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ITALIA MEDIOEVALE E UMANISTICA LIV (2013) A cura di Rino Avesani, Edoardo Fumagalli, Giovanna M. Gianola, Manlio Pastore Stocchi, Nigel G. Wilson, Stefano Zamponi EDITRICE ANTENORE ROMA - PADOVA · MMXIII

Le postille di Boccaccio a Terenzio, in «Italia Medioevale e Umanistica», LIV, 2013, pp. 81-133 e tavv. I-IV

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ITALIAMEDIOEVALE EUMANISTICA

LIV(2013)

A cura diRino Avesani, Edoardo Fumagalli, Giovanna M. Gianola,

Manlio Pastore Stocchi, Nigel G. Wilson, Stefano Zamponi

EDITRICE ANTENOREROMA - PADOVA · MMXIII

ITALIA MEDIOEVALE E UMANISTICAvol. liv (2013), ii della terza serie

Direttore responsabile:Enrico Malato

Segreteria di redazione:Marco Baglio, Carla Maria Monti, Marco Petoletti

Ogni articolo è sottoposto in forma anonima al giudizio di specialisti dell’argomento (peer reviewed).

*

Mentre il volume era in lavorazione, prossimo alla chiusura redazionale, è improvvisamente venuto a mancare Gianvito Resta. l’inatteso e doloroso evento

ha provocato un inevitabile ritardo nell’uscita del volume stesso, al quale è sembrato giusto lasciare in epigrafe il nome del Direttore responsabile,

che ne aveva seguito la revisione fino alla fine.

La Direzione

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 60 del 20 marzo 2013

ISBN 978-88-8455-691-2Tutti i diritti riservati - All rights reserved

Copyright © 2013 by Editrice Antenore S.r.l., Roma-Padova. Sono rigo-rosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche par-ziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, senza la preventiva autorizzazione scritta della Editrice Antenore S.r.l. Ogni abuso sarà

perseguito a norma di legge.

SOMMARIO

A Giuseppe Billanovich xi

Laura Regnicoli, Codice diplomatico di Giovanni Boccaccio. 1. I documenti fiscali 1

Silvia Finazzi, Le postille di Boccaccio a Terenzio (tavv. i-iv) 81

Michael D. Reeve, The text of Boccaccio’s excerpts from Pliny’s ‘Natural History’ 135

Giulia Perucchi, Boccaccio geografo lettore del Plinio petrarchesco (tavv. v-vii) 153

Edoardo Fumagalli, Giovanni Boccaccio tra Leonzio Pilato e Francesco Petrarca: appunti a proposito della “prima translatio” del- l’ ‘Iliade’ 213

Carla Maria Monti, La Campania nel ‘De mappa mundi’ di Paolino Veneto (tavv. viii-x) 285

Marco Baglio, « Avidulus glorie ». Zanobi da Strada tra Boccaccio e Petrarca (tavv. xi-xiii) 343

MISCELLANEA

Stefano Martinelli Tempesta-Marco Petoletti, Il ritrat-to di Omero e la firma greca di Boccaccio (tavv. xiv-xv) 399

Indice dei nomi, a cura di Silvia Finazzi 411

Indice dei manoscritti e dei documenti d’archivio, a cura di Angelo Piacentini 423

Silvia Finazzi

LE POSTILLE DI BOCCACCIO A TERENZIO

Il ms. Plut. 38 17 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, che contiene le commedie di Terenzio,1 fu esemplato come noto nel corso degli anni ’40 del XIV secolo da Giovanni Boccaccio e da lui sottoscritto, in maiuscola distintiva e inchiostro nero, dopo la formu-la di explicit del testo delle commedie stesse (al f. 84r): « Explicit Liber Terrentii Cullei Chartaginensis viri clarissimi. Iohannes de Certaldo scripsit » (tav. iii).2 Il codice è stato corredato dal Certaldese di diver-se postille e segni di attenzione figurati, sia coevi al lavoro di copia

* Si specifica fin d’ora che, salvo diversamente indicato a suo luogo, le citazioni delle opere boccacciane saranno sempre tratte da G. Boccaccio, Tutte le opere, a cura di V. Branca, Milano, Mondadori, 1964-1998, 10 voll., in particolare: Filocolo, a cura di A.E. Quaglio (vol. i 1967); Filostrato, a cura di V. Branca; Teseida delle nozze di Emilia, a cura di A. Limentani; Comedia delle ninfe fiorentine, a cura di A.E. Quaglio (vol. ii 1964); Amorosa visione, a cura di V. Branca (vol. iii 1974); Epistole e lettere, a cura di G. Auzzas, con un contributo di A. Campana; Vite, a cura di R. Fabbri (vol. v/1 1992); Elegia di madonna Fiammetta, a cura di C. Delcorno; Corbaccio, a cura di G. Pa-doan (vol. v/2 1994); Esposizioni sopra la ‘Comedia’ di Dante, a cura di G. Padoan (vol. vi 1965); Genealogie deorum gentilium, a cura di V. Zaccaria (voll. vii-viii 1998); De casi-bus virorum illustrium, a cura di P.G. Ricci e V. Zaccaria (vol. ix 1983); De mulieribus claris, a cura di V. Zaccaria (vol. x 1967). Per il Decameron si segue invece G. Boccac-cio, Decameron, intr., note e repertorio di Cose (e parole) del mondo di A. Quondam, testo critico e Nota al testo a cura di M. Fiorilla, schede introduttive e notizia bio-grafica di G. Alfano, Milano, Rizzoli, 2013.

1. Per una descrizione del Laur. Plut. 38 17, maggiori dettagli e ulteriori notizie bibliografiche, basti rinviare da ultimo a M. Cursi-M. Fiorilla, Giovanni Boccaccio, in Autografi dei letterati italiani. i. Le Origini e il Trecento, a cura di G. Brunetti, M. Fioril-la e M. Petoletti, Roma, Salerno Editrice, 2013, vol. i pp. 43-103, a p. 50 (scheda Autografi, num. 9); S. Finazzi-M. Marchiaro, Il codice di Terenzio di mano del Boccaccio e da lui firmato, in Boccaccio autore e copista. Catalogo della Mostra di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 11 ottobre 2013-11 gennaio 2014, a cura di T. De Robertis, C.M. Monti, M. Petoletti, G. Tanturli e S. Zamponi, 2013, pp. 339-41 (scheda num. 60).

2. Oltre al Terenzio Laurenziano, altri due sono i codici, a oggi noti, recanti sotto-scrizione del Boccaccio. Si tratta del ms. Plut. 33 31 della Biblioteca Medicea Lauren-ziana di Firenze, la cosiddetta Miscellanea Laurenziana (al f. 16v), e del ms. A 204 inf. della Biblioteca Ambrosiana di Milano, contenente la traduzione latina dell’Ethica Nicomachea di Aristotele con il commento di Tommaso d’Aquino (solo il testo di quest’ultimo è autografo del Certaldese, che si sottoscrive al f. 86v).

che aggiunti nel corso del tempo. Certamente piú tarde rispetto alla scrittura del testo terenziano sono inoltre le annotazioni di argo-mento omerico al f. 84v: ai primi anni ’50 andranno con ogni proba-bilità assegnati gli aneddoti in latino, riguardanti la leggenda relativa alla morte di Omero e la disputa in merito alla sua patria; mentre di necessità successivi al 1360, anno in cui Boccaccio ebbe modo di co-noscere il monaco di origini calabresi Leonzio Pilato, sono gli epi-grammi in greco vergati nella metà inferiore della carta (tav. iv).3

Grazie alla presenza della sottoscrizione, l’autografia boccacciana di questo codice fu considerata un dato acquisito alquanto precoce-mente, tanto che già nel XVI secolo Baccio Baldini e Vincenzio Borghini, al quale il manoscritto appartenne prima di passare all’at-tuale collocazione, vi alludono definendolo senza incertezze il Te-renzio « di mano del Boccaccio ».4 Al 1887, risale invece la definitiva identificazione con il ms. II 2 della parva libraria di Santo Spirito,5 cosí sancita da Francesco Novati:

La libreria boccaccesca, adunque che aveva già sofferto perdite non lievi prima di essere collocata nei banchi fatti costruire dal Niccoli, deve averne e nella seconda metà del sec. decimoquinto e nel decimosesto sopportate

3. Altri luoghi boccacciani in cui vengono parzialmente affrontati questi argo-menti, insieme ad altri aneddoti omerici che il Certaldese ebbe modo di conoscere attraverso Leonzio, sono anche Esp. sopra la Comedia, iv, esp. litt., 92-93, 105-7, e Gen. deor. gent., xiv 19. Sulla questione A. Pertusi, Leonzio Pilato fra Petrarca e Boccaccio. Le sue versioni omeriche negli autografi di Venezia e la cultura greca del primo Umanesimo, Vene-zia-Roma, Ist. per la collaborazione culturale, 1964, pp. 83-86, 90-97, 104-11; vd. ora S. Martinelli Tempesta-M. Petoletti, Il ritratto di Omero e la firma greca di Boccaccio, in questo stesso volume, pp. 402-6.

4. La nota di Borghini (« Terentio di mano del Boccaccio destinato alla libreria de’ Medici ») è contenuta in un suo elenco di libri autografo conservato nel ms. II X 141 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, a p. 206. Alla nota di Baldini fa inve-ce riferimento A. Hortis, Studj sulle opere latine di Boccaccio, Trieste, Julius Dase, 1879, p. 944. Di un certo rilievo è poi anche il giudizio espresso, alla metà del Settecento, dall’abate Lorenzo Mehus, il quale non nutriva alcun dubbio in merito all’autografia boccacciana del codice: « Hunc autem a Joanne de Certaldo Boccaccii filio fuisse scriptum censeo » (L. Mehus, Historia litteraria Florentina ab anno mcxcii usque ad an-num mcccxl, in Ambrosii Traversarii [. . .] Latinae Epistolae [. . .], 2 voll., Florentiae, Ex typographo Caesareo, 1759, vol. i pp. cclxxiv-cclxxv, a p. cclxxv).

5. A. Mazza, L’inventario della “parva libraria” di Santo Spirito e la biblioteca del Boccaccio, in « Italia medioevale e umanistica », a. ix 1966, pp. 1-74, alle pp. 19-20, 62, 72; T. De Robertis, L’inventario della « parva libraria » di Santo Spirito, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 403-9, a p. 405.

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altre che ne procurarono lentamente la dispersione. E buon argomento a convalidare questa mia sentenza porge, se non m’inganno, la storia di un cod. famoso, il Terenzio laur. (Pl. XXXVIII, 17), che porta in calce la firma del Boccaccio. È noto come il Ciampi, il quale, per dimostrare l’autografia del zibaldone magliabechiano da lui scoperto, cercò a dritto o a torto di far apparire apocrifi tutti gli altri manoscritti creduti di mano del Boccaccio, non abbia osato attaccare di fronte l’autenticità di questo bellissimo mano-scritto, e siasi appagato di esprimere alcuni dubbi che sono senza valore. Ma anche questi dubbi verranno dissipati dalla prova luminosa che in favore del Terenzio ci è ora fornita dall’Inventario del 1451. In esso infatti fra i codici del banco secondo noi ne rinveniamo uno cosí descritto: Terrentius culleus comicus conpletus et cohopertus corio albo, cuius principium est « natus in ecelsis etc. » Finis vero [penultime carte] « dum vivat ad aurem etc. ». Se adesso alcuno si provi a confrontare i dati che si ricavano dalla antica descrizione con il cod. laurenziano si avvedrà subito come tornino intieramente [. . .]. Chi po-trà dopo di ciò dubitare che il Terenzio laurenziano non sia quello stesso che esisteva a metà del XV secolo in S. Spirito, quello che il Boccaccio aveva scritto?6

Il testo delle sei commedie, nell’ordine Andria (ff. 1r-15v), Eunuchus (ff. 16r-31v), Heautontimorumenos (ff. 31v-46r), Adelphoe (ff. 46r-59r), Hecyra (ff. 59r-70v) e Phormio (ff. 70v-84r), introdotto al f. 1r dall’epi-taffio e dalla vita di Terenzio, è stato vergato da Boccaccio adottando un’ordinata (pur non priva di talune variazioni interne di modulo) littera textualis, collocabile appunto alla prima metà degli anni ’40.7 Il relativo sistema di glosse di tradizione, copiato in interlinea ma spesso anche nei margini laterali, con rare escursioni in quello infe-riore (ad esempio al f. 46r), prevale senza dubbio in modo netto dal punto di vista quantitativo sulle postille che risultano essere state elaborate autonomamente da Boccaccio. D’altro canto, il novero di queste ultime viene considerevolmente incrementato dai numerosi

6. F. Novati, rec. a A. Goldmann, Drei italienische Handschriftenkataloge s. XIII-XV, in « Giornale Storico della Letteratura Italiana », a. x 1887, pp. 413-25, alle pp. 424-25.

7. In particolare, nella sua recente classificazione complessiva dei vari momenti della scrittura boccacciana, Marco Cursi ha collocato e analizzato la tipologia riscon-trabile nel Terenzio Laurenziano all’interno del secondo periodo, quello della for-mazione (metà degli anni ’30-metà degli anni ’40), con particolare riferimento alla prima metà degli anni ’40: cfr. Cursi, in Cursi-Fiorilla, Giovanni Boccaccio, cit., pp. 64-65; Id., La scrittura e i libri di Giovanni Boccaccio, Roma, Viella, 2013, in partic. alle pp. 29, 43-44.

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segni di attenzione figurati, in tutto circa novanta tra maniculae, fio-rellini (per la maggior parte della tipologia “a due punti”) e graffe, cui andrà aggiunto il disegno di un profilo maschile nel margine sinistro del f. 53v (tav. i.3).

Prima di presentare l’edizione, e dunque un esame piú approfon-dito del corpus di postille e dei marginalia figurati lasciati da Boccaccio nel Terenzio Laurenziano, varrà la pena di fornire alcuni dati gene-rali riguardo alla conoscenza dello scrittore latino da parte del Cer-taldese. Tale problema del resto, si pone già osservando il citato co-lophon, vergato in maiuscola distintiva al pari della sottoscrizione che segue, ma in inchiostro rosso (tav. iii). Vi si nota infatti il riferi-mento al cognomen Culleone, sempre riportato nella forma Culleus -i anziché Culleo -onis (« Terrentii Cullei Chartaginensis »), che va a reiterare in questo senso per la terza volta il dato onomastico pre-sente al f. 1r nella rubrica dell’epitaffio (« Epythaphium Terrentii Cullei Cartaginensis »), e nell’incipit del testo delle commedie (« In-cipit liber Terrentii Cullei Cartaginensis »). L’erronea sovrapposi-zione tra la figura di Publio Terenzio Afro e quella di Quinto Teren-zio Culleone, senatore e tribuno della plebe, di appena pochi anni piú anziano rispetto al commediografo, era stata ingenerata nella tradizione a partire da un passo del iv libro delle Historiae adversus paganos di Orosio:

Scipio, iam tum cognomento Africanus, triumphans urbem ingressus est; quem Terentius, qui postea comicus, ex nobilibus Carthaginiensium captivis pilleatus – quod insigne indultae sibi libertatis fuit – triumphantem post currum secutus est.8

8. Oros., Hist., iv 19 6 (varrà la pena di aggiungere inoltre come, in corrisponden-za di questo passo, non si registri alcun segno o annotazione boccacciani al f. 32r del ms. 627 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, codice composito contenente le Hi-storiae orosiane la cui seconda sezione è interamente autografa del Certaldese, che vi lavorò probabilmente agli inizi degli anni ’50: cfr. Cursi-Fiorilla, Giovanni Boccaccio, cit., pp. 51-52, scheda Autografi, num. 14; T. De Robertis, Orosio, Paolo Diacono e Pa-squale Romano: un autografo finalmente ricomposto, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 343-46, scheda num. 62). Al luogo di Orosio andrà verosimilimente affiancata, stante l’effettiva assenza del cognomen Culleone in quel testo, l’azione incrociata di altre due fonti nelle quali esso viene invece registrato, vale a dire Livio (in partic. xxx 45 5: « secutus Scipionem triumphantem est pilleo capiti imposito Q. Terentius Culleo, omnique deinde vita, ut dignum erat, libertatis auctorem coluit ») e Valerio Massimo

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Boccaccio, corroborato altresí dalla lettura dei vari accessus tardoan-tichi e medievali a Terenzio, non poté far altro che trasferire nel suo codice questo dato, salvo poi incorrere di nuovo nell’erronea iden-tificazione all’interno di un’opera risalente, con ogni probabilità, a un periodo di poco successivo al lavoro di copia delle commedie terenziane, ossia nel De vita et moribus domini Francisci Petracchi. Qui infatti, nel passare in rassegna le peculiarità di alcuni auctores classici (tra cui Omero, Virgilio e Orazio), e istituendo un’ideale continuità tra di essi e lo stesso Petrarca, il Certaldese ricorda Terenzio con queste parole: « quid Terentius Culleus placida infestante Talya me-retricum lenonem iuvenum et servorum actus describendo relique-rit » (par. 6).

Singolarmente dunque, al di là di quanto osservato nelle codifi-cate formule copiate nel Laur. 38 17, l’unico esplicito riferimento da parte di Boccaccio al cognome Culleus si incontra proprio nella bio-grafia di Francesco Petrarca, ossia di colui al quale si deve, di fatto, la definitiva risoluzione del secolare equivoco tra i due Terenzio e la restituzione delle corrette indicazioni onomastiche, come si può ricavare in particolare sia dalla sua Vita Terrentii (par. 12-17) che dal De viris illustribus, xxi (Scipio) 10 74.9

A completare il presente quadro, va inoltre ricordato che il Cer-

(v 2 5: « Tam hercule probabiliter quam Q. Terentius Culleo, praetoria familia natus et inter paucos senatorii ordinis splendidus, optimo exemplo Africani superioris cur-rum triumphantis, quia captus a Carthaginiensibus ab eo fuerat recuperatus, pilleum capite gerens secutus est: auctori enim libertatis suae tamquam patrono accepti be-nefícii confessionem, spectante populo Romano, merito reddidit »). In merito alla forma del cognomen, si veda C. Villa, Successi e sfortune della ‘Vita Terrentii’ nell’Umanesi-mo, in Il Petrarca latino e le origini dell’Umanesimo. Atti del convegno internazionale di Firenze, 19-22 maggio 1991, in « Quaderni petrarcheschi », a. ix-x 1992-1993 [ma 1996], vol. ii pp. 555-71, a p. 563: « è possibile che Boccaccio, riflettendo su questi testi a lui familiarissimi anche nei volgarizzamenti, ne abbia ricavato il cognome, usato in una variante [vale a dire, appunto, Culleus -i] che talora appare, in manoscritti di Va-lerio Massimo, in concorrenza con la forma corretta Culleo -onis ».

9. Al proposito cfr. C. Villa, La « Lectura Terentii », i. Da Ildemaro a Francesco Petrarca, Padova, Editrice Antenore, 1984, in partic. alle pp. 191-201; Ead., Petrarca e Terenzio, in « Studi petrarcheschi », n.s., a. vi 1989, pp. 1-22, a p. 5; Ead., Successi e sfortune, cit., passim; G. Villani, in Boccaccio, Vita di Petrarca, a cura di G.V., Roma, Salerno Editrice, 2004, p. 95 n. 15; Í. Ruiz Arzálluz, La ‘Vita Terrentii’ de Petrarca, Roma-Padova, Editri-ce Antenore, 2010, in partic. alle pp. 93-106, e da ultimo Id., Terencio, Landolfo Colonna, Petrarca, in « Studi petrarcheschi », n.s., a. xxii 2009, pp. 1-18.

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taldese accenna direttamente a Terenzio (talora ricorrendo all’ag-gettivo terrentianus, terrenziano) soprattutto in due opere: le Genealo-gie deorum gentilium e le Esposizioni sopra la Comedia. Nella maggior parte dei casi si tratta peraltro di passi pressoché sovrapponibili tra loro, con generici rinvii al nome del commediografo (ricordato con Plauto in elenchi di vari auctores classici): basti pensare a Gen. deor. gent., xiv 4, 9 e 19; Esp. sopra la Comedia, Accessus, 25; iv, esp. litt., 131; xv 94. Questo computo deve essere integrato con le due allusioni nel De vita et moribus domini Francisci Petracchi (oltre a quella menzionata per l’erroneo cognome Culleus, vi è anche la breve testimonianza del par. 30 riguardo alla commedia scritta da un giovane Petrarca, seguendo i « Terentii vestigia »), e con uno dei non frequenti esempi di dichiarazione esplicita della propria fonte, in corrispondenza di una sententia morale dello scrittore latino (si tratta di Ad., ii 2 219: cfr. postilla num. 78), all’interno della tormentata epistola indirizzata a Francesco Nelli (a oggi nota, tranne che per il frammento conclusi-vo tràdito dal ms. Vat. Patetta 105, unicamente attraverso un volga-rizzamento quattrocentesco).10

Tra i passi terenziani di maggiore interesse citati alla lettera nelle Genealogie e nelle Esposizioni, soltanto in due casi il codice Lauren-ziano serba tracce tangibili dell’attenta lettura di Boccaccio. Si tratta dell’ironica massima su Cerere, Bacco e Venere di Eun., iv 5 732, ri-guardante gli effetti di cibo e vino sull’onestà muliebre (cfr. postilla num. 53), menzionata dal Certaldese in Esp. sopra la Comedia, v, esp. all., 79, nonché ripresa con parziali variationes in due passi del De mulieribus claris (xxiii 14 e lxvii 6), e di Phorm., i 2 77-78. Quest’ultimo luogo in particolare, all’altezza del quale Boccaccio non ha mancato di valorizzare nel suo codice la prossimità tra le parole di Terenzio e quelle rivolte da Cristo a san Paolo sulla via di Damasco (cfr. po-stille num. 102 e 103), viene diffusamente commentato in Gen. deor. gent., xiv 18, ed Esp. sopra la Comedia, i, esp. litt., 103.

10. Cfr. F. Patetta, Frammento del testo latino dell’Epistola del Boccaccio a Francesco Nelli, in Miscellanea di studi storici in onore di Giovanni Sforza, Lucca, Baroni, 1920, pp. 1-4; la nota al testo di Auzzas, in Boccaccio, Tutte le opere, vol. v/1, cit., a p. 797; Ead., Prime osservazioni sul testo dell’Epistola al Nelli, in « Studi sul Boccaccio », a. xxviii 2000, pp. 221-58.

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Riguardo invece alle analogie, spesso notevoli e quasi mai esplici-tate dall’autore, tra sententiae di matrice terenziana e alcuni luoghi di Boccaccio, occorre precisare che l’incidenza di tali echi si distribui-sce, uniformemente e con notevole densità, lungo diverse fasi della produzione letteraria del Certaldese. Non mancano del resto nep-pure sporadiche tangenze con opere giovanili, come il Filocolo e il Filostrato (cfr. postille num. 55, 81 o 93), a testimonianza di un preco-ce e già vivo interesse per il commediografo latino in un periodo antecedente all’allestimento stesso del codice, nel quale poi, inevi-tabilmente, tali suggestioni hanno finito per riverberarsi. Ma lo spe-ciale interesse dimostrato dai numerosi segni di attenzione che Boc-caccio ha apposto nei margini del codice, tanto verso brevi espres-sioni sentenziose quanto nei confronti di episodi legati a determina-te tipologie di personaggi (ad esempio l’adulescens, l’avaro senex o la meretrix), trova riscontri oltremodo consistenti prima di tutto nelle opere ascrivibili agli anni ’40, dunque in piena coerenza cronologica con il lavoro di copia del Terenzio Laurenziano. Si pensi per lo piú all’Elegia di Madonna Fiammetta, all’Amorosa visione, alla Comedia delle ninfe fiorentine e, con maggiore evidenza, al Decameron (cfr. ad esem-pio le postille num. 20, 26-27, 55, 59, 70, 77, 107). Piuttosto cospicue sono però anche le corrispondenze riscontrabili con certe digressio-ni, spesso di argomento morale, elaborate in opere piú tarde quali Corbaccio, De mulieribus claris, De casibus, soprattutto Genealogie deorum gentilium ed Esposizioni sopra la Comedia di Dante (cfr. almeno le postil-le num. 42, 53, 86, 91-92).

Per converso si aggiunga che nessun segno di attenzione (eccetto la segnalazione di una variante: cfr. postilla num. 51) è riscontrabile a margine di Eun., iii 5 585, dove si racconta dell’avventura galante tra Cherea e la cortigiana Taide. Quel giovane, sotto mentite spoglie di eunuco, viene in qualche modo indotto alla propria audacia dalla visione di un dipinto raffigurante Giove che, in forma di pioggia d’oro, si congiunge con Danae. Tale episodio è ricordato in Gen. deor. gent., xv 9 12, mediante un’allusione al « terrentianus adule-scens » Cherea, dalla cui estrema facilità nel cadere in tentazione Boccaccio, pur ammettendo la propria natura di peccator, prende vo-lentieri le distanze, con ogni probabilità rammentandosi della fun-

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zione paradigmatica (di segno decisamente negativo) assunta da quello stesso adulescens in talune riflessioni agostiniane:11

Nam, etsi peccator homo sim, non tamen, gratia Ihesu Christi, Cherea ter-rentianus adulescens sum, qui, dum a tegulis in gremium Danis cadentem Iovem, in tabula pictum, intueretur, in optatum a se facinus animatus est. Abiit cum annis iunioribus levitas illa, si fuisset aliquando circa iam dicta, quod, minime sum memor.

Allo stesso tempo, nessuna glossa o segno di attenzione si può rile-vare in corrispondenza di Ad., iii 4 486-87, dove la partoriente Panfi-la invoca la protezione di Giunone Lucina (con un formulario pe-raltro identico a quello di un’altra partoriente, Glicerio, in Andr., iii 1 473, luogo a sua volta privo di annotazioni nel codice Laurenzia-no). Quelle medesime parole, in ogni caso, sono puntualmente ri-portate dal Certaldese in Gen. deor. gent., ix 1 2, dopo un’analoga cita-zione plautina e con preciso rinvio in particolare al passo degli Adel-phoe, nel capitolo dedicato alle diverse denominazioni e caratteristi-che della dea Giunone, tra le quali appunto quella di protettrice delle puerpere:

Preterea et parturientibus preesse volunt, ut per Plautum patet in Aulularia dicentem: « Perii mea nutrix obsecro te uterum dolet Juno Lucina tuam fidem » et cetera. Sic et in Adelphis Terrentius parturientem ait dicere: « Mi-seram me differor doloribus, Iuno Lucina fer opem, serva me obsecro » et cetera.

Per quanto concerne il presente passo, chiarisco che solo in questo specifico caso cito il testo direttamente dall’autografo del trattato boccacciano (il ms. Plut. 52 9 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, f. 91r, dove nel margine sinistro il Certaldese ha richia-mato, all’altezza di questo luogo, entrambi i nomi degli auctores ri-cordati: « Plautus », « Terrentius »). Infatti, proprio il segmento in-centrato su Terenzio (« Sic et in Adelphis [. . .] et cetera ») non com-pare nell’edizione delle Genealogie curata da Vittorio Zaccaria, basa-

11. Riflessioni spesso accompagnate da citazioni letterali piú o meno ampie del testo dell’Eunuchus, mi riferisco segnatamente ad Aug., Civ., ii 7, Conf., i 16, e ancor piú a Epist., xci 4 (dove si registra la presenza della definizione, impiegata poi dallo stesso Certaldese, di « terentianus [. . .] adolescens »).

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ta notoriamente non sull’autografo (come invece quella curata da Vincenzo Romano nel 1951),12 bensí sulla testimonianza dei codici della Vulgata, che secondo lo studioso (il quale ha accolto e svilup-pato, in tal senso, ipotesi già avanzate in precedenza da Martellotti, Ricci e avvalorate dagli studi di Billanovich su Pietro Piccolo da Monteforte) riflettono una redazione posteriore a quella del Laur. 52 9. Questo segmento rientrerebbe pertanto entro il novero delle citazioni di auctores classici scorciate o del tutto tagliate, con ogni probabilità dallo stesso Boccaccio in un esemplare di servizio ag-giornato e andato perduto, rispetto alla redazione dell’autografo Laurenziano.13

A conclusione di questa serie di riscontri, tra i rinvii di carattere piú generico cui si accennava in precedenza, varrà la pena di ricor-dare l’interessante definizione di totus Terrentianus adottata da Boc-caccio, appena prima del parallelismo tra la sentenza del Phormio e le parole rivolte da Cristo a s. Paolo, per descrivere il prologo di

12. Cfr. G. Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, a cura di V. Romano, Bari, Laterza, 1951, 2 voll., vol. ii p. 436.

13. Va detto che il libro ix presenta una casistica particolarmente ampia di varianti di questo genere. Per la ricostruzione della complessa articolazione interna delle di-verse fasi redazionali distinte da Zaccaria, ivi compresa la bibliografia precedente, cfr. V. Zaccaria, Per il testo delle ‘Genealogie deorum gentilium’, in « Studi sul Boccaccio », a. xvi 1987, pp. 179-240, e alla nota al testo dell’edizione mondadoriana da lui curata (Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, a cura di V. Z., in Id., Tutte le opere, vol. viii, cit., pp. 1587 sgg.), riproposta in forma di saggio in V. Zaccaria, Boccaccio narratore, storico, moralista e mitografo, Firenze, Olschki, 2001, pp. 109-17, partic. alle pp. 112-16. Tuttavia si aggiunga che, riportando il segmento con le citazioni da Plauto e Teren-zio nella tavola di loci entro cui lo ha classificato (Id., Per il testo, cit., p. 220, tav. ix), Zaccaria ha omesso un dettaglio all’apparenza trascurabile e che invece, almeno a mio avviso, potrebbe rivelarsi discriminante per la valutazione di questa specifica variante, tanto da porne in dubbio la stessa natura di presumibile taglio d’autore ipotizzata dallo studioso. Si tratta dell’espressione « et cetera » tra « obsecro » e il successivo « Illi insuper » (da cui riprende il testo recato anche dalla Vulgata, e perciò riportato nell’edizione curata da Zaccaria direttamente dopo la citazione plautina): « fidem” etc. Sic et in Adelphis Terrentius parturientem ait dicere [485-486]: “Miseram me differor. . . obsecro”. Illi insuper ». Come si può osservare però dal testo dell’autografo Laurenziano, sia la citazione dall’Aulularia che quella dagli Adelphoe si concludono, a brevissima distanza, con la formula « et c(etera) ». Verosimilmente dunque, analogie tra i due passi citati, identità dell’espressione di chiusura e prossimità delle due occor-renze potrebbero aver facilitato in questo punto il prodursi nella tradizione di una comune lacuna per saut du même au même.

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un’opera teologica come le Hebraicae quaestiones in libro Geneseos di san Girolamo (Gen. deor. gent., xiv 18 17):

Sic, ut iterum dixerim, Ieronimum, doctorem eximium atque sanctissi-mum et trium linguarum mirabiliter eruditum, quem ignorantie eorum hi in testem trahere satagunt, tanta poetarum carmina diligentia studuisse percipient, atque servasse memorie, ut nil fere absque eorum testimonio firmasse videatur. Videant, si non credunt, inter alia libri eius Hebraicarum questionum prologum, et advertant, nunquid eum totum Terrentianum fuis-se sentiant, videant, nunquid sepissime Horatium atque Virgilium sibi quo-dammodo assertores inducat, et non solum hos, sed et Persium aliosque.

In appendice a questi dati infine, per quanto ragioni di ordine cronologico e testuale non consentano di istituire in merito delle dirette interrelazioni, è ad ogni modo utile segnalare come un nu-trito gruppo di marginalia boccacciani coinvolgano luoghi che, signi-ficativamente, hanno attirato l’attenzione anche dell’amico France-sco Petrarca (del cui esemplare di lettura con le commedie di Teren-zio, allo stato attuale, purtroppo non disponiamo).14 Si tratta per lo piú di diffuse sententiae (cfr. ad esempio le postille num. 4, 5-6, 28, 38, 85 o 113), ma non mancano meno scontati passi di piú ampio respiro (penso soprattutto alle postille num. 42, 86 e 88), di cui è possibile trovare diretto riscontro, spesso citazioni letterali con esplicitazione della fonte, in varie opere petrarchesche. Per fornire un agile qua-dro generale delle principali corrispondenze rilevate, si riporta qui di seguito ogni volta il numero assegnato alla postilla boccacciana e il luogo di Terenzio interessati, quindi i relativi loci petrarcheschi coinvolti: postilla num. 4 (Andr., i 1 60-61): Fam., xi 3 3 e xvii 1 37; Disp., lviii [Var. 43] 39; Mem., iii 64 2; Rem., i 22 8 e 43 8; postille num. 5-6 (Andr., i 1 67-68): Fam., xv 12 2 e xxiv 4 1; Disp., x [Var., 40] 15-16;

14. Sono state infatti da tempo definitivamente smentite le ipotesi di attribuzione alla mano di Petrarca, formulate da A. Rossi, Un inedito del Petrarca. Il Terenzio, in « Paragone », a. xv 1964, pp. 3-23, di alcune postille presenti (insieme a quelle di altri due codici sicuramente del secolo XV) nel ms. Harl. 2525 della British Library di Londra, con ogni probabilità apografo di un manoscritto su cui Petrarca lesse Teren-zio: cfr. Villa, La « Lectura Terentii », cit., p. 215, n. 59 e 353 (scheda num. 276); M. Fiorilla, I classici nel Canzoniere. Note di lettura e scrittura poetica in Petrarca, Roma-Pado-va, Editrice Antenore, 2012, p. 149, n. 52, con bibliografia precedente. Su Petrarca e Terenzio si rinvia inoltre alla bibliografia riportata supra, n. 9.

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Inv. med., i 50; Rvf, cxxviii 116-18; Secr., ii, p. 154;15 postilla num. 28 (Andr., ii 1 305-6): Fam., xxiii 14 4; postilla num. 38 (Andr., iii 3, 554-55): Fam., v 8 3; Disp., vi [Var., 21] 82-83;16 postilla num. 42 (Eun., i 1 59-63): Secr., iii, p. 228, questi versi sul potere distruttivo dell’amore hanno goduto di grande fortuna presso illustri auctores latini succes-sivi a Terenzio, tanto da averli inglobati pressoché alla lettera in proprie opere (si pensi a Cic., Tusc., iv 35 76; Hor., Serm., ii 3 265-71, ma anche Aug., Civ., xix 5, ed è non a caso Agostino a riferirli nel Secretum). Al riguardo, occorre aggiungere almeno che in uno degli esemplari di lettura petrarcheschi con i Sermones oraziani, il ms. Plut. 34 1 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, appena prima di quel segmento (al f. 130v), si registra un segno di richiamo cui corrisponde, nel margine inferiore, la postilla « Terrentiana sen-tentia », di mano dello stesso Petrarca. Postilla num. 63 (Heaut., ii 3 314): Sen., iv 1 14; postilla num. 84 (Ad., iv 7 739): Fam., xxi 3 4; postil-la num. 85 (Ad., v 3 803-4): Fam., ix 9 1; Sen., xiv 1 30; postilla num. 86 (Ad., v 3 832-34): Rem., ii 15 4; postilla num. 88 (Ad., v 4 855-58): Vit. sol., i 4, si tratta di un caso molto interessante di riferimento indiret-to al passo, mediante il ricordo esemplare della vicenda di un terren-tianus senex negli Adelphoe (« omni studio incumbat adolescentie devium et errores vel in senectute corrigere, memineritque terren-tiani senis in Adelphis qui, mutande sub extremum vite consultor ydoneus, simul et delectabit et proderit. Difficile negotium in pri-mis, sed et in primis utile et nequaquam impossibile; neque vero serum putet, quod salubre cognoscit »), dove è esplicita l’allusione ai contenuti del monologo di Demea nella quarta scena dell’atto v; postilla num. 113 (Phorm., iv 1 574-75): è come noto assai frequente il ricorso piú o meno diretto di Petrarca al motivo dell’equivalenza morbus-senectus qui affermata da Terenzio (poi anche nell’affine sin-

15. Per i luoghi del Secretum, il riferimento è ai numeri di pagina dell’ed. a cura di E. Fenzi, Milano, Mursia, 1992. Per ulteriori dettagli su questa sententia cfr. Fiorilla, I classici nel Canzoniere, cit., pp. 149-50.

16. Ma in merito cfr. anche la postilla nel Virgilio Ambrosiano (ms. A 79 inf. della Bibl. Ambrosiana di Milano) a Serv., In Buc., ii 14, e il relativo commento di M. Pe-toletti, in F. Petrarca, Le postille del Virgilio Ambrosiano, a cura di A. Nebuloni Testa, M. Baglio e M. Petoletti, Roma-Padova, Editrice Antenore, 2006, 2 voll., vol. ii p. 479 (postilla num. 59).

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tagma virgiliano « morbi tristisque senectus » di Georg., iii 67), basti al riguardo Sen., xvii 2 3, dove rinvia alle parole del Comicus Teren-zio, e si rivolge proprio all’amico Boccaccio. In questa Senile, Petrar-ca corregge significativamente la propria opinione riguardo al di-scorso del personaggio Cremete, giacché in Sen., viii 2 (indirizzata agli amici), affiancando i citati passi di Terenzio e Virgilio (par. 83 e 103), aveva messo in discussione la simmetrica coincidenza tra se-nectus e morbus, ancora riferendo la battuta del senex Cremete.17 A chiusura di questa serie di riscontri, andrà valorizzato infine Mem., iii 93 2-4, dove ben tre sententiae di matrice terenziana (piú il notissi-mo « summum ius summa iniuria » ricondotto a Cic., Off., i 10 33, ma che discende dallo « ius summum [. . .] summa malitia » di He-aut., iv 5 796: cfr. postilla num. 67), vengono ricordate da Petrarca tra i piú diffusi e istruttivi esempi di proverbia: Andr., i 1 67-68 (cfr. postil-le num. 5-6, e anche qui supra); Eun., iv 5 732 (cfr. postilla num. 53) e Phorm., i 4 203 (cfr. postilla num. 107).

Il sistema dei marginalia figurati boccacciani nel Laur. Plut. 38 17, secondo quanto detto sopra, oltre che essere quantitativamente piuttosto significativo, presenta diversi aspetti degni di un certo in-teresse.18 L’articolazione delle varie tipologie si può considerare fondamentalmente tripartita: 1) 64 maniculae di diverse dimensioni (sia ridotte, come quella del f. 26r, che di ampiezza maggiore, con

17. Cfr. a riscontro la postilla nel Virgilio Ambrosiano al passo delle Georgiche e il relativo commento di M. Baglio, in Petrarca, Le postille del Virgilio Ambrosiano, cit., vol. i pp. 244-45 (postilla num. 167).

18. Per completezza di informazioni, si ricorda inoltre la presenza di segni di at-tenzione, tracciati con tonalità di inchiostro sensibilmente differenti tra loro, da non assegnarsi con ogni probabilità in alcun modo alla mano di Boccaccio, anche perché di esecuzione piuttosto rozza. La maggior parte consiste in maldestri tentativi di graffe, vale a dire piccoli e disordinati tratti verticali ondulati, dotati a volte di un puntino ad una delle due estremità (ad es. ai ff. 38r, 39r, 74r e 83v, quest’ultimo affian-cato tra l’altro da un « No(ta) » manifestamente non boccacciano); si registrano inol-tre due maniculae, ai ff. 23v e 63v. Di dubbia attribuzione due segni al f. 9r: una piccola e bizzarra figura vagamente zoomorfa inserita, nel margine sinistro, all’interno del motivo ornamentale della -i- maiuscola di inizio scena, e, nel margine destro, un fiorellino “a due puntini” di forma e tratto parzialmente diversi rispetto agli altri presenti nel codice. Segnalo infine (ad es. ai ff. 2v, 5r e 6v) rarissime e isolate glosse interlineari (del tipo: « excellenti », « confidit »), che affiorano quasi impercettibil-mente all’interno del commento di tradizione copiato dal Certaldese, e sono da as-segnarsi a una mano indubbiamente seriore.

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lunghezza dell’indice particolarmente marcata, come quella del f. 42v: tav. ii.1), e dalle morfologie piú o meno elaborate, con vari esempi di polsini decorati con bottoncini (ad esempio: ff. 9v, ancora 42v, 44r o 64v); 2) 17 fiorellini, talora appena percettibili, costituiti da un brevissimo tratto verticale solo in alcuni casi ondulato, sormon-tato da due puntini affiancati (nel margine destro del f. 4r, se ne ri-scontra anche uno capovolto), tranne che in un paio di esempi (ff. 21r, cfr. tav. i.1, e 63r), dove sono presenti dei piú consueti fiorellini a tre punti; 3) 12 graffe, quasi sempre accompagnate da maniculae (tav. ii.2) e in genere di piccole dimensioni, tutte inquadrabili nella tipo-logia piú diffusa nell’uso di Boccaccio, ossia quella « formata da un unico tratto verticale alternato con elementi a conchiglia »19 (all’in-terno di questi ultimi elementi, sono stati talora inseriti dei puntini in posizione centrale).

Al fine di dare conto dell’effettiva dislocazione dei marginalia di Boccaccio nel Terenzio Laurenziano, e anche per facilitare eventua-li riscontri con la complessiva edizione di postille e segni di atten-zione proposta in questa sede, riporto nella tabella qui di seguito una sinossi del computo delle attestazioni, suddivisa per singole ti-pologie:

foglio maniculae fiorellini graffe

2r 12v 3 23r 1 43v 14r 2 24v 25r 1 15v 2 16r 17v 1 18r 19v 110v 1 1

19. Fiorilla, in Cursi-Fiorilla, Giovanni Boccaccio, cit., p. 69.

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15v 116v 1 118v 119v 121r 126r 129r 1 131r 134r 234v 1 135v 2 36v 138r 142r 142v 143v 144r 146v 147r 2 247v 149r 251r 151v 152v 153v 1 254r 1 156r 156v 157r 3 161v 1 162v 163r 1 1 164v 171v 473r 174v 175r 1 176r 278r 178v 1

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Inoltre, come anticipato, nel margine sinistro del f. 53v e all’altezza di Ad., iv 2 571-76, è presente il disegno autografo di un profilo ma-schile (tav. i.3). Per questa figura, che Maria Grazia Ciardi Dupré dal Poggetto ha definito « testa di profilo di giovane »,20 Marcello Cic-cuto ha proposto un’identificazione con il personaggio di Demea, irascibile senex impegnato, nello specifico segmento di testo che corrisponde al disegno, in un vivace scambio di battute con il servo Siro.21

Il consistente corpus di glosse interlineari e marginali di tradizione copiato da Boccaccio nel proprio codice di Terenzio si concentra, in primo luogo, ai ff. 1r-8r, per poi interrompersi e riaffiorare in modo discontinuo ai ff. 21v-23r, 46r-47r, 48r, 49r e 59r, soprattutto in corri-spondenza degli argumenta introduttivi alle commedie.

In merito alla provenienza di queste annotazioni, Claudia Villa, che ha collazionato alcune glosse del Laur. 38 17 con il commento tràdito ai ff. 79r-144v del ms. Clm 14420 della Staatsbibliothek di Monaco (databile tra X e XI secolo), dopo i primi riscontri effettua-ti da Henri Hauvette sulla base dell’oltremodo parziale edizione di scolii a Terenzio curata da Friedrich Schlee,22 ha affermato: « andrà finalmente sottolineato che Boccaccio si limitò a trascrivere postille molto piú antiche, che facevano parte di una redazione interpolata del commento Monacense, nella quale era già penetrata la glossa su Edipo testimoniata dal “recentior”.23 Le postille presentano qualche

20. M.G. Ciardi Dupré dal Poggetto in Ead.-V. Branca, Boccaccio “visualizzato” dal Boccaccio, in « Studi sul Boccaccio », a. xxii 1994, pp. 197-234, a p. 198. Ma per un esame piú dettagliato del disegno (anche in rapporto a testine vergate da Boccaccio in altri codici della sua biblioteca), e bibliografia, si rinvia a M. Fiorilla, Marginalia figurati nei codici di Petrarca, Firenze, Olschki, 2005, pp. 45 n. 101 e 46.

21. M. Ciccuto, Immagini per i testi di Boccaccio: percorsi e affinità dagli Zibaldoni al ‘Decameron’, in Gli Zibaldoni di Boccaccio. Memoria, scrittura, riscrittura. Atti del seminario internazionale di Firenze-Certaldo, 26-28 aprile 1996, a cura di M. Picone e C. Ca-zalé Bérard, Firenze, Cesati, 1998, pp. 141-60, a p. 152 n. 46.

22. Cfr. H. Hauvette, Notes sur des manuscrits autographes de Boccace à la Bibliothèque Laurentienne, in « Mélanges d’archéologie et d’histoire de l’École Française de Ro-me », a. xiv 1894, pp. 87-145, in partic. alle pp. 91-104. La prima, per quanto non siste-matica, edizione di scolii cui Hauvette fece ricorso, che include ovviamente soprat-tutto quelli riconducibili alla tradizione del Commentum Monacense, è appunto: Scholia Terentiana, collegit et disposuit F. Schlee, Lipsiae, Teubner, 1893.

23. Su questa glossa vd. qui poco oltre.

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variante non sostanziale rispetto al testo sul quale le controllo, il Monacense Clm 14420 [. . .]. Anche le altre postille marginali sono, con minime varianti, inversioni e omissioni, il commento Mona-cense, diffusa e scolastica lettura alla quale, indipendentemente, at-tinsero Giovanni del Virgilio e Giovanni Boccaccio ».24

Al di là di questo solido dato da cui si sono prese le mosse, ossia la complessiva dipendenza del corpus di glosse del Terenzio Lauren-ziano dal commentum Monacense, le verifiche condotte al fine di circo-scrivere le postille di matrice boccacciana hanno consentito, in ogni caso, di ricavare elementi cui è possibile dedicare alcune rapide ri-flessioni.

La natura estremamente interpolata del commento copiato da Boccaccio nel codice Laurenziano, ad esempio, è stata senz’altro confermata dai nuovi confronti effettuati, tanto per le glosse inter-lineari quanto per quelle marginali, sul testo del ms. Clm 14420,25 dei cui scolii ad Andria, Heautontimorumenos e Phormio è ora disponi-bile anche un’edizione critica integrale, curata da Franz Schorsch.26 I riscontri, che hanno tenuto di necessità sempre conto anche delle glosse edite nel volume di Schlee, sono stati parallelamente estesi con sistematicità alla tradizione esegetica del cosiddetto commentum Brunsianum, che prende il nome del suo ottocentesco editore, Paul Jacob Bruns (il quale si basò in particolare sull’attuale ms. Halle, Marienbibliothek, 65, del sec. XI),27 integrando l’antica edizione con le successive acquisizioni riguardo agli altri testimoni di questo commento e alla verosimile provenienza delle interpolazioni che lo caratterizzano.28 Parziali raffronti, infine, sono stati effettuati anche

24. Villa, La « Lectura Terentii », cit., pp. 174-75. 25. Del quale ho visionato una riproduzione digitale, consultabile sul portale

Münchener Digitalisierungszentrum (Bayerische Staatsbibliothek), all’indirizzo http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0003/bsb00036895/images/index.html.

26. F. Schorsch, Das “Commentum Monacense” zu den Komödien des Terenz. Eine Erstedition des Kommentars zu ‘Andria’, ‘Heautontimorumenos’ und ‘Phormio’, Tübingen, Narr, 2011.

27. P. Terentii Afri Comoediae sex, ed. P.J. Bruns, Halae, In libraria Rengeriana, 1811, 2 voll.

28. Si consideri come il commentum Brunsianum consista principalmente, oltre che in una vita di Terenzio, in una serie di argumenta introduttivi alle commedie, con

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con alcuni dei piú diffusi corpora di scolii di età tardoantica, in primo luogo con quello risalente a Donato;29 questo perché nel vario arti-colarsi delle tradizioni esegetiche relative alle commedie terenzia-ne, assai spesso anche i materiali piú antichi « furono usati come cava di notizie da inserire in nuove strutture che si rivelano estrema-mente complesse, prodotte di stratificazioni diverse e talora arric-chite anche di informazioni attinte al remoto Donato o ad Eugra-fio ».30

glosse a volte incentrate su singole scene o passaggi (infatti, nei confronti con il com-mento copiato da Boccaccio, sono emerse analogie soprattutto in corrispondenza di alcuni argumenta introduttivi o chiose di presentazione relative a singoli personaggi). Al di là dei pionieristici studi di R. Sabbadini, Biografi e commentatori di Terenzio, in « Studi italiani di filologia classica », a. v 1897, pp. 289-327, e E.K. Rand, Early medieval commentaries on Terence, in « Classical Philology », a. iv 1909, pp. 359-89, incentrati com-plessivamente sull’esegesi antica delle commedie terenziane, con particolare riguar-do al commentum Brunsianum, si rinvia ai seguenti contributi (tutti con relativa biblio-grafia specifica): Y-F. Riou, Essai sur la tradition manuscrite du “Commentum Brunsianum” des comédies de Térence, in « Revue d’histoire des textes », a. iii 1973, pp. 79-113 (in partic. alle pp. 106-13, il confronto con il testo della cosiddetta Praefatio Monacensis); Y-F. Riou-C. Jeudy, Tradition textuelle et commentaire des auteurs classiques latins conservés dans les manuscrits de la Bibliothèque Vaticane, in La cultura antica nell’Occidente latino dal VII all’XI secolo, Spoleto, Cisam, 1975, pp. 179-235, alle pp. 183-89; sulla tradizione mano-scritta, cfr. l’imponente censimento di Villa, La « Lectura Terentii », cit., pp. 295-454; Ead., Commenti medioevali alle Commedie di Terenzio, in Terentius Poeta, hrsg. von P. Kruschwitz, W.-W. Ehlers, F. Felgentreu, München, Beck, 2007, pp. 29-35, do-ve, per ulteriori schede aggiornate, si rinvia anche alla banca dati digitale, elaborata presso l’Università di Bergamo, Remaccla (Repertorium Manuscriptorum et Commenta-riorum Auctorum Classicorum Latinorum), http://remaccla.unibg.it; sul commentum Brunsianum, cfr. inoltre da ultimo R. Jakobi, Das Commentum Brunsianum, in Terentius Poeta, cit., pp. 37-49.

29. Aeli Donati Quod fertur commentum Terenti accedunt Eugraphi commentum et scho-lia Bembina, rec. P. Wessner, Lipsiae, Teubner, 1902, 3 voll.

30. Villa, Commenti medioevali, cit., p. 30; la stessa Villa ha peraltro sottolineato come, allo stato attuale, il panorama complessivo si presenti ormai ben « piú mosso e complicato » di quello « delineato, nei primi decenni del secolo scorso, dagli editori e dagli studiosi che si proposero di censire e ordinare, classificandole, le testimonian-ze piú significative delle letture a Terenzio » (ivi, p. 29), studi che portarono appunto alla sostanziale bipartizione nei due grandi filoni della tradizione esegetica, Monacen-se e Brunsianum, i quali valgono tutt’ora come principali punti di riferimento per in-dividuare la fisionomia dei vari corpora di scolii. Per avere un’idea della trasversalità delle interpolazioni (anche tra apparati esegetici relativi ad autori differenti), si pensi alle glosse, di impianto notevolmente standardizzato, che contengono definizioni di tipo retorico o grammaticale (sul merito cfr. almeno Jakobi, Das Commentum Brunsia-num, cit.). In proposito basti menzionare quella incentrata sulla figura della litote (il

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Tali confronti preliminari hanno permesso di scartare dal novero delle rare note di elaborazione boccacciana anche quelle per le qua-li non è stato possibile trovare assoluta corrispondenza nei corpora di scolii a oggi collazionabili, ma la cui formulazione standardizzata rende pressoché indubitabile la loro appartenenza alle glosse di tra-dizione. Basti pensare alle precisazioni riguardanti uno specifico ordo verborum, introdotte da espressioni del tipo « Nam ita se habet ordo verborum. . . » e quindi con ripetizione pressoché letterale del passo interessato (come a f. 22v, a margine di Eun., iii 2 487 e sgg.); e ancora si considerino le brevi sintesi o parafrasi di un dato passaggio, con parziale citazione della battuta seguita da « et cetera » (tra gli altri f. 3v, a margine di Andr., i 1 150-53). Restano degli sporadici casi limite, per i quali si è scelto, al cospetto di espressioni non propria-mente assimilabili alle formule tipiche della tradizione scoliastica (e soprattutto se non siano state finora oggetto di specifici studi), di inserirli comunque nell’edizione, fornendo ove possibile qualche elemento aggiuntivo di valutazione (cfr. postilla num. 17). Al confi-ne stesso con questa categoria di postille, e a dimostrazione di quan-to possano costituire anch’esse materiale di un certo rilievo, si con-sideri ad esempio il caso, già ampiamente studiato, della chiosa su Edipo e la Sfinge che si legge nel margine destro del f. 4r, all’altezza di Andr., i 2 194 (con l’ironica battuta di Davo, disorientato dall’oscu-ro parlare di Simone, « Davus sum, non Edippus »): « Edippus rex fuit Thebarum filius Lay qui problemata Spingos ob suam indu-striam solvit quem Davus dicit se non esse ».31 Anche di questa glos-

cui nome nella glossa del Laurenziano appare storpiato in « lactotica »): « modo est ex duobus negativis unum faciens affirmativum » (nel margine destro del f. 48r, a chiosa di Ad., i 2 141-42), che si può ritrovare con identica formulazione, per fare un esem-pio, anche nella tradizione scoliastica oraziana, in corrispondenza di Hor., Carm., i 1 19-21 (cfr. Scholia in Horatium λφψ codicum Parisinorum Latinorum 7972, 7974, 7971, ed. H.J. Botschuyver, Amstelodami, van Bottenburg, 1935, p. 5).

31. Per la ricostruzione del dibattito critico attorno a questa postilla e a quella pa-rimenti incentrata sulla Sfinge al f. 67v dello Zibaldone Laurenziano 29 8 (su cui cfr. qui infra), unitamente alle diverse questioni a esse correlate che in questa sede non è possibile ripercorrere, basti qui rinviare ai seguenti contributi, tutti con ulteriore bi-bliografia specifica: A. Rossi, Il carme di Giovanni del Virgilio a Dante, in « Studi dante-schi », vol. xl 1963, pp. 133-278, partic. alle pp. 163-67; Id., ‘Dossier’ di un’attribuzione. (Dieci anni dopo), in « Paragone », n.s., a. xix 1968, pp. 61-125, partic. alle pp. 95-101 (si

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sa, chiamata in causa principalmente per la sua relazione con la po-stilla vergata da Boccaccio nello Zibaldone Laurenziano (Plut. 29 8), in margine al v. 9 del primo carme di Giovanni del Virgilio a Dan-te,32 è stata ormai da tempo accertata la netta provenienza da scolii di tradizione.33 Questi ultimi, a loro volta, hanno lasciato traccia nei luoghi delle opere boccacciane che presentano dirette allusioni all’episodio di Edipo e la Sfinge, quali Comedia delle ninfe fiorentine, xxxviii 65, e Gen. deor. gent., ii 70 3, ma si aggiunga anche De casibus, i 8 11.34

Nelle pagine che seguono, si fornisce l’edizione integrale delle postille vergate da Boccaccio nel suo Terenzio Laurenziano. I fon-

ricordi come Aldo Rossi avesse formulato l’ipotesi, fondandola anche sulla base del-la facies delle due postille riguardanti la Sfinge nel Terenzio e nello Zibaldone, che la corrispondenza eglogistica tra Dante e Giovanni del Virgilio fosse frutto di un’inven-zione boccacciana; una teoria che è stata poi definitivamente smentita da diversi studi successivi, in partic. cfr. G. Padoan, Il pio Enea, l’empio Ulisse. Tradizione classica e intendimento medievale in Dante, Ravenna, Longo, 1977, pp. 223-51); A.E. Quaglio, Pa-role del Boccaccio, in « Lingua nostra », vol. xxv 1964, pp. 69-70; G. Padoan, Boccaccio e la rinascita dello stile bucolico, in Id., Il Boccaccio, le muse, il Parnaso e l’Arno, Firenze, Olschki, 1978, pp. 151-98, partic. alle pp. 176 sgg. [poi in Giovanni Boccaccio editore e interprete di Dante, a cura della Società Dantesca Italiana, Firenze, Olschki, 1979, pp. 25-72, partic. alle pp. 26-27, 49-50]; Villa, La « Lectura Terentii », cit., pp. 170-76.

32. Questo il testo dell’annotazione del Laur. 29 8, nel margine sinistro del f. 67v: « Spinx fuit quoddam monstrum quod morabatur in quodam passu, transeuntibus quibuslibet faciebat problema et qui non solvebat interficiebatur, et si qui solvebat tunc illud moriebatur. Et dum Edipus illac transiret fecit ei problema quoddam quod cum ille solvisset, interfectum est ab eo ». Anche questa postilla è individuabile, nel-la medesima forma riportata da Boccaccio, in diversi codici di Terenzio, e si ritrova poi tra l’altro anche nella lettura di Pietro da Moglio (cfr. al proposito ivi, pp. 175-76, con bibliografia precedente alle nn. 88 e 89). Si tenga conto infine che il medesimo verso del carme di Giovanni del Virgilio (« Davus et ambigue Sphyngos problemata solvet ») appare modellato su glosse di tradizione ad Andr., i 2 194 (cfr. ancora ivi, pp. 171-82, in partic. alle pp. 171-74).

33. Cfr. ibid., inclusa la citazione di p. 174 riportata qui supra.34. Riguardo all’occorrenza nella Comedia delle ninfe peraltro, dove si registra sol-

tanto un breve e indiretto accenno nell’espressione « nelle dolorose ruine de’ figliuo-li del solvitore de’ problemati di Spingòs » (su cui cfr. anche ad locum l’ed. di Quaglio, in Boccaccio, Tutte le opere, vol. ii cit., p. 957), Claudia Villa ha notato la pressoché let-terale corrispondenza con una chiosa di tradizione riferita da uno dei testimoni re-cenziori delle commedie terenziane (il ms. 288 della Biblioteca Casanatense di Ro-ma, databile tra la fine del XIV sec. e l’inizio del XV): « Edipus] solutor problematis Spingos » (Villa, La « Lectura Terentii », cit., p. 176).

le postille di boccaccio a terenzio 99

damentali criteri applicati consistono nel segnalare anzitutto, ogni volta in alto a sinistra, il foglio interessato, quindi nel riportare gli specifici passi oggetto dell’attenzione di Boccaccio: riferimento al luogo e porzione di testo, seguendo sempre la lezione del codice Laurenziano (con lo scopo di consentire un piú agevole rinvio alle singole battute dei personaggi mi sono limitata a inserire la scansio-ne dei versi, assente nel manoscritto, poiché Boccaccio ha copiato il testo delle commedie disponendolo a mo’ di prosa). Tra parentesi quadre, si indicano sia le eventuali varianti sostanziali rispetto alla moderna edizione critica di riferimento (P. Terenti Afri Comoediae, rec. R. Kauer, W.M. Lindsay, suppl. app. cur. O. Skutsch, Oxford, Clarendon, 19582), che i casi in cui è stata apportata all’interno del testo una correzione (in genere minime espunzioni o integrazioni) dal medesimo Boccaccio, circostanze nelle quali, alla lezione emen-data, è anteposta sempre la dicitura in corsivo ‘corr. ex’ (mi limito naturalmente a dar conto soltanto degli interventi emendatori che coinvolgono passi cui corrispondono postille o segni di attenzione). Le postille del Certaldese sono state numerate in ordine progressi-vo. Nei casi in cui lo stesso Boccaccio ha apposto uno specifico se-gno di richiamo al di sopra di un’espressione circoscritta (ad esem-pio nel segnalare delle varianti), o in presenza di porzioni di testo di maggiore ampiezza (specie se marcate in diversi punti da piú segni di attenzione contemporaneamente), si indica in corsivo il termine o il segmento di pertinenza seguito da parentesi quadra, quindi vie-ne riportata la relativa glossa, dandone sempre la collocazione spa-ziale sulla carta: m.s. = margine sinistro; m.d. = margine destro; interl. = interlinea. Naturalmente, sia per il testo che per le glosse ho prov-veduto a sciogliere tutte le abbreviazioni, ad eccezione della sigla « c’ », adoperata in alcune circostanze da Boccaccio per segnalare correzioni o congetture.35

35. Per questa sigla infatti, non infrequente in codici di età medievale e umanistica, sono state proposte diverse letture: « corrige » (cfr. A. Cappelli, Dizionario delle abbre-viature latine e italiane, Milano, Hoepli, 19906, p. 40, il quale si riferisce tuttavia piú precisamente alla sigla « ce », mai usata in questo specifico codice); « credo » (cfr. tra gli altri R. Ribuoli, La collazione polizianea del codice Bembino di Terenzio. Con le postille inedite del Poliziano e note su Pietro Bembo, Roma, Storia e Letteratura, 1981, p. 50, con

100 silvia finazzi

Per i marginalia figurati, ho ritenuto opportuno descrivere per esteso la tipologia di intervento (si troveranno dunque le seguenti definizioni: manicula, fiorellino e graffa), affidando al commento eventuali precisazioni ulteriori sulla morfologia del segno. I non infrequenti casi di graffa piú manicula all’altezza di uno stesso seg-mento di testo, al cospetto dei quali è verosimile supporre che Boc-caccio intendesse evidenziare per intero il passo racchiuso dalla graffa anche attraverso la manicula (dal momento che l’indice di quest’ultima non punta su un rigo o una porzione circoscritta di testo, ma sull’inizio stesso della graffa: cfr. ad esempio tav. ii.2), sono stati numerati come intervento unico, pur facendo sempre atten-zione a distinguere i due diversi momenti di queste interessanti ti-pologie di marcatura duplice. Le rarissime crocette con cui Boccac-cio segnala loci particolarmente tormentati o di difficile intelligibili-tà vengono rese con il moderno simbolo delle cruces desperationis (†).

Non si dà invece ovviamente conto in questa sede: 1) delle nume-rose postille in cui Boccaccio si è limitato a trascrivere glosse di tra-dizione (cfr. in merito supra, pp. 95-99); 2) delle reintegrazioni mar-ginali di porzioni di testo piú consistenti (intere battute o serie di battute mancanti in un primo momento a testo, ad es. ai ff. 2r, 6r o 55r), le quali oltretutto non coinvolgono passi segnalati da postille di cui si fornisce edizione; 3) delle sparute glosse e segni di attenzione non riconducibili in alcun modo alla mano di Boccaccio (sui quali cfr. supra, n. 18).

altra bibliografia; L. Cesarini Martinelli, in L. Valla, Le postille all’ ‘Institutio oratoria’ di Quintiliano, a cura di L.C. M. e A. Perosa, Padova, Editrice Antenore, 1996, pp. xxii-xxiii). Su questo criterio rinvio inoltre a S. Rizzo, Il lessico filologico degli umanisti, Roma, Storia e Letteratura, 1973, pp. 272-74; M. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boc-caccio e le note ai manoscritti laurenziani 29, 2 e 54, 32, in « Aevum », a. lxxiii 1999, fasc. 3, pp. 635-68, a p. 660 e n. 63.

le postille di boccaccio a terenzio 101

LE POSTILLE DI BOCCACCIO NEL LAUR. PLUT. 38 17

f. 1vAndr., Praef. Monacensis, 38

« quo sciret quod ipse in animo [corr. ex quod in animo] haberet ».

1. quo sciret] aliter ‘quatinus probaret’ m.d.

Sulla tradizione esegetica che discende dal Commentum Monacense e la relativa strut-tura di questo corpus di scolii a Terenzio, cfr. supra, pp. 95-99. Nello specifico, per il testo della cosiddetta Praefatio Monacensis, in corrispondenza della quale qui Boccac-cio segnala a margine una variante, rinvio alla recente edizione curata da Schorsch, Das ‘commentum Monacense’, cit., pp. 68-69 (dove il passo presenta la seguente lezione: « quatenus probaret quid haberet ipse in animo »).

f. 2rAndr., i 1 51-54

« nam his postquam excessit ex ephebis, o Sosia, [Sosia, ‹et› ed.] / liberius ei vivendi fuit potestas [†liberius vivendi fuit potestas† ed.] nam antea / qui scire posses aut ingenium noscere, / dum etas metus magister prohibebant? [. . .] ».

2. liberius ~ potestas] Nota hic: iuvenem nec in aliena potestate viventem posse cognosci m.d. 3. nam antea ~ prohibebant] manicula m.s.

L’impossibilità per i piú giovani di vivere liberamente ed essere giudicati in base alle proprie reali caratteristiche, a causa della tenera età, del timore reverenziale e dei maestri, ha attirato in modo significativo l’attenzione di Boccaccio. Lo dimostrano la postilla, incentrata per lo piú sui limiti imposti dal vivere « in aliena potestate » (espressione che rafforza ulteriormente, nell’epitomarlo, il contenuto delle parole rivolte da Simone a Sosia), e la manicula collocata nel margine opposto. Le riflessioni del Certaldese attorno a questo passo comprovano il suo vivo interesse, testimoniato in questo specifico codice da diverse altre postille collegate tra di loro (cfr. per esem-pio le postille num. 21, 22, 59, 72, 74, 75), nei confronti del tema dell’educazione degli adulescentes, e piú in generale del loro complesso rapporto con gli adulti (genitori e maestri). A integrazione di queste riflessioni boccacciane attorno alla primaria neces-sità umana della libertas, può essere utile ricordare la manicula con cui nella prima se-zione del Laur. Plut. 33 31 (sul codice cfr. Cursi-Fiorilla, Giovanni Boccaccio, cit., p. 50, scheda Autografi, num. 7; M. Petoletti, Gli zibaldoni di Giovanni Boccaccio, in Boccac-cio autore e copista, cit., 291-99, e S. Zamponi, Nell’officina di Boccaccio: gli autori latini classi-ci e medievali di una lunga iniziazione letteraria, ivi, pp. 300-5, scheda num. 56), il Certal-dese ha prontamente evidenziato nel suo testo delle satire di Persio (al f. 13r) il se-guente interrogativo: « an quisquam est alius liber, nisi ducere vitam / cui licet ut li-buit? » (v 83-84).

f. 2vAndr., i 1 60-61

« [. . .] nam id arbitror / apprime in vita esse utile, ut ne quod [nequid ed.] nimis ».

4. manicula m.d.

Sulla questo noto elogio terenziano della medietas, cfr. anche supra, p. 90.

Andr., i 1 67-68

« sapienter vitam instituit; namque hoc tempore / obsequium amicos, ve-ritas odium parit ».

5. Nota bene m.d. 6. manicula m.d.

Boccaccio ribadisce con particolare attenzione, sia con la glossa « Nota bene » che con una manicula, la centralità di questa notissima sententia, il cui carattere proverbiale veniva riconosciuto e apprezzato, ad esempio, anche da Petrarca in Fam., xxiv 4 1, e altri luoghi (cfr. supra, pp. 90-92). Pur in un diverso ordine di considerazione, anche l’invito alla clementia e alla facilitas nei confronti del prossimo, affidato alle parole del senex Demea negli Adelphoe, susciterà l’interesse di Boccaccio (cfr. la postilla num. 89).

Andr., i 1 77-78

« [. . .] ita ut ingenium est omnium / hominum a labore proclive ad lubidi-nem [corr. ex libidinem] ».

7. manicula m.d.

Andr., i 1 93-95

« nam qui conflictatur cum ingeniis [corr. ex conflictantur ingeniis; cum in-geniis conflictatur ed.] eius modi / neque commovetur animus in ea re ta-men, / scias posse habere iam ipsum sue vite modum ».

8. nam ~ animus] fiorellino m.d.

Andr., i 1 97-98

« [. . .] et laudare fortunas meas, / qui gnatum haberem tali ingenio predi-tum ».

9. fiorellino m.s.

le postille di boccaccio a terenzio 103

f. 3rAndr., i 1 112

« quid si ipse amasset? quid hic mihi36 faciet patri? ».

10. fiorellino m.d.

Andr., i 1 118-19

« [. . .] forte unam adolescentulam aspicio [aspicio adulescentulam ed.] / for-ma. . . ».

11. fiorellino m.d.

Andr., i 1 121

« que [quia ed.] tum mihi lamentari pre ceteris [praeter ceteras ed.] ».

12. pre ceteris] aliter ‘preter ceteras’ m.d.

Andr., i 1 135-36

« tum illa, ut consuetum facile amorem cerneres, / reiecit se in eum flens quam familiariter! »

13. tum ~ cerneres] fiorellino m.s.

Andr., i 1 141-43

« [. . .] Recte putas; / nam si illum obiurges vite qui auxilium tulit, / quid facias illi qui dederit dampnum / f. 3v / aut malum? »

14. Recte ~ tulit] manicula m.d. 15. quid ~ malum] fiorellino m.s.

36. Riguardo all’alternanza tra forme grafiche propriamente “classiche” (quali nihil o mihi, in questo caso in forma abbreviata) e rispettive degenerazioni medievali (nichil e nicil o michi), è interessante sottolineare, con M. Petoletti, Boccaccio e i classici latini, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 41-49, a p. 46, come il bilancio complessivo delle attestazioni in questo codice si risolva nettamente a favore della prima catego-ria; tale peculiarità grafica del Boccaccio copista porterebbe in effetti a supporre « che l’antigrafo a lui disponibile fosse sufficientemente antico da mantenere una buona ortografia » (ibid.).

104 silvia finazzi

f. 3vAndr., i 2 180-83

« id voluit nos sic nec oppinantes [necopinantis ed.] duci falso gaudio, / sperantis iam amoto metu, inter oscitantes [corr. ex interea obscitantes; inte-roscitantis ed.] opprimi, / ne esset spatium [corr. ex ne esset nobis spatium] cogitandi ad disturbandas nuptias: / astute [. . .] ».

16. id ~ gaudio] fiorellino m.s. 17. oscitantes] Obscitatio est oris apertio a nimio veniens otio m.s.

Riguardo alla definizione dello sbadiglio, pure non riscontrabile in questa specifica forma nella tradizione scoliastica (il discorso vale segnatamente per la seconda parte), andranno valorizzate almeno le tangenze, per quanto parziali, sia con la glossa di Donato al medesimo passo dell’Andria: « oscitantis] oscitatio est animi otium et secu-ritas, dicta ab ore ciendo » (Aeli Donati Quod fertur commentum, cit., vol. i p. 88), che con il primo segmento di una delle glosse di tradizione edite da Schlee a Phorm., ii 2 341, riferita tuttavia al ringor di chi è in preda all’ira: « ringitur] animo contristatur. Rin-gor proprie est oris apertio » (Scholia Terentiana, cit., p. 132). Infine, al di là degli scolii a Terenzio, va aggiunto che il primo segmento ricalca alcune definizioni tardoanti-che e medievali di grammatici e lessicografi, benché non sempre riferite al termine oscitatio (si pensi ad es. a Isid., Orig., xiv 9 3: « Proprie autem hiatus est hominis oris apertio »); valgano per tutti Papia: « oscitatio oris apertio vel extensio » (Papiae Ele-mentarium doctrinae rudimentum, Venetiis, Boninus Mombritius, 1496, c. 120v); Uguc-cione: « oscitatio et hic oscitatus [. . .] et hoc oscitamen, bataclatio, immoderata oris apertio » (Uguccione da Pisa, Derivationes, a cura di E. Cecchini e G. Arbizzoni, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2004, vol. ii p. 583); Giovanni Balbi: « oscitatio [. . .] immoderata oris apertio » (G. Balbi, Catholicon seu universale vocabolarium, Lugdu-ni, Per Stephanum Baland, 1510, s.v. oscito).

f. 4rAndr., i 2 186-87

« [. . .] sed nunc ea me exquirere / iniqui patris est; nam quod ante hac fecit nicil ad me actinet ».

18. sed nunc ~ est] fiorellino e manicula m.d.

La duplice segnalazione insiste in particolare sul primo segmento del periodo, ossia sulla definizione di pater iniquus per quel genitore che indaga eccessivamente sulle vicende amorose del proprio figlio (cfr. anche la postilla num. 22), e pare ancora piú marcata, quasi ridondante, se la si osserva insieme alla glossa di tradizione copiata a fianco: « iniquus pater investigat ». Segnalo inoltre che (unico caso di questo genere in tutto il codice) il fiorellino appare con i due puntini sovrastati dal trattino verticale ondulato, singolarmente capovolto.

le postille di boccaccio a terenzio 105

Andr., i 2 189

« nunc hic dies aliam vitam affert [defert ed.], alios mores postulat ».

19. Nota. Diversos mores opportere coniugatis ab his qui sunt sine uxore m.d.

Questa considerazione attorno alla necessaria differenza di costumi tra coloro che sono sposati e quanti non hanno invece preso moglie si può riconnettere, almeno in parte, al generale e precoce interesse manifestato da Boccaccio nei confronti delle argomentazioni de non ducenda uxore, dunque intese a dissuadere gli uomini dal ma-trimonio. Si veda al proposito il commento alle postille num. 91-92, ma anche i con-tenuti delle num. 20, 23.

Andr., i 2 191

« [. . .] omnes qui amant graviter sibi dari uxorem ferunt ».

20. manicula m.d.

Ancora una testimonianza dell’attenzione del Certaldese verso questo tema, sulla scorta della postilla precedente. Per il motivo del prendere moglie contro il proprio volere (se si eccettua, a ben guardare, la contemporanea condizione di innamorato cui si allude nella sentenza), è possibile istituire un parziale raffronto tra quanto qui detto da Simone a Davo, con l’intento di favorire il matrimonio di Panfilo, e le paro-le rivolte da Gualtieri di Sanluzzo ai suoi vassalli, che lo esortavano da tempo a spo-sarsi, nel concludere la tirata misogina di Dec., x 10 6-8: « voi proverete con gran vostro danno quanto grave mi sia l’aver contra mia voglia presa mogliere a’ vostri prieghi ».

Andr., i 2 192-93

« [. . .] tum siquis magistrum cepit ad eam rem inprobum, / ipsum animum egrotum ad deteriorem partem plerumque applicat ».

21. fiorellino m.s.

f. 4vAndr., i 3 226-27

« [. . .] at ego hinc me ad forum ut / conveniam Pamphylum, ne de hac re pater inprudentem opprimat ».

22. ne ~ opprimat] fiorellino m.d.

Vd. supra i contenuti segnalati dalla postilla num. 18.

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Andr., i 4 229-30

« sane pol illa temulenta est mulier et temeraria / nec satis digna cui com-mittas primo partu mulierem ».

23. nec ~ mulierem] fiorellino m.d.

f. 5rAndr., i 5 250-51

« aliquid monstri alunt: ea quoniam nemini obtrudi potest, / itur ad me [. . .] ».

24. fiorellino m.d.

Andr., i 5 266

« dum in dubio est animus, paulo momento huc vel illuc impellitur ».

25. manicula m.d.

f. 5vAndr., i 5 286-88

« Mi Pamphile, huius formam atque etatem vides, / nec clam te est quam illi nunc utreque inutiles / et ad pudicitiam et ad rem tutandam sient ».

26. graffa m.s. 27. Mi ~ vides] Nota quam tum pulcritudo obsit iuvenibus m.s.

Il perentorio avvertimento circa la pericolosità, specie per i giovani, della bellezza, affiancato anche da una piccola graffa decorata con elementi a conchiglia che abbrac-cia il passo per esteso (si tratta dell’unica graffa non affiancata da manicula in tutto il codice), chiosa le parole rivolte in punto di morte dalla meretrice Criside a Panfilo (riguardo alla bella forma e alla tenera aetas della sua amata Glicerio), e quindi ripor-tate da quest’ultimo all’ancella Miside. Tale considerazione si può ben connettere, in prima istanza, ai contenuti della premessa argomentante di un altro giovane di nome Panfilo, il novellatore decameroniano, alla tormentata vicenda di Alatiel di Dec., ii 7 (per le riflessioni sul potere distruttivo della bellezza, su cui fa perno l’intera novella, cfr. in particolare ai par. 3-7, e soprattutto 5-7).

Andr., ii 1 305-6

« [. . .] quoniam non potest id fieri quod vis, / id velis quod possit [. . .] ».

28. manicula m.d.

le postille di boccaccio a terenzio 107

Cfr. supra, p. 91.

Andr., ii 1 309

« facile omnes cum valemus recta consilia egrotis damus ».

29. Nota m.d. 30. manicula m.d.

La portata sentenziosa di questa sarcastica battuta pronunciata da Carino si può ricol-legare all’altra massima sulla presunta capacità di dare consigli, per cui si veda il commento alle postille num. 65, 70.

Andr., ii 1 313

« credo impetrabo ut aliquot saltem nuptiis protrabat [prodat ed.] dies ».

31. protrabat] aliter ‘prodat’ m.s.

Andr., ii 1 315-16

« [. . .] quidni? si nihil impetres, / ut te arbitretur sibi paratum mechum, si illam /f. 6r/ duxerit ».

32. Id est te velle vitiare illam postquam duxerit m.d.

f. 6rAndr., ii 1 330-31

« ego, Charine, ne utiquam officium liberi esse hominis puto, / cum is nicil promereatur [mereat ed.], postulare id sibi gratie apponi [id gratiae adponi sibi ed.] ».

33. cum ~ apponi] manicula m.d.

f. 6vAndr., ii 2 371-72

« [. . .] ridiculum caput, / quasi necesse sit, si huic non dat, te illam uxorem ducere ».

34. Nec loquitur Carino m.s.

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f. 7vAndr., ii 5 426-27

« verum illud est verbum [verbumst ed.] vulgo quod dici solet: / omnis sibi melius malle [malle melius esse ed.] quam alteri ».

35. omnis ~ alteri] manicula m.s.

Questa diffusa e piuttosto generica massima incentrata sul tema dell’egoismo trova riscontro, ad esempio, in un’amara considerazione espressa dal novellatore Panfilo nel descrivere il naufragio da cui prendono avvio le vicissitudini di Alatiel: « avendo a mente ciascun se medesimo e non altrui » (Dec., ii 7 12).

Andr., ii 5 427-28

« ego illam vidi: virginem forma bona / memini videre [videri ed.] [. . .] »

36. fiorellino m.d.

f. 8rAndr., iii 1 459-60

« Ita pol quidem res est, ut dixti, Lesbia: / fidelem haud mulieri ferme [fer-me mulieri ed.] invenias virum ».

37. manicula m.d.

f. 9vAndr., iii 3 554-55

« [. . .] sic hercle ut dicam tibi: / amantium ire amoris reintegratio est [inte-gratiost ed.] ».

38. amantium ~ est] manicula m.s.

Cfr. supra, p. 91.

f. 10vAndr., iv 1 625-38a

« Hoccine est credibile aut memorabile, / tanta vecordia innata cuiquam ut siet / ut malis gaudeat [gaudeant ed.] atque ex incomodis / alterius sua ut comparet [comparent ed.] commoda? Ah / id ne est verum? Immo id est genus hominum pessimum in / denegando modo quis pudor adest [pudor paullum adest ed.]; / post ubi tempus est iam promissa [promissa iam ed.]

le postille di boccaccio a terenzio 109

perfici, / tum coacti necessario se aperiunt, / et timent et tamen res premit denegare; / ibi tum impudentissima eorum [eorum inpudentissima ed.] oratio est / “quis tu es? Quis mihi es? Cur meam tibi? Heus / proximus sum egomet mihi”, / At tamen “ubi fides si roges?” [“ubi fides?” si roges ed.] / Nihil pudet hic ubi opus est non verentur; illic ubi / opus est verentur [corr. ex illic ubi opus est non verentur; nil pudet hic, ubi opus [est]; illi ubi / nil opust, ibi verentur ed.] ».

39. manicula e graffa m.s.

Ancora l’egoismo, unito in questo caso anche all’invidia sono gli argomenti su cui riflette rassegnato il giovane Carino, nell’ampio monologo interiore che apre l’atto iv. Boccaccio lo racchiude quasi per intero con una delle piú ampie graffe riscontra-bili nel codice, e ribadisce tale segnalazione complessiva con una manicula che punta l’indice sull’inizio stesso della graffa (su questa tipologia cfr. supra i criteri di edizione).

f. 14rAndr., v 3 889

« immo habeat, valeat, vivat cum illa [. . .] ».

40. valeat] Abeat a me interl.

f. 15vAndr., v 5 967-68

« more hominum evenit ut quod sim nactus [nanctus ed.] mali / prius resci-sceres tu quam ego illud quod tibi evenit boni ».

41. manicula m.s.

Il passo evidenziato da questa manicula (quasi completamente evanida ad eccezione dell’indice, maggiormente visibile), si può utilmente collegare ad alcuni dei conte-nuti (in primo luogo la constatazione dell’invidia) che caratterizzano il monologo di Carino, per cui cfr. la postilla num. 39.

f. 16vEun., i 1 59-63

« in amore hec omnia insunt vicia: iniurie, / suspitiones, inimicitie, indutie, / bellum, pax rursum: incerta hec si tu postules / ratione certa facere, nihi-lo plus agas / quam si des operam ut cum ratione insanias ».

42. manicula e graffa m.s.

Benché in modo non comparabile alla reiterata attenzione dimostrata dall’amico

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Petrarca nei confronti del presente passo (per riscontri, ivi compresa l’illustre trafila degli auctores latini che l’hanno riusato successivamente a Terenzio e maggiori detta-gli, cfr. supra, p. 91), Boccaccio sembra aver tenuto presente questa descrizione degli effetti distruttivi dell’amore soprattutto nella dura condanna dell’amor-passio di De mulieribus claris, xxiii 8-16: « Consuevit pestifera hec passio delitiosas subire puellulas et lascivos ociososque persepe occupare iuvenes [. . .] Blandus quippe incautis sese offert et placidus intuitu primo [. . .] Postquam vero approbatione stolida totum oc-cupaverit hominem et, libertate subacta, mentibus catenis iniectis et vinculis, diffe-rentibus preter spem votis, suspiria excitat, premit in artes ingenia, nullum discrimen faciens inter virtutes et vitia, dum modo consequatur optatum, in numero ponens hostium quecunque obstantia [. . .] Nec carent ista doloribus, interveniunt rixe et paces tenues, rursum suspitiones et zelus, animarum consumptor et corporum. Ast si minus devenitur in votum, tum amor rationis inops, additis virge calcaribus, exag-gerat curas, desideria cumulat, dolores fere intollerabiles infert, nullo nisi lacrimis et querelis et morte non nunquam curandos remedio; adhibentur anicule, consuluntur Caldei, herbarum atque carminum et malefitiorum experiuntur vires, blanditie ver-tuntur in minas, paratur violentia, damnatur frustrata dilectio; nec deest quin ali-quando tantum furoris ingerat malorum artifex iste ut miseros in laqueos impingat et gladios ».

f. 18vEun., ii 1 225-26

« dii boni, quid hoc morbi est? Adeon homines inmutarier / ex amore ut non cognoscas eundem esse! [. . .] ».

43. Adeon ~ esse] manicula m.s.

Prosegue il ragionamento del passo precedente, parimenti segnalato da Boccaccio, con aggiunta del motivo topico dell’amor-morbus.

f. 19vEun., ii 2 276

« [. . .] omnium rerum, heus, vicissitudo est! ».

44. manicula m.d.

La volubilità spesso iniqua della fortuna e, complessivamente, il casus e la vicissitudo che regolano la vita umana costituiscono uno degli argomenti verso cui il Certaldese ha manifestato in modo trasversale la propria attenzione. Questo dato emerge infat-ti non soltanto dai segni di attenzione apposti in questo codice (cfr. le postille num. 97, 107), ma anche dalle annotazioni riscontrabili in altri manoscritti della sua biblio-teca, tanto che, lette insieme, sembrano riflettere una sorta di piccolo archivio in fieri, sistematico e ragionato, su questo specifico argomento. A puro titolo di esempio, si rinvia qui per brevità almeno ad alcuni dei casi piú rappresentativi: la manicula al f. 110v del Laur. Plut. 38 6, all’altezza di Stat., Theb., viii 421: « Casus agit virtutis opus »;

le postille di boccaccio a terenzio 111

la manicula al f. 85v [107v] dello Zibaldone Magliabechiano (B.R. 50 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze), in corrispondenza di Sall., Catil., 8: « Sed profecto fortuna in omni re dominatur »; il fiorellino a margine di Mart., Epigr., xii 10 2: « For-tuna multis dat nimis satis nulli » (nel ms. C 67 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano; cfr. M. Petoletti, Le postille di Giovanni Boccaccio a Marziale, in « Studi sul Boccaccio », a. xxxiv, 2006, pp. 103-84, a p. 177, postilla num. 303, ma sulla crudeltà della fortuna cfr. anche ivi, p. 135, postilla num. 76, segnatamente per il v. 7 di Epigr., iv 18: « Quid non seva sibi voluit Fortuna licere? »). Considerata la massiccia presenza di questo motivo nelle opere boccacciane, e la conseguente impossibilità di ricon-durli all’azione di una sola fonte, tra i riscontri che occorre citare a proposito di que-sto specifico passo valgano per tutti Dec., ii 6 3: « Gravi cose e noiose sono i movimen-ti varii della fortuna »; ivi, Concl., 27: « Confesso nondimeno le cose di questo mondo non avere stabilità alcuna ma sempre essere in mutamento »; De casibus, ii 21 2: « O inexcogitata mortalibus Fortune mobilitas! »; ivi, v 10 28: « [. . .] ut, quanto tetrius in finem venerit, tanto demonstraret clarius que vires mortalium, que Fortuna mobilitas et que rerum pereuntium sit natura ».

f. 20rEun., ii 3 313-15

« haud similis virgo est virginum nostrarum, quas matres student / dimissis humeris esse, iuncto corpore [vincto pectore ed.], ut graciles [gracilae ed.] sient. / Si qua est habitior paulo pugilem esse aiunt, deductam cibo [dedu-cunt cibum ed.] ».

45. † m.d.

Si tratta di uno dei rari casi presenti in questo codice di crocetta per indicare luoghi testuali corrotti o particolarmente problematici (cfr. ad es. la postilla num. 112), dun-que con una funzione del tutto analoga a quella delle cruces desperationis adoperate dai moderni filologi. Questa tipologia di interventi marginali (che si riscontra in diversi manoscritti trecenteschi ed è caratteristica tra l’altro anche dell’uso petrarchesco, cfr. Petrarca, Le postille del Virgilio Ambrosiano, cit., vol. i p. 112), testimonia con ancora maggior vigore l’estrema attenzione con cui Boccaccio leggeva e copiava i testi clas-sici, e abbonda ad esempio nel Marziale Ambrosiano (cfr. in merito Petoletti, Le postille di Giovanni Boccaccio a Marziale, cit., pp. 112-13). Anche se, in corrispondenza di questo luogo di Terenzio, l’ambigua posizione della crux (sospesa esattamente tra due righe di testo), non consente di individuare con immediatezza il luogo che ha susci-tato perplessità nel Certaldese, è lecito supporre che i suoi dubbi si siano concentrati soprattutto sul senso del sintagma « iuncto corpore » nel presente contesto: il giovane Cherea sta infatti qui ironizzando su quelle fanciulle locali che, ritenute troppo ro-buste, venivano esortate dalle madri a tenere le spalle basse, fasciarsi il petto per na-scondere le forme (la lezione corretta è infatti « vincto pectore ») e dimagrire (non dando loro da mangiare, anche la lezione « deductam cibo » ha di certo generato dubbi nel copista), cosí da non rischiare piú di somigliare a dei pugili.

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f. 20vEun., ii 3 331

« illum liquet delirare [liquet mihi deierare ed.] [. . .] ».

46. delirare] aliter ‘deyerare’ m.d.

f. 21rEun., ii 3 367

« videbit colloquetur aderit una in unis domibus [aedibus ed.] ».

47. domibus] aliter ‘edibus’ m.s.

Eun., ii 3 381-83

« Che. non est profecto: sine. Parm. At enim istec in me cudetur faba. Ah. / Flagitium facinus [facimus ed.]. Che. an id flagitium est si in domum mere-triciam / deducar [. . .] ».

48. fiorellino m.d.

Si tratta del fiorellino piú ampio (e peraltro anche uno dei rari a tre puntini) tra quel-li riscontrabili nel codice, l’estensione del tratto ondulato si può paragonare senz’al-tro a quella di una graffa medio-piccola, tanto da riuscire ad abbracciare pressoché per intero questo concitato scambio tra Cherea e Parmenone (tav. i.1). Nello specifi-co Cherea, il terrentianus adulescens per antonomasia (cfr. in merito supra, pp. 87-88), e lo scaltro servo stanno decidendo in che modo trarre in inganno la meretrice Taide, per ripagarla con la sua stessa moneta. Il racconto del travestimento del giovane in eunuco segue infatti di lí a breve. Si aggiunga che, stando alla moderna edizione cri-tica qui presa a riferimento (cfr. supra i criteri di edizione), l’interiezione (« Ah ») che precede le parole « flagitium facimus », pronunciate da Parmenone, andrebbe asse-gnata a Cherea.

f. 22vEun., iii 2 489-90

« Tace tu, quem ego te esse [corr. ex quem ego esse; quem te ego esse ed.] infra infimos omnis puto / animos [homines ed.] [. . .] ».

49. animos] aliter ‘homines’ interl.

f. 23rEun., iii 3 534-35

« [. . .] at tu apud nos hic mane / dum redeat ipsa [. . .] ».

le postille di boccaccio a terenzio 113

50. Scilicet faciat quam ut maneat m.d.

f. 24rEun., iii 5 585

« quo pacto Diane [Danaae ed.] misisse aiunt [. . .] ».

51. Diane] c’ Danne m.d.

Boccaccio, che qui scrive precisamente « dane » ponendo sopra la -a- un titulus della nasale, ricorre in genere abitualmente, tanto per Danae quanto per Dafne, alla forma Danne nelle opere volgari (cfr. tra gli altri Elegia di madonna Fiammetta, i 17 5-8 con al-lusione a Dafne e Danae a breve giro di posta; Teseida, iii 16 3, per Dafne, poi menzio-nata altresí come « Da(m)pne » nelle rispettive chiose autografe), e alla forma Danes (abl. Dane) in quelle latine (cfr. ad es. De casibus, i 18 19; Gen. deor. gent., ii 32-33 e xii 25, per Danae, e ivi, vii 29, per Dafne). Qui dunque intende correggere opportunamen-te il nome di Diana con quello di Danae, la fanciulla amata da Giove nelle sembianze di pioggia d’oro, e raffigurata appunto nel dipinto osservato da Cherea. Sull’accenno a questo specifico episodio nelle Genealogie deorum gentilium, cfr. supra, pp. 87-88. Ag-giungo che l’attenzione di Boccaccio verso questa particolare metamorfosi di Giove trova testimonianza anche in margine al Laur. Plut. 33 31 (f. 57v), dove all’altezza dell’ambiguo verso degli Amores ovidiani (iii 8 29), secondo cui Giove era ben conscio del fatto che « nihil esse potentius auro », ha apposto una manicula.

f. 25rEun., iv 4 669-70

« [. . .] Py. [Ph. ed.] “Oh / illud vide, os ut sibi distorsit carnifex!” ».

52. Py.] c’ Phe. m.d.

Vergata in inchiostro rosso, poiché coinvolge l’abbreviazione del nome del personag-gio che pronuncia la battuta, la correzione ristabilisce la giusta successione degli in-terventi dei protagonisti di questa scena: a prendere la parola è dunque qui Fedria e non l’ancella Pitia. Per un’analoga tipologia di correzione, cfr. la postilla num. 98.

f. 26rEun., iv 5 732

« [. . .] sine Cerere et Libero friget Venus ».

53. manicula m.d.

Nelle opere boccacciane, la presenza di questa sententia riguardante gli effetti del vino sulle donne (cfr. anche supra, p. 92), si può riscontrare anzitutto nella forma di citazio-ne letterale, in Esp. sopra la Comedia, v, esp. all., 79: « se ’l calor naturale ed eziandio l’accidentale non accendessero e, accendendo, confortassono l’appetito concupisci-

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bile, desto dalle cose piaciute e inchinato dall’attitudine, non è da dubitare che la concupiscenzia indebolirebbe e leggiermente si risolverebbe, secondo che la senten-zia di Terrenzio par che voglia, là dove dice: “Sine Cerere et Bacho friget Venus” », oltre che, con parziali episodi di variatio rispetto alla fonte, in De mulieribus claris, xxiii 14: « Cerere et Bacho fervens advocatur Venus », e lxvii 6: « cum absque Libero et Cerere frigeat Venus ». Tuttavia, è lecito ipotizzare un’azione piú o meno diretta di questo passo terenziano anche nell’elaborazione di almeno un altro luogo, l’episodio dell’incontro notturno tra Pericone e Alatiel, che appare altresí interamente giocato sul motivo topico degli effetti di Bacco su Venere (quest’ultima peraltro menzionata a testo nel sintagma “ministro di Venere”): « essendosi avveduto alcuna volta che alla donna piaceva il vino, sí come a colei che usata non era di bere per la sua legge che il vietava, con quello, sí come con ministro di Venere, s’avisò di poterla pigliare [. . .] e ella [. . .] dalla piacevolezza del beveraggio tirata piú ne prese che alla sua onestà non si sarebbe richesto [. . .]. Ultimamente, partitisi i convitati, con la donna solo se ne entrò nella camera: la qua-le, piú calda di vino che d’onestà temperata, quasi come se Pericone una delle sue femine fosse, senza alcuno ritegno di vergogna in presenzia di lui spogliatasi, se n’entrò nel letto » (Dec., ii 7 26-29). Si può trovare infine una breve, ma importante allusione al medesimo tema in Gen. deor. gent., xi 29 4, ossia il capitolo dedicato a Adriana, figlia di Minosse e moglie di Bacco, dove spicca in particolare una considerazione che ben si allinea a quanto osservato finora: « Inde quoniam a vino mulieris honestas omnis dissolvitur, ei a Venere corona, scilicet libidinis insigne, donatur [. . .] et non solum detestabile infamie dedecus per ora virum fertur, verum, agente vino, mulier sese in amplexus quorumcunque dilabitur ».

f. 29rEun., v 4 934-40

« que dum foris sunt nihil videtur mundius, / nec magis [mage ed.] compo-situm quicquam nec magis elegans / que cum amatore cum cenant ligurri-unt. / Harum videre ingluviem [inluviem ed.] sordes inopiam, / quam inhoneste sole sint domi atque avide cibi, / quo pacto hesterno ex iure [ex iure hesterno ed.] panem atrum vorent, / nosse omnia hec salus est adolo-scentulis ».

54. manicula e graffa m.s.

Parzialmente connesso alla nutrita serie di postille incentrate sull’educazione dei gio-vani, questo passo appare marcato con duplice segnalazione (si tratta della tipologia graffa piú manicula, con indice che punta verso l’inizio stesso della graffa). A parlare è il servo Parmenone, il quale intende affermare l’utilità educativa che avrebbe per i giovani osservare le meretrici nella propria consuetudine domestica. Solo cosí, infatti, quelle donne mostrerebbero la loro autentica natura e perderebbero immediatamen-te qualsivoglia fascino agli occhi degli adulescentes. Può essere interessante segnalare come sul binomio raritas-admiratio, e per converso sull’infallibile potere della consue-tudine quale antidoto contro un’eccessiva ammirazione, Boccaccio si sia soffermato a riflettere anche in corrispondenza di un passo del De deo Socratis apuleiano (iv 129), pur

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dai contenuti ben diversi (tratta della venerazione rivolta verso gli dei e i re): « Parit enim conversatio contemptum, raritas conciliat admirationem », segnalato con una manicula al f. 72v del Laur. Plut. 54 32 (cfr. Fiorilla, La lettura apuleiana del Boccaccio, cit., p. 667, postilla num. 97; su questo codice cfr. inoltre Cursi-Fiorilla, Giovanni Boccac-cio, cit., p. 51, scheda Autografi, num. 11; M. Fiorilla-D. Speranzi, L’Apuleio di mano del Boccaccio, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 341-43, scheda num. 61).

f. 31rEun., v 9 1053

« [. . .] quanto minus est spei [spei ’st ed.] tanto plus [magis ed.] amo ».

55. manicula m.d.

Questa sentenza ha senz’altro agito considerevolmente nella memoria del Certalde-se, il quale l’ha riusata, declinandola in diverse forme e adattandola a svariati contesti, anzitutto nel Decameron. Penso in particolare a Dec., iii 2 9: « Ma come noi veggiamo assai sovente avvenire, quando la speranza diventa minore tanto l’amor maggior farsi »; v 8 8: « per ciò che pareva che quanto piú la speranza mancava, tanto piú mul-tiplicasse il suo amore » (unico caso segnalato in nota da V. Branca, in G. Boccaccio, Decameron, Torino, Einaudi, 1999, 2 voll., vol. ii p. 672); simili formule anche in Dec., ii 6 55: « e tanto mi sarà ora piú caro quanto di ciò la speranza è minore », e x 4 45: « tan-to piú lieto quanto piú n’era di speranza lontano ». Sempre sullo stesso argomento si tenga inoltre già presente, pur con alcune variationes interne, Filocolo, iv 25 1-4: « Mol-to m’è duro a pensare, graziosa donna, ciò che voi dite – disse il giovane, – con ciò sia cosa che chi il suo disio ha d’una cosa disiderata avuto, molto si debbia piú nell’animo contentare, che chi disidera e non può il suo disio adempiere. Appresso, niuna cosa è piú leggiere a perdere che quella la quale speranza avanti piú non promette di rende-re. Ivi dee essere lo smisurato dolore, ove iguale volere e ’l non potere quello recare ad effetto impedisce. Quivi hanno luogo i ramaricamenti, quivi i pensieri e l’affanno, però che se le volontà non fossero iguali, per forza mancherebbero i disii: ma quando gli animi si veggono davanti le disiderate cose, e a quelle pervenire non possono, al-lora s’accendono e dolgonsi piú che se da loro i loro voleri stessero lontani ». Con ben maggiori analogie rispetto alla comune fonte vi è poi Elegia di Madonna Fiammetta, viii 1 1: « quanto piú vede la speranza da me fuggire, tanto piú con disiderii soffiando nelle sue fiamme le fa maggiori ». È interessante rilevare a proposito della prima oc-correnza decameroniana qui segnalata, un’antica reazione esegetica testimoniata dalla nota di pugno di Francesco d’Amaretto Mannelli nel Laur. Plut. 42 1, al f. 45v (cfr. in merito anche l’accenno di Branca, in Boccaccio, Decameron, cit., vol. i p. 340), laddove, pur senza alcun rimando alla fonte latina, vengono sottolineate le contrad-dizioni tra questo luogo e Filostrato, ii 85, e stabilito un opportuno collegamento in-tratestuale tra Dec., iii 2 9, e v 8 8: « Nota che pare il testo segnato di questo segno [. . .] contradire ad quel che dice Messer Giovanni nel Phylostrato, dove favellando di Troyolo dice cosí: “Ma come noi per continua usança / per piú legne veggiam foco maggiore, / Cosí avien crescendo la sperança / assai sovente ancor crescere amore”. Credo nondimeno che questo vocabolo sovente dichiari la quistione e puossi com-prendere che l’uno e l’altro adviene. Et nella novella di Nastagio degli Honesti a ch.

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88 dice: “perciò che pareva che quanto piú la speranza mancava tanto piú multipli-casse il suo ‹amore›” ». A riprova di ciò, si aggiunga inoltre che a f. 91v, all’altezza del passo di v 8, il rinvio incrociato appare ulteriormente ribadito dal Mannelli: « nota sopra questo decto chiose a ch. 42 ». Su un tema pressoché analogo, è possibile in ultima istanza istituire un collegamento incrociato con Ov., Am., iii 4 17 (« Nitimur in vetitum semper cupimusque negatum »), da Boccaccio puntualmente segnalato con una manicula nella Miscellanea Laurenziana (Laur. Plut. 33 31), al f. 57r, verso del quale si possono ravvisare calchi significativi in Dec., ii 7 22 e 25: « ella rifiutava del tutto la sua dimestichezza, e intanto piú s’accendeva l’ardore di Pericone [. . .] Perico-ne, piú di giorno in giorno accendendosi e tanto piú quanto piú vicina si vedeva la disiderata cosa e piú negata », e iv 3 22: « Ma cosí come la copia delle cose genera fa-stidio, cosí l’esser le disiderate negate multiplica l’appetito ». Si vedano poi anche Elegia di Madonna Fiammetta, vi 3 6: « Oimè! che egli è assai che niuna cosa da me né da altrui con pari affezione fu disiata, come da me quella che voi avete negato »; Gen. deor. gent., v 22 16: « Anima autem [. . .] quod negatur videre desiderat », opera in cui si registra, a viii 3 4, anche una citazione diretta del passo ovidiano.

f. 34rHeaut., i 2 194-95

« parentes [parentis ed.], patriam incolumem, amicos genus, cognatos, divi-tias, / atque hec perinde sunt ut illius animus qui ea possidet ».

56. manicula m.s. 57. atque ~ possidet] O quam bene et vere! m.d.

L’affermazione del saggio Cremete, secondo cui affetti e ricchezze materiali acqui-stano reale valore soltanto in base all’animo di chi le possiede, suscita la viva appro-vazione di Boccaccio, che vi appone una manicula e inserisce anche l’annotazione: « O quam bene et vere! » (tav. i.2). Il contenuto morale qui condiviso dal Certaldese si allinea ai segni di attenzione relativi ai passi in cui vengono esaltati i valori della semplicità e della paupertas (cfr. soprattutto la postilla num. 77).

Heaut., i 2 208-9

« verum ubi animus semel se cupiditate devinxit mala, / necesse est, Cliti-pho, consilia sequi consimilia [. . .] ».

58. manicula m.d.

f. 34vHeaut., ii 1 213-17

« Quam iniqui sunt patres in omnis adolescentis iudices! / Qui equum esse censent nos a pueris ilico nasci senes / neque illarum affines [adfinis ed.] esse rerum quas fert adolescentia. / Ex sua libidine moderantur nunc que est, non que olim fuit. / Mihin si umquam filius erit ne ille facillime [facili me ed.] utetur patre ».

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59. manicula e graffa m.d. 60. erit ne] c’ me m.d.

Da confrontare in primo luogo con Dec., ii 6 54: « quel peccato commisi il qual sem-pre seco tiene la giovanezza congiunto [. . .], e il quale, se i vecchi volessero ricordare d’essere stati giovani e gli altrui difetti con li lor misurare e li lor con gli altrui, non saria grave come tu e molti altri fanno ». Si veda inoltre ivi, ii 8 54: « Il giovane, uden-do le parole della madre, prima si vergognò; poi, seco pensando che niuna persona meglio di lei potrebbe al suo piacer sodisfare, cacciata via la vergogna cosí le disse: “Madama, niuna altra cosa mi v’ha fatto tenere il mio amor nascoso quanto l’essermi nelle piú delle persone avveduto che, poi che attempati sono, d’essere stati giovani ricordar non si vogliono” » (per le analogie di questo luogo con le parole di Terenzio cfr. anche Branca, in Boccaccio, Decameron, cit., vol. i p. 272, il quale tuttavia non accenna al codice Laurenziano). La prima parte del passo, incentrata sul ruolo della madre nella diatriba tra figlio e padre, può essere confrontata anche con un altro luogo della medesima commedia terenziana, ossia Heaut., v 2 992-93: « nunc aliud specta: matres omnes filiis in peccato adiutrices, auxilio in paterna iniuria solent es-se » (il passo è tuttavia evidenziato, a margine del f. 45r, con una delle rozze graffe che non parrebbero riconducibili alla mano del Boccaccio, cfr. in merito supra, n. 18). Al contenuto di questo passo, potranno infine essere utilmente collegati gli altri luoghi dedicati al tema dell’educazione segnalati dal Certaldese con maniculae e graffe (cfr. le postille num. 2, 3, 72, 74, 75).

Heaut., ii 1 225-26

« at tamen / habet bene et pudice eductam ignaram artis meretricie ».

61. eductam] educatam m.d.

f. 35vHeaut., ii 3 297-98

« scin tu hanc [scin hanc ed.] quam dicit sordidatam et sordidam? / magnum hoc quoque signum est dominam esse extra noxiam ».

62. manicula m.s.Heaut., ii 3 314

« non fit sine periculo facinus magnum nec memorabile! ».

63. manicula m.s.

Cfr. supra, p. 91.

f. 36vHeaut., ii 3 364-66

« in tempore ad eam veni, quod rerum est omnium [omniumst ed.] / pri-

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mum. Nam miserum quendam [quendam misere ed.] offendi ibi militem / eius noctem orantem [. . .] ».

64. in tempore ~ primum] manicula m.s.

f. 38rHeaut., iii 1 502-5

« [. . .] Dii vostram fidem, / ita ne conparatam [ita conparatam ed.] esse ho-minum naturam omnium / aliena ut melius videant et diiudicent / quam sua! [. . .] ».

65. manicula m.d.

Da connettere alle tematiche dei passi, marcati da Boccaccio sempre con segni di attenzione, di cui si veda alle postille num. 29, 30, 70 e 76.

f. 41vHeaut., iv 4 733

« curriculo percurre: aput eum miles Dyonisia celebrat [agitat ed.] ».

66. celebrat] aliter ‘agitat’ m.s.

f. 42rHeaut., iv 5 795-96

« [. . .] Verum illud [illuc ed.], Creme, / dicunt: “ius summum sepe summa malitia est” [summast malitia ed.] ».

67. manicula m.d.

Cfr. anche supra, p. 92.

f. 42vHeaut., iv 6 805-6

« Nulla est tam facilis res quin difficilis siet / quam invitus facias [. . .] ».

68. manicula m.s.

Si tratta di una manicula particolarmente grande, tipologia molto rara in questo codi-ce, e ornata da un elaborato polsino con bottoncini (tav. ii.1).

f. 43vHeaut., v 1 887

« [. . .] Vultus quoque hominum fingit scelus ».

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69. manicula m.s.

Anche in questo caso (come nella postilla num. 41) si tratta di una manicula quasi del tutto evanida.

f. 44rHeaut., v 1 921-23

« [. . .] tene istuc loqui! / nonne id flagitium est te aliis consilium dare, / foris sapere, tibi non posse te auxiliarier? ».

70. manicula m.d.

Questa massima su coloro che credono di saper dare consigli agli altri, ma non sono in grado di darne a sé stessi, riecheggia soprattutto nelle parole di Dioneo, che sarca-sticamente introduce con questo commento la scelta del giudice Riccardo di Chin-zica di sposarsi con una donna bella e giovane: « il quale [. . .] se cosí avesse saputo consigliar sé come altrui faceva, doveva fuggire » (Dec., ii 10 5). Parziali tangenze si possono ravvisare anche con le parole di Elissa a introdurre la novella della badessa (ivi, ix 2 4): « E come voi sapete, assai sono li quali, essendo stoltissimi, maestri degli altri si fanno e gastigatori ».

f. 46vAd., i 1 32-34

« uxor, si cesses, aut te amare cogitat / aut [aut tete ed.] amari aut potare at-que animo obsequi / et tibi bene esse soli cum sibi sit male ».

71. manicula m.s.

f. 47rAd., i 1 55-58

« nam que [qui ed.] mentiri aut fallere insueverit [institerit ed.] patrem / au-debit [aut audebit ed.] tanto magis audebit ceteros. / Pudore et liberalitate liberos / retineri [retinere ed.] satius esse credo quam metu ».

72. nam que ~ ceteros] graffa m.d. 73. que] c’ qui m.d. 74. Pudore ~ metu] manicula m.d.

Ecco un isolato caso di graffa accompagnata da manicula in cui è possibile distingue-re nettamente i due diversi segmenti marcati attraverso i rispettivi segni di attenzio-ne. Il contenuto del passo può essere collegato alle numerose postille riguardanti il tema dell’educazione dei giovani (cfr. il commento alle postille num. 2-3 e rinvii interni).

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Ad., i 1 66-77

« qui imperium credat gravius esse aut stabilius / vi quod fit, quam illud quod amicitia adiungitur. / Mea sic est ratio et sic animum induco meum / malo coaptus qui suum officium facit, / dum id rescitum iri credit, tantisper cavet: / si sperat fore clam, rursum ad ingenium redit. / Ille quem benefitio adiungas ex animo facit, / studet par referre, presens absensque idem erit. / Hoc patrium potius est [patriumst potius ed.] consuefacere filium / sua sponte recte facere quam alieno metu: / hoc pater ac dominus interest. Hoc qui nequit, / fateatur nescire se imperare liberis ».

75. manicula e graffa m.s.

Prosegue con un’altra duplice marcatura (manicula e graffa, in questo caso piuttosto ampia: tav. ii.2) l’interesse di Boccaccio nei confronti del lungo monologo di Micione sulla corretta educazione dei figli; questa parte presenta notevoli analogie con il di-scorso sull’importanza della libertà e, nel contempo, sul timore reverenziale suscita-to dagli adulti nei piú giovani, già osservati in corrispondenza delle postille num. 2, 3. Compito di un pater non è dunque imporre, bensí condurre i figli ad agire rettamen-te da soli. In tal modo, il padre potrà distinguersi dalla figura di un dominus e i figli (cfr. anche la postilla num. 74), dal canto loro, saranno meno inclini a mentire o ricadere in errore. Tra le varie testimonianze della costante attenzione di Boccaccio verso le presenti tematiche, mi limito a segnalare in questa sede almeno l’altrettanto duplice marcatura (manicula piú graffa ad abbracciare l’intero passo), vergata da Boccaccio in corrispondenza di un significativo passo del commento di Tommaso d’Aquino all’Ethica Nicomachea di Aristotele (al f. 11r del ms. A 204 inf. della Biblioteca Ambro-siana di Milano), da lui copiato e sottoscritto presumibilmente attorno al 1340, dun-que in anni piuttosto vicini alla lettura di Terenzio (sul codice Ambrosiano cfr. Cur-si-Fiorilla, Giovanni Boccaccio, cit., p. 52, scheda Autografi, num. 20; M. Petoletti, L’ ‘Ethica Nicomachea’ di Aristotele con il commento di san Tommaso autografo di Boccaccio, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 348-50, scheda num. 64): « Et ideo, sicut Plato dixit, oportet eum qui tendit ad virtutem, statim a iuventute aliqualiter manuduci ut gau-deat et tristetur de quibus oportet. Hec est enim recta disciplina iuvenum ut assue-scant et delectentur in bonis operibus et tristentur de malis. Et ideo instructores iu-venum cum bene faciunt aplaudunt eis, cum autem male acriter increpant eos ».

f. 47vAd., i 2 98-99

« Homine imperito numquam quicquam est iniustius [iniustust ed.], / qui nisi quod ipse fecit nihil rectum putat ».

76. manicula m.d.

Notevoli le analogie tra questa sentenza e, in primo luogo, alcune delle argomenta-zioni espresse da Neifile nella premessa argomentante della tragica novella di Giro-lamo e della Salvestra, a Dec., iv 8 3: « Alcuni [. . .] sono li quali piú che l’altre genti si

le postille di boccaccio a terenzio 121

credon sapere e sanno meno; e per questo non solamente a’ consigli degli uomini ma ancora contra la natura delle cose presummono d’opporre il senno loro; della quale presunzione già grandissimi mali sono avvenuti e alcun bene non se ne vide giam-mai ». Cfr. inoltre le postille num. 29, 30 e 70.

f. 49rAd., ii 2 216

« pecuniam in loco negligere, maximum interdum est lucrum [. . .] ».

77. manicula m.d.

L’elogio della povertà e della semplicità (per il quale cfr. anche le postille num. 56, 57) trova riscontro ad esempio, insieme alla constatazione della pericolosità delle ric-chezze, nel canto xxxii dell’Amorosa visione (opera da assegnarsi significativamente alla prima metà degli anni ’40), dove vengono elencati i beni della Fortuna desidera-ti dagli uomini, e che appare interamente costruito su questo motivo portante, con inserti di carattere sentenzioso quali: « In prima alcuni domandon ad essa / molta ricchezza, credendosi stare / sanza bisogno alcun possedendo essa [. . .]. Non vedi tu che e’ non è nessuno, / che abondi in ricchezze, che non sia / d’ogni riposo e diletto digiuno? [. . .] Il povero uom di tal cosa non geme, / né perde sonno, né lascia sentie-ro, / sol di sua vita trar pensiero il preme [. . .] Or quinci segue al pover che sicuro / vive di non cader, né spera mai / che caso fortunal li paia duro. / Ricchezza adunque, quand’ella è assai, / piú fa indigente il suo posseditore, / con piú pensier, con piú cura e piú guai » (vv. 7-9, 37-39, 46-48, 55-60).

Ad., ii 2 219

« [. . .] ego spem pretio non emo ».

78. manicula m.d.

Di questa sententia morale è possibile rintracciare una diretta citazione, con esplicita-zione della fonte, nell’intensa epistola a Francesco Nelli, datata 1363: « Che animo fusse verso di me al tuo Grande, mi curo poco io, usando la parola di Terrenzio: “Tanto pregio non compero la speranza” » (Epist., xiii 237); su questa postilla cfr. an-che supra, p. 86.

f. 51rAd., iii 3 385-88

« [. . .] O Demea, / istuc est sapere, non quod ante pedes modo est / videre, sed etiam illa que futura sunt / prospicere [. . .] ».

79. manicula m.d.

Sulla capacità, propria dei piú saggi, di avvalersi tanto delle esperienze passate quanto

122 silvia finazzi

di prevedere quelle future, andranno segnalate le tangenze con la premessa di Filo-mena alla novella di Melchisedech e del Saladino (Dec., i 3 4): « Voi dovete, amorose compagne, sapere che, sí come la sciocchezza spesse volte trae altrui di felice stato e mette in grandissima miseria, cosí il senno di grandissimi pericoli trae il savio e ponlo in grande e in sicuro riposo ». Ma, in primo luogo, valorizzerei le analogie con alcune delle riflessioni di Panfilo a conclusione della decima giornata (ivi, x Concl., 2): « Ad-dorne donne, come io credo che voi conosciate, il senno de’ mortali non consiste solamente nell’avere a memoria le cose preterite o conoscere le presenti, ma per l’una e per l’altra di queste sapere antiveder le future è da’ solenni uomini senno grandissimo riputato ». Sempre sullo stesso argomento, a ulteriore riprova dell’atten-zione di Boccaccio, segnalerei infine almeno la manicula al f. 21r del Laur. Plut. 66 1 (sul codice cfr. Cursi-Fiorilla, Giovanni Boccaccio, cit., p. 54, scheda Postillati, num. 5; D. Speranzi, Giuseppe Flavio ed Egesippo con note e disegni di Boccaccio, in Boccaccio autore e copista, cit., pp. 357-59, scheda num. 67), vergata in margine a Giuseppe Flavio, Anti-quitates Iudaicae (nella trad. lat. attribuita a Rufino di Aquileia), ii 86: « Deus tamen non ut tristificet futura predicit hominibus, sed ut prescientibus leviora faciat expe-rimenta prenuntiatarum rerum ».

f. 51vAd., iii 3 414-16

« nicil pretermitto: consuefacio: denique / inspicere tamquam in speculum vitas hominum [in vitas omnium ed.] / iubeo atque ex aliis sumere exem-plum sibi ».

80. manicula m.s.

f. 52vAd., iii 4 501-4

« quam vos facillime agitis, quam estis maxime / potentes dites fortunati nobiles, / tam maxime vos equo animo equa noscere / opportet, si vos vultis periberi probos ».

81. manicula m.s.

Della sentenziosa ammonizione rivolta dal vecchio Egione all’altro senex Demea, riguardo al fatto che specialmente i potenti, i nobili, i ricchi e i fortunati sono tenuti a conoscere meglio delle altre persone quel che è giusto, si può avvertire una parzia-le eco nelle parole rivolte dal pellegrino-Tedaldo a un potente cavaliere della signo-ria: « Signor mio, ciascun dee volentier faticarsi in fare che la verità delle cose si co-nosca, e massimamente coloro che tengono il luogo che voi tenete, acciò che coloro non portin le pene che non hanno il peccato commesso e i peccatori sien puniti » (Dec., iii 7 75). Del resto, su questo topico motivo portante (unito ad altre argomen-tazioni di ordine morale qui esaminate, come l’educazione dei figli, l’elogio della medietas o la pericolosità della lussuria), appariva già strutturata ampia parte del mo-

le postille di boccaccio a terenzio 123

nologo di un re come il padre di Florio, in Filocolo, v 92 (di cui qui riporto per brevità solo alcune sezioni): « La faccia del prencipe dee essere lieta nel cospetto del popolo suo; e nelle convenevoli imprese dee essere magnanimo, e fuggire, essercitandosi, i vili e disonesti pensieri: la qual cosa e tu similmente fa. Sia il tuo essercizio continuo e studii nelle virtú e nel ben vivere de’ tuoi suggetti, le cui utilità e riposi piú che le tue medesime dei pensare [. . .] Quanto puoi ancora caccerai da te i golosi disii, i qua-li mettendo ad effetto deturpano il corpo e mancano la vita [. . .] E in cui che questo vizio sia da biasimare piú che in altrui, è in coloro che hanno altrui a reggere [. . .] Laudevole cosa e necessaria molto nei prencipi è la prudenzia, sanza la quale niuno regno bene si governa. E similmente sanza giustizia niuno regno dura: e poi che i ladroni, acciò che lungamente duri la loro compagnia, in molte cose i suoi ordini servano, quanto maggiormente i prencipi la deono volere servare! [. . .] E similemen-te ne’ grandi uomini fortezza d’animo si richiede, imperò che quanto maggiori sono gli uomini, tanto maggiori sogliono e possono le avversità avvenire; e però piú forza a sostenere loro che agli altri si richiede » (par. 12-15, 17-19).

f. 54rAd., iv 3 602-3

« nam et illi animum iam revelabit [relevabi’ ed.] que dolore ac miseria / tabescit [. . .] ».

82. revelabit] c’ relevabit m.s.

Ad., iv 3 604-6

« [. . .] Bene facis: / nam [om. nam ed.] omnes, quibus sunt res [quibu’ res sunt ed.] minus secunde, magis [mage ed.] sunt nescio quo modo / suspitiosi: ad contumeliam omnia accipiunt magis ».

83. manicula e graffa m.d.

Sulle scarse facoltà di discernere le cose giuste da quelle sbagliate, proprie di coloro che sono suspitiosi o « in dubio », cfr. anche la postilla num. 25.

f. 56rAd., iv 7 739

« ita vita est hominum, quasi cum ludas tesseris ».

84. manicula m.d.

Cfr. supra, p. 91.

124 silvia finazzi

f. 56vAd., v 3 803-4

« Nam vetus verbum hoc quidem est: / communia esse amicorum inter se omnia ».

85. manicula m.s.

L’azione di questa notissima e diffusa massima sul valore dell’amicizia (ricordata an-che da altri auctores latini successivi, si pensi almeno a Cic., Off., i 51; e in merito alla quale cfr. anche supra, p. 91) si avverte notevolmente in luoghi come Dec., x 8 28-30 (« io non mi ricordo, poi che amici fummo, che io alcuna cosa avessi che cosí non fosse tua come mia. Il che, se tanto fosse la cosa avanti che altramenti esser non po-tessi, cosí ne farei come dell’altre; ma ella è ancora in sí fatti termini, che di te solo la posso fare e cosí farò, per ciò che io non so quello che la mia amistà ti dovesse esser cara, se io d’una cosa che onestamente far si puote, non sapessi d’un mio voler far tuo »), da leggersi insieme alla complessiva descrizione dell’intera vicenda di Tito e Gisippo e congiuntamente alle considerazioni conclusive della novellatrice Filome-na sull’amicizia (ivi, par. 111 sgg.).

f. 57rAd., v 3 832-34

« ad omnia alia etate sapimus rectius; / solum unum hoc vitium senectus affert omnibus [adfert senectus hominibus ed.]: / attentiores sumus ad rem omnes quam sat est ».

86. manicula m.d. 87. omnibus] aliter ‘hominibus’ m.s.

Sul caratteristico aggravarsi del vizio dell’avarizia nel corso della vecchiaia (cfr. anche supra, p. 91), il Certaldese si è soffermato a riflettere nel dettaglio soprattutto in Esp. sopra la Comedia, vii, esp. all., 87-88: « curasi la prodigalità dal tempo, per ciò che, quan-to l’uomo piú s’avvicina alla vecchieza, tanto diventa piú inchinevole a ritenere, per la ragione di sopra mostrata, dove si disse perché i vecchi eran piú avari che’ giovani: e non è alcun dubbio le riccheze naturalmente disiderarsi, acciò che l’uom possa per quelle sovenire a’ difetti umani; e per ciò convenevole pare, quanto alcuno sente i difetti maggiori, tanto piú inchinevole sia a quelle cose, per le quali si puote o rime-diare o sovenire a quegli ».

Ad., v 4 855-58

« Numquam ita quisquam bene subducta ratione ad vitam fuit, / quin res etas usus semper aliquid apportet novi, / aliquid moneat: ut illa que te scire [scisse ed.] credas nescias, / et que tibi putaris prima in experiundo repudies [ut repudies ed.] ».

88. manicula e graffa m.d.

le postille di boccaccio a terenzio 125

Cfr. supra, p. 91.

Ad., v 4 860-61

« [. . .] id quam ob rem? re ipsa repperi / facilitate /f. 57v/ nicil esse homini melius neque clementia ».

89. manicula m.d.

f. 60rHec., i 1 65

« quin spolies inutiles [mutiles ed.] laceres quemque nacta sis ».

90. inutiles] c’ mutiles m.s.

f. 61vHec., ii 1 198-204

« [. . .] que hec iuratio! [haec est coniuratio ed.] / Ut [utin ed.] omnes mulieres eadem eque studeant noluntque [nolintque ed.] omnia / neque declinatam quicquam ab aliarum ingenio ullam repperias! / Itaque adeo uno animo omnes socrus oderunt nurus. / Viris esse adversas eque studium est, similis pertinatia est, / in eodemque omnes mihi videntur ludo docte ad malitiam; et / ei ludo, si ulla est, magistram hanc esse satis certo scio ».

91. manicula e graffa m.d. 92. De mulieribus m.d.

Anche il gruppo di postille concernenti passi di contenuto misogino si presenta piut-tosto cospicuo (cfr. ad es. a riscontro le num. 53 e 95, ma anche quelle incentrate per lo piú sul matrimonio, come le num. 19, 20 e 71). I pungenti strali terenziani contro le angherie perpetrate delle mulieres ai danni degli uomini hanno attirato in modo evidente l’interesse di Boccaccio, specie in questo caso, dove si ravvisano addirittura due segni di attenzione a marcare contemporaneamente l’intero passo, e la postilla « de mulieribus » a riassumere il contenuto del segmento, cosí da renderlo immedia-tamente individuabile in occasione di successive letture. È del resto ben nota la pre-coce, nonché sistematica curiosità del Certaldese nei confronti di queste tematiche, destinate poi a confluire in un’opera della maturità come il Corbaccio (in prima istan-za cfr. i par. 128-49, intrisi di questa tipologia di argomentazioni; ma cfr. già anche Trattatello in laude di Dante, i red. 45-59 e ii red. 36-46); e a riaffiorare ancora pesante-mente nelle Esp. sopra la Comedia, xvi 28-45 (nel glossare le parole del dantesco Iacopo Rusticucci riguardo alla « fiera moglie » che gli « nuoce »). Basti ricordare alcuni dei materiali copiati nel giovanile Zibaldone Laurenziano (Laur. Plut. 29 8), come il Contra Iovinianum de non ducenda uxore di san Girolamo e la Dissuasio Valerii ad Rufinum ne ducat uxorem (ai ff. 52v-54r), ma anche i segni di attenzione sempre apposti in corri-spondenza di passi contra mulieres in altri codici della sua biblioteca. Si pensi anche a

126 silvia finazzi

Giovenale (una delle due maniculae nel Laur. Plut. 34 39, al f. 22r, punta su un verso contro le donne ricche: Sat., vi 460), e in prima istanza al Marziale Ambrosiano cfr. Petoletti, Le postille di Giovanni Boccaccio a Marziale, cit., p. 119, e il commento a po-stille come le num. 6, 24, 25, 167). Tra i riscontri piú pertinenti nelle opere, si segnala inoltre almeno Dec., i Intr., 74-76 (discorso affidato oltretutto a due donne, le novella-trici Filomena ed Elissa): « Donne [. . .] ricordivi che noi siamo tutte femine, e non ce n’ha niuna sí fanciulla, che non possa ben conoscere come le femine sien ragionate insieme e senza la provedenza d’alcuno uomo si sappiano regolare. Noi siamo mobi-li, riottose, sospettose, pusillanime e paurose: per le quali cose io dubito forte, se noi alcuna altra guida non prendiamo che la nostra, che questa compagnia non si dissolva troppo piú tosto e con meno onor di noi che non ci bisognerebbe: e per ciò è buono a provederci avanti che cominciamo [. . .] Veramente gli uomini sono delle femine capo e senza l’ordine loro rade volte riesce alcuna nostra opera a laudevole fine »; oltre ai paragrafi ricordati qui sopra, ancora il Corbaccio, 165-66: « Mobili tutte e senza alcuna stabilità sono: in una ora vogliono e svogliono una medesima cosa ben mille volte, salvo se di quelle, che a lussuria appartengono, non fossono; per ciò che quelle sempre le vogliono. Sono generalmente tutte presuntuose; e a se medesime fanno credere che ogni cosa loro si convenga, ogni cosa stia loro bene, d’ogni onore, d’ogni grandeza sien degne; e che, senza loro, niuna cosa gli uomini vagliano, né viver pos-sano; e sono ritros’e inobedienti » (cfr. al riguardo anche la postilla num. 95); De casi-bus, i 11 5-8: « sic et mulierum perniciosissimum esse genus longa experientia cogno-visse. Vidisset facile filium silvas nemora montesque sublimes incolere, sagitta aut pede volucri feras sequi, avibus insidiari laqueis, et celibe vita contentum mulieres omnes eque despicere, cuncta coniugia fugere et celo vivere teste: accusationi de se facte adversa omnia. Parte altera advertisset muliebre genus effrene infidum, mobile, mendax, et insatiabili libidine semper urens [. . .]. O sacra pietas! Quid dementius quam versipelli de simplicitate, patricide de innocentia, assentatori de veritate, me-cho de pudicitia fidem exhibuisse? »; e ivi, iv 12 17: « Nil equidem irata muliere fero-cius; et – quod deterius est – uti immitius omni ferarum genere, sic in vindictam proclivius muliebre genus, cui cum non sufficiat vidisse quod optat sciatur, insuper cupit quod egerit, se tunc extimans rite in ultionem ivisse, dum sui sceleris sentit omne compleri trivium ».

f. 62vHec., iii 1 286-87

« nam nobis omnibus [nos omnes ed.] quibus est alicunde aliquis obiectus labos, / omne quod est interea tempus prius quam id rescitum est lucro est ».

93. manicula m.d.

Boccaccio ha forse riconosciuto in questo passo parziali analogie con un’espressione sentenziosa usata in Filostrato, iv 159 1-2: « Lo spender tempo è utile talvolta / per tempo guadagnare ».

le postille di boccaccio a terenzio 127

f. 63rHec., iii 1 300-2

« [. . .] quid restat nisi porro ut fiam miser? / Nam matris ferre iniurias me, Parmeno, pietas iubet; / tum uxori obnixius [obnoxius ed.] sum [. . .] ».

94. fiorellino m.d.

Si tratta di un altro dei rarissimi esempi di fiorellini a tre punti riscontrabili in questo codice (cfr. il commento alla postilla num. 48); in questo caso però si tratta di un fiorellino piú minuto.

Hec., iii 1 311-13

« quapropter? Quia enim qui eos gubernat animus eum infirmum gerunt. / Itidem ille mulieres sunt ferme ut pueri levi sententia: / fortasse unum aliquod verbum inter eas iram hanc conciverit [concivisse ed.] ».

95. manicula e graffa m.d.

Cfr. supra, in partic. il commento alle postille 91, 92.

f. 64rHec., iii 3 373

« posquam intro ivi exemplo [postquam intro adveni extemplo ed.] eius morbum cognovi miser ».

96. exemplo] c’ extemplo m.s.

f. 64vHec., iii 3 405-6

« lacrimo que posthac futura est vita cum in mente [in mentem ed.] venit / solitudoque. O fortuna, ut numquam es perpetua bona! [perpetuo’s data ed.] ».

97. manicula m.s.

Il lamento del Panfilo terenziano sembra parzialmente riecheggiare in Elegia di Ma-donna Fiammetta, vii 4 7: « La mente mia, quasi del futuro indivina, col pianto, di ciò che adivenire dovea mandò fuori aperti segni ».

128 silvia finazzi

f. 67vHec., iv 4 628

« Lac. [Pa. ed.] Quid respondebo his? [. . .] ».

98. Lac.] Pam.

Analogamente a quanto osservato alla postilla num. 52, Boccaccio, qui senza riusare l’inchiostro rosso con cui ha marcato le abbreviazioni dei nomi dei personaggi all’in-terno del testo, restaura la giusta successione degli interventi dei vari protagonisti della scena. Si tratta oltretutto di uno dei rarissimi interventi correttori non precedu-ti da « c’ » (come ad es. la postilla num. 61). A parlare qui non è dunque il senex Lache-te, bensí il giovane Panfilo.

f. 71vPhorm., i 1 41-42

« quam inique comparatum est, i qui minus habent / ut semper aliquid addant divitioribus! ».

99. manicula m.s.

Phorm., i 2 55-56

« presertim ut nunc sunt mores: adeo res redit: / siquis quid reddit magna habenda est gratia ».

100. manicula m.s.

Phorm., i 2 59-62

« [. . .] abi sis, insciens: / cuius tu fidem in pecunia perspexeris, / verere ver-ba ei credere, ubi quid mihi lucri [lucrist te ed.] / fallere? [. . .] ».

101. manicula m.s.

Phorm., i 2 77-78

« venere in mentem mihi istec: “namque inscitia est / adversus stimulum calces” [. . .] ».

102. Hinc Paulus m.s. 103. manicula m.s.

L’analogia tra la presente sententia morale riportata da Terenzio, già attestata peraltro nella tragedia greca (Esch., Agam., 1624; Eurip., Bacc., 795: cfr. in merito anche Peto-letti, Boccaccio e i classici, cit., p. 47), e le parole rivolte da Cristo a san Paolo sulla via di

le postille di boccaccio a terenzio 129

Damasco (secondo Act., xxvi 14) viene ribadita da Boccaccio in Esp. sopra la Comedia, i, esp. litt., 103-4: « E ultimamente, acciò che io lasci star gli altri, li quali io potrei in-ducere incontro a questi nemici del poetico nome, non esso medesimo Gesú Cristo, nostro salvadore e signore, nella evangelica dottrina parlò molte cose in parabole, le quali son conformi in parte allo stilo comico? Non esso medesimo incontro a Paolo, abattuto dalla sua potenzia in terra, usò il verso di Terrenzio, cioè “Durum est tibi contra stimulum calcitrare”? Ma sia di lungi da me che io creda Cristo queste parole, quantunque molto davanti fosse, da Terrenzio prendesse. Assai mi basta a conferma-re la mia intenzione il nostro Signore aver voluto alcuna volta usare la parola e la sentenzia prolata già per la bocca di Terrenzio, acciò che egli apaia che del tutto i versi de’ poeti non sono cibo del diavolo »; e in Gen. deor. gent., xiv 18 20: « etiam Do-minus et Salvator noster multa in parabolis locutus est. Nonne et ipse adversus Pau-lum prostratum Terrentii verbo usus est, scilicet “durum est ubi contra stimulum calcitrare”? Verum absit, ut putem Christum dominum a Terrentio, quantumcunque diu ante fuisset, quam hec dicta sint, verba assumpsisse! Sufficit michi satis esse ad firmandum propositum Salvatorem nostrum voluisse quandocunque verbum suum atque sententiam ore Terrentii fuisse prolatum, ut appareat non omnino esse cibum demonum carmina poetarum ». Su questa postilla cfr. inoltre Hauvette, Notes, cit., p. 87, e Padoan, in Boccaccio, Tutte le opere, vol. vi cit., p. 783.

f. 72rPhorm., i 2 88-89

« [. . .] ex adverso ei loco [exadvorsum ilico ed.] / tonstrina erat quedam [. . .] ».

104. Tonstrina m.d.

Phorm., i 2 105-8

« nihil aderat adiumenti ad pulcritudinem: / et [om. et ed.] capillus, passus, pes nudus [nudu’ pes ed.], ipsa horrida, / lacrime, vestitus turpis: ut, ni vis boni / in ipsa inesset forma, hec formam vi [om. vi ed.] extinguerent ».

105. nihil ~ pulcritudinem] Nota m.d.

Phorm., i 2 124-26

« [. . .] hoc consilium quod dicam dedit: / lex est ut orbe, qui sint genere proximi, / eis nubant, et illos ducere eadem lex hec iubet [haec lex iubet ed.] ».

106. Lex m.d.

130 silvia finazzi

f. 73rPhorm., i 4 203

« tanto magis [mage ed.] te advigilare equum est: fortes [fortis ed.] fortuna adiuvat ».

107. manicula m.d.

Nel novero dei luoghi entro cui Boccaccio ha riadattato questa notissima massima (cfr. anche supra, p. 92), andranno ricordati soprattutto (oltre che i giovanili Filocolo, iv 101 8: « La Fortuna aiuta gli audaci e i timidi caccia via », e Filostrato, iv 73 7-8: « [. . .] La Fortuna aiuta / chiunque ardisce e’ timidi rifiuta »):37Comedia delle ninfe fiorentine, xxxv 44: « Ma la Fortuna, acconciatrice de’ piaceri de’ possenti »; xxxvii 4: « estiman-do che gli audaci sieno aiutati dalla fortuna »; Elegia di Madonna Fiammetta, vi 15 23: « La Fortuna similmente teme li forti e avilisce li timidi »; Gen. deor. gent., i Prohem. i 36: « audentesque iuvet fortuna ». Infine, quale esempio di applicazione per oppositio-nem segnalerei anche Dec., vi 4 3: « la fortuna [. . .] alcuna volta aiutatrice de’ paurosi ».

f. 74vPhorm., ii 1 292-93

« servum hominem causam orare leges non sinunt / neque testimonii est dictio [dictiost ed.] [. . .] ».

108. manicula m.s.

f. 75rPhorm., ii 2 330-36

« [. . .] quia rete accipitri non [non rete accipitri ed.] tenditur neque milvo, /

le postille di boccaccio a terenzio 131

37. Nel primo caso, va detto che Florio/Filocolo ricorda di aver letto quel verso in Ovidio, nelle cui opere la massima non si trova però mai in questa forma (le espressioni piú prossime sono in tal senso: Fast., ii 782: « Audentes forsque deusque iuvat »; Ars, i 608: « Fors Venusque iuvat », e Met., x 586: « Audentes deus ipse iuvat »). Si consideri tuttavia che, nella tradizione latina, quella terenziana costituisce forse la piú antica formulazione di questo fortunatissimo proverbio, del quale esistono altresí molteplici varianti (ad es. con audentes piuttosto che audaces, con gli dei o Venere in luogo della Fortuna, o ancora con diverse giunte e specificazioni, vd. almeno Liv., viii 29 5; Cic., Tusc., ii 4 11; Verg., Aen., x 284; Sen., Epist., xciv 28, e Med., 159), che con facilità potevano agire contemporaneamente nella memoria, sovrapponendosi tra loro. Cfr. in merito il commento ad locum di Quaglio, in Tutte le opere, vol. i cit., p. 896 (il quale accenna specificamente alla tarda giunta, con ogni probabilità medievale, timidosque repellit); Proverbia sententiaeque latinitatis Medii Aevi, hrsg. von H. Walther, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1964, vol. ii/2 p. 166 (num. 9804); R. Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Milano, Rizzoli, 1991, pp. 397-98 (num. 851).

qui male faciunt nobis: illis qui nicil faciunt tenditur, / quia enim in illis fructus est, in his opera luditur. / Aliis est aliunde [aliundest ed.] periclum unde aliquid abradi potest: / mihi sciunt nihil esse. Dices “ducent dapna-tum domum”: / alere nolunt hominem edacem et sapiunt mea quidem [om. quidem ed.] sententia, / pro malefitio si benefitium summum nolunt reddere ».

109. manicula e graffa m.d.

f. 76rPhorm., ii 3 429-31

« [. . .] Quin quod est / ferundum feras [fers ed.]? Tuis dignum factis feceris, / ut amici inter nos simus? [. . .] ».

110. manicula m.d.

Phorm., ii 4 453-54

« ego sedulo hunc dixisse credo; verum ita est, / quot homines tot senten-tie: /f. 76v/ suus cuique mos ».

111. quot ~ sententie] manicula m.d.

Per questa constatazione riguardo all’impossibilità di conciliare le opinioni di tutti, giacché ciascuno pensa a modo proprio, può essere interessante segnalare a riscontro la manicula e la elaborata graffa con motivo vegetale apposte da Boccaccio in margine a Pers., v 52-61, con particolare riguardo alla sententia racchiusa nei primi due versi: « Mille hominum species et rerum discolor unus, / velle suum cuique est nec voto vivitur uno » (al f. 12v del Laur. Plut., 33 31).

f. 78rPhorm., iv 1 572-73

« [. . .] quid illic [illi ed.] tam diu / queso igitur morabare [commorabare ed.], ubi id audiveras? ».

112. † m.s.

La crocetta testimonia che Boccaccio si è reso conto dell’esistenza di un problema in questo punto del testo. In effetti, la successione tra le domande di Demifone e le ri-sposte di Cremete appare incongruente: Demifone fa qui riferimento a una notizia appresa da Cremete (« ubi id audiveras? ») di cui non v’è alcuna traccia nei versi precedenti, e questo accade perché mancano completamente due battute (dal v. 568 fino a parte del v. 572). Osservando la formula introduttiva delle due domande di Demifone (« quid ita [. . .] quid illi »), è lecito supporre che la presente lacuna sia stata

132 silvia finazzi

causata con ogni probabilità da un salto dallo stesso allo stesso, che viziava già il codi-ce da cui Boccaccio copiava, o nel quale al contrario può essere incorso il medesimo Certaldese.

Phorm., iv 1 574-75

« [. . .] Rogas? / Senectus ipsa morbus est [ipsast morbu’ ed.] [. . .] ».

113. manicula m.d.

Cfr. supra, pp. 91-92.

f. 78vPhorm., iv 3 652-53

« nam mihi veniebat in mentem eis [ei(u)s ed.] incommodum: / in servitu-tem pauperem ad ditem dari ».

114. manicula m.d.

*

Nel corso del quinto decennio del XIV secolo, Giovanni Boccaccio co-piò interamente di propria mano, nell’attuale ms. Plut. 38 17 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, il testo delle commedie di Terenzio, cor-redandolo di un apparato di glosse di tradizione (riconducibili per lo piú a una redazione pesantemente interpolata del cosiddetto commentum Mona-cense), di alcune interessanti postille di elaborazione autonoma e di un siste-ma piuttosto consistente di marginalia figurati (in prima istanza maniculae, ma anche fiorellini e graffe). Nel presente contributo, introdotto da una complessiva ricostruzione del modus operandi di Boccaccio copista, filologo e lettore di Terenzio, si fornisce edizione critica dell’intero corpus di postille e segni di attenzione apposti dal Certaldese nei margini del codice, ponen-do altresí in luce le significative riprese di sententiae ed espressioni di matrice terenziana riscontrate all’interno delle sue opere.

In the 40s of the 14th century Boccaccio copied in his own hand the entire text of Terence in what is now MS Laur. plut. 38 17. He added an apparatus of traditional glosses, mainly traceable back to a heavily interpolated redaction of the so-called ‘com-mentum Monacense’, some interesting remarks of his own and a fairly substantial sys-tem of marginalia (chiefly maniculae, but also signs of two or three dots, with a wavy line and lines which often curl). In this paper a full introduction about Boccaccio’s mo-dus operandi as a copyist, reader of Terence and scholar, is followed by a critical edition of the entire corpus of notes and signs added by him in the margins; this also casts light on the notable use of sententiae and other Terentian expressions observable in his works.

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