UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
La Bulgaria nelle Guerre
Balcaniche Ascesa e declino di una nazione
Alessandro Baldini
07/01/2016
Riassunto analitico
Questo elaborato prende in analisi lo stato bulgaro durante le due guerre balcaniche, prestando
particolarmente attenzione alla formazione di uno stato autonomo e agli obiettivi conseguiti durante
il primo conflitto. La ricerca tuttavia non si concentra esclusivamente sul coefficiente bellico e
diplomatico della sola Bulgaria, ma inserisce anche le altre nazioni che hanno costituito la Lega
balcanica, prendendone in esame, seppur in maniera più sintetica, gli obiettivi, la diplomazia e lo
status bellico. Infine, per conferire una lettura più ampia alla vicenda ed evitare di isolare troppo i
fatti, restringendoli ad una questione prettamente regionale tra paesi slavi ed impero ottomano, il
lavoro non manca mai di citare le Grandi potenze che si contendevano il controllo della regione.
Sommario
Introduzione…………………………………………………………………………………………1
Capitolo I: Il quadro bulgaro alla vigilia della guerra………………………………….………..2
1.1 - L’indipendenza della Bulgaria e le sue conseguenze………...……………….…………………..2
1.2 - Il nazionalismo giunge in Bulgaria………………………………………..…………………………6
1.3 - Il ruolo della Bulgaria nella Lega balcanica……………………………………………………..10
Capitolo II: Gli obiettivi della Bulgaria…………………..………..….………………………….14
2.1 - La questione macedone……………………………………………………………………………….14
2.2 – La Tracia……………………………………………………………………………………………….16
2.3 - Le organizzazioni terroristiche in territorio ottomano…………………………………………..17
Capitolo III: La Prima guerra balcanica e l’intransigenza bulgara………….……..………….19
3.1 - La vittoria lampo………………………………………………………………………………………..19
3.2 – Una pace difficile…………………………………………………………………………………..…24
Capitolo IV: La nuova Bulgaria…………………………………...………….…………………..29
4.1 - La disfatta………………………………………………………………………….……………………29
4.2 – La mutilazione della Bulgaria……………………………….……………………………………..30
4.3 - Cambiamenti interni ed esterni: la Bulgaria come ago della bilancia nei Balcani……………32
Conclusioni…………………………….……….…………………………….…………………….35
Bibliografia……………………………………...………………………………………………….36
Appendici…………………………………………………………………………………………..38
1
Introduzione
Questo elaborato ha lo scopo di approfondire il ruolo della Bulgaria durante le due guerre
balcaniche, partendo dalla sua indipendenza e ripercorrendo la costruzione del relativo stato
nazionale. Ho analizzato sia il lato diplomatico, sia quello bellico-militare, senza tralasciare
l’aspetto della politica interna ed estera. Seppur questa tesina risulta concentrata in prevalenza sullo
stato bulgaro, essa non può fare a meno di prendere in considerazione gli altri stati balcanici e,
soprattutto, le Grandi potenze che operavano dietro a tutto.
I due testi sui quali mi sono appoggiato prevalentemente sono stati quelli di Egidio Ivetic e di
Richard Hall: il primo, in particolare, è stato utilizzato come pilastro portante del mio lavoro, in
quanto la costruzione dell’indice e la successiva stesura di una parziale bibliografia sono nate
proprio grazie alla sua monografia. Il secondo, molto dettagliato, è stato un supporto e ha mostrato,
talvolta, un punto di vista dissimile da quello di Ivetic, nonostante quest’ultimo si basi anche sul
testo di Hall. Mi è stato possibile perciò tentare di ribaltare la prospettiva ed azzardare l’ipotesi di
un nuovo approccio per quanto riguarda le cause della disfatta bulgara. I testi di Andrew Rossos e di
René Albrecht-Carrié mi hanno permesso di allargare la prospettiva e di monitorare quanto
accadeva nelle cancellerie delle Grandi potenze, come queste supportassero o manovrassero i vari
stati della penisola balcanica. Francesco Guida, infine, mi ha permesso di tener presente la
diplomazia italiana e il ruolo – pur marginale – che essa ha svolto durante l’intera vicenda.
Approvando il principio della sovranità etnica e ignorando il complesso mosaico dei
Balcani, il Trattato di Berlino scatenò le ambizioni espansionistiche e irredentiste degli stati
balcanici. Sarebbe inopportuno limitare le ragioni delle Guerre Balcaniche e la nascita della potenza
bulgara solamente a queste due: contribuì anche il fallimento delle promesse riforme ottomane.
L’intransigenza ottomana catalizzò le antipatie del popolo bulgaro nei confronti della Sublime
porta, una lotta che nel tempo assunse toni messianici, quasi come se i bulgari fossero i predestinati
a battere definitivamente le armate del Sultano ed entrare a Costantinopoli. Tale atteggiamento fu
favorito dalla riscoperta della storia e delle tradizioni che ammantavano il passato del paese, in
particolare riferite alle glorie del medioevo. I bulgari non furono il solo popolo investito da questo
revival storico-culturale: se dalla parte di Sofia vennero rievocati gli imperi dello Zar Simeone
(893-927), i greci riesumarono l’imperatore Basilio II Bulgaroctono, mentre montenegrini e serbi
celebrarono l’impero di Stefano Dušan. In ogni caso ciascun popolo si rifaceva sempre all’idea di
un grande stato nazionale. Gli stati balcanici avevano intenzione di fondare i loro imperi
approfittando della debolezza dell’impero ottomano, in particolare la Bulgaria, e, come nel caso
della Serbia, anche a spese dell’impero asburgico. La Bulgaria in primis era conscia del fatto che
molti suoi connazionali vivevano al di là dei confini nazionali e per questo si sentivano in
dovere di farli ricongiungere con la madrepatria.
Il 1912 apparve l’anno della riscossa e, infine, della rivincita. Nel frattempo, emersero il
problema del popolo albanese e la necessità di creare uno stato per esso.
Nondimeno le strategie diplomatiche di Russia e Austria-Ungheria contribuirono ad alimentare il
futuro conflitto.
Per gli stati balcanici di allora, e per le culture nazionali serbe, montenegrine, bulgare e
greche di oggi, la prima guerra balcanica fu una guerra di liberazione dal cosiddetto giogo
ottomano, mentre la seconda guerra fu il frutto di infelici manovre diplomatiche e malintesi in
mezzo a pressioni interne ed esterne ai Balcani.
2
Capitolo I
Il quadro bulgaro alla vigilia della guerra
1.1 – L’indipendenza della Bulgaria e le sue conseguenze.
La Rivolta d’aprile1 portò alla creazione di un nuovo stato indipendente bulgaro
2,
consacrando così una nuova pagina nella storia della Bulgaria moderna. Dopo la brutale
repressione della rivolta da parte delle truppe ottomane seguì un’ondata di indignazione in tutte le
cancellerie europee. Così J.A. MacGahan descrisse uno dei tanti massacri:
Ma lasciate che vi racconti quello che abbiamo visto a Batak... Il numero di bambini uccisi in questi
massacri è qualcosa di enorme. Spesso venivano infilzati con le baionette, ed abbiamo diverse storie di
testimoni oculari che videro questi bambini piccoli che venivano portati per le strade, sia qui che a
Olluk-Kni, sulle punte delle baionette. La ragione è semplice. Quando un maomettano ha ucciso un
certo numero di infedeli si è assicurato il Paradiso, non importa quali peccati abbia compiuto in
precedenza... Si vedeva un cumulo di teschi, mescolati ad ossa di tutte le parti del corpo umano,
scheletri quasi interi o putrescenti, vestiti, capelli umani, e carne putrida che giacevano in un unico
grande pila, intorno alla quale cresceva lussureggiante l'erba. Emetteva un odore ripugnante, come
quello di un cavallo morto, e fu qui che i cani stavano cercando un pasto sicuro, finché il nostro
approccio non li ha interrotti... Qui la terra è coperta di scheletri, i mezzo ai quali si trovano
abbarbicati stracci di vestiario e pezzi di carne marcia. L'aria era pesante con un odore ripugnante che
faceva perdere i sensi, che aumentava man mano che ci avvicinavamo. Cominciava ad essere orribile.3
Ma la ripercussione più forte si ebbe all’interno dell’impero russo, tanto che la stampa e i
circoli intellettuali si mobilitarono per chiedere a gran voce che la Russia accorresse in soccorso ai
fratelli slavi. Anche la popolazione si mobilitò scendendo in piazza realizzando importanti
manifestazioni panslavistiche aggiungendo un elemento di novità: solitamente nell’Europa
occidentale qualsiasi manifestazione di supporto e amore per i popoli oppressi era circoscritta ai ceti
colti; negli anni della crisi orientale, al contrario, i sentimenti di solidarietà verso gli slavi del sud
iniziarono a diffondersi anche fra i ceti meno abbienti. La Bulgaria fu considerata il nucleo della
civiltà slava e «gli atteggiamenti russi nei confronti dei bulgari erano spesso un’eco della posizione
filellenica in Europa».4 Infatti «come gli europei scoprivano nei loro greci la fonte della propria
civiltà, così i russi scoprivano nei loro bulgari le radici della cultura slava».5
1 In bulgaro: Aprilsko văstanie. L’insurrezione, organizzata dai bulgari all'interno dell'impero ottomano, durò dall'aprile
al maggio del 1876. 2 L’autonomia bulgara aveva cessato di esistere durante gli ultimi anni del XIV secolo, precisamente nel 1396 dopo la
sconfitta crociata nella battaglia di Nicopoli. Per la Bulgaria iniziava così quella fase storica che verrà denominata
“Bulgaria ottomana”. 3 Resoconto della testimonianza oculare di J. A. MacGahan sulle atrocità turche in Bulgaria.
4 Marija Nikolaeva Todorova, Immaginando i Balcani (Lecce: Argo, 2002), p. 144.
5 Ibid.
3
Interessante appare ciò che scrisse Južakov, giornalista del «Sovremennik», dopo un viaggio in
Bulgaria del 1859:
Mio Dio! Questo popolo da cui noi abbiamo ricevuto i libri sacri in slavonico, che ci ha
insegnato a leggere e a scrivere in lingua slava, questo popolo ci chiedeva ora di ascoltare la liturgia in
slavo – ci chiedono di renderli felici facendo ascoltar loro suoni slavi nella loro chiesa… Ci si sente
spinti a scusarsi, per assolvere coloro che li hanno portati a questa condizione… Ma come li si può
dimenticare?6
L’intellighenzia russa fu unanime nell’opporsi ardentemente all’oppressione degli slavi dei
Balcani e molti russi appoggiarono apertamente le rivendicazioni indipendentistiche di quei popoli.
Scrittori come Ivan Turgenev, Fëdor M. Dostoevskij, Leon N. Tolstoj contribuirono in misura
enorme all’entrata in guerra del proprio paese contro l’impero ottomano.7
Il 24 aprile 1877 la Russia dichiarò guerra alla Sublime porta dopo essersi assicurata la
neutralità dell’Austria-Ungheria e della Gran Bretagna, dichiaratasi neutrale dopo la rassicurazione
da parte russa che le sue truppe non avrebbero toccato l’Egitto e si sarebbero arrestate di fronte a
Istanbul. L’impero russo, nonostante il celato e mai sopito desiderio imperialista, inspirandosi alla
grande solidarietà e all’affinità generale con il mondo slavo, riuscì a proporsi come difensore dei
popoli slavi e guardiano dei Balcani, cercando quindi di estendere la propria influenza sulle neonate
nazioni che sarebbero sorte dopo il trattato di Santo Stefano e ponendosi in contrasto contro
l’egemonia asburgica nella regione.8 La guerra si risolse con la vittoria delle truppe zariste e ciò
portò alla firma del trattato di pace il 3 marzo 18789 con il quale venne sancita la nascita della
Bulgaria, de jure soltanto autonoma essendo considerata principato tributario ottomano ma de facto
totalmente indipendente. Inoltre il nuovo stato comprendeva ampi territori, estesi dal Danubio alla
Tracia (esclusa Adrianopoli) e alla Macedonia, fino a Ohrid, con uno sbocco sul mar Egeo tra il
fiume Marizza e Salonicco – quest’ultima rimaneva ottomana.10
Per la prima e unica volta nella
storia moderna, uno dei paesi balcanici aveva conseguito tutti gli obiettivi che si era prefissato.11
Infatti non solo i bulgari desideravano ottenere l’indipendenza ma anche creare uno stato che
comprendesse tutte quelle zone considerate bulgare - ciò non risolveva il problema dei bulgari che
risiedevano fuori dai confini nazionali.
Nonostante la Bulgaria e la Russia fossero risultate le vere vincitrici della guerra, l’evento
6 Cit. in Margarita N. Kozucharova, Ruski patepisi za balgarskite zemi, p. 267 in Todorova, op. cit., p. 144.
7 Ivi, p. 145.
8 Ibid. Nondimeno Barbara Jelavich in Russia’s Balkan Entanglements invitò a non sopravvalutare l’intensità dei
sentimenti slavofili e il loro influsso sulla politica estera russa, che ella considera difensiva e pacifista piuttosto che
espansionistica, paternalistica più che messianica, che ella considera difensiva e pacifista piuttosto che espansionistica,
paternalistica più che messianica. 9 Il già citato trattato di Santo Stefano.
10 Egidio Ivetic, Le guerre balcaniche (Bologna: Il mulino, 2006), p. 14.
11 Richard C. Hall, The Balkan Wars 1912-1913: Prelude to the First World War (London ; New York: Routledge,
2000), p. 2.
4
provocò una decisa ed immediata reazione da parte delle grandi potenze: in primis poiché era
riuscita ad emergere come “grande” potenza all’interno dello scacchiere balcanico grazie alla sua
estensione territoriale, in secundis perché stava realizzando un controllo indiretto, per la prima
volta nella storia, su tutta l’area balcanica. Così da una parte la Gran Bretagna si opponeva, essendo
interessata alle vie marittime e in particolare all’equilibrio tra le potenze, dall’altra l’Austria-
Ungheria «che chiese, come contropartita, il diritto di occupare la Bosnia-Erzegovina».12
Per
dirimere i nodi che si erano venuti a creare in seguito al trattato di Santo Stefano, il cancelliere
Bismarck si propose come mediatore tra le parti e organizzò nella capitale tedesca il congresso delle
potenze.13
Grazie ad un accorto e paziente lavoro diplomatico furono ridimensionate le mire
espansionistiche russe e vennero riconosciuti come stati indipendenti la Romania, la Serbia e il
Montenegro14
. Difatti la pace siglata dai russi con gli ottomani prevedeva anche la nascita di queste
nazioni, oltre che alla già citata Bulgaria. Ciò nonostante il vero obiettivo fu non penalizzare
eccessivamente l’impero ottomano al fine di mantenere una politica di equilibrio in particolare nel
sud-est europeo – assetto che sarebbe durato per pochi decenni ancora, fino al 1912, anno in cui la
polveriera balcanica sarebbe stata pronta ad esplodere. Il ridimensionamento maggiore venne subito
dalla Bulgaria che fu divisa in tre parti: la Bulgaria propriamente detta, principato tributario
ottomano; la Rumelia orientale, provincia semiautonoma dell’impero ottomano, governata da un
cristiano; la Macedonia, dominio ottomano diretto.15
Tale accordo fu una catastrofe per il
nazionalismo bulgaro, anche per il fatto stesso di aver restituito la Macedonia all’impero ottomano
recidendo così il sogno di costituire nuovamente una «Grande Bulgaria».16
Il futuro Primo ministro
che condurrà la Bulgaria durante la prima guerra balcanica, Ivan E. Geshov, affermò:
Durante l’infausto mese di luglio 1878 a Plovdiv leggemmo sul Times il primo testo
pubblicato dell’accordo, nel quale una miope diplomazia di Berlino divise la nostra madrepatria, ci
lasciarono attoniti ed esterrefatti. Era possibile una tale ingiustizia? Poteva tale ingiustizia essere
ribaltata?17
Malgrado il colpo inferto al paese, i liberali, guidati da Stefan Stambolov, e il nuovo
monarca, Alessandro di Battenberg, nipote della zarina e dello zar Alessandro II, non persero tempo
a preparare la controffensiva; nonostante inizialmente esprimessero posizioni differenti, nel
settembre 1885 a Plovdiv, capitale della Rumelia, «fu orchestrata una congiura e un governo
provvisorio di unionisti invitò il principe Alessandro a suggellare la congiunzione delle due
13 Partecipavano: Gran Bretagna, Austria-Ungheria, Russia, Germania, Francia, Italia e impero ottomano. Si tenne dal
13 giugno al 13 luglio 1878. 14
Non bisogna dimenticare che la Grecia si era resa indipendente già dal 1830. 15
Cfr. Ivetic, op. cit., p. 14 e cfr. Hall, op. cit., p. 2. 16
Come avrò modo di specificare nei paragrafi successivi, la Macedonia era considerata la culla della civiltà bulgara. 17
Ivan Geshov in Hall, op. cit., p. 3.
5
Bulgarie».18
Così avvenne senza che né Istanbul né le grandi potenze potessero reagire.
È necessario sottolineare che la creazione di stati balcanici autonomi e indipendenti non
significava solo una rottura ma anche un rifiuto del passato politico. Ciò è evidente nel tentativo di
sostituire le nuove istituzioni europee alle istituzioni statali ottomane e alle forme di autogoverno
locale. Soltanto in Bulgaria, nonostante gli sforzi per una rottura immediata, ci vollero circa due
decenni per consolidare le nuove istituzioni.19
Tutti gli stati balcanici, a dispetto delle loro differenze riguardanti le strutture sociali, i
modelli economici e i sistemi politici, costituivano un esempio di un rapido sviluppo socio-
economico. L’incremento della popolazione e la crescita nelle città, le impressionanti opere
pubbliche, la realizzazione della crescita industriale, vivaci relazioni commerciali e l’estensione
dell’educazione scolastica caratterizzarono fortemente il processo di modernizzazione di tali paesi.
Questa tendenza proseguì parallelamente alla costruzione di un esercito e di una flotta, dando così
inizio ad una vera e propria gara agli armamenti che contrassegnò la prima decade del XX secolo.
D’altra parte la crescita economica si contraddistinse immancabilmente per l’aumento dei
prestiti governativi e l’indebitamento di tutti gli stati balcanici. Fu proprio l’elevato tasso di
indebitamento che legò i governi balcanici alle politiche delle grandi potenze: difatti i neonati paesi
permisero il controllo straniero su tutte le economie nazionali come mezzo per evitare la bancarotta
o una sua conseguenza. Un esempio concreto può essere rappresentato dagli interessi britannici che
favorirono la costruzione di ferrovie dai porti fino all’entroterra balcanico: tutto ciò avrebbe
facilitato il commercio del paese d’oltremanica a insediarsi nella penisola. Altro caso era l’Austria-
Ungheria poiché anch’essa era interessata nella costruzione di una linea nord-sud che attraversava
la Bosnia e la Serbia fino a Salonicco. La costruzione di ferrovie iniziò già dopo la guerra di Crimea
(1853 – 1856), dimostrando perciò il modello dominante occidentale di sviluppo economico che,
per l’appunto, venne adottato dai paesi balcanici. Inoltre, come ho già avuto modo di accennare, lo
scacchiere balcanico rifletteva i conflitti economici e gli interessi politici della grandi potenze.
Nonostante il rapido sviluppo economico, la nascita di un’economia di mercato e il
conseguente passaggio da un’economia “tradizionale” a una di tipo monetario, in aggiunta alla
sovrappopolazione, ebbero disastrosi effetti per i contadini che richiedevano nuovi appezzamenti di
terreno; in definitiva non ebbero altra scelta che emigrare – spesso – oltreoceano. Inoltre lo
sviluppo industriale fu piuttosto lento e tutti i paesi dell’area rimasero perlopiù rurali.20
18
Ivetic, op. cit., p. 17. 19
Todorova, op. cit., p. 282. 20
Cfr. Workbook 3, The Balkan Wars, a cura di V. Kolev e C. Koulouri, Center for Democracy and Reconciliation in
Southest Europe, Thessaloniki, 2005, come parte del progetto Teaching Modern Southest European History, p. 21 e
6
1.2 – Il nazionalismo giunge in Bulgaria.
Gli stati balcanici, nonostante i problemi strutturali di costruzione di un’adeguata vita
politica ed economica, rappresentarono un’anticipazione della cosiddetta «Europa di mezzo» nata
nel 1918-19 sulle rovine degli imperi dell’Europa centro-orientale. Perciò i nuovi stati furono casi
isolati in mezzo a sistemi imperiali ancora vitali, pertanto furono sottoposti a vigorose influenze
esterne con «altre esperienze di State building»21
.
Logica conseguenza dell’essere uno stato indipendente, o quasi, per la Bulgaria, comportò
un complesso processo di adattamento delle rispettive comunità nazionali così come delle élite
sociali, in precedenza suddite ottomane, a un sistema istituzionale autonomo, a una finanza
pubblica, a un’economia e a una società nazionali. Nel caso della Bulgaria questo processo era
iniziato ex novo.22
La creazione di una Bulgaria semi-indipendente significava un rifiuto della passata
dominazione ottomana poiché quest’ultima era stata vissuta come opprimente; la presenza della
Sublime porta non era altro che considerata un corpo estraneo all’interno di un paese slavo. Nel
1830 il filologo e storico Jurij Ivanovič Venelin organizzò un viaggio per studiare i bulgari in quella
che allora era la regione nord-orientale dell’Europa ottomana. La descrizione che lo studioso ne
dette è stata da allora onnipresente nall’auto-percezione dei bulgari. Egli infatti scrisse:
Per i turchi questo popolo infelice è come la pecora per l’uomo, cioè l’animale più utile e necessario.
Se ne ricava latte, burro, formaggio, carne, pelliccia, lana, ecc., cibo e indumenti… Non giova ai
bulgari essere i migliori costruttori, i migliori artigiani in tutta la Turchia. In una parola, la
dominazione e la stessa presenza turca in Europa è dovuta soprattutto e forse esclusivamente ai
bulgari. […] Quanto ai Serbi, alcuni si sono mescolati coi turchi, altri si sono del tutto convertiti
all’Islam, altri ancora hanno conservato la propria indipendenza, ma tutti, comunque, hanno goduto
della protezione che dava loro il territorio montagnoso. Gli albanesi sono stati sempre semi-
indipendenti, essendo per natura fieri guerrieri al servizio dei turchi solo per profitto e denaro. La
stessa cosa si può dire dei montanari greci in Morea. I greci delle isole hanno avuto altri vantaggi e
hanno sempre respirato una maggiore libertà… Fra gli slavi, sono i bulgari ad aver sofferto di più.23
Assumendo come paradigma interpretativo la suddetta condizione del popolo bulgaro, è
facile immaginare come il fuoco di rivalsa verso Istanbul ardesse ogni anno di più. Lo studio o, per
essere più precisi, una rielaborazione dell’identità storico-culturale bulgara era essenziale per
Richard J. Crampton, Bulgaria: 1878-1918: A History (New York: Columbia university press, 1983), pp. 175-225 e pp.
347-398. 21
Ivetic, op. cit., p. 25. 22
Ibid. 23
Jurij I. Venelin cit. in Todorova, op. cit., p. 142. Anche in Fonton (1829), E. Kovalevskij (1840), V. Grigorovič
(1844-45), E. Južakov (1859), O.M. Lerner (1873), sono presenti storie analoghe sulla condizione dei bulgari. Questa
tendenza forse all’esagerazione era causata dal legame linguistico e della comune ortodossia. Difatti i russi furono i
primi a prestare attecramptonnzione alla condizione della regione.
7
cementare le basi del nuovo stato, inoltre il nazionalismo divenne uno strumento offensivo per
saziare «il forte desiderio di raggiungere l’unità nazionale»24
. È possibile quindi affermare che «il
raggiungimento dell’indipendenza fu vissuto dalla Serbia e dalla Bulgaria, come già dalla Grecia,
come una tappa provvisoria»25
. A detta dei leader balcanici solamente dopo l’ottenimento dei
territori mancanti e quindi dopo aver raggiunto la vera unità, i propri stati avrebbero potuto
prosperare e svilupparsi. Lo stato apparve come la realtà parziale di uno spazio nazionale più esteso
e idealizzato: nel caso della Bulgaria esso corrispondeva all’impero bulgaro medievale o alla
Bulgaria dell’esarcato oppure a quella della pace di Santo Stefano – per quanto riguardava la Serbia
ci si rifaceva a uno stato immaginario corrispondente all’impero di Stefano Dušan, per la Grecia
all’impero bizantino o alla Megale Idea26
del ministro greco Ioannis Kolettis27
.
Generalmente il culto delle tradizioni, sommato a una visione finalistica della storia del
proprio popolo, produsse l’idea di “grande patria”, un concetto che ha rivelato essere un minimo
comun denominatore per gli stati balcanici28
. In altre parole «lo stato ancora da realizzare divenne
l’elemento fondante dell’ideologia politica nazionale e dell’immaginario culturale»29
. A questo
proposito i bulgari, come d’altro canto gli altri popoli balcanici, cercarono di emulare i successi
politici ed economici dell’Europa occidentale, specialmente della Germania: il concetto occidentale
di nazionalismo come modello per il proprio sviluppo nazionale. Bulgaria, Grecia e Serbia
dovevano compiere la missione dell’unificazione nazionale passando attraverso un’inevitabile
espansione territoriale dove c’era la presenza di radicate comunità nazionali30
: nel caso bulgaro si
trattava di annettere buona parte della Macedonia, considerando anche il fatto che essa era
considerata la culla del proprio popolo31
. Infatti già nel 1903 i bulgari avevano tentato di annettere
la Macedonia mediante azioni militari dirette contro l’impero ottomano.
I Balcani hanno costituito un emblema-simbolo inscindibile dal popolo bulgaro, infatti essi
«appaiono in molti canti popolari come la dimora degli haiduts, i venerati combattenti della
resistenza, simbolo dell’anelito bulgaro per la libertà nazionale nella poesia di Dobri Čintulov,
24
Hall, op. cit., p. 1. 25
Ivetic, op. cit., p. 25. 26
In greco Μεγάλη Ιδέα, ossia Grande Idea. Fu un concetto del nazionalismo greco che esprimeva la volontà di
annettere alla Stato ellenico tutti i territori abitati da popolazione di etnia greca sotto un unico grande Stato unitario, con
Costantinopoli capitale al posto di Atene. 27
Cfr. Ivetic, op. cit., pp. 25-26 e cfr. Hall, op. cit., p. 1. 28
Inoltre è doveroso aggiungere il fatto che « la nazione, poggiava, certo, su premesse identitarie etnico-confessionali
[…] e linguistiche, ma raggiunse effetti pregnanti e socialmente più stratificati solo quando il processo di
identificazione coincise con il possesso e l’appropriazione della terra. Ivetic, op. cit., p. 26. 29
Ibid. 30
Ibid. e cfr. Hall, op. cit., p. 1-2. 31
Anche i Serbi consideravano questa regione come culla della loro civiltà.
8
Christo Botev, Ivan Vazov»32
. Il simbolo del paese è il “leone balcanico”, emblema dello spirito
vittorioso della Bulgaria. Si ritrova anche nel primo inno nazionale:
Leone dei Balcani, il tuo alato spirito glorioso,
ci guida e ci ispira, sempre vittorioso!33
Le montagne balcaniche sono un tema centrale anche nell’attuale inno nazionale. Penčo
Slavejko, brillante poeta modernista, ha immortalato queste montagne nel poema epico Kărvava
pesen34
:
[…] Balkan, padre nostro Balkan, guarda misericordioso,
Con severità tu guardi dal luogo del giudizio.
Volgi lo sguardo a quanti ti guardano dalle tombe -
Hanno forse vissuto una vita che non sia stata la vita degli schiavi?
[…]
Conta gli eroi senza fine che caddero per un sogno!
Nei crepacci, là sulle scabre alture
Noi, tuoi figli, siamo morti in centinaia di lotte -
[…]
Ascolta la musica delle spade, odi il canto dei canti!
Là il tuo popolo vola, per la libertà giace in catene,
Là noi voliamo, i morti, al luogo della gloria, nuovamente.
Il «padre Balkan» è sinonimo di Patria. A quell’epoca non vi era la minima consapevolezza che il
Balkan avrebbe potuto significare qualcosa di disonorevole. La catena dei Balkan, in quanto pilastro
dell’indipendenza bulgara, continuò a essere un tema centrale per scrittori contemporanei, quali
Jordan Radičkov e Georgi Džagarov, per storici e filosofi, i quali sottolineavano il ruolo cruciale
svolto nella storia bulgara dalle montagne in genere e da quelle del Balkan in particolare. Inoltre è
bene evidenziare che la lingua bulgara possiede tre forme sostantivali per Balcani: la prima forma
può essere usata come sinonimo di montagna; la seconda, declinata al plurale, per designare la
catena balcanica e la regione ivi compresa; la terza ed ultima forma, balkandžija, indica «qualcuno
che possiede un ethos speciale: indipendenza, orgoglio, coraggio, onore»35
.
Il nazionalismo, come idea relativa alla creazione di una nuova società e di un nuovo
sistema di governo, presuppone l’omogeneizzazione della società. Secondo Ernest Gellner,
ricercatore pionieristico del nazionalismo, tale omogeneizzazione è il prodotto – azzarderei,
chiedendo in prestito una famosa espressione, «la fa fase suprema» – dell’industrializzazione, la
quale a sua volta richiede un’energica affinità culturale. Due aspetti, essi, che si alimentano a
vicenda; uno esiste poiché è presente l’altro e quando uno dei due viene meno, l’altro cessa di
esistere. Gellner tiene a precisare, e questa precisazione fa proprio al caso nostro, che
32
Todorova, op. cit., p. 97. 33
Venne composto da Nikola Živkov. È stato l’inno del paese fino al 1944. 34
Trad.: «Il canto del sangue». 35
Ivi, pp. 62 e 98-99.
9
l’omogeneizzazione si riferisce per lo più a livello linguistico. Essa perciò diviene il prodotto
sociopolitico dell’industrializzazione, e lo stato è l’unica istituzione capace di promuove tale
processo e di beneficiarne. Vale a dire, lo stato espande e rafforza la sua legittimità grazie
all’industrializzazione.
Tuttavia, M. Hakan Yuvuz, Professore di scienze politiche dell’università dello Utah, basandosi su
uno studio approfondito delle teorie di Gellner e sull’evoluzione del nazionalismo balcanico,
sostiene di esser giunto a «due conclusioni integrate». In primo luogo, l’uniformità, scopo del
nazionalismo, non è stata realizzata tramite l’industrializzazione, piuttosto tramite le guerre,
«almeno nel caso dei Balcani»36
, puntualizza. Innanzitutto la guerra serviva al raggiungimento di
molteplici scopi poiché in essa gli stati vedevano una scorciatoia per raggiungere una più completa
omogeneità. In breve lo stato richiedeva un esercito organizzato e, di conseguenza, un esercito
organizzato richiedeva la mobilitazione dell’ideologia nazionalista e una società coesa. In secondo
luogo anche la preparazione alla guerra divenne un importante fattore per l’omogeneizzazione e la
costruzione dello stato, non solo perché il ruolo che essi giocarono nel rafforzamento della coesione
sociale ma, come mostrato un anno dopo, anche nella distruzione o nell’esilio forzato di coloro che
si rivelarono essere difficili o impossibili da assimilare. Infatti, in conclusione, le guerre potrebbero
essere tutt’ora i più efficaci collanti per omogeneizzare la popolazione e perciò consolidare
l’autorità dello stato. Per sintetizzare ed utilizzare le stesse parole di Yavuz, «attraverso le guerre gli
stati creano le condizioni che aiutano a comporre e mobilitare il sentimento nazionalistico e
l’aumentare della coesione di gruppo».37
Le élite bulgare manipolarono abilmente i sentimenti della loro società contro i nemici,
fossero essi reali o immaginari.
36
Mehmet Hakan Yavuz, War-making as a national building in War and Nationalism: The Balkan Wars, 1912-1913,
and Their Sociopolitical Implications , a cura di M. Hakan Yavuz e Isa Blumi (Salt Lake City: The University of Utah
Press, 2013), p. 33. 37
Ivi, p. 34.
10
1.3 – Il ruolo della Bulgaria nella Lega balcanica.
Parallelamente alla proclamazione d’indipendenza della Bulgaria, che con tale atto
elevava la sua nazione al rango di regno38
e formalizzava anche l'annessione della provincia
ottomana della Rumelia orientale, posta sotto il controllo bulgaro sin da 1885, l’impero asburgico
annunciò l’annessione della Bosnia-Erzegovina, aprendo una crisi diplomatica internazionale.39
Già
dall’inizio del nuovo secolo il neoslavismo40
aveva ripreso vigore tra le élite russe e le nuove
generazioni di politici e intellettuali nei Balcani; in poche parole consistette nella risposta al
pangermanesimo incalzante e la premessa per un avvicinamento russo ai Balcani. Fino a quel
momento la Bulgaria aveva goduto di una posizione internazionale piuttosto favorevole: senza
grossi conflitti fra le due maggiori potenze che si contendevano la regione – Austria-Ungheria e
Russia –, il piccolo regno slavo potette beneficiare di grande sicurezza. Almeno fino alla «crisi
dell’annessione», sia per la Duplice Monarchia, sia per l’impero russo, mantenere relazioni
amichevoli con lo stato bulgaro era essenziale per garantirsi il controllo della regione. Da una parte
la Russia era ben consapevole della posizione strategica in cui si trovava la Bulgaria, di fronte agli
Stretti41
e a Costantinopoli, dall’altra l’Austria-Ungheria vedeva il regno di Ferdinando come uno
“scacco” contro la Serbia ma soprattutto come avamposto per l’espansione dei suoi interessi nel
Vicino Oriente. D’altro canto, data questa situazione, il governo bulgaro possedeva un enorme
grado di libertà per quanto riguardava le manovre diplomatiche. Da questo punto di vista il principe
Ferdinando era ben consapevole della sua posizione, che non poteva altro che dirsi avvantaggiata. Il
mantenimento dello status quo fu rotto dall’espansionismo austro-ungarico nei Balcani con
l’annessione della Bosnia-Erzegovina42
e, di conseguenza, anche l’atteggiamento diplomatico russo
mutò: adesso l’obiettivo era il contenimento della penetrazione degli imperi centrali.43
Lo strappo diplomatico fra Austria-Ungheria e Russia motivò la seconda a perseguire una
propria strategia balcanica che consisteva nell’avvicinare la Bulgaria alla Serbia per frenare
l’espansionismo asburgico e tedesco. La crisi del 1908 spinse i governi serbo e bulgaro a tentare di
risolvere le rispettive questioni nazionali: da una parte i serbi cercavano supporto contro
l’inasprimento delle politiche anti-serbe attuate dall’Austria-Ungheria, dall’altra i bulgari
38
Il 5 ottobre 1908 Ferdinando venne incoronato nella Chiesa dei Quaranta Martiri a Veliko Tărnovo. 39
Albrecht-Carrié, René. Storia diplomatica d’Europa 1815-1968. Bari; Laterza, 1978, pp. 350-357. 40
Il neoslavismo cercava di conciliare il nazionalismo russo con il nazionalismo dei minori popoli slavi, l'autocrazia
russa con l'atmosfera occidentale e liberale in cui vivevano gli Slavi fuori della Russia. 41
Stretti dei Dardanelli e del Bosforo. 42
La rottura dell’immobilismo diplomatico all’insegna del «nulla si cambia nei Balcani» fu causata anche dal cambio di
guardia avvenuto nei vertici diplomatici delle due potenze: il barone Alois von Aehrenthal per gli Esteri della Duplice
Monarchia, e Aleksandr Izvolskij, per gli Esteri della Russia. Ambedue erano uomini ambiziosi, decisi a dare
dinamismo, se non aggressività, alla politica verso i Balcani. Ivetic, op. cit., p. 39. 43
Cfr. Ivi, pp. 37-42 e cfr. Andrew Rossos, Russia and the Balkans: Inter-Balkan Rivalries and Russian Foreign Policy,
1908-1914 (Toronto [etc.]: University of Toronto press, 1981), pp. 18-19.
11
rimanevano focalizzati sulle loro aspirazioni in Macedonia e, in misura minore, in Tracia44
.
La paura che il coup militare dei Giovani Turchi potesse riaffermare la supremazia ottomana
nell’oriente europeo, in particolar modo in Macedonia, spinse la Bulgaria ad agire: l’unificazione
con essa era l’unica costante della politica bulgara. Inoltre nella regione operavano alcuni gruppi
estremisti45
e se i governi bulgari non avessero proceduto con l’annessione, ci avrebbero pensato
loro a rendere la Macedonia indipendente46
ed in un secondo momento annetterla alla Bulgaria –
proprio come era avvenuto con la Rumelia orientale47
. La politica di avvicinamento voluta dalla
Russia fra i due stati balcanici non riuscì a decollare concretamente prima del 1911 poiché la prima
fase delle trattative si concluse già nel marzo del 1910: in primo luogo la Bulgaria, rispetto alla
Serbia, non aveva questioni in sospeso con la Duplice Monarchia e, data la sua posizione geografica
e strategica, poteva vantare una certa disponibilità e rispetto sia di Vienna che di San Pietroburgo.
Da qui la decisione di non fare concessioni riguardo la Macedonia; quest’ultima infatti rientrava
nelle regioni della Turchia europea che dovevano essere spartite fra le nazioni balcaniche. È bene
evidenziare che «la competizione per» questa regione «creò un ostacolo che prevenne la creazione
di un’alleanza balcanica contro gli ottomani»48
. Nonostante per la Serbia fosse importante riunire
sotto la sua ala «tutti gli ortodossi e i cattolici serbi, croati e sloveni»49
e quindi riformare la Grande
Serbia50
, anche per quest’ultima appariva vitale almeno una parte della Macedonia, con le città
nord-occidentali di Skopje, Vales, Prilep, Debar e Ohrid. Esse risultavano fondamentali per
controllare il litorale albanese. È bene notare che la Serbia agognava ad uno sbocco sul mare. 51
A causa di tali pretese, raggiungere un accordo apparve impossibile e le trattative tra i due governi
si spensero già nel marzo del 1910. La Russia, per il momento, non era riuscita nel suo intento di
riunire in un solo fronte gli stati balcanici.
Nel 1911 a Sofia si formò un nuovo governo, guidato dal leader nazionalista Ivan Evstratiev
Gešov52
. L’obiettivo della sua politica puntò sui territori macedoni e della Tracia53
, regioni che, a
44
Hall, op. cit., p. 9. 45
Il maggiore di essi era l’Organizzazione rivoluzionaria interna macedone (ORIM in italiano; VMRO in lingua
originale). Tale gruppo non rispondeva totalmente al controllo del governo bulgaro. Gruppi simili operavano per conto
del governo serbo; erano ovviamente legati alla minoranza serba della regione. 46
A tal proposito il ministro degli Esteri, generale Stefan Paprikov, affermò: «È chiaro che se non oggi avverrà domani,
la questione più importante tornerà ad essere la Macedonia. E tale questione, qualunque cosa accada, non può essere
sciolta senza la più o meno diretta partecipazione degli stati balcanici». Ivi, p. 10. 47
Cfr. ivi, pp. 9-10 e cfr. Hall, Bulgaria and the Origins of the Balkan Wars, 1912-1913 in Havuz e Blumi, op. cit., p.
89. 48
Hall, The Balkan Wars, cit., p. 5. 49
Ministro degli Esteri Milan Miovanovich in ivi, p. 10. 50
Secondo i Serbi, la ricostituzione di un grande stato serbo avrebbe permesso l’incremento dello Yugoslavismo,
un’arma da usare contro i loro avversari asburgici. 51
Ivetic, op. cit., p. 43. 52
Plovdiv, 20 febbraio 1849 – Sofia, 11 marzo 1924. 53
«Convocato il 24 marzo 1911 per occupare il posto di Primo Ministro e e ministro degli Affari Esteri, il mio primo
incarico come leader della politica bulgara è stato affrontare lo spiacevole problema della questione della Macedonia e
12
detta del Primo Ministro bulgaro, appartenevano storicamente alla Bulgaria. Nonostante Gešov
fosse filorusso, almeno inizialmente espresse ostilità per quanto riguardava i negoziati con i Serbi e,
in questo contesto, dette avvio ad una politica di riconciliazione con l’impero ottomano con
l’intento di migliorare le condizioni della popolazione bulgara che viveva ancora all’interno dei
confini dell’impero. Gešov ritenne più opportuno favorire una riapertura delle buone relazioni con
Istanbul, sull’esempio di quanto fatto vent’anni prima da Stambulov, e con ciò sottolineare quella
linea di condotta autonoma che Sofia, sin dal 1886, aveva cercato di perseguire. Riconquistare
l’influenza politica e culturale era il fondamento per il suo inevitabile incorporamento nello stato
bulgaro. Verificata l’impossibilità di raggiungere un risultato concreto con gli ottomani, apparve
chiaro che la politica di Gešov avesse clamorosamente fallito già nell’estate del 1911. Da questo
momento il primo ministro, cambiando radicalmente idea, spinse per un’immediata alleanza con la
Serbia e quando nel settembre dello stesso anno l’Italia dichiarò guerra alla Sublime porta i due
paesi balcanici riallacciarono i contatti. Inoltre l’invasione italiana della Libia innescò nell’autunno
del 1911 l’aumento delle violenze in Macedonia.54
Vale la pena sottolineare come la diplomazia
italiana, interessata ai contatti serbo-bulgari in prospettiva di un’eventuale guerra contro l’impero
ottomano, si dimostrasse scettica sulla possibilità che Serbi e Bulgari riuscissero ad eliminare i
motivi di frizione che esistevano tra loro, primo tra tutti quello sulla Macedonia, soprattutto il
ministro a Belgrado Pietro Baroli55
. Tuttavia a quest’ultimo parlarono personalmente il ministro
bulgaro a Belgrado Andrej Tošev, il Primo ministro serbo Milovanovič e infine il ministro serbo a
Sofia Spalajkovič, vero autore dell’accordo che fu poi realizzato nel marzo 1912. Di una certa
rilevanza fu il fatto che a Roma non si desse importanza all’accordo serbo-bulgaro per chiudere
quel cordone sanitario cui, invece, tanto tenevano Gran Bretagna e Francia affinché sbarrasse la
strada del Vicino Oriente all’Austria-Ungheria e ai capitali austro-tedeschi.56
Nell’ottobre 1911 si abbozzarono i preliminari per una possibile alleanza politica e militare; al
secondo punto c’era il sostegno militare reciproco «contro chiunque avesse voluto occupare i
territori ottomani di interesse specifico o comune», ossia la Macedonia, la Tracia, la Vecchia Serbia
(Kosovo), il Sangiaccato e l’Albania settentrionale; il terzo punto faceva riferimento ad un esplicito
intervento bellico contro l’impero ottomano per «liberare la Macedonia e la Vecchia Serbia e porre
fine all’anarchia e ai massacri perpetrati in tali province»57
. Grazie alla mediazione della Russia
della Tracia, la quale ha tormentato la Bulgaria sin dal Congresso di Berlino». I. Geshov in Hall, Bulgaria and the
origin.., cit., p. 91. 54
Cfr. ivi, pp. 90-92 e cfr. Ivetic, op. cit., pp. 45-46. 55
Baroli rimase a Belgrado dal luglio 1908 all’agosto 1912. 56
Francesco Guida, La Bulgaria dalla guerra di liberazione sino al trattato di Neuilly, 1877-1919: testimonianze
italiane (Roma: Bulzoni, 1984), pp. 191-193. 57
Ivetic, op. cit., p. 46.
13
svolta dal consigliere militare a Sofia Colonnello Georgi D. Romanovski, mediazione richiesta
soprattutto da Gešov, i bulgari furono in grado di accettare una proposta soddisfacente: la
Macedonia sarebbe stata divisa tra una parte indiscutibilmente bulgara, una parte serba e, in mezzo,
«una zona contesa». Tale spazio comprendeva le città di Skopje, Kumanovo, Ohrid, Debar (Dibar),
Kičevo e Tetovo. La situazione internazionale e il montare della guerra italo-ottomana spingevano a
concludere i negoziati perciò, nonostante fosse stata definita la «zona contesa» ma non la sua sorte,
quest’ultima sarebbe stata decisa, al momento opportuno, dallo zar. Sergej Dmitrievič Sazonov, il
ministro degli Esteri russo, pur di siglare una accordo fra i due paesi balcanici, accettò. Siffatta
indeterminatezza avrebbe avuto pesanti conseguenze in futuro. L’accordo venne siglato il 7 marzo
1912 con grande piacere da parte degli ambasciatori russi a Belgrado e Sofia Nicholas Hartwig e
Anatoli Neklyudov: per l’impero russo questo accordo rappresentava il primo mattone per costituire
una Lega Balcanica che includesse gli stati slavo-ortodossi affinché la madrepatria Russia potesse
restaurare la sua posizione nella regione in seguito alla crisi dell’Annessione. In sintesi il patto
prevedeva una cooperazione militare sia contro l’impero asburgico che contro l’impero ottomano e
una sistemazione temporanea per la Macedonia; l’accordo riconosceva gli interessi bulgari in Tracia
e quelli serbi in Kosovo e Albania. San Pietroburgo si era riposizionata in mezzo allo scacchiere
balcanico, senza però aver chiaro dove la stava portando tale politica. Ai russi interessava, più che
altro, aver tolto all’Austria-Ungheria il monopolio della zona; a questo punto, attorno all’asse serbo-
bulgaro si pensò di radunare un’alleanza di stati balcanici che includesse anche Grecia e
Montenegro.58
In conclusione
Quando l’alleanza serbo-bulgara del marzo 1912 si trovò di fronte a quella che appariva come una
soluzione del problema macedone accettabile da entrambe le parti, diventò possibile immaginare che
la Lega si sarebbe rivelata uno strumento duraturo della politica russa nella penisola. La disposizione
che prevedeva l’arbitrato russo per la zona contesa sembrava salvaguardare il ruolo della Russia nella
regione, creando al contempo un meccanismo mediante il quale il protettore slavo poteva contenere e
incanalare il conflitto fra i suoi protetti.59
La Lega Balcanica si era dunque venuta delineando tra il marzo e l’ottobre del 1912. Gli accordi
erano stati conclusi fra Serbia e Bulgaria, Grecia e Bulgaria, Serbia e Montenegro; un accordo a
voce legava il Montenegro alla Bulgaria.
58
Cfr. ivi, pp. 46-49, cfr. Hall, The Balkan Wars, p. 11, cfr. Hall, Bulgaria and the origins, pp. 94-95 e cfr. Crampton,
Bulgaria, pp. 405-409. 59
Christopher Clark e David Scaffei, I sonnambuli: come l’Europa arrivò alla grande guerra (Roma ; Bari: GLF editori
Laterza, 2013), p. 298. Per approfondire Rossos, op.cit., pp. 45-46, 225.
14
Capitolo II
Gli obiettivi della Bulgaria
2.1 – La questione macedone.
Il nucleo della questione balcanica risiedeva nella controversia macedone. La regione, come già
accennato, era il punto d’incrocio di una varietà di popolazioni che fino al 1860-70 si
identificavano con la comunità d’appartenenza e con la fede religiosa. Tuttavia se Salonicco60
era il classico esempio di città cosmopolita, all’interno della quale vivevano ebrei, greci, turchi,
armeni e slavi, in altri settori della regione si trovavano isole di popolazione più omogenee:
esisteva una prevalenza albanese musulmana verso occidente, una prevalenza greca verso
meridione, varie isole di popolazione turca verso oriente e, nella parte centro-settentrionale, una
maggioranza di slavi non ancora definiti in senso nazionale.61
Inoltre, sul piano confessionale, i
cristiani ortodossi dipendevano dal patriarcato di Costantinopoli, anche se, a partire dal 1870, su
pressioni russe, si costituì l’esarcato bulgaro ortodosso che iniziò ad esercitare la propria
influenza anche in Macedonia.62
Nella Macedonia ottomana erano presenti anche proprietari terrieri cristiani che possedevano
però soltanto piccoli appezzamenti, i quali non superavano i 200 dünüms63
; oltre questo limite i
proprietari terrieri erano soltanto bey64
. I grandi appezzamenti posseduti da cristiani erano una
rara eccezione, rappresentata da greci che possedevano vaste proprietà fondiarie intorno a Drama
e Salonicco. La coltivazione a mezzadria fu una delle cause della povertà della popolazione
rurale cristiana, anche perché essa fu vittima degli abusi da parte dei bey, contro ai quali non si
poteva fare ricorso. Infine è opportuno rilevare che i piccoli proprietari terrieri cristiani erano
principalmente bulgari.65
Alle soglie del XX secolo, la popolazione musulmana superava leggermente quella cristiana. I
musulmani della regione erano albanesi, turchi e gorani66
insieme a numerosi slavi musulmani,
chiamati torbesi o pomacchi. La Macedonia rappresentava il tipico “spazio” ottomano,
all’interno del quale convivevano fianco a fianco gruppi etnici misti che esprimevano la propria
60
Essa non era soltanto una città cosmopolita ma anche «la più grande città in Macedonia e il maggior mercato per la
produzione agricola». Hall, The Balkan Wars, cit., p. 62. 61
Per maggiori dettagli vd. allegato c., p. 40. 62
Ivetic, op. cit., p. 19. 63
Era un’unità di misura terriera adottata a partire dall'età ottomana fino ai nostri giorni in vari paesi un tempo sotto il
dominio ottomano. 1 dünüms misurava all’incirca 1.000 m². 64
Questo titolo venne adottato dall'impero ottomano per indicare una tipologia di nobiltà, molto simile al sir inglese. 65
Workbook 3, The Balkan Wars, cit., p. 29. 66
I Gorani sono un gruppo etnico di ceppo slavo meridionale e di religione musulmana, originario della regione
montuosa di Gora.
15
appartenenza etnica basandosi sulla religione professata. Questa regione era un modello usuale,
con diversi gruppi etnici e religiosi che vivevano in un unico spazio ma stando attenti a rimanere
separati. La natura assortita della Macedonia divenne un concetto che piacque ai menu europei,
che la presentarono come une salade Macédoine oppure, all’italiana, “una Macedonia di frutta”.
Al momento del trattato di Berlino, nel 1878, non esisteva ancora niente che delineasse
un’identità macedone. Gli stati confinanti reclamavano che gli abitanti della regione fossero
rispettivamente Greci, Serbi e Bulgari67
.
È necessario ricordare che la creazione di una Bulgaria semi-indipendente non fece che
acutizzare lo scontro in regione tra il patriarcato costantinopolitano e l’esarcato bulgaro. Del
resto «la sfera d’influenza religiosa nel mondo ottomano si poneva in stretta relazione con la
sfera civile e quindi con la nascente sfera nazionale»68
. La conseguenza fu la frantumazione
dell’unità dei sudditi ortodossi in quanto millet69
, ossia nazione-confessione posta sotto la
tradizionale egida del patriarcato di Costantinopoli. In mezzo a esarchisti e patriarchisti, i serbi si
fecero avanti in sordina, senza molte ambizioni, aprendo alcune scuole nella Macedonia
settentrionale negli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento70
.
Per lo stato bulgaro, la Macedonia era considerata il trampolino di lancio naturale per una
prossima espansione. La Bulgaria sosteneva che i cristiani macedoni erano bulgari, perché essi
parlavano un dialetto slavo simile alla loro lingua. D’altro canto i Serbi respinsero le pretese
bulgare riguardanti la regione, sostenendo che di fatto la popolazione slava ivi risiedente era
serba, poiché i loro costumi tradizionali si richiamavano a quelli usati in patria. A sua volta la
Grecia respinse entrambe le pretese, affermando che la popolazione macedone doveva essere
considerata come greca «parlante slavo», perché i presunti greci di Macedonia erano cristiano-
ortodossi e quindi facenti parte della chiesa greco-ortodossa. La regione soffrì molto per il
pesante sottosviluppo, l’eccessiva tassazione, e la mancanza di sicurezza e un simile ambiente
trovò terreno fertile per la formazione di comitati rivoluzionari, i quali coinvolsero in brutali
violenze altri gruppi e anche gli ufficiali ottomani. Lo stato ottomano, comunque, spinto sia
dalla mancanza di risorse oppure dalla mancanza di volontà, fallì il tentativo di attuare
significative riforme. Uno alla volta, gli abitanti della Macedonia si coalizzarono con i rispettivi
stati nazionali nella lotta contro lo stato ottomano.71
Riallacciandomi ancora una volta alla fatidica data del 1878, a partire da questo anno le
67
Yavuz, Warfare and Nationalism in Yavuz e Blumi, op. cit., pp. 44-45. 68
Ivetic, op. cit., p. 20. 69
Con il termine millet si indicano quelle comunità religiose dell'Impero ottomano che godevano di una serie di diritti e
di prerogative nel quadro del sistema istituzionale complessivo dell'impero. 70
Ibid. 71
Yavuz, Warfare and Nationalism, p. 45.
16
politiche del principato autonomo bulgaro gravitarono attorno al problema dell’indipendenza, poi
risolto, e della Macedonia. Sottrarre quest’ultima regione dal controllo ottomano divenne il vero
obiettivo. I bulgari domandarono, come già sottolineato, l’intera Macedonia su basi etniche e
storiche. Anche greci e serbi si appellarono alle stesse ragioni ma, a differenza dei bulgari, essi
avevano obiettivi più limitati, aspirando a porzioni specifiche dell’area e, in un secondo
momento, negoziandone la spartizione. Ancora nel 1909 i bulgari preferivano una Macedonia
unita sotto il dominio del “malato d’Europa”, piuttosto che una Macedonia divisa fra gli stati
balcanici.
In teoria, la Bulgaria sarebbe potuta entrare in possesso della Macedonia attraverso due differenti
strade: da una parte tramite annessione diretta, dall’altra con assorbimento attraverso
l’autonomia come era stato fatto nel caso della Rumelia orientale nel 1885-86. L’annessione
sarebbe stata possibile in seguito a una guerra vittoriosa; l’autonomia della regione sarebbe stata
imposta all’impero ottomano soltanto dai firmatari del patto di Berlino. In ogni caso la Bulgaria
era condannata a fallire senza il supporto della Russia, ecco perché un riavvicinamento ad essa,
mano a mano che la guerra si avvicinava, era più che indispensabile72
.
In conclusione la Macedonia divenne un’area che molti paesi desideravano dopo il trattato di
Berlino, sia per la sua importanza strategica, sia per la diversità di popoli che vi abitavano.
2.2 – La Tracia.
La Macedonia non costituiva l’unica regione balcanica che gravitava nelle mire espansionistiche
della Bulgaria, fra esse era presente anche la Tracia. Solitamente questa zona viene posta in secondo
piano, dal momento che nelle ricerche si tende ad evidenziare la questione macedone. Tuttavia la
Tracia non è di secondaria importanza anzi, quel territorio si sarebbe dimostrato «la sfida più
gravosa» per «le tre armate bulgare»73
lì presenti allo scoppio della prima guerra balcanica.
Geograficamente infatti la Tracia si rivelò il maggiore e più importante campo di battaglia in una
guerra fra stati balcanici e impero ottomano. La Tracia è una piana aperta, interrotta di tanto in tanto
da zone collinose ondeggianti, con pochi ostacoli naturali. Questa conformazione ha sempre
facilitato il movimento di eserciti massicci. Inoltre, la vicinanza di Costantinopoli alla penisola
balcanica fece si che fu necessaria lo stanziamento permanente di almeno una guarnigione. L’antica
città era inoltre un obiettivo naturale per qualunque esercito balcanico, una situazione questa che
aveva richiamato in passato avari, bulgari, e serbi. Le principali battaglie fra bulgari ed ottomani
72
Cfr. Rossos, op. cit., pp. 19-21 e Guida, op. cit., p. 181. 73
Ivetic, op. cit., p. 71.
17
sarebbero state combattute proprio in Tracia74
.
La Tracia costituiva la chiave per Costantinopoli – più tardi le armate bulgare, forti delle loro
vittorie, se ne sarebbero accorte – ma anche per la conquista definitiva della Macedonia data la
posizione geografica della Bulgaria. Oltretutto è bene notare che la maggior parte della popolazione
presente nella Tracia orientale non era bulgara. Le città più importanti della regione erano
Adrianopoli e Kirk-Kilisse – poi Losengrad.
La prima allo scoppio della guerra aveva circa 80.000 abitanti, dei quali la metà erano turchi e per il
resto ebrei, greci e armeni, mentre pochi erano bulgari, presenti piuttosto nelle campagne. Essa era
la più importante tappa ferroviaria che portava a Istanbul, era sede della manifattura tabacchi e
ospitava numerose scuole confessionali, come pure una società letteraria greca. Si trovava presso la
confluenza dei fiumi Tundža, Marizza e Arda ed era protetta da un doppio anello di moderni
fortilizi e da una guarnigione di circa 60.000 soldati, ragion per cui, in un primo momento,
l’esercito bulgaro preferì oltrepassarla per proseguire verso la Sublime porta.
Kirk-Kilisse, invece, era una cittadina di circa 16.000 abitanti, di cui metà greci e per il resto
bulgari, turchi ed ebrei. Ambedue le città costituirono la prima linea di difesa ottomana contro
l’esercito slavo, difesa poi infranta dopo soli sei giorni di guerra a causa della superiorità delle
armate bulgare75
.
2.3 – Le organizzazioni terroristiche in territorio ottomano.
L’impero ottomano, sul finire del XIX secolo, dovette affrontare anche, oltre agli altri numerosi
problemi, interni ed esterni, il proliferare di attentati terroristici compiuti dalle organizzazioni
clandestine legate più o meno direttamente alla Bulgaria e, in secondo piano, alla Serbia.
Nella Turchia europea operavano essenzialmente tre organizzazioni: il Comitato supremo,
l’Organizzazione Rivoluzionaria bulgaro-macedone per la Macedonia e Adrianopoli (IMARO, in
inglese Internal Macedonian-Adrianople Revolutionary Organization) e la Narodna Odbrana,
legata agli interessi serbi prevalentemente nella regione del Kosovo.
Nel 1894, secondo la nuova strategia, condivisa segretamente dal primo ministro bulgaro
Konstantin Stoilov, le azioni di violenza – sotto forma di bande contro obiettivi turchi – avrebbero
evidenziato il malessere nella regione e permesso di trattare vantaggiosamente con Istanbul sui
diritti rivendicati dall’esarcato (avere un maggior numero di diocesi e aprire liberamente scuole e
chiese). Si formò quindi nello stesso anno il suddetto Comitato supremo che agiva per ottenere
74
Hall, The Balkan Wars, cit. p. 22. 75
Cfr. ivi, p. 126 e cfr. Ivetic, op. cit., pp. 71-73.
18
l’autonomia della Macedonia ottomana, tuttavia la strategia volta ad accentuare la bulgarizzazione
della regione con l’apertura di chiese e scuole mirava a creare la premessa per includere la
Macedonia nella Bulgaria senza grosse ripercussioni internazionali, com’era successo con la
Rumelia orientali pochi anni addietro. L’organizzazione operava anche in Tracia76
ed era formata da
emigranti, soldati, rivoluzionari e ufficiali dell’esercito, per la maggior parte nati nelle due regioni
“irredente”.
Per quanto riguarda l’IMARO, che fino alla fine degli anni Novanta dell’Ottocento controllava il
Comitato, presto si scisse in due componenti, a causa proprio di lotte intestine riguardanti il
controllo di quest’ultimo: la prima restò fedele al Comitato, mentre la seconda assunse il nome di
Organizzazione rivoluzionaria interna macedone77
(IMRO, in inglese Internal Macedonian
Revolutionary Organization). L’IMRO era un gruppo, capeggiato da Goce Delčev e Damian Gruev,
che non si dissociava dalla cultura bulgara bensì dallo stato bulgaro, sognando una Macedonia
autonoma in mezzo a una federazione balcanica al grido di «”la Macedonia ai macedoni”».
Addirittura in una fase iniziale appoggiarono l’idea di una Macedonia autonoma all’interno
dell’impero ottomano piuttosto che annessa alla Bulgaria. Comunque sia le due organizzazioni
collaborarono almeno fino al 1898.78
La presenza serba si limitò prevalentemente alla regione del Kosovo con qualche presenza anche
in Macedonia. Data la sparuta minoranza di serbi ivi stanziati, poteva risultare prolifico gettare le
basi per un’eventuale futura conquista – effettivamente gran parte della regione sarebbe poi
rientrata nelle mire di Belgrado. In seguito all’annessione di parte della Macedonia, dopo la
Seconda guerra balcanica, gli slavi macedoni furono forzati a “serbizzarsi”: la popolazione della
Macedonia venne forzata a dichiararsi serba e quanti si fossero rifiutati sarebbero stati picchiati e
torturati. Secondo il Report of the International Commission to Inquire into the Causes and
Conduct of the Balkan Wars, i membri della Narodna Odbrana commisero in questo frangente
molti crimini contro la popolazione civile di quell'area. A Skopje vi era una sede della “Difesa
Nazionale” e la popolazione della città era solita chiamare il loro quartier generale “la casa nera” da
cui poi nascerà il nome della “Mano Nera”, un'organizzazione segreta che succederà nei compiti
alla Narodna Odbrana.79
76
Per un approfondimento sulle statistiche demografiche relative al vilayet di Adrianopoli al dicembre del 1912:
http://users.skynet.be/ovo/GodsdBalkan.html, 30/11/2015. 77
La già citata VMRO in lingua originale. 78
Ivetic, op. cit., pp. 20-21 e Hall, The Balkan Wars, pp. 5, 10. 79
Richard J. Crampton, Eastern Europe in the Twentieth Century and after, 2. ed (London ; New York: Routledge,
1997).
19
Capitolo III
La Prima guerra balcanica e l’intransigenza bulgara
3.1 – La vittoria lampo.
La Prima guerra balcanica, iniziata nell’ottobre 1912, «non ebbe precedenti nella storia dei
Balcani»80
, sia per estensione territoriale, sia per portata delle operazioni militari, sia per il numero
di forze messe in campo. Le operazioni belliche videro uscire vittoriosi gli eserciti alleati che in
circa quaranta giorni saccheggiarono e occuparono la quasi totalità della Turchia europea – solo la
linea di Çatalca, dove si attestarono le restanti truppe ottomane, vicino Istanbul, venne risparmiata.
I piani degli alleati balcanici prevedevano che la guerra per la Turchia europea avrebbe visto due
teatri operativi: uno orientale, in Tracia, e uno occidentale, in Macedonia, Epiro, Kosovo e
Sangiaccato. Alla Bulgaria andava il compito dell’attacco principale, in Tracia, contro il cuore
dell’impero ottomano. Ivan Fičev era convinto che lì si sarebbe giocata la partita decisiva.81
Effettivamente riportare una serie di vittorie in Tracia e costringere a far arretrare le armate del
sultano, avrebbe permesso di tagliare i rifornimenti per gli eserciti impegnati nell’entroterra
balcanico; in questo modo serbi, greci e montenegrini avrebbero prevalso più velocemente.
Ai serbi, affiancati dai montenegrini, sarebbe spettato combattere in Macedonia centro-
settentrionale, in Kosovo e nel Sangiaccato, mentre ai greci andava la Macedonia meridionale e
litoranea, l’Epiro in direzione di Janina, nonché il compito di stabilire il controllo navale nell’Egeo
settentrionale e bloccare i rifornimenti ottomani via mare. Ma i bulgari non dovevano occuparsi
solamente della Tracia, che di per sé costituiva già uno sforzo impegnativo, ma anche della
Macedonia orientale coi monti Rodopi. Nonostante il forte interesse dei bulgari per la Macedonia,
essa divenne un teatro di secondaria importanza ed infatti, come già detto, venne affidata ai serbi –
almeno la parte centro-settentrionale. Questo perché i generali di Sofia temevano un contrattacco
delle divisioni turche provenienti dall’Anatolia in Tracia e le linee bulgare non avrebbero letto
l’impatto. Il tutto avrebbe potuto rivelarsi una trappola per i bulgari, che, protesi troppi in avanti,
avrebbero rischiato un contrattacco, non esclusa un’invasione ottomana. Affidare quindi ai serbi una
parte della Macedonia, da un punto di vista strategico, si rivelò saggio, poiché, appunto, Sofia non
avrebbe retto due teatri operativi. Tuttavia, trascurare la Macedonia ebbe in seguito il suo prezzo
80
Ivetic, op. cit., p. 61. 81
Ivi, p. 62.
20
politico.82
Da un punto di vista militare, sotto molti aspetti, le armate balcaniche non differivano molto
l’una dall’altra. Tutte seguivano il modello europeo per l’addestramento, la logistica, le
comunicazioni e le tecniche sanitarie e tutte ritenevano che la quasi sempre illetterata fanteria
composta da contadini, indottrinata con l’appropriata ideologia nazionalista, fosse la base per il loro
atteggiamento militare. Nessuna delle quattro armate che componevano la lega conteneva
minoranze, erano eserciti di tipo omogeneo, infatti un’unica lingua di comando era un fattore
unificante. Anche da un punto di vista sociale si rispecchiavano dal momento che i contadini
formavano il nucleo dell’esercito. I loro ufficiali erano un mix di professionisti, il cui background
variava, e che in qualche caso erano stati addestrati all’estero.
L’esercito bulgaro era meglio equipaggiato; sia la sua fanteria che la sua artiglieria attirarono elogi
dagli osservatori stranieri. Il Maggiore T. Bentley Mott, delegato statunitense a Parigi nel 1910,
dopo un viaggio attraverso i Balcani, descrisse così l’esercito di Sofia:
L’esercito bulgaro è riconosciuto fra i circoli militari europei come eccezionalmente valoroso. Esso è
ristretto in numero, ben istruito [si presume da un punto di vista militare. Ndr.], e armato con le più
moderne fra le armi, scelte dai migliori fabbricatori in Europa. È stato costruito per anni come un
attrezzo affilato, pronto per l’utilizzo immediato al fine di difendere il paese dai potenti vicini che lo
hanno ripetutamente minacciato o anche sottomesso […].83
I suoi ufficiali vennero istruiti in Russia, Italia e Germania ed erano al corrente delle moderne teorie
militari. L’esercito poteva contare su una forza di 60.000 uomini in tempo di pace, che durante la
guerra crebbero fino oltre 350.000 unità84
, mobilitandone in tutto fino a 592.000. Il principale
compito dell’esercito bulgaro era coinvolgere la gran parte dell’esercito ottomano in Tracia
orientale.85
Allo scoppio della guerra l’euforia era generale, i giornali inneggiarono al grande momento
storico e alla solidarietà tra i popoli balcanici. All’insegna del motto «i Balcani ai balcanici», i
governi in carica, i premier Gešov, Pašić e Venizélos, toccarono il massimo consenso nazionale.
Gli esaltati toni nazionalisti ebbero il suo apice con il discorso del re bulgaro Ferdinando il 5 ottobre
1912, tre giorni prima l’inizio delle operazioni belliche:
Durante i 25 anni del Mio regno ho sempre lavorato pacificamente per il progresso, la felicità e la
fama della Bulgaria. E questa è la direzione verso la quale vorrei che i bulgari si dirigessero. Ma il fato
ha deciso in maniera diversa. È giunto il momento che tutti i bulgari debbano lasciare la loro vita
pacifica e prendere le armi per realizzare obiettivi gloriosi. […] La nostra propensione pacifica è
giunta al termine… al fine di aiutare i cristiani soggiogati in Turchia non abbiamo altra scelta se non
82
Ibid. 83
Hall, The Balkan Wars, cit., p. 16. 84
Ibid. 85
Crampton, Bulgaria, p. 411. Hall in The Balkan Wars, p. 24, stima che il numero di soldati mobilitati dai bulgari
raggiungesse la cifra di 599, 878 uomini – su una popolazione maschile complessiva di 1, 914, 160.
21
imbracciare le armi. È divenuto quindi ovvio che questo l’unico modo per proteggere la loro vita e i
loro possedimenti. […] Gli umani sentimenti cristiani, il sacro dovere di aiutare i vostri fratelli quando
la loro esistenza è minacciata, l’onore e la dignità della Bulgaria imposte su di Me, il dovere di
richiamare le bandiere, i figli della patria che sono pronti a difenderla. […] Ordino alle prodi armate
bulgare di invadere il territorio della Turchia! Assieme a noi contro il comune nemico, e per lo stesso
scopo, combatteranno le armate dei nostri alleati balcanici […]. E in questa battaglia, della Croce
contro la Mezzaluna, della libertà contro la tirannia, avremo la simpatia di tutti i popoli che amano la
giustizia e il progresso.86
Per quanto riguardava invece lo schieramento ottomano, esso possedeva nella Turchia europea,
alla fine di settembre del 1912, circa 290.000 soldati. Le unità erano diversificate secondo la
disposizione che risaliva alla legge sull’organizzazione militare del 1909, quando il servizio militare
fu reso obbligatorio per tutti i sudditi (fino ad allora ne erano esentati i cristiani, gli albanesi, alcune
popolazioni arabe e i cretesi). La mobilitazione ottomana nella Turchia europea, in particolare in
Macedonia, naturalmente incontrò una forte resistenza tra i sudditi cristiani; anche quando
richiamati, in molti disertarono.87
Inoltre l’esercito ottomano era a corto di armamenti ed
equipaggiamento. Fu il comandante dell’armata orientale stesso, Abdullah Pasha, nelle sue
memorie, ad affermarlo; faceva inoltre cenno alle difficoltà logistiche legate ai rifornimenti e allo
spostamento delle truppe. Questi deficit, aggiunti anche alla scarsità di ufficiali nell’esercito,
sancirono la netta inferiorità delle truppe ottomane rispetto a quelle dei nemici balcanici.88
È possibile definire il conflitto scatenato dalla Bulgaria e dai suoi alleati come una vera e propria
guerra lampo: dopo appena quaranta giorni dall’inizio delle operazioni89
venne firmato il primo
armistizio, in data 3 dicembre, con l’esclusione della Grecia, poiché le ostilità su tutti i fronti
andarono placandosi o si trovarono in una situazione di stallo. All'infuori di alcune zone
dell'Albania meridionale, dell'area tra Istanbul e Çatalca e delle città assediate di Adrianopoli,
Scutari e Giannina, tutti i territori europei dell'Impero ottomano risultavano occupati dai coalizzati.
Entrambe le parti erano esauste per i duri combattimenti sostenuti: già dal 19 novembre i bulgari
avevano iniziato trattative preliminari con gli ottomani per arrivare a un armistizio; l'iniziativa
bulgara, intensamente sostenuta dalla diplomazia russa, trovò l'appoggio di serbi e montenegrini
mentre i greci la respinsero, desiderosi com’erano di completare l'accerchiamento di Giannina e la
conquista delle isole dell'Egeo. I contendenti, in sostanza, concordarono sul mantenere le posizioni
acquisite e sullo sblocco dei porti bulgari sul Mar Nero - bloccati dagli ottomani all'inizio del
conflitto - e della ferrovia che transitava per Adrianopoli, onde meglio rifornire le truppe bulgare
stanziate in Tracia.
86
Manifesto to the Bulgarian People, 5 October 1912 in Workbook 3, The Balkan Wars, cit., p. 55. 87
Ivetic, op. cit., p. 67. 88
Izmir University of Economics, International Relations and EU, A.A. 2012-2013: Vildan DEMİRKIRAN, The
Balkan Wars (1912-1913). The war aims, policies of the belligerants and the Greater Powers, pp. 12-13. 89
Ufficialmente iniziarono l’8 ottobre 1912.
22
La Tracia rivelò essere la sfida più gravosa per le truppe bulgare e quindi gli alti comandi decisero
di impiegare ben tre armate. La prima sconfitta ottomana avvenne lungo la linea Adrianopoli-Inece-
Kirklareli (Kirk-Kilisse): le armate avversarie si fronteggiarono lungo un fronte di 60 chilometri per
tre giorni tra forze alla pari – 150.000 uomini per parte. La caduta di Kirklareli90
provocò il
cedimento della prima linea difensiva e un diffuso panico tra le truppe ottomane, che arretrarono
lungo tutto il fronte allestendo una seconda linea di sbarramento, con tanto di trincee, tra il fiume
Ergene e i villaggi di Lüleburgaz e Pinarhisar – era un fronte esteso per quasi 40 chilometri e
posizionato a circa 70 dal confine bulgaro-ottomano e a 150 da Istanbul. Durante l’avanzata
bulgara, Adrianopoli venne accerchiata e cadde nelle mani delle truppe di Sofia soltanto nel 1913:
la città si presentava come uno scoglio che i bulgari al momento non potevano affrontare, almeno
con tutte le loro forze. Il primo novembre, ancora una volta, gli ottomani, sconfitti, furono costretti
a ripiegare, in un completo collasso logistico, mancando di cibo e munizioni, mentre Adrianopoli
rimaneva sempre più lontana e isolata. I risultati delle armate bulgare furono eccezionali: avevano
ottenuto due vittorie in appena dieci giorni, inoltre giungevano notizie di costanti successi nella
regione del Rodope. A questo punto la Sublime porta preparò l’ultima linea difensiva che seperava
la capitale dalle truppe bulgare: posta a soli 30 chilometri da Istanbul, la linea di sbarramento si
estendeva per circa 45 chilometri, tra il Mar Nero e il Mar di Marmara, ed era costellata per buona
parte da piccoli fortini risalenti al 1877-78, mentre ai due estremi litoranei c’erano paludi e
acquitrini difficili da attraversare. Per Sofia, dettare la pace con le truppe nella capitale dell’antico
nemico che per secoli l’aveva soggiogata avrebbe permesso di ricavare il massimo vantaggio nelle
acquisizioni. Il Primo ministro Gešov, tuttavia, procedeva con cautela poiché temeva la reazione
della Russia, che si era dichiarata del tutto contraria alla conquista bulgara della metropoli.91
Da
parte tedesca e austro-ungarica non erano comunque arrivati segnali d’opposizione, mentre la
Francia e la Gran Bretagna non si erano espresse. Ciò nonostante i bulgari non riuscirono a sfondare
la terza linea di difesa e, di conseguenza, non arrivarono mai ad Istanbul, attestandosi invece su
quella linea per tutta la durata del conflitto. Erano esausti, perseguitati dal colera e con i
vettovagliamenti molto distanti: il desiderio di conquistare Costantinopoli spinse i bulgari allo
stremo delle loro forze. Se ci fossero riusciti, avrebbero conseguito un obiettivo che poche armate
nella storia avevano avuto il privilegio di conquistare. 92
La regione occidentale dei Balcani, inclusi Albania, Kosovo e Macedonia, fu meno importante
90
I consulenti militari tedeschi avevano sostenuto che la cittadina, «chiave dell’impero», poteva essere conquistata solo
dopo sei mesi di assedio e da un esercito pari a quello prussiano. Dopo la sua caduta, avvenuta in soli sei giorni, il
corrispondente del Daily Telegraph non lesinava esagerazioni, parlando di un «trionfo nella storia militare». Ivetic, op.
cit., p. 73. 91
Rossos, op. cit., pp. 88-89. 92
Cfr. Ivetic, op. cit., pp. 71-79 e cfr. Hall, The Balkan Wars, cit., pp. 22-44.
23
per la risoluzione della guerra e la sopravvivenza dell’impero ottomano di quanto, al contrario, fu la
Tracia. Tuttavia quest’area era anche l’obiettivo delle aspirazioni nazionali di Montenegro e Serbia
e, in gran parte, della Grecia che andarono a contrastare significativamente quelle della Bulgaria.
Le truppe serbe, affiancate da quelle montenegrine avanzarono da nord, mentre quelle greche da
sud. Ambedue gli schieramenti riportarono facili vittorie contro gli ottomani e le forze di Zeki
Pascià93
si ritirarono disordinatamente verso sud, perdendo gran parte della propria artiglieria e
cedendo larghe fette di territorio: il 26 ottobre la Prima Armata prese Üsküb praticamente senza
combattere, mentre il giorno successivo la Seconda Armata catturò İştip e Ustrumca. Le forze serbe
stavano ormai avanzando non solo nella “zona contesa”, ma anche all'interno della fetta di
Macedonia spettante alla Bulgaria; ciò nonostante il primo ministro bulgaro Gešov autorizzò i serbi
a continuare le operazioni e a puntare su Monastir, per paura che i greci, con cui non esistevano
accordi di spartizione, guadagnassero troppo terreno in Macedonia. In seno ai vertici greci vi erano
contrasti su quale dovesse essere l’obiettivo dell’Armata della Tessaglia, penetrata nel sud della
Macedonia all'alba del 18 ottobre: i comandi militari e lo stesso principe ereditario Costantino
puntavano all'occupazione di Monastir, mentre Venizelos spingeva per la conquista di Salonicco nel
più breve tempo possibile, nel timore che i bulgari fossero i primi ad arrivarvi. Alla volta della città
stavano dirigendo anche i bulgari. Incontrando una resistenza trascurabile, i bulgari presero Petriç,
Demirhisar e Serez, prima di svoltare a sud-est alla volta di Salonicco. I greci stavano intanto
completando l'accerchiamento della città, bloccata anche dalla parte del mare dalla flotta ellenica
che occupò con reparti da sbarco la penisola Calcidica; sottoposto a forti pressioni da parte del
governatore e dei rappresentanti degli stati europei perché evitasse distruzioni all'antica città, il
comandante della forze ottomane, generale Hasan Tahsin Pascià, decise di trattare: l’8 novembre la
guarnigione ottomana capitolò e i greci presero possesso della città, battendo sul tempo i reparti
bulgari che arrivarono il giorno successivo. Occupata Salonicco il principe inviò altre tre divisioni
in rinforzo alla prima, riuscendo a prendere il 20 novembre la città di Florina ma perdendo la corsa
per Monastir, conquistata dai Serbi. I greci estesero quindi le loro conquiste a ovest fino a Körice, in
Albania, e a est fino al lago Dojran e al monte Pangeo, completando l'occupazione della Macedonia
meridionale in meno di un mese.94
Alla fine del primo conflitto le armate serbe avevano raggiunto facilmente la vittoria ed emersero
come gli autori del successo nel teatro occidentale della guerra: non solo essi avevano sconfitto e
ricacciato le forze ottomane dal Kosovo e dalla Macedonia settentrionale alle quali aspiravano, ma
occuparono anche la Macedonia centrale e metà dell’Albania settentrionale assicurandosi così lo
93
Comandante delle forze ottomane nella valle del fiume Vardar. 94
Cfr. Ivetic, op. cit., pp. 80-87; cfr. Hall, The Balkan Wars, cit. pp. 45-48, 61-63 e cfr. Crampton, Bulgaria, pp. 411-
414.
24
sbocco sul mare, da sempre agognato. A questo punto si profilarono dei problemi all’orizzonte: le
Grandi potenze, specialmente Austria-Ungheria e Italia, avrebbero permesso alla Serbia di tenersi le
conquiste effettuate sul territorio albanese? Inoltre, avendo occupato anche larghe aree della
Macedonia promesse alla Bulgaria durante l’alleanza del marzo 1912, ciò avrebbe potuto creare
grossi problemi con l’alleato. Si apriva di conseguenza un grosso interrogativo: potevano i Serbi
cedere il territorio occupato dopo aver versato sangue su di esso per conquistarlo?
Il fronte meridionale aveva visto per la Grecia ottenere risultati contrastanti: essa aveva raggiunto i
suoi obiettivi principali, fra questi l’importante città di Salonicco. Da un punto di vista militare e
politico tuttavia, la sua vittoria rimase circoscritta. I greci ancora non avevano firmato un accordo
riguardo la spartizione territoriale con la Bulgaria. Truppe bulgare erano ancora presenti Salonicco e
non accennavano ad andarsene, dato che secondo i bulgari la città spettava di diritto a loro.
In sostanza, i conflitti per Salonicco e la Macedonia stavano danneggiando e avrebbero guastato
definitivamente i rapporti fra gli stati balcanici.
3.2 – Una pace difficile.
Alla fine del novembre 1912, le armate della Lega balcanica risultavano vittoriose su tutti i
fronti. Tuttavia lo sforzo della guerra aveva fiaccato le truppe e altrettanto valeva per gli ottomani
indeboliti a causa delle sconfitte. Eppure la vittoria di quest’ultimi a Çatalca aveva ridato loro
speranza. Nessuno dei contendenti era comunque capace di riprendere la guerra com’era stata
appena combattuta.95
La necessità di un armistizio era dunque impellente, se non altro per permettere alle truppe di
recuperare le forze. La principale finalità dell’armistizio era quella di stabilire le condizioni per un
cessate il fuoco. Di conseguenza, dopo ciò, i negoziati per il trattato di pace vero e proprio
sarebbero iniziati a Londra96
dato che i Balcani “disegnati” nel 1878 erano spariti e bisognava
tracciare il nuovo assetto della regione, con il consenso di tutti i soggetti coinvolti e quindi con
l’orchestrazione delle potenze.97
L’armistizio venne firmato dopo soli cinque giorni: secondo
l’accordo le tre fortezze assediate di Adrianopoli, Scutari e Janina non avrebbero ricevuto
rifornimenti, le truppe sarebbe rimaste nelle loro rispettive posizioni e gli ottomani avrebbero
dovuto sbloccare i porti bulgari sul Mar Nero far usar loro la ferrovia che passava per Adrianopoli
95
Hall, The Balkan Wars, cit., p. 69. 96
Ibid. 97
Ivetic, op. cit., p. 100.
25
senza bombardamenti di modo che i bulgari potessero rifornire le loro truppe a Çatalca. In sostanza
i termini dell’armistizio favorivano gli alleati balcanici, anche perché l’assedio delle tre fortezze
ottomane poteva proseguire, essendo queste indispensabili per gli aggressori. Tuttavia, se i bulgari
avessero almeno rinunciato alle loro pretese su Adrianopoli, avrebbero probabilmente strappato un
trattato di pace definitivo con gli ottomani piuttosto che solamente un armistizio.98
Nondimeno se i
bulgari avessero rinunciato ad Adrianopoli, come enclave turca, la Bulgaria forse avrebbe raggiunto
un accordo bilaterale e la pace con l’impero ottomano, ricavando quasi tutta la Tracia, senza dover
più trattare a Londra. Ma, dato che la Macedonia risultava occupata dai serbi, compresa «la zona
contesa», Adrianopoli era vista come un imprescindibile elemento di compensazione per quanto si
sarebbe dovuto perdere in ambito macedone.99
Il 16 dicembre si riunirono i rappresentanti degli stati alleati e dell’impero ottomano. La pace con
quest’ultimo si poneva al centro dell’attenzione Il deputato ottomano fu abile nel cercare di
allungare le trattative e prima di tutto contestò la presenza greca, visto che i greci non avevano
sottoscritto l’armistizio e continuavano ad attaccare Janina. Gli alleati posero le seguenti richieste
agli ottomani: cessione di tutta la Turchia europea a ovest della linea Rodosto (mar di Marmara) –
golfo di Malantra (mar Nero), eccetto la penisola di Gallipoli, ma comprese tutte le isole dell’Egeo
e ovviamente Creta. Istanbul, da parte sua, replicò che avrebbe rinunciato a «tutti i territori ad ovest
del vilayet di Adrianopoli, non quindi alla Tracia e nemmeno alle quattro isole di fronte agli
stretti»100
; inoltre, la Sublime porta era favorevole all’autonomia della Macedonia sotto la guida di
un principe protestante e per l’autonomia dell’Albania sotto sovranità ottomana. Ovviamente le
richieste maggiormente contrarie furono quella bulgara e quella greca, come risultava logico. La
Bulgaria si dimostrò irremovibile sulla Tracia, ma se Sofia avesse ceduto, almeno in parte,
probabilmente anche Atene sarebbe stata più flessibile per le isole e tutto, forse, si sarebbe
appianato in quel mese.101
Ma come sottolineò il luogotenente Sherman Miles, delegato militare
americano nei Balcani, «è fuori dubbio che il presente governo bulgaro possa sopravvivere
all’indignazione popolare che avrebbe certamente risvegliato una pace in cui il vilayet e la città di
Adrianopoli venissero lasciati ai turchi». Se da una parte l’intransigenza bulgara su Adrianopoli
costituì un ostacolo alla pace, anche quella turca di cedere Adrianopoli si rivelò un problema.102
Difatti nel gennaio 1913 un coup dei Giovani turchi a Costantinopoli rinvigorì la diplomazia del
98
Hall, The Balkan Wars, cit., p. 70. 99
Ivetic, op. cit., p. 100. 100
Ivi, p. 101. 101
Ivi, p. 102. 102
Cfr. il punto di vista di Hall, The Balkan Wars, cit., p. 71 e cfr. quello di Crompton, op. cit., p. 414.
26
paese: essi dettero chiare disposizioni di non cedere per nessun motivo la fortezza.103
Gli alleati
quindi si erano assicurati una facile vittoria militare ma le loro discussioni sulla divisione del
bottino dovevano ancora essere determinate da due fattori esterni: il primo era rappresentato dalla
Romania, l’unico paese balcanico che non aveva partecipato alla guerra. Ciò, da parte rumena,
venne giustificato dal fatto che essi avevano obbedito alle ordinanze delle Grandi potenze. I rumeni
domandarono la Dobrugia meridionale come compenso per essersi dichiarati neutrali. L’estensione
territoriale rumena si sarebbe dovuta verificare ai danni della Bulgaria, sollecitata da Austria-
Ungheria e Russia a cedere la regione. Tuttavia la perdita del territorio non fece altro che acuire la
determinazione dei bulgari a raggiungere i loro obiettivi in Tracia e Macedonia. Il secondo fattore
esterno che andava ad inficiare negativamente sul trattato di pace fu costituito dall’insistenza di
Vienna di creare un’Albania separata per evitare che la Serbia ottenesse il tanto agognato sbocco sul
mare. Belgrado, anche per dimostrare disponibilità verso la Russia e la Triplice Intesa, si proclamò
disposta a rinunciare all’Albania e, di conseguenza, rivolse le sue pretese verso la Macedonia. La
Bulgaria quindi si trovò in una situazione critica su ben tre fronti.104
Il 3 febbraio 1913 l’armistizio fu revocato e le ostilità contro i turchi ricominciarono. Non
rinunciando alle tre fortezze, gli alleati si vedevano costretti a sbloccare la situazione guadagnando
ancor più una posizione di forza conquistando Scutari, Janina e Adrianopoli. Il conflitto era
ricominciato, ma a Londra la conferenza degli ambasciatori non interruppe la sua attività. Il 5 marzo
Janina cadde, il 26 Adrianopoli e, soltanto il 22 aprile Scutari – che non fu espugnata ma si arrese.
Un nuovo armistizio fu firmato il 15 aprile fra bulgari e ottomani. Ma il procrastinarsi di un
definitivo trattato di pace non fece che acuire i problemi che si andavano creando fra la Bulgaria e
gli altri alleati. Da una parte il conflitto con la Serbia sulla questione Macedone, dato che per
Belgrado, privata di uno sbocco sul mare, essa assunse significati compensatori, e divenne il motivo
che mise in discussione l’intesa coi bulgari. Dall’altra, le problematiche con la Grecia derivanti
dalla spartizione della Tracia e dal futuro della cittadina si Salonicco.105
L’inamovibilità delle
truppe serbe nella «zona contesa» della Macedonia e l’assenza di piani chiari per la spartizione di
essa fra Sofia ed Atene, fece sì che Novaković, ex primo ministro della Serbia incaricato di trattare
con gli alleati, e Venizélos iniziassero a scambiarsi dei pareri sulla spartizione della regione alle
spalle di Danev.106
La firma del trattato di pace nel maggio 1913 determinò solamente la nascita dell’Albania e
l’annessione della Tracia da parte della Bulgaria, che aumentò in modo notevole la sua estensione
103
Ibid. Inoltre si preoccuparono di rinforzare il fronte in Tracia con l’ausilio di 35.000 uomini provenienti dall’Asia
minore. 104
Ivi, p. 415. 105
Ivetic, op. cit., p. 113. 106
Ivi, pp. 106-112.
27
territoriale. Tuttavia dovevano essere sciolti ancora molti nodi. Il primo nodo fu proprio quello che
vedeva contrapposte le rivendicazioni greche a quelle bulgare. Venizélos insisteva sull’importante
porto di Salonicco, all’interno del quale le truppe greche erano entrate con un giorno d’anticipo
rispetto a quelle bulgare, e per la divisione della Macedonia meridionale, includendo le città di
Kavala e Seres. Inoltre egli pretendeva una frontiera comune con la Serbia. In risposta, il governo di
Sofia insisteva sul principio di proporzionalità, sostenendo che «i territori conquistati avrebbero
dovuto esser divisi […] in proporzione allo sforzo e al sacrificio militare di ciascun paese».107
Risultava chiaro che il principio di proporzionalità andava a favorire i bulgari poiché essi avevano
sostenuto il maggior sforzo militare in Tracia. Ovviamente i greci dimostrarono poco entusiasmo di
fronte a questa proposta e invitarono i bulgari a fare un’offerta maggiore in termini di accordi.108
Venizélos propose addirittura uno scambio di popolazione una volta che i due paesi avessero
ottenuto rispettivamente tutta la Tracia (Bulgaria) e tutta la Macedonia meridionale (Grecia): i greci
di Tracia sarebbero stati ricollocati in Grecia e i bulgari di Macedonia in Bulgaria.109
La diplomazia
italiana, invece, non aveva un parere concorde: da una parte si era convinti che Salonicco dovesse
essere resa neutrale – inserendo un cuneo fra i tre stati, a chiaro vantaggio degli interessi economici
italiani – o assegnata alla Bulgaria, dall’altra furono invitati i dirigenti di Sofia ad avere un
atteggiamento più conciliante vero gli alleati – ormai sempre più nemici.110
Maggiormente aggressivo il comportamento della Serbia che, oltre al fatto di considerare la
Macedonia come una parte del suo retaggio storico, vedeva nella regione una compensazione per
aver perso lo sbocco sul mare. Già durante la Conferenza di Londra, il governo di Sofia aveva
cominciato a ricevere resoconti allarmanti riguardo truppe serbe che stavano rafforzando le loro
posizioni nella «zona contesa», la stessa zona il cui arbitrato spettava alla Russia. Tuttavia l’errore
dei bulgari fu proprio quello di dare per scontato che San Pietroburgo avrebbe favorito questi ultimi,
abbandonando di conseguenza la Serbia all’egemonia austro-ungarica. Belgrado costituiva un
partner troppo prezioso per estendere la propria influenza sui Balcani, probabilmente ancor di più
di Sofia.111
A San Pietroburgo erano consapevoli del rischio di una guerra interalleata e secondo Sazanov, la
Bulgaria avrebbe dovuto acconsentire alle richieste serbe e lasciar perdere, inoltre Salonicco. A San
Pietroburgo erano consapevoli del rischio di una guerra interalleata e secondo Sazanov, la Bulgaria
107
Crompton, op. cit., p. 417. 108
Cfr. ibid. e cfr. Hall, The Balkan Wars, cit., p. 75. 109
Rossos, op. cit., p. 156. 110
Guida, op. cit., p. 199. 111
Cfr. Hall, The Balkan Wars, cit., pp. 76-77 e cfr. Rossos, op. cit., pp. 163-167, in particolare p. 165 per le ragioni
serbe per di revisione del trattato del 1912 con la Bulgaria.
28
avrebbe dovuto acconsentire alle richieste serbe e lasciar perdere, inoltre Salonicco.
A questo punto, per i bulgari si profilavano tre possibilità:
1. I bulgari avrebbero potuto compiere una piccola incursione nella Macedonia occupata dai
serbi e dai greci al fine di forzare i loro vecchi alleati a sedersi al tavolo delle trattative e
risolvere la situazione scottante.
2. Sofia avrebbe potuto scatenare una guerra totale di conquista contro Serbia e Grecia.
3. Avrebbe potuto rimettere tutto il trattato del 1912 nelle mani della Russia.112
In ogni caso la soluzione che i quadri di Sofia ritenevano più probabile – e forse anche
giusta -, era quella militare. Eppure la Russia non era così ansiosa di vedere una rottura all’interno
del fronte balcanico.
In conclusione durante il periodo che intercorse fra il dicembre 1912 e il maggio 1913,
nessuno dei membri della Lega balcanica riuscì ad ottenere ciò a cui mirava, fatta eccezione per le
città assediate di Adrianopoli, Scutari e Janina. Questo periodo segnò anche l’isolamento della
Bulgaria, che aveva sostenuto lo sforzo più grande fra i paesi della Lega durante la guerra. Ciò
nonostante questo sforzo non fu compensato da conquiste territoriali e politiche: era scoppiata una
feroce lotta per l’accaparramento dei territori macedoni e, inoltre, i rumeni, gelosi del nuovo potere
bulgaro, fiancheggiata dalla Triplice alleanza, proposero di amputare la parte nord-orientale del
paese (Dobrugia).
112
Crompton, op. cit., p. 418.
29
Capitolo IV
La nuova Bulgaria
4.1 – La disfatta.
Un mese esatto trascorse dalla pace di Londra all’attacco della Bulgaria contro la Serbia e
la Grecia; la logica della soluzione bellica aveva ormai preso il sopravvento, in una fase in cui gli
antagonismi tra le potenze sembravano in stallo. La Bulgaria durante tutta la prima guerra balcanica
si era trovata esposta su più fronti e non era riuscita a risolvere nessuna delle questioni aperte con
gli stati confinanti; si era mantenuta rigida verso qualsiasi compromesso, confidando nel sostegno
della Russia e soprattutto nella forza del proprio esercito.113
Sia i bulgari, sia i greci, sia i serbi
percepirono la guerra come risoluzione per le loro dispute. Essenzialmente, tutti e tre i contendenti
combattevano per la Macedonia. La guerra si rivelò una ghiotta occasione per la Bulgaria che, nel
caso fosse riuscita a sconfiggere Serbia e Grecia, sarebbe diventata ancor più grande: una Bulgaria
più estesa avrebbe dominato i Balcani.114
La guerra iniziò per caso ma le conseguenze furono
irrefrenabili: infatti attorno alla Serbia e alla Grecia si formò una coalizione antibulgara, con il
Montenegro e poi la Romania, Infine, approfittando della situazione, rientrò in guerra anche
l’impero ottomano. La seconda guerra balcanica, seppur breve, si rivelò altrettanto cruenta.
Accerchiata su tutti i fronti, la Bulgaria si difese un mese, poi dovette accettare il trattato di pace di
Bucarest e perdere la Dobrugia e gran parte di quanto aveva conquistato.115
Subito dopo la firma del tratto di Londra, Gešov si dimise. Politicamente morto, ritenuto
troppo remissivo e incline alle soluzioni diplomatiche dalla corte e dai vertici militari, lasciò il posto
a Stojan Danev, l’uomo della determinazione nei negoziati londinesi. . Con lui prevalse la fazione
belligerante, il «partito della guerra», una corrente che radunava politici, generali e lo stesso
sovrano, contrari a qualsiasi trattativa. Infatti, nonostante San Pietroburgo facesse il possibile per
evitare una “guerra fratricida”, Sofia, al contrario, fu dura poiché Danev era convinto che «a ogni
colpo bisognava controbattere con uno più forte».116
L’atteggiamento di Sofia, accompagnato anche
da un ultimatum per richiedere a San Pietroburgo di definire la situazione chiaramente, indispettì
molto lo zar, il quale pensò che dietro la Bulgaria si celasse una delle potenze dell’Intesa. Il 30
giugno, senza che nessuno avesse dato l’ordine, il generale Savov attaccò le linee serbe e greche
lungo tutta la linea di demarcazione fino al porto di Leftera. Quell’atto fu l’inizio della guerra. A
113
Ivetic, op. cit., p. 123. 114
Hall, The Balkan Wars, cit., p. 107. 115
Ivetic, op. cit., p. 123. 116
Ivi, pp. 123-124.
30
nulla valse la destituzione di Savov per alto tradimento.117
Dapprima Greci, Serbi e Montenegrini
resistettero saldamente all'attacco dell'ex alleato bulgaro, passando in seguito all'offensiva. Dello
scoppio di questo nuovo conflitto nei Balcani subito approfittarono gli Ottomani, che il 20
luglio1913 attaccarono la Bulgaria orientale riconquistando Adrianopoli, e i Rumeni, che,
avanzando pretese sulla Dobrugia), scesero in armi contro i Bulgari e, passato il Danubio, si
diressero a Sofia. Al termine del Conflitto, il 10 agosto del 1913, dopo faticose trattative si
raggiunse un accordo e a Bucarest fu firmata una pace, che avrebbe modificato profondamente la
geografia politica dei Balcani.118
4.2 – La mutilazione della Bulgaria.
La seconda guerra balcanica fu un completo disastro per la Bulgaria, che pagò a caro
prezzo la sua intransigenza e la sua, in parte, ingenua convinzione di avere sempre la Russia dalla
propria parte.
L’impero ottomano venne escluso dalle trattative tenute a Bucarest, per cui dovette
firmare una pace separata con la Bulgaria; questo si verificherà più tardi a Costantinopoli. La pace
con gli ex alleati si rivelò una catastrofe per Sofia: quest’ultima perdeva la quasi totalità dei territori
conquistati, essendo stati spartiti fra gli stati confinanti. Il maggior vantaggio ottenuto dagli altri
stati balcanici fu la divisione della Macedonia in tre parti. Questo smembramento, oltre a costituire
un vero e proprio smacco per la Bulgaria, che perdeva definitivamente la regione considerata come
la “culla” della propria civiltà, significava rinunciare ad una regione strategica, considerata chiave,
per egemonizzare i Balcani. Sofia riuscì solamente a “salvare” una piccola porzione della regione
nell’area sud orientale, assimilabile all’odierno distretto di Blagoevgra. La Grecia ottenne, oltre
all'isola di Creta, Salonicco, la regione dell'Epiro, una buona parte della Macedonia (fino a Bitola) e
Cavala. La Serbia raddoppiò quasi il suo territorio, annettendo all'incirca tutta la Macedonia, mentre
la Romania si annetté Silistra, quasi tutta la Dobrugia e parte della costa bulgara sul Mar Nero. Per
la Grecia e la Serbia, a conti fatti, la pace di Bucarest fu un successo oltre le loro aspettative. Non
solo esse acquisirono più territori di quanti ne avessero conquistati nella prima guerra balcanica, ma
la posizione di forza della Bulgaria nella penisola balcanica era stata enormemente ridimensionata.
La Serbia, in particolare, divenne adesso la maggiore potenza militare a sud del Danubio. Inoltre, è
necessario aggiungere che Belgrado, da quel momento in poi, godette dell’appoggio esclusivo di
117
Ibid. 118
Cfr. Rossos, op. cit., pp. 189-195 e per una lettura più approfondita riguardo le operazioni belliche, vedi Hall, The
Balkan Wars, cit. pp. 107-129.
31
San Pietroburgo nella regione. I rumeni, in conclusione, si erano proclamati «arbitri della penisola».
Non solo la Bulgaria aveva perduto la Macedonia, ma il paese risultava esausto dopo due anni di
guerra: tuttavia i bulgari non erano disposti a riconoscere le perdite del trattato di Bucarest come
permanenti. Dimitur Tonchev, leader della delegazione bulgara a Bucarest, osservò: «O le Grandi
potenze lo cambieranno [il trattato], oppure lo distruggeremo noi stessi».119
Il seguente estratto di
un giornale bulgaro esplicava al meglio l’aria che si respirava nel paese in seguito alla pace: «Il
trattato di pace è stato firmato […], ma non ci sarà mai alcuna pace in tutti i Balcani. Non ci può
essere pace dove c’è violenza. Il trattato di pace di Bucarest costituisce un’approvazione di tale
violenza. La Bulgaria non si riconcilierà mai con esso. Mutilata, ristretta, saccheggiata, soffocata,
stuprata, comincerà a lavorare all’interno delle sue frontiere per rafforzare i suoi poteri economici,
culturali e fisici dieci volte di più, cosicché, alla prima occasione, si riprenderà ciò che le appartiene
sia per diritti nazionali sia per diritti storici».120
Le posizioni prese in politica estera dalla Bulgaria
negli anni a venire, ma soprattutto un anno dopo allo scoppiare della Prima guerra mondiale,
avallarono queste parole.
Sistemati gli ex alleati, la Bulgaria dovette affrontare le trattative di pace con l’impero
ottomano. Sofia non aveva altre scelte se non trattare, essendo gran parte della Tracia orientale
occupata e con alcuni reparti di cavalleria ottomana che compivano incursioni nei territori bulgari
prebellici. Tuttavia in suo soccorso arrivò la Russia che compì numerosi tentativi di conservare
almeno Adrianopoli per i suoi alleati. Nessun’altra Potenza era interessata alla questione, e i russi
non erano preparati ad agire da soli, potettero quindi fare ben poco. A questo punto i bulgari
sperarono almeno di conservare la fortezza di Lozengrad, soprattutto in virtù del fatto che la
Bulgaria, avendo sconfitto i turchi su tutti i fronti, non avrebbe potuto finire per cedere tutto ciò che
era stato conquistato sul campo di battaglia col sangue dei suoi figli. Ma anche questa speranza
svanì presto poiché gli ottomani risposero che ciò che avevano conquistato era loro. I bulgari
mantennero solamente l’angolo nord-orientale della Tracia confinante col Mar Nero.121
Tuttavia una
piccola porzione della Tracia occidentale, almeno secondo la diplomazia italiana, rimaneva sotto
sovranità bulgara a partire dalla riva destra della Marica – costituente ancora oggi il confine tra
Turchia e Grecia dopo che la Bulgaria nel 1919 fu allontanata dall’Egeo.122
Dopo i trattati di pace, il paese usciva dalle due guerre prostrato dal prolungato sforzo che
aveva compiuto. La sconfitta di questo importante attore balcanico produsse importanti
cambiamenti sia a livello politico interno, sia a livello geopolitico.
119
Hall, The Balkan Wars, cit., pp. 123-125. 120
Narodna Volya, The peace traty is signed, No. 58, 26 luglio 1913 in Workbook 3, After the war, cit., p. 106. 121
Cfr. Hall, The Balkan Wars, cit., pp. 125-126 e cfr. Rossos, op. cit., pp. 202-205. 122
Guida, op. cit., p. 231.
32
4.3 – Cambiamenti interni ed esterni: la Bulgaria come ago della bilancia nei Balcani.
Ancor prima della fine della seconda guerra balcanica, visti i rapporti catastrofici provenienti dal
fronte, il governo filorusso di Stoyan Danev rassegnò le proprie dimissioni in data 13 luglio 1913.
La sua posizione, oltretutto, divenne indifendibile quando i russi fallirono nel tentativo – non
proprio semplice – di lenire il disastro bulgaro. Il governo che lo sostituì, quattro giorni dopo, venne
formato da politici con posizioni russofobe che guardavano alla Germania e all’Austria-Ungheria
per salvare il proprio paese dall’invasione e per guidare la “nuova” Bulgaria del dopoguerra.123
Questo governo venne guidato da Vasil Radoslavov.124
L’ascesa al potere dei liberali simboleggiò
la fine dell’influenza russa in Bulgaria. Segnò l’inizio di un nuovo corso nella politica etera del
paese balcanico, un percorso di stretta e intima collaborazione con le potenze della Triplice
alleanza.125
La breve ascesa dello stato indipendente bulgaro sullo scacchiere balcanico si presentò come
l’affermarsi di una nuova potenza; attirare la Bulgaria nella sfera d’influenza austro-ungarica o
russa avrebbe significato assicurarsi l’egemonia sulla regione e l’esclusione dell’altra potenza nella
medesima zona. Tuttavia, sin dalla sua nascita, la Bulgaria indipendente gravitò, sia pur con alti e
bassi, nell’orbita dell’interesse russo e solo con la fine dei due conflitti balcanici, e il fallimento
della politica estera russa, furono avviati sempre più stretti contatti con le potenze della Triplice e,
più nello specifico, con la Duplice Monarchia.
Una valutazione immediata potrebbe far pensare che i bulgari stessi siano stati gli autori della
propria sconfitta126
, eppure a seguito di un’analisi più accurata è possibile mettere in discussione
questa lettura univoca poiché anche la diplomazia russa ha avuto delle responsabilità considerevoli.
Occorre quindi assumere un punto di vista diverso, non considerando le scelte bulgare come del
tutto autonome e completamente avulse dal contesto, giacché è possibile che tali decisioni siano
state indotte e in parte anche forzate da agenti esterni. Dopotutto il richiamo al panslavismo ebbe
più fortuna in Russia che in Bulgaria: furono i russi che si prodigarono per riscoprire la «culla della
loro civiltà» e quindi a proporsi come protettori dei loro cugini. Da parte bulgara l’interesse fu
piuttosto limitato e altalenante nel corso del tempo.127
È necessario prima di tutto fare una considerazione di carattere generale: la Bulgaria, al
contrario della Serbia, non era costretta dalla sua storia e dalla sua stessa posizione geografica a un
irrevocabile antagonismo contro l’Austria-Ungheria. Essa poteva sia essere legata alla Russia, e
123
Hall, The Balkan Wars, cit., pp. 119-120. 124
Loveč, 27 luglio 1854 – Berlino, 21 ottobre 1929. È stato un politico bulgaro e primo ministro del Regno di Bulgaria
per due differenti mandati. Fu primo ministro del proprio paese durante la maggior parte della prima guerra mondiale. 125
Rossos, op. cit., p. 196. 126
È l’opinione di Hall, The Balkan Wars, cit., p. 127. 127
Todorova, op. cit., pp. 142-144.
33
quindi all’Intesa, sia, come avvenne dopo le guerre balcaniche, avvicinarsi all’Austria-Ungheria. In
poche parole era un punto caldo dello scacchiere balcanico cui bisognava prestare attenzione.128
L’avvicinamento di Sofia a San Pietroburgo dovette attendere almeno il 1910: a causa della
debolezza russa dimostrata nella guerra contro il Giappone nel 1905, la capitale bulgara divenne
sempre più conscia del fatto che la sua protettrice, almeno al momento, non poteva essere di certo la
Russia. Da quel momento Sofia decise di rafforzare il suo esercito in vista di un futuro conflitto con
l’impero ottomano.129
Nonostante la Bulgaria fosse uno stato storicamente sotto la protezione di San
Pietroburgo – non bisogna dimenticare la guerra sostenuta dalla Russia nel 1877-88 contro l’impero
ottomano – non divenne mai obbediente come i russi avevano sperato. I gruppi politici filorussi e
quelli occidentalisti si contendevano il controllo della politica estera, e il gruppo dirigente sfruttava
la particolare collocazione strategica del paese spostando la propria fedeltà da una potenza all’altra.
Lo stesso sovrano, Ferdinando, manovrava tra le fazioni ministeriali filorusse e quelle filotedesche.
Sir George Buchanan sostenne che il sovrano bulgaro «ebbe sempre come regola quella di non
impegnarsi in nessuna ben determinata linea di azione».130
La crisi per l’annessione della Bosnia
provocò un raffreddamento dei rapporti con San Pietroburgo, perché Ferdinando si allineò
temporaneamente a Vienna, sfruttando il momento per accantonare il Trattato di Berlino – con cui
la Bulgaria era stata definita un principato autonomo nell’ambito dell’impero ottomano –, dichiarare
l’unità e l’indipendenza bulgare e autoproclamarsi zar dei bulgari. Nonostante la diplomazia russa
fosse rimasta irritata dalla “slealtà” bulgara, quando le truppe ottomane iniziarono ad ammassarsi
sui confini di Sofia, quest’ultima si rivolse all’antica protettrice per ottenerne la protezione. Tutto fu
perdonato e i russi negoziarono per l’indipendenza da Costantinopoli e la Bulgaria divenne, per un
certo tempo, un fedele partner regionale dell’Intesa. Si deve comunque osservare che tali rapporti
avrebbero dovuto anche tener conto degli interessi della Serbia.131
La tendenza russofila da parte di
Sofia venne confermata anche dalla composizione del nuovo Gabinetto di governo: gli obiettivi
della Russia prendevano forma nella volontà di comporre un’alleanza balcanica diretta al
contenimento dell’Austria-Ungheria.132
D’altro canto Sofia fu spinta ad assumere una posizione più
chiara anche perché i politici bulgari credettero che la «zona contesa» sarebbe stata alla fine
concessa a quest’ultimi, in virtù della loro tradizionale amicizia con la Russia.133
È proprio su
questo tema, invece, che, già dopo la prima guerra balcanica, le relazioni tra San Pietroburgo e
128
Guida, op. cit., p. 183. 129
Hall, The Balkan Wars, cit., p. 7. 130
Clark, op. cit., p. 296. 131
Ivi, pp. 296-297. 132
Crompton, op. cit., p. 402 e Hall, The Balkan Wars, cit., p. 11. 133
Ivi, p. 12. Inoltre non bisogna dimenticare che era la Russia ad assumersi la responsabilità di “arbitro” fra Serbia e
Bulgaria per la «zona contesa».
34
Sofia si guastarono. Nicola II ebbe difficoltà nel gestire tutta la situazione, in particolare
l’atteggiamento intransigente bulgaro ma anche l’aggressività serba. A detta dello zar, gli stati
balcanici erano come «dei ben educati giovanetti» che una volta cresciuti si comportavano come
«teppisti incalliti». Inizialmente Sazanov si orientò verso la Bulgaria, incolpando la Serbia,
comprensibilmente, per aver rifiutato di ritirarsi dalle aree conquistate. Ma alla fine di Marzo 1913,
il ministro degli Esteri russo era passato di nuovo dalla parte di Belgrado e sollecitava Sofia a fare
concessioni.134
Probabilmente i bulgari si aspettavano che San Pietroburgo, alla fine dei conti,
riuscisse a svolgere la meglio il ruolo di arbitro. Ma già nel 1909 si manifestarono dei segnali
d’allarme: infatti il Primo ministro bulgaro Aleksandr Malinov era dubbioso sul fatto che i russi
riuscissero a creare, al tempo stesso, una Grande Bulgaria e una Grande Serbia.135
Ma la successiva
ed eccessiva russofilia di Danev condannò Sofia ad un ruolo di sudditanza rispetto a San
Pietroburgo, o comunque una forte dipendenza.136
La mentalità della Russia entrò completamente in
rotta di collisione con Sofia nel giugno 1913: questo implicava il fatto che i russi avevano fallito nel
sostenere la Bulgaria, la quale, dopo la seconda guerra balcanica, perse la sua leadership nei
Balcani. Dal punto di vista bulgaro, l’atteggiamento dell’impero russo fu recepito quasi come un
abbandono da parte dei loro liberatori e protettori.137
A causa dell’incapacità russa di mediare fra gli stati balcanici e regolare le loro relazioni, San
Pietroburgo fu costretta a perdere la propria posizione di forza, costruita inizialmente su una Lega
Balcanica a guida bulgara, utile allo zar come solida barriera antiaustriaca.138
134
Clark, op. cit., p. 298-299. 135
Ivi, p. 297. 136
Hall, op. cit., p. 103. 137
Ivi, pp. 104-106 e Crompton, op. cit., p. 424. 138
Guida, op. cit., p. 195.
35
Conclusioni
Conclusioni
Le due Guerre Balcaniche eliminarono l’impero ottomano dall’Europa, fatta eccezione per la
piccola porzione della Tracia orientale, sconvolse i confini della penisola balcanica, e stabilì uno
stato albanese, fragile ma indipendente. La vicinanza e la somiglianza delle esperienze balcaniche e
della Prima guerra mondiale enfatizzò il legame fra i due conflitti. In essi, soldati coscritti, motivati
da ideologie nazionaliste, spesso combattevano fino allo sfinimento materiale, morale e fisico.
Utilizzarono spesso gli stessi strumenti, tattiche, e strategie. La guerra di trincea vissuta a Çatalca
presagì lo stallo del fronte occidentale e il colera si propagò come avveniva con l’influenza,
mietendo vittime da ambo i lati ed incidendo sui costi umani. Infine, sebbene la fine dei
combattimenti avesse prodotto chiare vittorie, i vinti, una volta riorganizzatisi, tentarono di
riaffermare la propria posizione e riguadagnare il terreno perduto. Proprio come nella Prima guerra
mondiale, ogni esercito, seppur con qualche minima eccezione, portò avanti la propria guerra e la
mancanza di coordinazione fra i vari eserciti fu un fattore determinante per la disgregazione della
Lega. L’esperienza delle Guerre Balcaniche fallì nel vano tentativo di mostrare agli altri
establishments militari europei quale fosse la vera natura della guerra moderna. Infatti i delegati
stranieri impegnati nell’osservare l’andamenti del conflitto ignorarono molte delle lezioni tattiche
che sarebbero divenute molto importanti durante la Prima guerra mondiale. Proprio a causa di
questi deficit, qualche anno più tardi molti soldati avrebbero perso la vita nelle trincee. Inoltre, lo
scopo degli eccidi consumatisi ai danni delle popolazioni coinvolte, era quello di raggiungere
l’omogeneità etnica per creare lo stato-nazione perfetto. Il terrore volontario causato dall’odio, dal
saccheggio, dagli omicidi, e dagli stupri era inteso come un incitamento per smuovere interi popoli
al di fuori di un particolare lembo di territorio.
La Bulgaria, infine, uscì destabilizzata dalle due guerre che ne arrestarono la continua
crescita economica e provocarono 58.000 morti e più di 100.000 feriti. Ad ogni modo la spinta
revanscista per recuperare il territorio macedone rimase estremamente potente. Sofia, durante il
periodo interbellico, si era dimostrata estremamente intransigente e completamente contraria ad
ogni minima concessione. Ciò, aggiunto all’eccessiva fiducia riposta nella Russia zarista, contribuì
ad isolare sempre di più il paese che ben presto si ritrovò in una guerra contro gli ex alleati,
perdendo poi gran parte dei territori acquisiti durante la prima guerra balcanica a costo di numerosi
sacrifici. Tuttavia anche l’aggressività Serba e Rumena contribuirono in modo determinante sulle
errate scelte diplomatiche bulgare.
36
Bibliografia
Albrecht-Carrié, René. Storia diplomatica d’Europa 1815-1968. Bari; Laterza, 1978.
Clark, Christopher, e David Scaffei. I sonnambuli: come l’Europa arrivò alla grande guerra.
Roma ; Bari: GLF editori Laterza, 2013.
Crampton, Richard J. Bulgaria: 1878-1918: A History. New York: Columbia university press,
1983.
Crampton, Richard J. Eastern Europe in the Twentieth Century and after. 2. ed. London ; New
York: Routledge, 1997.
Guida, Francesco. La Bulgaria dalla guerra di liberazione sino al trattato di Neuilly, 1877-1919:
testimonianze italiane. Roma: Bulzoni, 1984.
Hall, Richard C. The Balkan Wars 1912-1913: Prelude to the First World War. London ; New
York: Routledge, 2000.
Ivetic, Egidio. Le guerre balcaniche. Bologna: Il mulino, 2006.
Rossos, Andrew. Russia and the Balkans: Inter-Balkan Rivalries and Russian Foreign Policy,
1908-1914. Toronto [etc.]: University of Toronto press, 1981.
Todorova, Marija Nikolaeva. Immaginando i Balcani. Lecce: Argo, 2002.
Yavuz, Mehmet Hakan, e Isa Blumi, a c. di. War and Nationalism: The Balkan Wars, 1912-1913,
and Their Sociopolitical Implications. Salt Lake City: The University of Utah Press, 2013.
Saggi
Vildan DEMİRKIRAN, The Balkan Wars (1912-1913). The war aims, policies of the belligerants
and the Greater Powers. Izmir University of Economics, International Relations and EU, A.A.
2012-2013.
37
Risorse online
Workbook 3, The Balkan Wars, a cura di V. Kolev e C. Koulouri, Center for Democracy and
Reconciliation in Southest Europe, Thessaloniki, 2005, come parte del progetto Teaching
Modern Southest European History.
38
Appendici
Allegati
Alleg. a: I confini della Bulgaria secondo il trattato di Santo Stefano del 3 marzo 1878. Nella
tonalità più scura il Principato di Bulgaria; in tonalità chiara la Rumelia orientale.
39
Alleg. b: La Bulgaria e gli altri stati balcanici alla fine della Prima guerra balcanica.
Alleg. c: Cambiamenti territoriali dopo la Seconda guerra balcanica.
40
Alleg. d: Suddivisione della popolazione macedone per gruppo etnico fra la fine del XIX sec. e
l’inizio del XX in Workbook 3, The Balkan Wars, p. 41.
Statistiche bulgare (Mr. Kantchev, 1900)
Statistiche serbe (Mr. Gopcevic, 1889)
Statistiche greche (Mr. Delyani, 1904)
(non considerato il
vilayet del Kosovo)
Turchi 499204 231400 634017
Bulgari 1181336 57600 332162
Greci 228702 201140 652795
Serbi 700 2048320 /
Ebrei 67840 64645 53147
Albanesi 128711 165620 /
Valacchi 80767 69665 25101
Rom 54557 28730 8911
Vari 16407 3500 18685
Totale 2258224 2870620 1724818