato, la glo-balizzazione ha portato nuoveopportunità e nuovi problemi,una cosa però è rimasta inva-riata: i figli nascono semprepiccoli e hanno sempre bisognodelle madri, almeno nei loroprimi anni di vita.

Uno Stato responsabile, unSindacato responsabile e unaImpresa responsabile devonoavere questa consapevolezza ecomportarsi di conseguenza.

Relazioni umane e sindacalivirtuose e corrette, che tendo-no al raggiungimento del “be-ne comune” e che portano cer-

DONNE E LAVORO:UNA LETTERA APERTA

ATTIVITA’

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genze dei figli.Come fare? Proviamo a pensare a una

leggina (Nazionale o Regiona-le oppure una disposizione Pro-vinciale o Comunale) moltobreve, magari preceduta da un“accordo sindacale concerta-to”, che dica: «Le lavoratricimadri, a qualsiasi categoria ap-partengano, con contratto atempo indeterminato, e con fi-gli fino a 3 anni ( 6 sarebbe l’i-deale, ma facciamo un passoalla volta) hanno diritto di ri-chiedere la trasformazione delloro rapporto di lavoro da tem-po pieno a tempo parziale, conun minimo di almeno 4 oregiornaliere.

Le aziende con oltre 15 di-pendenti (non creiamo proble-mi alle aziende molto piccole,anche qui facciamo un passo al-la volta) devono prendere inesame tutte le richieste e sonoobbligate ad accogliere alme-no fino al raggiungimento del15% della forza lavoro com-plessivamente occupata.

Le lavoratrici richiedenti po-tranno mantenere le loro man-sioni oppure accettare nuovemansioni proposte dall’azien-da.

Se le nuove mansioni pro-poste sono simili a quelle in es-sere la lavoratrice deve accet-tarle per ottenere la riduzionedell’orario di lavoro.

Alle aziende viene ricono-sciuto per ogni contratto part-time in atto, relativo alle lavo-ratrici madri, un “bonus” an-nuo di Euro 300,00 deducibiledirettamente dai contributi daversare al 31 dicembre di ogni

anno (questo per tenere contoun po’ delle difficoltà che og-gettivamente si creano alleaziende e per vincere la pigri-zia organizzativa degli im-prenditori).

Per le aziende che superanoil 15% della forza lavoro, ilcontributo viene aumentato del50% sulla parte eccedente».Andando a fare i conti trove-remmo che la spesa non sareb-be proibitiva, avrebbe però cer-tamente ripercussioni molto po-sitive, soprattutto in quella par-te di lavoratori e lavoratrici edi opinione pubblica che an-cora hanno a cuore la famigliae l’educazione dei figli.

P.S. Mi pare ovvio anche soloricordarlo, ma forse è bene farlo,che un imprenditore sensibile alproblema di cui sopra può, anchedi sua iniziativa (senza aspettareaiuti esterni), favorire anziché osta-colare una politica di orari part-ti-me per le sue “lavoratrici madri”.

Mi sembra “bello” sottolineareche, un solo contratto “part-time”,fa felici 3 persone: un figlio, chepuò stare con sua madre, che perlui è la persona piú importante inassoluto; una madre, che può sta-re piú tempo con suo figlio, che cer-tamente desidera molto; una di-soccupata, che potrebbe essere as-sunta, per coprire “il buco” la-sciato aperto dalla riduzione del-l’orario di lavoro della lavoratricemadre.

tamente risultati positivi pertutti, passano anche attraversouna organizzazione del lavoroche tenga presente questa esi-genza.

L’esigenza per le “lavora-trici madri” di potere disporre,almeno per i primi anni di vitadei figli, di un tempo adegua-to per rispondere ai loro biso-gni fondamentali, senza dove-re per forza abbandonare il la-voro che svolgevano prima del-la maternità.

Crescere dei figli sani, equi-librati, senza traumi e con sa-ni princípi, significa costruireuna sana società per il domani.E, Dio solo sa, quanto bisognooggi c’è di una società sana.

Se diamo per accettato che lapresenza della madre in fami-glia, dove ci sono figli piccoli,è importante, non possiamo enon dobbiamo dimenticare chemotivi di: realizzazione perso-nale, desiderio di svolgere unaprofessione extra casalinga,condizioni economiche, ecc.possono portare la donna adavere anche una sua attivitàesterna.

Desiderio assolutamente le-gittimo e tutelabile, ma come?

A mio modesto avviso il la-voro part-time (lavoro parzia-le, orario ridotto, ecc.) rap-presenta la soluzione se nonproprio ideale comunque mol-to vicina all’ideale.

Un orario di lavoro modula-to anche sulle esigenze e sugliorari della famiglia, potrebbeconsentire un adeguato svol-gimento delle due mansioni

In un modo magari variabi-le a seconda dell’età e delle esi-

ATTIVITA’DONNE E LAVORO:UNA LETTERA APERTA

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Nei confronti di ciascuno di noi,

Dio ha sempre un progetto specifico.Ma qual è il rapporto

tra libertà e obbedienza?

Se la libertà dell’uomo è la libertà alla quale

Dio lo chiama, essa è ubbidienza.

Ma se l’ubbidienza dell’uomo è quella

che Dio esige, essa è una libertà

LA VOCAZIONE “IN VERITÀ”DEL CRISTIANO IMPRENDITORE

a cura di Piva mons. Pompeo

PROFESSIONE E VOCAZIONE

Nei confronti di ciascuno dinoi, Dio ha sempre un’inten-zione particolare, un progettospecifico. Se questo è vero, oc-corre dedurre che la libertà diubbidire a Dio è limitata, per-ché la volontà e l’intenzione diDio sono espresse da esigenzeparticolari e specifiche, indi-rizzate all’uomo storico. Diochiama l’uomo singolo a sce-gliere. Ogni scelta implica unalimitazione da parte di Dio e daparte dell’uomo; limitazionepreziosa, perché porta l’uomoa scegliere ciò che Dio ha scel-to, escludendo ogni altra scel-ta. È ovvio che non potrà maiessere una scelta arbitraria. Dioindirizza le proprie esigenze al-l’uomo, al quale ha già fissatodei limiti nel momento in cuilo ha chiamato a vivere. L’ac-cettazione della limitazione cheDio assegna ad ogni uomo è laprima forma nella quale si eser-cita l’ubbidienza.

Tuttavia, la limitazione fis-sata all’esistenza umana non siriduce alla sua limitazione neltempo. La vita è certamentecompresa tra due termini: ter-mine a quo e termine ad quem.Ma implica l’esistenza di in-numerevoli altri limiti, confor-memente al modo particolare ediverso secondo il quale Dio sirivolge e chiama il singolo uo-mo a compiere la sua volontà.Emerge l’individualità libera

di ciascuno come occasioneunica. Se la libertà dell’uomoè la libertà alla quale Dio lochiama, essa è, sotto tutti i pun-ti di vista, ubbidienza. Ma se laubbidienza dell’uomo è quellache Dio esige, essa è, sotto tut-ti i punti di vista, una libertà.Che significato ha questa sor-ta di teorema?

La professione è ciò che l’uomo è fino a un determi-nato momento dell’esistenza

Preciso che per professioneintendo la limitazione singola-re nella quale e per mezzo del-la quale Dio chiama, e che l’uo-mo deve saper leggere se vuo-le diventare ubbidiente al suoSignore. Se ogni uomo scopre,nella fede, la volontà di Dio nelsuo personale limite e nel li-mite degli altri, allora scegliela propria professione. Non saràsfuggito a nessuno che il di-scernimento e la scelta metto-no in evidenza l’orientamentonecessario ad ubbidire. Sce-gliere di ubbidire perciò nonsignifica mai scegliere una pro-fessione, ma confermare la scel-ta che Dio ha operato a favoredi ciascuno. La scelta di unaprofessione sarà sempre perciòuna preparazione; meglio an-cora, sarà una conseguenza del-la scelta decisiva operata daDio nei nostri confronti.

La professione rappresentala via antica che viene da Dio,come qualcosa di particolareper l’uomo. È il luogo della re-sponsabilità, il terminus a quoper ogni conoscenza e compi-mento della volontà divina, lostatus nel quale l’uomo è chia-

mato alla libertà. La professio-ne è l’uomo stesso nel suo mo-do di essere concreto; costitui-sce il cardine in cui ogni uomoriceve il comando di Dio che loimpegna nella sua esistenzaconcreta, si apre alla vocazio-ne di Dio. Occorre determina-re alcuni criteri per una descri-zione piú accurata.

Primo criterio. La vita uma-na è un’occasione unica. Al-l’uomo è comandato di scopri-re e di affermare, senza posa,l’identità personale nelle con-dizioni mutevoli della sua esi-stenza psicofisica e sociale, cioèin una serie imprevedibile ma

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La volontà di Dio e l’ubbidienza che questa esige, significano che l’uomodeve continuare a vivere, qualunque siail suo passato e l’interpretazione che ne ha dato. Ciò che conta è vivere il presente: in esso si realizza la responsabilità etica del credente

mandamento di Dio ha di mi-ra la forma e il contenuto delpassaggio: il cambiamento chesi produce, la decisione e l’a-zione umane che si inscrivonoin ogni particolare momento.Allora, riflettere sulla ubbi-dienza a Dio significa cercaredi percepire il comandamentonell’istante in cui è proposto,per prepararsi a discernere l’ub-bidienza richiesta nell’istanteche segue. Per compiere que-sto atto di riflessione, l’uomousufruisce di tutte le lezioni cheil passato gli ha impartito; maè Dio che sa esattamente ciòche deve diventare. Quindi, l’at-tenzione va rivolta a Lui. Inquesto senso la volontà di Dioe l’ubbidienza che questa esi-ge, significano che l’uomo de-ve continuare a vivere, qua-lunque sia il suo passato e l’in-terpretazione che ne ha dato. Ilpassato è ormai soltanto nellemani di Dio. Ciò che conta è ilpresente: in esso si realizza laresponsabilità etica del cre-dente. Ogni altra attitudine si-gnifica non vivere.

Secondo criterio. Risulta dal-la situazione storica partico-lare di ciascuno, come limitedella sua professione. È all’in-terno di questo limite che l’uo-mo dovrà comprendere il co-mandamento di Dio e ubbidir-gli. Io chiamo situazione stori-ca dell’uomo il suo Paese, ilsuo secolo, il tempo particola-re in cui vive, le condizioni po-litiche, economiche, culturali,ecclesiali. In breve: tutte le co-se che si trovano sul suo cam-mino e determinano, in varia

misura, la vita. Ora, la situa-zione storica dell’uomo fa par-te della sua professione e nonè indifferente alla stessa voca-zione divina. L’uomo è quelloche è nel mondo esterno, a par-tire dal mondo esterno ed in re-lazione con esso. Anche perquesto aspetto, occorre dire chel’uomo non ha scelto la pro-pria professione: si trova in unasituazione determinata nel mo-mento in cui intende vivere lasua vita con una decisione eun’attività personali. La fedeltàa Dio esige una fedeltà speci-fica alla situazione in cui l’in-dividuo si trova. Che significa?Ogni uomo è aperto da un latoe chiuso dall’altro a tutta unaserie di possibilità concrete. Èuna constatazione ovvia. Manon lo è piú, quando affermoche gli uomini sono obbligatiin rapporto a una data situa-zione. Se poi sostengo che la si-tuazione è il luogo in cui si rea-lizza la vocazione, allora la con-statazione può diventare dram-matica per la notevole diffi-coltà di individuare il criteriodi moralità.

Ma la delimitazione esternadella professione umana, pro-vocata dalla situazione storicadata a ciascuno, non implicaun determinismo. L’uomo nonè soltanto il prodotto del cli-ma, di una famiglia, di una clas-se, di un secolo, delle circo-stanze sociali, ecc. Tutte que-ste realtà sono il terreno nelquale l’uomo vive e respira; nerimane influenzato. Ma non so-no l’uomo; non sono esse a de-terminarlo nel fondo del suoessere umano. Sia pure in limiti

limitata di momenti temporali.In ciascuna di queste tappe,l’uomo trova sempre qualchesua parte sulla strada che loconduce dalla culla alla tomba.Esiste ogni volta, in un datomomento del processo vitaleche è sempre in divenire; è giàcominciato, ma è già in decli-no. È in questo dato momentoche lo coglie la vocazione diDio; e questo momento è il luo-go della responsabilità. Signi-fica: l’uomo è responsabile inogni momento della sua esi-stenza. Di piú: è responsabileproprio nell’istante preciso incui realizza il passaggio tra ciòche egli è e ciò che sarà. Il co-

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L’uomo deve assumere la propria

situazione storica responsabilmente e personalmente,

in forza dell’ubbidienza davanti a Dio. L’uomo parte

dalla propria situazione, con i suoi limiti,

problemi, urgenze; ma per mettersi

in cammino

ben definiti, l’uomo è tale per-ché è una realtà davanti a Dio.Per questo, la situazione stori-ca di ogni uomo deve esserecompresa unicamente come ciòche prepara la sua vocazione enon ciò che lo determina.

Il problema della sua voca-zione, piuttosto, comincia esat-tamente là dove cessa la pro-blematica della sua situazionestorica, della professione chegli è proposta e assegnata. Ladeterminazione dell’uomo, ciòche Dio ha in vista per lui e ciòche attende da lui, la grazia par-ticolare che gli vuole donare eil servizio specifico che gli ri-chiede, hanno il loro presup-posto nella situazione storicadi ciascuno: presupposto asso-lutamente necessario, perché èl’opera preparatoria della sa-pienza divina. Ma pur semprepresupposto; l’uomo non puòfermarsi qua come se fosse unfatto definitivo. Anzi, gli è co-mandato di vivere proprio apartire da questo presuppostosituazionale; in questo mododiventa uomo secondo la suavocazione.

Ora: essere uomo secondo lapropria vocazione non può si-gnificare l’accettazione pura esemplice della propria situa-zione storica, cioè della pro-fessionalità. Né le tradizioni néla mentalità dell’epoca né lecondizioni politiche, sociali eculturali nelle quali vive, né lamorale o l’educazione o la for-mazione ricevute esistono peressere semplicemente accetta-te e approvate come norma fis-sa di eticità. Occorre prenderesul serio tutto questo perché

costituisce l’occasione unica.E questo significa che l’uomodeve assumere la propria si-tuazione storica responsabil-mente e personalmente, in for-za dell’ubbidienza davanti aDio. L’uomo parte dalla pro-pria situazione, con i suoi limiti,problemi, urgenze; ma per met-tersi in cammino. E si tratta diun movimento positivo. Per-ché? Se è la Provvidenza ad as-segnare all’uomo la sua situa-zione storica, è chiaro che ri-fiutare le coordinate di questasituazione e volerla rimpiazza-re con altre è frutto di una in-sensata presunzione.

Dunque: l’uomo dovrà sem-pre cominciare con l’approva-re le coordinate della propria si-tuazione storica se vuole ubbi-dire alla propria vocazione equindi a Dio. Tuttavia, l’azio-ne della Provvidenza divinanon è mai immobile; essa sol-tanto porta l’uomo a questo oquel fine. Di piú: la Provvi-denza non ingloba solamente ilbene che viene da Dio, ma an-che tutto ciò che nella storia èfalso, inquinato dal peccato del-l’uomo. Infatti, per mezzo del-la vocazione, Dio chiede al-l’uomo di osare nel prenderedelle decisioni e nel realizzaredelle azioni personali nuove,assumendone responsabilitàprima di tutto davanti a Dio esoltanto secondariamente infunzione della sua situazionestorica. Questo può significa-re che l’uomo deve compiere unmovimento negativo nei con-fronti delle coordinate della suasituazione storica. Certo è ne-cessario un atteggiamento cri-

tico: si misurerà con la situa-zione storica con onestà e lealtà;non è legato mani e piedi dal-la sua situazione storica. Tut-tavia, egli è responsabile di ciòche egli diventerà a partire dalposto che occupa.

Terzo criterio. Alla limita-zione esterna di ogni profes-sione umana corrisponde unalimitazione interiore, che ri-guarda le attitudini personalidell’uomo. Con il termine si-tuazione interiore, intendo i do-ni e le inclinazioni legate allasua struttura psicofisica, da cuiproviene la capacità particola-re di ricettività e di attività, cioè

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Essere fedele a sé stessi significa essere attenti e aperti a comprendere le attitudini reali che Dio fa scoprire incessantemente nelle esigenze che propone, essere pronti a lanciarsicon risolutezza in azioniforse audaci, forse modeste ma vere eticamente

com’è, l’uomo è soggetto alleesigenze di Dio. Per questo gliè chiesto d’essere fedele allaprofessione come segno dellafedeltà a Dio. In relazione allaprofessione si manifesta la vo-cazione di Dio.

Nasce un problema: l’attivitàpersonale corrisponde alla vo-lontà di Dio appella cosí comeciascuno è in concreto, con i ta-lenti che gli sono stati donati?È un problema etico. Lo sap-piamo: Dio vuole essere ama-to con tutto il cuore, con tuttal’anima, con tutte le forze. Il co-mandamento divino ci obbligaa porre la questione della tota-lità delle attitudini, a racco-gliere tutte le forze donate. Equesto ognuno deve volerlo.Può darsi che abbiamo fattodelle scelte arbitrarie. Allora lanostra attività è monca. Quin-di, è cattiva eticamente. La pro-fessione umana è una ed indi-visibile; la vocazione l’ab-braccia in tutta la sua estensio-ne. La vocazione divina mettel’uomo in guardia contro ognitentativo peccaminoso di con-traddire la professione.

Ecco un secondo problema:l’attività dell’uomo corrispon-de all’esigenza di Colui che,essendo il Creatore e Signore,è meglio informato sulla pro-fessione umana? Questo signi-fica: ciò che Dio domanda al-l’uomo non coincide semprecon ciò che l’uomo stesso sti-ma essere il campo della sua at-tività e della natura della suaprofessione. I limiti impostipossono essere piú larghi o piústretti di quelli che si intrave-dono. Per questo ogni senti-

mento prometeico è da scarta-re come immorale. L’impren-ditore dovrà piuttosto lasciarsicondurre al di là dei limiti im-posti dalla professione per rea-lizzare la vocazione. L’ostina-zione serena o amara nei suoilimiti, conduce l’uomo al pec-cato. Significa, infatti, che l’uo-mo si arroga il diritto di agiree di disporre di sé come se fos-se creatore e signore della pro-pria vita.

Da qui un altro principio eti-co: l’azione umana deve esse-re un’azione sempre aperta, , incui si è pronti in ogni istante adaccettare un orientamento di-verso da quello che si è stima-to giusto. Essere fedele a séstessi significa essere attenti eaperti a comprendere le attitu-dini reali che Dio fa scoprire in-cessantemente nelle esigenzeche propone, essere pronti alanciarsi con risolutezza in azio-ni forse audaci, forse modestema vere eticamente.

La vocazione rappresenta unanovità rispetto a ciò che l’uomoè nei limiti fissati dal Creatore

La vocazione è un invito al-l’uomo a costruire la sua sto-ria sotto forma di una decisio-ne e di un’azione personali. Ciòche Dio esige dall’uomo non èmai una semplice conferma del-la sua limitazione particolare.Al contrario, la limitazione pre-senta sempre aspetti nuovi inrapporto a quelli esistenti: è unappello storico. Esiste una con-tinuità coerente tra quello chel’uomo è quotidianamente equello che è chiamato ad esse-re. Dio resterà sempre fedele a

il grado di utilità. É falso valu-tare l’uomo solo dalle condi-zioni esterne. È falso pure ilcontrario. Nessuna separazio-ne è possibile. Ogni uomo pos-siede la sua virtus nel sensoestensivo che la parola latinaesprime. Le attitudini sono per-sonali, grazie alle quali il sin-golo è capace di rendere deiservizi che nessun altro puòrendere. Esse appartengono al-la sua professione. Non sonoquindi senza significato per lavocazione divina. Nessuno hascelto i propri talenti; gli sonostati dati da Dio Creatore e Si-gnore. Possono subire delle tra-sformazioni, ma ci sono. Cosí

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Si può descrivere la vocazione come

un evento che si realizza tra Dio e l’uomo,

che si aggiunge a ciòche l’uomo è già.

Comporta per l’uomoqualcosa di nuovo:

implica una modificazione

dell’esistenza umana che va al di là

di ciò che essa è, ora

se stesso, anche quando permezzo del suo appello, impli-cante una nuova scelta, farà co-noscere all’uomo l’opera par-ticolare che deve diventare: unevento per mezzo della sua de-cisione e della sua azione per-sonali, qui ed adesso. Il di-scernimento ha origine dallavigilanza evangelica. Ciò chevale non è la nascita o la mor-te dell’uomo, né il fatto che en-tro queste due date egli sia unacreatura limitata, ma che Dio in-contra la sua creatura nell’oc-casione unica. L’uomo ubbidi-sce a Dio soltanto nell’occa-sione unica. La vocazione è,dunque, la rivelazione impera-tiva della volontà particolare,elettiva e specifica di Dio permezzo del comandamento, in-dirizzata a tale uomo in unaprecisa circostanza. Essa fa ap-pello alla libertà particolare diquesto uomo e rivendica un’ub-bidienza particolare di questouomo. Si può descrivere la vo-cazione come un evento che sirealizza tra Dio e l’uomo, chesi aggiunge a ciò che l’uomo ègià. Comporta per l’uomo qual-cosa di nuovo: una determina-zione piú precisa dei limiti neiquali ha vissuto. In breve: im-plica una modificazione del-l’esistenza umana che va al dilà di ciò che essa è, ora. Maquali sono i limiti nei quali lavocazione e la volontà di Dioraggiungono l’uomo

Ciò che caratterizza i limitinei quali la vocazione e la vo-lontà di Dio raggiungono l’uo-mo, è il fatto che ogni indivi-duo ha il suo campo d’azionepiú o meno nettamente trac-

ciato; un settore in cui inseri-sce la propria attività ordinaria,quotidiana, regolare, in cui vi-ve ed è membro attivo della so-cietà. Questo campo d’azionedovrà toccare o recuperare sem-pre i campi di azione degli al-tri uomini, anche se il proprioresta ovviamente il campo d’a-zione personale. Insomma vo-glio dire che il campo di azio-ne è il cardine nel quale la vi-ta di ogni individuo si svilup-pa, il luogo dove la storia uni-versale è la quotidiana storiapersonale e dove occorre usa-re le proprie attitudini. Per lamaggiore parte della gente saràciò che si chiama un mestiere,una professione nel senso tec-nico della parola. Ma la vitadell’uomo è lontana dall’esse-re ridotta a ciò che viene chia-mato il circuito del lavoro; e lapartecipazione professionale aquesto circuito è lontano dalrappresentare le totalità dell’u-mano. Rimane tuttavia il fattoche ogni uomo possiede, con lasua professione, in senso tec-nico, il proprio campo di azio-ne particolare: il cardine in cuisi inseriscono le sue attività, iproblemi, le soluzioni. Ogniuomo può cambiare campo, mamai potrà evitare di posseder-ne uno proprio. Significa, adesempio, che non potrà maisfuggire alla propria età, allapropria situazione storica, allesue attitudini personali e quin-di ai suoi limiti.

In che misura si deve direche il campo d’azione propriodi ogni individuo costituisceun limite fissato all’uomo daDio creatore e Signore? Que-

sta domanda sembra proble-matica, perché è l’uomo chesceglie il campo di azione co-me risultato di un’intenzione edi una volontà precise. Questoalmeno fino ad un certo punto.Non è chiesto all’uomo se vuo-le vivere o no, essere giovaneo vecchio; non è chiesto al-l’uomo di poter vivere in que-sta o in quell’altra situazione,dotato di queste o quelle atti-tudini personali. Tuttavia la li-bertà personale di scelta per fa-re di una situazione il contestoordinario della propria esisten-za, è una libertà vera. Certo,l’uomo sceglie all’interno del-lo spazio che gli è dato; la crea-

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La professione e la vocazione sono intrinsecamente legate.Quindi occorre riconoscere che la professione accettata da un individuo è già essa stessa, in quanto disposizione divina, una risposta dell’uomo alla sua vocazione, un risultato iniziale del suo comportamento

della sua responsabilità, è il ri-sultato della sua conoscenza,dei suoi errori della sua disub-bidienza o della sua ubbidien-za Ma il limite dato all’uomocome campo d’azione, ha pri-ma di tutto il carattere di scel-ta-decisione, di cui egli è l’au-tore. Che cosa si può dedurreda questa affermazione? Chela professione e la vocazione so-no intrinsecamente legate.Quindi occorre riconoscere chela professione accettata da unindividuo è già essa stessa, inquanto disposizione divina, unarisposta dell’uomo alla sua vo-cazione, un risultato inizialedel suo comportamento. Ne se-gue che l’uomo deve porsi al-cune questioni pratiche di or-dine etico.

Prima di tutto, egli si do-manderà se la scelta del propriocampo interno ed esterno diazione sia giusta; cioè se è ub-bidiente. Poi si chiederà se il suocomportamento in questo cam-po di azione sia giusto; cioè seanche nell’azione è ubbidien-te. Infine, se è tenuto a cambiarela propria attività e se agisca confedeltà, passando da un campod’azione ad un altro. Analiz-ziamo la prima questione.Quando, comprendendo le pos-sibilità esterne e interne che glisono date, l’uomo si accinge acercare la sua professione, lasua attività personale; in que-sto modo agisce già in relazio-ne alla vocazione divina. Per-tanto l’uomo è responsabile da-vanti al Signore che lo chiama,quando prende le sue decisio-ni, Cosa deve prendere in con-siderazione per agire bene? Per-

ché la sua scelta sia un atto diubbidienza, questa non deveessere semplicemente attraen-te, interessante o promettente.La possibilità di comprendereche una scelta è comandata, èdata dal fatto che questa si de-ve presentare come un’esigen-za, non come una necessità.Ciascuno di noi deve capire chela scelta è comandata per unservizio da compiere. Se l’im-prenditore è veramente capacedi interrogarsi con serietà sul-le scelte, è difficile pensare chesi possa venire meno alla vo-cazione nella propria profes-sione, cioè nell’attività ordina-ria. Ma l’uomo si trova di fron-te anche ai talenti e alle carat-teristiche personali che egli cre-de di conoscere. Subisce per-tanto una pressione interiore,che sembra spingerlo in questao quell’altra direzione. Per fa-re una scelta conforme all’ub-bidienza deve interiormenteprovare un sentimento di ob-bligazione. Deve quindi chie-dersi: mi è stata ordinata que-sta scelta? Anche qui non sipuò evitare di porre la questio-ne del servizio al quale uno èchiamato per mezzo dei doniche confida di avere. Esiste unagerarchia tra questi due punti divista? Da dove si può comin-ciare: dai doni esterni o da quel-li interni? Non è importante, amio avviso, cercare una rispo-sta alla domanda, anche per-ché, di fatto, i due aspetti sonoinscindibili. Piuttosto si devedire che la decisione giusta do-vrebbe intervenire esattamen-te nel punto in cui le due lineesi incontrano; cioè: nel punto in

tura umana esiste soltanto co-sí.

Il problema decisivo, allora,sarà il seguente: l’uomo situa-to può accedere alla libertà del-l’ubbidienza? La verità è che lascelta umana, in tutta la sua au-tonomia e responsabilità si rea-lizza sempre nel cardine del di-segno di Dio. In questo sensol’uomo fa la sua scelta, aven-do la possibilità di essere ub-bidiente a Dio. Ma deve vede-re nella sua professione un li-mite che ha un rapporto posi-tivo con la sua vocazione e conil comandamento di Dio.

Qual è la particolarità di que-sto limite? Il limite, il luogo

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L’uomo si deve chiedere continuamente:

chi sono? Da dove vengo? Dove vado?

Qual è il senso del mioesistere nel mondo? Come sarà la fine?

Ogni domanda presuppone le condizioni

della sua possibilità. Io posso domandare solo se non conosco

ciò che chiedo

cui si incontrano l’esigenza chenasce dall’esterno e quella chenasce dall’interno. Di piú: sitratterà di percepire le esigen-ze di Dio in quelle imposte dal-la situazione interna ed ester-na.

Ho scelto. Era la voce di Dio,quella cui ho risposto con lamia scelta? È un interrogativoal quale non si può sfuggire. Éla vita quotidiana che presto otardi metterà forse tutto in que-stione. Ma è necessario sapereche la scelta fatta un tempo nonha esaurito il significato né diquel momento né della vita nel-la sua ricchezza, nella sua am-piezza La conoscenza della si-tuazione apre ad ulteriori pos-sibilità di scelte. La fedeltà al-la propria professione permet-te di leggere in novità la voca-zione di Dio. É chiaro: la fedeltàalla propria professione esigeimpegno serio. Il mistero di unaprofessione consiste appuntonella conoscenza, nella capacitàe buona volontà di accettarenella e per la situazione la vo-lontà di Dio. Soltanto cosí la tra-sformazione, che la professio-ne e il suo campo di azione su-biscono, è determinata dallavocazione di Dio e dall’ubbi-dienza che ne deriva Là doveun individuo è veramente fedelealla sua professione ci deve es-sere una ricerca continua dellavolontà divina, della vocazio-ne personale.

VERITÀ E INTERPRETAZIONE

L’esperienza quotidiana offreuna prima pista di ricerca: I’uo-mo è colui che domanda, chepuò e deve domandare (1). Non

lo possono le pietre, non le pian-te e neppure gli animali (alme-no sembra!). Queste realtàsprofondano nell’ottusa a-pro-blematicità della loro esisten-za senza storia. Solo l’uomo èposto nella necessità di poterdomandare: è la singolare ca-ratteristica della sua natura.

Chi è l’uomo?

Ma chi è costui, che nel do-mandare diventa problema a séstesso e deve chiedersi conti-nuamente: chi sono? Da dovevengo? Dove vado? Qual è ilsenso del mio esistere nel mon-do? Come sarà la fine? Ogni do-manda presuppone le condi-zioni della sua possibilità. Ioposso domandare solo se nonconosco ciò che chiedo, altri-menti il domandare è superatodal sapere. Ma posso doman-dare solo se so già, in qualchemodo, ciò che chiedo, altri-menti la domanda non ha al-cuna direzione. Non è possibi-le come domanda. É possibileinterrogare solo all’interno di unorizzonte già dischiuso, che tra-scende il sapere particolare e su-scita il movimento della do-manda. L’uomo s’interroga, po-ne domande su se stesso, la suanatura, il mondo in cui vive eopera perché da sempre si sa.Infatti, sua caratteristica è I’au-tocoscienza e l’autocompren-sione. Per questo egli si innal-za, almeno in parte, sopra i vin-coli della necessità.

Ma l’uomo non si compren-de mai pienamente; rimane unenigma a se stesso. Il suo saperese stesso è anche un non sape-re e la sua autocomprensione

una non comprensione. Que-sta è la radice da cui scaturiscela necessità per l’uomo di por-re domande. Ciò che l’uomoda sempre sa di sé in modo ori-ginario e immediato, non an-cora riflesso e tematico, deveessere portato alla luce e resoesplicito. L’originaria ed a-te-matica autocomprensione con-diziona e permea di sé ogni at-to di conoscenza categorica.Deve essere scoperto ciò chel’uomo è, come si comprende(2).

La questione relativa alla na-tura dell’uomo esige, dunque,che il sapere ed il comprende-re originariamente umani sia-

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È l’uomo concreto,che conosce sé stessonel suo mondo, a porre domande sulla vita. Portiamo sempre noi stessi, insieme con noi. La precomprensioneconcreta è, dunque, la condizione necessariadel nostro porre domande sull’uomo, sulla sua vita, sulla verità

re colto in modo oggettivo al-la maniera di un singolo og-getto empirico. Tuttavia essoentra a determinare e a condi-zionare tutto il nostro compor-tamento, tanto il conoscere teo-retico quanto il volere e l’agi-re pratico. Non intendo affer-mare un a priori puro, che dasolo sarebbe già dato con la na-tura dell’uomo. Affermo un apriori concreto, cresciuto in-sieme con l’intera esperienzapersonale che ciascuno, at-tuando se stesso nel mondo, hafatto e continua a fare. Lo apriori concreto costituisce lapre-comprensione umana a par-tire dalla quale ciascuno cogliei singoli contenuti dell’espe-rienza, dando loro un significatounitario preciso; cosí come latotalità dell’auto-comprensionesi costituisce e si modifica at-traverso la percezione vissutadei contenuti.

Si stabilisce pertanto una dia-lettica tra il singolo fenomeno,che di volta in volta si presen-ta in modo tematico, e lo sfon-do non tematico presupposto.Si tratta di un circolo erme-neutico di natura antropologi-ca. Ciò significa che non si dàmai un punto di partenza asso-lutamente privo di presuppo-sti, a partire dal quale si può svi-luppare un’antropologia o unateologia filosofiche. È l’uomoconcreto, che conosce sé stes-so nel suo mondo, a porre do-mande sulla vita. La pre-com-prensione concreta non puòquindi essere eliminata dal cir-colo ermeneutico. Nessuno puòriflettere su di sé astraendo dal-la esperienza concreta perso-

nale per collocarsi in un puroio penso. Portiamo sempre noistessi, insieme con noi. La pre-comprensione concreta è, dun-que, la condizione necessariadel nostro porre domande sul-l’uomo, sulla sua vita, sulla ve-rità. Apre il passaggio alla com-prensione di ciò che cerchiamo;ma deve essere tenuta apertain vista di una comprensionepiú profonda e piú piena. Infi-ne deve essere riflessa, ricon-dotta cioè al fondamento dellasua possibilità. Soltanto cosí sischiude ciò che noi uominichiamiamo la verità.

Interpretare implica l’assun-zione di un punto di vista

Forse è spontaneo pensareche interpretare sia un’attivitàunivoca, qualitativamente iden-tica a sé stessa, in ogni caso; eche essa si differenzi solo per-ché di volta in volta si applicaa oggetti diversi. Vorrei mo-strare che cosí non è, che le co-se sono, nello stesso tempo, piúsemplici e piú complesse. In-terpretare è un’attività mul-tiforme e dai molteplici nomi,tutti densi: è quel capire che èinterpretare. È opportuno in-trodurre l’argomento median-te un’esemplificazione.

«Com’è orrendo!», esclamoalla vista di un cadavere o di unalbero scheletrito che richiamaun cadavere; oppure di frontea un paesaggio che ha unadeformità non piú appartenen-te al mondo fisico: la deformitàdi una vita distrutta, della mor-te che lo ha reso desolato, al-lusivo di morte. Qualcosa ac-cade anche nell’atteggiamento

no tematizzati e chiariti. Que-sto sapere è, però un pre-sape-re, la comprensione è una pre-comprensione. Con ciò inten-do dire che esso precede ogniesplicito sapere determinato edogni comprensione dei singolidati. Esso costituisce un tutto,che è pre-ordinato a ciò che èparticolare e singolo. É una vi-sione globale che abbraccia icontenuti singoli e li coglie nel-la totalità di senso nel loro spe-cifico contesto. Perciò è un sa-pere non tematico; è lo sfondoermeneutico che conferisce si-gnificato alle singole cono-scenze tematiche. Non è datocome oggetto e non può esse-

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L’uomo non si accontenta, nel suo agire,

di vedere e di volere l’oggetto della sua azione:

lo vede e lo vuole in ragione di un motivo.

L’uomo non solo sa che egli agisce e ciò che

intende fare, ma soprattutto,

anche se in modo confuso,perché agisce

esterno: allontano lo sguardo,mi scuoto e passo oltre. Un ami-co mi risulta noioso, sbadiglio,l’attenzione alle sue parole vie-ne meno. Capire che l’amico ènoioso significa avvertire l’e-stinguersi dell’interesse, per-cepire la fatica nel continuaread ascoltare. Si presenta unaduplice possibilità: piantarlo inasso oppure compiere un gestodi cortesia e continuare adascoltarlo. La scelta della se-conda alternativa si può for-mulare piú o meno in questitermini: per cortesia voglioascoltare l’amico con attenzio-ne. In questa decisione vi è unadeterminata forma di condotta,ascoltare con attenzione; e unospeciale atto di volontà, un pro-porsi che porta sulla condottariflessivamente data come unagire possibile. L’agire è datocome termine riflesso di un vo-lere (proporsi di agire), come di-pendente nel suo esistere o nonesistere da questo medesimovolere. Una doppia caratteri-stica, dunque: termine e og-getto di un proporsi della vo-lontà, dipendenza quanto al-l’esistere (3).

Quando si parla di agire, s’in-tende per lo piú questo secon-do tipo. In esso vi è la rappre-sentazione di un possibile ter-mine da porre e qualcosa di ir-riducibile all’ordine della rap-presentazione: l’intenzionalitàvolitiva che si porta su quel ter-mine come al proprio fine. Es-so è votato all’esistenza in for-za di questa intenzionalità. Scri-ve De Finance: «Nell’atto delvolere, la realizzazione del-l’oggetto è intenzionalmente

vista come dipendente da que-sto stesso vedere. Non si trattacertamente, in nessun modo,del desiderio. Il desiderio at-tende questa realizzazione,quello si apre a questa, gli fa po-sto, soffre nel sentirlo differitonel tempo; evidenzia un vuoto,uno squilibrio: lega l’esistenzadel soggetto, in modo previo,alla realizzazione dello ogget-to (…). Il volere, invece, comeabbiamo già affermato, inten-zione l’oggetto come dipen-dente, quanto alla sua realiz-zazione (o non acquisizione),dalla stessa intenzione» (4).

Si delinea in tal modo la pe-culiarità del progetto volitivo:esso non dice la presenza og-gettiva dell’esistenza e tuttaviain esso è già presente la cer-tezza, la forza categorica del-l’esistenza. Il progetto voliti-vo esclude da sé stesso la pos-sibilità del suo fallire. Finchéil soggetto permane nell’oriz-zonte del suo voler-fare, deveveramente pensare che l’og-getto voluto, prima o poi, sarà.Tranne l’ipotesi di ostacoli eimpedimenti sopravvenienti abextrinseco (5).

Ma l’uomo «non si accon-tenta, nel suo agire, di vederee di volere l’oggetto della suaazione: lo vede e lo vuole in ra-gione di un motivo. L’uomonon solo sa che egli agisce e ciòche intende fare, ma soprattut-to, almeno in modo confuso,perché agisce, come sa agireun uomo (…). Una cosa è cer-ta: nessuna azione, veramenteumana, non è mai senza un mo-tivo. L’atto umano, anche il piúgratuito che si possa immagi-

nare (…), è sempre motivato(…). All’origine del nostro vo-lere c’è sempre la percezione (el’affermazione) nell’oggetto diun qualche valore, che ci è pre-sentato come un bene (…). Ilbene percepito e giudicato è ilmotivo. Motivo proprio dellavolontà, il bene si presenta in-divisibilmente come valore ecome fine» (6).

Il fine è il risultato oggettivodi tutto il complesso processodi realizzazione, il quale traeforza dall’intenzionalità voli-tiva. Il processo si dispiega inmomenti successivi ed è com-posto di diverse parti: esco dicasa per andare alla stazione e

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L’intenzionalità pone l’unità, anche quella interiore, al tempo dell’agire. Essa lo designa, ne delimita i contorni. L’intenzionalità volitivapropone la meta, l’intende come ciò che ha da essere; è uno sforzo realizzatore nella trama della realtà

ne delimita i contorni. L’inten-zionalità volitiva propone lameta, l’intende come ciò che hada essere; è uno sforzo realiz-zatore nella trama della realtà.

Qual è la regola di questa at-tività? È una regola vissuta, in-teriore, esattamente quanto èinteriore la sicurezza che siesprime in un’esclamazione.Invece di regola si può parlaredel perché di questa sicurezza.Non è una regola che io vedodavanti a me, là, fuori, con gliocchi del corpo o con quellidello spirito. Non è un para-digma o un esemplare che de-ve prima essere colto in sé stes-so e poi tradotto con un mec-canismo spontaneo o riflesso.Nell’istante stesso in cui l’in-terpretazione si pone, essa sa ilproprio perché, in perfetta unitàcol suo sapersi fondata. Il com-portamento fruitivo avverte labellezza del prato nell’atto stes-so in cui la coglie non con l’in-tenzione di riprodurla, ma digustarla a motivo della sua bel-lezza. Un’intenzione conscia,anche se non riflessa. La bel-lezza è del prato, non del com-portamento circa il prato. Peròessa è colta nell’atto in cui at-torno al prato si intesse tutta latrama dell’operare fruitivo.

L’osservazione sembra ov-via. Questa seconda è piú sot-tile: si fruisce il prato, si ridedella battuta, si ha orrore dellafigura mostruosa. L’oggetto diquesti verbi non è mai il valo-re in sé: la bellezza, la comicità,l’aspetto orribile. Ho appenascritto: avverto la bellezza delprato, quando gusto il prato amotivo della sua bellezza. Non

si tratta di una pignoleria ver-bale. Ricordiamo: il valore nonè mai dato come oggetto di unatto, quale che sia. Nell’atteg-giamento fruitivo avverto, mirendo conto che il prato è bel-lo. Avvertire, piú che vedere. Labellezza non è termine di atti-vità. Essa è data nella consa-pevolezza che merita trattarein un certo modo un oggetto, ilmondo e porlo come termine diun agire responsabile e libero.

La mia proposta è dunque in-genua. Alla domanda insidio-sa: come si capisce la bellezza?,rispondo cosí: di quale bellez-za si tratta? La bellezza di unbimbo si capisce nel tuo sguar-do carezzevole, ove tu lo av-verta come un tuo atto sensa-to. E la maestà della notte? Nel-l’atto del tuo fare silenzio, se ri-fletti sul tuo silenzio. All’at-tenzione riflessa il valore si of-fre soltanto di sbieco, poiché lasua conoscenza originaria è unvissuto. A chi domandasse co-sa sia la cortesia non potrei ri-spondere che cosí: è ciò checomprendo, quando capisco chevale la pena per me, in quelmomento, ascoltare un discor-so noioso per rispetto o peramore dell’altro. Si potrebbeanche fare qualcosa di piú: cer-care di ridurre a unità i diversicomportamenti che diciamocortesi e quindi costruire l’i-dea di cortesia, la sua essenza.Si dovranno notare le analogietra le diverse situazioni, che so-no il presupposto oggettivo delcomportamento, fino a sco-prirne la sua intenzionalità. Manon si deve dimenticare l’a-spetto piú importante: agire in

lí prendere il treno per Venezia,dove devo incontrare una per-sona per concludere un certo af-fare. L’intenzionalità volitivaè unica: essa anima i singolimomenti e riduce le diverseparti a un tutto teleologicamentestrutturato. Si compiono mol-te azioni oppure una soltanto?Sembra piú vero affermare chesi compie una sola azione: va-do a Venezia per incontrare unapersona fin dal primo istantein cui apro l’uscio di casa. Unagire unico, con un nome uni-co, disteso in un tempo unico.L’intenzionalità pone l’unità,anche quella interiore, al tem-po dell’agire. Essa lo designa,

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La fede in quanto «sapere la verità,

che è Gesú Cristo», è una consegna

all’Amore per condividere

il movimento di dedizioneche lo caratterizza,

in modo da esprimere una donazione

come la sua. Significa lasciarsi

guidare dalla verità e perciò fare esperienza

modo cortese vale la pena, me-rita per me. Senza queste parolenon si capisce perché mai chiè cortese si comporti a quel mo-do. Ignorando il perché non cisi rende conto di ciò che acca-de nell’animo della personacortese; non si comprende ilsenso della sua scelta. Si restaal di qua del vissuto e senza al-cuna possibilità di compren-sione vera della realtà.

L’esperienza del sapere la verità

Qual è il rapporto tra veritàe interpretazione? Una corret-ta impostazione non può ini-ziare dalla separazione fra vi-vere in grazia, proprio dei cri-stiani comuni, e coscienza di es-sere in grazia, propria di chi èspirituale (7). Di certo la gra-zia, intesa come amore di Dioche si rivolge all’uomo in ma-niera gratuita, inattesa, incom-prensibile, per condurlo allacomunione di vita con sé, va ol-tre il raggio delle nostre espe-rienze (8). La fede è il lato este-riore ed empirico della realtà digrazia. Proprio per questo siconfessa come dono ricevuto,e non va intesa come presta-zione dell’uomo. La fede «è lacondizione e il modo attuatividell’esperienza di grazia, per-ciò ogni esperienza di graziaattua con sé stessa anche la fe-de. Almeno è ciò che dobbia-mo supporre. In quale altro mo-do, nell’attuale situazione difede, potremmo fare esperien-za della grazia?» (9).

Da qui si comprende comel’esperienza della grazia siacoestensiva all’esperienza del-la fede. Questa esperienza non

va intesa in modo psicologisti-co. Bisogna invece riferirsi auna nozione di esperienza chenon si riduca all’immediatezza,ma che faccia riferimento aduna globalità, a un sapere tota-le della verità, che guida il re-lazionarsi dell’uomo ad essa(10). La fede in quanto «sape-re la verità, che è Gesú Cristo»,è una consegna all’Amore percondividere il movimento didedizione che lo caratterizza, inmodo da esprimere una dona-zione come la sua. Significa la-sciarsi guidare dalla verità eperciò fare esperienza. Diven-ta chiaro come la fede sia il pri-mo modo secondo cui il cri-stiano fa esperienza della caritànella sua vita (11).

Precisato il significato d’e-sperienza, diventa urgente ri-definire la fede, intesa comeatto di credere (fides qua) op-pure come ciò che si crede (fi-des quae), nel loro reciprocorapporto. Si tratta di una rela-zione complessa, piú di quan-to i modelli teologici comuni,anche classici, lasciano sup-porre. Non basta affermare cheoccorre un atto di fede perso-nale per appropriarsi dei con-tenuti della fede; e nemmenoche la fede deve essere ancheun atto di intelligenza, di vo-lontà e di affetto. Occorre evi-denziare che cosa aggiungeI’appropriazione personale aldato oggettivo. Il vissuto per-sonale come qualifica la veritàdella fede? L’autore che hamaggiormente approfondito ilproblema è, a mio parere, H. U.Von Balthasar nella sua Glo-ria. Il rapporto fede-rivelazio-

ne è descritto a partire dall’e-sperienza del bello. Perché sidia esperienza occorre: 1) l’ap-parire della forma bella; 2) lareazione di tutto l’uomo, comeaccordatura alla forma. «Il bel-lo è in primo luogo una formae la luce non cade su questaforma dall’alto e dall’esterno,ma irrompe dal suo intimo (...).La forma non rinvia ad un mi-stero invisibile, ma ne è ap-punto l’apparizione» (12).

Nel caso dell’esperienza difede la forma che deve appari-re è Gesú Cristo, singolare, uni-versale, concreta e universale,unica e irrepetibile. «Una for-ma della natura, ad es. un fio-

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La fede rende il cristiano, memoria vera di Cristo. Non una memoria materialmente ripetitiva, perché ciò significherebbeun impossibile tentativodi svincolarsi dall’attualità storica e culturale. Memoria che si potrebbe definire come coerenza creatrice

minare quali sono le caratteri-stiche della fides quae. In altreparole, quelle della forma uni-ca che appare.

L’oggetto centrale della fede(fides quae) è la verità Gesúnella sua singolarità. Ciò si-gnifica che Gesú non può es-sere ridotto a un insieme di ve-rità da credere, e nemmeno aun’interpretazione universaledella realtà. Gesú è rivelatoredel Padre proprio in quanto fi-gura irrepetibile del vero cre-dente; è archetipo della fede, co-lui che in quanto uomo ha ilgiusto rapporto con Dio. Sicomprende allora perché an-che il sapere Gesú sia caratte-rizzato dal chiaroscuro dellafede e non sia un sapere pre-cedente rispetto all’Incarna-zione. La presentazione cristo-centrica della fede fa capire checosa significhi che il Dio rive-lato da Gesú è il Dio dell’Al-leanza, che rende partecipi al-l’esperienza del Figlio. Espe-rienza aperta in due direzioni,verso il Padre e verso gli uo-mini. «Chi crede in me, noncrede in me, ma in colui che miha mandato, e chi vede me, ve-de colui che mi ha mandato»(14). «Vi do un comandamen-to nuovo: che vi amiate gli unigli altri. Come io ho amato, co-sí amatevi anche voi gli uni glialtri» (15). Il cristiano fa espe-rienza di Dio solo in confor-mità al modo secondo cui Luisi è fatto conoscere (16).

A questo punto occorre con-siderare piú da vicino la natu-ra della fides qua. È necessarioaffermare che la fede del cri-stiano non può essere un’imi-

tazione di quella di Cristo nelsenso di una ripetizione. Si trat-ta, infatti, di una relazione conDio, legittimata e ospitata nel-lo spazio aperto dalla fede inGesú, e quindi deve rimanerenell’àmbito della fede-ubbi-dienza a Lui. Per sottolinearequesta unità differente, anzi-ché parlare di imitazione è pre-feribile parlare di memoria. Lafede rende il cristiano, memo-ria vera di Cristo. «Non unamemoria materialmente ripeti-tiva, perché ciò significhereb-be, tra l’altro, un impossibiletentativo di svincolarsi dall’at-tualità storica e culturale. Me-moria che si potrebbe definirecome coerenza creatrice; doveappaia che il discepolo nonignora né supera il Maestro, maè formato da Lui, pur essendouomo del suo mondo e del suotempo, per il suo mondo e peril suo tempo» (17).

Si configura una situazioneparadossale: da una parte, po-ne in luce la forza dell’eventodi Gesú, capace di determina-re la figura del credente ren-dendolo suo contemporaneo;dall’altra, mostra la capacitànuova data al credente di assu-mere la propria attualità stori-ca per fare un’esperienza sem-pre nuova del sapere la veritàche è Gesú. Gesú è ora saputocome colui che è la verità diquesto tratto di storia, dove vi-ve il credente. Nell’esperienzadi diventare sempre di piú me-moria di Cristo è inclusa an-che I’esperienza della struttu-razione della propria per-sona-lità a tutti i livelli. La fede di-venta un sapere Gesú Cristo

re, è vista come si dà solo, quan-do è guardata e accolta qualeapparizione di una determina-ta profondità della vita; cosí laforma di Gesú è vista come sidà soltanto, quando è intesa edaccolta, come l’apparizione diuna profondità divina che sor-passa ogni natura mondana»(13). Pertanto, la fede non èun’azione bensí una reazionedell’uomo, impossibile senzal’apparire di quella forma; unareazione che non è puntuale estatica, ma si svolge in una sto-ria. Per comprendere, dunque,quali caratteristiche debba ave-re la fides qua per essere rea-zione, accordatura, bisogna esa-

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L’esperienza cristiana piú profonda

e piú vitale non può essere

compresa semplicemente mediante le categorie

della psicologia, giacché il soggetto primario è

Cristo: l’uomo vi partecipa

nella grazia, nella fede e nel cambiamento di sé

verità, dal quale la personalitàe l’esistenza del cristiano rice-vono contorni e determinazio-ne precisi (18). Appare conchiarezza che l’esperienza cri-stiana piú profonda e piú vita-le non può essere compresasemplicemente mediante le ca-tegorie della psicologia, giac-ché il soggetto primario è Cri-sto, e l’uomo partecipa alla suaesperienza archetipa solo al dilà di sé stesso nella partecipa-zione della grazia e della fede,nel cambiamento di sé stesso(19).

LAVORARE IN VERITÀ

Riprendo alcune suggestionipresentate in precedenza, adat-te a qualificare il motto “lavo-rare in verità”, che dovrebbepresentarsi alle nostre intelli-genze come comprensivo degliatteggiamenti quotidiani delcristiano imprenditore. Vogliotracciare, anche se in breve, al-cune linee di una spiritualitàcristiana imprenditoriale.

Fare la verità

«Chi opera la verità viene al-la luce, perché appaia chiara-mente che le sue opere sonofatte secondo Dio» (Gv3,21).Per l’evangelista Gio-vanni il vero fare, la vera ope-ra è l’opera della fede (20). Sia-mo in un contesto di giudiziodel mondo: «La luce è venutanel mondo, ma gli uomini han-no preferito le tenebre alla lu-ce, perché le loro opere eranomalvagie» (21). Il contesto èquello della doppia risposta del-l’uomo davanti alla luce venu-ta nel mondo. L’accento è quin-

di posto non sull’agire specifi-co del cristiano; ma, anterior-mente a quello, sull’atteggia-mento generale dell’uomo difronte alla luce venuta nel mon-do. Il fare si identifica con il cre-dere: «Che cosa dobbiamo fa-re per compiere le opere di Dio?Gesú rispose: Questa è l’ope-ra di Dio, credere in colui cheegli ha mandato» (22). Gesúnon parla di opere, ma affermache l’unica opera da fare è il cre-dere, che sintetizza tutto l’agi-re cristiano.Fare la verità, allora,è la prima tappa della vita di fe-de: si tratta di fare propria la ve-rità di Cristo. La teologia gio-vannea comprende due mo-menti fondamentali: la rivela-zione del Padre nel suo Figlio,verità e luce, e il conseguenteatteggiamento dell’uomo chedeve accogliere questa rivela-zione. Si tratta di fare la veritànella propria vita. Come?

Vivere nella verità

L’uomo scopre ed accoglie laverità in modo tale da diventa-re la forma del suo comporta-mento. Quale?

a) Camminare nella verità«Mi sono molto rallegrato di

avere trovato alcuni dei tuoi fi-gli che camminano nella ve-rità, secondo il comandamen-to che abbiamo ricevuto dal Pa-dre» (23). L’espressione indi-ca lo spazio interiore da cui èispirata la carità interiore: sta-re e vivere nella luce della ve-rità di Cristo.

2) Amare nella verità«…Per la verità che è in noi…»(24), indica il principio dell’a-more verso i fratelli; «… nelle

opere e nella verità…» (25).Le opere esterne di carità ver-so i fratelli bisognosi sono unsegno che la verità di Cristo èin noi. La formula esclude ogniconcezione soltanto umanistadell’amore fraterno: la parte-cipazione all’amore che vienedal Padre, che ci è stato rivela-to in Cristo. Non è solidarietàma carità-agape..

3) Adorare nello Spirito enella verità

«Ma è giunto il momento, edè questo, in cui i veri adorato-ri adoreranno il Padre nello Spi-rito e nella verità, perché il Pa-dre cerca tali adoratori. Dio èspirito, e quelli che lo adorano

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pone il problema della natura del-l’antropologia filosofica. Si posso-no leggere, con grande interesse, al-cune pagine di E. PRZYWARA,L'uomo: antropologia tipologica,Milano 19984.3) Vedi J. DE FINANCE, Essaisur l'agir humaine, Paris 19986, pp.39-44. Cfr anche P. RICOEUR, Levolontaire et l'involontaire, Paris1967, vol. I, pp. 37-63.4) J. DE FINANCE, op. c., p. 41.5) CosÏ pensa J. DE FINANCE,op.c., p. 42. 6) J. DE FINANCE, op. c.,pp. 45-55, passim.7) Come sembra trasparire nelladistinzione tra «il fondamento on-tologico della vita spirituale e la co-scienza che il soggetto ne ha». CfrC. BERNARD, Teologia spiritua-le, G. BARBAGLIO - S. DIANICH,Nuovo Dizionario di Teologia. Sup-plemento 1, Alba 1982, p. 211. Ladistinzione ricordata ha portato deigravissimi danni nell'ambito dellateologia cattolica romana. Alcuniaspetti della tradizione manualisti-ca lo testimoniano.8) Scrive T. SPIDLIK, Manualefondamentale di spiritualità, Casa-le Monferrato 1993, p. 32: «La pa-rola greca “caris” significa fascino,bellezza, beneficenza unita a rico-noscenza. Interpreta il termine ebrai-co hen, che sta ad indicare uno sguar-do benevolo dall'alto. Era, quindi,adatto ad esprimere i benefici di Dioche, dalla sua altezza, si rivolgevaagli uomini. Accanto al termine gre-co c£riV, i Padri greci usano la pa-rola pneuma, spirito. Si tratta dellostesso dono divino. Pneuma signi-fica: il dono è divino, c£riV accen-tua la sua gratuità. Il latino gratiacorrisponde al termine greco: be-nevolenza e bontà di Dio verso l'uo-

mo.10) O. H. PESCH, Liberi per gra-zia. Antropologia teologica, Bre-scia 1988, p. 426.10) Cfr A. BERTULETTI, L'ap-pello all'esperienza nella teologiacontemporanea. Conclusioni e pro-spettive, in Teologia 6 (1991) 189-194.11) Cfr G. MOIOLI, L'acquisizio-ne del tema dell'esperienza da par-te della teologia, e la teologia del-la spiritualità cristiana, in Teologia6 (1981) 145-153. Sempre di G.MOIOLI vedi Esperienza cristiana,in Nuovo Dizionario di Spiritualità,Alba 1987, pp. 536-542, partico-larmente p. 537. 12) H. U. Von BALTHASAR, Glo-ria, 1. La percezione della forma,Milano 1971, p. 137.13) Ibid. p. 139.14) Gv 12, 44.15) Gv 13, 34s.16) H. U. Von BALTHASAR, Se-quela e ministero, in Sponsa Verbi,Brescia 1985, p. 73-137; in modoparticolare si ponga attenzione allepp. 93-96.17) G. MOIOLI, La figura del cri-stiano nella storia: il cristiano di ie-ri, il cristiano di oggi, il Cristo disempre, Milano 1980, p. 73.18) Cfr G. MOIOLI, Esperienzacristiana, in Nuovo Dizionario diSpiritualità, o. c., p. 541.19) Cfr H. U. Von BALTHASAR,Gloria 1, op. c., p. 244; vedi anchep. 196.20) Cfr Gv 6,29.21) Gv 3,19.22) Gv 6,28.23) 2Gv 4.24) 2Gv 1.25) 1Gv 3,18.26) Gv 4,23-24.27) Gv 4,10-14.

devono adoralo nello Spirito enella verità» (26).

Questi due termini: Spirito everità descrivono ciò che è perGiovanni “l’acqua viva” (27).La rivelazione di Gesú (la ve-rità) interiorizzata nel cuoredallo Spirito, che rende cosípresente in noi la verità di Cri-sto.

4) Essere cooperatore dellaverità

«Padre santo, conservali neltuo nome che mi hai dato» (28).

La verità cristiana ammoni-sce a praticare la carità, esserefedele all’appello della fede.

CONCLUSIONE

“Vivere nella verità” signifi-ca vivere nell’irraggiamentodella verità di Cristo che di-mora in noi per mezzo della fe-de.

Se la verità è la verità stessadi Dio, cioè la rivelazione del-l’amore del Padre e del Figlio,significa che anche noi dob-biamo vivere interamente inCristo la nostra vita di figli diDio, imprenditori.

1) Vedi il contributo di K. RAH-NER, ll problema dell'ominizzazio-ne, Brescia 1969.2) In questo modo, in realtà, si

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tenzialità e da ciò non può chederivare un lento ma inesora-bile calo della redditività azien-dale.

Le aziende “miopi” massi-mizzano sí il profitto, ma solonel breve periodo, e si trovano,poi, a dover fronteggiare il pro-blema di un eccessivo turnoverdei lavoratori. Questo circolovizioso può essere interrottosolamente dalla parte contrat-tualmente piú forte e cioè lagrande impresa.

Il primo passo in questa di-rezione è inevitabilmente rap-presentato dalla presa di co-scienza dei “valori”. La tra-sposizione di questi valori al-l’interno della GRU porterà,poi, a una EGRU (Etica Ge-stione delle Risorse Umane)con tutte le positive conse-guenze che ne derivano: i di-pendenti svilupperanno un sen-so di lealtà e gratitudine neiconfronti delle aziende e, quin-di, le strategie di medio/lungotermine potranno, finalmente,essere deliberate sull’unicacomponente organizzativa dal-la quale nessuna azienda puòprescindere: l’uomo.

Ed è proprio sulla centralitàdell’uomo rispetto alle proce-dure che si sviluppa lo studiodi un mio libro. Ritengo ne-cessario ricordare, prima, la dif-ferenza tra GRU e gestione delpersonale.

La GRU può essere definitacome la disciplina che ha peroggetto di studio l’aspetto uma-no della gestione dell’impresa.La GRU ha una dimensioneglobale e strategica, nel sensoche tiene in considerazione l’in-

ETICA GESTIONE

DELLE RISORSE

UMANE NEI PAESI

IN VIA DI SVILUPPO

Il successo di unaazienda è assicuratose non si prescindemai dalla base sulla quale si fonda: l’uomo

tera disponibilità della forza la-voro e la rapporta ai piani azien-dali. In termini piú pragmaticiricordiamo che la detta valen-za strategica si esprime in ter-mini macronumerici. Ad esem-pio, attraverso il piano delleRU si è soliti determinare l’in-cidenza percentuale del costodel lavoro rispetto al fatturatoglobale dell’impresa, cosí co-me l’ammontare degli investi-menti da stanziarsi per le atti-vità mirate allo SRU (Svilup-po delle Risorse Umane). Perquanto riguarda le sue fonda-menta, è utile ricordare comesia generalmente riconosciutodalla dottrina che la materia

ETICA E RISORSE UMANE

ATTIVITA’

a cura di Massimo Ferdinandi

L’approccio di natura eti-ca alla materia delle RU(Risorse Umane), può

essere definito come una si-tuazione idilliaca, a tal punto darasentare l’utopia. In realtà citroviamo al cospetto di un ve-ro e proprio paradosso.

Se la logica del profitto èspesso definita “spietata”, acausa di un mercato sempre piúconcorrenziale, come è possi-bile che la quasi totalità delleimprese non abbia ancora pie-namente recepito che un’eticaimplementazione della GRU(Gestione delle Risorse Uma-ne) potrebbe portare a una mas-simizzazione dei loro profitti?

La logica del profitto, cosícome è oggi concepita, piú cheessere definita “spietata” sa-rebbe piú propriamente defini-bile “miope”. I sistemi di GRUapplicati dalle imprese dei Pae-si in via di sviluppo si rivolgo-no a quello che noi denomi-niamo il “mercato delle op-portunità”. Nel breve periodoun tale modo di condurre le at-tività imprenditoriali può pro-durre risultati economici supe-riori a quelli delle aziende chepreferiscono adottare una poli-tica delle RU che preveda lacentralità dell’uomo rispetto al-le procedure, alle strategie, alcomplesso e articolato sistemaaziendale. La logica “miope”del profitto si dimostra perdentegià nel medio termine. Legi-slazioni locali troppo permis-sive e il basso costo del lavo-ro, producono lavoratori de-motivati, non sufficientemen-te addestrati, spesso non im-piegati al pieno delle loro po-

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le risorse umane” e “gestionedel personale”, il piú delle vol-te, vengono erroneamente usa-te come sinonimi. In realtà lagestione del personale appar-tiene al piú ampio genus dellaGRU e ha una valenza praticae strumentale. Infatti, attraver-so la dizione gestione del per-sonale ci si riferisce alle tecni-che e alle procedure per mez-zo delle quali vengono imple-mentate le direttive strategichedel piano delle RU.

Un ulteriore elemento di dif-ferenza con la GRU è rappre-sentato dal fatto che le singoletecniche di gestione del perso-nale si riferiscono a determinatigruppi della forza lavoro, pre-senti all’interno dell’aziendache potenziali. Le tecniche e leprocedure di gestione del per-sonale possono essere catalo-gate all’interno di tre gruppiprincipali, a seconda dello sco-po che si prefiggono: a) utiliz-zo (selezioni, assunzioni, tra-sferimenti, promozioni, dimis-sioni/licenziamenti, valutazio-ni, ferie/permessi); b) motiva-zione (mansionari, salari, frin-ge benefits, consultazioni, par-tecipazioni, negoziazioni, giu-stizia); c) protezione (condi-zioni di lavoro, sistemi previ-denziali, sicurezza, applica-zione legislativa).

Al fine di rispondere al me-glio a codesto quesito, ripor-tiamo a seguire la definizionedi GRU proposta da Graham eBennett, per poi commentarla:«La GRU riguarda l’aspettoumano della gestione dell’im-presa e la relazione tra i di-pendenti e l’azienda. Il suo sco-

po è quello di assicurare che lerisorse umane vengano utiliz-zate in modo tale da portare ildatore di lavoro ad assicurarsiil massimo beneficio dalle lo-ro capacità e che i dipendentiottengano la giusta gratifica-zione sia di ordine materialeche psicologica. La GRU si ser-ve di tecniche e procedure co-munemente identificate sottoil nome gestione del persona-le».

La suddetta definizione in-dica un percorso che parte dalprofitto d’impresa e terminacon l’applicazione dei valori.Infatti, “l’aspetto umano del-l’impresa” viene in primis rap-portato allo «scopo di assicu-rare che le risorse umane ven-gano utilizzate in modo tale daportare il datore di lavoro ad as-sicurarsi il massimo beneficiodalle loro capacità». Il fatto che«i dipendenti ottengano la giu-sta gratificazione sia di ordinemateriale che psicologica» vie-ne menzionato solo successi-vamente.

La definizione di Graham eBennett esprime un atteggia-mento generalizzato da partedelle imprese, le quali dannopriorità al perseguimento delreddito considerando le RU co-me un mezzo.

Io propongo un percorso in-verso: se si parte dall’applica-zione dei valori e si sfocia nelraggiungimento di un profittod’impresa, profitto sicuramen-te superiore rispetto a quelloottenibile percorrendo il cam-mino contrario.

Da un punto di vista pura-mente classificativo, la EGRU

della GRU si basi sui risultatidella scienza della psicologiadel lavoro (work psychology).Da un punto di vista dinamico,la GRU può definirsi come unadisciplina in continua evolu-zione ove le priorità, e lo stes-so elenco dei princípi etici chela compongono, possono va-riare a seconda delle differen-ti realtà geografiche e cultura-li nelle quali si opera. La dettanatura evolutiva di questa ma-teria di studio porterà il mana-ger a confrontarsi con una mol-teplicità di casi difficilmenteriscontrabili nei libri di testo.

A livello accademico le fa-coltà di management includo-no nei loro programmi di stu-di la materia della GRU, al-l’interno della quale vengonotrattati in maniera sempre piúampia i suoi risvolti etici. Nonesiste però alcuna disciplinaspecifica che tratti l’argomen-to in maniera strutturata. Lastessa letteratura sull’argo-mento è alquanto scarsa, so-prattutto a livello di testi tecnici.

GESTIONE DELLE RISORSE

UMANE O DEL PERSONALE?

Le definizioni “gestione del-

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nei Paesi in via di sviluppo è daconsiderarsi come una dellespecies della piú ampia disci-plina della GRU. La EGRU sipone allo stesso modo nei ri-guardi della CSR (CorporateSocial Responsibility). Infatti,anche in questo caso, la CSR sipone come il genus al quale èriconducibile la species dellaEGRU. La responsabilità so-ciale dell’impresa sottintendeun atteggiamento etico sia al-l’esterno che all’interno del-l’organizzazione.

La EGRU rappresenta, dun-que, uno degli aspetti applica-tivi interni della piú generale re-sponsabilità sociale d’impresa.

Ma perché tanta attenzioneverso i Paesi in via di viluppo.La risposta è semplice. Infatti,mentre in tutte le nazioni in-dustrializzate sono in vigorecorpi legislativi che regola-mentano in maniera chiara i di-ritti e i doveri dei lavoratori,nei Paesi in via di sviluppo ta-li regolamentazioni sono o as-senti o vengono raramente ap-plicate a causa di un deficita-rio sistema esecutivo.

Ne consegue che tali lacune,legislative o esecutive, posso-no essere efficacemente col-mate solo attraveso le politi-che di EGRU delle multina-zionali. Inoltre, le diversità pre-senti all’interno della forza la-voro vengono percepite dai di-pendenti locali in manieraprofondamente diversa da quel-lo che avviene in Occidente.

A mio avviso, un modellooperativo applicabile a tutti iPaesi in via di sviluppo si muo-ve lungo due direzioni di ana-

lisi. La prima direzione di ana-lisi vuole focalizzare l’atten-zione su dei fattori oggettiviesterni all’organizzazione cheinfluenzano la vita del dipen-dente sul luogo di lavoro. La se-conda, invece, propone comeoggetto di studio tutte le di-versità che sono state identifi-cate come rilevanti ai fini del-la EGRU nei Paesi in via disviluppo. Definisco queste di-versità come i fattori soggetti-vi inerenti all’attività lavorati-va che influenzano la vita deldipendente.

Come sopra premesso, il pia-no delle RU delinea la direzio-ne strategica delle politicheaziendali e la esprime in ter-mini macronumerici. All’in-terno della nostra fattispecie, ilpiano delle RU deve tenere pre-sente le problematiche relativeai sopra menzionati fattori og-gettivi e soggettivi.

Per quanto riguarda, poi, lespecifiche tecniche di gestionedel personale, strettamente ine-renti alla suddetta fattispeciegestionale, quelle relative aifattori oggettivi sono facilmenteidentificabili e quantificabilisotto il punto di vista dei costioperativi.

Serve dunque uno schemaoperativo della tecnica dell’i-dentificazione delle situazionigiuridiche e di fatto penaliz-zanti per il lavoratore (p. es.copertura infortunistica del di-pendente, il peso politico del-le unioni sindacali nei Paesi invia di sviluppo, i livelli salarialiminimi, …). La questione deilivelli contributivi, per esempio,apre le porte al dibattito sui pre-

sunti vantaggi del costo del la-voro a buon mercato.

In aggiunta alla lacunositàdelle previsioni legislative, varicordato che in molti dei Pae-si in via di sviluppo il lavoro deigiuristi in tema di diritto del la-voro non ha soddisfatto quelgrado di specificità che richie-derebbe un argomento cosí de-licato. Inoltre, la loro operasembra essersi svolta in ma-niera tutt’altro che uniforme edarticolata.

COMPRENDERE LA DIVERSITÀ

Per quanto riguarda i fattorisoggettivi, appare chiaro chesolo dopo aver propriamentecapito la diversità in oggetto sipotrà procedere ad applicare latecnica relativa alla sua ge-stione.

Ma cos’è esattamente la tec-nica della comprensione? Il pre-supposto di tale modalità ge-stionale risiede nella circo-stanza che ciò che per il ma-nager è scontato nel suo Pae-se d’origine non lo è nel Paesein via di sviluppo nel quale ope-ra. La tecnica della compren-sione è un processo di acquisi-zione di conoscenze che si ba-

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zione di una multinazionale inun Paese in via di sviluppo hauna differente visione dellarealtà quale conseguenza del-le caratteristiche culturali del-la sua etnia di appartenenza edel modo in cui percepisce e vi-ve le diversità di cui è portato-re e che lo circondano. Ne con-segue che il suo modo di in-terpretare il mondo riguarderà,dunque, anche ogni aspetto del-la sua vita lavorativa: la sua as-sunzione, la sua promozione, ilsuo programma di addestra-mento, il suo trattamento retri-butivo…

Tutti questi momenti strut-turali della sua vita aziendaletrovano un loro riscontro in cor-rispondenti tecniche di gestio-ne del personale, le quali po-tranno essere efficacemente ap-plicate solo sulla base dell’im-prescindibile premessa che es-se si rivolgono ai lavoratoriquali esseri umani e non comenumeri di matricola aziendali.

Capire le differenti visionidella realtà costituisce, dunque,la chiave applicativa di tutte leattività dirette a regolamenta-re la vita aziendale dei singolidipendenti. Sarà compito delmanager assicurarsi che questediverse percezioni trovino un ri-scontro nei modi in cui l’a-zienda si interfaccia con i suoisubordinati (p. es. programmadelle ferie, principali festivitàreligiose, i trattamenti retribu-tivi, la valutazione delle pre-stazioni).

Dalle riflessioni sopra ripor-tate scaturisce un importanteprincipio e cioè: le nuove co-noscenze derivanti da una cor-

retta applicazione della tecni-ca della comprensione dovran-no essere utilizzate non soloper gestire l’impatto delle di-versità sui sistemi aziendali,maanche per stabilire le modalitàdell’impatto dei sistemi azien-dali sulla vita dei lavoratori di-versi.

DEFINIRE LA DIVERSITÀ

Strettamente collegata allafase dell’identificazione è ladefinizione di diversità. Dighsottolinea che, sebbene questadefinizione sia estremamenteampia, ciò non non implica ne-cessariamente che una sua com-ponente sia piú importante del-l’altra. Il fattore importante è laconsapevolezza che ogni orga-nizzazione ha delle ben speci-fiche diversità sulle quali con-centrare i suoi sforzi.

Nel caso di managers cheoperano per conto di organiz-zazioni che svolgono la loro at-tività in Paesi in via di svilup-po, identificherei dodici tipo-logie di diversità: etnia; cultu-ra etnica e nazionale; habitus;motivazione; comunicazione;genere sessuale; orientamentisessuali; età; status sociale; ri-soluzione dei conflitti; religio-ne; perdono.

Ad eccezione della religione,si potrebbe argomentare chedieci di queste diversità (la cul-tura etnica e nazionale,l’habi-tus, la motivazione, la comu-nicazione, il perdono, il gene-re sessuale, gli orientamentisessuali, l’età, lo status socia-le, la risoluzione dei conflitti)potrebbero essere classificatecome delle species del genus

sa su tre momenti principali:1) identificazione delle diver-sità rilevanti per la EGRU neiPaesi in via di sviluppo in ge-nerale; 2) comprensione dellediversità in generale e poi co-me queste ultime vengono per-cepite e vissute nel Paese in viadi sviluppo nel quale il mana-ger svolge la sua attività; 3)analisi dell’impatto delle di-versità sulla vita dell’organiz-zazione.

La comprensione delle di-versità (e la loro gestione) e lenormative in materia di dirittodel lavoro nei Paesi in via di svi-luppo sono argomenti di gran-de attualità, oggetto di un ap-passionato dibattito.

È fondamentale sottolineareche, a sua volta, la tecnica del-la comprensione delle diver-sità è da intendersi all’internodell’intera vita dell’impresa esi pone a valle sia delle speci-fiche tecniche di gestione del-le diversità che di tutte le altretecniche di gestione del perso-nale.

Quest’ultimo principio ri-sulterà meglio comprensibilese si parte dall’assunto che ognidipendente della delocalizza-

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dell’etnia. In ogni caso, allo scopo di

mantenere la mia ricerca en-tro fini estremamente praticiho trattato tutte le tipologie didiversità separatamente, limi-tandomi a segnalare la loro co-mune matrice antropologica(l’etnia).

Non ho incluso nell’analisialtri modi in cui gli individuipossono differire gli uni daglialtri come, ad esempio, l’intel-ligenza, il tipo di personalità,l’apparenza estetica, i loro hob-bies ecc. Ritengo che la tratta-zione di tali ulteriori esempi didifferenze non sia fondamentaleper la fattispecie gestionale chemi sono proposto di analizza-re.

Sempre in relazione alla suadefinizione, è necessario ri-cordare che la parola diversitànon è sinonimo di discrimina-zione. Quest’ultima riguarda ilmodo attraverso il quale si trat-ta differentemente gli esseriumani in base a dei pregiudizi.Il pregiudizio potrebbe peròtrovare origine da qualunquedelle diversità sopra elencate.Avalle dell’identificazione del-le diversità rilevanti per l’or-ganizzazione, si pone la lorocomprensione, ove per com-prensione intendiamo la tra-sposizione del processo cogni-tivo su tre differenti livelli:

a) livello generale: com-prensione delle problematichegenerali connesse alle singoletipologie di diversità;

b) livello locale: com-prensione del modo in cui lediversità vengono percepite evissute in una determinata area

geografica, da una determina-ta comunità;

c) livello individuale:comprensione del modo in cuile diversità vengono vissute daisingoli membri delle suddettecomunità in base alle influen-ze ereditarie ed ambientali.

Una volta identificata e com-presa una certa tipologia di di-versità, si potrà procedere al-l’analisi del suo impatto sui si-stemi aziendali.

IMPATTO SUI SISTEMI AZIENDALI

Possiamo differenziare que-sto impatto in: a) impatto sul-le prestazioni dei lavoratori; b)impatto sulla vita di relazioniaziendale.

Si pone a questo punto la que-stione dell’approccio azienda-le al tema delle diversità.Tra ipossibili modi di affrontare que-sto fattore soggettivo, ho opta-to per quello che è ritenuto co-me essere il piú etico: l’ap-proccio integrativo.

Tale modalità gestionaleprende il nome dall’azione del-l’organizzazione che tende aintegrare i diversi punti di vi-sta dei propri dipendenti al-l’interno della vita aziendale alfine di poter beneficiare dellepiú svariate opinioni per il con-seguimento sia di una maggio-re efficienza nei servizi che diuna razionalizzazione e incre-mento della qualità dei vari pro-cessi aziendali.

In tal senso è meritevole dimenzione la politica di GRUdella casa automobilistca Vol-vo, la quale attraverso il suo si-to web, nella sezione job op-portunities, cosí si esprime: «Il

Gruppo Volvo riconosce l’im-portanza della valorizzazionedelle diversità. Riteniamo chela diversità sia un catalizzato-re per l’innovazione ed una fon-te di competitività internazio-nale e di profitto. Attraversol’incorporazione nella Volvo diteams ad alte prestazioni, di ta-lenti e delle idee di un gruppodi lavoro composto da personedi diverae nazionalità, età, ge-neri sessuali, radici etniche, raz-ze, cultura, conoscenza, espe-rienze ecc. stiamo cercando diespandere la nostra conoscen-za di base, capacità e com-prensione, al fine di meglio ri-spondere alle esigenze dei no-stri clienti e rafforzare la nostraposizione sul mercato».

L’approccio integrativo puòessere considerato come rias-suntivo delle tematiche del-l’assimilazione e della diversi-ficazione, le quali vengono poisviluppate in maniera incorpo-rativa.

Questo approccio incoraggial’assunzione e la ritenzione diuna forza lavoro differenziatae riconosce al tempo stesso ungrande valore alle diversità, lequali vengono trattate in ma-

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che specifiche di gestione (di-rette alle problematiche pro-prie di ogni singola diversità).

La tecnica generale è da in-terpretarsi come un piú ampiogenus di questa materia ge-stionale, tecnica che poi si svi-luppa nelle sue species appli-cative inerenti alle differenti ti-pologie di diversità.

DIVERSITÀ E INTEGRAZIONE

In linea generale possiamoidentificare nove differenti ini-ziative che dovrebbero essereintraprese dal manager per lagestione delle diversità sullabase del suddetto approccio ditipo integrativo.

Riassumiamo brevemente ledette iniziative come segue.

1) Il manager deve essereconsapevole che i benefici de-rivanti da una forza lavoro di-versificata possono essere nu-merosi e sostanziali.

2) Il manager deve esplo-rare in quale maniera i diversigruppi rappresentati all’internodell’organizzazione possonoinfluire sulle dinamiche dellerelazioni sociali e sul modo incui l’attività lavorativa è con-dotta.

3) Il manager deve avvia-re dei confronti aperti con i di-pendenti attraverso i quali que-sti ultimi vengono incoraggia-ti a proporre e discutere aper-tamente le loro differenti espe-rienze maturate al di fuori del-l’organizzazione (sia come con-seguenza di precedenti espe-rienze lavorative che ell’ap-partenenza ad un determinatogruppo). Tale incoraggiamen-to deve essere esplicito.

4) Il manager deve identi-ficare e rimuovere le barriere,esistenti e potenziali, alla pie-na e libera espressione dellecompetenze dei suoi subordi-nati. Questa azione si rende ilpiú delle volte necessaria nei ca-si in cui all’interno dell’orga-nizzazione uno o piú gruppidominanti, al fine di mantene-re la loro posizione di privile-gio, si pone in maniera discri-minatoria verso i gruppi mino-ritari. In questi casi la posizio-ne del manager deve esserequella di tolleranza zero.

5) Il manager deve crearel’aspettativa di un elevato stan-dard delle prestazioni lavorati-ve in modo tale che essa assu-ma un ruolo propedeutico allalibera espressione degli aspet-ti positivi delle diversità.

6) Il manager deve assi-curare l’implementazione di unefficace piano di SRU sulla ba-se dei bisogni individuali qua-li derivazione delle proprie di-versità.

7) Il manager deve assi-curare che venga corrispostoun adeguato riconoscimento al-le soddisfacienti prestazioni la-vorative, con particolare rife-rimento all’apporto derivantedalle diversità.

8) La struttura dell’orga-nizzazione deve essere il me-no burocratica possibile. Il ma-nager deve saper identificare edapplicare delle procedure chegestiscano lo scambio delle opi-nioni ritenute utili per l’orga-nizzazione ed eliminare quel-le che le ostacolano.

9) Il manager deve moni-torare costantemente il livello-

niera tale che si possa trarre unbeneficio globale dalle stesse.

Per quanto riguarda, invece,il prevalente àmbito applicati-vo della gestione delle diversità,va sottolineato il fatto che ilmanager si troverà ad affron-tare le maggiori difficoltà prin-cipalmente durante la quoti-dianità, piuttosto che all’oc-correnza delle questioni di mag-giore risonanza, quali i grandiscandali o le chiare violazionietiche.

Infatti, per tali comporta-menti palesemente immorali,le grandi multinazionali hannogià sviluppato una prassi con-solidata per fronteggiare l’opi-nione pubblica. La gestione del-le diversità nella loro quoti-dianità, al contrario, è il piúdelle volte delegata alla sensi-bilità ed alle capacità del ma-nager.

Il modo in cui le diversitàvengono affrontate a livelloaziendale influenza in manie-ra determinante la loro succes-siva gestione, la quale può es-sere suddivisa in: a) tecnica ge-nerale di gestione (che si basasu princípi generali applicabi-li a tutte le diversità); b) tecni-

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di fiducia dei subordinati neiconfronti dell’organizzazione.Il pericolo maggiore per unacorretta gestione delle diver-sità è il calo di fiducia nei con-fronti dei criteri meritocraticidell’organizzazione. Un atteg-giamento compiacente versoun membro di un determinatogruppo, se non motivato in ma-niera trasparente, potrebbe es-sere equivocato dagli altri grup-pi come un favoritismo.

Come già accennato, le sud-dette nove iniziative sono ap-plicabili alla gestione di tutte lediversità a prescindere dalla lo-ro tipologia. Queste iniziativenecessiteranno di una succes-siva integrazione con le speci-fiche tecniche di gestione del-le dodici tipologie di diversitàche abbiamo identificato comesignificative per una EGRU neiPaesi in via di sviluppo.

Ancora una volta giova ri-cordare che tali tecniche (spe-cies) debbono essere persona-lizzate all’interno dei contestisociali, economici, etnici, cul-turali e religiosi del luogo incui si opera al fine di non crea-re degli stereotipi di manage-ment, assai pericolosi per unacorretta gestione delle risorseumane e dei suoi risvolti etici.

La disciplina della GRU,avendo per oggetto la gestionedegli uomini e i loro compor-tamenti, combina in sé ancheelementi di natura antropolo-gica e sociologica, i quali van-no integrati con i piú noti prin-cipi di management e quelli diordine psicologico, giuridico emacroeconomico. È importan-te che il manager abbia una vi-

sione globale dello scenario at-traverso il quale si sviluppal’intera materia e che dimostriuna sensibilità analitica in talsenso.

Allo scopo di meglio chiari-re il modo in cui ho ritenutodovesse essere trattata la ma-teria della EGRU nei Paesi invia di sviluppo, riporto a se-guire, in maniera integrale ilparagrafo del mio testo dedicatoalla diversità “dell’età”.

Si potrà facilmente notare co-me viene rispettato il sopra pro-posto schema della tecnica del-la comprensione della diver-sità. Infatti, l’analisi parte dauna comprensione a livello ge-nerale dell’età cronologica perpoi passare a un esame di det-ta diversità su di un livello lo-cale e, successivamente, indi-viduale.

L’ETÀ: UNA DIVERSITÀ

SOLAMENTE BIOLOGICA

Nelle moderne organizzazio-ni la forza lavoro piú anzianaviene spesso considerata comeobsoleta o, nel migliore dei ca-si, non strettamente necessaria.

Tale atteggiamento nei con-fronti dei lavoratori, in genera-le sopra i quarant’anni, si ag-grava ulteriormente varcata lasoglia dei cinquant’anni. Acon-ferma di questo diffuso orien-tamento aziendale è intervenu-to uno sondaggio condotto dal-l’Universita della Pennsylva-nia nel 1994: «il 25% dei lavo-ratori tra i ciquantuno e i ses-santuno anni stima nell’ordinedel 50% la possibilità di esserelicenziata entro l’anno».

Questa percezione negativa

sembra, nella maggioranza deicasi, essere causata dalla erra-ta credenza che le capacità diapprendimento calino consi-derevolmente con il soprag-giungere della mezza età. In-fatti, si è dato credito a lungoai risultati degli studi di Miles,il quale, nel 1931, dimostrò co-me l’IQ si sviluppasse in ma-niera inversamente proporzio-nale all’età degli individui.

In realtà le conclusioni pro-poste da Miles si rivelaronoinesatte in quanto gli studi fu-rono condotti entro periodo li-mitato di tempo (cross-sectio-nal method) e su persone conprofonde differenze educazio-nali e culturali. Alcuni studisuccessivi, effettuati sulla ba-se di un lasso temporale cheabbracciava l’intera vita degliindividui (longitudinal method),sovvertirono i risultati di Miles.

Ad esempio, Burns nel 1966dimostrò che i membri del grup-po da lui esaminato, tutti pro-fessori, con il passare del tem-po aumentarono il loro IQ re-lativamente alle tematiche inrelazione all’oggetto dei loroinsegnamenti. Questi ultimi stu-di portarono alla deduzione che

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ca a favore del gruppo piú an-ziano, rispetto a quello piú gio-vane, risultò superiore a quel-la del primo studio.

Una prima tendenza fu quel-la di interpretare i risultati di en-trambi gli esperimenti sulla ba-se della differente educa zionescolastica: i meno recenti si-stemi d’istruzione erano di na-tura principalmente nozioni-stica e prediligevano la me-morizzazione, mentre quelli piúmoderni cercano di stimolare igiovani al ragionamento.

Venne inoltre sottolineato co-me i piú giovani, alle prese conuna fase della vita densa di pro-blematiche relative alla co-struzione del proprio futuro,non avessero posto particolareattenzione al massimo utilizzodelle loro capacità mentali; alcontrario gli anziani, sensibi-lizzati dal diffuso atteggiamentosociale che identifica il decli-no con l’invecchiamento, ave-vano profuso il massimo im-pegno.

In effetti, una dimenticanzaviene socialmente percepita inun giovane come sbadataggine,mentre viene intesa come indicedi declino fisico in un anziano.Sulla falsariga degli esperimentidi Burns, molti autori sosten-gono attualmente come la mag-gior parte delle persone piú an-ziane abbia la stessa possibilitàdei giovani di intraprendere consuccesso un percorso di ap-prendimento: l’unica differen-za rispetto ai giovani, prose-guono gli studiosi, potrebbe es-sere la velocità con la qualevengono acquisite le nuove no-zioni in base al principio che la

celerità nell’apprendere è unaconseguenza della dinamicainerente la continua stimola-zione cerebrale (ovvero la con-tinuità dei processi di appren-dimento durante l’intero corsodella vita).

Tale continuità è natural-mente rispettata tra i giovani, iquali passano dalla scuola di-rettamente al mondo del lavo-ro, ma non è escluso che una di-namica simile sia presente an-che tra le persone di mezza età.Nella pratica, una curiosa si-tuazione sembra essersi creataall’interno delle aziende: se dauna parte è spesso riscontrabi-le un atteggiamento che tendeall’emarginazione, rompendocosí il cosiddetto contratto psi-cologico (contratto non scrittoattraverso il quale aziende e di-pendenti riconoscono vicende-volmente le proprie necessità),dall’altra esistono anche molticasi in cui i lavoratori piú an-ziani sono estremamente ri-spettati e il loro apporto all’or-ganizzazione, soprattutto in ter-mini di esperienza, viene valu-tato positivamente. Infatti, l’ap-proccio piú etico, e di conse-guenza di sicuro beneficio perl’impresa, è quello di capireche tutti gli stadi della vita so-no una continuazione di quel-li precedenti, con il bagaglio diconoscenze ed esperienze chene consegue.

Sulla base di questo assunto,il manager, nel valutare il po-tenziale apporto alternativo de-gli anziani, deve tenere conto,in primo luogo, della loro rea-le capacità nello svolgere i com-piti istituzionali e, successiva-

la mente segue lo stesso prin-cipio di reazione dei muscoliovvero se tenuta in eserciziomantiene un adeguato grado diefficienza. Questo assunto èoggi accettato dalla quasi tota-lità degli psicologi, i quali, giu-stamente, sottolineano comeesso rimanga generalmente va-lido fino all’inizio del rapido de-clino fisico dell’essere umanoche in genere dura cinque an-ni e si esaurisce con il decessonaturale. Per quanto riguardale capacità mnemoniche, alcu-ni studi di Harrison e Sunder-land nel 1981dimostrarono co-me il gruppo analizzato di etàcompresa tra i 69 e gli 81 anniavesse raggiunto risultati mi-gliori rispetto a quello di etàpiú giovane (20 e 36 anni).

Poiché il risultato fu giudicatoanomalo, l’esperimento fu con-dotto nuovamente su un nuovogruppo di persone tra i 50 ed i60 anni, ancora attive nel mon-do del lavoro, e un secondogruppo di giovani della stessaetà del precedente esperimen-to. Il risultato di questo suc-cessivo studio fu ancora piústupefacente del primo: la dif-ferenza di capacità mnemoni-

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mente, della loro personale abi-lità nel trasmettere la cono-scenza e l’esperienza di cui so-no depositari.

Entrambe queste valutazio-ni, al fine di risultare efficaci inchiave applicativa, devono te-nere conto del contesto socialee culturale nel quale opera l’or-ganizzazione. Anche in questocaso la predisposizione di ap-posite schede di valutazione po-trebbe essere di grande utilità.Tali schede dovrebbero preve-dere degli specifici parametridi misurazione, predisposti adhoc, imperniati a) sulle moda-lità dei trasferimenti di infor-mazioni ritenute utili per l’or-ganizzazione; b) sulle capacitàdi supervisione sul lavoro dei di-pendenti piú giovani.

LA PERCEZIONE SOCIALE DEL

RUOLO DEGLI ANZIANI NEI

PAESI IN VIA DI SVILUPPO

Il manager deve tenere con-to del contesto sociale, cultu-rale e religioso nel quale l’or-ganizzazione opera. Se fino aquesto punto abbiamo affron-tato la tematica dell’età in ba-se a uno schema generalizzato,dobbiamo adesso sottolinearecome l’atteggiamento dei piúgiovani nei confronti del per-sonale piú maturo differisca aseconda delle nazioni. In mol-ti dei Paesi in via di sviluppo,la classificazione sociale deglianziani e la percezione del lo-ro ruolo all’interno delle di-verse forme aggregative variaprofondamente rispetto al-l’Occidente.

Infatti, mentre nelle nazioniindustrializzate si dà piú im-

portanza all’età cronologica,nel senso che viene general-mente considerata anziana lapersona che ha raggiunto i60/65 anni di età, nei Paesi invia di sviluppo l’evento classi-ficativo stà nel ruolo che vie-ne effettivamente ricoperto nel-la società, il quale coincide conle capacità fisiche.

Anche il concetto di abusonei confronti degli anziani puòessere visto in maniera profon-damente differente. La defini-zione di abuso nei confronti de-gli anziani è stata prima svi-luppata dall’associazione bri-tannica Action on Elder Abusee poi successivamente adotta-ta da un’altra organizzazione,che opera nello stesso campo ditutela dei diritti, denominataInternational Network for thePrevention of Elder Abuse.

Tale definizione propone unaclassificazione di cinque pos-sibili tipi di abuso: 1) fisico; 2)psicologico o emozionale; 3)finanziario o materiale; 4) ses-suale; 5) omissivo.

Per quanto riguarda la deter-minazione dell’effettiva pre-senza o meno di un abuso di na-tura materiale, si rende neces-saria, anche in questo caso, unaapprofondita analisi del relati-vo contesto sociale.

Ad esempio, nella tribú in-diana dei Navajo (negli StatiUniti), lo sfruttamento econo-mico degli anziani viene per-cepito come un dovere cultu-rale, cosí come lo è quello di di-videre i loro beni tra tutti i mem-bri della famiglia. Nonostantealcune eccezioni, di cui parle-remo in seguito, l’atteggia-

mento generale nei Paesi in viadi sviluppo nei confronti deglianziani è fortemente discrimi-natorio (cfr. “Dichiarazioni eRaccomandazioni Finali delForum Mondiale delle NGOsugli anziani”).

Esclusione sociale, mancan-za di opportunità e limitato ac-cesso ad attività di sviluppo,mancanza di sistemi previden-ziali: sono questi gli atteggia-menti prevalenti nei Paesi invia di sviluppo nei confrontidegli anziani e, quindi, le pro-blematiche piú rilevanti con lequali il manager occidentale sidovrà confrontare nella sua eti-ca gestione di questa tipologiadi diversità. A tal riguardo, co-me sopra accennato, va sotto-lineato che questa situazioneestremamente discriminatoria,se pur generalizzata, non è, perfortuna, riscontrabile in tutti iPaesi in via di sviluppo.

Infatti, grazie al manteni-mento di alcune tradizioni cul-turali e alla forte influenza del-le religioni, in alcune nazioniil rispetto e la considerazioneverso gli anziani, in quanto ta-li e per quello che rappresen-tano, è sicuramente superiore al

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rispetto verso i genitori comeun obbligo secondo solo a quel-lo delle preghiere ed il pren-dersi cura di loro è considera-to un onore e una benedizione.

Questo atteggiamento neiconfronti dei genitori è talmenteconsolidato nella realtà musul-mana da essere naturalmentetrasposto nelle relazioni con glianziani in genere. Non a casoin Malesia e in Indonesia, al-l’interno delle organizzazioni,regna un atteggiamento di gran-de stima e reverenza nei con-fronti dell’esperienza e dellasaggezza dei dipendenti piú ma-turi, i quali, in alcuni casi, eser-citano una influenza tale da pro-porsi come veri e propri leadersinvisibili.

Portato all’estremo anchequesto atteggiamento potreb-be risultare dannoso per l’a-zienda, la quale si rischierebbedi troversi di fronte a una di-cotomizzazione del potere de-cisionale tra quello istituzio-nalizzato dei managers e quel-lo naturalmente riconosciuto aidipendenti piú anziani.

In generale, nei Paesi asiati-ci viene riconosciuto agli an-ziani un naturale diritto al co-mando e il personale locale sisente piú a proprio agio nel ri-conoscere la leadership dellepersone di mezza età, piuttostoche dei piú giovani. Ciò nonsignifica che venga discono-sciuta a priori l’autorità dei gio-vani managers occidentali, maquesti ultimi dovranno dimo-strare capacità superiori a quel-le del personale piú maturo.

Anche in alcuni Paesi del-l’America latina la forte in-

fluenza dei valori religiosi delcattolicesimo relativi al rispet-to dei genitori è stato natural-mente trasposto all’interno deivalori sociali nei confronti de-gli anziani in genere.

Rimanendo nell’àmbito del-la sopra citata Dichiarazionedelle NGO, va sottolineato chein un suo successivo passag-gio è menzionato ciò che ab-biamo già proposto in relazio-ne agli apporti alternativi.

Risultati spesso non visibili,consapevolezza delle propriecapacità, la necessità di un chia-ro e preciso mansionario sullabase di queste ultime, espe-rienze che possono essere con-divise con le generazioni piúgiovani, un fondamentale ap-porto nel garantire la continuitàdei valori culturali: il passag-gio in questione rappresenta unvero e proprio riassunto dei be-nefici per l’organizzazione eper la società in genere, qualo-ra questo tipo di diversità fos-se gestita in base ai dovuti prin-cipi etici.

LA TECNICA DI GESTIONE

DELLA DIVERSITÀ DELL’ETÀ

CRONOLOGICA

Alla luce di quanto espostofino ad ora, possiamo schema-tizzare come segue i princípiispiratori e le modalità appli-cative relative alla specificatecnica di gestione della diver-sità dell’età cronologica.

1) Il manager deve, in pri-mis, essere consapevole del-l’importanza per l’organizza-zione degli apporti alternatividegli anziani, senza cadere nelluogo comune dell’equazione:

mondo occidentale.In molte società del passato

il maltrattamento degli anzia-ni era un fenomeno sconosciu-to. È questo il caso della societàcinese, dominata per secoli dalpensiero di Confucio, il qualeera da considerarsi, senza alcundubbio, oltre che un filosofoun sociologo di indubbio spes-sore.

Confucio analizzò con curai problemi della comunità e pro-pose delle soluzione estrema-mente pratiche. Relativamentealla questione sociale degli an-ziani il pensatore cinese siespresse come segue: «Riveri-sci i piú anziani per la loro espe-rienza e conoscenza ed impa-ra da loro come comportarsicorrettamente».

Per fortuna l’insegnamentodi Confucio è rimasto forte-mente radicato nelle tradizionicinesi ed è sopravvissuto finoal giorno d’oggi anche pressole popolazioni di etnia cinese aldi fuori dal loro paese d’origi-ne. Due esempi di forte in-fluenza religiosa sono riscon-trabili nei Paesi islamici e inquelli del Sud America. La re-ligione islamica concepisce il

ATTIVITA’ETICAE RISORSE UMANE

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GRUPPO REGIONALE LOMBARDO

• 13 giugno 2006 - Tavola ro-tonda “Per una nuova responsa-bilità degli imprenditori”. Ha sa-lutato Renzo Bozzetti. Sono in-tervenuti: Angelo Ferro che ha in-trodotto i lavori; Giuseppe De Ri-ta che ha moderato e concluso l’in-contro; Enrico Falck; Corrado Pas-sera; Steno Marcegalia; Santo Ver-sace.

SEZIONE DI BERGAMO

• 23 febbraio 2006 - Il ruolodella stampa locale per la crescitadel territorio: rappresentazione del-la realtà, descrizione delle risorse edelle problematiche presenti, sti-molo al miglioramento e allo svi-luppo. Il relatore, Dr. Ettore Ongis,Direttore del giornale locale l’Ecodi Bergamo, dopo aver spiegato ledifferenze che caratterizzano le va-rie tipologie dei quotidiani italiani,ha sottolineato l’elemento che de-termina tali differenze: il lettoremedio a cui si rivolge. Il successodi un giornale, nazionale o locale,economico o sportivo, dipendesempre da questa capacità di met-tere a fuoco il destinatario, e il suomodo di interpretare la vita di tut-ti i giorni. Nella realtà bergamasca, dove le cose si chiamano generi-camente “laur”, è evidente l’im-portanza che viene assegnata allavoro. Ma è altrettanto evidenteil rischio di interpretare tutta la

declino fisico = declino dellecapacità mentali.

2) Il manager non deve es-sere influenzato dall’orienta-mento sociale generale nei con-fronti degli anziani. Le valuta-zioni devono essere rapporta-te al solo contesto lavorativo ele azioni devono essere intra-prese sulla base di princípi eti-ci (primo tra tutti il riconosci-mento delle effettive capacitàlavorative a prescindere dal-l’età).

3) Il manager deve comu-nicare che la cultura dell’orga-nizzazione riconosce l’impor-tanza di tutte le diversità (è fon-damentale che non venga men-zionata espressamente alcunadiversità al fine di non avvalo-rare specifici intenti discrimi-natori).

4) Gli apporti alternativi(che in genere corrispondono adun contributo in termini di espe-rienza) devono essere propria-mente identificati e collocatiall’interno dei sistemi azien-dali.

5) Tali apporti devono es-sere quantificati, e resi visibi-li, per mezzo di schede di va-lutazioni ad hoc.

6) Dopo aver identificato ilgenerale orientamento socialedel luogo, nei confronti deglianziani, il manager potrà deci-dere di indirre degli incontriperiodici con il personale al fi-ne di rendere note le valuta-zioni di merito sulle prestazio-

ni dei vari dipartimenti. In ta-le occasione il manager avrà lapossibilità di porre, a secondadelle piú o meno marcate in-fluenze ambientali esterne dinatura disriminatoria, una mag-giore o minore enfasi sull’im-portanza degli apporti alterna-tivi opportunamente quantifi-cati.

7) L’eventuale trattamentopensionistico degli anziani de-ve essere in linea con le politi-che aziendali, di paritaria ap-plicazione per tutti i dipenden-ti a prescindere dall’età.

8) La previsione a bilanciodi un fondo pensionistico, qua-lora le legislazioni locali nonimponessero delle regole di pre-videnza sociale a riguardo, dacorrispondersi una tantum inconcomitanza del ritiro del di-pendente per raggiunti limiti dietà (limite stabilito dalle orga-nizzazioni e che può variare aseconda del Paese nel quale siopera) avrebbe un forte effettomotivazionale, non solo nei con-fronti dei dipendenti piú anzia-ni, e contribuirebbe alla fide-lizzazione del personale.

ATTIVITÀGRUPPI REGIONALI

E SEZIONI

ATTIVITA’

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realtà con un ’unica chiave di let-tura. Le diverse modalità di infor-mazione , sono state spiegate conesempi molto efficaci per capirecome può essere rispettata la ve-rità, e anche della sensibilità di unacomunità di antica tradizione cat-tolica. La relazione si è conclusacon un apprezzamento per l’indi-pendenza che viene garantita aldirettore di un giornale di proprietàdiocesana.• 4 marzo 2006 - Udienza ai so-ci UCID. Il 4 marzo 2006 alle ore12, il Presidente e il segretario del-la sezione UCID di Bergamo si so-no riuniti a una nutrita schiera disoci, parenti, e amici nell’Aula Pao-lo VI in Vaticano per l’udienza con-cessa dal Santo padre BenedettoXVI. È stata una grande occasio-ne offerta a tutti, per riflettere suivalori su cui si fonda l’UCID, e pertrarne linee guida per l’attività fu-tura. • 29 marzo 2006 - Etica e fi-nanza: la responsabilità socialedell’imprenditore. Relatore Dr.Matteo Colaninno, presidente G.Idi Confindustria. Il tema è stato af-frontato illuminando i fatti di cro-naca recente, alla luce della Dot-trina sociale della Chiesa. La rela-zione è stata arricchita da un nu-trito dibattito finale.• 6 aprile 2006 - “Deus CaritasEst”. In occasione del tradiziona-le momento di meditazione in pre-parazione della S. Pasqua, Mons.Arrigo Arrigoni, consulente ec-clesiastico della sezione di Berga-mo, ha commentato la prima en-

ciclica del papa Benedetto XVI°pubblicata il 25 dicembre 2005,nel suo primo anno di pontifica-to. È stato un modo per applica-re subito le linee guida tracciatedal Santo Padre nell’udienza del4 marzo.Si è trattato di una Lec-tio Divina che ha arricchito tutti co-loro che hanno partecipato; inparticolare, è stata approfonditala seconda parte dell’enciclica(quella ricordata dal Santo Padrenell’udienza del 4 marzo, nn. 26- 29). La materia è stata trattatain modo tale da lasciare ampio se-guito ad approfondimenti perso-nali sul tema della relazione fraGiustizia e carità.• 4 maggio 2006 - La profeziacristiana interpella il mondo dellafinanza.In collaborazione con l’Uf-ficio per la Pastorale Sociale dellaDiocesi di Bergamo, il tema è sta-to affrontato da prospettive di-verse, grazie a una tavola roton-da a cui hanno partecipato:Gian-franco Bonacina, Presidente BBCdi Treviglio; Mario Mazzoleni, Pre-sidente Mazzoleni spa; Mons. Al-do Vicoli, Presidente Fondazionedioc. Patronato S. Vincenzo; Car-lo Vimercati, Presidente Fonda-zione Comunità Bergamasca; Ce-sare Zonca, Presidente CreditoBergamasco. L’incontro è statomoderato dal dr. Pino Roma.• 16 maggio 2006 - L’evoluzio-ne nel processo di gestione re-sponsabile: da corporate gover-nance, a Sustainability Governan-ce. Relatore: dr. Antonio Candot-ti. Il tema è stato inquadrato nel-

la realtà italiana, costituita al 95%da imprese con meno di 10 di-pendenti. Dopo aver ricordato ifondamentali su cui poggia il bi-lancio sociale d’impresa, ne sonostati illustrati i fattori chiave, gli stru-menti e gli indicatori piú utili permisurarne la reale efficacia. • 13 giugno 2006 - Tavola ro-tonda Regionale: “Per una nuovaresponsabilità degli imprenditori”.Una nutrita rappresentanza di so-ci, ha accompagnato il presidentee il segretario della sezione di Ber-gamo alla tavola rotonda organiz-zata dal Gruppo regionale lom-bardo. Dagli interventi dei relatori- Enrico Falk, Corrado Passera, Ste-no Marcegaglia, Santo Versace,moderati da Giuseppe De Rita -sono stati tratti spunti interessan-ti di riflessione per l’attività futura.• 14 giugno UCID - “Ieri oggie domani”. Dopo l’assemblea an-nuale dei soci, il Grand’Uff. rag.Renzo Bozzetti, Presidente delGruppo Lombardo Ucid, ha rie-vocato l’evoluzione dell’Ucid dal-la fondazione ad oggi e al suo fu-turo. Il tema trattato è racchiusoin massima sintesi nel titolo cherichiama il motto scelto per il gran-de Giubileo del 2000: “Cristo ie-ri oggi, domani”. Nel delineare il “domani” è stataenfatizzata l’importanza del Grup-po Giovani. L’incontro è stato or-ganizzato nella splendida Corni-ce del Museo Diocesano AdrianoBernareggi; una visita guidata almuseo, è stata l’occasione per farconoscere a tutti i partecipanti

ATTIVITA’ATTIVITÀ GRUPPI REGIONALI

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tervento sul tema “Il dovere co-stituzionale di concorrere alle spe-se pubbliche”; Cav. Lav .MariaLuisa Cosso Eynard, presidenteGruppo industriale Corcos sul te-ma “È possibile oggi in Italia pro-durre ricchezza senza violare leregole fiscali?”; Col. Carmine Lo-pez, Comandante del Nucleo Re-gionale di Polizia Tributaria Pie-monte della Guardia di Finanza diTorino, sul tema “L’etica di chi de-ve fare applicare la legge” On.Michele Vietti, sottosegretario Mi-nistero dell’Economia e delle Fi-nanze sul tema “Le responsabilitàdella politica. Che fare?”; PadreGian Paolo Salvini s.j. Direttore deLa Civiltà Cattolica sul tema “Ilfondamento etico del dovere diconcorrere alle spese pubbliche”;Dott. Giovanni Scanagatta, Se-gretario nazionale UCID, con unintervento sul tema “Etica e fisconella visione della Dottrina Socia-le della Chiesa”.• 8 maggio 2006 - Il Professo-re di Teologia Don Sabino Frigatoha presentato l’Enciclica di S.S.Papa Benedetto XVI “Deus Cari-tas Est”. Sono intervenuti FabioDossi - noto oculista; Edoardo Ra-bajoli - Presidente della Ferrino &C. S.p.A. e Presidente del Grup-po Regionale Piemonte Valle d’Ao-sta; Luigi Viano, AmministratoreCarisma e Segretario UCID Sezio-ne di Torino.• 21 maggio 2006 - Visita alle mi-niere di talco della Val Germanasca.• 13 giugno 2006 - Incontrocon Gian Mesturino e Germana

questa bella realtà bergamasca.

SEZIONE DI BUSTO ARSIZIO

• 11 maggio 2006 - Incontroperiodico/conferenza “Il Timone:un’impresa per la nuova evange-lizzazione”.• 21 giugno 2006 - Iniziativa su“UCID. Ieri, oggi e domani”.

SEZIONE DI COMO

• 10 maggio 2006 - Riunioneconviviale con la partecipazione delProf. Guido Vestuti, Docente alla“Cattolica” e all’Università tele-matica di Roma. Il tema trattatoè stato sulla “Rivoluzione”. Il si-gnificato di questo termine, nellascienza, nella politica e soprattut-to, nell’industria.• 20 maggio 2006 - Riunionedi riflessione e preghiera presso laDomus Mariae di Camnago Volta.• 13 giugno 2006 - Riunioneconviviale con la partecipazione delDott. Vittorio Volpi, Presidentedalla Banca UBS (Italia) S.p.A. Lasua relazione ha avuto per tema:“Come conquistare un mercato in-ternazionale”.

SEZIONE DI MILANO

• 16 maggio 2006 - Incontroconviviale sul tema “Strategie disviluppo e ricerca in Lombardia».Relatori Diana Bracco e Prof. Adria-

no De Maio.• 20 giugno 2006 - Incontroconviviale sul tema “Europa e USA:modelli di sviluppo d’impresa”.Relatore Cav. del Lav. Dott. Gior-gio Squinzi.

SEZIONE DI MANTOVA

• 15 luglio 2006 - Incontro “L’e-tica degli affari in Italia dal 1948al 2005” dedicato allo sviluppo nelmantovano ha esaminato la si-tuazione provinciale del periodo. Sono intervenuti: Carlo Dodi (Im-prenditore), Antonino Zaniboni. IlPresidente Sandro Grespan haaperto e introdotto i lavori.

GRUPPO REGIONALE PIEMONTE VALLE D’AOSTA

SEZIONE DI BIELLA

• 16 giugno 2006 - Conferen-za di Mons. Pompeo Piva dal te-ma “L’Imprenditore etico, l’im-prenditore cristiano”.

SEZIONE DI TORINO

27 Gennaio 2006 - Si è svolto a To-rino un Convegno organizzatodalla sezione UCID Torino dal ti-tolo “Etica e Fisco”. Hanno partecipato in qualità direlatori: Prof. Claudio Sacchetto,di cui si riproduce sintesi dell’in-

ATTIVITÀ GRUPPI REGIONALI

ATTIVITA’

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Erba Mesturino sul tema “Dio, tea-tro e famiglia: una vita tra TeatroAlfieri, Nuovo, Erba, Gioiello, Li-ceo Coreutico, tre figlie e tre nipoti”.• 29 giugno 2006 - Visita delMuseo Civico “Pietro Micca e del-l’assedio di Torino del 1706”. Relatori: Prof. Menietti, direttoredel Museo che ha parlato su “Pie-tro Micca e il voto di Superga 300anni dopo“.

GRUPPO GIOVANI SEZIONE DI TORINO

1 giugno 2006 - Incontro dal te-ma “Le ragioni del successo delCodice Da Vinci”. Viaggio dai Van-geli apocrifi al best seller di DanBrown. Relatore Prof. Don ErmesSegatti, docente di Teologia. L’u-scita sul grande schermo del Co-dice da Vinci ha suscitato, comeprevedibile, un vespaio di pole-miche. Molti hanno letto il libro e ve-dranno il film, ma forse pochi han-no avuto occasione di capire ve-ramente quali siano state le fon-ti di Dan Brown e quale valorestorico possano avere, quindi l’in-contro è stato organizzato per di-scutere con un vero esperto su untema estremamente attuale.

GRUPPO REGIONALE LIGURE

• 9-10 giugno 2006 - In collabo-razione con l’Ufficio Nazionale deiProblemi Sociali e il Lavoro della CEI,

Convegno “Verso il Congresso di Ve-rona: il lavoro e la festa, la centra-lità della famiglia. Il contributo de-gli Imprenditori - Dirigenti Profes-sionisti per la giustizia e la carità: la-vorare in verità per costruire il BeneComune”. Indirizzi di saluto delDott. Giovanni Grimaldi, Vice Pre-sidente UCID Gruppo Ligure. La pri-ma parte è stata moderata da: Gian-carlo Piombino. Sono intervenuti:Giovanni Scanagatta, Segretario Ge-nerale UCID; Mons. Paolo Tarchi,Direttore CEI Ufficio Nazionale peri problemi Sociali e il Lavoro; Mons.Pompeo Piva, Consulente Ecclesia-stico UCID Sezione di Mantova; Giu-lio De Rita, Presidente LEGHEIN Ro-ma; Piergiorgio Marino. Modera-tore della seconda parte, AngeloFerro. Interventi di Matteo Gillerio,Responsabile PSL di Genova; Lo-renzo Caselli, Università di Genova;Lorenza Rebuzzini Ricercatrice CIFSdi Milano; Maurizio Dottino, Grup-po Marcegaglia; Sandro Grespan,GRECAV e Presidente UCID Sezio-ne di Mantova; Garrone, ERG; Ma-nuela Arata, CNR; Maria GiovannaDettori - SELEX; Giacomino JOB -NORD 2000 Soc. Coop.). Conclu-sioni del Presidente UCID Naziona-le Angelo FERRO. È intervenuto S.E.il Card. Tarcisio Bertone.

GRUPPO REGIONALE VENETO

SEZIONE DI PADOVA

• 26 maggio 2006 - Riflessioni

e sintesi del Gruppo sul “Senso cri-stiano del lavoro”.• 16 giugno 2006 - Assembleaper la presentazione del lavorosvolto dal Gruppo.

SEZIONE DI VICENZA

• 26 aprile 2006 - AssembleaOrdinaria dei Soci.• 22 maggio 2006 - Il Procura-tore Capo della Repubblica Dott.Ivano Nelson Salvarani presso ilTribunale di Vicenza ha introdot-to il tema “Criminalità e globaliz-zazione”.

GRUPPO TRENTINO ALTO ADIGE

SEZIONE DI TRENTO

• 17 maggio 2006 - Incontrocon il Prof. Giuseppe De Rita su“Per una nuova responsabilità de-gli imprenditori”. Sono interve-nuti: il Past President FrancescoMerloni e il Presidente NazionaleAngelo Ferro.

GRUPPO REGIONALE FRIULI VENEZIA GIULIA

• 12 maggio 2006 - Incontrocon il Presidente Ferro e Il Vice Se-gretario Lupi sul tema “Il signifi-cato della presenza degli uominid’impresa cristiani in una societàin evoluzione”.

ATTIVITA’ATTIVITÀ GRUPPI REGIONALI

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stiana”. Sono intervenuti, oltre alPresidente della Sezione Rino Spe-roni, il Vescovo di Fidenza Mauri-zio Galli e Michele Rainieri candi-dato sindaco a Salsomaggiore Ter-me.• 29 giugno 2006 - A Bussutoincontro su come ampliare il nu-mero dei soci nella diocesi e co-me far conoscere l’UCID anchecon rapporti con le associazioni ele istituzioni pubbliche.• 19 luglio 2006 - Incontro aSalsomaggiore Terme sulla ne-cessità di interventi per il Duomodi Fidenza. Dal risanamento infiltrazioni all’il-luminazione.• 9 agosto 2006 - Incontro aCastelnuovo Fogliani sugli inter-venti per l’imprenditoriale e per ilsociale da parte dei Comuni di Fi-denza e Salsomaggiore. Relatori il Sindaco di Fidenza Cer-ri Giuseppe e il Sindaco di Salso-maggiore Massimo Tedeschi.

SEZIONE DI RIMINI

Grande lutto ha colpito in agostola nostra Ucid con la scomparsadi un Ucidino DOC: GiuseppeGemmani. Una figura straordinaria per la ca-pacità e la testimonianza cristia-na, che ha onorato l’UCID con lasua vita operosa. I successi azien-dali sono e rimangono sotto gli oc-chi di tutti. Ma Gemmani è statoun benefattore lontano dai riflet-tori.

SEZIONE DI TRIESTE

• 13 febbraio 2006 - Confe-renza del il dott. Sergio De Simo-ne, Direttore Regionale dell’INPSper il Friuli Venezia Giulia, terrà sultema: “Bilancio sociale, Carta deiservizi e Codice etico: strumentidell’I.N.P.S. per operare in temporeale nel mondo del lavoro”.• 14 marzo 2006 - Conversa-zione del prof. don Pietro Zovat-to sulla prima enciclica di PapaBenedetto XVI intitolata “DeusCaritas Est”.• 8 aprile 2006 - Ritiro in pre-parazione alla S. Pasqua presso ilCentro Diocesano di Pastorale Uni-versitaria, in via Fabio Severo 148,con il nostro Consulente eccle-siastico, don Lucio Gridelli ritiroarticolato in tre spunti di riflessio-ne per tre momenti di preghiera:“Perchè cercate tra i morti il Vi-vente? (Luca 24)”; “Mio Signoree mio Dio! (Giovanni 20)”; “Uo-mini di Galilea, perché state aguardare il cielo? (Atti 1)2.• 22 aprile 2006 - Visita alla T/n“Crown princess” in allestimen-to al Cantiere di Monfalcone.• 31 maggio 2006 - Conferen-za del rag. Roberto Prioglio, Pre-sidente dell’Associazione Spedi-zionieri del Porto di Trieste e del-l’Alleanza della Spedizione e deiTrasporti nel Friuli-Venezia Giulia,nonché Presidente Nazionale delComitato di coordinamento uten-ze portuali sul tema: “Il porto diTrieste, ieri e oggi. E domani?”.

• 15 giugno 2006 - Conferen-za dell’ing. Giampaolo Centrone,Direttore Area Esercizio delle Au-tovie Venete sul tema: “Corridoio5: dubbi e prospettive”.• 21 giugno 2006 - Conferen-za di mons. Pier Giorgio Ragazzoni,Delegato diocesano per l’assi-stenza e la carità, sulla prima en-ciclica di Papa Benedetto XVI“Deus Caritas Est.”.• 28 giugno 2006 - Conferen-za di Roberto Cosolini, AssessoreRegionale al Lavoro, Formazione,Università e Ricerca, sulla nuovalegge regionale denominata “Ilbuon lavoro”.

GRUPPO REGIONALE EMILIANO ROMAGNOLO

SEZIONE DI BOLOGNA

• 7 giugno 2006 - Settimo in-contro del 2° ciclo di approfondi-mento formativo “Cercate il Re-gno di Dio e la Sua Giustizia” conil tema dal titolo “Che uso fare del-la verità negli affari e nel lavoro”.

SEZIONE DI FIDENZA

• 25 maggio 2006 - Conferen-za di Padre Bertuzzi, Preside del-lo Studio Filosofico Domenica e do-cente di filosofia, epistemologia,logica formale, simbolica e mate-riale e Consulente Ecclesiasticodel Gruppo Emiliano Romagnolo,su “Lavoro e Etica nell’ottica cri-

ATTIVITÀ GRUPPI REGIONALI

ATTIVITA’

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UCID Letter • 2/2006

Un esempio per tutti: l’acquisto nel2001 insieme a Vittorio Tadei del-la colonia Comasca concessa in co-modato gratuito alla Karis Foun-dation perché la utilizzasse comesede delle proprie scuole.L’impegno di Gemmani, e dellaScm, come uomo d’azienda nel so-ciale è stato recentemente mes-so nero su bianco in un testo cu-rato dall’Associazione Italiana del-le aziende familiari e dall’Istitutoper i valori d’impresa. “La responsabilità sociale nelleaziende familiari italiane” portala Scm come esempio della re-sponsabilità sociale d’impresa.«Scm si è attivata per tradurre inimpegno concreto i valori etici dasempre nella cultura imprendito-riale, cercando di superare le tra-dizionali logiche della beneficen-za a favore di quelle di partnershipin un’ottica di lungo periodo».

GRUPPO REGIONALE DEL LAZIO

SEZIONE DI ROMA

• 5 luglio 2006 - Consiglio Di-rettivo della Sezione nella Sala del-le Conferenze di Civiltà Cattolica.• 5 luglio 2006 - Assemblea Or-dinaria della Sezione nella Saladelle Conferenze di Civiltà Catto-lica.

• Il 7 luglio scorso l’UCID Na-zionale ha firmato la seconda con-venzione con l’International Ma-nagement Group (IMG), Agenziadelle Nazioni Unite per gli inter-venti di sviluppo nel Mediterra-neo, per la realizzazione con ilGruppo Regionale UCID della Ba-silicata - Le Valli del Sapere Onlus- del progetto sul microcredito nelsettore della conoscenza. • Il primo progetto su “Micro-credito. Origini e prospettive tra so-lidarietà e sussidiarietà”, curatoda Giovanni Scanagatta e Teodo-sio Perone, è stato presentato a Ro-ma il 23 giugno 2006 presso la se-de dell’UCID Nazionale. Il Presi-dente Angelo Ferro ha introdot-to i lavori, cui sono seguiti gli in-terventi di Filippo Ciuffi, coordi-natore del Gruppo di Lavoro “Mi-crocredito” dell’UCID Nazionale,e di Pierpaolo Brunozzi, respon-sabile del Servizio Fondi di Ga-ranzia del Mediocredito Centrale.Mons. Sergio Lanza, Presidente diFinetica, ha svolto le considera-zioni conclusive. • Il secondo progetto prevedeun’indagine sul campo con que-stionario somministrato ai giova-ni laureati in Basilicata con pro-pensione ad avviare iniziative di mi-croimprenditorialità nel settoredella conoscenza, da sostenerecon interventi di microcredito e dimicrofinanza. Gli interventi pre-vedono il sostegno di senior part-ners per il tutoraggio dei giovaniimprenditori. La ricerca verrà pre-sentata a Potenza intorno alla

metà di dicembre prossimo.• La Presidenza Nazionale è lie-ta di comunicare che è stato co-stituita la nuova Sezione di Tra-ni/Barletta/Bisceglie, definita la Se-zione promotrice del Gruppo Pu-gliese. Sua Eccellenza il Vescovodi Trani Mons. Giovanni BattistaPichierri ha provveduto alla no-mina del Consulente Ecclesiasticodella Sezione nella persona di DonFrancesco Lorusso (Direttore del-la Commissione PSL della Dioce-si).Al Presidente della neo costituitaSezione (Ruggiero Cristallo) è sta-to affidato il compito di sviluppa-re il Gruppo Pugliese e di esserneil Referente nei confronti della Pre-sidenza Nazionale.Nel mese di settembre p.v. saran-no costituite altre Sezioni dalla cuiunione, nascerà il Gruppo Puglie-se.

UCID LETTER ringrazia tutti colo-ro che si sono prodigati per la co-stituzione di questo Gruppo e,nella certezza che tutti svolge-ranno al meglio l’impegno as-sunto, porge infiniti auguri di BuonLavoro.

ATTIVITÀUCID NAZIONALE

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Ancona Ascoli Piceno-S.Benedetto

AstiBellunoBergamoBiellaBolognaBolzanoBresciaBrescia-Manerbio

Brescia -Valle Camonica

Busto Arsizio-Valle Olona

Alto MilaneseCaltanissettaCatanzaroCivitavecchiaComoCosenzaCremaCremonaFermoFerraraFidenza

FirenzeForlí-CesenaFrosinoneGenovaGorizia-Monfalcone

La SpeziaLatinaLeccoLodiMacerataMantovaMateraMilanoMonzaNapoliNovaraPadovaParmaPaviaPesaroPiacenzaPordenonePotenzaRavennaReggio CalabriaReggio Emilia

RiminiRomaRovigoSalernoSavonaSondrioTeramoTigullioTivoliTolmezzoTorinoTrentoTreviglioTrevisoTriesteUdineUgentoVareseVenezia-MestreVercelliVeronaVibo ValenziaVicenzaVigevano Rep. S. Marino

Le Sezioni Provinciali e Diocesane

16 Gruppi Regionali74 Sezioni Provinciali e Diocesane4.000 Soci

Gruppo Regionale LombardoGruppo Interregionale Piemonte e Valle d’AostaGruppo Regionale LigureGruppo Regionale Trentino Alto AdigeGruppo Regionale VenetoGruppo Regionale Friuli Venezia Giulia Gruppo Regionale Emilano RomagnoloGruppo Regionale ToscanoGruppo Regionale MarchigianoGruppo Regionale UmbroGruppo Regionale LazioGruppo Regionale CampanoGruppo Interregionale Abruzzo MoliseGruppo Regionale BasilicataGruppo Regionale CalabroGruppo Regionale Siciliano

I Gruppi Regionali

UCID 2006

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TAR. ASSOCIAZIONI SENZA FINI DI LUCRO: POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZ. IN ABBON. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 2, DCB PADOVA

Unione Cristiana Imprenditori DirigentiPresidenza Nazionale - Via Di Trasone 56/58, 00199 RomaTel 06 86323058 - fax 06 86399535 - e.mail: [email protected]