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Parco Archeologico della Neapolis Indirizzo: Via Paradiso, 14 - 96100 Siracusa Coordinate: N 37.075941 - E 15.275167 ORARI DI APERTURA Tutti i giorni apertura ore 9:00 - chiusura un'ora prima del tramonto (es. fino al 28 febbraio 9:00-16:30; fino al 30 marzo 9:00-17:30; dal 1 aprile e per tutta l'estate 9:00-19:15) Chiusura 17:00 durante le Rappresentazioni Classiche La biglietteria chiude un'ora prima dell'orario di chiusura TARIFFE Intero € 10.00 ridotto € 5,00 (18/25 anni) ingresso gratuito ogni prima domenica del mese Gratis per i membri dell'Unione Europea al di sotto dei 18 anni Biglietto Cumulativo Parco e Museo "Paolo Orsi" € 13.50 - ridotto € 7.00 Biglietto Cumulativo Parco e Villa Tellaro € 12.00 - ridotto € 6.00 Biglietto Cumulativo Parco e Galleria Bellomo € 13.50 - ridotto € 7.00 Biglietto Cumulativo Parco, Museo P.Orsi, Galleria Bellomo e Villa Tellaro € 24.00 - ridotto € 12.00 Un parco di monumenti tra i più famosi ed importanti al Mondo. Il Parco Archeologico della Neapolis, situato nella parte nord-occidentale della città moderna, ed esteso circa 240.000 mq., è uno straordinario palinsesto della storia dell’antica Siracusa. Esso, frutto di una lunga e difficile opera di salvaguardia negli anni Cinquanta, racchiude non soltanto la parte più monumentale della città, ma anche una densa serie di testimonianze di varie epoche, dall’età protostorica a quella tardoantica e bizantina: un museo a cielo aperto Esso si estende su una larga fascia delle pendici meridionali dell ’altopiano dell’Epipoli; il punto focale è un’altura che prende il nome di Temenite, dal greco temenos (santuario), perché qui sorgeva, in età arcaica, un santuario extraurbano dedicato ad Apollo; ma fin dalla media età del Bronzo l’area era stata sede di insediamento umano, come testimoniano i resti di una probabile capanna sulla sommità del Temenite e soprattutto una serie di piccole tombe a grotticella artificiale che si aprono qua e là sulle pendici del colle, una delle quali ha restituito un corredo con materiali micenei. In età arcaica, quest’area era esterna rispetto alle mura che proteggevano il nucleo più antico di quella parte della città che si estendeva sulla terraferma, Achradina, ma la posizione di dominio visivo della fascia

Un parco di monumenti tra i più famosi ed importanti al Mondo. · uno dei pochissimi teatri greci di cui le fonti storiche ricordino il nome dell’architetto: Damocopo, detto

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Page 1: Un parco di monumenti tra i più famosi ed importanti al Mondo. · uno dei pochissimi teatri greci di cui le fonti storiche ricordino il nome dell’architetto: Damocopo, detto

Parco Archeologico della Neapolis

Indirizzo: Via Paradiso, 14 - 96100 Siracusa

Coordinate: N 37.075941 - E 15.275167

ORARI DI APERTURA Tutti i giorni apertura ore 9:00 - chiusura un'ora prima del tramonto

(es. fino al 28 febbraio 9:00-16:30; fino al 30 marzo 9:00-17:30; dal 1 aprile e per tutta l'estate 9:00-19:15)

Chiusura 17:00 durante le Rappresentazioni Classiche

La biglietteria chiude un'ora prima dell'orario di chiusura

TARIFFE Intero € 10.00

ridotto € 5,00 (18/25 anni)

ingresso gratuito ogni prima domenica del mese

Gratis per i membri dell'Unione Europea al di sotto dei 18 anni

Biglietto Cumulativo Parco e Museo "Paolo Orsi" € 13.50 - ridotto € 7.00

Biglietto Cumulativo Parco e Villa Tellaro € 12.00 - ridotto € 6.00

Biglietto Cumulativo Parco e Galleria Bellomo € 13.50 - ridotto € 7.00

Biglietto Cumulativo Parco, Museo P.Orsi, Galleria Bellomo e Villa Tellaro € 24.00 - ridotto € 12.00

Un parco di monumenti tra i più famosi ed importanti al Mondo.

Il Parco Archeologico della Neapolis, situato nella parte nord-occidentale della città moderna, ed esteso circa

240.000 mq., è uno straordinario palinsesto della storia dell’antica Siracusa. Esso, frutto di una lunga e

difficile opera di salvaguardia negli anni Cinquanta, racchiude non soltanto la parte più monumentale della

città, ma anche una densa serie di testimonianze di varie epoche, dall’età protostorica a quella tardoantica e

bizantina: un museo a cielo aperto Esso si estende su una larga fascia delle pendici meridionali dell’altopiano

dell’Epipoli; il punto focale è un’altura che prende il nome di Temenite, dal greco temenos (santuario),

perché qui sorgeva, in età arcaica, un santuario extraurbano dedicato ad Apollo; ma fin dalla media età del

Bronzo l’area era stata sede di insediamento umano, come testimoniano i resti di una probabile capanna sulla

sommità del Temenite e soprattutto una serie di piccole tombe a grotticella artificiale che si aprono qua e là

sulle pendici del colle, una delle quali ha restituito un corredo con materiali micenei.

In età arcaica, quest’area era esterna rispetto alle mura che proteggevano il nucleo più antico di quella parte

della città che si estendeva sulla terraferma, Achradina, ma la posizione di dominio visivo della fascia

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costiera prospiciente l’ampia falcata del porto e la presenza del santuario arcaico, la cui esistenza sembra

risalire già alla fine del VII sec. a.C., ne fanno uno dei fulcri del territorio immediatamente circostante la

città. Già agli inizi del V sec. a.C. è documentata l’esistenza del primo teatro. Sotto il regno di Jerone II,

l’area subì un radicale intervento di monumentalizzazione, con il rifacimento del teatro, la costruzione dei

portici della terrazza superiore e soprattutto la realizzazione della grandiosa Ara di Jerone. In età augustea,

quando la città, a sera di Jerone II furono costruiti l’anfiteatro, e, a sud di esso, un arco onorario di cui

restano parte dei piloni.

Nel settore nord-orientale del Parco, sono inglobate alcune delle più scenografiche latomie (cave di pietra)

della città antica (Paradiso, Intagliatella e S. Venera) che rappresentano una delle caratteristiche più originali

ed emozionanti di Siracusa antica, e, infine, un ampio e suggestivo lembo di necropoli (la necropoli dei

Grotticelli) fitta di sepolcri di varia tipologia, che si scaglionano fra l’età arcaica e quella tardo-romana, fra

cui alcuni colombari di età romana.

Teatro Greco

Indirizzo: Via Paradiso, 14 - 96100 Siracusa

Coordinate: N 37.075941 - E 15.275167

Un palcoscenico dei tempi dei greci. Tra i più imponenti e meglio conservati al mondo.

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Quanto straordinario fosse considerato il teatro di Siracusa anche nell’antichità, è dimostrato dal fatto che è

uno dei pochissimi teatri greci di cui le fonti storiche ricordino il nome dell’architetto: Damocopo, detto

Myrilla. La sua esistenza è già accertata nel V sec. a.C.; Eschilo vi rappresentò per la prima volta le Etnee,

scritte in onore del tiranno Jerone I dopo la fondazione della città di Etna nel 476 a.C., e poi ancora , sempre

per la prima volta, “I Persiani”. Ma l’aspetto attuale, che lo classifica fra i più grandi teatri del mondo greco,

si deve al radicale rifacimento voluto da Jerone II nel III sec. a.C .

Nei secoli, tutte le parti costruite furono distrutte per ricavarne materiale da costruzione per le fortificazioni

spagnole e, più tardi, per l’impianto di alcuni mulini ad acqua che nel XVI secolo furono istallati all’interno

dell’orchestra, sulla cavea e nelle adiacenze. I mulini utilizzavano l’acqua dell’acquedotto Galermi, che

scendeva dall’Epipoli in corrispondenza della parte alta del teatro. Progressivamente demoliti nel corso delle

lunghe operazioni di recupero e restauro del teatro, tra la fine del l’Ottocento e i primi decenni del

Novecento, ultima testimonianza della loro esistenza è la cd. “casa dei mugnai”, piccolo edificio a torre che

sovrasta la parte orientale della cavea.

Ciò che rimane della grandiosa mole del teatro antico è il nudo scheletro dell’edificio scavato nella roccia,

che utilizza un pendio naturale sulle pendici meridionali dell’Epipoli: la parte media e inferiore della cavea

(la parte superiore era in blocchi), l’orchestra e la parte basamentale dell’edificio scenico. Lo stato di

conservazione impedisce una puntuale ricostruzione delle varie fasi dell’edificio, che subì attraverso i secoli

numerose modificazioni.

La cavea (spazio destinato agli spettatori) misura m. 138,60 m. di diametro. Divisa in due settori, in senso

orizzontale, da un ampio corridoio semicircolare (diazoma) a metà altezza, comprendeva in origine 67 ordini

di gradini; otto scalette, delineando in senso verticale nove cunei, permettevano l’accesso ai vari ordini di

gradini. Sulla parete che delimita a nord il diazoma sono incise, in corrispondenza di ciascuno dei cunei,

delle iscrizioni che riportano il nome di divinità e personaggi della famiglia del basileus. Al centro, il nome

di Zeus Olimpio; ad est, quelli di Eracle e Demetra; ad ovest, i nomi di Jerone II, di sua moglie la regina

Filistide, di Nereide sua nuora; su questo lato era probabilmente anche il nome del figlio Gelone II.

Il terrapieno su cui era edificata la parte superiore della cavea era sostenuto da un muro (analemma).

L’accesso all’orchestra avveniva originariamente dai due lati dell’edificio scenico; in un secondo tempo,

furono ritagliati due passaggi (parodoi) arretrando parte dei muri frontali di contenimento.

L’orchestra è lo spazio semicircolare ai piedi della cavea, in cui originariamente si trovava l’altare dedicato a

Dioniso, divinità il cui culto è strettamente legato alla nascita e allo sviluppo del teatro nel mondo greco, e in

cui agiva il coro, componente essenziale dell’azione drammaturgica antica. Intorno all’orchestra, correva un

canale (euripo), che separava lo spazio riservato al coro da quello destinato agli spettatori . Il piano era

originariamente pavimentato con lastre di marmo, oggi perdute.

Dell’edificio scenico non restano altro che le numerose tracce impresse sulla roccia (fori, cavità, cunicoli,

canalette), spesso difficilmente interpretabili, che testimoniano delle molteplici trasformazioni subite dalla

scena attraverso i secoli, soprattutto nel passaggio fra l’età ellenistica e quella romana. Un lungo canale

scavato nella roccia che attraversa l’orchestra in senso N.S. e termina in un piccolo vano quadrato è stato

interpretato come “scale carontee”, un sistema di passaggi coperti che permetteva l’apparizione o la

scomparsa improvvisa di personaggi sulla scena. Un altro canale in senso est-ovest era forse utilizzato per

l’alloggiamento e la movimentazione del sipario.

Ai due lati, due grandi piloni risparmiati nella roccia furono inclusi, in età romana, nella scena. In questo

periodo, l’avanzamento del palcoscenico verso la cavea occlude gli originari accessi all’orchestra; i nuovi

accessi vengono pertanto realizzati con gallerie scavate al di sotto dei due cunei terminali della cavea; sopra

le gallerie, si ricavano i tribunalia, posti d’onore per autorità.

In età tardo-imperiale, l’orchestra fu adattata per ospitare spettacoli di giochi d’acqua (colymbetra). Gli

ultimi rifacimenti risalgono all’inizio del V secolo, quando il governatore della Sicilia Nerazio Palmato

apportò nuove modifiche all’edificio scenico.

La terrazza sovrastante la cavea, tagliata nelle pendici del colle detto Temenite (per la presenza di un antico

santuario, temenos, dedicato ad Apollo, i cui resti sono stati individuati ad est del teatro) era originariamente

coronata da un portico a L, di cui resta oggi solo parte della fondazione. Al centro del lato settentrionale, una

grande grotta artificiale (il cd. Ninfeo), con una vasca rettangolare rivestita in coccio pesto costituisce lo

sbocco di un grande acquedotto di età greca, il cd. Galermi. La grotta è fiancheggiata da nicchie che

originariamente ospitavano statue, e che in età tardo-antica furono utilizzate come sepolcri. Resti di un fregio

dorico sono ancora riconoscibili sulla parete, in corrispondenza dell’apertura della grotta. Sulla base di due

iscrizioni provenienti dal portico, il complesso è stato identificato come Mouseion, luogo dedicato alle Muse,

sede ufficiale della corporazione degli attori.

Preesistente alla sistemazione della terrazza, era la Via dei Sepolcri: essa, che costituiva un antico accesso

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alla parte alta del teatro, si apre, tagliata nella roccia, nel lato occidentale della terrazza, e con andamento

curvilineo raggiunge la sommità del Temenite. In età ellenistica, sulle sue pareti furono ricavati molti di quei

piccoli incavi quadrangolari, di età ellenistica, che si trovano in alcune delle latomie siracusane, e che

servivano come alloggiamenti di quadretti dipinti o in terracotta dedicati al culto dei defunti eroizzati. In età

tardo-antica e bizantina vi furono scavati numerosi ipogei funerari. I resti di un grande rilievo raffigurante i

Dioscuri e Trittolemo sul carro trainato dai serpenti sono ancora visibili su una delle pareti, verso l’estremità

superiore.

Anche la sistemazione monumentale della terrazza è dovuta al grandioso intervento di Jerone II, che realizzò,

con l’intero complesso, una delle più scenografiche composizioni architettoniche del suo tempo, per

rappresentare e celebrare la magnificenza del proprio potere regale.

Orecchio di Dionigi Indirizzo: Via Paradiso, 14 - 96100 Siracusa

Coordinate: N 37.07658 - E 15.276164

Storia e leggenda, una grotta dalla forma di un orecchio gigante.

L'orecchio di Dionigi è la più famosa delle grotte che si aprono sul fronte settentrionale della Latomia del

Paradiso, realizzate dai cavatori di pietra che seguivano i filoni di calcare di migliore qualità. Alta circa 23 m.

e larga fra 5 e 11 m., con pareti convergenti a formare una volta a sesto acuto leggermente smussato, la grotta

si sviluppa in profondità per 65 m.

Michelangelo da Caravaggio, che visitò la grotta nel 1608 nel corso del suo viaggio verso Malta, la chiamò

“orecchio di Dionigi” per la sua caratteristica forma a S, vagamente simile ad un padiglione auricolare, e

soprattutto per le sue notevoli proprietà acustiche, che amplificano i suoni; la leggenda narra infatti che il

tiranno Dionigi usasse rinchiudere i suoi nemici all’interno della grotta per ascoltarne dall’alto, non visto, i

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discorsi, amplificati dall’eco. In realtà, la grotta deve la sua forma al modo in cui fu realizzata; lo scavo

iniziò dall’alto, seguendo il tracciato sinuoso di un acquedotto, e si allargò man mano che scendeva in

profondità, seguendo l’andamento del filone di calcare. Come nelle vicine grotte dei Cordari e del Salnitro,

sono ben visibili, sulle pareti, i segni della lavorazione della roccia e del distacco dei blocchi.

Anfiteatro Romano

Indirizzo: Via Paradiso, 14 - 96100 Siracusa

Coordinate: N 37.074696 - E 15.278953

Una delle più grandi costruzioni dell'età romana scavata nella viva roccia

La cronologia dell'anfiteatro è tuttora incerta, ma le ipotesi più accreditate lo riferiscono ad età augustea

(dopo la deduzione della colonia da parte di Augusto, nel 21 a.C) o ad età giulio-claudia, soprattutto sulla

base della tecnica edilizia (uso dell’opera reticolata e archi a conci allungati) e di un’iscrizione dedicatoria,

ivi rinvenuta, di età augustea.

Si accede oggi all’anfiteatro dall’ingresso nord, percorrendo un viale ai cui lati sono disposti dei sarcofagi in

pietra, rinvenuti nelle necropoli di Siracusa e Megara Iblea; ma l’ingresso principale è a sud, e prospetta su

un ampio piazzale dove sono tuttora visibili i piloni di base di un arco onorario, probabilmente dedicato ad

Augusto, al di sotto del quale passava una strada lastricata proveniente da est. Davanti all’ingresso, cui si

accedeva da ampie scale che lo raccordavano al dislivello del piano esterno, i resti di una grande fontana,

contemporanea all’anfiteatro, contribuiscono alla monumentalizzazione dell’area.

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L'anfiteatro utilizza l’andamento naturale del terreno; adagiato contro il pendio, presenta la parte inferiore

scavata nella roccia tranne che nel lato sud. Questo era costruito in elevato, come la parte superiore del

monumento, oggi scomparsa perché demolita, nel XVI° secolo, per utilizzarne i blocchi per la costruzione

delle fortificazioni spagnole di Ortigia. Le dimensioni (diametri esterni: m.140x119) sono notevoli e ne

fanno il maggiore dei tre anfiteatri esistenti in Sicilia, secondo, in Italia, soltanto a quello di Verona. L’arena

(m.70x32) è delimitata da un alto podio; al centro, un ampio vano quadrangolare, originariamente coperto

con un impiantito ligneo, e collegato con un fossato proveniente dal lato meridionale, era destinato ai

macchinari utilizzati per gli spettacoli.

Dietro il podio, corre un corridoio anulare coperto a volta (crypta) su cui poggia la prima fila di gradini

destinati alle autorità, i cui nomi sono scolpiti sulla pietra. Soltanto la porzione più bassa della cavea (ima

cavea) è conservata, mentre della media e summa cavea rimangono soltanto le fondazioni. Due ambulacri

coperti a volta e un complesso sistema di gradinate permettevano di accedere ai vari ordini di posti. Un

portico colonnato coronava, in origine, l’anello superiore.

Duomo (Tempio di Minerva)

Indirizzo: Piazza Duomo, 4 - Siracusa

Coordinate: N 37.059884 - E 15.293124

ORARI DI APERTURA Tutti i giorni dalle 8.00 alle 19.00 (dal 01/04 fino alle 19.45)

TARIFFE € 2,00 (oppure 3 euro con audio guida)

Orari delle messe Dal lunedì al sabato: ore 8.00 e ore 19.00

Domenica: ore 8.00, ore 11.30 e ore 19.00

Durante la celebrazione della messa non sono consentite visite guidate

Cattedrale della città, sorge sulla parte più elevata dell'isola di Ortigia, su quello che era un tempio

dedicato ad Atena (Minerva)

Nella parte alta dell’isola di Ortigia, il sito ove sorge il Duomo di Siracusa era destinato, fin dall'antichità, a

ospitare un luogo di culto. A un tempio eretto nel VI secolo a.C., si sostituì il Tempio di Atena (o Minerva),

innalzato in onore della dea dal tiranno Gelone, dopo la grande vittoria di Imera (480 a.C.) contro i

Cartaginesi. Nel VII secolo, all’epoca del vescovo Zosimo, il tempio di Atena fu inglobato in un edificio

cristiano, dedicato alla Natività di Maria: in particolare, furono innalzati muri a chiudere lo spazio tra le

colonne del peristilio e aperte otto arcate nella cella centrale, per permettere il passaggio alle due navate

laterali così ottenute. Le imponenti colonne doriche sono ancora oggi visibili sul lato sinistro, sia all'esterno

sia all'interno dell'edificio. Forse trasformata in moschea durante la dominazione araba, la chiesa fu

rimaneggiata in epoca normanna. Il terremoto del 1693 causò vari danni, tra cui il crollo della facciata.

La facciata attuale – capolavoro dell’architetto palermitano Andrea Palma, e una delle migliori testimonianze

barocche di Siracusa – fu realizzata fra il 1728 e il 1754. Essa s’innalza su un’imponente scalinata ed ha la

colonna come modulo compositivo. Il prospetto è a due piani, coronati da un frontone. Opera di Ignazio

Marabitti sono le due statue che affiancano la scalinata (San Pietro e San Paolo) e quelle che ornano il

secondo ordine (San Marciano, Santa Lucia e, nell’edicola centrale, la cosiddetta Vergine del Piliere).

L'ingresso è preceduto da un atrio con un bel portale fiancheggiato da due colonne a torciglioni, lungo le cui

spire si avvolgono rami d'uva.

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L'interno è a tre navate e a impianto basilicale. La navata centrale è coperta da un cinquecentesco soffitto

ligneo a travature scoperte. Il pavimento, marmoreo e policromo, fu voluto dal vescovo Bellomo e realizzato

nel 1444. Il lato destro della navata laterale è delimitato dalle colonne del tempio, che oggi danno accesso

alle cappelle. Nella prima cappella è conservato un bel fonte battesimale, formato da un cratere greco in

marmo sostenuto da sette leoncini in ferro battuto del Duecento. La cappella di Santa Lucia presenta un bel

paliotto argenteo del Settecento. Nella nicchia è conservata la splendida statua d’argento della santa, opera di

Pietro Rizzo (1599). L’ampia cappella del Crocefisso, in fondo alla navata destra, accoglie una tavola con

San Zosimo, forse di Antonello da Messina; all’altare della cappella è una croce in legno di stile bizantino.

Fra le altre opere d’arte conservate in Duomo, spiccano le molte statue dei Gagini, tra cui quella della

Vergine (di Domenico) e di Santa Lucia (di Antonello) lungo la navata laterale sinistra, e la Madonna della

Neve (di Antonello) nell'abside sinistra. Vi si trovano pure quadri su legno e su tela di epoca bizantina; un

artistico coro in noce del Quattrocento; un organo e la cantoria in legno dorato con ornamenti a stile corinzio,

pure risalenti al Quattrocento.

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Chiesa di Santa Lucia alla Badia

Indirizzo: Via Santa Lucia alla Badia, 2 - 96100 Siracusa

Coordinate: N 37.058103 - E 15.293195

ORARI DI APERTURA Dal martedì alla domenica, dalle ore 11.00 alle ore 16.00

Chiusa il lunedì

Chiesa normanna a completamento di una affascinante Piazza Duomo.

La Chiesa e il convento cistercense dedicato a S. Lucia avevano un posto di rilievo nel culto cittadino, per la

sua ubicazione nel cuore di Ortigia e soprattutto per la festa di S. Lucia di maggio, istituita a ricordo di un

miracoloso intervento (ancora oggi celebrato la prima domenica di maggio) della Patrona durante la carestia

del 1646, quando la Santa avrebbe condotto due navi cariche di cereali nel porto interrompendo la lunga

fame dei Siracusani, quella "dira fames" che aveva fatto soffrire il popolo, come ricorda la lapide esistente

nella chiesa al disotto del coro delle monache.

S. Lucia alla Badia sembra costruita in due stili diversi: la parte inferiore è alla maniera del Picherali, con bei

rilievi degli stemmi spagnoli come era prima dell'ascesa al trono di Filippo V nel 1705, mentre la

decorazione dell'ordine superiore è una specie di variante di rococò che ricorda i pannelli in legno così

frequenti nelle sacrestie siciliane. Rilievi dello stesso stile ornano la facciata di Palazzo Borgia. Una forma

diversa di quasi rococò si può vedere nei capitelli del tempietto ottagonale di S. Lucia al Sepolcro. Lo stile è

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del tutto insolito in Sicilia: l'unica analogia sembra offerta dai rilievi nei pennacchi dell'ex chiostro

dell'Olivella, ora Museo Nazionale, a Palermo.

Facciata:

La chiesa ha un alto prospetto (m. 25) composto da paraste ioniche, la cui trabeazione è costituita da una

balconata chiusa da una elaborata ringhiera a petto d'oca. Il portale con frontone spezzato sorretto da colonne

tortili con alto piedistallo è decorato da una cornice contenente raggi, su cui sono posti una colonna, una

spada, una palma e una corona, simboli del martirio di S. Lucia. Ai lati, racchiusi entro cornici, stemmi dei

reali di Spagna sormontati da corone. Sulla sommità una croce di ferro rimossa perché pericolante.

Interno:

Ad unica e raccolta aula, è quello tipico delle chiese monastiche. Nella volta un affresco fervido

settecentesco con il "Trionfo di S. Lucia". Dietro l'altare maggiore vi è un "Martirio di S. Lucia", dipinto

intensamente narrativo di Deodato Guinaccia (II metà del secolo XVI). Gli stucchi furono eseguiti da Biagio

Bianco di Licodia nel 1705, mentre le dorature sono del 1784 così come il restauro delle volte con gli

affreschi riguardanti il miracolo del 1646. Il paliotto d'argento fu eseguito dall'orafo messinese Francesco

Tuccio nel 1726. Nella parte destra si può ammirare una tela di Giuseppe Reati (l64l) con il miracolo di S.

Francesco di Paola. La cantoria, infine, posta sulla verticale del vestibolo, è chiusa sulla navata da un'alta

gelosia lignea ad andamento curvilineo.

Dal 2009 la chiesa ospita "Il seppellimento di S. Lucia", imponente quadro (olio su tela cm 300x408) che

Michelangelo Merisi da Caravaggio dipinse tra il 1608 e il 1609 durante il suo soggiorno a Siracusa, seguito

alla fuga da Malta.

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Chiesa di San Giovanni alle Catacombe

Indirizzo: Piazza San Giovanni alle Catacombe, 1 - 96100 Siracusa

Coordinate: N 37.076860 - E 15.284442 (piazza)

Coordinate: N 37.076682 - E 15.284895 (ingresso chiesa)

ORARI DI APERTURA Tutti i giorni dalle ore 9,00 a.m. - 13.00. e dalle ore 14.30 al tramonto

La chiesa è visitabile solo nell'ambito del percorso guidato che comprende le Catacombe e la cripta di S. Marciano.

TARIFFE Per visitare il sito è obbligatoria la guida. Il percorso prevede: Basilica di S. Giovanni, Catacombe e Cripta di S.

Marciano.

Le tariffe sono comprensive di visita guidata.

Intero € 8.00

Ridotto (under 15 ed over 65) € 5.00

Comitive (pellegrini e scuole): € 3,00

Bellissimo rosone sulla facciata e accesso alle omonime catacombe

Edificata attorno al VI° secolo nel luogo dove, secondo la tradizione, fu sepolto il 1° vescovo di Siracusa,

Marciano, morto martire sotto Gallieno e Valeriano (metà del III° secolo), la Chiesa di San Giovanni è stata

ritenuta per lungo tempo la prima Cattedrale di Siracusa.

Dell'antica basilica, che presenta tre navate suddivise da 12 colonne di tipo dorico, oggi sono visibili

solamente i resti del colonnato dalla navata mediana e dell'abside in pietra locale.

La chiesa subì diverse innovazioni in età normanna e venne ulteriormente modificata nel corso del XVII°

secolo, con l'inserimento di una nuova struttura che occupò lo spazio delle prime due campate della chiesa

preesistente. Danneggiata dal terremoto del 1693, venne restaurata mediante la ricostruzione della facciata e

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dell'odierno portico con archi ogivali e capitelli decorati, ottenuto con l'utilizzazione di elementi

quattrocenteschi. Sul lato Ovest dell'edificio, si notano il bel protale ed il bel rosone trecentesco.

Dalla corte della chiesa, per una scala, si scende alla cripta di San Marciano, luogo dove si ritiene abbia

predicato San Paolo Apostolo intorno al 61 d.c.. La cripta a pianta trilobata, con i bracci conclusi da absidi,

custodisce il sepolcro in muratura del Santo. Di particolare interesse sono i capitelli con i simboli degli

Evangelisti incorporati nei quattro pilastri, costruiti in età normanna, attorno all'altare, posto al centro della

cripta. Nell'abside Nord è stato riportato alla luce un ipogeo con un affresco raffigurante "Le due

Alessandre", in un atteggiamento di preghiera (V° secolo).

Dal lato Sud della chiesa si accede alla necropoli sotterranea: le catacombe di San Giovanni, che sono le più

recenti tra quelle scoperte a Siracusa (IV° secolo d.c ). Tale complesso di catacombe (unico aperto al

pubblico) risale al 315-360 d.c. e testimonia, assieme alle catacombe di Santa Luciae a quelle di Vigna

Cassia (purtroppo non visitabili) il fervore della vita cristiana a Siracusa sin da tempi remoti.

Castello Maniace

Indirizzo: Via Castello Maniace, 51 - 96100 Siracusa

Coordinate: N 37.053482 - E 15.295242

Orari: da martedì a venerdì dalle ore 9:00 alle ore 13:00

sabato dalle ore 9:00 alle ore 17:30

domenica dalle ore 9:00 alle ore 13:00

lunedì chiuso Ultimo ingresso consentito 30 minuti prima dell'orario di chiusura.

Ingresso gratuito

Tra esigenza militare e funzionalità ambientale, un elegante Castello voluto da Federico II.

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Il Castello di Federico II a Siracusa, poi detto Maniace, viene costruito fra il 1232 e 1240. I primi documenti

sulla sua fondazione sono le lettere che Federico invia il 17 novembre 1239 da Lodi a suoi sottoposti

collegati alla costruzione del Castello, nelle quali l'imperatore si compiace per la diligenza con la quale

Riccardo da Lentini prepositus aedificiorum segue il castrum nostrum Syracusie e lo rassicura che la sua

richiesta pro munitione castroum nostrorum Syracusie et Lentiní quam etiam pro Serracenis et servis nostris

necessarium frumentum, ordeum, vinum, caseum, companagium, scarpas et indumenta è stata girata al

tesoriere di Messina, il quale provvederà al più presto a fornirlo di tutto l'occorrente. Si noti come

l’imperatore usi i termini Serracenis e servis nostris, facendo riferimento agli operai presenti nel cantiere: i

Saraceni, "tecnici specializzati" venivano regolarmente stipendiati, mentre i servi no.

Nel 1240, quando i castra exempta rientrano sotto la giurisdizione imperiale, il Castello di Siracusa è

annoverato fra questi. Si conoscono i nomi di due castellani svevi di Siracusa: Riccardo Vetrani ed il

fedelissimo Giovanni Piedilepre, al quale fa riferimento un diploma di Manfredi del 13 agosto l263. Sotto gli

Angioini il Castello diviene patrimonio regio, censito nel 1273 da una commissione di inchiesta che parla di

un Castrum Siragusie.

La guerra fra gli Angioini e gli Aragonesi per il dominio del Regno vede il Castello opposto a difesa della

città. Per quasi tutto il XV secolo il Castello è una prigione. Nel 1448, dopo uno splendido banchetto tenuto

nelle sale del Castello, il capitano Giovanni Ventimiglia, fa uccidere tutti i convitati, accusati di tradimento.

Per questo prode gesto ottiene dal re Alfonso di Castiglia in dono i due arieti bronzei che ornavano sino a

quel giorno il prospetto del Castello. Alla fine del XVI secolo, nel piano più generale di fortificazione della

città, Castello Maniace diventa un punto nodale della cinta muraria, progettata dall’ingegnere militare

spagnolo Ferramolino. Nella metà del XVII secolo ulteriori opere fortificate comprendono lavori nel

Castello, di non nota entità.

Il 5 novembre 1704, una furibonda esplosione avvenuta nella polveriera sconvolge l'edificio. Brani di

crociere e blocchi di calcare vengono lanciati nel raggio di diversi chilometri. Negli anni successivi si

appresta la ricostruzione, che lascia intatte le parti rovinate dall'esplosione, mentre si creano tamponature per

la realizzazione di magazzini. In età napoleonica il Castello rivive con funzioni militari e viene munito di

bocche da cannone. Nel 1838, a salvaguardia dei moti che stavano scatenadosi in tutto il regno, i borbonici di

Ferdinando vi innalzano una casamatta. Il Castello viene consegnato al Regno di Savoia ed utilizzato fino

alla seconda guerra mondiale come deposito di materiale militare.

In seguito alla smilitarizzazione dell'area si sono succeduti numerosi lavori di restauro (l'ultimo terminato nel

2010) che hanno riportato il castello agli antichi splendori, diventando oggi uno dei castelli siciliani, e non

solo, più suggestivi dell'isola, un vero e proprio simbolo del potere e della genialità dell'imperatore Federico

II.

La fontana Aretusa

La leggenda più affascinante che riguarda Siracusa è sicuramente quella della ninfa Aretusa e

del suo innamorato Alfeo.

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“Aretusa era fra le ninfe a seguito di Diana quella prediletta, esse trascorrevano le loro giornate nei boschi

che crescevano rigogliosi sotto il Monte Olimpo in Grecia, inseguendo caprioli e daini. Era bella la nostra

Aretusa, ma talmente bella che quasi aveva turbamento e rossore a mostrarsi agli uomini. Durante una

battuta di caccia si allontanò troppo dal gruppo di ancelle al seguito di Diana ed arrivò sola davanti alle

sponde del fiume Alfeo, le cui acque erano pure, dolcissime e limpide tant’è che si poteva scorgere la ghiaia

sul fondo. Era una giornata afosa e la ninfa aveva voglia di fare un bagno. Tutt’attorno v’era di un silenzio

singolare, rotto solo dal cinguettare degli uccelli e dal verso delle anatre acquatiche. Aretusa, invogliata forse

dal non essere vista e dal caldo opprimente, si tolse le candide vesti, li poggiò sopra un tronco d’albero di

salice piangente reciso e s’immerse, iniziando ad entrare in acqua con portamento sinuoso ed aggraziato.

Ebbe subito però la sensazione che verso il centro del fiume, l’acqua attorno a lei cominciasse a fremere e a

formare dei vortici quasi danzanti, qual cosa di magico stava forse per succedere pensò, sembrava come se

quell’acqua la volesse accarezzare ed avvolgere a se. Turbata da queste sensazioni cercò di uscire

affrettatamente dalle acque, ma fu proprio in quel momento che il fiume Alfeo si tramutò in un bel giovane

biondo che, sollevando la testa fuori dell’acqua e scrollandosi la folta chioma, si mostrò alla ninfa Aretusa,

con gli occhi di un innamorato.

La ninfa però presa dalla pausa riuscì a svincolarsi e a raggiungere con grande sforzo la riva, dove fuggì

nuda e gocciolante. Alfeo con un balzo felino uscì anch’egli dal suo fiume e la inseguì senza vesti e colante

di gocce d’acqua. Questo rincorrersi durò parecchio ed Alfeo non riuscì in un primo momento a raggiungere

la ninfa. La seducente Aretusa però, cominciò a stancarsi e capì che le forze le venivano meno. Sentì che

Alfeo stava per raggiungerla e violarla, lei che era una vergine selvaggia e pudica e che non aveva mai

conosciuto l’amore.

Aretusa, per paura di essere raggiunta sopraffatta e profanata, chiese protezione a Diana , invocando di essere

trasformata in sorgente in un luogo possibilmente molto lontano dalla Grecia.

Diana prima la avvolse in una nebbia misteriosa e la celò alla vista di Alfeo, poi la tramutò in una sorgente e

la portò, come in uno strano sortilegio, in Sicilia a Siracusa presso l’isola di Ortigia.

Alfeo in mezzo a quella foschia perse così di vista la sua bella ninfa, ma non desistette dal cercarla e restò sul

posto. Quando la nebbia però si diradò non trovò più nulla, vide solo come in uno specchio una fonte

d’acqua zampillante ed immersa in un giardino meraviglioso. Alfeo capì il prodigio ed era talmente

innamorato che straripò d’amore. Gli dei ne ebbero pietà e Giove l’onnipotente gli permise di raggiungere la

sua amata, ma Alfeo dovette fare un grande sforzo, scavò un sotterraneo sotto il Mare Ionio e dal

Peloponneso venne a sbucare nel Porto grande di Siracusa, accanto alla sua bella amata: Aretusa. Insieme

vissero felici per sempre”.

Oggi questa sorgente d’acque dolci sgorga a qualche metro dal mare, nell’isola di Ortigia a Siracusa. Essa

forma un piccolo laghetto (noto come occhio della Zìllica) semicircolare pieno di pesci e dove il verde

trionfa e cresce rigogliosa la pianta del papiro. Una numerosa colonia d’anatre ha ormai da tempo stabilito la

sua dimora in queste limpide acque. Per tradizione locale viene chiamata anche “a funtana re papiri”. Tutto

questo fa dell’attuale Fonte Aretusa un luogo piacevole da visitare e una meta turistica obbligatoria.

Ricordandosi poi del mito e appoggiandosi alla ringhiera in ferro che sovrasta la fonte, il visitatore avrà la

sensazione di vedere le scene del mito perché il luogo è così pieno di magia che ne rimarrà coinvolto.

E’ famoso a Siracusa il passeggiare, specie al tramonto, lungo la Fonte Aretusa e vedere il sole scendere

all’orizzonte dietro i Monti Iblei. Per i siracusani storicamente è il luogo per eccellenza dove ritrovarsi e

come negli incantesimi si accendono i primi amori degli adolescenti.

Il mito come sicuramente percepite, continua a perpetuarsi, palpitare e diventare immortale.

«….Io non cerco che dissonanze Alfeo,

qualcosa di più della perfezione.

…. Non un luogo dell’infanzia cerco,

e seguendo sottomare il fiume,

già prima della foce di Aretusa,

annodare la corda spezzata dell’arrivo» (Salvatore Quasimodo in Seguendo l’Alfeo.)

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