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A. Orlando, A. Marengo, Giovanni Battista Merano allievo di Valerio. Metodo e stile dall’abbozzo all’affresco, in Valerio Castello. Percorsi ed approfondimenti, atti del convegno

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Giovanni Battista Merano allievo di Valerio. Metodoe stile dall’abbozzo all’affresco*

Agnese Marengo, Anna Orlando

La figura di Giovanni Battista Merano (Genova 1632 – Piacenza 1698) èstata indagata negli ultimi trenta anni da alcuni studiosi che gli hannodedicato contributi monografici, a partire dai fondamentali avvii a curadi Giuseppe Cirillo e Giovanni Godi, che si sono interessati della sua at-tività in ambito emiliano1, agli studi di Mary Newcome maggiormenteincentrati sull’attività ligure e sulla grafica2, ai lavori di Ezia Gavazza pergli affreschi3. Daniele Sanguineti ha trattato dell’artista nell’ambito delsuo capitolo sulla cerchia di Valerio Castello all’interno del catalogo dellamostra cui questo volume di atti esce a compendio4. Lo scritto a quattro mani che qui si presenta intende fornire alcune inte-grazioni al corpus pittorico del Merano (sia discusse nel testo che seguesia elencate nell’appendice in calce), ma anche offrire elementi di rifles-sione che mettano in luce la specificità del suo rapporto con il maestroValerio Castello.All’interno delle complesse e variegate dinamiche relazionali che inter-corrono tra Valerio e i suoi discepoli, allievi, seguaci ed emuli, la pecu-liare ricettività di Merano pare coinvolgere aspetti non solo stilistici, maanche connessi al modus operandi e alla maniera di pensare e concepireun’opera. Non è stato forse fino ad ora messo in sufficiente rilievo il fattoche egli sia l’unico frescante della scuola di Valerio, e non è escluso cheanche questo possa averlo condotto a quella predilezione, tutta valerie-sca, che ci piace definire del “dipingere abbozzato”.Se si ripercorrono brevemente la tappe formative del pittore si vedrà in-nanzitutto che esso presenta alcune interessanti analogie con quelle diStefano Magnasco: entrambi sopravvivono alla peste e hanno dunque lapossibilità di evolversi, e “scavalcare” per così dire due stagioni genera-zionali. Inoltre, ancor più di Stefano Magnasco, che si giova di un lungoe fruttuoso soggiorno di circa cinque anni a Roma5, il Merano è pittore iti-nerante. Egli si sposta ripetutamente fra la Liguria e il Ducato di Parmae Piacenza e la sua attività si svolge non solo negli epicentri artistici diGenova e Parma, ma anche nelle aree più periferiche, e dunque cultu-ralmente più variegate e “multi-contaminate”, quali la Liguria di Ponentee il territorio farnesiano6. Gli inizi di Merano, secondo quanto ci ricordano le fonti e secondo ciòche l’analisi delle componenti artistico-culturali della sua stessa operapaiono confermare, non si svolgono unicamente ed esclusivamente sotto

Giovanni Ba7istaMerano, Angiole+icantori, Genova,collezione Zerbone,particolare

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il segno di Valerio: egli studia anche con Giovanni Andrea De Ferrari,maestro di naturalismo e di naturalezza priva di artificio, e, una voltarientrato da Parma come precisa Soprani, anche con Giulio Benso, mae-stro di scorci, sottinsù e prospettive potenzialmente propedeutiche al la-voro del frescante7.Varietà e alternanze, unite a una forse innata propensione alla speri-mentazione, caratterizzano dunque gli esordi del Merano, sicché il rap-porto con Valerio si configura in modo tutt’altro che univoco e per quantola lezione di Castello non venga mai rinnegata, forti tangenze lasciano ilpasso anche a decise divergenze. Alla luce di queste considerazioni pare interessante e opportuno rivisi-tare l’intuizione di Camillo Manzitti di qualche anno fa (1997), a propo-sito del dipinto con San Giovanni Battista dei Musei Civici di PalazzoFarnese a Piacenza. Nella scheda redatta da Massimo Bartoletti che in-dica l’autore come un “seguace di Valerio Castello”, lo studioso riporta“l’ipotesi suggestiva”, suggerita da Manzitti, “che possa trattarsi di un la-voro tra i primissimi di Giovanni Battista Merano”8. Ci pare invero dipoter accogliere tale ipotesi, giacché il dipinto mostra la sua vicinanza aCastello - la tavolozza, lo sfumato -, ma lascia trapelare l’esistenza anchedi altre fonti pittoriche e diverse suggestioni culturali. Notiamo una forteistanza naturalistica, poco cara invero a Valerio, e un’attenzione alla de-finizione anatomica che invece in Merano torna a più riprese, così da av-vicinarlo a Giovanni Andrea De Ferrari, se non addirittura a Orazio DeFerrari. Fusi insieme vi sono gli insegnamenti dei due maestri di Me-rano, ma non solo. La posa del san Giovanni e il disporsi della sua figuranello spazio autorizzano il richiamo al ben noto capolavoro del Cara-vaggio oggi a Kansas City, ma all’epoca in Liguria, che, insieme ai raritesti del Merisi a Genova, fu indiscutibilmente un testo pittorico di rife-rimento per gli artisti genovesi di primo Seicento9. Se ciò non autorizzacerto a parlare di caravaggismo per Merano, consente probabilmente difornire un nuovo elemento di riflessione per meglio chiarire la moltepli-cità degli stimoli del giovane pittore, che si ripropone come autore diuna primizia quale il San Giovanni Battista di Piacenza, tanto valeriescaquanto altra da Valerio10, frutto di una precoce verve sperimentatrice. L’invito a sperimentare è peraltro un aspetto fondamentale della lezionedi Castello ai suoi allievi; una ben precisa indicazione di metodo, si po-trebbe anzi dire, tanto che sotto questa luce ci pare debbano essere lettii numerosi abbozzi suoi e dei suoi seguaci, non tutti funzionali aun’opera “in grande”, ma spesso nati come dire naturalmente dall’estrocreativo e sperimentatore dell’artista. Del Merano se ne conoscono diversi, e altri si rendono noti in questa oc-casione. Tra i più celebri sono i due che rappresentano le progressive fasi dellostudio preliminare alla realizzazione della grande lunetta con La stragedegli innocenti per il presbiterio della chiesa del Gesù a Genova. Studiatida Mary Newcome, Ezia Gavazza e Federica Lamera11, i due dipinti co-stituiscono un tassello fondamentale per la ricostruzione del fare boz-

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1. Giovanni Ba7i-sta Merano, Cadutadi Saulo, collezioneprivata

zettistico del Merano, e non ci pare possano sussistere ragioni sensateper escludere quello meno finito dal catalogo dell’artista, come inspie-gabilmente proposto di recente12. Se una diversità di trattamento è in-dubbia, pare a nostro avviso certo altresì che si tratti della stessa mano,intenta a individuare e formulare, per gradi, il finale effetto visivo del-l’idea compositiva. Non si dimentichi, poi, che il lunettone per la chiesadei Gesuiti, da porsi di rimpetto a quello eseguito da Domenico Piola, èforse la più prestigiosa e impegnativa commissione pubblica per il Me-rano in patria, ottenuta probabilmente a causa della morte del suo mae-stro (1659) e condotta dunque in linea di assoluta continuità con lui. Unacontinuità e una fedeltà nei modi che non si limita allo stile e dunque al-l’effetto finale del risultato, ma altresì al modus operandi, alla maniera diapprocciare l’opera in grande, con preliminari passaggi di registri espres-sivi diversi. Basterà ricordare ciò che accade per Valerio riguardo allapala con Santa Zita, preceduta e seguita da numerosi bozzetti13, o sulle va-rianti lessicali dei vari abbozzi e modelli per il Battesimo di San Giacomo14.I due studi preliminari alla Strage degli innocenti paiono porsi alle dueestremità di una immaginaria linea espressiva che va dall’indefinito al fi-nito, su cui corre la ricca produzione bozzettistica del Merano. Dueestremi, si badi, da intendersi unicamente in senso stilistico e non cro-nologico, proprio per il fatto di essere entrambi pertinenti alla stessa da-tazione della lunetta (1661), a dimostrare dunque un’alternanza dilinguaggio più che una evoluzione in senso temporale. Ai due dipintigià noti si può aggiungere ora un importante ritrovamento (fig. 12)15, chesi pone apparentemente proprio a mezza via tra l’uno e l’altro, e che con-sente di confermare questo peculiare metodo di progressiva definizionedall’immediatezza espressiva dell’abbozzo alla migliore definizione.Del tutto prossima al fare del primo dei due è la tela con la Madonna ingloria di collezione privata già resa nota16, che presenta lo stesso ductussfilacciato e la stessa stesura leggera con un analogo esito stilistico. Un

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fare “intermedio” si riscontra invece in questa inedita Caduta di Saulo(fig. 1)17, ricca di suggestioni valeriesche nel vorticoso ritmo composi-tivo, nella concezione spaziale aperta oltre i confini della tela in una ir-ruenza centrifuga di forme e colori. Vi si sommano reminescenzerubensiane, dirette o filtrate dal maestro, ma in ogni caso indubbie perquesta scena di battaglia che richiama alla memoria per esempio la Mortedi Decio Mure in battaglia, che è uno dei soggetti della ben nota serie diotto arazzi, su cartone di Rubens, allora presenti a Genova18. L’esecuzionedi questo dipinto mostra un fare abbozzato ma più tendente al plastici-smo, più pastoso e meno sfilacciato rispetto alla Madonna in gloria, po-steriore in quella linea di sequenza stilistica che abbiamo immaginato,ma non necessariamente successivo in senso cronologico. Disegnato e composto, e anzi più fine e meno ingenuo, appare anchequesto altro inedito con Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia (fig. 2)19. Sitratta dello stesso soggetto della grande tela di collezione privata datata167520, ma le varianti compositive impongono di lasciare aperta la que-stione se debba trattarsi di uno studio preliminare per quell’opera o se in-vece nasca come redazione autonoma nello stile del “dipingereabbozzato” che vogliamo indicare come peculiare a Merano, come al suomaestro Valerio. Ci pare che Merano segua più degli altri allievi la le-zione di Valerio Castello nel valorizzare l’immediatezza e la sperimen-tazione dell’iter creativo, alternando in opere di piccole dimensioni lostile dello schizzo o prima idea, del bozzetto, del modelletto, dell’operafinita. Ma ancor più, nel continuo esercizio su uno stesso tema, gioca conle infinite possibilità della scrittura pittorica alternando un ductus più omeno abbreviato, una pennellata più o meno accelerata, più o meno boz-

2. Giovanni Ba7i-sta Merano, Mosèfa scaturire l’acquadalla roccia, colle-zione privata

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zettistica dando vita dunque a una forma più o meno plastica, chiusa,costruita. Un’indicazione di metodo, questa, che Merano eredita da Va-lerio, il quale, a sua volta, la individuò forse come eccitante novità nellalezione di Giulio Cesare Procaccini, che non a caso Longhi indica comemaestro “dell’abbozzo autonomo”21.È possibile ricondurre a una specifica commissione un modelletto con-servato in Collezione Molinari Pradelli a Marano di Castenaso ricono-sciuto a Merano da Eugenio Riccomini e pubblicato da Mary Newcomenel 198222. Se confrontiamo il testo pittorico con un documento rintrac-ciato da Venanzio Belloni è facile leggere il soggetto del dipinto comeSan Benedetto e Totila piuttosto che il Sant’Ambrogio che benedice Teodosioindicato dalla studiosa e riconoscervi il bozzetto preparatorio per unapala destinata a Pavia. Il 18 gennaio 1675 Merano infatti “promette alleMolto Rev[erendissime] Monache di Santa Maria della Pusterla, Bene-dettine della città di Pavia, di pingerle e perfetionarle un’Ancona dipalmi sedici incirca in altezza e palmi otto in circa di larghezza, in qualesarà dipinto San Benedetto e Totila Re, ai piedi del medesimo santo, eGloria sopra”, ancona per cui il pittore riceve un anno e mezzo dopo ilpagamento23.Merano dunque riceve incarichi fuori da Genova, è attivo per Pavia, perle due riviere liguri, per il Ducato di Parma e Piacenza, mentre è priva difondamento la sua attestazione a Mantova, notizia che trae origine dauna erronea interpretazione del Ratti24. Il biografo scrive infatti nella vitadel nostro “ei lavorò sul fresco nel cortile del Convento de’ PP. Carmeli-tani della congregazione di Mantova”25, intendendo riferirsi, con questalocuzione, al Carmine di Genova, come ha chiarito Ezia Gavazza26.Gli spostamenti del Merano sono ben testimoniati dagli affreschi che la-scia nel suo itinerare fra Parma e Sanremo. È questa una vera specialitàdel genovese e il fatto che sia l’unico fra gli allievi di Valerio Castello acimentarsi in questa tecnica suggerisce di cercarlo nei cantieri del mae-stro dalla metà degli anni Quaranta, dove giovanetto deve aver appresoi primi rudimenti27.La lezione di Valerio persiste nel tempo, travalicando la fase di forma-zione del Merano e riaffacciandosi anche in opere mature come fonted’ispirazione per l’elaborazione di scene complesse e come modello distile. Nell’affresco del 1684 con Martirio e gloria di San Giacomo, nellachiesa di San Giovanni Evangelista a Parma28, Merano cita a distanza dianni un’invenzione compositiva di Valerio risalente al 1647 circa, ossia ilbozzetto, poi svolto in grande dall’amico Domenico Piola, per il ciclo diSan Giacomo della Marina a Genova29, riunendo anch’egli in un’unicascena martirio e apoteosi del santo e mutuando dal modello iconograficodel maestro anche gestualità e personaggi di quinta. Sul versante stili-stico l’eco di Valerio ritorna nell’ariosità di certe figure scorciate come gliAngeli musicanti spettatori della Gloria di sant’Ignazio sulla volta dellacappella Borea d’Olmo in Santo Stefano a Sanremo.La città ponentina è ricca di opere del Merano30 e un nucleo cospicuo èracchiuso in Palazzo Borea d’Olmo, che in parte è rimasto a destinazione

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privata e in parte è adibito a sede del Museo Civico. Nell’ampia porzionedell’edificio privato si trova, come noto, la galleria con Aurora che scacciale tenebre, oltre a una graziosa cappellina decorata con scene della Pas-sione. Qui in origine doveva essere collocata la pala con il Compianto suCristo morto con san Domenico, giustamente ricondotta al nostro da Mas-simo Bartoletti31, oggi sita in una cappella al secondo piano del palazzoaperta al pubblico. Stando al Ratti, essa doveva integrare il ciclo ad af-fresco con gli ovali della Flagellazione e dell’Orazione nell’orto intercalatida angioletti con simboli della Passione alle pareti (fig. 3) e il Trionfo dellaCroce sul soffitto (fig. 4)32.Era invece sfuggito fino ad oggi un ulteriore intervento da ricondursi aMerano nello stesso edificio: in altri ambienti sempre adibiti a dimoraprivata si trova un affresco con Ercole incoronato dalla Fama (fig. 5) chenon risulta edito33. Si può confrontare la figura dell’Aurora con quelladella Fama che qui volteggia verso Ercole per rilevarne non tanto la so-miglianza fisiognomica, quanto lo stesso disporsi del corpo nello spazioaereo e il medesimo volteggiare dei panni, ritorti e attorcigliati a creareun aggraziato movimento. Si veda anche il putto con la clava dalle formeben tornite, anch’esso riccamente ammantato di un esuberante pannorosso. Le quadrature, forse non conservate nella loro originaria integritàma, come per parti della volta, probabilmente ripassate o alterate da al-cune ridipinture, ospitano alcune sagome virili (fig. 6) o mitologiche inmonocromia e inserti sempre a grisaille con scenette della vita di Ercoleche è difficile escludere dall’intervento del figurista. Più arduo capire chisia il quadraturista, sia in ragione della dubbia integrità del lavoro, siaper visibili differenze di stile e impostazione anche cromatica con i ciclipressoché coevi noti. Per ciò che riguarda l’intervento di Merano, i modiricordano quelli degli affreschi della cappella di San Nicola nella chiesa

3. Giovanni Ba7i-sta Merano, Angio-le+o con simbolidella Passione, San-remo (Imperia),Palazzo Boread’Olmo, cappella

4. Giovanni Ba7i-sta Merano, Angeliche portano intrionfo la croce, San-remo (Imperia),Palazzo Boread’Olmo, cappella

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di San Giovanni Evangelista a Parma: datati al 1685, e si consideri che ilpittore si sposta in continuazione tra l’Emilia e la Liguria tra la secondametà del nono decennio, momento di intensa attività nel ducato par-mense, e la prima metà del successivo. Accettando la precisa indicazionedel Ratti che colloca gli altri lavori sanremesi nel 169534, si può proporreper l’inedito intervento una datazione a ridosso, ricordandosi anche cheil Merano nel 1693 si trovava non lontano ad affrescare un transetto nellaBasilica di San Giovanni Battista a Finalmarina. Si può immaginare chel’Ercole abbia costituito il primo episodio dell’importante commessa pri-vata quale quella per i marchesi Borea, che, non va dimenticato, inclu-deva anche un affresco in facciata con Romolo che libera la città dai saracenioggi perduto35.Per tornare agli affreschi noti, pare di poter aggiungere qualche rifles-sione. In generale, la massività di certe forme e un’attenzione anatomicainsistita possono essere imputabili, ancor prima del parallelo con la scul-tura già indicato correttamente dalla critica, con tanta pittura bolognesemadre e figlia dal naturalismo riformato dei Carracci. L’idea del pergo-lato con putti della Galleria potrebbe essere un omaggio a un modello fel-sineo incontrato in terra parmense. Vi affiora forse il ricordo della Salettadella Fama nella Rocca di Sala Baganza, allora proprietà dei Farnese, ge-nerosi committenti di Merano36. Nella volta, opera concordementeascritta a Ercole Procaccini37, la figura allegorica campeggia contro il cieloal centro di un fitto fogliame popolato di putti; un’idea del tutto analogaa quella resa, con maggior leggerezza e con un gusto ovviamente diversogià quasi settecentesco, da Merano nella Galleria Borea. L’aggrovigliarsidi putti nel pergolato di Sanremo si fa più lieve con figure che tuttavia ar-rivano quasi ad essere sovrapponibili. Ciò non farebbe che confermare che anche negli affreschi la lezione diValerio è tutt’altro che esclusiva. Oltre al suo aggiornarsi sulla manieradegli artisti attivi a Genova negli anni Sessanta e Settanta - dalla plasti-

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5. Giovanni Ba7i-sta Merano, Ercoleincoronato dallafama, Sanremo (Im-peria), PalazzoBorea d’Olmo

6. Giovanni Ba7i-sta Merano, Ercoleincoronato dallafama, Sanremo (Im-peria), PalazzoBorea d’Olmo, det-taglio

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cità di Piola alla vera e propria scultura di Pierre Puget e Filippo Parodi-,va notato un fondersi di queste nuove istanze con i forti richiami emilianidovuti alla sua lunga permanenza fuori Liguria. Stimoli che i continui ap-profondimenti indicano non essere limitati ai già riconosciuti richiami aCorreggio e Parmigianino, ma ben più variegati, a spiegare appunto lacomplessità e varietà dell’opera del Merano.

AppendiceAlcune aggiunte al catalogo di Giovanni Battista Merano

Oltre agli inediti discussi nel testo, si segnalano le seguenti opere a ogginon inserite in pubblicazioni scientifiche e specifiche su Merano, bensìsfuggite all’attenzione degli studiosi, ovvero apparse in cataloghi di ven-dita con la corretta attribuzione a Merano o con un diverso riferimentoche qui si rettifica.1a. Angioletti musicanti (fig. 7)1b. Angioletti cantori (fig. 8)Olio su tela, cm 75 x 130 ciascunoRoma, collezione privataLa coppia di tele, in ottimo stato di conservazione, ci risulta inedita. Se-gnalate nel 2004 ad Anna Orlando dal proprietario come possibili opere diStefano Magnasco, vanno invece ricondotte al pennello di Merano: le ti-pologie dei putti ci paiono inconfondibili, come può risultare evidenteanche dal solo confronto con le altre immagini pubblicate in questo sag-gio. Si ringrazia il proprietario per aver messo a disposizione il materialefotografico.In virtù del formato e della prospettiva dal basso si può ipotizzare che ledue tele facessero originariamente parte di un fregio posto in alto, tra pa-rete e volta, secondo una tipologia, con soggetti analoghi, assai diffusa aGenova per esempio nell’ambito della produzione di Domenico Piola. Nonè da escludersi, viste le fortissime analogie, che essi siano parte dello stessofregio da cui provengono anche i due dipinti che seguono. Pare oppor-tuno pertanto ricordare che nella quadreria di Filippo Spinola in un in-ventario databile al 1684 circa vengono registrati “tre fisi [fregi] con Putti,opera uno di Domenico Piola, altro di Magnasco e l’altre del Merano, concornici come sopra (dorata in noce), di palmi 8 per 2 e mezzo” stimati lire225 (Belloni 1988, p. 189). Poiché il palmo genovese corrisponde a circa cm22,5, l’altezza del fregio doveva aggirarsi sui 56 cm circa, inferiore dunqueall’altezza delle tele qui analizzate. La menzione inventariale di un fregio,che vide all’opera tre artisti che negli anni Sessanta del secolo presenta-vano indubbie analogie (Piola, Merano e Stefano Magnasco), rimane unutile indizio per immaginare la probabile originaria destinazione anchedegli inediti qui illustrati.

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2a. Angioletti musicanti (fig. 9)Olio su tela, cm 72 x 76collezione privata2b. Angioletti cantori (fig. 10)Olio su tela, cm 70 x 80 ca.Genova, collezione ZerboneBibliografia: Moretti 1990, pp. 85, 108La coppia di tele, provenienti dal mercato antiquario locale, erano en-trambe pervenute in collezione Zerbone verso il 1985; si trovano oggi indue diverse raccolte, giacché una delle due è stata oggetto di un dononel 1996 al collezionista presso i cui eredi oggi ancora si trova.Il lieve scarto di misure si deve probabilmente al fatto che originaria-mente esse erano parte della medesima tela, a sua volta forse facenteparte di un fregio del tutto analogo a quello che possiamo immaginareper i due dipinti presentati precedentemente (n. 1a-1b). Non è da esclu-dersi anche che possa trattarsi del medesimo fregio, visto che anche lemisure in altezza sono quasi identiche (circa 70-75 cm per tutti e quattro

Agnese Marengo, Anna Orlando7. Giovanni Ba7istaMerano, Angiole+imusicanti, Roma,collezione privata

8. Giovanni Ba7istaMerano, Angiole+icantori, Roma, col-lezione privata

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i dipinti). Le due opere furono illustrate nel volume di Moretti, in ra-gione del solo soggetto musicale, come opere di Giovanni Lorenzo Ber-tolotto, sebbene già allora (1990) il proprietario avesse ben presente chesi trattasse di opere del Merano.3. Gesù bambino benedicente con la croce (fig. 11)Olio su rame, cm 35 x 16Già Genova, mercato antiquario Provenienza: Genova, Boetto, 25-26 febbraio 2008, n. 192Privo di attribuzione nel catalogo d’asta in cui appare genericamente in-dicato come “sportello di tabernacolo”, il dipinto ci pare possa essere ri-condotto ai modi del Merano. Un riferimento particolarmente calzante èquello con il bel San Giovannino di collezione privata reso noto da Da-niele Sanguineti di recente (2008, p. 120). 4. La strage degli innocenti (fig. 12)Olio su tela, cm 54,5 x 69Già Genova, mercato antiquarioProvenienza: Genova, Wannenes, 8 giugno 2009, n. 147Apparso a un’asta genovese con la scheda critica di Anna Orlando pro-prio nelle fasi finali della redazione di questo testo, è possibile aggiun-gerlo, quale importante ritrovamento, agli inediti del Merano che qui sipresentano e si discutono. Da collegarsi evidentemente al lunettone dellachiesa del Gesù, e dunque databile al 1660 circa come gli altri due boz-zetti noti per questa importante commissione, il dipinto è quanto maiutile proprio alla migliore comprensione dell’iter creativo del Merano, acui in gran parte questo intero contributo è dedicato. Fornisce una ulte-riore testimonianza della grande capacità di declinare il metodo dell’ab-bozzo da parte degli allievi di Valerio Castello, Merano in primis.

9. Giovanni Ba7istaMerano, Angiole+imusicanti, colle-zione privata

10. Giovanni Ba7i-sta Merano, Angio-le+i cantori,Genova, collezioneZerbone

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11. Giovanni Ba7i-sta Merano, GesùBambino benedicentecon la croce, già Ge-nova, mercato an-tiquario

12. Giovanni Ba7i-sta Merano, Lastrage degli inno-centi, già Genova,mercato antiquario

13. Giovanni Ba7i-sta Merano, Sposa-lizio mistico di santaCaterina, già Lon-dra, mercato anti-quario

5. Sposalizio mistico di santa Caterina (fig. 13)Olio su tela, cm 127 x 169,5Già Londra, mercato antiquarioProvenienza: Londra, Sotheby’s, 11 luglio 2002, n. 196 Apparsa all’asta londinese del 2002 con un generico riferimento allascuola genovese del XVII secolo, la grande tela presenta tutte le caratte-ristiche stilistiche che ne consentono l’inserimento a pieno titolo nel cor-pus dei dipinti del Merano. L’opera dovrebbe collocarsi cronologicamente nel decennio 1660-1670.

Agnese Marengo, Anna Orlando

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6. Gesù incontra la Veronica nella salita al Calvario (fig. 14)Olio su tela, cm 140 x 200Già Genova, mercato antiquarioProvenienza: Genova, Art, 29-30 maggio 2007, n. 490Il catalogo d’asta riporta la corretta attribuzione a Merano e pubblica unascheda di Anna Orlando (non firmata per un refuso redazionale), in cuisi evidenzia la spettacolare teatralità dell’opera e la sua probabile pro-venienza pubblica, pur non essendosi trovate segnalazioni di opere conquesto soggetto in fonti e inventari. Il catalogo d’asta menziona anche il

14. Giovanni Ba7i-sta Merano, Gesùincontra la Veronicanella salita al Calva-rio, già Genova,mercato antiquario

15. Giovanni Ba7i-sta Merano, Tran-sito di San Giuseppe,Roma, collezioneprivata

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parere concorde di Mary Newcome circa l’attribuzione e la volontà dellastudiosa di inserirlo in una sua pubblicazione monografica.Il dipinto dovrebbe datarsi agli anni Settanta del secolo. 7. Transito di san Giuseppe (fig. 15)Olio su tela, cm 122,5 x 150Roma, collezione privataProvenienza: Roma, Christie’s, 23 maggio - 5 giugno 2000, n. 656L’attribuzione a Merano della tela si deve a Mary Newcome, come ri-portato dal catalogo d’asta in cui esso apparve. Il naturalismo delle fi-gure e il tono pacato di questa scena intima ricordano la lezione diGiovanni Andrea De Ferrari, suo maestro, mentre la composizione ri-manda a due opere che affrontano lo stesso tema riferite o da riferire aMerano, una pala nella basilica di San Giovanni Battista a Finalmarina(vedi infra) e una nella chiesa di Sant’Andrea Apostolo a Levanto, ricon-dotta al nostro da Giuseppe Cirillo38.8. Transito di san Giuseppe (fig. 16)Olio su tela, cm 380 x 220Finalmarina (Savona), basilica di San Giovanni Battista, cappella di SanGiuseppe Il dipinto si conserva con attribuzione ad anonimo nella chiesa dove Me-rano affrescò in tempi successivi i due transetti (1678 e 1693) e non ci ri-sulta che il riferimento al pittore sia stato a oggi precisato in sede di

Agnese Marengo, Anna Orlando15. Giovanni Ba7i-sta Merano, Tran-sito di San Giuseppe,Finalmarina (Sa-vona), basilica diSan Giovanni Ba7i-sta

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∗Nel corso delle lunghe fasi di elabora-zione di questo testo, fra la sua prepa-razione in vista del convegno di giugno2009 e la correzione delle bozze nelmarzo 2010, è nel frattempo uscita lamonografia sul pittore a cura di MaryNewcome e Giuseppe Cirillo, M. New-come Schleier, G. Cirillo, Giovanni Bat-tista Merano (Genova 1632- Piacenza1698), Torino 2010.1 Cirillo, Godi 1980, pp. 71-90; Cirillo,Godi 1982, pp. 89-106.2 Newcome 1982, pp. 19-32; Newcome2005, pp. 62-71.3 Gavazza 1989, 202-204. Di Merano sitratta anche all’interno della monogra-fia di Stefano Magnasco, nel capitolodedicato agli altri allievi di Valerio Ca-stello: Orlando 2001, pp. 24-28. Si se-gnala anche la recente tesi di laurea:Marengo 2004-2005. È in corso di pub-blicazione per il Dizionario Biograficodegli Italiani la voce biografica relativaall’artista a cura di Agnese Marengo sugentile invito di Daniele Sanguineti che

sentitamente si ringrazia.4 Sanguineti 2008, pp. 106-129.5 Sulla cronologia dell’opera di Magna-sco: Orlando 2001, pp. 64-66.6 Per una sintetica indicazione deglispostamenti di Merano: Lamera 1992,pp. 225-226.7 Soprani 1674, pp. 236, 239, 259; Ratti1769, pp. 61-63.8 Bartoletti in Il Palazzo Farnese 1997, pp.198-199, n. 14.9 Per il San Giovannino già appartenentealla collezione di Ottavio Costa: CostaRestagno 2004a, pp. 425-427; Costa Re-stagno 2004b. Per la presenza e i riflessidell’opera di Caravaggio a Genova:Boccardo, Orlando 2005, pp. 103-115(con ampi rimandi bibliografici).10 Non pare superfluo ricordare che ildipinto era conservato nella collezionedi Anna Ceresa a San Giorgio Piacen-tino insieme a due altre grandi tele diMerano: il Salomone che adora gli idoli e ilConvito di Baldassarre, tutti pervenuti aPalazzo Farnese (Bartoletti in Il Palazzo

pubblicazione. Lo stato di conservazione non ottimale, a causa delle nu-merose ridipinture, non consente precise argomentazioni in merito allostile; pur tuttavia la tipologia allungata delle figure, la datazione degli af-freschi in quella chiesa e la notizia che il pittore menziona una pala ap-prontata per il Finale nel suo testamento del 169839, consentono diipotizzare con ragionevolezza una datazione estrema per quest’opera,da porsi verosimilmente verso la metà dell’ultimo decennio del secolo.

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Farnese 1997, pp. 198-201). Un con-fronto che ci pare calzante per que-st’opera è anche il San Giovannino(Sanguineti 2008, p. 120, fig. 37), so-prattutto per ciò che concerne la conce-zione della figura nello spazio dinatura.11 Lamera in Genova 1992, p. 226, n.124.12 Camillo Manzitti, che aveva pubbli-cato il bozzetto come opera di Merano(1972, p. 300, n. 189) non è più concordenell’accettarlo come suo, secondoquanto riporta Sanguineti (2008, p. 129nota 84).13 Marengo in Genova 2006, p. 210, n.71; Sanguineti in Genova 2008, pp. 305-306, nn. 59-61.14 Romanengo in Genova 2008, pp. 293-294, n. 34; Manzitti in Genova 2008, p.294, n. 35. Sulla questione si vedaanche: Orlando in Genova 2008, pp.296-297, n. 42. 15 Olio su tela, cm 75 x 100, collezioneprivata; cfr. qui scheda 4 in appendice.16 Orlando 2001, p. 27, fig. 21. In questocaso non è nota l’opera finita, che po-trebbe anche non essere mai stata ese-guita, né addirittura ipotizzata.17 Olio su tela, cm 67 x 104, collezioneprivata.18 Sulle complesse vicende degli arazzirubensiani: Boccardo 2004, pp. 103-107.19 Olio su tela, cm 75 x 100, collezioneprivata. 20 Orlando 2001, p. 27, fig. 22.21 Longhi 1966, pp. 25-29.22 Olio su tela, cm 82 x 40. Newcome1982, pp. 25-26, 31 nota 42, tav. 23.23 ASG, Notaio Giuseppe Celesia, filza37, 8 gennaio 1675 (Belloni 1988, p.183); Francesco Bartoli probabilmentesi riferisce a quest’opera, oggi non rin-tracciabile, quando nella chiesa dellaPusterla ricorda una “Tavola con S. Be-nedetto vestito Pontificalmente col To-tila a lui genuflesso, credesi di FilippoAbbiati”: Bartoli 1776-1777, p. 49.24 La presenza di Merano a Mantova èmenzionata in Newcome 1982, p. 20;Newcome 2005, p. 62.25 Ratti 1769, p. 62.26 Gavazza 1989, p. 260 nota 255.27 Il suggerimento si deve a Mary New-come fin dal suo primo articolo dedi-cato al Merano: Newcome 1982, pp.

20-21; Newcome 2005, p. 64.28 Per l’affresco: Cirillo, Godi 1982, pp.72, 85. Recentemente Vincenzo Buono-core ne ha reso noto il bozzetto conser-vato in collezione privata a Modena(cm 82 x 62): Buonocore 2003, pp. 141-147.29 Per una recente disamina degli ap-porti di Valerio Castello al ciclo geno-vese: Algeri 2008, pp. 41-51. 30 Ratti 1769, p. 67; Bartoletti, PazziniPaglieri 1995, pp. 145-146.31 Bartoletti in Il Palazzo Farnese 1997, p.199; Bartoletti, Pazzini Paglieri 1995,pp. 145-146. 32 Ratti 1769, p. 67: “dipinsevi [in pa-lazzo Borea] ancora l’interna cappella;ove nel quadro ad olio figurò Gesù de-posto di Croce: ne’ due laterali a fresco,esso Gesù orante nell’orto, e flagellatoalla colonna: e nella volta, diversi An-gioli, che tengono in atto di trionfo laCroce”.33 Si ringrazia il proprietario per la se-gnalazione, nonché per la generosa ac-coglienza e ospitalità.34 Ratti 1769, p. 67.35 Ratti 1769, p. 67. Resta da chiarirel’omissione del Ratti della volta con Er-cole, che pare comunque potersi spie-gare come una delle frequentiomissioni e selezioni sia delle fonti ingenere, sia del Ratti stesso, nelle moltedescrizioni di ambienti privati ed edi-fici pubblici. Quanto al soggetto del-l’affresco di facciata, sorge il dubbio cheil Ratti possa aver equivocato: visto ilnome della località ligure dove ci tro-viamo, non sarà da intendersi piuttostocome “San Remo che libera la città daisaraceni”?36 Per le vicende storiche della Rocca:Dall’Acqua 1999, pp. 7-21 (in partico-lare pp. 15-16).37 Cirillo 1999, pp. 25-50 (in particolarepp. 35-36). 38 Cirillo 2001, p. 26. (G. Cirillo, Dipintiinediti del seicento e Settecento parmensea proposito del nuovo catalogo della galleriaNazionale in “Parma per l’Arte”, n. VII,2001, pp. 7-67).39 Fiori 1971, p. 256. (G. Fiori, Documentisu pinacoteche e artisti piacentini in Studistorici in onore di Emilio Nasalli Rocca,Piacenza 1971, pp. 223 e ss.)

Agnese Marengo, Anna Orlando

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