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Efficace e dissacrante, la lastra erratica della pieve di Fornovo presenta una giovane Margherita (fig. 1) che resiste alle tenta- zioni, sopporta le torture e infine vince sul drago che l’aveva divorata. Recentemente Elizabeth Parker 1 ne ha offerto una nuova, sagace, lettura: seguendo le indicazioni di Riccardo di San Vit- tore relative ai quattro modi della visione, la studiosa ha pro- vato a ritrovare lo sguardo dei contemporanei dell’opera e ha in questo modo evidenziato la grande forza di questa rappre- sentazione “di genere”, così densa anche perché raccordata alla società e alle forme di religiosità contemporanee. In questo stu- dio, che raccoglie alcuni degli spunti offerti dalla studiosa ame- ricana, vedremo quanto è forte l’intensità di questo racconto, nel momento in cui viene calato nel complesso sistema di scul- ture conservate alla pieve di Fornovo, e alla luce degli eventi politici contemporanei. Edificata nel primo XI secolo 2 lungo la strada che da Parma conduce al Passo della Cisa, in prossimità dell’attraversamen- to fluviale del Taro, la pieve sorge in un territorio riconosciu- to dagli storici come “un’area di strada” 3 , entità geografica la cui forte identità si è costruita in relazione agli itinerari che la attraversano. Nel Capitulum Decimarum del 1230 la pieve di For- novo è citata come una delle più importanti proprietà del vesco- vo alle cui dipendenze si contano altre 18 strutture. La lastra con la vita di Margherita, opera di uno scultore aggiornato sui prodotti antelamici del 1178, ha sovente raccolto l’interesse degli studiosi; dopo Porter 4 , Quintavalle 5 nella Stra- da Romea l’ha inserita nel progetto narrativo svolto in quest’a- rea di strada, storico polo di attrazione economico e religioso, storiografica metafora interpretativa di un’intera epoca e di una produzione artistica. La lastra, considerata un parapetto di pul- pito, è stata messa in relazione con altri elementi di arredo litur- gico della stessa chiesa e con i frammenti conservati alla vicina pieve di Bardone (fig. 2) 6. Inizialmente si era pensato che i pezzi appartenessero a un pulpito per ciascuna pieve, recentemente 7 sono stati tutti riuniti nella ricostruzione di un unico insieme, probabilmente in origine ubicato nella più ampia pieve di For- novo. Pur non essendo documentata storicamente, l’ipotesi è plausibile anche per le ridotte dimensioni della pieve di Bar- done, nella quale un arredo di tale ampiezza risulterebbe spro- porzionato. La visita pastorale del vescovo Castelli del 1578 racconta, a Fornovo, di un altare minore dedicato a Santa Margherita e col- locato sub ambone, del quale si decreta la distruzione e il tra- sferimento delle reliquie presso quello principale 8 . La colloca- zione di un altare sotto il pulpito è ricordata anche nella Cat- tedrale di Parma, dove, nel 1257, viene stabilita la dotazione di un nuovo altare realizzato sub pulpito, dedicato a Santa Barbara 9 . Della vita di Margherita, corrispondente occidentale della greca Marina, conosciamo una versione di Rabano Mauro, una metrica di Alfano, le riprese di Vincenzo di Beauvais e di Jaco- po da Varagine 10 ; poi, il testo edito dal Mombritius a cui fac- ciamo qui riferimento, infine gli Acta Sanctorum. La tradizio- ne agiografica di Margherita si è arricchita nel milieu della pre- dicazione e del teatro liturgico, come oggi documentano diver- si testimoni di sacre rappresentazioni della sua vicenda di area veneto-dalmatica e toscana 11 . In un inventario di accessori tea- trali per le sacre rappresentazioni, documentato per la proces- sione del Corpus Christi di Barcellona, si elencano tutti gli attrez- zi di scena fra i quali compaiono il vestito, la croce e l’aureola di santa Margherita 12 , oltre a un costume da dragone dotato di coda staccabile affinché potesse essere conquistata dalla folla dei fedeli. Dagli accessori si ritrova uno spaccato molto evoca- tivo delle sacre rappresentazioni medievali. Nella nostra scultura la storia si svolge seguendo un andamento pseudobustrofedico da destra verso sinistra, organizzazione che suggerisce una probabile collocazione laterale della lastra. L’autore della vita (fig. 3), Tectinus, ha visto e scritto che Mar- gherita stava pascolando le pecore quando sopraggiunge 13 il pre- fetto imperiale Olibrio, che desidera averla come moglie o come ancella; Margherita dichiara, alzando la mano sinistra, di esse- re cristiana e pertanto viene arrestata. 297 Figure contro natura e modelli di santità alla pieve di Fornovo Carlotta Taddei 1. Fornovo, pieve, lastra con la vita di Margherita (attualmente paliotto d’altare)

Figure contro natura e modelli di santità alla pieve di Fornovo, Atti del XIV convegno internazionale di Studi a cura di A.C. Quintavalle, Parma 20-25 settembre 2011, Milano Skira

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Efficace e dissacrante, la lastra erratica della pieve di Fornovopresenta una giovane Margherita (fig. 1) che resiste alle tenta-zioni, sopporta le torture e infine vince sul drago che l’avevadivorata.

Recentemente Elizabeth Parker1 ne ha offerto una nuova,sagace, lettura: seguendo le indicazioni di Riccardo di San Vit-tore relative ai quattro modi della visione, la studiosa ha pro-vato a ritrovare lo sguardo dei contemporanei dell’opera e hain questo modo evidenziato la grande forza di questa rappre-sentazione “di genere”, così densa anche perché raccordata allasocietà e alle forme di religiosità contemporanee. In questo stu-dio, che raccoglie alcuni degli spunti offerti dalla studiosa ame-ricana, vedremo quanto è forte l’intensità di questo racconto,nel momento in cui viene calato nel complesso sistema di scul-ture conservate alla pieve di Fornovo, e alla luce degli eventipolitici contemporanei.

Edificata nel primo XI secolo2 lungo la strada che da Parmaconduce al Passo della Cisa, in prossimità dell’attraversamen-to fluviale del Taro, la pieve sorge in un territorio riconosciu-to dagli storici come “un’area di strada”3, entità geografica lacui forte identità si è costruita in relazione agli itinerari che laattraversano. Nel Capitulum Decimarum del 1230 la pieve di For-novo è citata come una delle più importanti proprietà del vesco-vo alle cui dipendenze si contano altre 18 strutture.

La lastra con la vita di Margherita, opera di uno scultoreaggiornato sui prodotti antelamici del 1178, ha sovente raccoltol’interesse degli studiosi; dopo Porter4, Quintavalle5 nella Stra-da Romea l’ha inserita nel progetto narrativo svolto in quest’a-rea di strada, storico polo di attrazione economico e religioso,storiografica metafora interpretativa di un’intera epoca e di unaproduzione artistica. La lastra, considerata un parapetto di pul-pito, è stata messa in relazione con altri elementi di arredo litur-gico della stessa chiesa e con i frammenti conservati alla vicinapieve di Bardone (fig. 2)6. Inizialmente si era pensato che i pezziappartenessero a un pulpito per ciascuna pieve, recentemente7

sono stati tutti riuniti nella ricostruzione di un unico insieme,

probabilmente in origine ubicato nella più ampia pieve di For-novo. Pur non essendo documentata storicamente, l’ipotesi èplausibile anche per le ridotte dimensioni della pieve di Bar-done, nella quale un arredo di tale ampiezza risulterebbe spro-porzionato.

La visita pastorale del vescovo Castelli del 1578 racconta, aFornovo, di un altare minore dedicato a Santa Margherita e col-locato sub ambone, del quale si decreta la distruzione e il tra-sferimento delle reliquie presso quello principale8. La colloca-zione di un altare sotto il pulpito è ricordata anche nella Cat-tedrale di Parma, dove, nel 1257, viene stabilita la dotazione diun nuovo altare realizzato sub pulpito, dedicato a Santa Barbara9.

Della vita di Margherita, corrispondente occidentale dellagreca Marina, conosciamo una versione di Rabano Mauro, unametrica di Alfano, le riprese di Vincenzo di Beauvais e di Jaco-po da Varagine10; poi, il testo edito dal Mombritius a cui fac-ciamo qui riferimento, infine gli Acta Sanctorum. La tradizio-ne agiografica di Margherita si è arricchita nel milieu della pre-dicazione e del teatro liturgico, come oggi documentano diver-si testimoni di sacre rappresentazioni della sua vicenda di areaveneto-dalmatica e toscana11. In un inventario di accessori tea-trali per le sacre rappresentazioni, documentato per la proces-sione del Corpus Christi di Barcellona, si elencano tutti gli attrez-zi di scena fra i quali compaiono il vestito, la croce e l’aureoladi santa Margherita12, oltre a un costume da dragone dotato dicoda staccabile affinché potesse essere conquistata dalla folladei fedeli. Dagli accessori si ritrova uno spaccato molto evoca-tivo delle sacre rappresentazioni medievali.

Nella nostra scultura la storia si svolge seguendo un andamentopseudobustrofedico da destra verso sinistra, organizzazione chesuggerisce una probabile collocazione laterale della lastra.

L’autore della vita (fig. 3), Tectinus, ha visto e scritto che Mar-gherita stava pascolando le pecore quando sopraggiunge13 il pre-fetto imperiale Olibrio, che desidera averla come moglie o comeancella; Margherita dichiara, alzando la mano sinistra, di esse-re cristiana e pertanto viene arrestata.

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Figure contro natura e modelli di santità alla pieve di FornovoCarlotta Taddei

1. Fornovo, pieve, lastra con la vitadi Margherita (attualmente paliottod’altare)

Il giorno seguente Olibrio la giudica in tribunale tenendoin mano uno scettro (fig. 4); Margherita compie di nuovo l’a-zione di alzare la mano sinistra, gesto che alle sue spalle è dupli-cato da un uomo, nel quale possiamo riconoscere Tectinus14. Alsuo rifiuto di adorare gli dei pagani Margherita viene sottopo-sta a una prima tortura (fig. 5) con verghe sottili15, ma la suafede non si incrina, così le viene inflitto un secondo supplizio,una pena ad imitatio Christi che punisce la sua strenua difesadella castità con uncini che le squarciano la carne.

Condotta in carcere (fig. 6), Margherita viene deglutita daun leviatano dal cui ventre uscirà aprendosi un varco con unacroce. Ora Margherita è inginocchiata in preghiera e la codadel dragone è tagliata in due; questo elemento si raccorda allatestimonianza delle code staccabili nelle sacre rappresentazionie sembra essere la spia di un legame tra questa iconografia ela liturgia performativa. Quando un demone (fig. 7) le appa-re sotto le sembianze di un prigioniero etiope16, la santa si difen-de con le fruste, cioè usando come strumento di difesa quel-lo stesso attrezzo da lei in precedenza subito. La tradizionetestuale narra di ulteriori torture fino al martirio per decapi-tazione, epilogo che non è però rappresentato sulla lastra; que-st’ultima termina invece con l’univoca vittoria della santa suidemoni.

In questa messa in scena del Bene contro il Male, ricca diriferimenti alle pratiche e agli strumenti della religiosità con-temporanea e connessa ai riti performativi, diverse “figure delnegativo”, terrene (Olibrio, il giudice orientale sullo scranno conlo scettro) e soprannaturali (l’etiope e il leviatano) si contrap-

pongono a protagonisti positivi come Margherita e Tectinus(anch’egli con lo scettro).

Alcuni oggetti fortemente simbolici compaiono reiterata-mente: sono gli scettri, insegne del potere, non citati nelle vitescritte, che suggeriscono di cercare le ragioni dell’iconografianelle vicende storiche e politiche del territorio (fig. 8).

Per estendere la nostra osservazione al contesto in cui la nar-razione era collocata e veniva fruita, diviene necessario inter-rogare l’intero complesso della pieve, dapprima le immagini tradi loro interrelate e poi in riferimento alle altre sculture coevenel territorio (fig. 9).

A fine XII secolo la pieve viene dotata di un avancorpo17 aper-to verso l’esterno e addossato alla facciata; esso era ed è com-posto da sei campate divise da pilastri polistili che dovevanoreggere le volte a crociera, secondo un progetto non più corri-spondente all’attuale, nel quale solo alcuni capitelli si presen-tano nelle condizioni originali. Oggi questo nartece è stato chiu-so nelle sue facciate esterne. Nell’attuale controfacciata, ai latidella porta, a nord è rappresentato il peccato originale (fig. 10),a sud della porta, un leone sovrasta un dragone, ne blocca unaltro con la zampa e sostiene un capitellino corinzio: se il leoneè Cristo che sconfigge il male, che viene dal basso e dall’ester-no, esso sostiene anche la sua chiesa che si identifica totalmentecon l’edificio che la ospita, anzi, metonimicamente con suo uncapitello18.

In posizione centrale, a nord, il capitello a foglie lisce rap-presenta un tema architettonico e il corrispondente a sud, untema legato alla vita del mondo con animali (leoni e aquile) affron-

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2. Bardone, pieve, lastra di pulpitocon Deposizione

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3. Lastra di Margherita, dettaglio:la santa pascola le pecore, sopraggiungeil prefetto

4. Lastra di Margherita, dettaglio:Margherita in tribunale

5. Lastra di Margherita, dettaglio:le torture

6. Lastra di Margherita, dettaglio:Margherita e il leviatano

7. Lastra di Margherita, dettaglio:Margherita e il demone etiope

8. Lastra di Margherita, dettaglio:lo scettro

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9. A: Fornovo, pieve, facciataB: sezione del nartece

tati e racemi vegetali. Dei due capitelli orientali del nartece, ilpezzo a sud è rappresentato un tema musicale (un uomo suonauno strumento a corde, un asino suona l’arpa, un uomo è affian-cato da due draghi che gli divorano le orecchie, un altro è ingi-nocchiato di fronte a una dama con un falcone sul braccio) sul-l’altro lato troviamo un capitello con le arcate del chiostro. L’a-sino che suona l’arpa (fig. 11) rimanda a una scultura del duomodi Parma con l’asino e il lupo; questa iconografia, di primo XIIsecolo, la cui funzione di exemplum è rimarcata dal corredo epi-grafico, è stata recentemente approfondita da Adriano Peronievidenziando come la figura dell’asino non sia, rispetto al lupo,positiva, ma rappresenti l’eretico che conduce sub dogmate all’e-resia19 i monaci già affetti dal vizio della voracità. Posto di fron-te, il capitello con arcate claustrali sembra contrapporsi a que-sto vizio, ma occorrerà in seguito riflettere sulle ragioni di que-sta iconografia riproposta tanti anni dopo il capitello della cat-tedrale di Parma. Immaginando così di varcare a fine XII seco-lo la soglia di questo nartece, ci si trova al centro di un sistemafortemente polarizzato tra elementi positivi e negativi, tra lorobilanciati. Il primo capitello a sinistra raccontava il peccato deiprogenitori e la cacciata dalla chiesa che viene a rappresentareil paradiso terrestre; a destra dell’ingresso un Cristo-leone sovra-sta i draghi e sorregge la sua chiesa idealmente concentrata inun capitello corinzio. Una visione sintetica di una chiesa-edifi-cio che rappresenta la Chiesa istituzione stessa20 e si identificaa tal punto con l’architettura da rappresentarla attraverso unasua parte, piccola ma fortemente significativa. In questo sche-ma simbolico, intrecci e animali sono segni del male o del mondoterreno, il corinzio è segno dell’architettura, è polo positivo. Seguea destra un messaggio di peccato: la musica è parola di un mona-co vorace, contrapposto alla vita del chiostro.

Nel nartece sono murate anche due statue colonna errati-che (fig. 12) rappresentanti un vescovo e un imperatore, spes-so interpretati come Liutprando e Moderanno.

Non siamo in grado di ricostruire forma e funzione di que-sto nartece, ma in un inventario seicentesco della pieve si leggeche: “sopra la porta d’essa chiesa vi sono tre camerette qualiservono per li predicatori della Quaresima…”21.

L’attuale facciata è opera di un restauratore novecentescoche, pur consapevole di trovarsi davanti a un originario eso-nartece, in mancanza di indizi certi ha ripristinato l’ultima faciesdisponibile, quella del XVII secolo22. Nel 1804 il geografo Boc-cia23 vede e descrive la facciata che già inglobava diverse scul-ture erratiche24, realizzate contestualmente al nartece di fine XIIsecolo e poi murate in facciata probabilmente in occasione delsuo ripristino seicentesco. Ancora oggi sulla facciata troviamoaltre due lastre, omogenee alla prima per dimensioni25 e perl’analoga bordura a rosette, coerente ma duttile, così da decli-narsi in una cornice a protomi mostruose laddove accompa-gna soggetti demonici.

La lastra trapezoidale inglobata nel lato meridionale dellafronte rappresenta i mostri nell’inferno e l’inferno stesso comemostro divoratore (fig. 13): un leviatano che, da sinistra, si pro-

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10. Fornovo, pieve, nartece, capitellocon il peccato originale

11. Fornovo, pieve,nartece, capitellocon le arcate del chiostro

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12a e b. Fornovo, pieve, nartece,statue colonna erratiche: Liutprandoe Moderanno

tende mostrando i denti e divenendo un ricettacolo di corpi26.Due demoni seduti attizzano il fuoco sotto un calderone nelquale cuociono cinque peccatori; è una cucina di dannati, l’in-ferno è un pasto.

Il focus della scena è occupato da un uomo di maggioridimensioni gravato da tre borse al collo e da una cassa sulle spal-le. La densa immagine della borsa al collo che trascina all’in-ferno è stata il “principale simbolo iconografico del denaro nelMedioevo”, a lungo interpretata come icona dell’avaro o del-l’usuraio27; essa rappresenta infatti quello che Le Goff ha descrit-to come uno dei grandi problemi sociali del XIII secolo28. Comele summae e i manuali dei confessori, anche le immagini vei-colano i temi del grande dibattito contemporaneo sull’etica eco-nomica, tra cui la spinosa questione di stabilire cosa è lecitoscambiare per denaro e cosa no. Le fonti testamentarie e papa-li – come la decretale consuluit di Urbano III del 1187 – chia-riscono che l’usura è più di una colpa, è un peccato contro natu-ra perché “ruba” il tempo che è solo di Dio, e di converso chiguadagna in modo non lecito, chi pratica il furto del bene comu-ne diviene usuraio. In questi anni l’immagine sociale dell’usu-raio viene costruita e condivisa attraverso la ricca letteratura delleprediche e degli exempla e così attraverso l’iconografia, collo-cata anche nelle chiese negli spazi aperti al pubblico (contro-facciate, avancorpi, navate…)29, in particolare nell’inferno deigiudizi finali, almeno dal 1060-1080 circa. Dagli anni della Rifor-

ma gregoriana, il significato dell’usura si estende alla pratica dicommercio dei beni sacri la cui inalienabilità è il principio percui la simonia diviene la forma, più eclatante, di usura30.

A fianco del condannato principale con la borsa si apre quel-la grande bocca mostruosa e divoratrice che nell’arte romani-ca continentale e soprattutto in Francia conosciamo come il tipopiù consueto dell’inferno; l’Italia romanica invece ignora que-sta iconografia, la cui presenza a Fornovo costituisce una rile-vante eccezione31. Ben documentata quale installazione frequentenei misteri o nei miracle plays, la bocca del mostro è l’infernomesso in scena sopra il carro della cerimonia, os che si potevaaprire e chiudere secondo le necessità, sempre posizionato a sini-stra e amplificato da efficaci effetti sonori32.

La terza lastra (fig. 14), più trascurata dalla critica, è piega-ta ad angolo retto e presenta su un lato due lottatori, sull’altrodue profeti.

La pieve di Fornovo doveva perciò essere un edificio riccodi immagini fra loro interrelate e anche se alcune di esse nonsono più nella posizione originale possiamo certamente ritro-vare i poli di massima densità iconografica nell’edificio nel nar-tece e nella zona presbiteriale che doveva ospitare l’arredo, com-posto dai molti pezzi ora smontati. Alcuni elementi forti si cor-rispondono e sembrano voler puntualizzare il messaggio: vi sonotemi prevalenti del negativo, quelli dei draghi che compaionosui capitelli del nartece, quello dei demoni, quello dell’uomo

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13. Fornovo, pieve, facciata, lastracon inferno

con le borse al collo, che compare nell’inferno e in un capitel-lino erratico; Adamo ed Eva sono su un capitello e sulla lastradella deposizione. Temi ricorrenti con valenza positiva sono ilgesto compiuto da Margherita, da Tectinus, e dai profeti.

E come in molteplici eco le immagini si moltiplicanonell’“area di strada”: un demone nella psicostasi sulla lunettadella pieve di Talignano, le arcate del chiostro sul fonte batte-simale di Collecchio, due lottatori su un capitello nella chiesadi Santa Croce a Parma.

Entro questa rete fitta di rimandi, puntualizzazioni, oppo-sizioni, è molto forte la dinamica assiale giocata su due polisemantici densi, l’est e l’ovest, separati dalla porta d’ingresso.

Tenteremo ora di leggere il racconto nel suo insieme, inter-rogandoci sulla possibile collocazione delle lastre, con la con-sapevolezza che le ipotesi ricostruttive sono rese ancor più incer-te per la perdita di parte dei materiali. Accettando l’ipotesi diun unico pulpito per la pieve di Fornovo, andiamo a rifletteresulle misure dei suoi pezzi: tutte le lastre di Fornovo sono alte98 cm, quelle di Bardone invece 89 e 94 cm. Riflettiamo anco-ra sulle fonti: a Fornovo il Castelli vede e registra un altare mino-re dedicato a Margherita collocato sub ambone, dunque su unsistema di arredo composto da più pezzi: un pulpito forse costi-tuito dalle due lastre neotestamentarie – oggi a Bardone – cherimandano direttamente all’esempio antelamico. La confor-mazione trapezoidale della lastra con l’inferno ha già indotto aritenerla una delle transenne alla base della scala di accesso alpulpito.

Nei pressi, poteva trovarsi una sepoltura che conservava lereliquie di Margherita e che il Castelli a fine Cinquecento regi-stra come altare, composto dalla lastra con la vita della santa eforse dalla lastra con i profeti e i lottatori, della stessa altezza

(98 cm), a costituire un lato minore e una parte di un lato lungo.Si sarebbe trattato di una struttura simile all’arca di Abdon

e Sennen a Parma (fig. 15) o a quella del Sarcofago di S. Hilai-re d’Aude attribuito al maestro di Cabestany o a un membrodella sua bottega e recentemente ipotizzato dal Gandolfo poteressere proprio un altare ara33, una struttura sulla quale officia-re ma soprattutto costruita e scolpita per contenere in formamonumentale le reliquie del santo illustrandone la vita e il mar-tirio con modalità narrative che rimandano alla plastica classi-ca dei sarcofagi.

Torniamo ora, dopo avere contestualizzato la lastra di Mar-gherita nella rete di immagini e nello spazio dell’edificio, a con-siderare quel dettaglio allusivo al potere: lo scettro. Soffermia-moci sulla scena che vede Margherita davanti al giudice con loscettro; alle spalle della santa, Tectinus replica il suo gesto e hain mano uno scettro analogo a quello del giudice, terminantein una pigna. Nella zona inferiore del fregio, l’uomo con il ber-retto frigio controlla l’esecuzione della tortura e reca in manoanch’egli uno scettro globulare. Nella scena finale Margheritapicchia il demonio con una verga culminante in testa di drago,sintesi fra quello scettro usato per giudicarla e quelle verghe usateper torturarla. L’uso o l’abuso di questo simbolo di potere ciconduce ad approfondire le dinamiche legate ai poteri nella cittàe nella sua diocesi in questi densi decenni di fine XII secolo.

Gli storici hanno individuato tra la fine del XII e l’inizio delXIII secolo lo sviluppo di un processo che vede il Comune diParma orientato a espandere i propri poteri a discapito dei con-fini di azione della Chiesa, giungendo allo scontro diretto perla giurisdizione sulle terre extraurbane di pertinenza della chie-sa vescovile34. Questo passaggio politico istituzionale avvieneattraverso una trasformazione lenta, determinata attraverso un

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14. Fornovo, pieve, facciata, lastracon i lottatori

protrarsi di conflittualità, anche forte, fra vescovo e Comune.A fianco del vescovo dal 1149 sono presenti i consoli; la com-presenza e interazione dei due poteri dura molto a lungo nellosforzo di definire i rispettivi ruoli e ambiti di intervento. Solodal 1221, ad esempio, il Comune si dota di una propria sede.

Non potendo procedere militarmente, il comune avanza fat-tivamente diritti sottraendoli gradualmente all’autorità vesco-vile. Una fonte importante per decifrare la complessa e sottiledinamica di rapporti fra questi due poteri, a Parma, fra XII eXIII secolo è il libellum del 121835. Si tratta di un’istruttoriaredatta in ambito vescovile da presentare al papa Onorio III,che racconta i passaggi e le contese fra i due poteri. Il vescovoObizzo Fieschi denuncia il sistematico e aggressivo tentativo delComune urbano di esercitare tutte le possibili competenze giu-risdizionali anche nel contado. Il documento rappresenta l’a-pice di uno scontro intorno all’amministrazione della giustizia,espressione più alta del potere in relazione alla quale si gene-ravano le entrate di cassa. Per comporre questo documento,Obizzo Fieschi raccoglie atti e testimoni delle mosse fatte dalComune per estendere i suoi diritti nel contado, progressiveusurpazioni al vescovo di quel potere originariamente a lui con-cesso dall’imperatore e con costanza rinnovato36. Gli eventi di

cui si narra in gran parte si giocano lungo quel tratto di stradaRomea tra Terenzo e Bardone, in prossimità delle nostre scul-ture.

Il ventennio tra il 1190 e il 1210 vede in atto lo scontro piùduro: nel 1191 un breve comunale afferma che il vescovo nonpuò esercitare giustizia sulle sue terre e i residenti devono anda-re in città a ottenerla dagli ufficiali del Comune; a questo attoil vescovo risponde con la scomunica a cui fa seguito la distru-zione del palazzo vescovile. Nel 1213 il conflitto riesploderà: equando il Comune imporrà un giuramento agli abitanti del con-tado, il vescovo Fieschi se ne andrà dalla città, non benedirà ilcarroccio e denuncerà il Comune con il libello del 1218.

Torniamo ora alla lastra di Margherita, alla sua scena cen-trale nella quale due figure con lo scettro si affrontano ai latidella santa, scena che sembra voler alludere a un contempora-neo conflitto giurisdizionale: Margherita viene giudicata da unpotere civile, ma alle sue spalle esiste e la supporta anche unpotere religioso, impersonato da Tectinus, con lo scettro. Neidocumenti di questi anni37, leggiamo che il vescovo “investivitcum sceptro in manum…”38. Sappiamo dai documenti39 che eranosoggette alla giurisdizione del vescovo sia la pieve di Bardonesia quella di Fornovo; sappiamo ancora che dalla giurisdizione

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15. Parma, cattedrale, arca dei santiAbdon e Sennen, lato est

sulle terre l’autorità poteva “fare cassa”, che il vescovo guada-gnava i dazi dei pellegrini che transitavano sulla strada e ne ere-ditava i beni se morivano. Sono numerose le suggestioni cheemergono e che trovano forma nelle sculture, laddove l’uomocon la borsa può avere violato i beni della Chiesa e la loro ina-lienabilità; se Olibrio, il giudice e il suo messo rappresentanogli uomini del Comune, Tectinus impersona la giustizia vesco-vile che protegge Margherita nella sua resistenza, nella sua pas-sione e nel suo trionfo, e che si trova a dover difendere stre-nuamente le sue prerogative, un tempo concesse dall’impera-tore, durante l’intero ventennio che precede il libellus del 1218.Trovano allora un nuovo senso le due statue di vescovo e diimperatore, che forse alludono a Liutprando e Moderanno e aun primo tempo di questa “area di strada”, ma ancora signifi-cano il vescovo e, alle sue spalle, i privilegi imperiali che gli ave-vano concesso le funzioni di conte palatino. E ancora potrem-mo pensare che quel peccato contro natura voglia in questo casoproprio alludere al sovvertimento di un sistema di valori fino-ra condiviso, un equilibrio di competenze e di poteri che veni-va violentemente sovvertito e che la chiesa vescovile, commit-tente delle sculture e parte lesa nel conflitto in corso, si pre-mura di denunciare con questo monito per l’aldilà.

Proviamo allora a trarre qualche conclusione dalle premes-se avanzate strada facendo, innanzitutto l’idea che a Fornovo

sia stato messo in scena un racconto di architettura scultura earredo liturgico esteso a tutto l’edificio: un avancorpo con capi-telli che rappresentano la lotta del bene contro il male, collo-cati nell’avant-nef, spazio a carattere fortemente transizionale,immagine del mondo terreno e luogo di conflitti40, qui a For-novo documentato come luogo per i predicatori. La chiesa edi-ficio è inclusa in questa riflessione, è il paradiso terrestre dalquale vengono cacciati i progenitori, ed è rappresentata comeun capitello. Il percorso assiale dentro la chiesa conduce ai con-fini dell’area del sacrarium dove, se possiamo prendere a rife-rimento il sistema della cattedrale parmense, il pulpito con ladeposizione e l’incoronazione della Vergine (fig. 16) avrebbedovuto prendere posto nella navata settentrionale; la lastra conl’usuraio cingeva la rampa di accesso. Vicino si trovava forseun’ara con storie di Margherita, svolte in funzione di una let-tura in movimento, processionale. L’iconografia accentua lasovrapposizione, già figurale, tra la Vergine del pulpito e Mar-gherita, due donne che hanno scelto la castità; e nel confrontoriecheggia la frase di Tectinus riportata nella versione del Mom-britius: Beata es quae coronam vitae accepisti. Attraverso l’imi-tatio Christi del martirio e il parallelo con la Vergine, la pre-gnante figura di Margherita allude alla Chiesa e si contrappo-ne a quel prefetto con la corona e giudice “contro natura”. Dun-que l’arca di Margherita, posta sub ambone, rappresenta l’e-

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16. Bardone, pieve, lastra conIncoronazione della vergine

sperienza terrena del modello cristologico e mariano, ammic-ca alle esperienze delle confraternite, condanna i giudici allea-ti del demonio. Tutto questo entrava a fare parte di un sistemaunitario di racconto che si ritrovava evocato nelle prediche enelle sacre rappresentazioni, vero trait-d’union fra il raccontoproposto e le scelte iconografiche inconsuete con cui viene messoin scena.

Dunque le sculture di Fornovo, insieme a quelle oggi a Bar-

done, dispiegavano un racconto lungo la strada Romea consa-pevoli di un linguaggio affatto locale ma aggiornato sulle recen-ti novità narrative dell’Italia settentrionale e sulle iconografietransalpine, come sul dibattito in corso sull’etica economica. Essediventano allora manifesto di un problema politico urgente, elo fanno proponendo un forte modello di santità femminile, con-trapposta alle figure contro natura, coloro che sovvertono l’or-dine naturale del tempo e dei poteri.

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1 E. Crawford Parker, Modes of seeing Mar-garet of Antioch at Fornovo di Taro, in Thefour modes of seeing. Approaches tomedieval imagery in honor of MadelineHarrison Caviness, a cura di E. Staudin-ger Lane, E. Carson Pastan, E.M. Shor-tell, Farnham [u.a.] 2009, pp. 274-290.2 A.C. Quintavalle, La strada Romea,catalogo delle chiese di M. Calidoni, Mila-no 1975; V. Moratti, La pieve di SantaMaria Assunta a Fornovo di Taro, inMedioevo i modelli, a cura di A.C. Quin-tavalle, Milano 2002, pp. 555-566. Secon-do Quintavalle la cronologia potrebbeessere intorno al 1030; per tradizione lapieve è legata alla fondazione del re Liut-prando. G. Mariotti, La pieve di SantaMaria di Fornovo, “La Giovane Monta-gna”, 15 aprile 1930 e 1° aprile 1937.3 Un’area di strada. L’Emilia occidentale nelMedioevo. Ricerche storiche e riflessionimetodologiche, Atti dei convegni di Parmae Castell’Arquato, novembre 1997, acura di R. Greci, Bologna 2000. Nel testosi illustra una viabilità segnata dai gran-di itinerari, ad esempio le tappe di Sige-rico che nel suo viaggio verso Roma siferma a Borgo San Donnino, a Costa-mezzana, a Fornovo, a Berceto e poi inToscana a Montelongo. Così i più tardidocumenti delle visite pastorali mostranouno stesso itinerario entro quale il vesco-vo visitava una precisa sequenza di edifi-ci, definendo così sotto-aree di territorioall’interno della sua diocesi. Archivio Sto-rico Diocesano di Parma, VVPP. Nellavisita Pastorale detta Farnese del 1583,questa area viene definita “ultra Tarum”.4 A. Kingsley Porter, Lombard Architectu-re, vol. II, New York 1967, pp. 427-429.5 A.C. Quintavalle, La strada Romea, cit.,pp. 108-117, 172-174.6 A. Venturi, Storia dell’arte italiana, III,Milano 1906; G. De Francovich, Bene-detto Antelami Architetto e scultore, Mila-no-Firenze 1952; A. Kingsley Porter,Lombard Architecture, II, New Haven,1917; G. Toscano, Il bassorilievo di SantaMargherita, in “Giovane Montagna” 15marzo 1938; A.C. Quintavalle, RomanicoPadano, Civiltà d’Occidente, Pisa 1969;M. Pellegri, Santa Maria di Fornovo, Chie-sa romanica, Parma 1970; A.C. Quinta-valle, La strada Romea, cit.; F. Barocelli,La stele devozionale di Santa Margheritad’Antiochia nella Pieve di Fornovo: un’i-potesi di lettura iconologica, in “Parma nel-l’arte”, 12. 1980, 2, pp. 7-30; Benedetto

Antelami, a cura di A.C. Quintavalle, cata-logo delle opere a cura di A. Calzona,G.Z. Zanichelli, Centro studi medievali,Università di Parma, Milano 1990.7 S. Italiani, L’ambone di Santa Margheri-ta a Fornovo, in “Aurea Parma”, 2, 2002,pp. 219-256. L’ipotesi avanzata dalla stu-diosa che le lastre di Bardone apparte-nessero a un unico arredo ubicato a For-novo non viene accolta da Barocelli: F.Barocelli, Il maestro, la tartaruga e mar-gherita, in L’Appennino emiliano: omaggioa Vito Fumagalli, Atti del convegno diBardi, 28 ottobre 2007, Bardi 2008.8 Joannis Baptistae Castelli, Visitatio civi-tatis Parmae, 1578-1579, Parma 2000, pp.XXXX. Nell’inventario del 1690 (fasci-colo F5, c 3r), il beneficio di santa Mar-gherita compare trasferito nell’altare mag-giore. ASDPr, Cassetta Fornovo.9 F. Tonelli, Architettura e spazio liturgiconella cattedrale di Parma da BenedettoAntelami alla fine del medioevo, in Vive-re il medioevo. Parma al tempo della cat-tedrale, Cinisello Balsamo 2006, p. 54.10 La tradizione agiografica di santa Mar-gherita è complessa e gli stessi Bollandi-sti non fanno mistero del fatto che vi siaun’aura di apocrifia all’origine dellavicenda letteraria: Acta Sanctorum, dievigesima Iulii, IV, Anversa 1701, pp. 24sgg.; il “ceppo” latino della storia (che sisviluppa in parallelo anche in un “ceppogreco”, la vicenda di Marina) ha a monteuna breve redazione di Rabano Mauro;del X secolo la versione latina pubblica-ta nel 1478-1479 dal Mombritius che siavvicina più di ogni altra alla vicenda illu-strata nella nostra lastra, e nella quale siindica un testimone oculare redattoredella vicenda, Theotimus o Tectinus.Questa versione verrà poi riassunta daJacopo da Varagine nella Legenda aurea.Si veda per un quadro completo della tra-dizione agiografica: F. Barocelli, La steledevozionale di Santa Margherita cit., pp.16-25.11 Fra i testimoni, benché tardi, giunti finoa noi ricordiamo La Rappresentazione efesta di Santa Margherita Vergine e Mar-tire in Siena, e La Rappresentazione delMartirio di Santa Margherita contenuta nelcodice Dalmatico Laurenziano; si veda G.Verdiani, Il codice dalmatico-laurenziano,in “Ricerche Slavistiche”, vol. V, 1957, pp.37-139. Nella liturgia parmense gli ufficisi celebrano alle Kalendae iulii, come silegge nel sequenziario AC 12 della capi-

tolare che riporta una serie di dialogi can-tati complementari alle liturgie e alle rap-presentazioni descritte nell’ordinariumecclesiae parmensis. Archivio Capitolaredella Cattedrale di Parma, Ms AC 12; allacarta 106 r ritroviamo le sequenze dedi-cate a santa Margherita. Per una somma-ria descrizione del manoscritto si veda: G.Zarotti, Codici e corali della Cattedrale diParma, in “Archivio storico per le Pro-vincie parmensi”, IV s, vol. XX, 1968, pp.181-216, in partic. pp. 191-192; Ordina-rium ecclesiae parmensis, anno MCCCCX-VII, Parma MDCCCLXVI, p. 178.12 P. Meredith, J.E. Tailby (a cura di), Thestaging of religious drama, in Europe in thelater Middle Ages, Kalamazoo, MedievalInstitute Publications 1983, p. 127, recordrelativo agli strumenti utili alla proces-sione del Corpus Christi di Barcellona del1424.13 Crawford Parker, Modes of seeing Mar-garet of Antioch at Fornovo di Taro cit.14 In particolare nell’edizione del Mom-britius; BHA VOL 8, coll. 1150-1166;Parker e poi The Old English lives of St.Margaret, di Mary Clayton, Hugh Magen-nis, Cambridge 1994. Nella vita delMombritius, quando Margherita è con-dotta in carcere, compare la nutrice a par-larle dalla finestra; Tectinus invece è indi-cato come il suo padre adottivo.15 Margherita si fa veicolo di un modellodi santità fortemente cristologico eammicca alle nuove forme di religiositàpopolare e alle confraternite. Fra le variepratiche esse proponevano anche formedi autolesionismo, anche con strumentianaloghi a quelli rappresentati sulla lastraper le torture della santa. Questa dimen-sione è stata particolarmente approfonditada Margaret Caviness che ha analizzato ledinamiche di martirio legate a dimensio-ni spettacolari sado-erotiche. Caviness,Visualizing women, XXX, pp. 101-106. SeJacopo da Varagine nella Legenda Aurearacconta che: “il prefetto si copriva gliocchi con la veste perché non resisteva allavista di tanto sangue”, la scena rappre-sentata a Fornovo diverge radicalmentepresentando un ufficiale del potere, il pre-fetto, assai tranquillo nell’ordinare latortura e monitorarne direttamente l’ese-cuzione.16 La tradizione delle figure del male inclu-de anche gli etiopi, che nell’immaginariomedievale si associano ai demoni per ilcolore nero e per il fatto di non essere cri-

stiani. Demons, darkness & Ethipians, inD. Higgs Strickland, Saracens, demons &jews. Making Monsters in Medieval Art,Princeton University Press, 2003, pp. 63-255.17 Si veda: A.K. Porter, Lombard Archi-tecture, II, pp. 427-429; Quintavalle, Lastrada Romea, cit., pp. 108-117, 172-172,193-196; M. Pellegri, Santa Maria di For-novo. Chiesa romanica, Parma 1970; V.Moratti, La pieve di Santa Maria Assuntaa Fornovo di Taro, in Medioevo i model-li, Atti del convegno internazionale distudi, Parma 27 settembre-1 ottobre1999, a cura di A.C. Quintavalle, Milano,2002, pp. 555-566. Già Porter aveva con-siderato l’atrio una aggiunta alla chiesaprecedente, da datarsi al 1200 insieme allesculture; su questa linea si pone ancheQuintavalle, datando la pieve al 1030-1050 (sulla base del tipo di capitelli, archiabsidali, tipo di sostegni), il nartece e lesculture alla fine del XII secolo; MarcoPellegri, invece, data il corpo della chie-sa tra VIII e IX secolo, il campanile fraXI e XII, il nartece genericamente tra XIIe XIII. I pilastri polistili sono stati pro-gettati per reggere le volte a crociera, e leattuali volte non poggiano sui sostegni ori-ginari: questo apre l’interrogativo sull’e-poca in cui sia stato realizzato il secondopiano del nartece; l’unico certo termineante quem è un inventario dell’8 novem-bre 1734, nel quale si indica che: “soprala porta di essa chiesa vi sono tre came-rette quali servono per li predicatori dellaquaresima” (ASD, Cassetta Fornovo,foglio 7/A, inventario dell’8/11/1734,c.1 r.).18 D. Iogna-Prat, La maison Dieu. Unehistoire monumentale de l’Église au MoyenÂge (v. 800-v. 1200), Paris 2006.19 A. Peroni, L’asinello porta alla perdizio-ne il lupo, in “Studi Medievali”, 2009, pp.583-604.20 J. Baschet, Jean-Claude Bonne, Pierre-Olivier Dittmar, L’art roman. Par de la lebien le mal. Une iconographie du lieu sacré,Paris 2012.21 ASD (Archivio Storico Diocesano),Cassetta Fornovo, foglio 7/A, inventariodell’8/11/1734, c.1 r.; già in precedenza,nell’inventario del 1691, si parla di “trestanze di habitatione sopra la porta delladetta chiesa quali servono per li predica-tori della quadragesima” (ASD, CassettaFornovo, Carpetta F, n. 5, 1691). Nel-l’inventario precedente del 1645 si cita-

no “quattro stanze sopra la chiesa detti licamerini” (ibid., n. 2). ASD, CassettaFornovo, F/A, c. 1 r, inventariodell’8/11/1734.22 Valeria Moratti ripercorre la documen-tazione di restauro dell’edificio, indivi-duando, come già fatto da Quintavalle, unnucleo strutturale databile al 1030 al qualesi viene ad aggiungere al termine del XIIsecolo un esonartece che successivamen-te diventa endonartece ossia viene inglo-bato all’interno della struttura. Questoavancorpo era composto da sei campateed era coperto con volte a crociera. Irestauri alla facciata svolti del XX secolosono stati condotti nella piena consape-volezza della presenza di un originarioeso-nartece ma, nella totale assenza di ele-menti certi, si sceglie di ripristinare l’ul-tima facies disponibile, ossia la facciataripristinata nel XVII secolo. In sintesi lafronte attuale è il frutto di un rifacimen-to novecentesco che in parte smonta erimonta quella già ripristinata nel XVIIsecolo e che corrisponde al tampona-mento di un nartece, originariamente inparte aperto, che era stato, tra XII e XIIIsecolo, addossato alla struttura.23 A. Boccia, Viaggio ai monti di Parma(1804), a cura di G. Capacchi, Parma1989, p. 47.24 Entrambe le lastre sono unificate da unacornice a rosette che riconduce a unacomune provenienza d’origine. Il geografoottocentesco segnala anche la presenza sullato sinistro della pieve di un leone dimarmo mutilato e di una terza lastra giàusata come paliotto dell’altare principa-le.25 Le misure delle lastre non sono perfet-tamente coincidenti ma molto vicine:lastra di Margherita: 98 x 183 cm, lastracon i lottatori 98 x 115 cm, lastra coninferno 95 x 153 cm.26 J. Baschet, Les Justices de l’au-dela. Lesrepresentations de l’enfer en France et enItalie (XII-XV siecle) Ecole Française deRome, Roma 1993.27 G. Milani, Avidité et trahison du biencommun. Une peinture infamante duXIIIe siècle, in “Annales HSS”, luglio-set-tembre 2011, n. 3, pp. 705-739.28J. Le Goff, La borsa e la vita; Id., Lanascita del purgatorio; AA.VV., L’alba dellabanca, Dedalo, 1982.29 L’immagine sociale dell’usuraio era dif-fusa e condivisa: ricordiamo il racconto diLecoy de la Marche dedicato al matri-monio di quell’usuraio che all’ingressodella chiesa viene travolto dal crollo di unastatua della facciata rappresentante unanalogo peccatore. Usurai sono rappre-sentati anche nello spazio della chiesa,oltre che nelle parole dei predicatori, adesempio nel primo capitello della navatadi Orcival, in Alvernia, dove l’usuraio ha,come a Fornovo, la borsa al collo ed èaffiancato da due demoni; in alto la scrit-ta esplicativa “FOL DIVES”. J. Le Goff,La borsa e la vita, cit.; G. Milani, Aviditéet trahison du bien commun cit.30 G. Milani, Il secondo Simone. Le fontiletterarie e visuali di un’illustrazione delsalterio Chludov (Bisanzio, secolo IX), inRicerca come incontro. Archeologi, paleo-grafi e storici per Paolo Delogu, a cura diG. Barone, A. Esposito, C. Frova, 2013,pp. 83-102.31 Baschet sottolinea la convergenza diquesto tema con quello della parabola diLazzaro e traccia un parallelo tra la fac-ciata di Moissac dove è rappresentato Laz-

zaro e la morte del ricco e la scena di For-novo proprio per la presenza in entram-be le rappresentazioni della figura del pec-catore contro natura, l’usuraio. J. Baschet,Les Justices de l’au-dela cit.32 Si veda in particolare: The staging of reli-gious drama in Europe cit., in particolareil testo relativo alla rappresentazione diRouen del 1474, p. 90. Il più conosciutoesempio di bocca dell’inferno nel teatroè nel manoscritto anglonormanno del Jeud’Adam. R. Lima, The mouth of hell. Theiconography of damnation on the stages ofthe Middle Ages, in European icono-graphy East and West, Leiden 1996, pp.35-48. Per quanto riguarda gli effetti sono-ri, i testi descrivono che calderoni di bron-zo venivano messi nella bocca per pro-durre un rumore simile a quello di untuono. Nei secoli seguenti la bocca del-l’inferno diverrà una struttura fissa cheraggiungerà l’apice fra XV e XVI secoloquando si avvarrà di nuove soluzionimolto innovative.33 F. Gandolfo, Il sarcofago di Saint-Hilai-re d’Aude, il Maestro di Cabestany e laToscana, in Medioevo: il tempo degli anti-chi, Atti del convegno internazionale distudi, a cura di A.C. Quintavalle, Parma,24-28 settembre 2003, Milano 2006, pp.425-437.34 Per il quadro d’insieme si veda: R. Schu-mann, Istituzioni e società a Parma dall’etàcarolingia alla nascita del comune, [1973],trad. it. a cura di R. Greci e D. Romagnoli,Reggio Emilia 2004; G. Albini, Vescovo,comune. Il governo della città tra XI e XIIIsecolo, in Il governo del vescovo, a cura diR. Greci, Parma 2005, pp. 67-87; R.Greci, Origini, sviluppi e crisi del Comu-ne, in Storia di Parma, III, 2010, pp35 O. Guyotjeannin, Conflit de juridictionet exercice de la justice à Parme et dans sonterritoire d’après une enquête de 1218,Mélanges de l’Ecole française de Rome,Moyen-Age, Temps modernes, 1985, 97,pp. 183-300.36 Pelicelli, I Vescovi della Chiesa parmen-se, Parma 1936, p. 168. In particolareall’origine del titolo di conte del vescovoparmense c’è la delega di poteri passatacon il privilegio di Ottone III.37 Per esempio quelli relativi a BernardoII (1169-1194).38 Archivio Vescovile di Parma, perg.Orig., G. Drei, Le carte degli archivi par-mensi dei sec. 10.-11., Parma 1924, p. 193.Pelicelli, I vescovi della chiesa parmensecit., p. 168.39 Dal Libellum del 1218 e dai documen-ti trascritti in: Pelicelli, I vescovi della chie-sa parmense cit., p. 168.40 Si veda a questo proposito il risultatodel congresso “Avant-nef”, e in partico-lare le considerazioni conclusive avanza-te da Alain Dierkens, Avant-nefs et espa-ces d’accueil dans l’église entre le IVe et leXIIe siècle, a cura di Ch. Sapin, Paris2002.

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