Appunti di
Variabile Complessa
a.a. 2002-2003
Luigi Orsina
19 dicembre 2002
1
Indice
1 Definizioni 3
2 Convergenza e continuita 6
3 Integrali curvilinei 18
4 La formula di Cauchy 27
5 Successioni e serie di funzioni 35
6 Prolungamento analiticoSuperfici di Riemann 45
7 Serie di Laurent e singolarita 57
8 Residui 65
9 Residuo logaritmicoTeorema di Rouche e Teorema di Brouwer 80
10 La trasformata di Fourier 88
A Appendice: Forme differenziali 101
2
1 Definizioni
Sia C l’insieme dei numeri complessi. Un numero complesso z = x + iy
e identificato in maniera univoca assegnando due numeri reali x e y, detti
rispettivamente parte reale x = <(z) e parte immaginaria y = =(z).
la “quantita” i viene detta unita immaginaria. Dato z = x + iy numero
complesso, il suo coniugato z e definito da z = x−iy, e pertanto <(z) = <(z)
e =(z) = −=(z). Se z1 e z2 sono due numeri complessi, la loro somma e
definita componente per componente:
z1 + z2 = (x1 + iy1) + (x2 + iy2) = (x1 + x2) + i(y1 + y2) ,
mentre il prodotto e definito da
z1 z2 = (x1 + iy1) (x2 + iy2) = (x1 x2 − y1 y2) + i(x1 y2 + x2 y1) .
Dalla definizione di prodotto di ricava subito che i i = i2 = −1. Il modulo
di un numero complesso e definito da |z|2 = z z. Eseguendo i conti, si trova
|z|2 = x2 + y2 .
Pertanto, |z|2 e un numero reale, e quindi |z| =√x2 + y2 (scegliendo la
determinazione positiva per la radice quadrata). Si noti che il modulo del
numero complesso z non e altro che la lunghezza euclidea del vettore (x, y) =
(<(z),=(z)) di R2. Pertanto, dC(z, w) = |z − w| e una distanza su C, che
diventa cosı uno spazio metrico.
Lo spazio vettoriale C si puo rendere uno spazio dotato di prodotto
scalare, definendo
(z |w) = z w .
In questa maniera, si ottiene un’applicazione da C×C in C, che e bilineare,
antisimmetrica, nel senso che
(z |w) = (w | z) ,
e tale che (z | z) ≥ 0, e verifica la disuguaglianza di Cauchy-Schwartz:
| (z |w) | ≤√
(z | z)√
(w |w) .
3
Dal momento che√
(z | z) = |z|, ne segue che (· | ·) induce su C la distanza
dC.
Se z 6= 0, si puo definire l’inverso di z come l’unico numero complesso w
tale che z w = 1. Denotando w = 1z, si vede facilmente che
1
z=
z
|z|2 .
Cosı come si possono introdurre le coordinate polari in R2, e possibile
dare una rappresentazione in coordinate polari per i numeri complessi: ogni
numero complesso e identificato da un coppia (ρ, θ), con ρ ≥ 0 e θ in R.
L’interpretazione geometrica e la solita: ρ e esattamente |z|, mentre θ e
l’angolo formato con l’asse x dal vettore che unisce l’origine a z. Se, al solito,
identifichiamo x e y — dati ρ e θ — dalle formule{x = ρ cos(θ) ,y = ρ sen(θ) ,
ne segue che z = ρ(cos(θ) + isen(θ)). Dal momento che le funzioni seno e
coseno sono periodiche, a θ e θ+2k π (k intero relativo) corrisponde lo stesso
numero complesso z. In altre parole, se z 6= 0, l’argomento e determinato a
meno di multipli interi di 2π. Definiamo Arg(z) uno qualsiasi dei valori di
θ per i quali z = ρ(cos(θ) + isen(θ)), mentre definiamo arg(z) l’unico valore
di θ compreso tra ϕ0 e ϕ0 + 2π, con ϕ0 fissato a priori nel contesto; nella
maggior parte dei casi si scegliera ϕ0 = 0, oppure ϕ0 = −π. Se z = 0, dal
momento che ρ = 0, arg(z) e Arg(z) non sono definiti.
Se θ e in R definiamo eiθ come il numero complesso eiθ = cos(θ)+ isen(θ).
In questo modo, |eiθ| = 1 e, se ρ = |z| e θ = Arg(z),
z = ρ eiθ .
4
Dati eiθ1 e eiθ2 in C, si ha poi
eiθ1 eiθ2 = [cos(θ1) + i sen(θ1)] [cos(θ2) + i sen(θ2)]
= [cos(θ1) cos(θ2)− sen(θ1) sen(θ2)]
+i [sen(θ1) cos(θ2) + cos(θ1) sen(θ2)]
= [cos(θ1 + θ2) + i sen(θ1 + θ2)]
= ei(θ1+θ2) .
Pertanto, la funzione θ 7→ eiθ segue le consuete regole degli esponenziali.
Dalla formula appena dimostrata segue facilmente che se z1 e z2 sono due
numeri complessi, allora |z1 z2| = |z1| |z2| e Arg(z1 z2) = Arg(z1) + Arg(z2).
Si ha poi1
z=
1
ρ eiθ=
ρ eiθ
|ρ eiθ|2 =e−iθ
ρ,
e pertanto∣∣∣1z
∣∣∣ = 1|z| e arg
(1z
)= − arg(z). Come conseguenza, se z1 e z2 sono
due numeri complessi con z2 6= 0,
z1
z2
=ρ1
ρ2
ei(arg(z1)−arg(z2)) .
Dalle formule appena dimostrate segue poi che, se z e un numero complesso,
e n e un intero relativo (se n e negativo, z deve essere diverso da zero), allora
zn =(ρ eiθ
)n= ρn ei nθ .
Da questa formula si ottiene formula che da le radici n-sime di un numero
complesso z. Infatti, se z = ρ eiθ, allora
n√z =
{n√ρ ei(
θ+2k πn ) , k = 0, . . . , n− 1
}.
Geometricamente, le radici n-sime di z sono i vertici di un poligono regolare
di n lati inscritto nella circonferenza di centro l’origine e raggio n√ρ.
5
Le cinque radici quinte di eiπ3
2 Convergenza e continuita
Essendo (C, dC) uno spazio metrico, C e uno spazio topologico. Dal momento
che l’applicazione I : C→ R2 definita da I(z) = (<(z),=(z)) e un’isometria
(se in R2 si considera la distanza euclidea), tutte le proprieta topologiche di
R2 si trasferiscono automaticamente su C. In altre parole, gli aperti di C
non sono altro che gli aperti di R2, e lo stesso vale per gli insiemi chiusi, i
compatti, i connessi, la chiusura e l’interno di un insieme.
La definizione di convergenza per una successione {zn} contenuta in C e
la solita: zn converge a z0 se e solo se dC(zn, z0) = |zn − z0| tende a zero.
Ricordando la definizione di modulo (e l’isometria tra C e R2),
zn → z0 ⇐⇒{<(zn)→ <(z0)=(zn)→ =(z0)
.
6
In altre parole, la convergenza di successioni puo essere “letta” in R2 e di-
mostrata componente per componente.
Un sottoinsieme E di C si dice un dominio se E e un aperto connesso.
Sia E un dominio e f : E → C una funzione; assegnare una funzione da E
in C e equivalente ad assegnare due funzioni da I(E) (che — da ora in poi
— identificheremo sistematicamente con E) a valori in R. In altre parole,
se z = x + iy, allora f(z) = u(x, y) + i v(x, y), con u(x, y) = <(f(z)) e
v(x, y) = =(f(z)).
Una funzione f : E → C ammette limite L per z tendente a z0 se e solo
se f(zn) converge a L per ogni successione {zn} contenuta in E e tendente a
z0. In termini di parte reale e immaginaria, f(z) tende a L per z tendente a
z0 se e solo se u(xn, yn) converge a <(L) e v(xn, yn) converge a =(L). Una
funzione f : E → C si dice continua in z0 se e solo se f(z) converge a f(z0)
quando z tende a z0. A causa dell’identificazione tra convergenza di f(z) e
convergenza della parte reale e della parte immaginaria, f e continua in z0
se e solo se u e v sono continue in (x0, y0) = (<(z0),=(z0)). In altre parole,
saper determinare la continuita di funzioni definite da R2 in R e sufficiente
(ed anche necessario. . .) per determinare la continuita di funzione definite da
C a valori complessi.
Dal momento che la continuita di una funzione complessa f si “legge”
dalla continuita delle funzioni u e v, si estendono a funzioni a valori complessi
tutti i teoremi validi per funzioni continue da R2 in R. In particolare, se E e
un compatto di C, e f : E → C e una funzione continua, allora |f(z)| e una
funzione continua da E in R (perche e composizione di funzioni continue) e
pertanto ammette massimo e minimo per il teorema di Weierstrass.
Definizione 2.1 Sia E un dominio in C, e sia f : E → C una funzione.
Dato z0 in E, f si dice derivabile in z0 se e solo se esiste
lim∆z→0
f(z0 + ∆z)− f(z0)
∆z.
Se f e derivabile in z0, si definisce f ′(z0) il valore del limite:
f ′(z0) = lim∆z→0
f(z0 + ∆z)− f(z0)
∆z.
7
Osservazione 2.2 Ricordiamo che ∆z → 0 vuol dire “per ogni successione
zn tendente a zero”; in altre parole, ∆z puo tendere a zero in un modo
qualsiasi, senza “regole” prefissate. Se scriviamo ∆z = ∆x + i∆y, allora
∆z → 0 e equivalente a (∆x,∆y)→ (0, 0), cosicche il limite che definisce la
derivabilita di una funzione complessa e, in un certo senso, un limite in due
variabili.
Esempio 2.3 Sia f(z) = L, con L numero complesso fissato. Allora, per
ogni z0,f(z0 + ∆z)− f(z0)
∆z=L− L
∆z= 0 ,
e quindi f(z) = L e derivabile ovunque e la sua derivata vale 0. Sia f(z) = z,
e sia z0 qualsiasi. Allora
f(z0 + ∆z)− f(z0)
∆z=z0 + ∆z − z0
∆z= 1 ,
e pertanto f(z) = z e derivabile in ogni punto del piano complesso e la sua
derivata vale 1. Sia ora n in N e f(z) = zn. Allora, per la formula del
binomio di Newton,
f(z0 + ∆z)− f(z0)
∆z=
(z0 + ∆z)n − (z0)n
∆z=
∑n−1k=0
(nk
)zk0 (∆z)n−k
∆z,
che converge a n zn−10 . La funzione f(z) = zn e pertanto derivabile su tutto il
piano complesso, e la sua derivata vale n zn−1 (ritrovando cosı la formula che
da la derivata (reale) di xn). Se n e un intero negativo, la funzione f(z) = zn e
derivabile in C\{0}, e la sua derivata vale n zn−1 (come si verifica facilmente).
Sia ora f(z) = <(z); si ha
f(z0 + ∆z)− f(z0)
∆z=<(z0) + <(∆z)−<(z0)
<(∆z) + i=(∆z)=
∆x
∆x+ i∆y.
Se facciamo tendere ∆z a zero scegliendo (∆x,∆y) = (t, 0) (con t tendente
a zero), otteniamo come limite 1. Se, invece, facciamo tendere ∆z a zero
scegliendo (∆x,∆y) = (0, t) (con t tendente a zero), otteniamo come limite 0.
Pertanto, f(z) = <(z) non e derivabile in nessun punto di C. Se calcoliamo la
parte reale e la parte immaginaria di <(z), si ha u(x, y) = x e v(x, y) = 0, che
8
sono due funzioni C∞ su R2. In altre parole, e a differenza di quanto accade
per la continuita, la derivabilita in C non e equivalente alla derivabilita di
parte reale e parte immaginaria, e neanche a regolarita superiori di u e v. In
maniera analoga, si dimostra che f(z) = =(z) e f(z) = z non sono derivabili
in nessun punto di C.
Teorema 2.4 Sia f : E → C una funzione e sia z0 in E. Se f e derivabile
in z0, allora f e differenziabile in z0, ovvero
lim∆z→0
f(z0 + ∆z)− f(z0)− f ′(z0) ∆z
∆z= 0 .
Dimostrazione. Evidente dalla definizione di derivabilita.
La derivabilita di u e v non e sufficiente a garantire la derivabilita di f
perche la parte reale e la parte immaginaria di una funzione derivabile in C
devono soddisfare delle relazioni ben precise.
Teorema 2.5 Sia f : E → C una funzione derivabile in z0 appartenente ad
E. Allora la parte reale u e la parte immaginaria v di f sono differenziabili
in z0 = (x0, y0) e si ha {ux(x0, y0) = vy(x0, y0) ,uy(x0, y0) = −vx(x0, y0) .
(2.1)
Le equazioni (2.1) sono dette equazioni di Cauchy-Riemann.
Dimostrazione. Si ha
f ′(z0) = lim∆z→0
f(z0 + ∆z)− f(z0)
∆z.
Scegliamo ora ∆z = (∆x, 0), cosicche
f ′(z0) = lim∆x→0
u(x0 + ∆x, y0)− u(x0, y0) + i[v(x0 + ∆x, y0)− v(x0, y0)]
∆x.
Dal momento che il limite esiste, la parte reale converge alla parte reale del
limite, e la parte immaginaria converge alla parte immaginaria. Pertanto, se
f ′(z0) = a+ i b, allora
ux(x0, y0) = lim∆x→0
u(x0 + ∆x, y0)− u(x0, y0)
∆x= a ,
vx(x0, y0) = lim∆x→0
v(x0 + ∆x, y0)− v(x0, y0)
∆x= b .
9
Scegliamo ora ∆z = (0,∆y); si ha
f ′(z0) = lim∆y→0
u(x0, y0 + ∆y)− u(x0, y0) + i[v(x0, y0 + ∆y)− v(x0, y0)]
i∆y
= lim∆y→0
v(x0, y0 + ∆y)− v(x0, y0)− i[u(x0, y0 + ∆y)− u(x0, y0)]
∆y.
Analogamente a prima, si trova
vy(x0, y0) = lim∆y→0
v(x0, y0 + ∆y)− v(x0, y0)
∆y= a ,
−uy(x0, y0) = − lim∆y→0
u(x0, y0 + ∆y)− u(x0, y0)
∆y= b ,
cosicche u e v sono derivabili in (x0, y0) e soddisfano le equazioni di Cauchy-
Riemann.
Verifichiamo ora che u e v sono differenziabili: dobbiamo dimostrare che,
quando (∆x,∆y) tende a (0, 0),
u(x0 + ∆x, y0 + ∆y)− u(x0, y0)− ux(x0, y0)∆x− uy(x0, y0)∆y√(∆x)2 + (∆y)2
→ 0 ,
v(x0 + ∆x, y0 + ∆y)− v(x0, y0)− vx(x0, y0)∆x− vy(x0, y0)∆y√(∆x)2 + (∆y)2
→ 0 .
Essendo f differenziabile in z0, quando ∆z tende a zero si ha
f(z0 + ∆z)− f(z0)− f ′(z0) ∆z
∆z→ 0 . (2.2)
Scriviamo ora parte reale e parte immaginaria del numeratore; essendo ∆z =
∆x+ i∆y, ed essendo f ′(z0) = ux(x0, y0)+ ivx(x0, y0), si ha che la parte reale
e
∆u = u(x0 + ∆x, y0 + ∆y)− u(x0, y0)− ux(x0, y0)∆x+ vx(x0, y0)∆y ,
che, per le (2.1), diventa
∆u = u(x0 + ∆x, y0 + ∆y)− u(x0, y0)− ux(x0, y0)∆x− uy(x0, y0)∆y ,
10
mentre la parte immaginaria e
∆v = v(x0 + ∆x, y0 + ∆y)− v(x0, y0)− vx(x0, y0)∆x− ux(x0, y0)∆y ,
che, sempre per le (2.1), si riscrive
∆v = v(x0 + ∆x, y0 + ∆y)− v(x0, y0)− vx(x0, y0)∆x− vy(x0, y0)∆y .
Pertanto, la (2.2) afferma che
∆u+ i∆v
∆z→ 0 ,
ovvero che|∆u+ i∆v||∆z| → 0 ,
quando ∆z tende a zero; dal momento che tale limite e zero se e solo se
lim∆z→0
|∆u||∆z| = 0 , lim
∆z→0
|∆v||∆z| = 0 ,
ricordando che |∆z| =√
(∆x)2 + (∆y)2, si ha che u e v sono differenziabili
in z0.
E anche vero il viceversa del teorema precedente.
Teorema 2.6 Sia f : E → C un funzione, con f = u+ iv, e sia z0 in E. Se
u e v sono differenziabili in z0 e verificano le (2.1), allora f e derivabile in z0.
Dimostrazione. Essendo u e v differenziabili in z0, si ha
u(x0 + ∆x, y0 + ∆y)− u(x0, y0) = ux(x0, y0)∆x+ uy(x0, y0)∆y + ξ(∆x,∆y) ,
e
v(x0 + ∆x, y0 + ∆y)− v(x0, y0) = vx(x0, y0)∆x+ vy(x0, y0)∆y + η(∆x,∆y) ,
con ξ(∆x,∆y) e η(∆x,∆y) tali che
lim(∆x,∆y)→(0,0)
ξ(∆x,∆y)√(∆x)2 + (∆y)2
= lim∆z→0
ξ(∆z)
|∆z| = 0 , (2.3)
11
e
lim(∆x,∆y)→(0,0)
η(∆x,∆y)√(∆x)2 + (∆y)2
= lim∆z→0
η(∆z)
|∆z| = 0 . (2.4)
Sfruttando le (2.1), si ha
u(x0 + ∆x, y0 + ∆y)− u(x0, y0) = ux(x0, y0)∆x− vx(x0, y0)∆y + ξ(∆x,∆y) ,
e
v(x0 + ∆x, y0 + ∆y)− v(x0, y0) = vx(x0, y0)∆x+ ux(x0, y0)∆y + η(∆x,∆y) .
Pertanto,
f(z0 + ∆z)− f(z0)
∆z=
ux(x0, y0)[∆x+ i∆y] + i vx(x0, y0)[∆x+ i∆y]
∆x+ i∆y
+ξ(∆z) + iη(∆z)
∆z
= ux(x0, y0) + ivx(x0, y0) +ξ(∆z) + iη(∆z)
∆z.
Da (2.3) e (2.4) segue allora la tesi.
Osservazione 2.7 In virtu delle equazioni di Cauchy-Riemann, se f e deri-
vabile in z0 allora si ha
f ′(z0) = ux(x0, y0) + ivx(x0, y0) = ux(x0, y0)− iuy(x0, y0)
= vy(x0, y0) + ivx(x0, y0) = vy(x0, y0)− iuy(x0, y0) .
Osservazione 2.8 La scrittura f(z) = u(x, y) + iv(x, y) non e l’unica possi-
bile per una funzione a valori complessi. Infatti, possiamo rappresentare
z in forma polare come z = ρ eiθ, e pertanto possiamo scrivere f(z) =
u(ρ, θ) + iv(ρ, θ). La condizione di derivabilita diviene allora
u(ρ0 + ∆ρ, θ0 + ∆θ)− u(ρ0, θ0) + i[v(ρ0 + ∆ρ, θ0 + ∆θ)− v(ρ0, θ0)]
(ρ0 + ∆ρ) ei(θ0+∆θ) − ρ0 eiθ0→ 0 ,
12
quando (∆ρ,∆θ) tende a (0, 0). Separando parte reale e parte immaginaria
segue che (se ρ0 6= 0), le derivate parziali di u e v sono legate dalle equazioni
uρ(ρ0, θ0) =1
ρ0
vθ(ρ0, θ0) , uθ(ρ0, θ0) = − 1
ρ0
vρ(ρ0, θ0) . (2.5)
Se, analogamente, scriviamo f(z) = ρ(x, y) ei θ(x,y), allora le equazioni sod-
disfatte dalle derivate parziali di ρ(x, y) e θ(x, y) sono
ρx(x0, y0) = ρ(x0, y0) θy(x0, y0) , ρy(x0, y0) = −ρ(x0, y0) θx(x0, y0) . (2.6)
Definizione 2.9 Una funzione f : E → C si dice olomorfa in E se f e
derivabile in z per ogni z in E, e se la funzione f ′(z) e continua in E.
Per i teoremi precedentemente dimostrati, f e olomorfa in E se e solo se u
e v sono due funzioni in C1(E) che verificano le equazioni di Cauchy-Riemann
in E.
Esempio 2.10 Siano u(x, y) = ex cos(y) e v(x, y) = ex sen(y). Le funzioni
u e v sono C1(R2) e, come si verifica facilmente, soddisfano le equazioni di
Cauchy-Riemann. Definiamo l’esponenziale complesso ez come la funzione
olomorfa f che ha u e v come parte reale e parte immaginaria:
ez = ex[cos(y) + isen(y)] = ex ei y .
La funzione ez estende al campo complesso la funzione ex definita su R. Si
osservi che, essendo
ei y = ei(y+2π) ,
la funzione ez e periodica di periodo (complesso) 2π i; inoltre,
(ez)′ = ez ,
come si verifica facilmente. A partire da ez definiamo altre due funzioni
olomorfe su tutto C:
cos(z) =eiz + e−iz
2, sen(z) =
eiz − e−iz
2i.
Si vede facilmente che cos(z) e sen(z) estendono al campo complesso le fun-
zioni reali di variabile reale cos(x) e sen(x); inoltre, cos(z) e sen(z) sono perio-
diche di periodo 2π, e sono tali che (cos(z))′ = −sen(z) e (sen(z))′ = cos(z).
13
Tali proprieta giustificano il nome attribuito alle due funzioni, cosı come lo
giustifica il fatto (di verifica immediata) che
[sen(z)]2 + [cos(z)]2 = 1 , ∀z ∈ C .
Si noti che la proprieta precedente non implica |sen(z)| ≤ 1 e | cos(z)| ≤ 1.
Teorema 2.11 Siano f, g : E → C due funzioni olomorfe in E; allora
1) λf + µg e una funzione olomorfa in E per ogni λ, µ in C;
2) f g e una funzione olomorfa in E;
3) se g(z) 6= 0 in E, allora f(z)g(z)
e una funzione olomorfa in E;
4) se ϕ : f(E) → C e una funzione olomorfa, allora h(z) = ϕ(f(z)) e
olomorfa in E, e si ha h′(z) = ϕ′(f(z)) f ′(z);
5) se f ′(z0) 6= 0, allora f e invertibile in un intorno di w0 = f(z0); detta g
la funzione inversa, g e olomorfa e si ha g′(w0) = 1f ′(z0)
;
6) data u = <(f), la funzione v = =(f) e determinata univocamente a
meno di una costante;
7) le curve di livello u(x, y) = c1 e v(x, y) = c2 sono (al variare di c1 e c2
in R) due famiglie di curve ortogonali.
Dimostrazione. Le prime quattro proprieta hanno dimostrazione analoga
alle corrispondenti proprieta delle funzioni C1 di variabile reale. Per la 5), si
osservi che l’invertibilita locale e equivalente a dimostrare che, localmente,
le funzioni u(x, y) e v(x, y) sono invertibili. Una condizione sufficiente e che
sia diverso da zero il determinante∣∣∣∣ux(x0, y0) uy(x0, y0)vx(x0, y0) vy(x0, y0)
∣∣∣∣ = ux(x0, y0) vy(x0, y0)− uy(x0, y0) vx(x0, y0) .
Per le equazioni di Cauchy-Riemann, si ha che
ux(x0, y0) vy(x0, y0)−uy(x0, y0) vx(x0, y0) = u2x(x0, y0)+v2
x(x0, y0) = |f ′(z0)|2 ,
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e quindi f e localmente invertibile. La formula per la derivata di g si ottiene
usando 4) e derivando g(f(z)) = z. Per le equazioni di Cauchy-Riemann, una
volta assegnata u parte reale di una funzione olomorfa f , automaticamente
sono assegnate le derivate vx e vy della parte immaginaria di f , ovvero il
gradiente di v. Essendo E connesso, cio equivale ad assegnare v a meno di una
costante; abbiamo cosı dimostrato 6). Infine, dal momento che ∇u = (ux, uy)
e ∇v = (vx, vy) sono due vettori paralleli alle normali alle curve di livello,
se (x0, y0) appartiene alle curve u(x, y) = c1 e v(x, y) = c2, si ha, per le
equazioni di Cauchy-Riemann,
(∇u(x0, y0) |∇v(x0, y0)) = ux(x0, y0)uy(x0, y0)− ux(x0, y0)uy(x0, y0) = 0 .
Le curve di livello hanno pertanto normali ortogonali e quindi, essendo curve
contenute in R2, tangenti ortogonali.
Esempio 2.12 Se f(z) = z2, allora u(x, y) = x2 − y2 e v(x, y) = 2xy.
Se f(z) = z3, allora u(x, y) = x3 − 3xy2 e v(x, y) = 3x2y − y3.
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Qui sotto, le curve di livello di ez e cos(z).
Osservazione 2.13 Un’altra importante proprieta delle funzioni olomorfe
e la seguente. Sia w = f(z) una funzione olomorfa da E in C, e sia
z0 in E tale che f ′(z0) 6= 0. Sia γ1 una curva regolare passante per z0
(ovvero γ1(t) = (x1(t), y1(t)), con x1 e y1 di classe C1([−1, 1]) e tali che
(x1(0), y1(0)) = (x0, y0)). Allora Γ1(t) = f(γ1(t)) e una curva regolare pas-
sante per w0 = f(z0): la regolarita di Γ1 segue osservando che Γ1(t) =
(u(x1(t), y1(t)), v(x1(t), y1(t))), dove u e v sono la parte reale e la parte im-
maginaria di f . Sia f ′(z0) = R0 eiθ0 , con R0 6= 0 e 0 ≤ θ0 < 2π. Se ora ci
muoviamo sulla curva γ1 tendendo a z0, il punto f(γ1(t)) si muove su Γ1 e
tende a w0; essendo per definizione
R0 ei θ0 = limt→0
f(z0 + ∆z)− f(z0)
∆z,
ottenuto indipendentemente da come ∆z tende a zero, si ottiene lo stesso
limite prendendo ∆z = γ1(t) − z0 e facendo tendere t a zero; in questa
maniera, f(z0+∆z)−f(z0) e proprio Γ1(t)−w0. Diamo ora un’interpretazione
geometrica di γ1(t) − z0 e di Γ1(t) − w0; scrivendoli in coordinate polari, si
ha
γ1(t)− z0 = r(t) ei ϕ(t) , Γ1(t)− w0 = R(t) eiΦ(t) ,
e quindi
R0 ei θ0 = limt→0
R(t) eiΦ(t)
r(t) ei ϕ(t)= lim
t→0
R(t)
r(t)ei(Φ(t)−ϕ(t)) .
In particolare,
R0 = limt→0
R(t)
r(t), θ0 = lim
t→0[Φ(t)− ϕ(t)] .
16
Geometricamente, Φ(t) e l’angolo formato con l’asse x (del piano w) dalla
secante alla curva Γ1 nel punto Γ1(t) rispetto a w0, mentre ϕ(t) e l’angolo
formato con l’asse x (del piano z) dalla secante alla curva γ1 nel punto γ1(t)
rispetto a z0; quando t tende a zero, questi angoli tendono rispettivamente
all’angolo Φ0 formato con l’asse x (del piano w) dalla tangente in w0 a Γ1
ed all’angolo ϕ0 formato con l’asse x (del piano z) dalla tangente in z0 a γ1.
Pertanto,
θ0 = Φ0 − ϕ0 .
Sia ora γ2 un’altra curva regolare passante per z0 e sia Γ2 l’immagine di γ2
tramite f . Ripetendo lo stesso ragionamento, si trova
θ0 = Ψ0 − ψ0 ,
dove Ψ0 e ψ0 sono rispettivamente l’angolo formato con l’asse x (del piano w)
dalla tangente in w0 a Γ2 e l’angolo formato con l’asse x (del piano z) dalla
tangente in z0 a γ2. Essendo θ0 indipendente dalle curva, si ha Φ0 − ϕ0 =
Ψ0 − ψ0, ovvero
Φ = Φ0 −Ψ0 = ϕ0 − ψ0 = ϕ .
Dal momento che Φ e ϕ sono rispettivamente l’angolo tra Γ1 e Γ2 e tra γ1 e
γ2, ne segue che una funzione olomorfa conserva gli angoli.
La proprieta di conservare gli angoli di una funzione olomorfa
17
Infine, dal momento che R(t) e la lunghezza della secante alla curva Γ1 nel
punto Γ1(t) rispetto a w0, e che r(t) e la lunghezza della secante alla curva γ1
nel punto γ1(t), il rapporto R(t)r(t)
misura quanto f “distorce” le lunghezze nella
direzione data da γ1. Facendo tendere t a zero, il rapporto R(t)r(t)
tende a R0,
che rappresenta quindi la distorsione infinitesima data da f nella direzione
della tangente a γ1 in z0. Dal momento che il valore R0 non dipende da γ1
(ovvero, non dipende dalla tangente a γ1 in z0), ne segue che una funzione
olomorfa distorce il piano complesso uniformemente in tutte le direzioni (in
maniera infinitesima). In altre parole, trasforma (localmente) cerchi in cerchi;
il rapporto tra il raggio del cerchio di partenza e quello di arrivo e dato da
R0 = |f ′(z0)|.
Localmente i cerchi hanno come immagine dei cerchi
Un funzione da C in C che conservi gli angoli e che distorca uniforme-
mente in tutte le direzioni si dice funzione conforme.
3 Integrali curvilinei
Definizione 3.1 Una curva regolare a valori complessi e un’applicazione
γ : [a, b] → C definita da γ(t) = x(t) + iy((t), con x, y : [a, b] → R due
funzioni C1([a, b]) con la proprieta che (x′(t), y′(t)) 6= (0, 0) per ogni t in [a, b].
18
Una curva regolare a tratti e un’applicazione γ : [a, b]→ C continua tale
che esiste una partizione a = a0 < a1 < . . . < an−1 < an = b di [a, b] tale che
γ e regolare se ristretta a (ai−1, ai) (con i da 1 a n). Una curva regolare a
tratti si dice semplice se γ(t1) 6= γ(t2) per ogni t1 e t2 in (a, b). Una curva
regolare a tratti si dice chiusa se γ(a) = γ(b).
Sia ora E un dominio di C, f : E → C una funzione continua, e γ :
[a, b]→ E una curva regolare. Definiamo l’integrale curvilineo di f lungo
γ come l’integrale (secondo Riemann)∫γf(z) =
∫ b
af(γ(t)) γ′(t) dt .
L’integrale appena scritto va inteso in senso complesso: se f(γ(t)) γ′(t) =
α(t) + iβ(t), allora∫ b
af(γ(t)) γ′(t) =
∫ b
aα(t) dt+ i
∫ b
aβ(t) dt .
La definizione di integrale curvilineo viene estesa in maniera naturale dalle
curve regolari alle curve regolari a tratti come somma degli integrali di f
lungo le n curve regolari che compongono γ.
Supponiamo ora che f(z) = u(x, y) + iv(x, y) e che γ(t) = x(t) + iy(t).
Allora, sviluppando il prodotto,
f(γ(t)) γ′(t) = [u(x(t), y(t)) + i v(x(t), y(t)][x′(t) + iy′(t)]
= u(x(t), y(t))x′(t)− v(x(t), y(t)) y′(t)
+i[v(x(t), y(t))x′(t) + u(x(t), y(t)) y′(t)] .
Definiamo ora due forme differenziali continue su E:
ω1(x, y) = u(x, y) dx− v(x, y) dy , ω2(x, y) = v(x, y) dx+ u(x, y) dy .
E allora evidente dal calcolo appena effettuato, e dalla definizione di integrale
di una forma differenziale lungo una curva (si veda l’Appendice, Definizione
A.7), che si ha∫γf(z) =
∫ b
af(γ(t)) γ′(t) dt =
∫γω1 + i
∫γω2 =
∫γ
[ω1 + i ω2] ,
19
cosicche il calcolo dell’integrale curvilineo di una funzione continua da C in
C viene ricondotto al calcolo dell’integrale lungo una curva di due forme dif-
ferenziali. In questa maniera, l’integrale curvilineo eredita tutte le proprieta
dell’integrale di una forma differenziale, che sono riassunte nel seguente teo-
rema (si veda l’Appendice, Teorema A.9).
Teorema 3.2 Siano γ1 e γ2 due curve regolari a valori in E, e siano f1, f2 :
E → C continue.
1) se γ1 = −γ2 (ovvero e la curva con lo stesso sostegno, la stessa para-
metrizzazione, ma verso di percorrenza opposto), allora∫γ1
f1(z) = −∫γ2
f1(z) ;
2) si ha ∫γ1∪γ2
f1(z) =∫γ1
f1(z) +∫γ2
f1(z) ;
3) per ogni coppia di numeri complessi λ e µ,∫γ1
[λ f1(z) + µ f2(z)] = λ∫γ1
f1(z) + µ∫γ1
f2(z) ;
4) si ha ∣∣∣∣∫γ1
f(z)∣∣∣∣ ≤ ∫
γ1
|f(z)| dsγ1 ,
dove con dsγ1 si e indicata l’ascissa curvilinea su γ1.
5) e ϕ : C → C e una funzione olomorfa tale che γ1 = ϕ(γ2) con cor-
rispondenza biunivoca, allora∫γ1
f(z) =∫γ2
f(ϕ(ζ))ϕ′(ζ) .
Esempio 3.3 Sia f(z) = 1zn
, con n in Z, e sia γR il cerchio di centro l’origine
e raggio R. Allora f e continua in un intorno di γR (dal momento che f non
e continua al piu solo nell’origine). Parametrizzando γR come γR(θ) = R ei θ,
con θ in [0, 2π], si ha∫γR
1
zn=∫ 2π
0
e−in θ
Rn−1i ei θ dθ =
{2π i se n = 1,
0 se n 6= 1.
20
Se, oltre ad essere continua, la funzione f e una funzione olomorfa, le
due forme differenziali associate sono di classe C1, e godono di una proprieta
addizionale: essendo ω1 = u dx − v dy e ω2 = v dx + u dy, il fatto che u e
v soddisfano le equazioni di Cauchy-Riemann implica immediatamente che
sia ω1 che ω2 sono forme differenziali chiuse (si veda l’Appendice, Definizione
A.14). Ricordando che un dominio E di C si dice semplicemente connesso
se ogni curva chiusa contenuta in E e frontiera di un insieme D tutto con-
tenuto in E, e che le forme differenziali chiuse su un dominio semplicemente
connesso sono esatte (Appendice, Teorema A.19), abbiamo subito il seguente
teorema.
Teorema 3.4 Sia E un dominio semplicemente connesso di C, e sia f : E →C olomorfa. Allora ∫
γf(z) = 0 ,
per ogni curva chiusa regolare a tratti contenuta in E.
Se la funzione f , oltre ad essere olomorfa in E, e continua fino alla fron-
tiera di E, e se la frontiera di E e una curva chiusa regolare a tratti, lo stesso
risultato continua a valere integrando sul bordo di E.
Teorema 3.5 Sia E un dominio semplicemente connesso di C, la cui fron-
tiera ∂E e una curva chiusa regolare a tratti, e sia f : E → C olomorfa in E
e continua su E. Allora ∫∂E
f(z) = 0 .
Per i due risultati precedenti non e necessario dare un orientamento alla
curva γ (o alla frontiera di E), perche comunque il risultato non cambia
essendo 0. Se il dominio E non e semplicemente connesso, ma la sua fron-
tiera e una curva regolare a tratti (unione di piu curve chiuse), il risultato
del teorema precedente continua a valere, a patto di percorrere la frontiera
in un verso ben definito. Definendo il verso positivo di percorrenza di ∂E
come quello tale da “lasciarsi l’insieme sulla sinistra”, si ha allora il seguente
teorema.
21
Teorema 3.6 Sia E un dominio di C, la cui frontiera ∂E e una curva rego-
lare a tratti, e sia f : E → C olomorfa in E e continua su E. Allora∫+∂E
f(z) = 0 .
Dimostrazione. Sia Γ la curva chiusa che costituisce la frontiera “esterna”
di E, e siano γ1, . . . , γn le n curve chiuse frontiere degli n “buchi” di E
(si veda la figura). E allora possibile costruire a partire da E un insieme
semplicemente connesso D collegando gli n buchi a Γ (si veda ancora la
figura).
Per il Teorema 3.5, l’integrale di f lungo ∂D e zero. D’altra parte, ogni
“lato” aggiunto alla frontiera di E per costruire la frontiera di D viene per-
corso due volte, in direzioni opposte, e quindi (per la 1) del Teorema 3.2),
22
non da contributo all’integrale. Ne risulta che∫+∂E
f(z) = 0 ,
perche le curve Γ e γ1, . . . , γn sono percorse nel verso “corretto”.
Ricordiamo il seguente teorema sulle forme differenziali continue definite
su domini di R2 (Appendice, Teorema A.12).
Teorema 3.7 Sia ω una forma differenziale continua definita su E, dominio
di R2. Sono equivalenti:
i) ω e una forma differenziale esatta;
ii) se ϕ e una qualsiasi curva chiusa e regolare a tratti contenuta in E,
allora ∫ϕω = 0 ;
iii) Se ϕ1 e ϕ2 sono due curve regolari a tratti contenute in E tali che
ϕ1(a) = ϕ2(a) e ϕ1(b) = ϕ2(b), allora∫ϕ1
ω =∫ϕ2
ω .
Se valgono la ii) o la iii) del teorema precedente, si ottiene una primitiva
di ω fissando (x0, y0) in E e definendo
f(x, y) =∫ϕ(x,y)
ω ,
dove ϕ(x,y) e una qualsiasi curva regolare a tratti contenuta in E e congiun-
gente (x0, y0) a (x, y) (si veda la dimostrazione del Teorema A.12 nell’Ap-
pendice).
Dal momento che calcolare l’integrale curvilineo di una funzione da C in
C e equivalente a calcolare l’integrale di due forme differenziali, abbiamo il
seguente teorema.
23
Teorema 3.8 Sia E un dominio in C, e sia f : E → C una funzione continua
tale che ∫γf(z) = 0 ,
per ogni curva γ chiusa e regolare a tratti contenuta in E. Allora esiste
F : E → C olomorfa tale che F ′(z) = f(z) per ogni z in E. Viceversa, se
esiste F olomorfa in E tale che F ′(z) = f(z) per ogni z in E, allora∫γf(z) = 0 ,
per ogni curva γ chiusa e regolare a tratti contenuta in E.
La funzione F viene detta primitiva di f .
Dimostrazione. Siano ω1 e ω2 le forme differenziali continue associate ad
f . L’ipotesi su f implica che∫γω1 =
∫γω2 = 0 ,
per ogni curva γ chiusa e regolare a tratti contenuta in E. Per il Teorema
3.7, sia ω1 che ω2 sono esatte, e pertanto esistono U : E → R e V : E → R
di classe C1 e tali che dU = ω1 e dV = ω2. Inoltre,
U(x, y) =∫ϕ(x,y)
ω1 , V (x, y) =∫ϕ(x,y)
ω2 ,
dove ϕ(x,y) e una qualsiasi curva regolare a tratti congiungente un fissato
punto (x0, y0) di E con (x, y). Definiamo
F (z) = U(x, y) + i V (x, y) =∫ϕ(x,y)
[ω1 + i ω2] =∫ϕ(x,y)
f(z) ,
e dimostriamo che F e olomorfa; essendo U e V di classe C1 su E (per
costruzione), affinche F sia olomorfa U e V devono verificare le equazioni
di Cauchy-Riemann. Ricordando che, se f(z) = u(x, y) + i v(x, y), ω1 =
u dx− v dy e ω2 = v dx + u dy, si ha Ux = u, Uy = −v, Vx = v e Vy = u, da
cui Ux = Vy e Uy = −Vx. Pertanto, F e olomorfa. Inoltre,
F ′(z) = Ux(x, y) + i Vx(x, y) = u(x, y) + i v(x, y) = f(z) .
24
Per dimostrare la seconda parte del teorema, supponiamo che esista F
olomorfa in E tale che F ′(z) = f(z) per ogni z in E. Se F (z) = U(x, y) +
i V (x, y), e facile dimostrare, a partire dalle equazioni di Cauchy-Riemann,
che le due forme differenziali ω1 e ω2 associate ad f sono esatte. Pertanto,
per il Teorema 3.7, ∫γf(z) =
∫γ
[ω1 + i ω2] = 0 ,
e quindi la tesi.
Osservazione 3.9 Dal teorema precedente segue che una funzione continua
definita su E ammette primitive se e solo se il suo integrale su una qualsiasi
curva chiusa e regolare a tratti contenuta in E e nullo. E evidente la differenza
con il caso delle funzioni continue su R, che ammettono primitive senza
imporre ulteriori condizioni. Tale differenza e dovuta al fatto che le primitive
di f non sono solo “derivabili” (come le primitive di una funzione di variabile
reale), ma anche olomorfe: devono — ad esempio — valere le equazioni di
Cauchy-Riemann.
Mettendo insieme il Teorema 3.4 con il Teorema 3.8 abbiamo che ogni
funzione olomorfa ammette primitive.
Teorema 3.10 Sia E un dominio semplicemente connesso di C, e sia f :
E → C una funzione olomorfa. Allora esiste F : E → C olomorfa tale che
F ′(z) = f(z) per ogni z in E.
Esempio 3.11 Sia f(z) = 1z. La funzione f e olomorfa in D = C\{0},
cosicche e ben definito l’integrale di f(z) lungo una qualsiasi curva γ non
passante per l’origine. Se E e un dominio semplicemente connesso di C
non contenente l’origine, allora l’integrale di f lungo una qualsiasi curva γ
non dipende dalla curva, ma solo dagli estremi. Scegliamo (si noti che e
una scelta arbitraria!) E = C\S, dove S e la semiretta (−∞, 0] contenuta
nell’asse reale; in altre parole, “tagliamo” il piano complesso lungo l’asse
reale negativo. Cosı facendo, E e un dominio semplicemente connesso di C
sul quale f(z) e olomorfa. Fissiamo z0 = 1 e definiamo
F (z) =∫ϕz
1
z,
25
dove ϕz e il segmento che congiunge z0 e z (tale curva e tutta contenuta in
E). Se z e un numero reale positivo (dunque un punto di E), allora∫ϕx
1
z=∫ x
1
dt
t= ln(x) ,
e quindi F (z) coincide con ln(x) su (0,+∞). Dal momento che F ′(z) = 1z
(per costruzione), per analogia con il caso reale definiamo
ln(z) = F (z) =∫ϕz
1
z,
per ogni z in E.
La scelta (arbitraria) di E non puo essere migliorata. Infatti, essendo
C\{0} un connesso, se l’integrale di f lungo una qualsiasi curva chiusa e
regolare a tratti contenuta in E fosse zero, allora f avrebbe una primitiva
definita su tutto C privato dell’origine. Dal momento che (si veda l’Esempio
3.3) si ha ∫γ
1
z= 2π i ,
se γ e una qualsiasi circonferenza centrata nell’origine, f non ammette pri-
mitive in C\{0}.Se scriviamo f(z) = 1
zcome parte reale e come parte immaginaria, si ha
u(x, y) =x
x2 + y2, v(x, y) = − y
x2 + y2,
e pertanto le due forme associate a f sono
ω1(x, y) =x dx+ y dy
x2 + y2, ω2(x, y) =
−y dx+ x dy
x2 + y2.
Si vede facilmente che la prima e esatta su R2\{(0, 0)}, e che una sua primitiva
e data da 12
ln(x2 + y2) = ln(ρ), mentre ω2 non e esatta su R2 \{(0, 0)}dal momento che il suo integrale lungo la circonferenza di centro l’origine
e raggio 1 vale 2π. D’altra parte, ω2 e esatta su E, ovvero su R2 privato
dell’asse x negativo. E inoltre facile vedere che la funzione θ e una primitiva
di ω2 su tale insieme. Pertanto, se z = ρ ei θ, con −π < θ < π allora
F (z) = ln(z) = ln(ρ) + i θ ,
26
e una possibile definizione di ln(z); se, invece di considerare C privato del
semiasse negativo, avessimo considerato C privato di una semiretta del tipo
arg(z) = θ0, avremmo ottenuto un’altra primitiva di 1z, nota a meno di
un’altra costante.
4 La formula di Cauchy
Abbiamo gia visto in precedenza come le funzioni olomorfe siano abbastanza
“particolari”: una funzione olomorfa e piu di “una coppia di funzioni dif-
ferenziabili” (perche devono valere le equazioni di Cauchy-Riemann), ed e
piu di “una funzione integrabile” (perche il suo integrale lungo una qualsiasi
curva chiusa e nullo). Nel prossimo teorema, dovuto a Cauchy, dimostreremo
che una funzione olomorfa e “molto” particolare.
Teorema 4.1 Sia E un dominio semplicemente connesso di C, e sia f : E →C olomorfa in E. Sia Γ una curva chiusa e regolare a tratti contenuta in E,
e sia D ⊂ E un aperto tale che Γ = +∂D. Sia z0 in D. Allora si ha
f(z0) =1
2π i
∫Γ
f(z)
z − z0
. (4.1)
La (4.1) prende il nome di formula di Cauchy.
Dimostrazione. Siano Γ, D e z0 come nell’enunciato, e sia r > 0 tale che
il cerchio di centro z0 e raggio r sia tutto contenuto in D (si veda la figura).
Definiamo Dr = D\Br(z0), cosicche Dr e un dominio di C.
27
La funzione
ϕ(z) =f(z)
z − z0
,
e olomorfa in Dr (dal momento che z0 non appartiene a Dr), ed e continua
su Dr (perche f e continua su D, essendolo su E). Per il Teorema 3.6 si ha
allora ∫+∂Dr
ϕ(z) =∫
+∂Dr
f(z)
z − z0
= 0 .
Si ha +∂Dr = (+Γ) ∪ (−γr), dove γr = +∂Br(z0). Pertanto,
∫Γ
f(z)
z − z0
=∫γr
f(z)
z − z0
.
Si noti che l’integrale su γr e indipendente da r dal momento che e uguale
ad una quantita (l’integrale su Γ di ϕ(z)) che non dipende da r. Parametriz-
zando γr come z0 + r ei θ, con θ in [0, 2π], otteniamo
∫γr
f(z)
z − z0
=∫ 2π
0
f(z0 + r ei θ)
r ei θr i ei θ dθ = i
∫ 2π
0f(z0 + r ei θ) dθ .
Se facciamo tendere r a zero, allora f(z0 + r ei θ) converge uniformemente
a f(z0) (perche f , essendo continua su D, e uniformemente continua), e
pertanto∫Γ
f(z)
z − z0
=∫γr
f(z)
z − z0
= limr→0+
∫γr
f(z)
z − z0
= i∫ 2π
0f(z0) dθ = 2π i f(z0) ,
da cui segue la tesi.
Se E e tale che ∂E e regolare a tratti, e se f e continua su E, allora il
teorema precedente vale anche prendendo Γ = +∂E.
Teorema 4.2 Sia E un dominio semplicemente connesso di C tale che ∂E
sia regolare a tratti, e sia f : E → C olomorfa in E e continua in E. Allora
per ogni z0 in E si ha
f(z0) =1
2π i
∫+∂E
f(z)
z − z0
. (4.2)
28
Osservazione 4.3 Dall’enunciato del Teorema di Cauchy ci si rende imme-
diatamente conto della particolarita di una funzione olomorfa. Il valore di f
in un punto z0 si trova calcolando l’integrale dei valori assunti da f su una
curva Γ che “gira” intorno a z0, ma che puo essere lontanissima da z0. In
altre parole, c’e un legame molto forte tra i valori assunti da una funzione
olomorfa in un dominio ed i valori assunti dalla stessa funzione sulla frontiera
del dominio, nel senso che la conoscenza del valore di f sulla frontiera di E
dice — automaticamente — quanto deve valere f all’interno di E.
I prossimi risultati mostreranno come dalla formula di Cauchy discendano
ulteriori proprieta — molto forti — delle funzioni olomorfe.
Teorema 4.4 (Principio di massimo modulo) Sia E un dominio limi-
tato del piano complesso e sia f : E → C una funzione olomorfa in E e
continua in E. Allora o |f(z)| e costante in E, oppure
maxE|f(z)| = max
∂E|f(z)| .
Dimostrazione. Sia M = maxE |f(z)|; essendo |f(z)| continua su E, che
e compatto, tale valore massimo esiste. Definiamo
E1 = {z ∈ E : |f(z)| = M} , E2 = {z ∈ E : |f(z)| < M} .
L’insieme E2 e evidentemente un aperto, essendo ottenuto come controim-
magine di (−∞,M) tramite la funzione continua |f(z)|. Dimostriamo ora
che, se E1 non e vuoto, allora E1 e un aperto. Sia z0 in E1. Siccome E1
e contenuto in E, che e aperto, esiste r0 > 0 tale che Br(z0) ⊂ E per ogni
r ≤ r0. Sia allora r ≤ r0 e sia γr = ∂Br(z0). Per la formula di Cauchy si ha
f(z0) =1
2π i
∫γr
f(z)
z − z0
.
Passando ai moduli, e ricordando che |f(z0)| = M e che |f(z)| ≤M per ogni
z in γr, si ha
M = |f(z0)| =∣∣∣∣∣ 1
2π i
∫γr
f(z)
z − z0
∣∣∣∣∣ ≤ 1
2π
∫γr
|f(z)|r
dsγr ≤M
2π r
∫γrdsγr = M .
29
Pertanto,1
2π r
∫γr|f(z)| dsγr = M ,
e quindi ∫γr
[M − |f(z)|] dsγr = 0 .
Siccome M − |f(z)| e una funzione continua e non negativa, deve necessa-
riamente essere |f(z)| = M per ogni z in γr. Facendo variare r tra 0 e r0, si
trova che |f(z)| = M per ogni z in γr, per ogni r ≤ r0; pertanto, |f(z)| = M
per ogni z in Br0(z0), da cui segue che Br0(z0) ⊂ E1. In definitiva, se E1 e
non vuoto, E1 e aperto.
Dal momento che E = E1∪E2, e l’unione e disgiunta, essendo E connesso
uno tra E1 ed E2 deve essere vuoto. Se E1 e vuoto, allora E2 = E e quindi
|f(z)| < M per ogni z in E: M e allora assunto sulla frontiera. Se, invece, E2
e vuoto, allora E1 = E e quindi |f(z)| = M e costante su tutto E.
Osservazione 4.5 Se |f(z)| e costante in E, allora e costante anche l’argo-
mento di f , come si deduce dalle (2.6). In altre parole, se f e una funzione
olomorfa costante in modulo, allora f e costante. Inoltre, in entrambi i casi
previsti dal precedente teorema, si ha
maxE|f(z)| = max
∂E|f(z)| .
Prima di enunciare la seconda conseguenza della formula di Cauchy, ri-
cordiamo come si comportano rispetto a continuita e derivabilita gli integrali
dipendenti da un parametro.
Teorema 4.6 Sia ϕ : C×C→ C una funzione tale che:
1) ϕ(·, ζ) e olomorfa in C per ogni ζ in C;
2) ϕ(z, ζ) e continua in C×C;
3) ϕz(z, ζ) e continua in C×C.
30
Sia γ una curva regolare a tratti e sia
F (z) =∫γϕ(z, ζ) .
Allora F e olomorfa in C e si ha
F ′(z) =∫γϕz(z, ζ) .
Dimostrazione. Sia ϕ(z, ζ) = u(x, y, ξ, η) + i v(x, y, ξ, η), e siano ω1(ξ, η)
e ω2(ξ, η) le due forme differenziali continue associate a ϕ(z, ·):
ω1(ξ, η) = u(x, y, ξ, η) dξ − v(x, y, ξ, η) dη ,
ω2(ξ, η) = v(x, y, ξ, η) dξ + u(x, y, ξ, η) dη .
Allora F (z) = U(x, y) + i V (x, y) dove
U(x, y) =∫γω1 =
∫γ[u(x, y, ξ, η) dξ − v(x, y, ξ, η) dη] ,
e
V (x, y) =∫γω2 =
∫γ[v(x, y, ξ, η) dξ + u(x, y, ξ, η) dη] .
Siccome u(·, ·, ξ, η) e v(·, ·, ξ, η) sono funzioni C1(R2), e possibile derivare U
e V , ottenendo
Ux(x, y) =∫γ[ux(x, y, ξ, η) dξ − vx(x, y, ξ, η) dη] ,
Uy(x, y) =∫γ[uy(x, y, ξ, η) dξ − vy(x, y, ξ, η) dη] ,
e
Vx(x, y) =∫γ[vx(x, y, ξ, η) dξ + ux(x, y, ξ, η) dη] ,
Vy(x, y) =∫γ[vy(x, y, ξ, η) dξ + uy(x, y, ξ, η) dη] .
Ricordando che ux(x, y, ξ, η) = vy(x, y, ξ, η) e uy(x, y, ξ, η) = −vx(x, y, ξ, η),
si ottiene facilmente che Ux(x, y) = Vy(x, y) e che Uy(x, y) = −Vx(x, y). Per-
tanto, U e V sono C1(R2) e soddisfano le equazioni di Cauchy-Riemann, il
che implica che F e olomorfa. Inoltre, essendo
ϕz(z, ζ) = ux(x, y, ξ, η) + i vx(x, y, ξ, η) ,
31
le forme differenziali associate a ϕz sono ω1 = ux dξ − vx dη e ω2 = vx dξ +
ux dη, e quindi si ha
Ux(x, y) =∫γω1 , Vx(x, y) =
∫γω2 ,
da cui segue
F ′(z) = Ux(x, y) + i Vx(x, y) =∫γ
[ω1 + i ω2] =∫γϕz(z, ζ) ,
come volevasi dimostrare.
Osservazione 4.7 Si noti che per dimostrare il teorema precedente non si e
usato mai il fatto che ϕ fosse continua e olomorfa su C×C; e infatti sufficiente
che ϕ(z, ζ) sia continua in E×γ, con E un dominio del piano complesso, che
ϕ(z, ζ) sia olomorfa in E per ζ in γ, e che ϕz(z, ζ) sia continua in E per ζ in
γ.
Una volta dimostrato che si puo derivare sotto il segno di integrale, ed
ottenere una funzione olomorfa, possiamo dimostrare che le funzioni olomorfe
ammettono derivate di ogni ordine.
Teorema 4.8 Sia E un dominio del piano complesso la cui frontiera ∂E sia
una curva regolare a tratti, e sia f : E → C olomorfa in E e continua in E.
Allora per ogni k in N esiste la derivata k-sima di f in E, e si ha per ogni
z0 in E
f (k)(z0) =k!
2π i
∫+∂E
f(z)
(z − z0)k+1. (4.3)
Inoltre, f (k) e una funzione olomorfa per ogni k.
Dimostrazione. Sia z0 in E; allora, essendo E aperto, esiste δ > 0 tale
che Bδ(z0) ⊂ E. Consideriamo, per z in ∂E e w in Bδ(z0), la funzione
ϕ(w, z) =1
2π i
f(z)
z − w .
Essendo ϕ continua rispetto a z e olomorfa rispetto a w, ed inoltre tale che
ϕw(w, z) =1
2π i
f(z)
(z − w)2,
32
e continua in w e z, possiamo applicare il Teorema 4.6 (o meglio, l’Osserva-
zione 4.7) e ottenere che, detta
F (w) =∫
+∂Eϕ(w, z) ,
si ha che F (w) e olomorfa e che
F ′(w) =∫
+∂Eϕw(w, z) .
Per la formula di Cauchy, F (w) non e altro che f(w), e pertanto f e olomorfa
(non una grande scoperta) e si ha
f ′(w) =1
2π i
∫+∂E
f(z)
(z − w)2.
In particolare, per ogni z0 in E si ha
f ′(z0) =1
2π i
∫+∂E
f(z)
(z − z0)2.
Se ora definiamo
ϕ(w, z) =1
2π i
f(z)
(z − w)2,
ci rendiamo subito conto che lo stesso ragionamento svolto in precedenza si
puo ripetere; in altre parole, f ′(w) e olomorfa e si ha, per ogni z0 in E,
f ′′(z0) =2
2π i
∫+∂E
f(z)
(z − z0)3.
Iterando il ragionamento k volte si trova la (4.3).
Osservazione 4.9 Se ce ne fosse ancora bisogno, il teorema precedente mo-
tiva una volta di piu la profonda differenza che passa tra le funzioni C1 in R e
le funzioni olomorfe: e sufficiente che la funzione abbia la derivata prima con-
tinua, per avere automaticamente che la funzione e derivabile infinite volte.
Inoltre, ognuna delle derivate successive alla prima si puo rappresentare come
integrale dei valori della funzione f sulla frontiera del dominio su cui f e olo-
morfa.
33
Dal teorema precedente discendono altri risultati importanti sulle funzioni
olomorfe.
Teorema 4.10 (Morera) Sia E un dominio semplicemente connesso del
piano complesso, e sia f : E → C continua in E e tale che∫γf(z) = 0 ,
per ogni curva γ chiusa e regolare a tratti contenuta inE. Allora f e olomorfa.
Dimostrazione. Se f e come nelle ipotesi del teorema, allora esiste una
primitiva F di f , con F olomorfa (Teorema 3.8). Pertanto, f(z) = F ′(z) e
olomorfa come derivata di una funzione olomorfa.
Osservazione 4.11 In base al teorema precedente, una funzione continua
ammette primitive in C se e solo se e olomorfa; il che vuol dire che per avere
primitive bisogna essere “almeno” C∞. Ancora una volta, una differenza
marcata con il caso reale.
Teorema 4.12 (Liouville) Sia f : C → C olomorfa, e supponiamo esista
M ≥ 0 tale che |f(z)| ≤M per ogni z in C. Allora f e costante.
Dimostrazione. Per (4.3) si ha
f ′(z0) =1
2π i
∫γR
f(z)
(z − z0)2,
dove γR e la circonferenza di centro z0 e raggio R. Pertanto,
|f ′(z0)| ≤ 1
2π
∫γR
|f(z)|R2
dsγR ≤M
2π R2
∫γRdsγR =
M
R.
Dal momento che la formula precedente e valida per ogni R > 0, facendo
tendere R ad infinito si trova f ′(z0) = 0. Essendo z0 generico, si ottiene
f ′(z) ≡ 0 in C, e quindi f costante.
Osservazione 4.13 Se, invece di essere limitato, |f(z)| cresce al piu in
maniera polinomiale, ovvero se esiste k in N e M > 0 tale che |f(z)| ≤M(1+ |z|)k, allora f e un polinomio di grado al piu k. Per dimostrare questo
fatto, e sufficiente applicare (4.3) per k + 1, ottenendo f (k+1)(z) ≡ 0.
34
Osservazione 4.14 Essendo cos(z) e sen(z) olomorfe su C e non costanti,
esistono punti z del piano complesso per i quali | cos(z)| > 1 (o |sen(z)| > 1).
Teorema 4.15 (Teorema fondamentale dell’algebra) Sia P un polino-
mio di grado n ≥ 1. Allora esiste z0 in C tale che P (z0) = 0.
Dimostrazione. Sia
P (z) =n∑k=0
ak zk = an zn +
n−1∑k=0
ak zk ,
con an 6= 0. Allora
|P (z)| =∣∣∣∣∣an zn +
n−1∑k=0
ak zk
∣∣∣∣∣ ≥ |an| |z|n −n−1∑k=0
|ak| |z|k = g(|z|) .
La funzione g e un polinomio di grado n in |z|, ed ha il coefficiente del termine
di grado massimo positivo. Pertanto,
lim|z|→+∞
g(|z|) = lim|z|→+∞
|P (z)| = +∞ .
Esiste allora R1 > 0 tale che |P (z)| ≥ 1 per ogni z tale che |z| > R1.
Supponiamo ora per assurdo che P (z) 6= 0 per ogni z in C. E allora
olomorfa in C la funzione ϕ(z) = 1P (z)
. Se |z| > R1, essendo |P (z)| ≥ 1, si
ha |ϕ(z)| ≤ 1. Inoltre, essendo ϕ continua e BR1(0) compatto, esiste M ≥ 0
tale che |ϕ(z)| ≤M per ogni z tale che |z| ≤ R1. In definitiva, esiste M ′ ≥ 0
(M ′ = max(1,M)) tale che |ϕ(z)| ≤M ′ su C. Per il teorema di Liouville, ϕ
e costante. Ma se ϕ e costante, anche P (z) e costante, il che non puo essere
essendo P un polinomio di grado maggiore di 1.
5 Successioni e serie di funzioni
Definizione 5.1 Sia E un dominio del piano complesso, e sia fn : E → C
una successione di funzioni. Si dice che {fn} converge puntualmente in E
a f se
limn→+∞
fn(z) = f(z) , ∀z ∈ E .
35
Si dice che {fn} converge uniformemente a f in E se
limn→+∞
supE|fn(z)− f(z)| = 0 .
Scrivendo fn(z) = un(x, y) + i vn(x, y) e f(z) = u(x, y) + i v(x, y) si veri-
fica facilmente che fn converge puntualmente ad f se e solo se un converge
puntualmente a u e vn converge puntualmente a v, mentre fn converge uni-
formemente a f se e solo se un converge uniformemente a u e vn converge
uniformemente a v. Dal momento che una successione di funzioni limitate di
variabile reale converge uniformemente se e solo se e di Cauchy, si ha che fnconverge uniformemente a f se e solo se esiste Mn ≥ 0 tale che |fn(z)| ≤Mn
per ogni z in E e per ogni ε > 0 esiste nε in N tale che
supE|fn(z)− fm(z)| ≤ ε , ∀n,m ≥ nε .
Inoltre, dal momento che la continuita si conserva per passaggio al limite
uniforme, se fn e continua per ogni n, allora un e vn sono continue per ogni n,
e quindi lo sono u e v (loro limiti uniformi) e, in definitiva, f . In altre parole,
se fn e una successione di funzioni continue convergente uniformemente ad
f , allora f e continua.
Come gia per gli integrali di funzioni di variabile reale su insiemi limitati,
la convergenza uniforme si comporta bene rispetto al passaggio al limite sotto
il segno di integrale.
Teorema 5.2 Sia E un dominio di C, e sia fn : E → C una successione di
funzioni continue che converge uniformemente ad f . Sia γ una curva regolare
a tratti di lunghezza finita contenuta in E. Allora
limn→+∞
∫γfn(z) =
∫γf(z) .
Dimostrazione. Si ha∣∣∣∣∫γfn(z)−
∫γf(z)
∣∣∣∣ =∣∣∣∣∫γ
[fn(z)− f(z)]∣∣∣∣ ≤ ∫
γ|fn(z)− f(z)| dsγ
≤ L(γ) supγ|fn(z)− f(z)| ≤ L(γ) sup
E|fn(z)− f(z)| ,
36
da cui la tesi.
In virtu del teorema precedente e del teorema di Morera, possiamo ri-
cavare una ulteriore proprieta delle funzioni olomorfe.
Teorema 5.3 (Weierstrass) Sia E un dominio del piano complesso, e sia
fn : E → C una successione di funzioni olomorfe in E che converge uni-
formemente ad una funzione f in ogni sottoinsieme chiuso D contenuto in
E. Allora
1) f e olomorfa in E;
2) f (k)n converge puntualmente ad f (k) in E;
3) f (k)n converge uniformemente ad f (k) in ogni sottoinsieme chiuso D con-
tenuto in E.
Dimostrazione. Sia z0 qualsiasi in E, e sia δ > 0 tale che Bδ(z0) sia
contenuta in E. Sia γ una qualsiasi curva chiusa e regolare a tratti contenuta
in Bδ(z0). Allora ∫γfn(z) = 0 ,
dal momento che fn e olomorfa in E. D’altra parte, per il teorema precedente,
dal momento che fn converge uniformemente a f in Bδ(z0), si ha che f e
continua in Bδ(z0) e che∫γf(z) = lim
n→+∞
∫γfn(z) = 0 .
Per il teorema di Morera, f e olomorfa in Bδ(z0) e quindi, per l’arbitrarieta
di z0, in E, concludendo cosı la dimostrazione di 1).
Sia ora z0 qualsiasi in E e sia δ > 0 tale che Bδ(z0) sia contenuta in E; sia
γ una curva chiusa e regolare a tratti contenuta in E, e sia D un sottoinsieme
di E tale che γ = ∂D; supponiamo che γ sia tale che Bδ(z0) ⊂ D. Per la
formula di Cauchy (4.3) per le derivate successive si ha, fissato k in N,
f (k)n (z0) =
k!
2π i
∫γ
fn(z)
(z − z0)k+1, f (k)(z0) =
k!
2π i
∫γ
f(z)
(z − z0)k+1;
37
la seconda formula e valida perche f e olomorfa per 1). Si ha allora
|f (k)n (z0)− f (k)(z0)| =
∣∣∣∣∣ k!
2π i
∫γ
[fn(z)− f(z)
(z − z0)k+1
]∣∣∣∣∣ ≤ L(γ) k!
2π δk+1supγ|fn(z)− f(z)| .
L’ultima maggiorazione e stata effettuata osservando che se z e su γ, allora z
dista da z0 piu di δ. Essendo supγ |fn(z)−f(z)| maggiorato da supE |fn(z)−f(z)|, si ha che f (k)
n (z0) converge a f (k)(z0) e quindi la 2) per l’arbitrarieta di
z0.
Infine, sia D un sottoinsieme chiuso di E e sia γ una curva chiusa e
regolare a tratti contenuta in E e tale che |z − z0| ≥ δ per ogni z in γ e per
ogni z0 in D. Una tale curva esiste perche, essendo D chiuso e E aperto, la
frontiera di D ha distanza positiva dalla frontiera di E. Ragionando come
prima si ha, per ogni z0 in D,
|f (k)n (z0)− f (k)(z0)| ≤ L(γ) k!
2π δk+1supγ|fn(z)− f(z)| ,
da cui segue
supD
|f (k)n (z)− f (k)(z)| ≤ L(γ) k!
2π δk+1supE|fn(z)− f(z)| ,
e dunque la 3).
Osservazione 5.4 Se fn e una successione di funzioni olomorfe che converge
uniformemente (un concetto legato solo alla continuita, che nulla ha a che
fare con le derivate) allora il limite e una funzione olomorfa. In altre parole,
l’insieme delle funzioni olomorfe e chiuso rispetto alla convergenza uniforme.
Questo e falso se le funzioni sono reali di variabile reale: ad esempio, fn(x) =√x2 + 1
ne una successione di funzioni C∞(R) che converge uniformemente
(sui compatti) a f(x) = |x| (che e solo una funzione continua).
Controllando la dimostrazione del teorema precedente, si nota come non si
sia mai usato il fatto che le fn convergono uniformemente a f nei sottoinsiemi
chiusi di E, ma solo il fatto che la successione convergeva uniformemente su
una curva γ. Questo fatto giustifica il seguente teorema.
38
Teorema 5.5 Sia E un dominio limitato di C la cui frontiera ∂E e una
curva regolare a tratti. Sia fn : E → C una successione di funzioni olomorfe
in E e continue in E. Supponiamo che fn converga uniformemente su ∂E;
allora fn converge uniformemente in E.
Dimostrazione. Siccome fn converge uniformemente su ∂E, la successione
{fn} e di Cauchy su ∂E; ovvero, per ogni ε > 0 esiste nε in N tale che
sup∂E|fn(z)− fm(z)| ≤ ε , ∀n,m ≥ nε .
Per il principio di massimo modulo (Teorema 4.4) si ha, essendo fn − fmolomorfa
supE
|fn(z)− fm(z)| = sup∂E|fn(z)− fm(z)| ,
cosicche {fn} e una successione di Cauchy in E, e dunque converge uniforme-
mente.
Definizione 5.6 Sia fn : E → C una successione di funzioni, e sia Sn(z) =∑nk=0 fk(z) la successione delle somme parziali associata alla successione
{fn}. La serie di funzioni
S(z) =+∞∑k=0
fk(z) ,
si dice puntualmente convergente in E se e convergente puntualmente a
S(z) in E la successione {Sn(z)}; la serie si dice uniformemente convergente
in E se e convergente uniformemente a S(z) in E la successione {Sn(z)};infine, la serie si dice totalmente convergente in E se e convergente la serie
(di numeri reali)+∞∑k=0
supE|fk(z)| .
Come gia per le serie di funzioni reali di variabile reale, la convergenza totale
in E implica la convergenza uniforme, che a sua volta implica la convergenza
puntuale. Dal momento che la convergenza uniforme di una serie di fun-
zioni e equivalente alla convergenza uniforme della successione delle somme
parziali, tutti i teoremi dimostrati per successioni di funzioni uniformemente
39
convergenti si estende alle serie di funzioni uniformemente convergenti. In
particolare, se {fn} e una successione di funzioni olomorfe tale che Sn(z)
converge uniformemente in E ad S(z), allora S e olomorfa in E.
Definizione 5.7 Sia {cn} una successione di numeri complessi, sia z0 in C,
e sia fn(z) = cn (z− z0)n. La serie di funzioni associata alla successione {fn}si dice serie di potenze di centro z0.
Le principali proprieta delle serie di potenze sono riassunte nel seguente
teorema.
Teorema 5.8 Sia {ck} una successione di numeri complessi, e consideriamo
la serie di potenze
S(z) =+∞∑k=0
ck (z − z0)k .
Allora esiste ρ ∈ [0,+∞] tale che la serie di potenze converge puntualmente
per |z − z0| < ρ, e non converge per |z − z0| > ρ. Inoltre, la serie di potenze
converge uniformemente su |z − z0| ≤ R per ogni R < ρ. Il numero reale
ρ, detto raggio di convergenza della serie di potenze e determinato
univocamente dalla seguente formula: se
L = lim supk→+∞
k
√|ck| ,
allora
ρ =
0 se L = +∞,1L
se 0 < L < +∞,+∞ se L = 0.
(5.1)
Dimostrazione. Dal momento che una serie di potenze di centro z0 si puo
ricondurre ad una serie di potenze di centro l’origine con il cambio di variabile
ζ = z − z0, non e restrittivo considerare solo il caso z0 = 0. Consideriamo
allora la serie di potenze
S(z) =+∞∑k=0
ck zk ,
e sia ρ dato da (5.1); supponiamo inizialmente che 0 < ρ < +∞ e sia z un
numero complesso tale che |z| < ρ. Allora
lim supk→+∞
k
√|ck zk| = |z| lim sup
k→+∞k
√|ck| = |z|L < ρL = 1 .
40
Per il criterio della radice, la serie di termine generico |ck zk| e convergente;
pertanto, la serie di termine generico ck zk e assolutamente convergente,
quindi convergente. Se |z| > ρ, il limite superiore della radice k-sima di
|ck zk| e maggiore di 1, il che vuol dire che esiste δ > 0 tale che per infiniti
indici k si ha |ck zk| ≥ (1+δ)k. Pertanto, la successione |ck zk| non e limitata;
in particolare, non e infinitesima, cosicche la serie di termine generico ck zk
non puo convergere.
Sia ora |z| ≤ R < ρ. Allora |ck zk| ≤ |ck Rk| = |ck|Rk. Dal momento che
lim supk→+∞
k
√|ck|Rk = LR < Lρ = 1 ,
la serie di termine generico |ck|Rk e convergente, e quindi la serie di termine
generico ck zk converge totalmente nell’insieme |z| ≤ R, dunque uniforme-
mente.
I casi ρ = 0 e ρ = +∞ sono lasciati al lettore.
Osservazione 5.9 Sia data una serie di potenze, e sia ρ il suo raggio di
convergenza. Dal momento che le funzioni ck (z − z0)k sono olomorfe, ed
essendo la convergenza della serie di potenze uniforme in |z−z0| ≤ R < ρ, ne
segue (per il Teorema 5.3) che la somma della serie di potenze e olomorfa per
|z−z0| < ρ, e che le derivate della serie di potenze convergono (puntualmente
in E, e uniformemente nei chiusi contenuti in E) alle derivate della somma
della serie. In generale, la convergenza delle derivate non e uniforme su
tutto l’insieme di convergenza uniforme della serie, come mostra il seguente
esempio.
Sia fn(z) = zn
n2 . La serie di potenze associata ha raggio di convergenza 1, e
la serie converge uniformemente per |z| ≤ 1, in quanto converge totalmente su
tale insieme. La serie delle derivate ha invece termine generico f ′n(z) = zn−1
n,
che non converge per |z| = 1.
Detta S(z) =∑+∞k=0 ck (z − z0)k per z nell’insieme di convergenza della
serie di potenze, e possibile calcolare tutte le derivate di S derivando la serie
termine a termine. In particolare, si ha
S(k)(z0) = k! ck ,
ovvero
ck =S(k)(z0)
k!.
41
In altre parole, i coefficienti della serie di potenze di somma (olomorfa) S(z)
sono legati alle derivate di S dalla formula precedente.
Esempio 5.10 Sia z0 in C e siano z e w in C. Consideriamo la serie di
funzioni+∞∑k=0
(z − z0
w − z0
)k,
e ci chiediamo se converga e — nel caso — come, rispetto alle variabili z e
w. Definendo ζ = z−z0w−z0 , la serie si trasforma nella serie di potenze
+∞∑k=0
ζk ,
che e una serie di potenze di raggio di convergenza 1, convergente a S(ζ) =1
1−ζ (essendo una serie geometrica). Pertanto, la serie di partenza converge
puntualmente per∣∣∣ z−z0w−z0
∣∣∣ < 1, e converge uniformemente se∣∣∣ z−z0w−z0
∣∣∣ ≤ R < 1.
Sia allora w fissato. Per ogni z tale che |z − z0| < |w − z0| la serie converge
(come serie di funzioni nella variabile z), e si ha
F (z) =+∞∑k=0
(z − z0
w − z0
)k=
1
1− z−z0w−z0
=w − z0
w − z ,
con convergenza uniforme se |z − z0| ≤ R < |w − z0|. Se, invece, z e fissato,
la serie (come serie di funzioni nella variabile w) converge per ogni w tale che
|w−z0| > |z−z0| alla stessa funzione G(w) = w−z0w−z , con converenza uniforme
per |w − z0| ≥ R > |z − z0|. Si noti che, se |z − z0| < |w − z0|, allora z 6= w,
e quindi w−z0w−z e olomorfa sia in z che in w.
Il precedente esempio, le proprieta delle serie di potenze e la formula di
Cauchy fanno sı che le funzioni olomorfe siano sviluppabili in serie di potenze.
Teorema 5.11 (Taylor) Sia z0 in C, e sia f : Bρ(z0) → C olomorfa in
Bρ(z0). Allora esiste un’unica successione {cn} di numeri complessi tale che
f(z) =+∞∑k=0
ck (z − z0)k , ∀z : |z − z0| < ρ .
42
Dimostrazione. Sia z in Bρ(z0) e sia 0 < r < ρ tale che |z − z0| < r. Per
la formula di Cauchy,
f(z) =1
2π i
∫γr
f(w)
w − z ,
dove γr e la circonferenza di centro z0 e raggio r (si veda la figura).
Siccome |w − z0| = r e |z − z0| < r, per l’Esempio 5.10 si ha
1
w − z =1
w − z0
+∞∑k=0
(z − z0
w − z0
)k=
+∞∑k=0
(z − z0)k
(w − z0)k+1,
e la convergenza e uniforme in w. Pertanto,
f(z) =1
2π i
∫γrf(w)
+∞∑k=0
(z − z0)k
(w − z0)k+1=
+∞∑k=0
(1
2π i
∫γr
f(w)
(w − z0)k+1
)(z−z0)k .
Definito
ck =1
2π i
∫γr
f(w)
(w − z0)k+1,
si ha allora
f(z) =+∞∑k=0
ck (z − z0)k ,
e, dalla formula di Cauchy per le derivate di una funzione olomorfa,
ck =f (k)(z0)
k!,
43
cosicche la successione {cn} e univocamente determinata. Essendo z arbi-
trario, la serie converge a f su tutto Bρ(z0). Questo fatto implica che il
raggio di convergenza della serie di potenze e maggiore od uguale a ρ, e
quindi la serie converge uniformemente per |z − z0| ≤ R < ρ.
Osservazione 5.12 Come conseguenza del teorema precedente, se f e olo-
morfa in E, e se z0 e in E, allora f si puo sviluppare come serie di potenze di
centro z0, ed il raggio di convergenza della serie di potenze e almeno uguale
alla distanza di z0 dalla frontiera E, vale a dire del raggio del piu grande
cerchio di centro z0 tutto contenuto in E.
Esempio 5.13 Sia f(z) = 11+z2 e sia z0 = 0. Allora f e olomorfa in C
privato dei punti ±i, e quindi il raggio di convergenza della serie di potenze
associata a f e di centro z0 = 0 e almeno 1. In realta, dal momento che
1
1 + z2=
+∞∑k=0
(−1)k z2k ,
il raggio di convergenza della serie e esattamente 1. Tale esempio spiega
anche per quale motivo la serie di potenze della funzione reale g(x) = 11+x2
sia convergente solo per x in (−1, 1) e non su tutto R, insieme di definizione
di g: essendo g la restrizione ad R di f , la serie di potenze di g “sente” i due
punti ±i sui quali f non e definita e non puo “andare oltre” l’intersezione del
cerchio di centro l’origine e raggio 1 con l’asse reale. In pratica, l’ambiente
giusto per studiare le serie di potenze e C, e non R.
Prendiamo ora f come prima, e z0 = 1. Il raggio di convergenza della
serie di potenze associata e adesso almeno√
2 (che e la distanza di z0 da ±i).Infatti, scrivendo
f(z) =1
2i
(1
z − i −1
z + i
),
ed usando l’Esercizio 5.10 si trova, dopo un po’ di calcoli,
f(z) =+∞∑k=0
(−1)k1
2i
(1
(1− i)k+1− 1
(1 + i)k+1
)(z − 1)k .
Scrivendo 1− i =√
2e−iπ4 e 1 + i =
√2ei
π4 , si ottiene
f(z) =+∞∑k=0
(−1)ksen
((k+1)π
4
)2k+1
2
(z − 1)k ,
44
che ha raggio di convergenza esattamente√
2.
Sia ora f(z) = ln(z) e sia z0 = 1. Siccome f(z) e olomorfa in C privato
dell’asse reale negativo, la serie di potenze associata ha raggio di convergenza
almeno 1. Ricordando che f ′(z) = 1z, si ottengono facilmente i coefficienti
dello sviluppo di f , che e
f(z) =+∞∑k=1
(−1)k−1 (z − 1)k
k.
Ancora una volta, il raggio di convergenza e esattamente 1.
6 Prolungamento analitico
Superfici di Riemann
Il fatto che ogni funzione olomorfa sia sviluppabile in serie di potenze per-
mette di provare altre proprieta di una funzione olomorfa. In particolare, di
capire quale sia la “minima” quantita di informazione che permetta di iden-
tificare univocamente una funzione olomorfa: gia sappiamo (Teorema 4.1)
che assegnare una funzione olomorfa sulla frontiera di un dominio “fissa”
automaticamente la funzione all’interno, ma in realta basta dare meno infor-
mazioni.
Definizione 6.1 Sia f : E → C una funzione olomorfa; un punto z0 in E
si dice zero della funzione f se si ha f(z0) = 0. Dall’espansione in serie di
potenze di f in un intorno di z0 si ottiene subito che c0 = 0. Se non solo il
coefficiente c0 e nullo, ma lo sono anche i coefficienti c1, c2, . . ., cn−1, mentre
cn 6= 0, allora z0 si dice zero di ordine n. Se z0 e uno zero di ordine n per
f , allora
f(z) = (z − z0)n+∞∑k=0
cn+k (z − z0)k = (z − z0)n ϕ(z) ,
con ϕ funzione olomorfa in un intorno di z0, e ϕ(z0) = cn 6= 0.
Teorema 6.2 Sia E un dominio di C e sia f : E → C una funzione olomorfa.
Supponiamo che f abbia una successione {zn} di zeri in E. Se zn converge
ad un limite z0 in E, allora f e identicamente nulla in E.
45
Dimostrazione. Supponiamo che gli zn siano tutti diversi da z0; tale
ipotesi non e restrittiva, in quanto al piu uno degli zn puo essere uguale
a z0.
Essendo z0 in E, consideriamo l’espansione di f in serie di potenze cen-
trata in z0:
f(z) =+∞∑k=0
ck (z − z0)k . (6.1)
Tale serie ha un raggio di convergenza che e almeno uguale alla distanza di
z0 dalla frontiera di E. Dal momento che zn converge a z0 e che f e continua,
si ha f(z0) = 0 (e quindi c0 = 0) e
f(z) = (z − z0)+∞∑k=0
ck+1 (z − z0)k = (z − z0) f1(z) ,
con f1 olomorfa. Per f1 possiamo ripetere il ragionamento: f1(zn) = 0, ed
essendo f1 continua, si ha f1(z0) = 0. Dunque c1 = 0 e
f(z) = (z − z0)2+∞∑k=0
ck+2 (z − z0)k = (z − z0)2 f2(z) .
A questo punto e evidente che il ragionamento puo essere ripetuto infinite
volte, ottenendo ck = 0 per ogni k. Per la (6.1), f ≡ 0 in un intorno di z0.
Per mostrare che f e identicamente nulla in E, sia z∗ in E e sia γ una curva
continua che collega z0 a z∗; tale curva esiste perche E, essendo connesso, e
connesso per poligonali. Supponiamo che la curva γ disti piu di una quantita
positiva δ dalla frontiera di E, cosicche il cerchio di centro z e raggio δ
centrato in un punto z di γ e tutto contenuto in E (si veda la figura).
46
Partendo da z0, si ottiene che la f e nulla sul cerchio di centro z0 e raggio
δ. Sia z1 l’intersezione di γ con la frontiera della sfera di centro z0 e raggio
δ. Allora z1 e limite in E di una successione di zeri di f (basta scegliere una
successione qualsiasi ξn appartenente al raggio che collega z0 a z1 e conver-
gente a z1). Pertanto, f ≡ 0 in un intorno di centro z1 e raggio (almeno)
δ. Se z∗ appartiene a tale cerchio, f(z∗) = 0 e la dimostrazione e conclusa
per l’arbitrarieta di z∗; se, invece, z∗ e fuori da questo primo cerchio, sia z2
un’altra intersezione di γ con il cerchio di centro z1 e raggio δ. Allora f ≡ 0 in
un cerchio di centro z2 e raggio (almeno) δ. Proseguendo in questa maniera,
dopo un numero finito di passi si trova un punto zk appartenente a γ tale
che f ≡ 0 in un cerchio di centro zk e raggio δ, con z∗ appartenente a questo
cerchio. Pertanto, f(z∗) = 0. Per l’arbitrarieta di z∗, f e identicamente nulla
su E.
Teorema 6.3 Sia E un dominio di C e sia f : E → C olomorfa in E non
identicamente nulla. Allora f ha un numero finito di zeri in ogni sottoinsieme
D compatto di E.
Dimostrazione. La dimostrazione segue dal fatto che ogni successione
contenuta in un compatto ammette una sottosuccessione convergente e dal
teorema precedente.
Teorema 6.4 Sia E un dominio di C e sia f : E → C olomorfa in E. Se z0
in E e uno zero di ordine infinito per f (ovvero, f si annulla in z0 con tutte
le sue derivate), allora f e identicamente nulla.
Dalla caratterizzazione dei compatti di C discende il seguente teorema.
Teorema 6.5 Una funzione olomorfa f puo avere infiniti zeri o in un aperto,
o in un insieme illimitato.
Teorema 6.6 Sia E un dominio di C e siano f1, f2 : E → C olomorfe in E.
Se esiste una successione {zn} contenuta in E, e convergente a z0 in E, tale
che f1(zn) = f2(zn) per ogni n in N, allora f1 ≡ f2 in E.
47
Dimostrazione. E sufficiente applicare il Teorema 6.2 alla funzione olo-
morfa f = f1 − f2.
Per il teorema precedente, fissata {zn} contenuta in E e convergente a z0
in E, esiste una ed una sola funzione olomorfa f su E che assume in zn dei
valori fissati: questo e il cosiddetto teorema di unicita di definizione di una
funzione olomorfa. Tale teorema puo essere enunciato in altri due modi (che
sono condizioni sufficienti per l’applicazione del risultato appena dimostrato).
Teorema 6.7 Sia E un dominio di C, e siano f1 e f2 funzioni olomorfe su
E. Se f1 coincide con f2 su una curva γ contenuta in E, allora f1 ≡ f2.
Teorema 6.8 Siano E1 e E2 due domini di C, e siano f1 e f2 funzioni
olomorfe su E1 e E2 rispettivamente. Se E = E1 ∩ E2 e diverso dall’insieme
vuoto, e se f1 ≡ f2 su E, allora la funzione
f(z) ={f1(z) se z ∈ E1,f2(z) se z ∈ E2,
e olomorfa in E1 ∪ E2.
Esempio 6.9 Sia f : [a, b]→ R una funzione continua. Allora esiste al piu
una funzione olomorfa F definita su un dominio E contenente il segmento
[a, b] dell’asse reale e tale che F (x) = f(x) per ogni x in [a, b]. Se tale funzione
esiste, F viene detta prolungamento analitico di f da [a, b] a E.
Sia ora
ex =+∞∑k=0
xk
k!,
e ricordiamo che la serie converge su tutto R. Consideriamo la serie di
potenze, definita su C,
f(z) =+∞∑k=0
zk
k!.
Si vede facilmente che tale serie converge ovunque in C, e ovviamente la
somma f della sua serie coincide con ex sull’asse reale. Essendo f olomorfa
in C, f e il prolungamento analitico di ex da R a C. Consideriamo ora la
funzione olomorfa ez definita da ez = ex(cos(y)+ isen(y)). Evidentemente, ez
coincide con ex sull’asse reale. Pertanto, anche ez e il prolungamento analitico
48
di ex da R a C. Per l’unicita del prolungamento analitico si ha f(z) = ez,
ovvero
ez =+∞∑k=0
zk
k!.
Un ragionamento analogo puo essere fatto considerando
sen(x) =+∞∑k=0
(−1)kx2k+1
(2k + 1)!, cos(x) =
+∞∑k=0
(−1)kx2k
(2k)!,
che portano alla scrittura
sen(z) =+∞∑k=0
(−1)kz2k+1
(2k + 1)!, cos(z) =
+∞∑k=0
(−1)kz2k
(2k)!,
per ogni z in C.
L’esempio precdente e un caso particolare di un teorema piu generale, che
enunciamo di seguito.
Teorema 6.10 Sia F : CN → C una funzione di N variabili complesse
continua su CN , derivabile rispetto ad ognuna delle variabili, con derivata
parziale continua. Siano f1, . . ., fN funzioni olomorfe su C tali che
F (f1(x), . . . , fN(x)) = 0 , ∀x ∈ R .
Allora
F (f1(z), . . . , fN(z)) = 0 , ∀z ∈ C .
Dimostrazione. E sufficiente dimostrare che g(z) = F (f1(z), . . . , fN(z)) e
una funzione olomorfa su C per avere la tesi. Infatti, essendo g(x) ≡ 0 su
R, ed essendo g(z) il prolungamento olomorfo di g ai complessi, si ha subito
che g(z) ≡ 0 per l’unicita del prolungamento olomorfo (dato che la funzione
nulla su C prolunga evidentemente g da R a C). L’olomorfia di g segue dalla
formula di derivazione delle funzioni composte: si ha
g′(z) =N∑k=1
Fwk(f1(z), . . . , fN(z)) f ′k(z) ,
e quindi g′(z) e continua per le ipotesi su F e sulle fk.
49
Esempio 6.11 Grazie al teorema precedente, sono ad esempio verificate in
C alcune relazioni valide in R:
cos(z1 ± z2) = cos(z1) cos(z2)∓ sen(z1) sen(z2) ,
sen(z1 ± z2) = sen(z1) cos(z2)± cos(z1) sen(z2) ,
e soprattutto
eln(z) = z .
Il Teorema 6.8 dice che se f1 e f2 sono olomorfe su due insiemi E1 e E2
che hanno una parte comune sulla quale f1 e f2 coincidono, allora e possibile
costruire su E1∪E2 una funzione olomorfa f che estende entrambe le funzioni.
Lo stesso discorso, per il Teorema 6.7, si puo fare nel caso in cui E1 e E2
abbiano una parte della frontiera (pensata come curva regolare a tratti) in
comune, e f1 e f2 siano continue sulla chiusura di E1 e E2 rispettivamente.
E pero possibile un’altra situazione, schematizzata nella figura che segue:
E1 ed E2 hanno un’intersezione comune, ma f1 e f2 coincidono solo su una
parte E ′12 di tale intersezione.
50
Come fare in questo caso? E chiaro che la definizione di f su E1 ∪ E2
come
f(z) ={f1(z) se z ∈ E1,f2(z) se z ∈ E2,
non va bene: infatti, se z appartiene ad E ′′12 (l’insieme sul quale f1 e f2
sono diverse), la definizione e mal posta. Una prima possibilita e quella di
“restringere” l’estensione f nel modo seguente:
g(z) ={f1(z) se z ∈ E1,f2(z) se z ∈ E2\E ′′12,
h(z) =
{f1(z) se z ∈ E1\E ′′12,f2(z) se z ∈ E2.
In questa maniera, pero, avremmo due estensioni olomorfe differenti: una
(g) estende f1 ad E1 ∪ E2, l’altra (h) estende f2 ad E1 ∪ E2. In entrambi
i casi, abbiamo “perso” delle informazioni: siamo stati costretti a scartare
dei valori di f2 (o di f1) la dove non erano compatibili con la funzione che
volevamo estendere.
E pero possibile una terza scelta: modificare in maniera radicale l’insieme
di definizione della funzione f . Pensiamo infatti E1 come sottoinsieme di C1
(il “primo piano” complesso) e E2 come sottoinsieme di C2 (il “secondo
piano” complesso), e pensiamo i due piani sovrapposti (in maniera tale da
non poter distinguere l’uno dall’altro se li guardassimo dalla verticale). Se
osserviamo i due piani sovrapposti dalla verticale (e supponiamo il secondo
piano “trasparente”), vediamo E1∪E2 e le due zone di intersezione E ′12 e E ′′12.
Se, invece, ci spostiamo parallelamente ai due piani complessi, ci rendiamo
conto che E1 ed E2 non si intersecano perche vivono su due piani distinti.
Adesso modifichiamo la “geometria” dei due piani, identificando E ′12 in C1
con il corrispondente E ′12 in C2. In altre parole, stiamo considerando la
parte di E1∩E2 sulla quale f1 ed f2 coincidono come lo stesso oggetto, ma in
due piani differenti. Questa identificazione fa sı che sia possibile passare in
maniera continua dal piano C1 al piano C2, semplicemente entrando in E ′12;
in altre parole, e come se ci si muovesse contemporaneamente sui due piani;
e solo al momento dell’uscita da E ′12 che ci rendiamo conto su quale piano ci
stavamo muovendo: se attraversiamo la frontiera di E ′12 la dove e contenuta
in E1, allora usciamo nel piano C1; se attraversiamo la frontiera di E ′12 la
dove e contenuta in E2, allora usciamo nel piano C2.
51
Sia ora S l’insieme ottenuto da E1 (in C1) ed E2 (in C2) mediante
l’identificazione di E ′12. E evidente che S non “vive” nel piano complesso, ma
e solo un sottoinsieme di C×C (con una identificazione). Dal punto di vista
metrico, localmente, tutte le proprieta di C sono conservate, il che vuol
dire che tutte le proprieta di continuita e derivabilita delle funzioni definite
su E1 ed E2 si conservano. Definiamo allora
f(z) ={f1(z) se z ∈ S ∩C1,f2(z) se z ∈ S ∩C2.
La definizione e ben posta, dal momento che S ∩C1 = E1 ∩C1, e S ∩C2 =
E2 ∩ C2, e abbiamo ottenuto una funzione olomorfa su S, che prolunga sia
f1 che f2. Infatti, dal momento che possiamo passare in maniera continua
da C1 a C2 e viceversa attraverso E ′12, f e il prolungamento olomorfo di f1
da E1 ad S e di f2 da E2 ad S.
Vediamo ora alcuni esempi di costruzione di superficie di Riemann.
Esempio 6.12 Consideriamo le due funzioni f1 : C → C e f2 : C → C
definite da
f1(z) = f1(ρ eiθ) =√ρ ei
θ2 , f2(z) = f2(ρ eiθ) =
√ρ ei
θ2
+iπ = −√ρ eiθ2 ,
52
Come abbiamo visto, sia f1 che f2 sono tali che [f1(z)]2 = [f2(z)]2 = z.
Dovendo sceglierne una, privilegiamo f1, perche f1(x) =√x e quindi f1 e il
prolungamento della radice quadrata di x definita sui reali. Si vede abba-
stanza facilmente che f1 e f2 sono olomorfe per ρ 6= 0, in quanto la parte reale
ed immaginaria di entrambe sono C1 come funzioni di ρ e di θ e verificano
le (2.5). Se ora ci muoviamo lungo la circonferenza di centro l’origine e
raggio 1, e compiamo un giro intero attorno all’origine partendo dall’asse x,
ci rendiamo subito conto che f1(z) non ritorna al punto di partenza: il punto
iniziale e z = 1, quello finale e z = −1. In altre parole, e dal momento che
l’immagine del piano complesso C tramite f1 e il semipiano =(z) ≥ 0, f1(1)
vale 1 ma il limite di f1(z) per z tendente a 1 con la restrizione =(z) < 0
non e 1, bensı −1. Fortunatamente, −1 e esattamente il valore assunto da
f2 in z = 1, e pertanto se “incolliamo” f1 con f2 otteniamo una funzione
continua. In che senso eseguiamo l’incollamento? Ovvero, come costruiamo
la superficie di Riemann per f1 e f2 (ovvero, per√z)?
Consideriamo due copie di C, C1 e C2, e consideriamo i semiassi <(z1) ≥0 in C1 e <(z2) ≥ 0 in C2. Tali semiassi si possono vedere sia come l’insieme
arg(z1) = 0 (arg(z2) = 0) che come l’insieme arg(z1) = 2π (arg(z2) = 2π):
possiamo cioe tenere conto di come ci avviciniamo ad un punto dell’asse
reale positivo, se da “sopra” o da “sotto”. Siccome f1 ristretta al semiasse
arg(z1) = 2π coincide con f2 ristretta al semiasse arg(z2) = 0, e f2 ristretta
al semiasse arg(z2) = 2π coincide con f1 ristretta al semiasse arg(z1) =
0, e naturale considerare la superficie di Riemann S ottenuta identificando
arg(z1) = 2π con arg(z2) = 0 e arg(z1) = 0 con arg(z2) = 2π. In questa
maniera, se ci muoviamo in senso antiorario intorno all’origine partendo da
z1 = 1 (con argomento 0), dopo aver compiuto un giro intero ci troviamo in
z1 = 1 (con argomento 2π) e quindi in z2 = 1 (con argomento 0). Conti-
nuando a girare, dopo un ulteriore giro completo, ci troviamo in z2 = 1 (con
argomento 2π), e quindi in z1 = 0 (con argomento 0): vale a dire, al punto
di partenza. Parallelamente al nostro movimento, la funzione definita da
√z =
{f1(z) se z ∈ S ∩C1,f2(z) se z ∈ S ∩C2.
e passata da 1 a −1 e infine nuovamente ad 1 in maniera continua e, per
l’olomorfia di f1 e f2, anche in maniera olomorfa. In questo modo abbiamo
ottenuto un’unica funzione olomorfa√z, definita non piu su C ma su S (un
53
sottoinsieme di C2): soprattutto, una funzione che assume (su S) un unico
valore.
Nella figura qui sotto, un “tentativo” di rappresentazione di S: la parte
di S evidenziata e il percorso svolto muovendosi da z = 1 per ritornarvi:
come si vede si devono fare due giri intorno all’origine.
La superficie di Riemann di√z; le due parti della superficie non si intersecano
Esempio 6.13 Sia n in N e consideriamo le n funzioni f1, . . . , fn : C → C
definite da
fk(z) = fk(ρ eiθ) = n√ρ ei
θn
+i2π(k−1)
n , k = 1, . . . , n .
Come e noto, per ogni k si ha [fk(z)]n = z, e quindi fk(z) e una delle n radici
n-sime di z. Ancora una volta fk e olomorfa, ma non e continua “attraverso”
il semiasse reale positivo: quando z tende ad 1 con la condizione =(z) > 0,
f1(z) tende ad 1, mentre tende ad f2(1) se z tende ad 1 con la condizione
=(z) < 0. Lo stesso fenomeno si ripete per le altre fk, ognuna delle quali e
continua con fk+1 attraverso il semiasse reale positivo. L’ultima, fn, tende
ad 1 quando z tende ad 1 con la condizione =(z) < 0. Per analogia con
54
quanto e stato fatto prima, costruiamo la superficie di Riemann S di n√z.
Ovviamente, avremo bisogno di n copie C1, . . . ,Cn del piano complesso, il
semiasse arg(zk) = 2π di Ck essendo identificato al semiasse arg(z)k+1 = 0
di Ck+1 (ed il semiasse arg(zn) di Cn con il semiasse arg(z1) = 0 di C1, per
“chiudere” il giro). La funzione n√z definita su S come fk(z) se z appartiene
a S ∩Ck e — nuovamente — olomorfa in S.
La figura qui sotto e un “tentativo” di rappresentazione di S per 3√z: la
parte di S evidenziata e il percorso svolto muovendosi da z = 1 per ritornarvi:
come si vede si devono fare tre giri intorno all’origine.
La superficie di Riemann di 3√z; le parti della superficie non si intersecano
Esempio 6.14 Consideriamo ora la funzione f(z) = ez = ex[cos(y)+isen(y)].
Come gia detto, f e periodica di periodo complesso 2π i; se dividiamo il piano
complesso in infinite strisce parallele Sk = {x ∈ R,−π+2k π ≤ y ≤ π+2kπ}con k in Z, e consideriamo la restrizione di f ad una qualsiasi delle Sk, ab-
biamo f(Sk) = C\{0}. Inoltre, f porta la retta y = −π + 2kπ nel semiasse
<(z) < 0, e fa altrettanto con la retta y = π + 2kπ. Infine, f ristretta ad
Sk e iniettiva, cosicche e possibile definire l’inversa di f come funzione da Sk
55
a C\{0}. Come gia sappiamo, l’inversa di f ristretta a S0 e ln(z), mentre
l’inversa di f ristretta a S1 e ln(z)+2π i, e, in generale, l’inversa di f ristretta
a Sk e ln(z) + 2kπ i. Abbiamo allora infinite funzioni
fk(z) = ln(z) + 2kπ i ,
ognuna delle quali e definita per z diverso da zero. Se adesso consideriamo f0,
e partendo da z = −1 (con argomento −π), ci muoviamo in senso antioriario,
ci rendiamo conto che quando torniamo a z = −1 (con argomento π), il valore
che otteniamo non e f0(−1), bensı f1(−1) (con argomento −π). L’unica
differenza con il caso precedente e che questa volta possiamo continuare a
salire (o a scendere) indefinitamente, senza chiudere mai il giro. La superficie
di Riemann S del logaritmo e pertanto ottenuta considerando un’infinita di
copie di C, {Ck , k ∈ Z}, con l’identificazione tra arg(zk) = π e arg(zk+1) =
−π per ogni k. La funzione (olomorfa!) definita su S (privato di “tutte” le
origini) da Ln(z) = ln(z) + 2kπ i per z in S ∩Ck e l’estensione (ad un solo
valore) del logaritmo da C\{0} alla sua superficie di Riemann.
La superficie di Riemann di Ln(z); come si vede, la superficie e composta di infiniti “fogli”
56
Dal momento che si ha eLn(z) = z per ogni z in S, e possibile definire, per
α complesso,
zα = eαLn(z) .
7 Serie di Laurent e singolarita
Abbiamo gia visto come una funzione olomorfa si possa sviluppare in serie di
potenze intorno ad un qualsiasi punto appartenente all’insieme di olomorfia.
Sia ora z0 in C, e sia {cn, n ∈ Z} una successione di numeri complessi.
Consideriamo la serie
S(z) =+∞∑
n=−∞cn(z − z0)n , (7.1)
e ci chiediamo se, dove e a cosa converga. Ovviamente, per convergenza della
serie intendiamo la convergenza delle due serie
S1(z) =+∞∑n=0
cn(z − z0)n , S2(z) =+∞∑n=1
c−n(z − z0)n
.
La serie S1 e una vera e propria serie di potenze, e pertanto abbiamo gia la
risposta: S1 converge puntualmente all’interno di un cerchio |z−z0| < R1, ed
uniformemente per |z − z0| ≤ R′1 < R1; inoltre, la funzione S1(z) e olomorfa
in |z − z0| < R1, ed il valore del raggio di convergenza R1 e determinato in
maniera univoca dalla successione {cn, n ≥ 0}.La serie S2, invece, non e una serie di potenze, ma la sostituzione ζ = 1
z−z0permette di definire la serie di potenze
T (z) =+∞∑n=1
c−n ζn ,
per la quale sappiamo esistere un raggio di convergenza ρ tale che la serie
converge puntualmente per |ζ| < ρ ed uniformemente per |ζ| ≤ ρ′ < ρ.
Tornando da ζ a z − z0, e detto R2 = 1ρ
(con le scelte corrette nel caso
in cui ρ = 0 e ρ = ∞), si ha allora che S2(z) converge puntualmente per
|z− z0| > R2 e uniformemente per |z− z0| ≥ R′2 > R2; inoltre la funzione S2
e una funzione olomorfa per |z − z0| > R2.
57
Se R2 > R1, allora l’insieme di convergenza “contemporanea” delle due
serie e vuoto, e quindi la (7.1) non definisce alcuna funzione. Se invece
R2 < R1, allora S(z) e ben definita (ed olomorfa) nel settore circolare R2 <
|z − z0| < R1.
Ci chiediamo ora se vale il viceversa: ovvero, data una funzione f olomorfa
in un settore circolare R2 < |z − z0| < R1, e possibile sviluppare f come in
(7.1)? La risposta, affermativa, e data dal seguente teorema.
Teorema 7.1 (Laurent) Siano R2 < R1 e sia D il settore circolare {z ∈C : R2 < |z − z0| < R1}. Sia f : D → C olomorfa. Allora esiste un’unica
successione {cn, n ∈ Z} tale che
f(z) =+∞∑
n=−∞cn (z − z0)n , ∀z ∈ D .
La serie appena definita si dice serie di Laurent di f .
Dimostrazione. Sia z in D e siano R′1 e R′2 tali che
R2 < R′2 < |z − z0| < R′1 < R1 .
Una tale scelta di R′1 e R′2 e evidentemente sempre possibile perche D e
aperto. Consideriamo il settore circolare D′ = {z ∈ C : R′2 < |z− z0| < R′1}.
58
Essendo f olomorfa in D′, il valore di f(z) si puo rappresentare (per la
formula di Cauchy), come
f(z) =1
2π i
∫+∂D′
f(w)
w − z .
Dette γ1 la circonferenza di centro z0 e raggio R′1, e γ2 la circonferenza di
centro z0 e raggio R′2, si ha allora
f(z) =1
2π i
∫γ1
f(w)
w − z −1
2π i
∫γ2
f(w)
w − z .
Consideriamo ora la funzione 1w−z , definita per z inD′ e w in γ1. Dal momento
che |z − z0| < R′1 = |w − z0|, dall’Esempio 5.10 segue che
1
w − z =+∞∑n=0
(z − z0)n
(w − z0)n+1,
e la convergenza della serie, come successione di funzioni della variabile w, e
uniforme. Analogamente, se consideriamo 1w−z definita per z in D′ e w in γ2,
dal momento che |z − z0| > R′2 = |w − z0|, dall’Esempio 5.10 segue che
1
w − z = −+∞∑n=0
(w − z0)n
(z − z0)n+1,
e la convergenza della serie, come successione di funzioni della variabile w, e
uniforme. Pertanto,
f(z) =1
2π i
∫γ1
f(w)+∞∑n=0
(z − z0)n
(w − z0)n+1+
1
2π i
∫γ2
f(w)+∞∑n=0
(w − z0)n
(z − z0)n+1
=+∞∑n=0
(1
2π i
∫γ1
f(w)
(w − z0)n+1
)(z − z0)n
++∞∑n=0
(1
2π i
∫γ2
f(w) (w − z0)n)
1
(z − z0)n+1
=+∞∑
n=−∞cn (z − z0)n ,
avendo definito
cn =
1
2π i
∫γ1
f(w)
(w − z0)n+1se n ≥ 0,
1
2π i
∫γ2
f(w)
(w − z0)n+1se n < 0.
59
Dall’arbitrarieta di z segue allora la tesi.
Osservazione 7.2 Essendo ϕ(w) = f(w)(w−z0)n+1 olomorfa in D, se γ e una
qualsiasi curva chiusa e regolare a tratti contenuta in D che “gira” attorno
a z0, si ha ∫γ1
f(w)
(w − z0)n+1=∫γ
f(w)
(w − z0)n+1=∫γ2
f(w)
(w − z0)n+1,
dal momento che γ1 ∪ γ (cosı come γ2 ∪ γ) e la frontiera di un insieme tutto
contenuto in D (e quindi e nullo l’integrale di ϕ(w)). In questa maniera e
possibile definire i coefficienti cn dello sviluppo di Laurent in maniera unica
come
cn =1
2π i
∫γ
f(w)
(w − z0)n+1,
dove γ e una qualsiasi curva chiusa e regolare a tratti contenuta in D, fron-
tiera di un sottoinsieme di C che contiene z0.
Un caso particolare di settore circolare si ottiene quando R2 = 0, ovvero
si ha una funzione f olomorfa su D = {z ∈ C : 0 < |z − z0| < R}. In questo
caso z0 si dice punto singolare o singolarita per f . Per il Teorema di
Laurent, f e sviluppabile in serie in D, e quindi si ha
f(z) =+∞∑
n=−∞cn (z − z0)n , ∀z ∈ D .
A partire dai valori assunti dai coefficienti cn per n < 0 e possibile “classifi-
care” le possibili singolarita di f .
1) Se cn = 0 per ogni n < 0 la singolarita si dice eliminabile;
2) se cn 6= 0 solo per un numero finito di indici negativi n la singolarita si
dice un polo; detto −m il minimo degli n < 0 per i quali cn 6= 0, z0 si
dice polo di ordine m.
3) se cn 6= 0 per infiniti n < 0 la singolarita si dice essenziale.
Esaminiamo ora il comportamento di una funzione olomorfa in un intorno
di un suo punto singolare.
60
Teorema 7.3 Una singolarita z0 e eliminabile per f se e solo se esistono
δ > 0 e M ≥ 0 tali che
|f(z)| ≤M , ∀z ∈ Bδ(z0) .
Dimostrazione. Supponiamo che z0 sia una singolarita eliminabile. Allora
f(z) =+∞∑n=0
cn(z − z0)n ,
cosicche f(z) tende a c0 quando z tende a z0. Dal momento che f ammette
limite in z0, f e limitata in un intorno di z0.
Viceversa, supponiamo ora che f sia limitata in un intorno Bδ(z0) di z0.
Sia R < δ, e sia γR la circonferenza di centro z0 e raggio R. Allora
cn =1
2π i
∫γR
f(w)
(w − z0)n+1,
da cui, parametrizzando γR come w = z0 +Reiθ, si ha
|cn| ≤1
2π
∫ 2π
0
|f(z0 +Reiθ)|Rn+1
Rdθ ≤ M
Rn.
Se n < 0, facendo tendere R a zero si ottiene cn = 0 (dal momento che cnnon dipende da R). La singolarita e pertanto eliminabile.
Osservazione 7.4 Come segue dalla dimostrazione precedente, una fun-
zione f che abbia in z0 una singolarita eliminabile ammette limite (uguale
a c0) in z0. E allora possibile definire (o ridefinire) f in z0 ponendola
uguale a c0; cosı facendo si ottiene una funzione continua su tutto il cer-
chio {z ∈ C : |z − z0| < R}. La funzione ottenuta in questo modo e anche
olomorfa su tutto il cerchio per il Teorema di Morera, dal momento che
l’integrale lungo una qualsiasi curva chiusa contenuta nel cerchio vale zero:
questo fatto e evidente se la curva non gira attorno a z0, mentre se gira
attorno a z0 l’integrale vale 2π i c−1 = 0. In altre parole, una singolarita
eliminabile puo essere “eliminata”.
61
Esempio 7.5 Consideriamo la funzione, definita in C\{0} da
f(z) =sen(z)
z.
Dallo sviluppo in serie di Taylor di sen(z) intorno a z0 = 0 si ha
f(z) =1
z
+∞∑n=0
(−1)nz2n+1
(2n+ 1)!=
+∞∑n=0
(−1)nz2n
(2n+ 1)!= 1− z2
6+
z4
120− . . . .
Essendo cn = 0 per ogni n < 0, z0 = 0 e una singolarita eliminabile, e la
funzione f definita come f per z 6= 0, ed 1 per z = 0, e olomorfa su tutto C.
Teorema 7.6 Una singolarita z0 e un polo per f se e solo se
limz→z0
|f(z)| = +∞ .
Dimostrazione. Sia z0 un polo per f , e sia m l’ordine del polo. Allora
f(z) =c−m
(z − z0)m+
c−m+1
(z − z0)m−1+ . . .+
c−1
z − z0
++∞∑n=0
cn (z − z0)n ,
con c−m 6= 0. Mettendo in evidenza 1(z−z0)m
si ottiene
f(z) =1
(z − z0)m
+∞∑n=−m
cn (z − z0)n+m =ϕ(z)
(z − z0)m.
La funzione ϕ e olomorfa in D, ed ha in z0 una singolarita eliminabile, dal
momento che tende a c−m per z tendente a z0. Pertanto, essendo c−m 6= 0,
limz→z0
|f(z)| = limz→z0
|ϕ(z)||z − z0|m
= +∞ .
Viceversa, supponiamo che |f(z)| diverga per z tendente a z0. Pertanto,
per ogni M > 0 esiste δ > 0 tale che |f(z)| ≥M per z in Bδ(z0). Definiamo
ϕ(z) = 1f(z)
. Essendo f olomorfa in D, e f non nulla in Bδ(z0), ϕ e olomorfa
in Bδ(z0)\{z0}; inoltre, su tale insieme si ha |ϕ(z)| ≤ 1M
. Pertanto, per il
Teorema 7.3, z0 e una singolarita eliminabile per ϕ e quindi
ϕ(z) =+∞∑n=0
dn (z − z0)n .
62
Siccome |f(z)| diverge, |ϕ(z)| tende a 0 quando z tende a z0, e quindi d0 = 0.
Allora
ϕ(z) =+∞∑n=1
dn (z − z0)n = (z − z0)m+∞∑n=0
dn+m (z − z0)n ,
dove m e tale che dm e il primo coefficiente non nullo nello sviluppo di Taylor
di ϕ. Pertanto, detta
ψ(z) =+∞∑n=0
dn+m (z − z0)n ,
ed osservato che ψ e olomorfa in Bδ(z0) e che ψ(z0) = dm 6= 0, si ha
f(z) =1
(z − z0)m1
ψ(z).
La funzione 1ψ(z)
e olomorfa in Bδ(z0) ed ammette quindi uno sviluppo in
serie di potenze positive. Pertanto f ha uno sviluppo in serie di Laurent con
tutti i coefficienti di indice negativo nulli da −m− 1 in poi, e quindi z0 e un
polo di ordine m per f .
Osservazione 7.7 Si noti che abbiamo anche dimostrato che se z0 e un polo
di ordine m per f , allora z0 e uno zero di ordine m per 1f, e viceversa.
Esempio 7.8 Consideriamo la funzione
f(z) =ez
(z + 1)2,
e dimostriamo che ha un polo di ordine 2 in z0 = −1. Si ha infatti, svilup-
pando ez in un intorno di −1,
ez =+∞∑n=0
e−1 (z + 1)n
n!,
e quindi
f(z) =+∞∑n=−2
e−1 (z + 1)n
(n+ 2)!=
e−1
(z + 1)2+
e−1
z + 1+ . . . .
63
Teorema 7.9 Se z0 e una singolarita essenziale per f , allora per ogni w in
C, per ogni ε > 0 e per ogni δ > 0 esiste zδ in Bδ(z0) tale che
|f(zδ)− w| ≤ ε .
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista un w in C, un ε > 0
ed un δ > 0 tale che
|f(z)− w| > ε , ∀z ∈ Bδ(z0)\{z0} ,
e definiamo ϕ(z) = 1f(z)−w . Essendo f olomorfa in Bδ(z0)\{z0}, ed essendo
f(z) 6= w per ogni z in Bδ(z0)\{z0}, ϕ e una funzione olomorfa in Bδ(z0)\{z0}.Inoltre, |ϕ(z)| ≤ 1
εper ogni z in Bδ(z0)\{z0}, e quindi z0 e una singolarita
eliminabile per ϕ. Pertanto, se supponiamo che z0 sia uno zero di ordine m
per ϕ (con m ≥ 0), allora
ϕ(z) =+∞∑n=m
dn (z − z0)n = (z − z0)m+∞∑n=0
dn+m (z − z0)n = (z − z0)m ψ(z) .
Ma allora
f(z) = w +1
(z − z0)m1
ψ(z),
con ψ olomorfa in Bδ(z0) e ψ(z0) 6= 0. Pertanto, se m = 0, f ha una
singolarita eliminabile in z0, mentre se m > 0, f ha un polo di ordine m
in z0; in entrambi i casi, z0 non e una singolarita essenziale per f , contro
l’ipotesi.
Osservazione 7.10 In particolare, se z0 e una singolarita essenziale, pos-
siamo trovare successioni zn convergenti a z0 e tali che f(zn) converge a w,
qualsiasi sia w in C. Pertanto, ne f , ne |f | ammettono limite (finito o in-
finito) per z tendente a z0. Si noti che il teorema precedente implica anche
che se z0 e una singolarita essenziale per f , allora lo e anche per g(z) = 1f(z)
.
Esempio 7.11 La funzione
f(z) = e1z
ha in z0 = 0 una singolarita essenziale. Infatti
f(z) =+∞∑n=0
1
n!
1
zn,
64
e quindi cn 6= 0 per ogni n ≤ 0. Sia ora w in C. Se w 6= 0, allora z = 1Ln(w)
e tale che f(z) = w; dal momento che, se w = ρ eiθ, si ha Ln(w) = ln(ρ) +
i θ + 2kπ i per qualche k in Z, allora
1
Ln(w)=
1
ln(ρ) + i[θ + 2kπ]=
ln(ρ)− i[θ + 2kπ]
ln2(ρ) + [θ + 2kπ]2,
e quindi∣∣∣ 1Ln(w)
∣∣∣ ≈ Ck
. Fissato δ > 0, e scegliendo k sufficientemente grande,
si ha∣∣∣ 1Ln(w)
∣∣∣ ≤ δ, e quindi esiste zδ in Bδ(0) tale che |f(zδ)−w| = 0 ≤ ε. Se,
invece, w = 0, e sufficiente scegliere zδ reale in (−min( 1ln(ε)
, δ), 0) per avere
che |f(zδ)− 0| = |f(zδ)| ≤ ε.
Si noti che, nell’esempio precedente, l’immagine tramite f di un qual-
siasi cerchio di centro l’origine e raggio δ e tutto il piano complesso privato
dell’origine; tale esempio e significativo perche la situazione “intorno” ad una
singolarita essenziale e sempre di questo tipo.
Teorema 7.12 (Picard) Sia z0 una singolarita essenziale per f . Allora per
ogni δ > 0 fissato si hanno due possibilita:
1) f(Bδ(z0)\{z0}) = C,
oppure
2) esiste w in C tale che f(Bδ(z0)\{z0}) = C\{w}.
In entrambi i casi, ogni valore e assunto infinite volte.
8 Residui
Sia z0 una singolarita isolata di f , ovvero supponiamo che esista R > 0 tale
che f sia olomorfa nel cerchio “bucato” {z ∈ C : 0 < |z − z0| < R}. Allora,
per il Teorema di Laurent,
f(z) =+∞∑
n=−∞cn (z − z0)n ,
65
e i coefficienti cn sono dati da
cn =1
2π i
∫γ
f(z)
(z − z0)n+1,
dove γ e una qualsiasi curva chiusa e regolare a tratti che “gira” intorno a
z0. In particolare
c−1 =1
2π i
∫γf(z) .
Definizione 8.1 Sia z0 una singolarita isolata di una funzione olomorfa f .
Il residuo di f in z0 e il valore
Res [f(z), z0] = c−1 =1
2π i
∫γf(z) ,
con γ curva chiusa e regolare a tratti, contenuta nel dominio di olomorfia di
f , e tale che z0 sia l’unica singolarita di f contenuta nell’insieme di cui γ e
la frontiera.
E evidente dalla definizione che se z0 e una singolarita eliminabile di f ,
allora Res [f(z), z0] = 0 (per il Teorema di Cauchy). E altrettanto evidente
che l’importanza del residuo di f in z0 e contenuta nella definizione: se f e
olomorfa in un intorno di z0 (privato di z0), allora l’integrale di f lungo una
qualsiasi curva γ chiusa e regolare a tratti che gira intorno a z0 e dato da∫γf(z) = 2π iRes [f(z), z0] = 2π i c−1 ,
vale a dire che possiamo calcolare l’integrale di f lungo γ semplicemente
conoscendo il suo sviluppo di Laurent e “leggendo” il coefficiente di (z−z0)−1.
In realta, come dimostrano gli esempi che seguono, non e necessario
conoscere “tutto” lo sviluppo di Laurent per calcolare il residuo.
Esempio 8.2 Sia z0 un polo di ordine 1 per f . Ovvero,
f(z) =c−1
(z − z0)+
+∞∑n=0
cn (z − z0)n ,
da cui, moltiplicando per z − z0,
Res [f(z), z0] = c−1 = limz→z0
f(z) (z − z0) .
66
Alternativamente, supponiamo che f(z) = ϕ(z)ψ(z)
, con ϕ e ψ olomorfe in un
intorno di z0, ϕ(z0) 6= 0, e ψ(z0) = 0; supponiamo inoltre che z0 sia uno zero
di ordine 1 per ψ (e quindi z0 e un polo di ordine 1 per f). Allora
f(z) =ϕ(z)
ψ(z)=
ϕ(z)
ψ′(z0) (z − z0) ++∞∑n=1
ψ(n)(z0)
n!(z − z0)n
.
Pertanto,
Res [f(z), z0] = limz→z0
f(z) (z − z0) =ϕ(z0)
ψ′(z0).
Sia ora f(z) = zzn−1
, sia k un intero tra 0 e n− 1, e sia z0 = ei2kπn . Allora
z0 e un polo di ordine 1 per f , e pertanto, dal momento che f(z) = ϕ(z)ψ(z)
, con
ϕ(z) = z e ψ(z) = zn − 1,
Res [f(z), z0] =ϕ(z0)
ψ′(z0)=
z0
n zn−10
=1
nz2
0 =ei
4kπn
n
In definitiva, se γ e una qualsiasi curva chiusa che gira attorno a z0 (ma che
non contiene al suo interno nessuna delle altre singolarita di f), allora∫γf(z) =
2π i ei4kπn
n.
Esempio 8.3 Sia ora z0 un polo di ordine m per f , con m > 1. Allora
f(z) =c−m
(z − z0)m+ . . .+
c−1
z − z0
++∞∑n=0
cn (z − z0)n .
Moltiplicando per (z − z0)m, si ha
f(z) (z − z0)m = c−m + . . .+ c−1 (z − z0)m−1 ++∞∑n=0
cn (z − z0)n+m ,
cosicche (dal momento che per “arrivare” a c−1 si deve derivare m− 1 volte)
Res [f(z), z0] = c−1 =1
(m− 1)!limz→z0
dm−1
dzm−1[f(z) (z − z0)m] .
Sia f(z) = 1(1+z2)2 . Allora z0 = i e un polo di ordine 2 per f . Pertanto,
Res [f(z), i] = limz→i
[f(z) (z − i)2]′ = limz→i
[1
(z + i)2
]′= lim
z→i
−2
(z + i)3= − i
8.
67
Che succede se la curva γ, invece di girare intorno ad una sola delle
singolarita di f , ne racchiude piu di una?
Teorema 8.4 (Residui) Sia f olomorfa in E privato di n punti z1, . . . , znappartenenti ad E. Allora∫
+∂Ef(z) = 2π i
n∑k=1
Res [f(z), zk] .
Dimostrazione. Al solito, consideriamo il dominio D ottenuto da E elimi-
nando n cerchi Ck centrati in zk e di raggio sufficientemente piccolo da essere
contenuti in E, e da contenere solo zk tra le singolarita di f (si veda la figura).
Su D la funzione e olomorfa, e quindi∫+∂D
f(z) = 0 .
Dal momento che ∂D e l’unione di ∂E e delle frontiere degli n cerchi, e che
questi ultimi sono percorsi in verso negativo (come facenti parte di +∂D), si
ha ∫+∂E
f(z) =n∑k=1
∫+∂Ck
f(z) .
D’altra parte, per definizione,∫+∂Ck
f(z) = 2π iRes [f(z), zk] ,
68
e si ha la tesi.
Esempio 8.5 Sia f(z) = z2+4z(z2+1)
e sia γ la circonferenza di centro l’origine
e raggio 4. Dal momento che γ contiene le tre singolarita z1 = 0, z2 = i e
z3 = −i di f , si ha∫γf(z) = 2π i(Res [f(z), 0] + Res [f(z), i] + Res [f(z),−1]) .
Essendo le tre singolarita dei poli di ordine 1, si ha, per l’Esempio 8.2,
Res [f(z), 0] = limz→0
f(z) z = limz→0
z2 + 4
z2 + 1= 4 ,
Res [f(z), i] = limz→i
f(z) (z − i) = limz→i
z2 + 4
z(z + i)= −3
2,
Res [f(z),−i] = limz→−i
f(z) (z + i) = limz→−i
z2 + 4
z(z − i) = −3
2,
e quindi ∫γf(z) = 2π i .
Definizione 8.6 Il punto z = ∞ si dice punto singolare isolato per
f se tutte le singolarita di f si trovano a distanza finita dall’origine. In
altre parole, se esiste R > 0 tale che se f e singolare in z0, allora |z0| ≤ R.
Definiamo residuo all’infinito di una funzione f olomorfa la quantita
Res [f(z),∞] =1
2π i
∫−C
f(z) = − 1
2π i
∫+C
f(z) ,
dove C e una qualsiasi curva chiusa e regolare a tratti contenente al suo
interno tutte le singolarita di f .
Teorema 8.7 Sia f olomorfa su C, tranne un numero finito di singolarita
isolate z1, . . . , zn, con zn =∞. Allora
n∑k=1
Res [f(z), zk] = 0 .
69
Dimostrazione. Sia C una qualsiasi curva chiusa e regolare a tratti con-
tenente al suo interno le singolarita z1, . . . , zn−1 di f . Per il teorema dei
residui,1
2π i
∫+C
f(z) =n−1∑k=1
Res [f(z), zk] .
La tesi segue allora dal fatto che, per definizione,
1
2π i
∫+C
f(z) = −Res [f(z),∞] .
Il teorema precedente puo essere utile quando si chiede di calcolare l’inte-
grale di f lungo una curva γ che contiene al suo interno molte singolarita della
f , mentre ne ha poche all’esterno. In questo caso, puo essere piu semplice
calcolare la somma dei residui di f nelle singolarita esterne ed all’infinito, ed
ottenere il valore dell’integrale dalla formula data dal Teorema 8.7, dato che∫γf(z) = −2π i
∑zk esterna
Res [f(z), zk]− 2π iRes [f(z),∞] .
Esempio 8.8 Sia f(z) = 1(z−3)(zn−1)
e sia γ la circonferenza di centro l’origine
e raggio 2. Tutte le n + 2 singolarita isolate di f si trovano all’interno della
curva γ, tranne zn+1 = 3 e zn+2 =∞. Pertanto,∫γf(z) = −2π i (Res [f(z), 3] + Res [f(z),∞]) .
Si ha, essendo 3 un polo di ordine 1,
Res [f(z), 3] = limz→3
f(z) (z − 3) = limz→3
1
zn − 1=
1
3n − 1.
Sia ora R > 3 fissato, e sia γR la circonferenza di centro l’origine e raggio R.
Allora
Res [f(z),∞] = − 1
2π i
∫+γR
f(z) .
Parametrizzando γR come R eiθ, si ha
Res [f(z),∞] = − 1
2π i
∫ 2π
0
iR eiθ
(R eiθ − 3)(Rn einθ − 1)dθ
= − 1
2π Rn
∫ 2π
0
eiθ
(eiθ − 3R
)(einθ − 1Rn
)dθ .
70
Dal momento che Res [f(z),∞] non dipende da R, possiamo far tendere R ad
infinito, ottenendo Res [f(z),∞] = 0 (si noti che anche l’integrale converge a
zero essendo n 6= 0). Pertanto,∫γf(z) =
2π i
1− 3n.
Esempio 8.9 Sia
I =∫ 2π
0
dθ
1 + a cos(θ),
con a reale e tale che |a| < 1. Per calcolare I, effettuiamo la seguente
sostituzione: z = eiθ, da cui dz = i eiθdθ = izdθ e, soprattutto,
cos(θ) =eiθ + e−iθ
2=
1
2
(z +
1
z
).
Si ha allora
I =1
i
∫|z|=1
1
z
1
1 + a2
(z + 1
z
) =2
i
∫|z|=1
1
az2 + 2z + a.
Il polinomio di secondo grado az2 + 2z + a ha come radici
−z+ =−1±
√1− a2
a= −1
a±√
1
a2− 1 ,
e di queste una sola, z+, e interna al cerchio di centro l’origine e raggio 1. Si
ha allora ∫|z|=1
1
az2 + 2z + a= 2π iRes
[1
az2 + 2z + a, z+
],
ed essendo az2 + 2z + a = a(z − z+)(z − z−),
Res[
1
az2 + 2z + a, z+
]= lim
z→z+
z − z+
a(z − z+)(z − z−)=
1
a(z+ − z−)=
1
2√
1− a2.
Pertanto, ∫ 2π
0
dθ
1 + a cos(θ)=
2π√1− a2
.
71
Il metodo svolto nell’esercizio precedente si puo applicare al calcolo di
integrali della forma
I =∫ 2π
0R(cos(θ), sen(θ)) dθ ,
dove R(x, y) e una funzione razionale nelle variabili x e y (ovvero, il rapporto
di due polinomi in x e y). Effettuando la stessa sostituzione z = eiθ, ed
osservando che
sen(θ) =eiθ − e−iθ
2i=
1
2i
(z − 1
z
),
l’integrale si trasforma in
I =1
i
∫|z|=1
1
zR(
1
2
(z +
1
z
),
1
2i
(z − 1
z
)),
e l’integranda e una funzione razionale di z (ovvero, il rapporto di due poli-
nomi nella variabile z). A questo punto l’integrale richiesto non e altro che
2π volte la somma dei residui della funzione R nei punti singolari interni alla
circonferenza di centro l’origine e raggio 1 (o la somma, cambiata di segno,
dei residui di R nei punti singolari esterni alla circonferenza, incluso z =∞).
Esempio 8.10 Vogliamo calcolare
I =∫ 2π
0
1 + cos2(θ)
1 + sen2(θ)dθ .
Sostituendo z = eiθ, ed effettuando i calcoli, si ha
I = −1
i
∫|z|=1
z4 + 6z2 + 1
z(z4 − 6z2 + 1).
Il polinomio z4 − 6z2 + 1 ha quattro radici reali: 1z2 = ±(√
2 − 1) e 3z4 =
±(√
2 + 1). Di queste, solo le prime due sono dentro il cerchio di centro
l’origine e raggio 1. Pertanto
I = −2π (Res [f(z), 0] + Res [f(z), z1] + Res [f(z), z2]) = π(3√
2− 2) .
Per calcolare i residui in z1 e z2, conviene usare la formula con la derivata,
piuttosto che il limite. Per esercizio, calcolare lo stesso integrale considerando
i residui in z3, z4, e all’infinito (facendo attenzione, perche il residuo all’infinito
non e zero).
72
Definizione 8.11 Sia f : R→ R una funzione integrabile secondo Riemann
su ogni intervallo compatto di R. Definiamo valore principale secon-
do Cauchy dell’integrale su R di f il limite per R tendente ad infinito
dell’integrale di f sull’intervallo (−R,R) (se esiste):
vp∫ +∞
−∞f(x) dx = lim
R→+∞
∫ R
−Rf(x) dx .
Si osservi che il valore principale non coincide (in generale) ne con l’integrale
improprio secondo Riemann su R, ne con l’integrale secondo Lebesgue su R.
Ad esempio,
vp∫ +∞
−∞sgn(x) dx = 0 ,
mentre sgn(x) non e integrabile e in senso improprio secondo Riemann, ne
secondo Lebesgue. In generale, se f e una funzione dispari su R,
vp∫ +∞
−∞f(x) dx = 0 ,
indipendentemente da f .
Analogamente, se f : (a, b)\{x0} → R e una funzione non definita in x0,
si pone
vp∫ b
af(x) dx = lim
δ→0+
(∫ x0−δ
af(x) dx+
∫ b
x0+δf(x) dx
),
sempre se il limite esiste. Ad esempio,
vp∫ 1
−1
dx
x= 0 .
Se f e definita su R meno alcuni punti, il valore principale di f su R si
ottiene facendo due (o piu) limiti “simmetrici”. Ad esempio,
vp∫ +∞
−∞
dx
x= 0 .
Ovviamente, se f e integrabile in senso improprio secondo Riemann (sia su R,
sia intorno ad una singolarita), allora esiste il valore principale dell’integrale
di f , e si ha
vp∫ +∞
−∞f(x) dx = R
∫ +∞
−∞f(x) dx .
73
Esempio 8.12 Sia
I = vp∫ +∞
−∞
dx
1 + x4.
La funzione f(x) = 11+x4 ammette come prolungamento analitico la funzione
f(z) = 11+z4 , definita ed olomorfa su C privato delle quattro radici quarte
di −1. Sia R > 1 e sia CR la curva chiusa formata dal segmento dell’asse x
con −R ≤ x ≤ R, e dalla semicirconferenza C ′R di centro l’origine e raggio R
contenuta nel semipiano =(z) ≥ 0 (si veda la figura).
Per il teorema dei residui si ha∫CR
f(z) = 2π i(Res
[f(z), ei
π4
]+ Res
[f(z), ei
3π4
]),
essendo eiπ4 e ei
3π4 i due poli di f contenuti all’interno di CR. Essendo poli di
ordine 1 si ha
Res[f(z), ei
π4
]=
1
4 ei3π4
=e−i
3π4
4, Res
[f(z), ei
3π4
]=
1
4 ei9π4
=e−i
π4
4,
e quindi ∫ R
−R
dx
1 + x4+∫C′R
1
1 + z4=π√
2
2. (8.1)
Parametrizzando C ′R come Reiθ, con 0 ≤ θ ≤ π, si ha∣∣∣∣∣∫C′R
1
1 + z4
∣∣∣∣∣ ≤∫ π
0
R
|1 +R4e4iθ| dθ ≤π
R3.
74
Facendo tendere R ad infinito in (8.1), si trova
vp∫ +∞
−∞
dx
1 + x4=π√
2
2.
Il metodo utilizzato nell’esempio precedente funziona perche 11+z4 tende
a zero all’infinito piu velocemente di z. Abbiamo infatti il seguente teorema
generale.
Teorema 8.13 Sia f : R→ R una funzione che ammette un prolungamento
analitico f(z) per =(z) ≥ 0, e supponiamo che f sia olomorfa in =(z) ≥ 0,
tranne un numero finito di singolarita z1, . . . , zn non appartenenti all’asse
reale, e che esistano M > 0, δ > 0 e R0 > 0 tali che
|f(z)| ≤ M
|z|1+δ, ∀z : |z| > R0 .
Allora,
vp∫ +∞
−∞f(x) dx = 2π i
n∑k=1
Res [f(z), zk] .
Dimostrazione. Scelto R > R0 e tale che |zk| ≤ R per ogni k da 1 a n,
definiamo CR come nell’Esempio 8.12. Si ha allora
∫CR
f(z) =∫ R
−Rf(x) dx+
∫C′R
f(z) = 2π in∑k=1
Res [f(z), zk] .
D’altra parte, ∣∣∣∣∣∫C′R
f(z)
∣∣∣∣∣ ≤∫ π
0
MR
R1+δdθ =
Mπ
Rδ,
e quindi
limR→+∞
∫C′R
f(z) = 0 ,
da cui segue la tesi.
Per poter integrare altre funzioni sull’asse reale, enunciamo e dimostriamo
il seguente teorema.
75
Teorema 8.14 (Jordan) Sia a > 0 e sia f , definita per =(z) ≥ 0 tranne al
piu un numero finito di singolarita, tale che
lim|z|→+∞
sup0≤arg(z)≤π
|f(z)| = 0 .
Allora
limR→+∞
∫C′R
f(z) eiaz = 0 ,
dove C ′R e la semicirconferenza di raggio R centrata nell’origine, e contenuta
nel semipiano =(z) ≥ 0.
Dimostrazione. Parametrizzando C ′R come R eiθ con 0 ≤ θ ≤ π, si ha∣∣∣∣∣∫C′R
f(z) eiaz∣∣∣∣∣ ≤
∫ π
0|f(z)| e−aRsen(θ) Rdθ .
Sia ora ε > 0 e sia R ≥ R0 tale che |f(z)| ≤ ε su C ′R (tale R0 esiste per le
ipotesi su f). Allora∣∣∣∣∣∫C′R
f(z) eiaz∣∣∣∣∣ ≤ εR
∫ π
0e−aRsen(θ) dθ = 2εR
∫ π2
0e−aRsen(θ) dθ .
Dal momento che sen(θ) ≥ 2πθ per ogni θ in [0, π
2], si ha∣∣∣∣∣
∫C′R
f(z) eiaz∣∣∣∣∣ ≤ 2εR
∫ π2
0e−
2aRθπ dθ =
π
aε (1− e−aR) ,
e quindi
limR→+∞
∣∣∣∣∣∫C′R
f(z) eiaz∣∣∣∣∣ ≤ π ε
a,
da cui la tesi per l’arbitrarieta di ε.
Il teorema precedente permette di ottenere il seguente risultato.
Teorema 8.15 Sia a > 0 e sia f : R → R una funzione che ammette un
prolungamento analitico definito per =(z) ≥ 0, tranne al piu un numero finito
di singolarita fuori dall’asse reale, e tale che
lim|z|→+∞
sup0≤arg(z)≤π
|f(z)| = 0 .
76
Allora
vp∫ +∞
−∞f(x) eiax dx = 2π i
n∑k=1
Res[f(z) eiaz, zk
],
dove z1, . . . , zk sono le singolarita di f nel semipiano =(z) > 0.
Dimostrazione. Prendendo CR come nell’Esempio 8.12, si ha∫CR
f(z) eiaz = 2π in∑k=1
Res[f(z) eiaz, zk
].
Dal momento che∫CR
f(z) eiaz =∫C′R
f(z) eiaz +∫ R
−Rf(x) eiax dx ,
si ha la tesi per il Teorema 8.14.
Ovviamente, l’integrale calcolato dal teorema precedente va considerato
come somma di due integrali:
vp∫ +∞
−∞f(x) eiax dx = vp
∫ +∞
−∞f(x) cos(ax) dx+ivp
∫ +∞
−∞f(x) sen(ax) dx ,
cosicche il teorema precedente permette di calcolare integrali di funzioni del
tipo f(x) cos(ax) e f(x) sen(ax).
Osservazione 8.16 Se a < 0, un ragionamento analogo fatto per la di-
mostrazione del Teorema 8.15, ma con una semicirconferenza contenuta nel
semipiano =(z) < 0, permette di dimostrare il seguente teorema.
Teorema 8.17 Sia a < 0 e sia f : R → R una funzione che ammette un
prolungamento analitico definito per =(z) ≤ 0, tranne al piu un numero finito
di singolarita fuori dall’asse reale, e tale che
lim|z|→+∞
sup−π≤arg(z)≤0
|f(z)| = 0 .
Allora
vp∫ +∞
−∞f(x) eiax dx = −2π i
n∑k=1
Res[f(z) eiaz, zk
],
dove z1, . . . , zk sono le singolarita di f nel semipiano =(z) < 0.
77
Esempio 8.18 Ad esempio, sia
I = vp∫ +∞
−∞
cos(x)
1 + x2dx = <
(vp
∫ +∞
−∞
eix
1 + x2dx
).
Detta f(z) = 11+z2 , f e olomorfa nel semipiano =(z) ≥ 0 (privato del punto
z = i), ed inoltre
lim|z|→+∞
sup0≤arg(z)≤π
|f(z)| ≤ sup|z|→+∞
1
|z|2 − 1= 0 .
Per il Teorema 8.15 si ha allora
vp∫ +∞
−∞
cos(x)
1 + x2dx = 2π iRes
[f(z) eiz, i
]= 2π i
ei2
2i=π
e.
Esempio 8.19 La tecnica della dimostrazione del teorema precedente per-
mette di trattare (alle volte) anche i casi in cui la funzione f(z) abbia delle
singolarita sull’asse delle x. Ad esempio, sia
I =∫ +∞
0
sen(x)
xdx =
1
2vp
∫ +∞
−∞
sen(x)
xdx =
1
2=(
vp∫ +∞
−∞
eix
xdx
).
Dal momento che eix
xe singolare per x = 0, quest’ultimo integrale va pensato
come
vp∫ +∞
−∞
eix
xdx = lim
R→+∞limδ→0+
(∫ −δ−R
eix
xdx+
∫ R
δ
eix
xdx
).
Consideriamo allora la curva γR,δ cosı formata: la semicirconferenza C ′R di
centro l’origine e raggio R, percorsa in senso antiorario nel semipiano =(z) ≥0, il segmento [−R,−δ] sull’asse reale, la semicirconferenza C ′δ di centro
l’origine e raggio δ percorsa in senso orario nel semipiano =(z) ≥ 0, ed infine
il segmento [δ, R] sull’asse reale (si veda la figura).
78
Dal momento che f(z) = eiz
ze olomorfa nel dominio racchiuso da γR,δ, si
ha
0 =∫γR,δ
f(z) =∫
+C′R
f(z) +∫ −δ−R
f(x) dx+∫−C′
δ
f(z) +∫ R
δf(x) dx .
Siccome 1z
tende a zero uniformemente in arg(z) quando |z| tende ad infinito,
il Teorema 8.14 implica che
limR→+∞
∫C′R
f(z) = 0 .
Calcoliamo ora∫−C′
δ
f(z) = −∫ π
0
eiδeiθ
δ eiθiδ eiθ dθ = −i
∫ π
0eiδe
iθ
dθ ,
cosicche
limδ→0+
∫−C′
δ
f(z) = −i π .
Pertanto,
vp∫ +∞
−∞
eix
xdx = i π ,
e quindi ∫ +∞
0
sen(x)
xdx =
π
2.
79
9 Residuo logaritmico
Teorema di Rouche e Teorema di Brouwer
Sia f : E → C una funzione olomorfa tranne al piu un numero finito di
singolarita w1, . . . , wk, e consideriamo la funzione
ϕ(z) =f ′(z)
f(z).
Ovviamente, ϕ e definita (ed olomorfa) per z 6= wj, con j = 1, . . . , k, e per
z 6= zj, con j = 1, . . . , h, dove zj in E e tale che f(zj) = 0.
Supponiamo che zj sia uno zero di ordine nj per f . Allora f(z) = (z −zj)
nj f1(z), con f1 olomorfa e tale che f1(zj) 6= 0. Pertanto,
ϕ(z) =nj(z − zj)nj−1 f1(z) + (z − zj)nj f ′1(z)
(z − zj)nj f1(z)=nj f1(z) + (z − zj) f ′1(z)
(z − zj) f1(z).
Dal momento che f1(zj) 6= 0, ne segue che ϕ ha in zj un polo di ordine 1.
Inoltre,
Res [ϕ(z), zj] = limz→zj
(z − zj)ϕ(z) = limz→zj
nj f1(z) + (z − zj) f ′1(z)
f1(z)= nj .
Sia ora wj un polo di ordine pj per f . Allora f(z) = f2(z)(z−wj)pj , con f2 olomorfa
e tale che f2(wj) 6= 0. Pertanto,
ϕ(z) =−pj(z − zj)−pj−1f2(z) + (z − zj)−pjf ′2(z)
(z − zj)−pjf2(z)=−pjf2(z) + (z − zj)f ′1(z)
(z − zj)f2(z).
Ricordando che f2(wj) 6= 0, ϕ ha in wj un polo di ordine 1 e residuo
Res [ϕ(z), wj] = limz→wj
(z−wj)ϕ(z) = limz→wj
−pj f2(z) + (z − wj) f ′2(z)
f2(z)= −pj .
Abbiamo pertanto il seguente teorema.
Teorema 9.1 Sia f : E → C olomorfa tranne un numero finito di punti
w1, . . . , wk, e supponiamo che f(z) 6= 0 su ∂E. Allora
N(f, E)− P (f, E) =1
2π i
∫+∂E
f ′(z)
f(z),
dove N(f, E) e il numero degli zeri di f in E (contati secondo l’ordine), e
P (f, E) e il numero dei poli di f in E (contati secondo l’ordine).
80
Dimostrazione. Come dimostrato precedentemente, f ′(z)f(z)
ha in E poli sia
negli zeri z1, . . . , zh di f in E che nei poli w1, . . . , wk di f in E. Per il teorema
dei residui,
∫+∂E
f ′(z)
f(z)= 2π i
h∑j=1
Res
[f ′(z)
f(z), zj
]+
k∑j=1
Res
[f ′(z)
f(z), wj
]= 2π i
h∑j=1
nj −k∑j=1
pj
,da cui la tesi, essendo
N(f, E) =h∑j=1
nj , P (f, E) =k∑j=1
pj .
Il teorema precdente, pertanto, permette di calcolare la differenza tra
il numero degli zeri ed il numero di poli di f all’interno di E. Diamo ora
un’interpretazione geometrica della formula appena dimostrata. Infatti,
f ′(z)
f(z)= [ln(f(z))]′ ,
cosicche
N(f, E)− P (f, E) =1
2π i
∫+∂E
[ln(f(z))]′ .
Ricordando che ln(f(z)) = ln(|f(z)|) + iArg(f(z)), si ha
N(f, E)− P (f, E) =1
2π i
∫+∂E
[ln(|f(z)|) + iArg(f(z))]′ .
Se supponiamo che +∂E sia parametrizzata su [a, b], allora
N(f, E)− P (f, E) =ln(|f(b)|)− ln(|f(a)|) + i [Arg(f(b))− Arg(f(a))]
2π i.
Essendo ln(|f(b)|)− ln(|f(a)|) = 0 (perche f(b) = f(a)), si ha allora
N(f, E)− P (f, E) =Arg(f(b))− Arg(f(a))
2π=
Var+∂E Arg(f(z))
2π. (9.1)
81
In altre parole, il numero degli zeri di f in E meno il numero dei poli di
f in E e dato dalla variazione dell’argomento di f(z) quando z si muove
su +∂E, ovvero dal numero di giri (contati con il segno dato dal verso di
percorrenza, positivo per il verso antiorario, negativo per il verso orario) che
compie attorno all’origine la curva f(+∂E).
Esempio 9.2 Consideriamo le funzioni f1(z) = 1 − 12z
, f2(z) =z− 1
3
z2 e f3 =
(z− 12)
2
z, definite su E = B1(0).
Allora f1 ha uno zero ed un polo in E, f2 ha due poli ed uno zero, mentre
f3 ha due zeri ed un polo. Pertanto, come risulta dalla figura, f1(+∂E)
non gira intorno all’origine, f2(+∂E) compie un giro in verso orario at-
torno all’origine, mentre f3(+∂E) compie un giro in verso antiorario attorno
all’origine.
Il risultato del Teorema 9.1 permette di stimare il numero degli zeri di
una funzione olomorfa all’interno di un insieme.
Teorema 9.3 (Rouche) Siano f e ϕ due funzioni olomorfe su E, e sup-
poniamo che si abbia
|f(z)| > |ϕ(z)| , ∀z ∈ ∂E .
Allora N(f + ϕ,E) = N(f, E).
Dimostrazione. Sia F (z) = f(z) + ϕ(z); allora sia F che f soddisfano le
ipotesi del Teorema 9.1. Infatti, se z e in ∂E si ha |F (z)| = |f(z) + ϕ(z)| ≥
82
|f(z)| − |ϕ(z)| > 0, e |f(z)| > |ϕ(z)| ≥ 0; pertanto, ne F ne f hanno zeri su
∂E. Si ha allora che
N(F,E) =1
2πVar+∂E
Arg(F (z)) , N(f, E) =1
2πVar+∂E
Arg(f(z)) .
Ricordando che Arg(z)− Arg(w) = Arg( zw
), si vede facilmente che
N(F,E)−N(f, E) =1
2πVar+∂E
Arg
(F (z)
f(z)
).
Sia ora w(z) = F (z)f(z)
= 1 + ϕ(z)f(z)
. Allora, se z e in ∂E,
|w(z)− 1| =∣∣∣∣∣ϕ(z)
f(z)
∣∣∣∣∣ < 1 ,
e pertanto la curva w(+∂E) e tutta strettamente contenuta all’interno del
cerchio di centro 1 e raggio 1; in altre parole, w(+∂E) non gira attorno
all’origine, e pertanto
N(F,E)−N(f, E) =1
2πVar+∂E
Arg(w(z)) = 0 ,
come volevasi dimostrare.
Esempio 9.4 Un’applicazione del Teorema di Rouche e la seguente. Sia
P (z) = z3 +2z2 +5z+1. Allora, se |z| = 1, si ha |z3 +2z2 +1| ≤ 4 < 5 = |5z|.Pertanto, f(z) = 5z e ϕ(z) = z3 + 2z2 + 1 soddisfano le ipotesi del Teorema
di Rouche e quindi P (z) ha tanti zeri in B1(0) quanti ne ha f(z), ovvero uno
ed uno solo. Inoltre, se |z| = 4, si ha |2z2 +5z+1| ≤ 53 < 64 = |z3|, cosicche
P (z) ha tanti zeri in B4(0) quanti ne ha f(z) = z3, ovvero esattamente tre.
Sia ora R > 1 e k intero e maggiore di Rln(R)
; allora, se |z| = R si ha
|ez| = e<(z) ≤ eR < Rk = |z|k. Pertanto, g(z) = zk + ez ha, in BR(0),
esattamente k zeri (tanti quanti la funzione f(z) = zk).
Dal momento che se Pn(z) e un polinomio di grado n, a partire da un certo
raggio R in poi si ha che il termine di grado massimo maggiora in modulo la
somma di tutti gli altri sulla curva |z| = R, dal Teorema di Rouche discende
una nuova dimostrazione del Teorema fondamentale dell’algebra.
83
Teorema 9.5 Un polinomio di grado n ha esattamente n radici complesse.
Dimostrazione. Sia
Pn(z) =n∑k=0
ak zk = an z
n +n−1∑k=0
ak zk ,
con an 6= 0. Se |z| = R, allora
|an zn| = |an|Rn ,
∣∣∣∣∣n−1∑k=0
ak zk
∣∣∣∣∣ ≤n−1∑k=0
|ak|Rk .
Dato che an 6= 0, esiste R0 > 0 tale che
|an|Rn >n−1∑k=0
|ak|Rk , ∀R ≥ R0 .
Pertanto, Pn(z) ha tanti zeri in BR(0) quanti ne ha f(z) = zn, ovvero esat-
tamente n. Siccome il numero di zeri e indipendente da R, il teorema e
dimostrato.
Una seconda osservazione che discende dalla formula (9.1) e la seguente:
se f e olomorfa in E, diversa da zero su ∂E, e tale che Var+∂E Arg(f(z)) > 0,
allora f ha almeno uno zero interno ad E. Da questa osservazione discende
il prossimo teorema.
Teorema 9.6 (Brouwer) Sia f : B1(0) → B1(0) una funzione olomorfa.
Allora esiste z0 in B1(0) tale che f(z0) = z0. Il punto z0 si dice punto fisso
di f su B1(0).
Dimostrazione. Se esiste z0 in ∂B1(0) tale che f(z0) = z0, non c’e nulla
da dimostrare. Supponiamo allora che f(z) 6= z per ogni z in ∂B1(0), e
dimostriamo che1
2πVar
+∂B1(0)Arg(f(z)− z) = 1 .
Per il Teorema 9.1 si ha allora che N(f(z) − z, B1(0)) = 1, e quindi esiste
esattamente un punto fisso di f in B1(0).
Iniziamo con l’osservare che, dal momento che f(z) 6= z per ogni z su
∂B1(0), il vettore f(z)− z e sempre diverso da zero e, una volta “applicato”
in z, punta sempre all’interno di B1(0) (si veda la figura).
84
Sia ora z su ∂B1(0), che consideriamo percorsa in verso antiorario, e sia
τ(z) il vettore tangente a ∂B1(0) nel punto z. Dal momento che il vettore
f(z)− z punta all’interno di B1(0), l’angolo formato tra τ(z) e f(z)− z sara
— sempre — compreso tra 0 e π (non potendo mai essere ne 0, ne π, perche
il vettore f(z)−z non e mai tangente a ∂B1(0)). D’altra parte, dal momento
che tale angolo varia con continuita (perche sia f(z)−z che τ(z) sono funzioni
continue), se consideriamo Arg(τ(1)) = π2
e 0 ≤ Arg(f(1)−1) < 2π, l’angolo
fra f(z)− z e τ(z) e proprio
Arg(f(z)− z)− Arg(τ(z)) .
Pertanto,
0 < Arg(f(z)− z)− Arg(τ(z)) < π , ∀z ∈ ∂B1(0) .
Quindi, se w0 = 1 (corrispondente a θ = 0 nella parametrizzazione eiθ di
∂B1(0)), si ha
0 < Arg(f(w0)− w0)− π
2< π ,
mentre se w1 = 1 (corrispondente a θ = 2π nella parametrizzazione eiθ di
∂B1(0)), si ha
0 < Arg(f(w1)− w1)− 5π
2< π .
85
In definitiva,
π < Arg(f(w1)− w1)− Arg(f(w0)− w0) = Var+∂B1
Arg(f(z)− z) < 3π ,
da cui segue N(f(z)− z, B1(0)) = 1, come volevasi dimostrare.
Osservazione 9.7 L’enunciato del teorema precedente si puo cosı modifi-
care: se f : B1(0) → B1(0) olomorfa non ha punti fissi sulla frontiera di
B1(0), allora ne ha uno ed uno solo all’interno. Si noti che e possibile che la
funzione abbia tutti punti fissi sulla frontiera, e che ne abbia piu di uno; ad
esempio, la funzione f(z) = zn ha un punto fisso interno (l’origine), e n− 1
punti fissi sulla frontiera (le radici (n − 1)-esime di 1). Dal momento che f
e anche olomorfa da Br(0) in se non appena r < 1 (se r > 1 la f non porta
Br(0) in se), ma non ha punti fissi sulla frontiera di Br(0), “sopravvive”
all’interno l’unico punto fisso z = 0.
Se |z| = 1, allora |ez| ≤ e<(z) ≤ e. Pertanto, f(z) = ez
3porta B1(0) in
se ed ha dunque almeno un punto fisso, che e il numero reale x0 tale che
ex0 = x0.
Osservazione 9.8 Nella dimostrazione del Teorema di Brouwer, l’olomor-
fia di f e stata usata solo per poter applicare la formula (9.1), mentre per
calcolare la variazione di Arg(f(z)− z) quando z si muove su ∂B1(0) e stata
usata solo la continuita di f(z)−z. E allora possibile estendere il Teorema di
Brouwer alle funzioni continue nel seguente modo. Supponiamo che f(z) 6= z
per ogni z in B1(0) (ovvero, che f non abbia punti fissi). Ripetendo lo
stesso ragionamento di prima, Var+∂B1(0) Arg(f(z)−z) = 2π; inoltre, essendo
f(z)− z continua, anche Arg(f(z)− z) lo e, e quindi anche la funzione a(r)
definita da
r 7→ a(r) = Var+∂Br(0)
Arg(f(z)− z) ,
al variare di r in (0, 1]. Dal momento che Var+∂Br(0) Arg(f(z) − z) puo
assumere come valori solo multipli interi di 2π, ne segue che a(r) e costante.
Pertanto, per ogni r in (0, 1], a(r) = 2π. Sia ora w0 = f(0), e sia r0 = |w0|(ovvero la distanza tra 0 e f(0)). Essendo f(z) 6= z per ogni z, allora r0 > 0.
Essendo f continua, per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che |z| ≤ δε implica
|f(z)−w0| ≤ ε. Scegliamo ε = r04
e sia r1 = min(δε,r04
). Facendo variare z su
86
∂Br1(0) si ha |f(z)−w0| ≤ ε = r04
, e quindi |f(z)−z−w0| ≤ |f(z)−w0|+|z| ≤r02
. In altre parole, la curva [f(z)−z](+∂Br1(0)) e tutta contenuta nel cerchio
di centro w0 e raggio r02
, e tale cerchio non contiene l’origine. Pertanto,
[f(z)− z](+∂Br1(0)) non gira intorno all’origine, e quindi
2π = a(r1) = Var+∂Br1 (0)
Arg(f(z)− z) = 0 ,
da cui l’assurdo.
A questo punto, dato che le funzioni continue da B1(0) in se ammettono
punto fisso, ammette punto fisso una funzione continua g che porta un qual-
siasi sottoinsieme E di C omeomorfo a B1(0) in se. Infatti, sia ψ : E → B1(0)
l’omeomorfismo, e sia g : E → E continua. Allora la funzione f definita da
f(z) = ψ(g(ψ−1(z))) e una funzione continua da B1(0) in se e quindi esiste
z0 tale che f(z0) = z0; pertanto, w0 = ψ−1(z0) e tale che g(w0) = w0.
Osservazione 9.9 Il Teorema di Brouwer si generalizza in RN , qualsiasi sia
N ≥ 1: se f : E → E e una funzione continua, ed E e omeomorfo alla
sfera unitaria B1(0) di RN , allora f ha almeno un punto fisso. Se N = 1
il Teorema di Brouwer e equivalente al teorema di esistenza degli zeri per
funzioni continue (come si verifica facilmente). Se la dimensione dello spazio
non e finita, il Teorema di Brouwer e falso, come dimostra il seguente esempio.
Esempio 9.10 (Kakutani) Sia X lo spazio metrico (`2, d2), sia
B1(0) = {{xn} ∈ `2 :+∞∑n=1
x2n ≤ 1} ,
la sfera unitaria di `2, e sia f : B1(0)→ `2 definita da
f(x1, x2, . . . , xn, . . .) =
(1−∑+∞
n=1 x2n
2, x1, x2, . . . , xn, . . .
).
Si verifica abbastanza facilmente che f e continua e che f(B1(0)) ⊆ B1(0).
D’altra parte, f non ha punti fissi; se, infatti, {yn} fosse tale che f({yn}) =
{yn}, allora
y1 =1−∑+∞
n=1 y2n
2, y2 = y1 , y3 = y2 , . . . yn+1 = yn , . . . ,
87
e quindi {yn} sarebbe una successione costante. Dal momento che l’unica
successione costante in `2 e la successione nulla, si ha un assurdo essendo
f(0, 0, . . . , 0, . . .) = (1
2, 0, 0, . . . , 0, . . .) 6= (0, 0, . . . , 0, . . .) .
Il Teorema di Brouwer e falso in spazi di dimensione infinita perche B1(0)
non e compatta (una proprieta che si da “tacitamente” per vera in dimensione
finita): la mancanza di compattezza della sfera unitaria permette di costru-
ire controesempi come quello di Kakutani. Si noti che essendo ogni spazio
di Hilbert separabile isometricamente isomorfo a (`2, d2), il controesempio
precedente si trasporta automaticamente agli spazi di Hilbert di dimensione
infinita.
10 La trasformata di Fourier
Definizione 10.1 Sia u in L1(R) e sia ξ in R. La trasformata di Fourier
di u e la funzione
F(u)(ξ) =∫
Re−iξ x u(x) dx . (10.1)
Ovviamente, non e detto a priori che F(u) sia ben definita per ogni ξ
in R. Osservando pero che se u e in L1(R) allora sono in L1(R) anche le
funzioni cos(ξ x)u(x) = <(e−iξ x u(x)) e sen(ξ x)u(x) = −=(e−iξ x u(x)), sono
ben definite le quantita
r(ξ) =∫
Rcos(ξ x)u(x) dx , i(ξ) =
∫R
sen(ξ x)u(x) dx ,
dove gli integrali sono integrali secondo Lebesgue, e quindi e ben definita
F(u). Dal momento che, per il Teorema di Lebesgue,
r(ξ) = limR→+∞
∫ R
−Rcos(ξ x)u(x) dx , i(ξ) = lim
R→+∞
∫ R
−Rsen(ξ x)u(x) dx ,
F(u) puo essere definita anche tramite il valore principale:
F(u)(ξ) = vp∫ +∞
−∞e−iξ x u(x) dx .
Nel seguito useremo indifferentemente i due valori.
88
Esempio 10.2 Sia u(x) = χ[−1,1](x). Allora, se ξ 6= 0,
F(u)(ξ) =∫
Re−iξ x χ[−1,1](x) dx =
∫ 1
−1e−iξ x dx = −e−iξ − eiξ
iξ=
2sen(ξ)
ξ.
Ovviamente, F(u)(0) = 2. Osserviamo che F(u) e continua (mentre u non
lo e), ed infinitesima all’infinito.
Sia u(x) = χ[a,b](x). Allora gli stessi calcoli di prima portano a
F(u)(ξ) = ie−ibξ − e−iaξ
ξ,
se ξ 6= 0, mentre F(u)(0) = b− a. Anche in questo caso F(u) e continua ed
infinitesima per |ξ| tendente ad infinito.
Sia u(x) = 11+x2 . Allora
F(u)(ξ) =∫
R
e−iξ x
1 + x2dx ,
e questo integrale puo essere calcolato con i residui: se ξ < 0, dal momento
che u(z) = 11+z2 tende a zero quando |z| tende ad infinito uniformemente
rispetto ad arg(z) in [0, π], ed essendo u(z) singolare in z = i (nel semipiano
=(z) ≥ 0), per il Teorema 8.15 si ha
F(u)(ξ) = 2π iRes
[e−iξ z
1 + z2, i
]= π eξ .
Se ξ > 0, si puo applicare il Teorema 8.17, oppure effettuare il cambio di
variabile y = −x nell’integrale, che implica
F(u)(ξ) =∫
R
e−iξ x
1 + x2dx =
∫R
eiξ y
1 + y2dy = F(u)(−ξ) ,
mentre F(u)(0) = π, come si verifica immediatamente. Pertanto,
F(u)(ξ) = π e−|ξ| .
Anche in questo caso F(u) e una funzione continua che tende a zero ad
infinito.
89
Sia u(x) = e−|x|. Allora
F(u)(ξ) =∫
Re−iξ x−|x| dx =
∫ 0
−∞e(1−iξ)x dx+
∫ +∞
0e−(1+iξ)x dx .
Pertanto,
F(u)(ξ) =e(1−iξ)x
1− iξ
∣∣∣∣∣0
−∞+ −e−(1+iξ)x
1 + iξ
∣∣∣∣∣+∞
0
=1
1− iξ +1
1 + iξ=
2
1 + ξ2.
In tutti gli esempi precedenti F(u) e una funzione limitata, continua, ed
infinitesima per |ξ| tendente ad infinito. Questa e una proprieta generale.
Teorema 10.3 Sia u in L1(R). Allora F(u)(ξ) e una funzione limitata,
continua, ed infinitesima per |ξ| tendente ad infinito.
Dimostrazione. Si ha
|<(F(u)(ξ))| =∣∣∣∣∫
Rcos(ξ x)u(x) dx
∣∣∣∣ ≤ ∫R|u(x)| dx ,
ed analogamente per |=(F(u)(ξ))|; pertanto F(u) e limitata, e si ha
|F(u)(ξ)| ≤∫
R|u(x)| dx , ∀ξ ∈ R . (10.2)
Sia ora ξn convergente a ξ. Allora e−iξn x u(x) converge quasi ovunque a
e−iξ x u(x) (la convergenza e ovunque, tranne dove |u(x)| = +∞). Inoltre,
|e−iξn x u(x)| ≤ |u(x)| ,
che e in L1(R). Per il Teorema di Lebesgue,
F(u)(ξ) =∫
Re−iξ x u(x) dx = lim
n→+∞
∫R
e−iξn x u(x) dx = limn→+∞
F(u)(ξn) ,
e quindi F(u)(ξ) e continua.
Infine, abbiamo gia osservato che se u = χ[a,b] allora F(u) tende a zero
per |ξ| tendente ad infinito. Essendo F un’applicazione lineare, se ϕ e una
funzione semplice, allora F(ϕ) tende a zero per |ξ| tendente ad infinito. Sia
ε > 0, e sia ϕε una funzione semplice tale che∫R|u(x)− ϕε(x)| dx ≤ ε
2.
90
Sia Rε > 0 tale che |F(ϕε)(ξ)| ≤ ε2
se |ξ| ≥ Rε. Allora, per (10.2), se |ξ| ≥ Rε,
|F(u)(ξ)| ≤ |F(u− ϕε)(ξ)|+ |F(ϕε)(ξ)| ≤∫
R|u(x)− ϕε(x)| dx+
ε
2≤ ε ,
da cui la tesi.
La trasformata di Fourier, dunque, prende una funzione L1(R) e “restitu-
isce” una funzione continua, limitata, e tendente a zero ad infinito. Inoltre,
per la (10.2), l’applicazione F : L1(R)→ C0(R) e una funzione continua: se
un converge ad u in L1(R), allora F(un) converge uniformemente a F(u) in
R.
Prima di provare altre proprieta della trasformata di Fourier, ricordiamo
il concetto di convoluzione tra due funzioni.
Definizione 10.4 Siano f e g in L1(R). La convoluzione tra f e g e la
funzione definita da
(f ∗ g)(x) =∫
Rf(x− y) g(y) dy =
∫Rf(y) g(x− y) dy .
Se f e g appartengono ad L1(R), allora anche f ∗ g vi appartiene. Infatti,
|(f ∗ g)(x)| ≤∫
R|f(x− y)| |g(y)| dy ,
da cui, integrando ed usando il Teorema di Fubini,
∫R|(f ∗ g)(x)| dx ≤
∫R
(∫R|f(x− y)| |g(y)| dy
)dx
=∫
R
(∫R|f(x− y)| |g(y)| dx
)dy
=(∫
R|f(x)| dx
) (∫R|g(x)| dx
).
Teorema 10.5 Valgono le seguenti proprieta:
1) sia u in L1(R) ∩ C1(R), e sia u′ in L1(R). Allora
F(u′)(ξ) = i ξF(u) ; (10.3)
91
2) sia u in L1(R) tale che xu(x) e in L1(R). Allora
F(xu(x))(ξ) = i [F(u)(ξ)]′ ; (10.4)
3) se u e v sono in L1(R), allora
F(u ∗ v)(ξ) = F(u)(ξ)F(v)(ξ) . (10.5)
Dimostrazione. Sia R > 0. Allora, integrando per parti,
∫ R
−Re−iξ x u′(x) dx = e−iξ x u(x)
∣∣∣R−R
+ i ξ∫ R
−Re−iξ x u(x) dx
=(e−iRξ u(R)− eiRξu(−R)
)+ i ξ
∫ R
−Re−iξ x u(x) dx .
Essendo u in C1(R), si ha
u(R) = u(0) +∫ R
0u′(t) dt ,
e dal momento che∣∣∣∣∣ limR→+∞
∫ R
0u′(t) dt
∣∣∣∣∣ =∣∣∣∣∫ +∞
0u′(t) dt
∣∣∣∣ ≤ ∫ +∞
0|u′(t)| dt < +∞ ,
ne segue che u(R) converge ad un limite finito quando R tende ad infinito.
Essendo u in L1(R), tale limite non puo essere che zero. Ragionamento
analogo si puo fare per u(−R). Pertanto, essendo sia e−iRξ che eiRξ limitate
(avendo modulo 1), si ha
F(u′)(ξ) = limR→+∞
∫ R
−Re−iξ x u′(x) dx
= i ξ limR→+∞
∫ R
−Re−iξ x u(x) dx = i ξF(u)(ξ) .
Si ha poi
F(u)(ξ + h)−F(u)(ξ)
h=∫
R
e−i(ξ+h)x − e−iξ x
hu(x) dx .
92
La successionee−i(ξ+h)x − e−iξ x
h
converge puntualmente a −i x e−iξ x quando h tende a zero; inoltre,
e−i(ξ+h)x − e−iξ x = cos((ξ + h)x)− cos(ξ x)− i[sen((ξ + h)x)− sen(ξ, x)] ,
e quindi, per il Teorema di Lagrange,
e−i(ξ+h)x − e−iξ x = −sen((ξ + η1)x)hx− i cos((ξ + η2)x)hx ,
con η1 ed η2 tra tra 0 e h. Pertanto,∣∣∣∣∣e−i(ξ+h)x − e−iξ x
h
∣∣∣∣∣ = |−sen((ξ + η1)x)x− i cos((ξ + η2)x)x| ≤ 2|x| ,
da cui ∣∣∣∣∣e−i(ξ+h)x − e−iξ x
hu(x)
∣∣∣∣∣ ≤ 2|xu(x)| ,
che appartiene ad L1(R) per ipotesi. Per il Teorema di Lebesgue,
limh→0
F(u)(ξ + h)−F(u)(ξ)
h= −i
∫R
e−iξ x xu(x) dx = −iF(xu(x))(ξ) ,
e quindi (10.4) e dimostrata ricordando che −1i
= i.
Infine, osservando che u ∗ v e in L1(R), e quindi F(u ∗ v) e ben definita,
dal Teorema di Fubini segue che
F(u ∗ v)(ξ) =∫
Re−iξ x
(∫Ru(x− y) v(y) dy
)dx
=∫
R
∫R
e−iξ (x−y) u(x− y) e−iξ y v(y) dx dy
=(∫
Re−iξ (x−y) u(x− y) dx
) (∫R
e−iξ x v(x) dx)
= F(u)(ξ)F(v)(ξ) ,
e quindi (10.5).
93
Esempio 10.6 Il teorema precedente permette, in alcuni casi, di calcolare
la trasformata di Fourier. Ad esempio, sia t > 0, e sia
G(x, t) =1√4π t
e−x2
4t . (10.6)
Come funzione della x, G e in L1(R) ∩ C1(R). Inoltre,
Gx(x, t) = − x2t
1√4π t
e−x2
4t = − x2tG(x, t) ,
appartiene a L1(R) anche essa. Pertanto, per la (10.3), si ha
F(Gx)(ξ) = i ξF(G)(ξ) .
D’altra parte, per la (10.4)
F(Gx)(ξ) = − 1
2tF(xG(x, t)) = − i
2t[F(G)(ξ)]′ .
Pertanto,
[F(G)(ξ)]′ = −2t ξF(G)(ξ) ,
ovvero
F(G)(ξ) = F(G)(0) e−tξ2
.
Essendo
F(G)(0) =∫
R
e−x2
4t√4π t
dx = 1 ,
si ha
F(G)(ξ) = e−t ξ2
. (10.7)
Esempio 10.7 Calcoliamo la trasformata di Fourier di u(x) = 1(1+x2)2 . In-
nanzitutto,2x
(1 + x2)2=(− 1
1 + x2
)′.
Pertanto,
2i [F(u)(ξ)]′ = 2F(xu(x))(ξ) = −iξF(
1
1 + x2
)(ξ) = −i ξ π e−|ξ| ,
94
da cui
[F(u)(ξ)]′ = −π2ξ e−|ξ| .
Tenuto conto che ∫R
dx
(1 + x2)2=π
2,
come si vede usando i residui, si ha
F(u)(ξ) =π
2(1 + |ξ|) e−|ξ| .
Supponiamo ora che sia nota F(u)(ξ); e possibile risalire alla funzione u
di cui e la trasformata; in altre parole, e possibile invertire la trasformazione,
o “antitrasformare” F(u)? La risposta e positiva in alcuni casi.
Esempio 10.8 Sia w(ξ) = π e−|ξ|. Gia sappiamo che w e la trasformata
di Fourier di u(x) = 11+x2 ; cerchiamo pertanto di “recuperare” questa infor-
mazione. Consideriamo
v(x) =∫
Rei ξ x e−|ξ| dξ ,
e proviamo a calcolare l’integrale. Si ha ovviamente
∫R
eiξ x e−|ξ| dξ =∫ +∞
0eiξ x e−ξ dξ +
∫ 0
−∞eiξ x eξ dξ
=e(ix−1) ξ
ix− 1
∣∣∣∣∣+∞
0
+e(ix+1) ξ
ix+ 1
∣∣∣∣∣0
−∞
= − 1
ix− 1+
1
ix+ 1=
2
1 + x2,
e quindi
u(x) =1
2π
∫R
eiξ xF(u)(ξ) dξ .
Prima di dimostrare che sotto condizioni “naturali” sulla funzione u e
sulla sua trasformata si puo recuperare u da F(u), enunciamo e dimostriamo
il seguente teorema.
95
Teorema 10.9 Sia w una funzione in L1(R) tale che∫Rw(x) dx = 1 ,
e definiamo, per n in N, wn(x) = nw(nx). Allora, per ogni funzione u
continua e limitata su R si ha
limn→+∞
(wn ∗ u)(x) = limn→+∞
∫Rwn(x− y)u(y) dy = u(x) , ∀x ∈ R .
Dimostrazione. Si ha, ponendo z = n(x − y), da cui dz = −n dy e y =
x− zn,∫
Rwn(x− y)u(y) dy = n
∫Rw(n (x− y))u(y) dy =
∫Rw(z)u
(x− z
n
)dz .
La successione u(x− z
n
)converge a u(x) (perche u e continua). Inoltre,
∣∣∣∣w(z)u(x− z
n
)∣∣∣∣ ≤M |w(z)| ∈ L1(R) ,
dal momento che u e limitata. Per il Teorema di Lebesgue,
limn→+∞
∫Rwn(x− y)u(y) dy =
∫Rw(z)u(x) dz = u(x) ,
poiche l’integrale di w vale 1.
Teorema 10.10 Sia u una funzione in L1(R) ∩ C0(R) e supponiamo che u
sia limitata e F(u) sia in L1(R). Allora
u(x) =1
2π
∫R
eiξ xF(u)(ξ) dξ . (10.8)
Dimostrazione. Sia w(x) = 1π
11+x2 . Allora w e in L1(R) ed ha integrale
uguale ad 1 su R. Inoltre, come verificato nell’Esempio 10.8, detta v(ξ) =
F(w)(ξ) = e−|ξ| si ha
w(x) =1
2π
∫R
eiξ x v(ξ) dx =1
2π
∫R
eiξ xF(w)(ξ) dξ ,
96
cosicche w soddisfa (10.8). Sia n in N e vn(ξ) = v( ξn) = e−
|ξ|n . Allora vn
converge puntualmente ad 1, ed e minore di 1 su tutto R. Per il Teorema di
Lebesgue, dato che eiξ xF(u)(ξ) e in L1(R) per ipotesi,
1
2π
∫R
eiξ xF(u)(ξ) dξ = limn→+∞
1
2π
∫R
eiξ x vn(ξ)F(u)(ξ) dξ .
Ricordando la definizione di F(u)(ξ) si ha, per il Teorema di Fubini, e per
(10.8) applicata a w,
1
2π
∫R
eiξ x vn(ξ)F(u)(ξ) dξ =1
2π
∫R
(∫R
e−iξ y u(y) dy)
eiξ x vn(ξ) dξ ,
=1
2π
∫R
(∫R
eiξ (x−y) vn(ξ) dξ)u(y) dy
=1
2π
∫R
(n∫
Reinξ (x−y) v(ξ) dξ
)u(y) dy
=∫
Rwn(x− y)u(y) dy .
Per il Teorema 10.9 si ha allora
u(x) = limn→+∞
1
2π
∫Rwn(x− y)u(y) dy
= limn→+∞
1
2π
∫R
eiξ x vn(ξ)F(u)(ξ) dξ =1
2π
∫R
eiξ xF(u)(ξ) dξ ,
come volevasi dimostrare.
Come conseguenza del teorema precedente, se u e v sono due funzioni
che hanno la stessa trasformata di Fourier w(ξ) = F(u)(ξ) = F(v)(ξ), allora
u = v.
Esempio 10.11 Sia f una funzione in L1(R) e consideriamo l’equazione
differenziale
u′′(x)− u(x) = f(x) .
Supponendo u in L1(R) e tale che u′′(x) appartiene anche essa ad L1(R),
possiamo applicare la trasformata di Fourier, ottenendo
F(u′′)(ξ)−F(u)(ξ) = F(f)(ξ) ,
97
da cui, per la (10.3),
−ξ2F(u)(ξ)−F(u)(ξ) = F(f)(ξ) ,
ovvero, per l’Esempio 10.2,
F(u)(ξ) = −F(f)(ξ)
1 + ξ2= −1
2F(f)(ξ)F(e−|x|)(ξ) .
Pertanto, per (10.5), dal momento che u e la convoluzione di f con −12
e−|x|
hanno la stessa trasformata di Fourier,
u(x) = −1
2
∫Rf(y) e−|x−y| dy = −1
2
∫ x
−∞f(y) ey−x dy− 1
2
∫ +∞
xf(y) ex−y dy .
Derivando due volte rispetto ad x, si verifica facilmente che u′′(x) − u(x) =
f(x) per ogni x in R.
Esempio 10.12 Sia f in L1(R), con f tendente a zero per |x| tendente ad
infinito, e consideriamo l’equazione differenziale
u′′(x) + u(x) = f(x) .
Trasformando l’equazione, si ottiene
F(u)(ξ) =F(f)(ξ)
1− ξ2,
cosicche potremo rappresentare le soluzioni dell’equazione una volta trovata
una funzione v la cui trasformata sia 11−ξ2 . Per trovarla, antitrasformiamo
11−ξ2 :
v(x) =1
2π
∫R
eiξ x
1− ξ2dξ .
Sfortunatamente, la funzione f(z) = 11−z2 ha due poli sull’asse reale. Per
ovviare, svolgiamo i conti come nell’Esempio 8.19, costruendo un percorso
che “gira” attorno a z = ±1 (si veda la figura).
98
Si ha allora, se x > 0,
vp∫
R
eiξ x
1− ξ2dξ = lim
δ→0+
(∫C′δ
eizx
1− z2+∫C′′δ
eizx
1− z2
),
ed eseguendo i calcoli si trova
∫R
eiξ x
1− ξ2dξ = π sen(x) .
Se x < 0, cambiando variabile nell’integrale, si trova
∫R
eiξ x
1− ξ2dξ =
∫R
e−iξ x
1− ξ2dξ = π sen(−x) .
Pertanto,
v(x) =1
2sen(|x|) ,
da cui segue
u(x) =1
2
∫Rf(y) sen(|x− y|) dy .
Esempio 10.13 Consideriamo ora la cosiddetta equazione del calore:
ut(x, t)− uxx(x, t) = 0 ,
con condizione iniziale u(x, 0) = u0(x), che supponiamo una funzione in
L1(R), continua e limitata. Fisicamente, la soluzione u rappresenta la tem-
peratura al tempo t di una sbarra omogenea ed isolata, di lunghezza infinita,
99
che al tempo iniziale abbia temperatura data da u0(x). Supponendo che
tutto quello che stiamo facendo sia lecito, trasformiamo l’equazione in:
F(ut)(ξ) + ξ2F(u)(ξ) = 0 ,
e quindi, essendo F(ut)(ξ) = [F(u)(ξ)]t per i teoremi di derivazione degli
integrali dipendenti da un parametro, si ha
[F(u)(ξ)]t = −ξ2F(u)(ξ) ,
da cui
F(u)(ξ) = F(u0)(ξ) e−tξ2
.
Ricordando (dall’Esempio 10.6) che se G e la funzione definita in (10.6),
e−tξ2
= F(G(x, t))(ξ) ,
si ha, per (10.5),
F(u)(ξ) = F(u0)(ξ)F(G(x, t))(ξ) = F(G(x, t) ∗ u0(x))(ξ) .
Pertanto, per il Teorema 10.10
u(x, t) =1√4π t
∫Ru0(x) e−
(x−y)2
4t dx ,
e la soluzione dell’equazione del calore.
Si noti che non e lecito prendere t = 0 nella formula appena scritta: il
fatto che u(x, 0) sia uguale ad u0(x) va inteso nel seguente modo:
limt→0+
1√4π t
∫Ru0(x) e−
(x−y)2
4t dx = u0(x) .
Infatti, se definiamo
w(z) =e−z
2
√π,
allora w e in L1(R) ed il suo integrale vale 1. Pertanto,
u(x) =1√4π t
∫Ru0(x) e−
(x−y)2
4t =∫
Ru0(y)
(1√4tw
(x− y√
4t
))dy ,
converge ad u0(x) quando t tende a zero per il Teorema 10.9.
100
Appendice: Forme differenziali
In questa appendice verranno brevemente ricordati (e dimostrati) i risultati
piu importanti sulle forme differenziali in R2.
Definizione A.1 Un’applicazione L : R2 → R si dice lineare se si ha
L(a u+ b v) = aL(u) + b L(v) , ∀a, b ∈ R, ∀u, v ∈ R2 .
L’insieme (R2)∗ delle applicazioni lineari da R2 in R2 e uno spazio vettoriale
su R, una volta definite la somma di due applicazioni lineari, ed il prodotto
per uno scalare come segue:
(L+M)(u) = L(u) +M(u) , (aL)(u) = aL(u) ,
per ogni L e M in (R2)∗, per ogni u in R2 e per ogni a in R.
Teorema A.2 Lo spazio (R2)∗ ha dimensione 2, ed una sua base e data
dalle applicazioni lineari dx e dy definite da
dx(u) = dx(u1, u2) = u1 , dy(u) = dy(u1, u2) = u2 .
Dimostrazione. Sia L un’applicazione lineare da R2 in R, e siano a =
L(e1) = L((1, 0)) e b = L(e2) = L((0, 1)). Preso un qualsiasi vettore u in R2,
possiamo decomporlo come
u = (u1, u2) = u1 e1 + u2 e2 ,
e quindi, per linearita,
L(u) = L((u1, u2)) = L(u1 e1 + u2 e2) = u1 L(e1) + u2 L(e2) = u1 a+ u2 b .
Essendo u1 = dx(u) e u2 = dy(u), abbiamo cosı, per ogni u in R2,
L(u) = u1 a+ u2 b = a dx(u) + b dy(u) ,
e quindi, data L in (R2)∗ esistono due costanti a e b tali che L = a dx+ b dy;
siccome ogni applicazione della forma a dx + b dy e lineare da R2 in R, ed
essendo dx e dy linearmente indipendenti, si ha la tesi.
101
Definizione A.3 Lo spazio vettoriale (R2)∗ si dice duale di R2. La base
formata dalle applicazioni dx e dy si dice base canonica duale.
Definizione A.4 Sia E un aperto di R2. Una forma differenziale ω su E
e un’applicazione
ω : E → (R2)∗ ,
che ad ogni (x, y) in E associa un elemento ω(x, y) in (R2)∗. Dal momento
che ogni elemento di (R2)∗ si puo scrivere nella forma a dx + b dy con a e
b in R, assegnare una forma differenziale su E e equivalente ad assegnare
due funzioni a e b da E in R. Pertanto, una forma differenziale su E e
un’applicazione ω da E in (R2)∗ definita da
ω(x, y) = a(x, y) dx+ b(x, y) dy .
Se le funzioni a e b sono continue, la forma differenziale si dice continua,
mentre si dice di classe C1 se le funzioni a e b appartengono a C1(E).
Esempio A.5 Sia f : E → R una funzione di classe C1(E). La forma
differenziale continua
ω(x, y) = fx(x, y) dx+ fy(x, y) dy ,
si dice il differenziale di f . Una forma differenziale ω definita su E che sia
il differenziale di una funzione f si dice esatta su E.
Definizione A.6 Una curva regolare in R2 e un’applicazione γ : [a, b]→R2 definita da γ(t) = (x(t), y(t)), con x, y : [a, b]→ R due funzioni C1([a, b])
con la proprieta che (x′(t), y′(t)) 6= (0, 0) per ogni t in (a, b). Una curva
regolare a tratti e un’applicazione γ : [a, b] → R2 continua per la quale
esiste una partizione a = a0 < a1 < . . . < an−1 < an = b di [a, b] tale che
γ e regolare se ristretta a (ai−1, ai) (con i da 1 a n). Una curva regolare a
tratti si dice semplice se γ(t1) 6= γ(t2) per ogni t1 e t2 in (a, b). Una curva
regolare a tratti si dice chiusa se γ(a) = γ(b).
Definizione A.7 Sia ω(x, y) = a(x, y) dx+b(x, y) dy una forma differenziale
continua su E e sia γ una curva regolare da [a, b] in E. Definiamo l’integrale
di ω lungo γ come la quantita∫γω =
∫ b
a[a(x(t), y(t))x′(t) + b(x(t), y(t)) y′(t)] dt . (A.1)
102
Esempio A.8 Sia ω(x, y) = y dx+x dy e sia γ(t) = (cos(t), sen(t)), con t in
[0, 2π]. Allora∫γω =
∫ 2π
0[sen(t) (−sen(t))+cos(t) (cos(t))]dt =
∫ 2π
0[cos2(t)−sen2(t)]dt = 0 .
Sia ω(x, y) = y dx− x dy e sia γ(t) = (cos(t), sen(t)), con t in [0, 2π]. Allora∫γω =
∫ 2π
0[sen(t) (−sen(t))− cos(t) (cos(t))]dt = −
∫ 2π
01 dt = −2π .
Se la curva γ e regolare a tratti, l’integrale di ω lungo γ e definito come la
somma degli integrali di ω lungo γi, dove γi e la curva regolare ottenuta pren-
dendo la restrizione di γ all’intervallo (ai−1, ai). Questo fatto, e le proprieta
dell’integrale secondo Riemann, permettono di ottenere il seguente teorema.
Teorema A.9 Sia E un aperto di R2, siano γ1 e γ2 due curve regolari a
valori in E, e siano ω1, ω2 : E → (R2)∗ due forme differenziali continue.
1) se γ1 = −γ2 (ovvero e la curva con lo stesso sostegno, la stessa para-
metrizzazione, ma verso di percorrenza opposto), allora∫γ1
ω1 = −∫γ2
ω1 ;
2) si ha ∫γ1∪γ2
ω1 =∫γ1
ω1 +∫γ2
ω1 ;
3) per ogni coppia di numeri reali a e b,∫γ1
[aω1 + b ω2] = a∫γ1
ω1 + b∫γ1
ω2 ;
4) se ϕ : R2 → R2 e una funzione C1 tale che γ1 = ϕ(γ2) con corrispon-
denza biunivoca, allora ∫γ1
ω =∫γ2
ω(ϕ)ϕ′ .
103
Sia ora ω una forma differenziale esatta su E (ovvero, ω e il differenziale
di una funzione f in C1(E)) e γ : [a, b] → E una curva regolare a tratti.
Allora ∫γω =
∫ b
a[fx(x(t), y(t))x′(t) + fy(x(t), y(t)) y′(t)] dt
=∫ b
a
df(x(t), y(t))
dtdt = f(γ(b))− f(γ(a)) .
Pertanto, se ω e esatta, l’integrale lungo una curva regolare a tratti dipende
solo dagli estremi della curva; in altre parole, se γ e un’altra curva che ha
γ(a) e γ(b) come estremi (nell’ordine), l’integrale di ω lungo γ e lo stesso. Se
in piu γ e chiusa, allora l’integrale di ω lungo γ e zero. Questa — a patto
di fare delle ipotesi su E — e come vedremo una proprieta caratterizzante le
forme differenziali esatte su E.
Definizione A.10 Un sottoinsieme aperto E di R2 si dice connesso se E
non e unione di due aperti disgiunti e non vuoti.
Un sottoinsieme aperto E di R2 si dice connesso per poligonali se
per ogni coppia di punti x e y di E esiste una poligonale (ovvero una curva
lineare a tratti) che unisce x con y.
Teorema A.11 Un sottoinsieme aperto E di R2 e connesso se e solo se e
connesso per poligonali.
Dimostrazione. Sia x in E; definiamo
A1 = {y ∈ A : esiste una poligonale tra y e x} , A2 = A\A1 .
Sia y in A1, e sia r > 0 tale che la sfera di centro y e raggio r e tutta contenuta
in A (tale r esiste perche A e aperto). Dal momento che y appartiene ad
A1, allora esiste una poligonale γ che collega x a y. Sia ora z nella sfera di
centro y e raggio r; ovviamente, y e collegato a z dal segmento che li unisce,
e pertanto la poligonale ottenuta unendo a γ tale segmento collega x a z. In
altre parole, per ogni y in A1 esiste r > 0 tale che la sfera di centro y e raggio
r e tutta contenuta in A1. Quindi, A1 e aperto.
Sia ora y in A2, e sia r > 0 tale che la sfera di centro y e raggio r e
tutta contenuta in A2. Sia z in tale sfera; se z fosse collegabile a x tramite
104
una poligonale γ, allora y sarebbe collegabile a x con una poligonale (quella
ottenuta unendo a γ il segmento da z a x), e questo non e possibile. Come
prima, abbiamo dimostrato che per ogni y in A2 esiste r > 0 tale che la sfera
di centro y e raggio r e tutta contenuta in A2. Quindi, A2 e aperto.
Per definizione, A1 ∪ A2 = A. Se A e connesso, uno dei due insiemi deve
essere vuoto. Dal momento che A1 contiene x, A2 = ∅. In definitiva, A = A1,
e quindi A e connesso per poligonali.
Supponiamo ora che A non sia connesso. Esistono allora A1 e A2 aperti
disgiunti e non vuoti la cui unione e A. Per semplicita, supponiamo che sia
A1 che A2 siano connessi. Siano x in A1 e y in A2. Essendo A1 connesso,
l’insieme dei punti di A raggiungibili da x con poligonali coincide con A1
(per la prima parte del teorema); analogamente, l’insieme dei punti di A
raggiungibili da y con poligonali coincide con A2. Essendo A1 e A2 disgiunti,
x e y non sono collegabili con una poligonale di A.
Teorema A.12 Sia E un aperto connesso di R2 e sia ω una forma differen-
ziale continua su E. Le seguenti sono equivalenti:
1) ω e esatta in E;
2) se γ e una curva chiusa e regolare a tratti contenuta in E, allora∫γω = 0 ; (A.2)
3) se γ1 e γ2 sono due curve regolari a tratti contenute in E, con identici
punti di partenza e di arrivo, allora∫γ1
ω =∫γ2
ω . (A.3)
Dimostrazione. Abbiamo gia dimostrato che 1) implica 2); per dimostrare
che 2) implica 3), e sufficiente osservare che se γ1 e γ2 sono come nell’enunciato
del teorema, allora γ = γ1∪(−γ2) e una curva chiusa e regolare a tratti. Per-
tanto, per la (A.2), e per la 1) del Teorema A.9,
0 =∫γω =
∫γ1∪(−γ2)
ω =∫γ1
ω +∫−γ2
ω =∫γ1
ω −∫γ2
ω ,
105
da cui la (A.3).
Dimostriamo ora che 3) implica 1); fissiamo (x0, y0) in E e definiamo, per
(x, y) in E,
f(x, y) =∫γ(x,y)
ω ,
dove γ(x,y) e una qualsiasi curva regolare a tratti che unisce (x0, y0) a (x, y);
si osservi che E, essendo connesso, e connesso per poligonali, e quindi esiste
almeno una curva regolare a tratti che unisce (x0, y0) a (x, y)). Inoltre, per
la (A.3), f e ben definita, dato che il valore dell’integrale non dipende dalla
curva scelta.
Dimostriamo che f e derivabile, e che, se ω(x, y) = a(x, y) dx+ b(x, y) dy,
le sue derivate parziali coincidono con a e b. Sia (x, y) in E, e sia h0 > 0 un
numero reale tale che (x+h, y) sia in E per ogni h tale che |h| ≤ h0 (un tale
h0 esiste perche, essendo E aperto, esiste r > 0 tale che la sfera di centro
(x, y) e raggio r e tutta contenuta in E). Data una qualsiasi γ(x,y) che collega
(x0, y0) a (x, y), definiamo γh come l’unione di γ(x,y) con il segmento Sh che
unisce (x, y) a (x+ h, y). Abbiamo allora
f(x+ h, y)− f(x, y) =∫γh
ω −∫γ(x,y)
ω =∫γ(x,y)∪Sh
ω −∫γ(x,y)
ω =∫Sh
ω .
Parametrizzando Sh con x(t) = x+ t, y(t) = y, e t ∈ [0, h], abbiamo
f(x+ h, y)− f(x, y) =∫ h
0a(x+ t, y) dt .
Essendo a continua, dal teorema della media integrale segue allora
fx(x, y) = limh→0
f(x+ h, y)− f(x, y)
h= lim
h→0
1
h
∫ h
0a(x+ t, y) dt = a(x, y) .
Con un ragionamento analogo si dimostra che fy(x, y) = b(x, y).
Le condizioni di esattezza date dal precedente teorema sono pero alquanto
difficili da verificare: e necessario che l’integrale lungo tutte le infinite curve
chiuse sia nullo affinche la forma differenziale sia esatta, il che vuol dire
che l’esattezza non puo essere dedotta con un numero finito di tentativi.
Fortunatamente, nel caso in cui la forma differenziale sia non solo continua,
ma di classe C1(E), e facile verificare se una forma differenziale non e esatta.
106
Teorema A.13 Sia E un aperto di R2, e sia ω(x, y) = a(x, y) dx+b(x, y) dy
una forma differenziale esatta su E di classe C1(E). Allora
ay(x, y) = bx(x, y) , ∀(x, y) ∈ E . (A.4)
Dimostrazione. Se ω e esatta, ω e il differenziale di una funzione f definita
su E; essendo ω di classe C1(E), f e una funzione C2(E). Per il lemma di
Schwartz,
fxy(x, y) = fyx(x, y) , ∀(x, y) ∈ E .Ricordando che a(x, y) = fx(x, y), e che b(x, y) = fy(x, y), si ha immediata-
mente la (A.4).
Definizione A.14 Una forma differenziale ω(x, y) = a(x, y) dx + b(x, y) dy
di classe C1(E) si dice chiusa su E se le funzioni a e b soddisfano la (A.4).
E allora evidente dal Teorema A.13 che una forma differenziale di classe
C1 che sia esatta su E e anche chiusa su E, cosicche se ω non e chiusa (e
la condizione di chiusura e facile da verificare), allora non sara esatta. Ad
esempio, la forma differenziale ω(x, y) = y dx − x dy dell’Esempio A.8, non
e chiusa (e quindi non e esatta, come si vede anche dal fatto che l’integrale
lungo una curva chiusa non e zero).
Sfortunatamente, non tutte le forme differenziali chiuse sono esatte, come
si vede dal seguente esempio.
Esempio A.15 Sia E = R2\{(0, 0)}, e sia
ω(x, y) =−y
x2 + y2dx+
x
x2 + y2.
Si ha (−y
x2 + y2
)y
=y2 − x2
(x2 + y2)2=
(x
x2 + y2
)x
,
e quindi ω e chiusa. Se consideriamo la curva chiusa γ(t) = (cos(t), sen(t))
con t in [0, 2π], abbiamo pero∫γω =
∫ 2π
0
[−sen(t) (−sen(t))
cos2(t) + sen2(t)+
cos(t) (cos(t))
cos2(t) + sen2(t)
]dt =
∫ 2π
0dt = 2π ,
e quindi ω non e esatta in E.
107
Il motivo per cui la forma differenziale del precedente esempio non e
esatta dipende dal fatto che nell’insieme E, che e connesso, esiste una curva
contenuta in E (la circonferenza di centro l’origine e raggio uno) che non e
la frontiera di un insieme tutto contenuto in E.
Definizione A.16 Un sottoinsieme E di R2 si dice semplicemente con-
nesso se ogni curva chiusa semplice contenuta in E e frontiera di un sottoin-
sieme di E.
Ad esempio, sono semplicemente connessi R2, un cerchio, R2 privato di
una semiretta (mentre R2 privato di una retta si “spezza” nell’unione di due
semispazi semplicemente connessi). Non sono semplicemente connessi R2
privato di un punto, di un segmento, o di un cerchio.
Un altro esempio di insieme semplicemente connesso e seguente: date due
funzioni f(x) e g(x), definite sullo stesso intervallo [α, β], di classe C1([a, b])
e tali che f(x) ≤ g(x), definiamo
D = {(x, y) ∈ R2 : α ≤ x ≤ β , f(x) ≤ y ≤ g(x)} .
Un tale insieme si dice normale rispetto all’asse x.
Teorema A.17 Sia ω una forma differenziale chiusa definita su E, e sia D
un insieme normale rispetto all’asse x contenuto in E. Allora ω e esatta in
D.
Dimostrazione. Sia (x, y) in D, e sia γ(x,y) la curva ottenuta unendo γ1
e γ2, dove γ1(t) = (t, f(t)) per t in [a, x], e γ2(t) = (x, t) con t in [f(x), y].
Definiamo
f(x, y) =∫γ(x,y)
ω ,
e dimostriamo che il differenziale di f e ω.
Usando la definizione di f , abbiamo
f(x, y) =∫ x
a[a(t, f(t)) + b(t, f(t)) f ′(t)] dt+
∫ y
f(x)b(x, t) dt .
108
Derivando, ricordando le formule di derivazione sotto il segno di integrale,
ed usando il fatto che ay = bx, si ha
fx(x, y) = a(x, f(x)) + b(x, f(x)) f ′(x)
+∫ y
f(x)bx(x, t) dt− b(x, f(x)) f ′(x)
= a(x, f(x)) +∫ y
f(x)ay(x, t) dt
= a(x, f(x)) + a(x, t)∣∣∣t=yt=f(x)
= a(x, y) .
D’altra parte, fy(x, y) = b(x, y), e la dimostrazione del teorema e conclusa.
Lo stesso teorema continua a valere per domini normali rispetto all’asse
y:
D = {(x, y) ∈ R2 : γ ≤ y ≤ δ , h(y) ≤ x ≤ k(y)} ,con h e k funzioni di classe C1([γ, δ]).
Teorema A.18 Sia E un aperto connesso e semplicemente connesso di R2,
e sia γ una curva regolare a tratti, chiusa e semplice contenuta in E. Sia D il
sottoinsieme di E la cui frontiera e γ. Allora D si puo decomporre nell’unione
finita di sottoinsiemi D1, . . . , Dn ognuno dei quali e normale rispetto all’asse
x o all’asse y.
Teorema A.19 Sia E un aperto connesso e semplicemente connesso di R2,
e sia ω una forma differenziale chiusa su E. Allora ω e esatta.
Dimostrazione. Sia γ una curva regolare a tratti, chiusa e semplice con-
tenuta in E, e sia D il sottoinsieme di E la cui frontiera e gamma. Per il
Teorema A.18, D si puo decomporre come unione di un numero finito di in-
siemi Di, normali rispetto ad uno degli assi. Se dimostriamo che l’integrale di
ω lungo la frontiera di ognuno dei Di, percorsa in senso antioriario, vale zero
avremo la tesi. Infatti l’integrale di ω lungo γ (percorsa in verso antiorario)
e uguale alla somma degli integrali di ω lungo le frontiere di Di, dato che i
tratti comuni sono percorsi due volte ed in verso opposto (si veda la figura).
109
Per il Teorema A.17, ω e esatta su Di; dal momento che la frontiera di
Di e una curva chiusa semplice e regolare a tratti (essendo di classe C1 le
funzioni fi e gi, ovvero hi e ki, che compaiono nella definizione di insieme
normale) contenuta in Di, e che Di e connesso, il Teorema A.12 implica che
l’integrale di ω lungo la frontiera di Di vale zero.
Come possiamo risolvere il problema dell’esattezza di una forma differen-
ziale chiusa su un dominio non semplicemente connesso? La risposta e nel
seguente teorema (dato senza dimostrazione).
Teorema A.20 Sia E un aperto connesso ma non semplicemente connesso
di R2, e sia ω una forma differenziale chiusa in E. Siano γ1 e γ2 due curve
chiuse regolari a tratti, una contenuta dentro l’altra e tali che il dominio la
cui frontiera e γ1 ∪ γ2 sia tutto contenuto in E. Allora∫γ1
ω =∫γ2
ω .
L’applicazione classica di questo teorema e la seguente: se E e della forma
D\{x0}, con D semplicemente connesso, ω e chiusa in E ed esiste un curva
γ chiusa, regolare a tratti, contenuta in E e tale da “girare” intorno a x0 per
la quale l’integrale di ω lungo γ vale zero, allora ω e esatta.
Infatti l’integrale di ω lungo una qualsiasi curva chiusa che non gira in-
torno a x0 vale zero (perche tale curva e la frontiera di un dominio semplice-
mente connesso, e ω e chiusa), mentre se la curva gira intorno a x0 l’integrale
e nullo per il teorema precedente (usando la curva γ come “paragone”).
110
Esempio A.21 La forma differenziale
ω(x, y) =x
x2 + y2dx+
y
x2 + y2dy ,
che e chiusa in R2\{(0, 0)} (come si verifica facilmente), e anche esatta in
tale insieme. Infatti l’integrale di ω lungo la circonferenza di centro l’origine
e raggio 1 e dato da
∫γω =
∫ 2π
0
[cos(t) (−sen(t))
cos2(t) + sen2(t)+
sen(t) (cos(t))
cos2(t) + sen2(t)
]dt = 0 .
Ed infatti, la funzione f(x, y) = 12
ln(x2 + y2) e tale che il suo differenziale e
esattamente ω.
111