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Eugenio Milonis 61 anni, psicoterapeuta, fondatore di un centro di asinoterapia, Introdacqua (L’Aquila) “La maggior parte dei bambini che vengono nel nostro centro di onoterapia non hanno mai visto un asino. La prima reazione è di paura. Poi iniziano a prendere confidenza con l’animale, se è cucciolo sembra un peluche, si avvicinano, lo accarezzano, ci giocano. E attraverso la pet therapy grandi e piccini si rimettono in relazione con la loro parte emotiva. Perché gli esseri umani hanno bisogno di contatto, anche fisico: se vissuto con l’animale non è peccato, non è più un tabù. I pazienti che andavano da Freud avevano problemi d’isteria. Quelli di oggi hanno altri problemi, di insoddisfazione, depressione, senso di vuoto, ma soprattutto hanno difficoltà a vivere relazioni normali, relazioni affettive. Il primo a giovarsi dell’onoterapia sono io. Fare una passeggiata con l’asino significa riacquistare un ritmo lento, fondamentale per il nostro equilibrio”. Giovanni Vadalà 81 anni, bottaio, Vittoria (Ragusa) “Se guardo i grandi scienziati, i grandi geni, mi sento un maestro da due soldi, il più piccolo degli artigiani, io che nella mia vita ho costruito più di 4mila botti! In fondo, siamo tutti uomini e per essere bravi abbiamo bisogno delle stesse qualità: umiltà e creatività”. Francesco Esu 60 anni, minatore in pensione, Buggerru (Cagliari) “Il minatore è come una corda di canapa: se la tiri troppo si spezza, ma basta un nodo e continua a lavorare. Gli altri lavoratori, invece, sono come corde d’acciaio: resistentissime, ma se si spezzano non si possono più riannodare”.

Ritratti, Feltrinelli Ed. 02

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Eugenio Milonis61 anni, psicoterapeuta, fondatore di un centro di asinoterapia,Introdacqua (L’Aquila)

“La maggior parte dei bambini che vengono nel nostro centrodi onoterapia non hanno mai visto un asino. La prima reazione èdi paura. Poi iniziano a prendere confidenza con l’animale, seè cucciolo sembra un peluche, si avvicinano, lo accarezzano, cigiocano. E attraverso la pet therapy grandi e piccinisi rimettono in relazione con la loro parte emotiva. Perchégli esseri umani hanno bisogno di contatto, anche fisico:se vissuto con l’animale non è peccato, non è più un tabù.I pazienti che andavano da Freud avevano problemi d’isteria.Quelli di oggi hanno altri problemi, di insoddisfazione,depressione, senso di vuoto, ma soprattutto hanno difficoltàa vivere relazioni normali, relazioni affettive. Il primoa giovarsi dell’onoterapia sono io. Fare una passeggiata con l’asino significa riacquistare un ritmo lento, fondamentaleper il nostro equilibrio”.

Giovanni Vadalà81 anni, bottaio, Vittoria (Ragusa)

“Se guardo i grandi scienziati, i grandi geni, mi sentoun maestro da due soldi, il più piccolo degli artigiani,io che nella mia vita ho costruito più di 4mila botti! In fondo,siamo tutti uomini e per essere bravi abbiamo bisognodelle stesse qualità: umiltà e creatività”.

Francesco Esu60 anni, minatore in pensione, Buggerru (Cagliari)

“Il minatore è come una corda di canapa: se la tiri tropposi spezza, ma basta un nodo e continua a lavorare. Gli altrilavoratori, invece, sono come corde d’acciaio: resistentissime,ma se si spezzano non si possono più riannodare”.

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Maria Josè Piscopello 42 anni, operaia calzaturiera, Casarano (Lecce)

“Nel 2000 sono stata in cassa integrazione. La Filanto era in crisi e si andava a rotazione, toccavaun po’ a tutti, è toccato anche a me. Sono stata acasa per sei mesi. Un periodo difficile, fatto di ansiae insicurezza. Ero troppo giovane per andare in pensione e troppo vecchia per trovare un altroposto. Dopo tanti anni, dopo 23 anni di catena di montaggio, non so fare niente, non ho imparatoniente”.

Gabriella Caponio 29 anni, operaia specializzata, Santeramo in Colle (Bari)

“Sto ancora con i miei. E come faccio ad andare a vivere da sola o con il mio fidanzato? Nessunabanca mi concederebbe un mutuo per comprarecasa: con la crisi del settore, nel triangolo del salotto,tra Santeramo, Gravina e Altamura, oggi lavori,domani chissà. Siamo sempre precari e questo spingegli operai ad accettare compromessi. Qui in un’azienda in conto lavorazione dellaNatuzzi siamo tutti giovani, l’età media è sui 25anni. Si ride, si scherza, si sta allegri ma bisognarispettare i tempi: in otto ore, 480 minuti di produ-zione. Un lavoro ripetitivo ma mai noioso. Ci vuolegrande concentrazione, attenzione e precisione: seti distrai, ti giochi le mani. Le mani sono la cosa più preziosa che ho, maanche la più bistrattata. Soffro di infiammazione ai tendini e di sindrome del tunnel carpale”.

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Giovanni Lauretta55 anni, responsabile del personale in un vivaio, Vittoria (Ragusa)

“Abbiamo lottato per introdurre il lavoro femminile nel vivaio.In Sicilia c’è da sempre un pregiudizio sulle donne e il ciclomestruale: i soci della cooperativa non volevano prendersi le piantine che erano state toccate da una lavoratrice, perchéconvinti che si sarebbero seccate. Una falsa credenza dura a morire. Prima contavamo 35 operai, tutti maschi. Adessoinvece abbiamo uno staff di stagionali donne e solo 4 uominiassunti a tempo indeterminato. Una grande vittoria, specie in un paese come il nostro dove la donna doveva stare a casa”.

Roberto Nati57 anni, ingegnere dirigente d’azienda, Capalle (Firenze)

“La maggior parte degli interinali sono extracomunitari, perchésono più disponibili a lavorare su turni: nei giorni di festa si vedono solo loro in azienda. Io sono molto fortunato. Da quando ho iniziato, ho sempre fatto lavori che mi piacevano. Voglio andare in pensione sapendo che dalgiorno in cui mi sono laureato mi sono sempre divertito”.

Antonella Pani33 anni, autista di autobus e avvocatessa, Roma

“I miei genitori hanno speso la loro vita per farmi studiare.Io mi sono applicata e ho preso la laurea in giurisprudenza.Nel frattempo ho partecipato a un concorso per sole donneper prendere le patenti e diventare autista part-time dell’aziendadi trasporto pubblico di Roma. L’ho fatto per scherzo, convintache i concorsi se li aggiudicassero i raccomandati. Pur non conoscendo nessuno, l’ho vinto, e ora ho un posto di lavoro‘sicuro’. Quando io e le mie compagne siamo entrate in aziendaabbiamo dovuto rompere un pregiudizio: far abituare il pubblicoe i colleghi maschi. Oggi invece le ragazze sono le mascottedel gruppo, coccolate da tutti. I primi giorni che guidi un autobusvai piano, ma proprio piano, perché hai paura che i passeggericadano. E di notte sogni di perderti, che ti si smontano i pezzidell’autobus, che ti danno una vettura che non frena. Forse perché la responsabilità è tanta. Ma lo stipendio èpoco. Farò l’autista tutta la vita? Non so. Ho finito la pratica,ho sostenuto l’esame di avvocato e adesso devo decidere”.

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Pina Mazzotta83 anni, tabacchina in pensione, San Cesario (Lecce)

“Ho iniziato con il tabacco dopo la quinta elementare, c’erasolo quello da fare. Allora nessuno voleva andare al tabaccoperché era nocivo per la salute. Ma intanto chi aveva bisognocome me ha lavorato per tanti anni. Noi eravamo quattrosorelle ed eravamo ben viste perché lavoravamo per tutta la stagione. I chilometri che facevamo a piedi per andare alla fabbrica non li so, però ricordo che si partiva con le luciaccese la mattina e si tornava con le luci accese la sera,tanto era lontano. Dopo la guerra le cose si sono messe un po’ meglio, ma adesso vedo che si sta tornando indietro,la situazione sta peggiorando. E le persone anziane che hannovissuto il passato vedono di nuovo ritornare quel passato”.

Antonio Valente 37 anni, operaio, Taranto

“Il datore di lavoro non voleva il sindacato in azienda: con le buone e con le cattive cercava di far cancellare i tesserati.Si lavorava 12-16 ore al giorno, niente sicurezza, niente diritti.Ma grazie alla compattezza dei lavoratori e alla Fiom Cgil, le cose sono cambiate”.

Emanuele Catapano 40 anni, operaio, Taranto

“Nell’azienda dove lavoro, un appalto Ilva, prima c’erala cassa integrazione e non c’era il sindacato. Adessoc’è la Fiom Cgil e da 10 operai siamo diventati 70. Paura nell’affermare i nostri diritti? All’inizio un po’,ma oggi le cose vanno bene”.

Gaetano Mongelli54 anni, caposcalo all’aeroporto, Bari

“In Alitalia ci sentivamo come una specie di ministero, anchese poi dovevamo affrontare la concorrenza. La crisi ha creatoqualche momento di panico, ma si è riusciti a mettere in piediun piano di risanamento in accordo con le rappresentanzesindacali e questo ci dà un margine di tranquillità. So chedobbiamo affrontare ancora qualche sacrificio, ma se l’obiettivoè far tornare la compagnia a quello che era fino a dieci annifa, i sacrifici noi li accettiamo. L’Alitalia ce la può fare perchépuò contare sui suoi dipendenti, abituati a lavorare in gruppoe a rimboccarsi le maniche. Privilegi, i nostri? Se è un privilegio alzarsi tutti i giorni comeme alle 4 del mattino ed essere sempre sotto pressione nei rapporti con l’utenza! Se è un privilegio per i piloti avere la responsabilità della vita di almeno 120 persone ed esseregiustamente remunerato per questo!”.

Donato Chirico57 anni, operaio chimico, Brindisi

“Sono entrato al Petrolchimico nel 1971, allora c’erano ancorale gabbie salariali, in pratica al Sud si guadagnava menoche al Nord. Con le lotte sindacali siamo riusciti ad avere il contratto collettivo dei chimici. Il consiglio di fabbrica era un’esperienza bellissima, di vita attiva, un’assemblea di 120 persone dove ognuno poteva dire la sua e poi si prendevano le decisioni. Ai giovani dico che tutto quello che abbiamo, lo abbiamo conquistato con le lotte: i contratti, la sicurezza sul lavoro, la protezione dell’ambiente.Non bisogna dare nulla per scontato”.

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Nicolo Puggioni 42 anni, tonnaroto e navigante, Carloforte (Cagliari)

“Durante la mattanza succede sempre che finisci le sigarette.È un lavoro duro che ha bisogno di un livello di attenzionemolto alto. Agli occhi di uno spettatore sembra surreale,ma quando sei parte attiva non hai tempo per pensare, ti devi dare da fare. Alla fine della giornata le emozionisono contraddittorie: sei contento per la buona pesca, ma il mare è rosso sangue”.

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Ido Trevisan78 anni, operaio in pensione dello iutificio, Piazzola sul Brenta (Padova)

“Sono arrivato in officina in tempo di guerra perché mancavala manodopera, i ragazzi più grandi erano impegnati al fronte.Erano gli anni bui della dittatura. Gli operai fascisti ci trattavano male, si comportavano da padroni e per lavorare ci costringevano a fare la tessera del partito fascista”.

Rina Tonegato 88 anni, operaia in pensione dello iutificio,Piazzola sul Brenta (Padova)

“Da piccola non ho avuto tempo per sognare perché a 12 anni ho iniziato a lavorare. Avrei voluto studiare, ma a quei tempi era un lusso”.

Edoardo Scalco75 anni, operaio in pensione dello iutificio,Piazzola sul Brenta (Padova)

“Avevo visto la fabbrica sempre da fuori. Facevo il marmistaed ero abituato a lavorare all’aria aperta. Per adattarmi ci sono voluti quattro mesi”.

Reiner Van Kleij43 anni, direttore tecnico del “Giornale di Sardegna”, Cagliari

“In Sardegna mi sento a casa. È una terra meravigliosa: amo il mare, il sole, la natura. In Olanda non ci sono questi spazi. Ho perfino iniziato a dimenticare l’olandese. In più, il mio lavoromi piace. Sono felice? Sì, sono felice”.

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Mamadou Sall36 anni, operaio, Capalle (Firenze)

“Quando vieni in Italia capisci davvero cosa vuol dire lavorare,darsi da fare… Voglio portare questa cultura in Senegal e farein modo che i miei figli e i miei nipoti non abbiano bisognodi emigrare. Oltre al lavoro nella mia vita c’è anche il volontariato:aiuto i miei connazionali con l’associazione dei senegalesi, di cui sono segretario generale. Non dimentico il mio passato,quando facevo l’abusivo, sempre a scappare dalla polizia. Il lavoro e le attività sociali mi hanno restituito la dignità”.

Shpendi Derraj30 anni, commesso, Torino

“Sono sbarcato sulla costa salentina in gommone, ho preso un treno e sono arrivato a Torino. I primi tempi sono stati duri.Di notte dormivo alla stazione, ai giardini, in case abbandonate,di giorno andavo in giro a cercare lavoro. Ho fatto il manovale,l’elettricista, il barista, l’aiuto pasticcere, il pasticcere, il disossatore in un ingrosso carni. Ogni tanto tornavo in Albania,dai miei parenti, o mandavo loro dei soldi. Dopo un interventoal cuore per un’insufficienza aortica, sono passato addetto al banco della carne in una macelleria. Lì mi è successa unacosa terribile: la mia mano è rimasta triturata nel tritacarne, la macchina non aveva un meccanismo di protezione.Pensavo che la mia vita fosse finita. Straniero e invalido, credevo di non avere futuro, né qui né altrove. E invece eccomiqua, dopo un corso di informatica e uno di intermediatore culturale, lavoro all’Ipercoop, mi sono sposato e aspetto una bambina”.

Carlo Assenza48 anni, amministratore del Caffè Sicilia, Noto (Siracusa)

“La mia famiglia soffre per questo lavoro perché mi occupamolto tempo. Il rapporto, per funzionare, deve avere un’intensitàmaggiore. Per fare una citazione dal film Blade Runner, ‘Una stella che brilla con il doppio dell’intensità vive di meno’. Però brilla con il doppio dell’intensità!”.

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Michele Gelao33 anni, operaio portuale, Bari

“Le assunzioni vengono fatte di padre in figlio, è la tradizionedei lavoratori portuali e delle ex compagnie. È stato cosìanche per me. Mio padre mi ha insegnato che questo mestiererichiede sacrifici, voglia e passione, perché è molto pesante e faticoso. Certo, la tecnologia ha alleggerito alcune incombenze. Però rimane un lavoro usurante. E sporco, anche.Vi sfido a riconoscere un operaio quando esce dalla stiva di una nave dopo averla svuotata di un carico di carbone!”.

Nicola Gelao 60 anni, operaio portuale in pensione, Bari

Michele Dettori32 anni, operaio elettrico strumentista, Terni

“Da piccolo volevo fare il calzolaio, poi il carabiniere, come papà. Sono diventato operaio a 18 anni, entrato con un concorso alle acciaierie Thiessen Krupp, le primeassunzioni dopo undici anni di blocco. Ero poco più che un ragazzo. Tutti i miei colleghi più vecchi mi vedevanocome un figlio e mi trattavano come tale, con un atteggiamentomolto protettivo. Il mio primo turno? Di notte. Non sapevocome affrontarlo e così ho dormito tutto il giorno prima. Ero confuso per il troppo sonno, l’ambiente nuovo, le luci gialle. Qui tutto orbita intorno a questa fabbrica, e infatti la vita della maggior parte dei ternani è legata ai turni: naturalmente anche la vita notturna ne risente. Quando è iniziata la vertenza contro la chiusura dello stabilimento, nel 2004, la città si è stretta intorno a noi. Abbiamo vistoanziani venire a raccontarci la storia dei licenziamenti dei loro genitori, concittadini portarci dolci, caffè e bigliettinidi solidarietà con su scritto: ‘Mi raccomando, non mollate!’. Io sono uno di quelli che è salito sulla Torre, un’azionedimostrativa decisa lì per lì, che serviva per smuovere le acque. E che è riuscita ad attirare l’attenzione su di noi”.

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Rosario Giacopello58 anni, ex operaio Pirelli, Villafranca (Messina)

“Ho conosciuto mia moglie Maria in fabbrica. Eravamo tuttiragazzi, era divertente. Poi con la nascita dei bambini le cose sono diventate più complicate: scherzando dicevamoche al cambio turno passavamo le consegne al collega e anche al coniuge, per le faccende di casa. Dopo la chiusura della Pirelli abbiamo mantenuto una dignitàgrazie alle lotte sindacali. Ci siamo sempre battuti per il lavoroe mai per la cassa integrazione, che considero profondamentediseducativa, soprattutto per i figli: se si cresce con un genitoreche non lavora si rischia di non capire il valore personale,familiare e sociale del lavoro. Quando torno qui, in questafabbrica deserta, provo un sentimento di profonda tristezza,come se avessi perso una persona cara”.

Maria Magazù55 anni, ex operaia Pirelli, Villafranca (Messina)

“Di notte sogno spesso di tornare in fabbrica con le mie colleghe.Abbiamo passato una vita insieme… Il lavoro era duro ma si scherzava spesso, mi sentivo realizzata. Quando la fabbricaha chiuso avevo 40 anni, ero giovane e con una gran vogliadi fare, si è creato un vuoto nella mia vita. Mi hanno salvatodalla depressione la mia cultura per il lavoro e le lotte sindacali.Ma abbiamo pagato un prezzo molto alto per le nostre battaglie, avvisi di garanzia e un processo lungo sette anni. I miei figli avevano paura che finissi in carcere”.

Pasquale Mangiapia62 anni, operaio Italsider in pensione, Bagnoli (Napoli)

“Sono orgoglioso di essere operaio. Da sempre. Di essere un membro attivo della cultura democratica che negli anni passati ha distinto la classe operaia. Nei reparti c’era solidarietà tra i lavoratori e si sentiva forte la coesione del lavoro di squadra. Per la mia formazione politica è statafondamentale la lezione dei vecchi compagni che avevanomilitato nei gruppi antifascisti, persone che hanno rischiato la vita per i propri ideali”.

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Renato Scarpelli63 anni, ex operaio, educatore, Reggello (Firenze)

“Dio mi rompe le scatole tutte le mattine. Me lotrovo sempre davanti agli occhi, nello sguardo dei ragazzi che ospitiamo nella casa famiglia. Il nostro impegno è far sì che non diventino gliultimi, dare loro una famiglia dove si impara ilrispetto per gli altri e per se stessi, dove si diventacittadini. Il lavoro con loro è straordinario: quinon si tratta di sopportare ma di fare un pezzo di strada insieme. La parte più difficile? Non stanell’avere a che fare con i bambini ma con gliadulti. A parte qualche amico che ci ha aiutato,intorno a noi c’è tanta indifferenza, alle volte persino cattiveria. I santi sono tutti morti e noidobbiamo fare i conti con gli uomini. E poi i ragazzi non votano, non servono a nessuno. È meglio buttare via un ragazzo e salvare i quattrovoti della famiglia, no? Io preferisco salvare ilragazzo e in futuro avere un cittadino che ragiona.Mi commuovo sempre quando torna a trovarciuno dei nostri e mi dice: ‘È difficile fare quello checi hai insegnato’. L’unico consiglio che posso dareè: siate voi stessi”.

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Clemente Ventrone60 anni, tonnaroto, Favignana (Trapani)

“Faccio il pescatore da quando ero bambino. La mia è unapassione. Saltavo la scuola e andavo a pescare: la sera per non farmi dare le botte dalla mamma le portavo il pesce,ma le botte le prendevo lo stesso. Il mare è come il fuoco:quando voglio dimenticare tutto, me ne vado su uno scoglio, lo guardo e tutti i miei pensieri se ne vanno col vento”.

Nunzio Marcelli 51 anni, agricoltore e allevatore, Anversa degli Abruzzi (L’Aquila)

“Piantare un albero da frutto o un olivo vuol dire non pensarea se stessi, ma lasciare in eredità a chi verrà la possibilità di raccogliere quella frutta, quelle olive. Significa essere ottimistiper il futuro. Chi svolge questa attività ha una grande fiduciain ciò che accadrà. Trent’anni fa ho fondato una cooperativaagricola e in questi decenni l’ho curata con impegno e fatica.L’intento era arrestare l’esodo, recuperare il territorio, valorizzarela sua prima risorsa che è l’ambiente, tutelare la biodiversità.Noi non vogliamo essere solo il paese delle seconde case,ma una comunità capace di esprimere ancora qualcosa, di avere un ruolo nel ciclo economico, con un allevamentobiologico, partendo da materie prime di altissimo livello.Abbiamo raccolto l’eredità di una storia millenaria, la tradizioneagropastorale che ha fatto della rinnovabilità dell’ambiente il suo punto di forza: è il pastore il primo interessato affinchél’erba cresca tutti gli anni, tutte le primavere”.

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Vittorio Manganelli55 anni, direttore dell’università di Scienze gastronomiche,Pollenzo (Cuneo)

“Ho scelto di fare questo lavoro perché mi annoiavo. Facevoil dirigente al comune di Torino, e a furia di fare carriera ero arrivato a un punto in cui mettevo molte firme e producevopoco. Poi un amico mi ha offerto di lavorare al progetto dell’università di Scienze gastronomiche: ho accettato la sfida.I miei hobby? In questi anni di crescita professionale li ho tralasciati un po’. Prima Slow Food era un hobby. Da quando è la mia occupazione, ha smesso di essere unpassatempo: ora è un gran bel modo di lavorare”.

Tommaso De Fazio 60 anni, operaio Fiat Mirafiori in pensione, Torino

“Sono arrivato a Torino da un paesino della Calabria a 16 anni. Cercavo una prospettiva migliore rispetto a quelloche poteva offrire la mia terra. Soprattutto all’inizio il lavoroera pesante, c’era poco spazio per incontrare persone nuove.Approfittavo della messa della domenica per incontrare qualche amico e per vedere le ragazze”.

Renzo Fanfani70 anni, prete operaio, Avane (Empoli)

“Non sono tanto bravo a fare il prete, mi arrangio! Il mio percorso per arrivare qui è stato complesso. Ho iniziatocome impiegato, ma non ero contento. Sono entrato in accademiamilitare, ma neppure allora ero soddisfatto. Poi, per avererisposte più concrete, sono andato in seminario. Ho scelto di fare il prete in modo liberale e anche il lavoro è stata unacomponente fondamentale. I rapporti umani in fabbrica sonoindispensabili: ho preso più cotte da prete… Al lavoro siincontrano donne stupende. Contraddizioni? Nella mia esperienzasono vitali: temo le acque stagnanti, perché sono convintoche quando c’è fermento possono nascere cose buone. Dellemie scelte terrei il nocciolo duro, forse, e con la consapevolezzadi oggi cambierei qualcosa. Vorrei rivivere alcune esperienzecon la tenerezza che può dare il rapporto con una donna.Sì, ho conosciuto la passione e l’amore ma mi è mancato il desiderio di creare un futuro insieme, li ho vissuti come unimpoverimento. Ormai sono anziano e mi devo preparare persorella morte. Come diceva qualcuno: ‘Verrà la morte e avrà i tuoi occhi’… Spero abbia gli occhi belli di qualche mia amica”.

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Fortunato Consol85 anni, pensionato, Issime (Aosta)

“La guerra è stata un inferno! Un inferno! Ah, era triste, era molto triste. Ce la siamo vista proprio brutta perché mancavano i viveri, mancava anche l’acqua. Siamo statidei mesi senza poterci lavare gli occhi, non c’era neppurel’acqua da bere. E dopo tanti anni di guerra siamo statipresi dai tedeschi e portati due anni in Germania. Due anni con la medesima camicia, tutta rosicchiata daipidocchi. Il momento più bello della mia vita è stato quando sono tornato a casa”.

Gianluca Faraone31 anni, presidente della cooperativa Placido Rizzotto Libera Terra, S. Giuseppe Jato (Palermo)

“Su questo terreno c’era un vigneto produttivo: ci lavoravanomolte persone di Corleone, che portavano qualcosa a casafinché Totò Riina li chiamava a lavorare. Dopo che è statoconfiscato alla mafia, è rimasto abbandonato. Adesso èaffidato in gestione alla nostra cooperativa sociale, abbiamo impiantato barbatelle ancora piccole con un progetto in collaborazione con Slow Food, per una produzione di altissima qualità. Così, tanta gente è tornataa lavorare, questa volta nella legalità. Il primo anno abbiamo fatto tutto da soli, dalla lavorazione dei campi, alla semina, dalla gestione dei rapporti commerciali agliaspetti amministrativi, perché non riuscivamo a trovare operai disposti a lavorare per noi, erano diffidenti, volevanovedere che cosa succedeva. Ora invece tanti ragazzi voglionolavorare per la cooperativa perché si è sparsa la voce chemette in regola, i contributi versati, la giornata pagata…che in agricoltura non è una cosa tanto scontata”.

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Antonio Pignatara79 anni, edile in pensione, Acri (Cosenza)

“Allora si faceva una vita da cani, si lavorava la mattina al buio e la notte con le stelle. Sottopagati, affamati e con retribuzione zero. Era il ’46. Si doveva attaccare alle 7,ma chi non era là alle 6, 6 meno un quarto, non lavorava.Si smetteva alle 4, ma se non erano le cinque meno dieci, le cinque meno due minuti tu non smettevi. E a chi ti rivolgevi?Santi che ti facevano il miracolo non ce n’erano, e neppuregiudici che ti facevano giustizia: dovevamo soffrire, sottostaree basta.Si dormiva per terra, pagliericci niente, e non c’erabisogno di accendere la luce perché tegole sul fabbricato nonc’erano. La sera ci davano una coppa di legno con otto cucchiaidi fave secche e patate. E quello che galleggiava non erapepe nero ma i popuzzani, i vermi dalle fave che erano venutia galla. Quando ho ingoiato il primo cucchiaio, ho capito.Peppino detto Pommidoro, che sedeva vicino a me, mi hadetto: ‘O chistu o cazz, o questo o niente’. Il quarto giorno ho cercato di ingoiarli, man mano mi sono dovuto adattare perché non c’era altro. Solo quello e trentasei lire al giorno. Adesso è diverso, i bidoni della nettezza urbana sono più sazi di noi allora”.

Claudio Reale24 anni, giornalista precario, Palermo

“L’etica del giornalismo può essere riassunta in due regolechiave. La prima è raccontare le cose per come le vedi.Attenzione a chi pretende di riferire la verità: penso che la veritànon possa essere raccontata. L’altra regola consiste nel resistereil più possibile alle pressioni che inevitabilmente in una città di poteri forti come questa ti vengono addosso e ti assediano.Nonostante tutto, a me piace questo lavoro e mi piace farlo in questa città. Io odio e amo Palermo allo stesso tempo,sono bloccato qui”.

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“In politica funziona come in amore: la cosa principale è farsi capire”.

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Silvio Sarra 70 anni, coltivatore di zafferano, Civitarenga di Navelli (L’Aquila)

“I campi di zafferano venivano abbandonati perché eradiventato poco conveniente produrlo. Io ci ho provato: ho costruito una cooperativa che tramandasse questa coltura.E ci sono riuscito: oggi siamo 83 soci e lo zafferano è tornatoa essere una risorsa economica per il territorio. Ho fatto moltimestieri ma non sono mai riuscito ad allontanarmi dalla terra.Mio zio mi diceva sempre: ‘Se hai problemi torna alla terraperché la terra ti riconosce, ti vuole bene’. Raccogliere i fioridi zafferano mi riporta alle giornate estive di quando ero bambino. Si lavorava duro e alla sera la mamma mi davauna fetta di pane e due noci, com’erano buone!”.

Giovanni Schiera95 anni, impiegato Ferrovie dello Stato in pensione, Palermo

“Sono un uomo di pace, al contrario di mio padre che era unrivoluzionario. Lui emigrò a New York non per cercare fortunama per sfuggire alle persecuzioni del potere mafioso checombatteva. Non mi sono mai messo contro i padroni: anchese sono stato iscritto alla Cgil non ho mai scioperato.L’importante è essere rispettosi”.

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Franco Dominici63 anni, imprenditore, Poggibonsi (Siena)

“L’amore se si fa per forza diventa una violenza, non è più un piacere. Così il lavoro, se piace non ha bisogno di niente,ti viene in automatico, l’età non conta. Le energie arrivanodagli stimoli che ti danno gli altri: i dipendenti innanzitutto, che come me hanno ipotecato i miliardi nell’azienda, per comprarsi una casa, una macchina, creare una famiglia.L’energia me la dà il mio stesso personale e io faccio una trasfusione. È una cosa naturale. Credo di aver sconfitto il maledel secolo, sono state le medicine, certo, ma sono convintoche la migliore medicina siamo noi stessi, quando pensiamo: ‘Io non posso morire, non ancora’. E così è stato per me”.

Ornella Di Bona20 anni, operaia, Vittoria (Ragusa)

“I prodotti ortofrutticoli li portano i soci della cooperativa, noili lavoriamo e li portiamo nei magazzini, dove vengono smerciati.Ci sono dei macchinari, ma la maggior parte si fa a mano. Il lavoro è ripetitivo, ma qualcosa cambia con le stagioni:ciliegino, peperone, melanzana, cetriolo e così via. Comefaccio a sopportare questi odori e questi rumori? Ormai ci sono abituata. L’odore della campagna, il rumore dei nastri, ci sono quasi affezionata”.

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Gianni Berengo Gardin 75 anni, fotografo, Milano

“A 23 anni ho preso in mano per la prima volta una macchinafotografica. Ero un ragazzo molto introverso e con grandidifficoltà di linguaggio e di comunicazione. Poi ho scopertoquesto oggetto meraviglioso, con il quale potevo raccontaredelle storie. È stato subito amore. Oggi con il digitale sembra tutto più facile. Ma le nuove generazioni hannoperso il gusto del racconto. Per me la fotografia è prima di tutto documento: anche per questo ho raccolto 1.250.000negativi in un archivio, una bella fetta di storia”.

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Alfredo La Torraca50 anni, commerciante, Agropoli (Salerno)

“Ho avuto una vita molto avventurosa, mi è sempre piaciutoviaggiare. Grazie ai viaggi ho pensato di importare oggettidai Paesi che visitavo, così ho iniziato a venderli nel mionegozio. Ma appena posso, scappo. Lavoro otto mesi all’annoe gli altri quattro viaggio: sono riuscito a trovare una sorta di equilibrio. Alcune volte, però, mi meraviglio perché sonosoddisfatto del mio successo… Forse mi sono imborghesito.Comunque, non riuscirei a vivere diversamente, in passato ho rifiutato posti sicuri. Ho visto gli impiegati ammuffire in ufficio,in una settimana puoi invecchiare anni! Appartengo a unagenerazione che ha vissuto pienamente, gli anni della miagiovinezza sono stati anni di incontri, di movimenti, di cambiamenti. Appartenevo a Lotta Continua e capitava spesso di mettere in discussione la nostra vita. Passavamo notti interminabili a confrontarci… su cazzate! La mia prossima sfida? Presto diventerò padre e dovrò di nuovo mettermi in discussione”.

Vladimiro Mannocci 47 anni, portuale, Livorno

“A 15 anni ho vinto il palio marinaro di Livorno, un recordimbattuto perché oggi si può iniziare a 17 anni. Qui la voga è lo sport per eccellenza e una volta era il preludio dell’attivitàportuale. Quando voghi hai un contatto stretto con il mare,conosci meglio te stesso, il tuo corpo, i tuoi limiti. Sei in gara,ma la gara la fai con te stesso. E quando vinci diventi una persona nota in città, un campioncino, come essere un Aceto a Siena”.

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Andrea Bezzecchi31 anni, produttore di aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia, Novellara (Reggio Emilia)

“L’immobilità è l’ingrediente fondamentale con il quale si fa l’acetobalsamico tradizionale di Reggio Emilia. In un periodo storicoin cui siamo tutti tesi a raggiungere obiettivi attraverso l’iperattività,è bellissimo pensare che un prodotto che ha più di mille anniè buono semplicemente perché sta fermo. È una contraddizionetalmente forte col mondo attuale da apparire vera”.

Valter Paolini55 anni, casaro del parmigiano reggiano, Reggio Emilia

“Il parmigiano reggiano è vivo e caldo come il culo di unadonna. La lavorazione assomiglia al corteggiamento: non cisono regole standard da seguire, ogni volta interviene qualchefattore nuovo. In questo modo anche la tua personalità puòfare la differenza: devi imparare a sentire la vita della forma.Insomma, il parmigiano è sentimento!”.

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Antonia Profita78 anni, pensionata, Palermo

“Ho fatto la rivoluzionaria di professione. Comunista col bolloda sempre. La tessera la rinnovo anno dopo anno, lo faròfinché morirò. E ne sono orgogliosa. Sono stata a scuola di partito per sei mesi a Fagetolario, sul lago di Como.Eravamo una quarantina di ragazze, io ero l’unica siciliana. I miei genitori erano d’accordo: non ci sono bianchi, rossi everdi in famiglia, siamo tutti rossi. La paura? Non lo so, non l’ho mai conosciuta. In galera cantavo Bandiera rossa.Quante volte sono entrata e uscita di galera, ma con grandedignità e onore!”.

Carlo Fumian54 anni, docente universitario, Piazzola sul Brenta (Padova)

“Il Nord-Est è ricco e globalizzato, fino a ieri era terra di operai.Con i miei studi insegno le origini e la storia di questa regionebagnata dal sudore dei veneti anziani e dei giovani immigrati”.

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Walter Eynard47 anni, chef del ristorante Flipot, Torre Pellice (Torino)

“Fino a qualche anno fa il cuoco era una sorta di Polifemo,rintanato nel suo antro. Oggi il grande chef deve anche saper accogliere e coccolare i clienti, oltre a saper cucinare. Non si va più al ristorante per fare grandi mangiate ma perstare in compagnia e avere esperienze gastronomiche”.

Paolo Castellani45 anni, antiquario, Cortona (Arezzo)

“Questo è un mestiere che ti porta via tantissimo tempo, perché non riesci più a staccare la tua vita quotidiana dal lavoro. Il lavoro diventa la vita stessa, il vero piacere. È questo il bello. La passione ti porta a trascorrere ore e ore in viaggio, ore e ore a guardare oggetti, ore e ore a leggere, per capire, conoscere, scoprire. E non basta mai”.

Olga Giansanti29 anni, responsabile di sala del ristorante Clandestino,Portonovo (Ancona)

“Ho iniziato questo mestiere per gioco, ma con il tempo è diventato una cosa seria. Lavorando con un grande chef ho imparato ad apprezzare tutte le fasi della preparazione di un piatto. Oggi non mi sento una ‘porta-piatti’ ma una consulente. Spesso ho un rapporto intimo con i clienti: mi piace far capire loro quanta passione e impegno ci siadietro a un cibo”.

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Luciano Guala56 anni, impiegato Wind, Ivrea (Torino)

“A Ivrea in questi anni sono aumentate le panchine. Personedi 49-50 anni sono uscite dalle aziende in pensione anticipata, o in mobilità in attesa di pensione, o con altreforme di assistenza sociale. E che fanno, mica si chiudonodentro casa!”.

Armando Scevaroli54 anni, manutentore elettrico, Omegna (Verbano-Cusio-Ossola)

“Le conquiste sociali non basta ottenerle, bisogna anchemantenerle nel tempo. Se a distanza di 20-30 anni fanno ancoraparte della storia vuol dire qualcosa. Oltre alla soddisfazionec’è il merito, mio e dei miei compagni, di coloro che mi hannoinsegnato a impegnarmi per gli altri. Un rammarico ce l’ho:non essere riusciti a fare capire ai giovani colleghi l'importanzadell'adesione al sindacato e dell’impegno, affinché tutti abbianodelle certezze. Noi siamo fortunati, siamo in un’azienda familiare.Se guardate, c’è sempre la macchina del proprietario parcheggiata,la domenica mattina è sempre in azienda. Per questo qui siriesce ancora a discutere e a trovare le soluzioni migliori,senza il filtro dei manager: la mensa che costa un euro, 40 oreretribuite per l'assistenza dei figli e le visite mediche, la rettadell'asilo pagata dall'azienda. Siamo davvero all’avanguardia”.

Deanna Lambertini59 anni, operaia Ducati Elettra, Bologna

“Eravamo una fabbrica quasi esclusivamente femminile.Questa componente emergeva durante le nostre battaglie: per i picchetti davanti ai cancelli le donne si portavano tutta lafamiglia. Eravamo forti e sapevamo dimostrarlo. Era un’epocadi valori molto solidi, trasmessi dai vecchi compagni che avevano combattuto il fascismo. Ho l’impressione che oggiabbiamo perso una parte delle conquiste ottenute con la lotta,ma sono convinta che non è ancora finita. Nonostante lacrisi, nonostante le difficoltà, possiamo e dobbiamo ancoralottare per difendere i nostri diritti”.

Mariagrazia Sestero63 anni, dirigente scolastica e assessore al comune di Torino,Torino

“Sono sempre stata convinta che la vita politica venga primadi quella familiare. Ho cercato di non far pagare prezzi troppo alti alla mia famiglia, a mia figlia, e mi sembra di esserci riuscita. Una donna che fa politica è costretta a maggiori sacrifici, anche personali, rispetto a un uomo: ci sono oneri che solo la donna si può accollare. Noi in città abbiamo avuto 1.500 cantieri aperti, tra cui quelliper le Olimpiadi. Quando si apre un cantiere si crea sempreun disagio e bisogna gestirlo nel migliore dei modi. Per tuttele opere più significative abbiamo costituito comitati di cantiere:riunioni periodiche con i cittadini, gli operatori commerciali,le circoscrizioni. Si tratta di un lavoro delicato e importante, si accolgono suggerimenti e consigli, si ascolta. È un impegnoquasi quotidiano”.

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Paolo Paroncini 43 anni, impiegato, Ancona

“Il quartiere degli Archi di Ancona è il quartiere dei pescatori,venuti qui da Civitanova alla ricerca di un posto sicuroper pescare e dove vendere il prodotto. Vivere qui è stata un’esperienza unica perché era come vivere in una grandefamiglia, i problemi di una persona erano i problemi di tutti”.

Antonello Bonora42 anni, pescatore, Noli (Savona)

“I nostri padroni sono il mare e il tempo: sono loro che comandano.Altri padroni non ce ne sono. È per questo che continuo a pescare, per la libertà e passione. Dopo una tradizione di più di mille anni questo mestiere rischia di scomparire, ai giovani non interessa. Forse per la mancanza di comodità,perché non ci sono orari e d'inverno si prende un gran freddo,perché è un mestiere faticoso, e si lavora dieci-dodici ore, tuttoil giorno in ammollo. Io sono orgoglioso del lavoro che faccio e sono orgoglioso di essere ligure, perché penso che siamo unpopolo importante. Sono nato e vissuto a Noli e come tutti i ragazzi di qui ho sempre frequentato questa spiaggia e questipescatori: è difficile staccarsi. Delle volte, quando vado via, al terzo giorno sento già la nostalgia della marina, ho bisognodi vedere il mare”.

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Francesca Leggeri 42 anni, imprenditrice, Marsicovetere (Potenza)

“Il petrolio è il demone della Val D'Agri. Per un attimo si èpensato potesse diventare una grande opportunità, una risorsastrategica per il futuro, ma era un’illusione. L’Eni vuole farpassare di qui un oleodotto, proprio qui che c’è il mio agriturismobiologico e io mi ritrovo a combatterci contro. Credo che ilmio ritorno in Basilicata non sia casuale. Cercavo un equilibrio,un’armonia, qualcosa di più della vita che avevo inventato a Roma. Sono stata accolta da un popolo creativo e ospitale.Appena entri in casa di un contadino, ti offrono prima un cioccolatino, poi il caffè, poi l'amaro, poi un pezzo di soppressata, poi un bicchiere di vino e così via. Fai tutto al rovescio, ma cominci sempre con il cioccolatino: è un classico”.

Pawlega Czestawa 38 anni, infermiera, Cortina D’Ampezzo (Belluno)

“La nostra caposala ha proibito l’uso della parola straniero.Ci dice sempre: ‘Voi non siete stranieri, voi siete europei,come noi’. Mi pare un buon inizio. Qui tra le montagne delprofondo Nord non sono molto abituati ad avere a che farecon gli stranieri. Ma io non mi sono mai sentita una straniera”.

Giuseppe Cosenza47 anni, addetto alle pulizie, Napoli

“Mia madre mi ha abbandonato e io sono cresciuto in strada,da solo. Mi sono fatto 14 anni di collegio e 10 di carcere.Da piccolo andavo a rubare. Ma che vita ho fatto? Il carceremi ha insegnato a riflettere sui miei errori e a diventare unapersona onesta. Tutte cose che oggi mi danno soddisfazione:prima non riuscivo a dormire perché avevo paura, con le guardie sempre in casa, ora invece dormo sonni tranquilli.Ho fatto tanti lavori. Ho fatto il muratore, il pittore, ho vendutocon una bancarella a via Roma. Adesso faccio le pulizie perun’azienda, credo di essere utile agli altri perché tengo gli ufficipuliti. Guadagno discretamente, ma devo fare altri lavoriperché con mille euro al mese non ce la faccio: ho due bambineda mantenere e sono separato”.

Roberto Lensi52 anni, pensionato, Città di Castello (Perugia)

“Nel 2001 ho scoperto di avere una brutta malattia che miha portato a un intervento chirurgico molto difficile. Ho sempreritenuto che i miei problemi di salute fossero in qualche modolegati allo stress e ai dispiaceri, alle prepotenze che tantevolte si devono subire negli ambienti di lavoro. Nonostantetutto, però, durante la convalescenza non mi sono mai allontanato dai miei impegni e dai colleghi. Non ho pensatoneanche per un momento di lasciare tutto. Quando sono rientrato ho ricominciato con entusiasmo. Ma l'azienda non si è dimostrata sensibile, non ha capito che le mie condizioni di salute avevano bisogno di qualche collaborazione in più. I contrasti si sono acuiti, mentre io mantenevo fede alla miaidea di lavorare bene e in modo dignitoso. Ho avuto un trasferimento ma nel frattempo mi ero deperito fisicamente.Accertamenti sanitari hanno avuto l'esito della dispensa dal servizio per inabilità fisica. All’inizio l’ho vissuta come una liberazione. Col tempo sono tornati a galla l'attaccamentoal mio ambiente e al mio lavoro. A 50 anni è difficile reinventarsi una vita”.

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Ruggero Pellim 64 anni, guida alpina, Courmayeur (Aosta)

“Le lunghe ore immerso nel silenzio. È questo che amo delmio lavoro. Vivo in montagna e non mi mancano i cinema,i teatri, la città. Mi basta alzare gli occhi al cielo e guardarelo spettacolo del volo degli uccelli e dei bastioni di rocciaper sentirmi a teatro”.