MALATTIE, RICERCA E CURADialoghi di scienza per saperne di più
Guida all’utilizzo dei discussion-game
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Indice
Introduzione .............................................................................................................................................................. 2
Il contesto.................................................................................................................................................................... 3
I discussion-game .................................................................................................................................................... 5
Il ruolo del facilitatore.......................................................................................................................................... 7
Gioco 1 – Gioco delle priorità......................................................................................................................... 9
Gioco 2 – Gioco delle opinioni ................................................................................................................... 14
Appendice. I testi dei giochi......................................................................................................................... 19
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Introduzione
Telethon è un’organizzazione senza scopo di lucro nata nel 1990 per volontà di un’as-
sociazione di pazienti, l’Unione Italiana per la Lotta contro la Distrofia Muscolare
(UILDM), con lo scopo di raccogliere fondi per la ricerca sulle distrofie muscolari. Due
anni dopo, la missione fu estesa a tutte le malattie umane di origine genetica, in par-
ticolare quelle trascurate dai grandi investimenti pubblici e privati. Da allora, Telethon
ha investito oltre 284 milioni di euro in diverse iniziative di ricerca esterna e intramu-
rale, finanziando più di 2100 progetti di ricerca condotti nel nostro Paese su oltre 430
malattie genetiche.
Trasparenza, responsabilità e un alto livello di efficienza organizzativa sono alcu-
ne caratteristiche di eccellenza riconosciute a Telethon. I costi amministrativi e quel-
li legati alla raccolta fondi ammontano soltanto al 21% delle spese totali (anno di rife-
rimento 2007-2008), un valore comparabile con quello delle più efficienti organizza-
zioni senza scopo di lucro mondiali (per un confronto si veda www.charitynaviga-
tor.org). Ulteriori informazioni, inclusi i bilanci dettagliati, sono disponibili sul sito
www.telethon.it.
In base alla sua missione, i risultati più rilevanti della ricerca di Telethon sono rap-
presentati dalla cura delle malattie genetiche. La sperimentazione clinica di una tera-
pia per una malattia genetica rappresenta il culmine di un lungo e laborioso proces-
so di ricerca che parte dallo studio delle cause e dei meccanismi della malattia, passa
attraverso fasi successive di indagini e verifiche di laboratorio, per arrivare all’identifi-
cazione di approcci terapeutici, che vengono dapprima validati in modelli sperimen-
tali, per arrivare infine agli studi clinici sul paziente.
Le attività di ricerca preclinica e clinica richiedono un notevole impegno di risor-
se e di competenze, che vanno dal completamento degli studi preclinici avanzati,
alle interazioni con le autorità regolatorie nazionali e internazionali, fino allo sviluppo
del prodotto medicinale. Per questo motivo, è per Telethon di vitale importanza atti-
vare alleanze e instaurare collaborazioni con il mondo accademico e industriale, che
permettano di completare gli studi intrapresi e di fornire così ai pazienti le cure deri-
vanti dalla ricerca eccellente che Telethon sostiene con i suoi finanziamenti.
Ma questo non basta. La rarità delle malattie studiata da Telethon rende molto
difficile, complessa, e onerosa la ricerca, ed è per questo che si ha bisogno di un
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sostegno che esula dalle normali fonti di finanziamento. D’altra parte la ricerca su
queste malattie potrebbe aprire nuovi fronti alla medicina, anche verso cure disegna-
te in modo più preciso sulla diversità degli individui. Inoltre malgrado la rarità di cia-
scuna malattia, nella loro totalità le malattie rare colpiscono una percentuale non
indifferente di persone: secondo uno studio del 2005, nei 25 paesi dell’Unione
Europea circa 30 milioni di persone soffrono di una malattia rara, che corrisponde a
circa il 6-8% della popolazione europea. Questa cifra è equivalente alla somma della
popolazione di Olanda, Belgio e Lussemburgo (fonte Eurordis, novembre 2005).
È intenzione di Telethon incrementare il rapporto di fiducia e conoscenza con il
pubblico, che permetta, anche attraverso il finanziamento dei singoli cittadini, la con-
tinuazione della ricerca fino a una terapia o a un farmaco risolutivo.
Ecco perché, oltre ai consueti mezzi di informazione e promozione delle attività,
da quest’anno Telethon ha deciso di utilizzare il mezzo innovativo dei discussion-
game, in cui il pubblico è chiamato a partecipare non come semplice spettatore ma
come protagonista.
I giochi proposti consentono nello stesso tempo di ricevere informazioni scienti-
fiche attendibili, di formarsi un’opinione su questioni di governance scientifica, e di
dibattere con gli altri.
1. Il contesto
Nel XX secolo la scienza ha prodotto un’incredibile aumento delle conoscenze (la
relatività di Einstein, l’espansione dell’Universo, il controllo dell’energia nucleare, la
scoperta del DNA, …), che si è tradotto in un altrettanto esplosivo progresso tecno-
logico. Questa stagione di cambiamenti è stata accompagnata da una crescita di
apprezzamento e rilevanza sociale di scienziati e tecnici, e dal crescere delle aspetta-
tive di tutti riguardo al benessere economico, alla salute, alla qualità della vita. Nello
stesso tempo, però, gli impatti anche negativi di questo progresso — dalla bomba di
Hiroshima all’inquinamento chimico a cambiamenti climatici — hanno fatto sì che
scienza e tecnologia (indistinguibili per il grande pubblico) siano anche fonte di
grandi paure o per lo meno di radicati sospetti. L’immaginario popolare — intessuto
di letteratura ma anche di film, cartoni animati, fumetti… — si è popolato di una
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serie infinita di modulazioni della leggenda del Golem: l’apprendista stregone, Prof.
Frankenstein, il Dottor Jekyll e Mister Hide…
Scrive lo storico Eric J. Hobsbawn (Il secolo breve, 1914/1991, Milano 1994, p. 605):
“Nessuna epoca storica è stata più dipendente dalle scienze naturali e più permeata
da esse del ventesimo secolo. Tuttavia nessuna epoca, dopo la ritrattazione di Galileo,
si è trovata più a disagio con la scienza. Questo è il paradosso con cui deve scontrar-
si lo storico di questo secolo”.
Questo paradosso ha una seconda, altrettanto sconcertante, faccia.
Infatti il XX secolo ha visto anche il diffondersi di iniziative volte a diffondere la
cultura scientifica, dai progetti di rinnovamento dell’educazione scientifica a quelli
per comunicarla al grande pubblico. Sono nati i science centre, nuovi musei della
scienza interattivi, e anche i musei più tradizionali si sono rinnovati nelle esposizioni
e nelle attività. Si sono moltiplicati i festival della scienza, le riviste di divulgazione, i
programmi televisivi. Nello stesso tempo, però, una informazione pubblica sulla
scienza, decisamente più articolata e diffusa, non ha prodotto, come alcuni si aspet-
tavano, il lineare aumento della fiducia e diminuire del sospetto. Decenni di studi sul-
l’opinione pubblica mostrano come la formazione delle opinioni sia operata all’inter-
no di sistemi di credenze ed emozioni privati e/o di gruppi sociali, nell’incrociarsi di
questi con conoscenze di base, informazioni più o meno ufficiali e soprattutto prece-
denti esperienze e giudizi su ambiti anche diversi da quello scientifico e tecnologico
(ad esempio la politica). In parole povere: l’atteggiamento del pubblico nei riguardi
dell’uso di organismi geneticamente modificati, per esempio, non dipende solo dalle
conoscenze pregresse di biotecnologia, ma anche (e molto di più) dal generale
atteggiamento verso il mondo naturale, dalla fiducia nei confronti delle autorità che
devono gestirne la diffusione e il controllo, ecc.
Per una comunicazione efficace tra scienziati, tecnologi e grande pubblico, la paro-
la chiave, in questo contesto, è diventata quindi “dialogo”: non basta insegnare, non
basta mostrare che la scienza è interessante e può essere anche divertente, non basta
informare costantemente sull’attualità scientifica, occorre instaurare anche un vero e
proprio confronto tra ricercatori e cittadini (ma anche amministratori e stakeholder), in
cui tutte le posizioni (le opinioni, gli atteggiamenti, i timori, le speranze, le aspettative
ecc.) vengono reciprocamente illustrare e discusse.
Solo in questo modo, attraverso una comunicazione ricca e profonda, gli scienzia-
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ti potranno davvero capire cosa agita l’opinione pubblica, aggiornarla in termini di
conoscenze, informarla sui propri punti di vista, discutere sulle decisioni da prendere.
Perché non bisogna dimenticare che i cittadini non solo hanno il diritto di essere infor-
mati, ma hanno anche il diritto e il dovere di decidere, in termini di voto, di politiche
che riguardano anche la scienza e la tecnologia.
2. I discussion-game
Per favorire la partecipazione dei cittadini, il dialogo e la discussione sui temi legati
alla scienza e alle tecnologia e al loro intrecciarsi con le questioni economiche, socia-
li ed etiche, negli ultimi anni sono stati sviluppati diversi metodi, che sono stati poi
sperimentati in diversi contesti, molto spesso all’interno dei musei della scienza. I
musei scientifici, infatti, soprattutto quelli interattivi di nuova concezione (chiamati
anche science centre), danno del loro ruolo educativo un’interpretazione ampia, che
non si riferisce solo alla trasmissione di informazioni e concetti scientifici, e neanche
al proporre nuove forme di educazione scientifica (più sperimentale e creativa di
quella scolastica), ma anche a fungere da mediatori tra mondo della ricerca scientifi-
ca, cittadini e il resto della società. I musei hanno una lunga esperienza di contatto
con i pubblici più diversi, e sono sentiti dai visitatori come luoghi adatti al dialogo
anche su questioni controverse e sensibili: sono infatti ritenuti luoghi neutrali ma
portatori di informazioni scientifiche corrette; sono inoltre luoghi dove le persone
sono abituate ad andare, e a trascorrere momenti piacevoli ed educativi.
Oltre a proporre eventi più tradizionali in cui il pubblico incontra i ricercatori o in
genere gli esperti (conferenze, dibattiti caffè scientifici, …), i musei hanno sviluppato
formati più innovativi, perché cercano di dare ai visitatori un ruolo ancora più attivo:
esposizioni dove i visitatori possono lasciare messaggi e/o rispondere a inchieste,
giurie del cittadino, focus group… Tra questi sistemi sono anche i cosiddetti discus-
sion-game, cioè “giochi” (perché talvolta utilizzano vere e proprie carte da gioco, e che
hanno delle semplici regole che ne indicano l’uso e che scandiscono i tempi) studia-
ti per promuovere la discussione tra visitatori, in un processo di confronto di idee e
nello stesso tempo di apprendimento di dati e concetti.
Il gioco Decide, per fare un esempio (www.playdecide.org), è stato sviluppato nel
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quadro di un progetto europeo ed è l’antesignano di questo democratico metodo di
comunicazione della scienza. Si tratta di un gioco di carte per gruppi di circa 7 per-
sone, che può essere scaricato dalla rete. Dura circa un’ora e venti minuti, alla fine dei
quali i giocatori scelgono tra diverse politiche di gestione della ricerca, su 7 questio-
ni molto attuali: cellule staminali, AIDS, nanotecnologie, cambiamenti climatici, xeno-
trapianti, neuroscienze e test genetici. Il gioco è stato tradotto in 14 lingue, ed è stato
(ed è) giocato ma centinaia di migliaia di persone. Per giocare Decide non c’è biso-
gno di nessun aiuto: qualsiasi gruppo di persone può giocare autonomamente,
seguendo le regole pubblicate online.
Altre volte, come nel caso dei giochi sviluppati per Telethon e che qui presentia-
mo, i giochi sono invece guidati, almeno in alcuni momenti, da un facilitatore, e pos-
sono essere seguiti dall’incontro con un esperto/ricercatore. I visitatori discutono
divisi in gruppi di 4/7 persone. Una parte del tempo lavorano autonomamente con
l’aiuto delle carte, discutendo al loro interno, mentre in un secondo momento il faci-
litatore conduce la discussione, in cui vengono confrontati i risultati della discussio-
ne nei vari gruppi.
I discussion-game rispondono a diversi scopi:
• forniscono al partecipante nuove informazioni
• aiutano a farsi un’opinione e a esprimerla
• fanno riflettere sulle convinzioni, i valori o le considerazioni su cui le diverse
opinioni sono basate
• propongono un modello di discussione approfondita, tollerante e democra-
tica.
I due giochi presentati in questa guida non sono adatti a bambini (anche se
discussion-game sono stati studiati anche per i più piccoli), e possono essere gioca-
ti a partire dai ragazzi di scuola secondaria. Il Gioco delle opinioni tratta temi molto
delicati (ad esempio, anche se incidentalmente, la possibilità dell’aborto) quindi, nel
caso di classi, occorre preavvertire gli insegnanti, che possono, eventualmente, chie-
dere di ometterlo.
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3. Il ruolo del facilitatore
Il ruolo del facilitatore è cruciale, e deve essere condotto avendo ben chiaro lo scopo
dei giochi, ed essendosi preparati bene sull’atteggiamento da mantenere.
Naturalmente il facilitatore è necessario anche per spiegare le regole del gioco e
per mantenere i tempi, ma soprattutto, come suggerisce la parola stessa, il suo com-
pito è facilitare la discussione e l’apprendimento.
Prima regola: Non insegnare e non convincere
La prima cosa che un buon facilitatore deve tenere a mente, è che il suo scopo non
è né spiegare qualcosa né tanto meno convincere i visitatori di qualcosa: deve solo
supportare la discussione attraverso cui le persone si formano un’opinione e impara-
no a conoscere i diversi punti di vista. Dal quadro che abbiamo presentato nel para-
grafo precedente, dovrebbe risultare chiaro che maggiormente il processo di
apprendimento e di formazione del pensiero è autonomo e autodiretto, maggior-
mente è efficace. Per questa ragione il facilitatore non deve presentarsi come un
esperto né spiegare in continuazione, per non frustrare i partecipanti o farli sentire
non in grado di affrontare i problemi presentati. Per la stessa ragione non deve in
nessun modo presentare le proprie opinioni, ma deve essere invece una figura molto
neutrale e quasi scomparire dalla scena, anche se deve essere sereno, cordiale, spiri-
toso se occorre, deve creare un’atmosfera di buon umore e intervenire con discrezio-
ni ogni volta il suo sostegno sia necessario.
Seconda regola: Rassicurare
Il facilitatore deve rassicurare i partecipanti che i problemi di cui si discuterà, come
spesso accade, non hanno soluzioni facili, anzi, molto spesso per ogni problema c’è
più di una soluzione possibile, ognuna con i suoi pro e i suoi contro, e gli stessi esper-
ti possono essere di opinioni diverse. Quindi i particapanti non devono aver affatto
paura di esprimere le proprie opinioni. Per esempio può dire:
“Sulle cose di cui discuteremo ci sono pareri diversi anche tra gli esperti, e ognuno vede
aspetti diversi ma comunque importanti delle questioni trattate. Noi qui, con questo
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gioco, cercheremo di passare in rassegna le diverse opinioni, e anche i dubbi e i timori, per-
ché è importante farsi un’opinione, come anche cercare di capire su cosa costruiamo le
nostre opinioni”.
Si può inoltre ricordare ai partecipanti che sono stati e saranno anche chiamati a
votare per questioni molto complesse, e che quindi fa parte dei doveri come dei
diritti di cittadino anche imparare ad affrontare questioni controverse, informandosi
e riflettendo.
Terza regola: Moderare
Il facilitatore, poi, durante le discussioni, deve fare in modo che ognuno possa espri-
mere la propria opinione senza essere aggredito, censurato o deriso dagli altri parte-
cipanti. Anche per questa ragione deve mantenere un atteggiamento neutrale, non
mostrare mai se è d’accordo o meno con un’opinione, e se è necessario aiutare a
esprimersi i partecipanti che sono più silenziosi, che fanno maggiormente fatica a
esprimersi, o che sembrano in minoranza nel gruppo. Per esempio può dire cose
come:
“Mi sembra che il signore voglia dire XY…. Lei invece cosa pensa? … Mi sembra che il
punto su cui non siete d’accordo sia XY … Ma forse siete invece d’accordo su XY,…”.
Quarta regola: Informare, se necessario
Se, durante la discussione, ci sono dei punti poco chiari, delle parole che non si capi-
scono, o nascono delle curiosità, il facilitatore prima di intervenire personalmente
chiederà agli altri partecipanti se sanno rispondere, e solo se e quando nessuno è in
grado di farlo spiegherà brevemente la parola o il concetto, o darà l’informazione. Ma
è bene che in questo caso aggiunga sempre cose come:
“Dopo comunque incontreremo il ricercatore XY, e magari chiederemo meglio a
lui/lei… anche io non ne so tanto e mi piacerebbe saperne di più… questo è un proble-
ma molto interessante e complesso, il ricercatore XY può aiutarci a capirne di più…”.
Come abbiamo detto, il facilitatore non deve essere percepito come un esperto
(anche perché la maggioranza dei facilitatori non sono, di fatto, degli esperti), quan-
to piuttosto come un aiutante. A maggior ragione non ci sarà nulla di male se il faci-
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litatore non sarà in grado di spiegare una particolare cosa o di rispondere a una
domanda: ammetterà di non saper rispondere, e rimanderà al successivo incontro
con il ricercatore.
Durata
La durata dell’evento Telethon proposto è di circa due ore, che comprendono i due
giochi e l’incontro con il ricercatore. Si può però scegliere di utilizzare un solo gioco,
e ridurre il tempo dell’incontro: il Gioco delle priorità richiede più tempo, e quindi,
complessivamente, anche utilizzando solo questo non si può scendere sotto un’ora
e un quarto, compreso l’inconto con l’esperto; il Gioco delle opinioni è più breve, e si
può comprimere l’incontro fino a un’ora.
4. Gioco 1 – Gioco delle priorità
Il Gioco delle priorità è stato progettato per
• dare informazioni su malattie di diverso genere
• far riflettere sui complessi rapporti tra tipo di malattia, stato della ricerca, mer-
cato del farmaco, situazione economica dei paesi dove la malattia e presente.
Quali malattie
In particolare, vengono presentate due malattie a grande diffusione e su cui si con-
centrano grandemente gli sforzi di ricerca e sanitari dei paesi ricchi (malattie cardio-
vascolari e tumori del polmone), due malattie molto diffuse e ben conosciute, ma su
cui non c’è molto investimento di ricerca perché colpiscono soprattutto paesi pove-
ri (due cossiddette malattie neglette: tubercolosi e malaria), una malattia su cui si
sono concentrati enormi risorse, perché presente sia nei paesi sviluppati che in quel-
li in via di sviluppo, anche se con problematiche molto diverse (AIDS), e cinque
malattie rare, chiamate anche orfane perché presentandosi solo in pochissimi casi
richiedono per sviluppare una cura una mole di risorse non proporzionata a quello
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che poi sarà il mercato della
cura stessa: ADA-SCID,
Sindrome di Rett, Amaurosi
congenita di Leber,
Distrofia di Duchenne ed
Emicrania emiplegica fami-
liare (vedi i testi delle carte
in appendice).
Scopo del gioco
Scopo del gioco è far riflet-
tere sul caso delle malattie
rare, e in generale sulle
diverse opzioni che una
politica sanitaria e della
ricerca ha davanti a sé di
fronte a una patologia, poi-
ché le risorse sono chiara-
mente sempre limitate:
meglio prevenire o curare?
Investire sulla cura sintoma-
tica dei paziente nel breve
tempo, o sulla comprensione della malattia, che porterà a cure più efficaci, ma in un
futuro non prevedibile?
Il gioco non ha nessuna pretesa di esaurire problematiche così complesse, e non
intende presentare tutti gli scenari possibili. È studiato per introdurre alcuni concet-
ti, far nascere curiosità e interesse, stimolare dei ragionamenti, ma in previsione del-
l’incontro con il ricercatore Telethon, che potrà poi chiarire i dubbi dei visitatori, pre-
sentare il proprio punto di vista e/o quelli del mondo della rierca, dell’industria far-
maceutica ecc.
Il facilitatore non deve preoccuparsi se, nel corso della discussione, sentirà opinio-
ni o fatti che sa essere falsi o che ritiene falsi: nella discussione può essere già presen-
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te un participante in grado di contestare le affermazioni, ma anche se questo non
avvenisse il facilitatore può trasformare queste informazioni in domande all’esperto,
che potrà poi chiarire eventuali misconcezioni.
Dotazione
• Schede delle malattie: per ogni gruppo di discussione ci sono 10 schede, una
per malattia, che descrivono le malattie e le problematiche inerenti. In parti-
colare ci sono 5 malattie rare e 5 malattie diverse: le schede dei due tipi di
malattie devono venire tenuti separati
• Carte delle priorità: a ogni malattia sono abbinate una serie di carte (da 4 a 6)
che presentano alcune possibili azioni di politica sanitaria e di ricerca per
affrontare i problemi relativi a quella malattia.
• Carte delle priorità bianchi: sono uguali a quelle descritte al punto preceden-
te ma sono bianche in modo che il gruppo possa, se vuole, aggiungere ulte-
riori azioni non contemplate dalle possibilità offerte dal gioco
• Fogli bianchi: servono al gruppo per segnarsi eventuali dubbi, domande,
commenti da sottoporre all’esperto nella sessione di incontro successiva al
gioco
• Un glossario: contiene la definizione delle parole più difficili usate nelle sche-
de e nei cartellini.
Ogni gruppo (fino a un massimo di 5 gruppi contemporaneamente) riceve que-
sta dotazione.
• Un tabellone o una parete dove attaccare le carte delle priorità di ogni grup-
po nell’ordine scelto per poter procedere al confronto e alla discussione fina-
le.
Il gioco passo per passo
Presentiamo di seguito le modalità del gioco.
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0. Il facilitatore spiega il senso del gioco, annuncia il successivo incontro con il ricer-
catore e rassicura i partecipanti (vedi paragrafo 3 Il ruolo del facilitatore).
1. Il facilitatore, prima di far utilizzare le carte, indaga brevemente sulle conoscenze
pregresse dei partecipanti: “Qualcuno di voi ha mai sentito parlare di malattie rare?
Sapete cosa significa che una malattia è ereditaria? Sapete cosa significa screening?”.
Se un partecipante conosce la risposta, il facilitatore gli chiede di spiegare agli
altri partecipanti; in caso contrario commenta molto brevemente, solo per chia-
rire il senso di parole fondamentali per il gioco (tempo complessivo delle fasi 1 e
2: 10 minuti).
2. I partecipanti di ogni sessione vengono divisi in gruppi da 4 componenti (se
necessario da 3 o da 5 componenti), e il facilitatore spiega i diversi passi del gioco.
3. Ogni gruppo ha due mazzi di schede (precedentemente mescolati): uno con le
schede delle diverse malattie rare, e l’altro con il resto delle malattie. I due mazzi
vengono posti sul tavolo a faccia in giù. Accanto ci sono le carte delle politiche
sanitarie e di ricerca (carte delle priorità) raggruppate per le diverse malattie, e il
glossario da consultare.
4. Ogni gruppo sceglie una scheda dal mazzo delle malattie non rare, e prende le
relative carte delle priorità.
5. Un partecipante per ogni gruppo legge agli altri membri del gruppo a voce alta
la scheda della malattia. Se ci sono termini sconosciuti il gruppo può consultare
il glossario o, nel caso, chiedere al facilitatore.
6. Dopo aver letto la scheda, il gruppo ha 10 minuti (max 15 minuti) per ordinare le
carte delle priorità, disponendole sul tavolo in senso verticale dalla politica che il
gruppo ritiene più importante (in alto) a quella che il gruppo ritiene meno impor-
tante (in basso). Non si può assegnare pari merito a due carte. Per ordinare le
carte il gruppo discute e cerca di trovare un ordine su cui tutti sono d’accordo. Se
su una o più carte non si trova un accordo, queste vengono lasciate ai lati della
fila.
7. Mano a mano che i gruppi finiscono il lavoro, attaccano le carte nell’ordine scel-
to su di un tabellone o su una parete, in modo che siano ben visibili. Il facilitato-
re chiede al gruppo di segnare su un foglio tutte le questioni che non sono chia-
re o che vorrebbero approfondire con il ricercatore.
8. Successivamente ogni gruppo ha altri 10 minuti (max 15 minuti) per compiere la
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stessa operazione scegliendo una scheda dal mazzo delle malattie rare. Poi si
ripete la procedura descritta nei punti 6, 7 e 8.
9. Quando le carte delle priorità di tutti i gruppi sono state disposte sul tabellone o
sulla parete, il facilitatore introduce la discussione finale collettiva. Poiché le carte
dei diversi mazzi erano state mescolate, e non avevano quindi lo stesso ordine, è
possibile che gruppi diversi abbiano discusso le stesse malattie. Se questo è acca-
duto, il facilitatore inaugura la discussione confrontando i risultati: se i due grup-
pi hanno fatto la stessa scelta, il facilitatore chiede di esplicitare che ragionamen-
to li ha guidati in questo senso; se le scelte sono diverse chiede ai due gruppi di
argomentare sulle differenze. Poi chiede ai restanti gruppi di raccontare quali
erano i punti su cui hanno discusso di più. Infine cerca di mettere in evidenza i
temi più caldi e controversi. Può dire qualcosa come: “Mi sembra che abbiate
soprattutto discusso di XY, … la cosa su cui siete stati meno d’accordo è XY, … XY è una
questione molto complessa, possiamo chiedere al ricercatore che ce la chiarisca, …”.
Alla fine della discussione il facilitatore chiede ai partecipanti quali siano gli argo-
menti e le domande che si sono segnati e che vogliono affrontare nell’incontro
con il ricercatore, che si svolgerà dopo il secondo gioco (durata complessiva della
discussione finale 15 minuti).
Dopo la discussione finale c’è l’incontro con il ricercatore esperto che sarà dispo-
nibile a chiarire dubbi, spiegare lo stato della ricerca in quel settore, raccontare le pro-
spettive, le difficoltà, i problemi scientifici e sanitari ecc. È importante che il ricercato-
re non sia presente durante il lavoro dei gruppi con le schede e le carte delle priori-
tà per non influenzare la discussione con la sua autorevolezza. Per introdurre l’incon-
tro con il ricercatore il facilitatore lo presenta, e gli chiede di rispondere agli eventua-
li quesiti emersi dalla discussione dei giochi. Poi il ricercatore può raccontare le cose
che ritiene più importanti.
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Tabella 1. Schema della procedura del Gioco delle priorità
5. Gioco 2 – Gioco delle opinioni
Scopo del gioco
Questo secondo gioco affronta temi più delicati del precedente, perché ha lo scopo
di far riflettere su alcune questioni etiche legate alle malattie rare (vedi testi in appen-
dice). In genere più una discussione è delicata, più piccolo deve essere il gruppo di
discussione. Per questa ragione è preferibile, per questo gioco, avere gruppi non più
numerosi di 4 persone.
Dato che sulle questioni etiche ci sono molte divergenze personali, religiose e cul-
turali, è molto importante che il facilitatore all’inizio del gioco sottolinei che lo scopo
del gioco non è decidere chi ha torto o chi ha ragione, ma solo fare emergere le diver-
se opinioni e i ragionamenti che sono a fondamento di queste opinioni, sottolinean-
do ad esempio come ogni posizione nasca da pensieri, valori, sensibilità, atteggia-
menti culturali che devono essere compresi e accettati, anche se non condivisi.
Per la sua natura più delicata questo gioco va giocato per secondo.
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Fase Che cosa si fa Chi lo fa Tempi
1 descrizione del gioco facilitatore
10 minuti
2indagine sulle conoscenze dei partecipanti
facilitatore
3 suddivisione in gruppi facilitatore
4distribuzione della dotazione di giocoa ogni gruppo
facilitatore
5 estrazione scheda malattia non rara ogni gruppo separatamente
15 minuti6 lettura scheda ogni gruppo
7 ordinamento carte delle priorità ogni gruppo
8disposizione delle carte delle prioritàsulla parete
ogni gruppo man mano che finiscono
9si ripetono i punti 4-8 per il mazzodelle malattie rare
ogni gruppo 15 minuti
10 discussione finale collettiva facilitatore con tutti i gruppi 10 minuti
11 incontro con il ricercatore tutti 20 minuti
TOT 70 minuti circa
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Dotazione
• Set di carte delle affermazioni: per ogni gruppo di discussione ci sono 6 sche-
de, che presentano situazioni sulle quali il gruppo è chiamato a esprimersi
• Carte delle opinioni: ogni gruppo ha due carte con su scritto “SONO D’ACCOR-
DO” e “NON SONO D’ACCORDO”.
• Fogli bianchi: servono al gruppo per segnarsi eventuali dubbi, domande,
commenti da sottoporre all’esperto nella sessione di incontro successiva al
gioco
• Un glossario: contiene la definizione delle parole più difficili usate nelle sche-
de e nei cartellini.
Ogni gruppo (fino a un massimo di 5 gruppi contemporaneamente) riceve que-
sta dotazione.
• Un tabellone o una parete dove attaccare le carte delle priorità di ogni grup-
po nell’ordine scelto per poter procedere al confronto e alla discussione finale.
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Il gioco passo per passo
1. Il facilitatore spiega il senso del gioco, annuncia il successivo incontro con il ricer-
catore e rassicura i partecipanti (vedi paragrafo 3 Il ruolo del facilitatore).
2. Se questo gioco viene giocato da solo, prima di cominciare il facilitatore indaga
brevemente sulle conoscente pregresse dei partecipanti Se un partecipante
conosce la risposta, il facilitatore gli chiede di spiegare agli altri partecipanti; in
caso contrario commenta molto brevemente, solo per chiarire il senso di parole
fondamentali per il gioco (tempo complessivo delle fasi 1 e 2: 10 minuti).
3. I partecipanti di ogni sessione vengono divisi in gruppi da 4 (se necessario da 3
o da 2), e il facilitatore spiega i diversi passi del gioco (massimo 5-8 minuti per le
fasi 1, 2, 3).
4. Ogni gruppo ha un set di sei carte con delle affermazioni, e due carte con su scrit-
to “SONO MOLTO D’ACCORDO” e “NON SONO D’ACCORDO”. Alle estremità del
tavolo si dispongono queste due carte.
5. Ogni partecipante, a turno, legge una delle carte con le affermazioni, e la posizio-
na nel continuum tra l’accordo e il disaccordo, a seconda di quello che pensa, ad
esempio la mette del tutto vicina a “SONO MOLTO D’ACCORDO”, perché è com-
pletamente d’accordo, o nel mezzo, perché è abbastanza neutrale nei suoi con-
fronti.
6. Il partecipante successivo può far posto alla propria carta spingendo a destra o a
sinistra le carte poste da chi lo ha preceduto, ma non può ribaltare l’ordine delle
carte.
7. Questa prima fase si realizza senza discussione: ognuno legge, e posiziona, se
vuole brevemente argomentando, ma senza che parta una discussione collettiva
all’interno del gruppo. Quando tutte le carte sono state posizionate, i partecipan-
ti devono chiedersi se sono tutti d’accordo sull’ordine delle carte. Non si può
assegnare pari merito a due carte. Ecco quindi che nasce la discussione per cer-
care di arrivare a un ordine accettabile per tutti. Se su una o più carte non si trova
un accordo, queste vengono lasciate ai lati della fila. Il facilitatore non interviene
nelle discussioni dei gruppi ma, data la natura controversa delle affermazioni, se
vede un gruppo in difficoltà, perché ad esempio la discussione è troppo accesa,
può intervenire smorzando i toni. Ad esempio può dire: “Se non siete d’accordo
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non è grave, lasciate questa carta da parte e poi riprendiamo il discorso nella discus-
sione finale”. Se vede che qualche partecipante è in minoranza in un gruppo, può
dire in modo scherzoso: “Non si preoccupi se qui è in minoranza, vedrà che nella
discussione finale troverà degli alleati!”. La discussione dura fino a 15 minuti.
8. Tutte le file di carte vengono attaccate sul tabellone o sulla parete, in modo che
gli eventuali diversi ordini siano confrontabili.
9. Il facilitatore inaugura la discussione confrontando i risultati: guarda dove le scel-
te dei gruppi sono state più differenti, e chiede a un rappresentante di ogni grup-
po di esplicitare che ragionamento li ha guidati in un certo senso. Può anche
chiedere quali siano stati i punti più caldi, su cui hanno discusso di più. Infine
cerca di mettere in evidenza i temi più discussi. Può dire qualcosa come: “Mi sem-
bra che abbiate soprattutto discusso di XY, … la cosa su cui siete stati meno d’accor-
do è XY, … XY è una questione molto complessa, possiamo chiedere al ricercatore che
ce la chiarisca, …”.
Dopo la discussione finale c’è l’incontro con il ricercatore esperto che sarà dispo-
nibile a chiarire dubbi, spiegare lo stato della ricerca in quel settore, raccontare le pro-
spettive, le difficoltà, i problemi scientifici e sanitari ecc. È importante che il ricercato-
re non sia presente durante il lavoro dei gruppi con le schede e le carte delle priori-
tà per non influenzare la discussione con la sua autorevolezza. Per introdurre l’incon-
tro con il ricercatore il facilitatore lo presenta, e gli chiede di rispondere agli eventua-
li quesiti emersi dalla discussione dei giochi. Poi il ricercatore può raccontare le cose
che ritiene più importanti.
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Tabella 2. Schema della procedura del Gioco delle opinioni
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Fase Che cosa si fa Chi lo fa Tempi
1 descrizione del gioco facilitatore
10 minuti
2indagine sulle conoscenze dei partecipanti
facilitatore
3 suddivisione in gruppi facilitatore
4distribuzione della dotazione di giocoa ogni gruppo
facilitatore
5/6sistemazione delle carte delle affermazioni
ogni partecipante di grupposeparatamente
15 minuti
7discussione e Ordinamento cartedelle affermazioni
ogni gruppo separatamente
8disposizione delle carte delle affermazioni sulla parete
ogni gruppo man mano che finiscono
9 discussione finale collettiva facilitatore con tutti i gruppi 10 minuti
10 incontro con il ricercatore tutti 20 minuti
TOT 55 minuti circa
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L’ADA-SCID è una malattia genetica rara: ai bambini malati di ADA-SCID manca
un enzima che serve al corpo per difendersi dalle infezioni batteriche e virali.
Questi bambini venivano chiamati "bambini bolla": in attesa del trapianto di
midollo, infatti, erano costretti a vivere in un ambiente completamente isolato,
proprio come una bolla di plastica. Infatti non possono rischiare di prendere
infezioni: anche un raffreddore può essere fatale. In Europa nascono ogni anno
una decina di bambini malati di ADA-SCID, ma un censimento preciso non esiste,
così che non si sa con precisione quanti siano i malati.
COSA SI SA E COME SI CURA
Il trapianto di midollo da un fratello o da una sorella compatibili è il trattamento
di prima scelta, ma è disponibile solo per pochi pazienti. Alcuni anni fa è stato
scoperto il gene responsabile di questa malattia. È stato quindi possibile trovare
una cura, attraverso la terapia genica: 1) si estraggono dal midollo osseo del
paziente delle cellule staminali; 2) si trasferisce in queste cellule il gene sano, in
grado di produrre l’enzima mancante; 3) le cellule con il gene sano vengono
reintrodotte nel paziente. Dopo poche settimane di terapia il sistema
immunitario comincia a funzionare normalmente, e i pazienti possono vivere
una vita normale. In nove anni dal primo trattamento (che risale al 2000) sono
stati curati dodici bambini.
PROBLEMI APERTI
Sebbene la terapia genica dell’ADA-SCID si sia rivelata una cura efficace e
definitiva, non ha ancora ricevuto l’autorizzazione per essere immessa sul
mercato. Questo percorso avviene per tutti i farmaci, ma in questo caso è
particolarmente difficile: è la prima volta che si tenta di ottenere l’autorizzazione
per una terapia che interviene sui geni dei pazienti. Nel frattempo i bambini
malati continuano a essere trattati con terapie meno efficienti e più care: 1. il
trapianto di midollo osseo da donatori non compatibili; 2. la somministrazione
continua dell’enzima mancante, che però dopo un po’ di anni può diminuire la
sua efficacia ed è mollto costosa.
ADA-SCID significa immunodeficienza combinata grave da difetto di adenosina deaminasi.
ADA-SCID
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Autorizzare la terapia genica in modo che possa essere fornita gratuitamente a tutti i pazienti dal sistema sanitario nazionale
Trattare tutti i malati di ADA-SCID con la terapia genica, anche se non ancora riconosciuta, stanziando dei fondi straordinari
Censire tutti i malati di ADA-SCID in Europa e nel mondo
Concentrare i finanziamenti sulla ricerca di base, per capire cosa accade in questa malattia, ma anche per aumentare la conoscenza del corpo umano in generale
Approfondire la sperimentazione della terapia genica su altri pazienti: dodici bambini curati sono troppo pochi
ADA-SCID Che cosa fare?
ADA-SCID Che cosa fare?
ADA-SCID Che cosa fare?
ADA-SCID Che cosa fare?
ADA-SCID Che cosa fare?
ADA-SCID Che cosa fare?
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La sindrome di Rett è una malattia rara, che colpisce circa 1 bambino su
10.000-15.000, soprattutto le bambine. Si manifesta dopo i primi 6-18 mesi di
vita: il bambino perde progressivamente le capacità di muoversi e di parlare e
regredisce fino a manifestare un grave ritardo mentale. Possono avere attacchi
di urla, di pianto e di panico, mancanza di emotività, incapacità di rapporti
sociali, disinteresse generalizzato, disturbi respiratori, gastrici, movimenti
spastici. Molti perdono completamente la capacità di camminare.
COSA SI SA E COME SI CURA
Ci sono molte varianti della sindrome di Rett. La forma più nota è dovuta alla
mutazione di un unico gene, che si trova sul cromosoma X. Normalmente non è
ereditaria: la mutazione si verifica casualmente. Recentemente è stata scoperta
una forma dovuta alla mutazione di un altro gene, sempre sul cromosoma X.
I maschi nati con questa mutazione muoiono entro il secondo anno di vita,
mentre le femmine sopravvivono anche fino a 40 anni, ma sviluppano la
malattia. Non ci sono cure, ma solo terapie per migliorare la qualità della vita
dei pazienti: fisioterapia che aiuta a sviluppare il controllo dei movimenti, la
comunicazione e il linguaggio; sonniferi per aiutare a dormire meglio; interventi
per la scoliosi e i disturbi gastrici; azioni di sostegno alle famiglie.
PROBLEMI APERTI
Dato che la malattia ha molte varianti, è difficile da diagnosticare guardando ai
sintomi, mentre è possibile farlo attraverso un test genetico. Quando c’è un
malato in casa, e non c’è una diagnosi, si vive una situazione molto pesante, sia
per la preoccupazione continua sia perché bisogna sottoporlo a costanti esami
medici, costosi e spesso anche impegnativi. È possibile che ci siano anche altri
geni responsabili della malattia, ma a oggi non sono ancora stati identificati.
SINDROME DI RETT
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Effettuare lo screening di tutti i bambini appena nati, per vedere se hanno la mutazione
Censire tutte le possibili varianti della malattia, per essere in grado di diagnosticarla in tutti i malati, e non lasciare nessuno senza diagnosi
Concentrare tutte le risorse nella messa a punto di terapie che migliorino la vita dei pazienti, anche se i meccanismi della malattia non sono ancora compresi
Concentrare i finanziamenti sulla ricerca di base, per capire cosa accade in questa malattia, ma anche per aumentare la conoscenza del corpo umano in generale
SINDROME DI RETTChe cosa fare?
SINDROME DI RETTChe cosa fare?
SINDROME DI RETTChe cosa fare?
SINDROME DI RETTChe cosa fare?
SINDROME DI RETTChe cosa fare?
SINDROME DI RETTChe cosa fare?
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La Sindrome da Immunodeficienza Acquisita, più conosciuta come AIDS, è la
manifestazione finale dell’infezione da virus HIV. Oggi un numero compreso tra
36,7 e 45,3 milioni di persone ha contratto l'HIV; più del 60% vive nell’Africa
Sub-Sahariana. La malattia si trasmette attraverso rapporti sessuali non protetti,
il sangue, ma anche da madre a figlio, in utero e alla nascita. Dal 1981 a oggi
circa 25 milioni di persone sono morte di AIDS: questa malattia è una delle
epidemie più terribili della storia.
COSA SI SA E COME SI CURA
A oggi non sono stati trovati né una cura definitiva né un vaccino per l’AIDS, ma
nei laboratori di tutto il mondo sono in corso delle ricerche per svilupparli.
Esistono però delle terapie con farmaci anti-retrovirali che hanno ridotto
notevolmente la mortalità dei malati, migliorandone anche la qualità della vita.
Per sapere se si è stati contagiati dall'HIV, è sufficiente fare un’analisi del sangue.
Ma per i primi sei mesi una persona che ha contratto il virus può risultare
sieronegativa al test. In questo periodo è comunque contagiosa.
PROBLEMI APERTI
Nei paesi occidentali l’AIDS è stata arginata da terapie che consentono di tenere
l’infezione sotto controllo; negli ultimi anni però sta crescendo nuovamente il
numero di persone infette, forse a causa del diffondersi dell’idea – errata – di
una sconfitta della malattia. Nei paesi in via di sviluppo l’AIDS fa ogni anno
decine di milioni di morti; in posti come lo Zimbabwe, per esempio, una futura
mamma su tre è sieropositiva. Qui i sistemi sanitari non sono adeguatamente
attrezzati per fornire i trattamenti terapeutici necessari ai malati, e i costi imposti
dalle case farmaceutiche proprietarie dei brevetti ostacolano la diffusione delle
terapie.
AIDS
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Impiegare il massimo delle risorse nella ricerca per lo sviluppo di un vaccino
Incentivare la ricerca per lo sviluppodi nuovi e più efficaci farmaci anti-retrovirali per la cura della malattia
Rinforzare le campagne di prevenzione, soprattutto per l’utilizzo del preservativo, tanto nei paesi occidentali quanto nei paesi in via di sviluppo
Imporre alle case farmaceutiche la diffusione di farmaci a costi accessibili anche ai paesi più poveri
Sviluppare le strutture sanitarie nei paesi in via di sviluppo per garantire un rapido accesso a diagnosi, farmaci e cure
AIDSChe cosa fare?
AIDSChe cosa fare?
AIDSChe cosa fare?
AIDSChe cosa fare?
AIDSChe cosa fare?
AIDSChe cosa fare?
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L’amaurosi congenita di Leber una malattia ereditaria che si manifesta già alla
nascita o nei primi mesi di vita. La malattia colpisce la retina, e la vista
diminuisce progressivamente fino alla cecità. I malati muovono gli occhi in
modo incontrollato, e se li stropicciano in continuazione. L’amaurosi colpisce 3
bambini ogni 100.000.
COSA SI SA E COME SI CURA
L’amaurosi è monogenica: cioè è sempre dovuta alla mutazione di un unico
particolare gene. Si conoscono però una dozzina di geni diversi che – se mutati
– possono causarla, dando luogo a diverse manifestazioni della malattia. La
trasmissione della malattia avviene solo se entrambi i genitori sono portatori
del gene mutato. Tre pazienti colpiti da amaurosi sono stati sottoposti a terapia
genica, e hanno dato iniziali segni di miglioramento. Attualmente la
sperimentazione sta continuando con il trattamento di altri pazienti a un
dosaggio terapeutico maggiore.
PROBLEMI APERTI
La diagnosi è molto difficile, perché gli occhi non mostrano nessun tipo di
lesione. Bisogna sottoporre i bambini a un test chiamato elettroretinografia,
durante il quale gli occhi vengono collegati direttamente con una macchina.
Per questo molti bambini si agitano e si spaventano, ed è necessario sottoporli
ad anestesia; non si sa però quanto l’anestesia influenzi i risultati dell’esame. Per
effettuare un test genetico, invece, basta un prelievo di sangue, ma non è detto
che evidenzi la mutazione, dato che non si conoscono ancora tutti i geni
coinvolti nella malattia. Allo stato attuale non esistono altre cure oltre la terapia
genica, che però è tuttora in una fase sperimentale. I risultati preliminari della
terapia genica sono stati in alcuni casi interpretati dai media in modo
esageratto, utilizzando titoli tipo Ciechi che vedono, Cecità sconfitta, Vista restituita.
AMAUROSI CONGENITA DI LEBER
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Concentrare i finanziamenti sulla ricerca di base, in modo da poter capire esattamente quali sono i geni che provocano la malattia
Effettuare uno screening su tutte le coppie per individuare i portatori dei geni mutati. In questo caso si potrebbe effettuare la diagnosi prenatale ed eventualmente interrompere la gravidanza
Continuare a investire sulla terapia genica, sperimentandola su un numero maggiore di pazienti
Dare la massima diffusione ai risultati raggiunti con la terapia genica, per dare speranza alle famiglie colpite e incoraggiare ulteriori investimenti
AMAUROSI Che cosa fare?
AMAUROSI Che cosa fare?
AMAUROSI Che cosa fare?
AMAUROSI Che cosa fare?
AMAUROSI Che cosa fare?
AMAUROSI Che cosa fare?
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Le malattie cardiovascolari interessano il cuore e i vasi sanguigni. Le più comuni
e importanti sono le malattie delle coronarie (come l’infarto) e quelle dei vasi del
cervello (come l’ictus), ma tutte le parti del corpo possono essere danneggiate.
Queste malattie rappresentano la principale causa di morte nell'Unione europea,
per un totale di 2 milioni di morti all'anno; in Italia sono il 44% circa di tutti i
decessi. La spesa dei sistemi sanitari europei per questo gruppo di patologie è
stata di circa 110 miliardi di euro nel 2006, che equivale a un costo per ogni
cittadino europeo di 223 euro all'anno.
COSA SI SA E COME SI CURA
La salute del cuore ha una componente di predisposizione genetica, ma dipende
anche fortemente dai comportamenti e dagli stili di vita. Fumo, ipertensione
arteriosa, ipercolesterolemia, diabete, obesità, sedentarietà: sono questi i fattori
che aumentano il rischio di andare incontro a malattie cardiovascolari, e che
devono essere combattuti con la prevenzione. Se comunque si manifestano,
occorre curarle con dei farmaci, anche per tutta la vita. Invece nei casi di malattia
acuta (come l’infarto) l’unica possibile terapia è invece la rivascolarizzazione,
cioè riaprire l’arteria ostruita. Questo intervento è difficile, costoso, e deve essere
fatto in tempi rapidi per essere efficace. Attualmente si sta studiando come
rivitalizzare i tessuti colpiti da queste malattie con l’utilizzo di cellule staminali.
PROBLEMI APERTI
Le malattie cardiovascolari modificano la qualità della vita e comportano
notevoli costi economici per la società. In Italia la prevalenza di cittadini affetti
da invalidità cardiovascolare è pari al 4,4 per mille. Il 23,5% della spesa
farmaceutica italiana è destinata a farmaci per il sistema cardiovascolare. È
quindi fondamentale fare prevenzione, per convincere le persone a condurre
una vita più sana: non fumare, fare più movimento, mangiare in modo sano e
non eccessivo ecc. Modificare i comportamenti delle persone è però molto
difficile. I farmaci che tengono sotto controllo la pressione arteriosa, il
colesterolo e il diabete, inoltre, non si sono mostrati così efficaci come si sperava
nel ridurre l’insorgere di malattie cardiovascolari.
MALATTIE CARDIOVASCOLARI
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Concentrarsi soprattutto sulla prevenzione, promuovendo abitudini di vita più sane
Finanziare la ricerca di base sui meccanismi all’origine di queste malattie, per poter sviluppare farmaci di nuova concezione e più efficaci
Produrre una pillola (Polypill) che contenga piccole dosi di tutti i farmaci utilizzati nella prevenzione, e somministrarla a tuttele persone sopra i 50 anni
Concentrare la ricerca sulle cellule staminali, per curare in modo potenzialmente molto più efficace tutti gli ammalati, anche di altre patologie
Potenziare il sistema nazionale di pronto soccorso, per fornire terapie di emergenza di alto livello a tutte le persone colpite da infarto e da ictus
CARDIOVASCOLARIChe cosa fare?
CARDIOVASCOLARIChe cosa fare?
CARDIOVASCOLARIChe cosa fare?
CARDIOVASCOLARIChe cosa fare?
CARDIOVASCOLARIChe cosa fare?
CARDIOVASCOLARIChe cosa fare?
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La malaria è una malattia che distrugge i globuli rossi, ed è causata da un
parassita trasmesso all’uomo da un particolare tipo di zanzara. I sintomi
compaiono dopo una o due settimane dalla puntura dell’insetto e, se non
trattato con farmaci specifici, l’infettato può morire nel giro di qualche giorno.
Ogni anno si ammalano circa 500 milioni di persone; un milione di questi
muoiono, e moltissimi sono bambini: ogni 30 secondi un bambino muore di
malaria. La malattia è diffusa principalmente nelle aree tropicali e subtropicali
del mondo (Africa Sub-Sahariana, Asia, Sud America), ma è presente anche in
Europa e in altri paesi industrializzati, portata da turisti che l’hanno contratta nei
viaggi nelle zone malariche.
COSA SI SA E COME SI CURA
Il parassita responsabile della malaria, negli anni, è diventato resistente ai
farmaci usati finora per curare la malattia. Oggi è disponibile un nuovo farmaco
(l’artemisina) molto efficace, ma anche molto costoso; inoltre non è affatto
escluso che il parassita diventi presto resistente anche a questo nuovo farmaco.
Per la malaria non esiste ancora, invece, un vaccino, anche se diverse ricerche
sono in corso per svilupparlo. Per proteggere dalla puntura di zanzare infette i
gruppi a maggior rischio, come bambini e donne in gravidanza, sono anche
utilizzate delle zanzariere impregnate di insetticidi.
PROBLEMI APERTI
L’uso delle zanzariere come protezione è ritenuto controproducente da alcuni
esperti, timorosi che, su lunghi periodi, esporre meno a punture infette possa
significare anche una minore capacità dell’organismo di sviluppare anticorpi alla
malattia. Più del 40% della popolazione mondiale vive in zone dove questa
malattia è un problema costante. Eppure la malaria fa parte delle cosiddette
malattie trascurate, su cui è fatta poca ricerca per lo sviluppo dei farmaci e
vaccini. Il mercato è infatti considerato poco promettente dalle industrie
farmaceutiche: i potenziali acquirenti sarebbero soprattutto gli abitanti poveri
dei paesi in via di sviluppo.
MALARIA
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Limitare viaggi e flussi migratori per e dalle zone malariche
Sviluppare le strutture sanitarie nei paesi in via di sviluppo per garantire un rapido accesso a diagnosi, farmaci e cure
Mettere a punto nuovi farmaci a basso costo a cui i parassiti non siano resistenti
Concentrare le risorse della ricerca allo sviluppo di un vaccino
Distribuire zanzariere impregnate di insetticidi alle popolazioni che vivono in zone malariche
MALARIAChe cosa fare?
MALARIAChe cosa fare?
MALARIAChe cosa fare?
MALARIAChe cosa fare?
MALARIAChe cosa fare?
MALARIAChe cosa fare?
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Le distrofie sono malattie ereditarie che colpiscono i muscoli. La velocità con cui
la malattia progredisce e la sua gravità variano a seconda del tipo di distrofia.
Una forma molto studiata e grave, perché colpisce anche il cuore e i polmoni, è
la distrofia di Duchenne. Ha un’incidenza di 1-2 bambini ogni 10.000, in genere
si manifesta solo nei maschi. I bambini colpiti imparano a camminare tardi, a 5
anni camminano in modo strano, hanno difficoltà a salire le scale, entro i 12
anni non riescono più a camminare del tutto, e successivamente perdono anche
l’uso delle braccia. Hanno inoltre gravi difficoltà respiratorie e cardiache.
COSA SI SA E COME SI CURA
La distrofia di Duchenne è causata dal difetto di un gene che produce una
proteina indispensabile per far funzionare i muscoli: la distrofina. Quando in
famiglia è già presente un malato, si può effettuare la diagnosi prenatale. Non
esiste una cura definitiva, ma si stanno studiando diverse strade: 1) la terapia
cellulare, basata sull’utilizzo di cellule staminali capaci di rimpiazzare le fibre
muscolari danneggiate e produrre la proteina mancante; 2) la terapia genica,
che mira a sostituire il gene difettoso, introducendo nelle cellule muscolari una
versione corretta del gene; 3) una tecnica nota come exon skipping che
permette di produrre una proteina più piccola, ma comunque funzionante.
Questa ultima tecnica, però, non consente di curare la malattia in modo di
definitivo.
PROBLEMI APERTI
Le cellule iniettate nel sangue del malato nella terapia cellulare sono cellule
staminali di diversi tipi. Cellule staminali adulte sono state utilizzate in una
sperimentazione sui cani, che si è conclusa con successo. L’utilizzo di queste
cellule però è molto discusso, anche perché non se ne conoscono bene i rischi.
Il gene della distrofina è il più grande gene presente nel nostro DNA, e questo
complica la strada della terapia genica, perché al momento non si conoscono
modi per trasportarlo in altre cellule.
DISTROFIA MUSCOLARE DI DUCHENNE
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Accelerare la sperimentazione umana con le cellule staminali, per capire se è effettivamente efficace
Concentrare i finanziamenti sulla ricerca di base, per capire tutte le varianti della malattia, ma anche per aumentare la conoscenza del corpo umano in generale
Effettuare lo screening su tutte le mamme per individuare le portatrici sane della malattia. In questo caso si potrebbe effettuare la diagnosi prenatale ed eventualmente interromperela gravidanza
Effettuare lo screening di tutti i bambini appena nati, per vedere se hanno la mutazione
Concentrare tutte le risorse nella messa a punto di terapie che migliorino la vita dei pazienti, anche se i meccanismi di tutte le varianti della malattia non sono ancora compresi
DISTROFIAChe cosa fare?
DISTROFIAChe cosa fare?
DISTROFIAChe cosa fare?
DISTROFIAChe cosa fare?
DISTROFIAChe cosa fare?
DISTROFIAChe cosa fare?
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Tra i tumori, quelli dei polmoni rappresentano la prima causa di morte nei Paesi
industrializzati, e una delle prime in generale. Il tumore ai polmoni da solo causa
il 20% di tutti i tumori maligni nelle persone di sesso maschile. In questi ultimi
anni, però, si sta registrando un progressivo aumento di questo tumore anche fra
le donne, perché, mentre gli uomini stanno smettendo di fumare, le donne
hanno cominciato a farlo di più. Ci sono diversi tipi di tumori polmonari, più o
meno aggressivi.
COSA SI SA E COME SI CURA
Come per tutti i tumori, non si sa esattamente perché si sviluppino. Si sa però
che ci sono persone più predisposte ad averli, perché hanno un particolare
corredo genetico. E si sa che alcune condizioni, come essere a contatto con
sostanze pericolose, rendono più probabile la crescita di tumori. Fumare, ad
esempio, aumenta moltissimo la probabilità di sviluppare il tumore ai polmoni,
ed è la principale causa di questa malattia. I tumori ai polmoni si curano con la
chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia, ma rimangono una malattia grave e
molto spesso mortale. Le cure attuali distruggono le cellule malate, ma
danneggiano anche quelle sane. Si stanno studiando terapie che colpiscano solo
le cellule tumorali, e che ne blocchino la proliferazione già nei primi stadi,
danneggiando il meno possibile il resto del corpo.
PROBLEMI APERTI
Occorrerebbe fare maggiore opera di prevenzione, convincendo tutte le persone
a smettere di fumare. Ci sono poi anche altre cause, di cui si parla troppo poco:
l’inquinamento derivato dalla combustione dei derivati del petrolio, lo smog, e
ultimamente il radon, un gas naturale che si trova in molte abitazioni e luoghi di
lavoro (se costruiti, ad esempio, con il tufo). Oltre che nella prevenzione, si
investe molto anche nella ricerca: sui farmaci nuovi, su protocolli chirurgici e
chemioterapici, e nello sviluppo di test di screening.
TUMORI AI POLMONI
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Concentrare gli sforzi soprattutto sulla prevenzione del fumo, perché è la causa di tumore principale e più facilmente eliminabile
Occuparsi dell’inquinamento dell’ambiente, altrimenti continueremo ad ammalarci lo stesso
Investire nella ricerca di base sui meccanismi generali della formazione di tumori, per risolvere il problema alla radice
Concentrare le risorse sulla cura dei tumori più diffusi e maligni, anche se non se ne capisce bene la causa, per salvare il maggior numerodi persone ammalate
TUMORE AI POLMONIChe cosa fare?
TUMORE AI POLMONIChe cosa fare?
TUMORE AI POLMONIChe cosa fare?
TUMORE AI POLMONIChe cosa fare?
TUMORE AI POLMONIChe cosa fare?
TUMORE AI POLMONIChe cosa fare?
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La tubercolosi (TBC) è una malattia infettiva trasmessa da un batterio. Per
contagiarsi bastano pochissimi bacilli, veicolati, per esempio, in un starnuto o un
colpo di tosse di una persona malata. Un terzo della popolazione mondiale è
infettata da TBC, e si stima che ogni secondo c'è un malato in più. Non tutte le
persone infettate, però, sviluppano la malattia. Il batterio può rimanere
quiescente per anni, pronto a sviluppare la malattia al primo abbassamento
delle difese. Queste infezioni senza sintomi sono molto comuni, ma ciò
nonostante, una persona su dieci ha un’alta probabilità di contrarre la malattia
attiva. Se la TBC non viene trattata, uccide più della metà delle sue vittime,
soprattutto nei paesi in via di sviluppo. La TBC tende a interagire fortemente con
il virus dell’AIDS, è infatti la principale causa di morte tra le persone sieropositive.
COSA SI SA E COME SI CURA
Fino a cinquant’anni fa non c’erano medicine per curare la TBC, mentre ora si
possono usare con successo gli antibiotici. Purtroppo nel corso degli anni molti
ceppi del batterio della tubercolosi sono diventati resistenti ai farmaci; questo
fenomeno è aggravato dall'utilizzo scorretto o anche dal traffico di antibiotici
adulterati e quindi meno efficaci. Per riuscire a ridurre l’incidenza di questa
malattia, nel 2000 è nata l’alleanza globale Stop TBC, una rete di oltre 400
organizzazioni internazionali, paesi e associazioni pubbliche e private coordinate
dall’OMS.
PROBLEMI APERTI
Nonostante si possa prevenire e curare, la TBC costituisce oggi una delle
emergenze sanitarie più drammatiche, tanto che nel 1993 è stata dichiarata
dall’OMS emergenza globale. Generalmente la TBC è trattata con strumenti
diagnostici e farmaci di vecchia concezione, mentre una diagnosi precoce e l’uso
di trattamenti adeguati e innovativi potrebbe incidere significativamente sulla
riduzione della malattia. La tubercolosi inoltre è una malattia fortemente
associata alle condizioni in cui vivono le persone. Secondo l’Alto commissariato
delle Nazioni Unite per i rifugiati, per esempio, le decine di milioni di rifugiati che
vivono in condizioni molto precarie in diversi paesi del mondo, a seguito di
guerre o di catastrofi naturali, sono a rischio molto alto di sviluppare TBC.
TUBERCOLOSI
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Incrementare la collaborazione tra istituti di ricerca, associazioni pubbliche e private di tutto il mondo per dare una risposta internazionale coordinata a questa emergenza globale
Tenere sotto controllo la TBC nei campi profughi e rifugiati e nelle zone dove l’incidenza della malattia è già molto alta e costituisce una priorità assoluta
Assicurarsi che i pazienti siano costantemente seguiti da un operatore sanitario, nel corso di tutta la terapia, verificando l'assunzione regolare dei farmacie il monitoraggio della malattia
Incrementare la ricerca per lo sviluppo di nuovi farmaci a cui il batterio non sia resistente
Nei paesi in via di sviluppo, migliorare le condizioni socio-sanitarie responsabili dell'abbassamento delle difese immunitarie e della diffusione della malattia
TUBERCOLOSIChe cosa fare?
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È una rara forma di emicrania ereditaria. Provoca mal di testa con disturbi della
vista, difficoltà di parlare, temporanea paralisi e altri disturbi motori. Compare
normalmente entro i vent’anni. Gli attacchi possono essere molto rari (pochi
eventi in tutta la vita) o molto frequenti (uno al giorno), e nei casi più gravi
provocano febbre, crisi epilettiche e coma. Colpisce 1 persona ogni 10.000.
COSA SI SA E COME SI CURA
Un malato di questa forma di emicrania ha il 50% di probabilità di trasmetterlo
ai propri figli. Questa forma di emicrania è dovuta a mutazioni casuali di alcuni
geni coinvolti nella comunicazione tra le cellule del cervello, i neuroni. Negli
animali è stato dimostrato che alcune di queste mutazioni sono responsabili
dell’emicrania, in quanto provocano un’eccessiva produzione di glutammato,
una sostanza che nel cervello trasporta le informazioni da un neurone all’altro.
Se c’è troppo glutammato i neuroni diventano sovraeccitati, e il cervello non
funziona più bene. Questo stesso meccanismo sembra essere alla base anche
delle altre forme di emicrania più comuni e non genetiche. Per effettuare la
diagnosi si osservano i sintomi e si studia la storia familiare per vedere se un
parente di primo o secondo grado sia affetto dallo stesso disturbo. Inoltre è oggi
possibile fare un’analisi genetica su quei geni che sono già stati identificati
come responsabili della malattia. Prima si fa la diagnosi meglio si possono
curare i sintomi, che nei casi gravi possono essere invalidanti.
PROBLEMI APERTI
Pur non esistendo una cura specifica, questa malattia viene trattata, come le
altre forme di emicrania, con antidolorifici e antinfiammatori. Studiando questa
rara forma genetica negli animali è stato possibile scoprire i meccanismi che
sono probabilmente alla base di tutte le emicranie, facendo intravedere una
possibile terapia. È stata condotta una sperimentazione su animali malati, ai
quali sono stati somministrati particolari farmaci. Negli animali trattati i livelli di
glutammato sono tornati normali, e il loro cervello ha ricominciato a funzionare
regolarmente. Se questi risultati saranno confermati, si potrà passare alla
sperimentazione sugli uomini.
EMICRANIA EMIPLEGICA FAMILIARE
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Continuare la sperimentazione sugli animali per confermare i risultati dei primi test
Concentrare i finanziamenti sulla ricerca di base, per capire i meccanismi della malattia e scoprire se esistono altre cause oltre a quelle note, ma anche per aumentare la conoscenza del corpo umanoin generale
Effettuare un test genetico a tutti i bambini nati in famiglie a rischio, cioè in cui esistano già dei casi di emicrania familiare
Finanziare campagne di informazione in modo che i genitori possano riconoscere presto la malattia nei propri figli e curare i sintomi al più presto
EMICRANIA Che cosa fare?
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Tutti i nuovi nati dovrebbero essere testati per l’amaurosi congenita di Leber. Così i genitori sarebbero informati prima di fare altri figli.
L’amaurosi è una malattia ereditaria che colpisce 3 bambini ogni 100.000. Si manifesta alla nascita o nei primi mesi di vita; colpisce la retina, e la vista diminuisce progressivamente fino alla cecità. Allo stato attuale non esistono cure se non la terapia genica, attualmente in fase sperimentale solo per una particolare forma di questa malattia.
Il mio primo figlio è affetto da sindrome di Sanfilippo. Quando rimarrò di nuovo incinta dovrei poter usufruire di un test prenatale per questa malattia.
La sindrome di Sanfilippo (recessiva) provoca un aumento dello scarto all’interno delle cellule, causando danni cellulari. Tra i 5 e i 10 anni vi è un progressivo deterioramento mentale: i bambini diventano iperattivi e distruttivi, perdendo progressivamente il movimento e la parola. La morte sopravviene verso i 14 anni.
So di essere una portatrice sana della distrofia muscolare di Duchenne. Vorrei avere la possibilità di usare le tecniche FIV (fecondazione artificiale) per essere sicura che il mio prossimo figlio sia femmina.
La distrofia muscolare di Duchenne (recessiva, ma legata al cromosoma X, per cui i maschi ne mostrano sempre i sintomi) provoca debolezza muscolare. I sintomi iniziano a manifestarsi tra gli 1 e i 3 anni. I malati solitamente si trovano in sedia a rotelle entro i 12 anni con un’aspettativa di vita di circa 20 anni.
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Nostra figlia ha la sindrome di Rett. Abbiamo deciso di portarlo in televisione o in altre occasioni pubbliche per sensibilizzare le persone sugli effetti della malattia e aiutare la raccolta fondi.
La sindrome di Rett colpisce circa 1 bambino su 10.000-15.000. Si manifesta dopo i primi mesi di vita: il bambino perde progressivamente le capacità di muoversi e di parlare, fino a manifestare un grave ritardo mentale. Non ci sono cure, ma solo terapie per migliorare la qualità di vita dei malati.
Ho 11 anni e mio nonno ha il morbo di Huntington. Mio padre non vuole che io venga testato, ma io sì. Dovrei poter decidere per me stesso.
Il morbo di Huntington (dominante) colpisce il sistema nervoso centrale; provoca crescenti problemi di memoria e coordinazione, cambi di umore e infine la morte. I sintomi si manifestano di solito attorno ai 30-50 anni, ma c’è molta variabilità.
Nostro figlio ha una malattia rara. Abbiamo intenzione di provare qualsiasi tipo di trattamento, anche alternativo e non convenzionale, pur di cercare di aiutarlo.
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