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UN PERCORSO NELLA CULTURA SCRITTA DEL FRIULI MEDIEVALE I LIBRI DEI ATRIARCHI

I libri scolastici, in I libri dei Patriarchi. Un percorso nella cultura scritta del Friuli medievale, a cura di Cesare Scalon, Udine 2014, pp. 229-261

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I LIBRI DEI

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I LIBRI DEI PATRIARCHIUN PERCORSO NELLA CULTURASCRITTA DEL FRIULI MEDIEVALE

a cura diCesare Scalon

Deputazione di Storia Patria per il FriuliIstituto Pio Paschini per la Storia della Chiesa in Friuli

Direzione e cura dell’operaCesare Scalon

Coordinamento editorialeEgidio Screm

Redazione e cura dei testiEgidio Screm

Impaginazione Michelangela Scrocco e Egidio Screm per Lithostampa

FotolitiLithoStampa

StampaLithoStampaVia Colloredo, 126 – 33037 Pasian di Prato [Udine]Tel. 0432 690795 Fax 0432 644854mailto: [email protected]

In copertina: Iniziale della Bibbia ‘bizantina’ conservata presso la Biblioteca Civica Guarneriana di San Daniele del Friuli, codice 3

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,non autorizzata, compresa la fotocopia

© Deputazione di Storia Patria per il Friuli© Istituto Pio Paschini per la Storia della Chiesa in Friuli

ISBN 978-88-87948-37-0

Opera promossa da

Deputazione di Storia Patria per il Friuli

Istituto Pio Paschini per la Storia della Chiesa in Friuli

Con il sostegno di

Arcidiocesi di Udine

Con il patrocinio di

Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo

Università degli Studi di UdineSocietà Filologica FriulanaComune di Aquileia

Comune di Cividale del FriuliComune di San Daniele del FriuliComune di Udine

Saggi e schede di:

Giacomo Baroffio, già ordinario di Storia della Musica medievale e di Storia delle Liturgie presso la Facoltà di Musicologia dell’Università di Pavia/CremonaMassimiliano Bassetti, ricercatore e docente di Paleografia Latina presso l’Università di Verona Roberto Benedetti, dottore di ricerca, Trie-ste/Gemona del Friuli Fabrizio Crivello, professore associato, do-cente di Storia dell’Arte medievale, Univer-sità di TorinoMario D’Angelo, già docente dell’Università di Udine

Giovanni Frau, già ordinario di Filologia e linguistica romanza, Università di UdineMarco Grusovin, docente presso l’Istituto superiore di Scienze religiose di UdineAndrea Improta, dottore di ricerca, Seconda Università degli studi di NapoliAntonio Manfredi, Scriptor Latinus presso la Biblioteca Apostolica VaticanaMarta Minazzato, dottore di ricerca, asse-gnista, Università di PadovaLaura Pani, professore associato, docente di Paleografia Latina, Università di UdineCesare Scalon, già ordinario di Paleografia Latina, Università di Udine

Federica Toniolo, professore associato, do-cente di Storia della Miniatura, Università di PadovaNorberto Valli, docente Seminario arci-vescovile di Milano; Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di RomaFabio Vendruscolo, professore associato di Filologia classica, Università di UdineMatteo Venier, docente a contratto di Filo-logia dei testi italiani, Università di UdineFederico Vicario, professore associato di Glottologia e Linguistica, Università di Udine

Ringraziamenti

Gli editori ringraziano tutti gli enti e le isti-tuzioni che hanno fornito e autorizzato la riproduzione delle immagini:Berlin, Staatsbibliothek; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana; Cividale del Friuli, Biblioteca Civica; Cividale del Friuli, Museo Archeologico Nazionale; Gemona del Friuli, Museo della pieve e Tesoro del duomo; Gorizia, Biblioteca del Seminario Teologico; Graz, Universitätsbibliothek; Leipzig, Universitätsbibliothek Albertina; Los Angeles, J. Paul Getty Museum; New Haven, Yale University, Beinecke Rare Book & Manuscript Library; Oxford, Bodleian Library; Padova, Biblioteca Civica; Padova, Biblioteca Universitaria; Paris, Bibliothèque Mazarine; Paris, Bibliothèque Nationale de France; San Daniele del Friuli, Biblioteca Civica Guarneriana; Spilimbergo, Archivio parrocchiale; Treviso, Biblioteca Comunale; Udine, Archivio Capitolare; Udine, Archivio di Stato; Udine, Biblioteca Arcivescovile; Udine, Biblioteca Civica ‘V. Joppi’; Udine, Biblioteca ‘P. Bertolla’ del Seminario Ar-civescovile; Venezia, Biblioteca Nazionale

Marciana; Verona, Biblioteca Civica; Wien, Österreichische Nationalbibliothek

Un sentito ringraziamento a:Claudio Barberi, Direzione regionale dei beni culturali, Trieste; Giovanni Borriero, Università di Padova; Loredana Bortolotti, Biblioteca Glemonense; Luca Caburlotto, Soprintendenza per i beni artistici, storici ed etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia; Maria Careri e Ilaria Zamuner, Università ‘G. D’Annunzio’ di Chieti-Pescara; Laura Casella, Università di Udine; Michela Cec-coni, Università di Roma ‘Tor Vergata’; Fabrizio Cigni, Università di Pisa; Rober-ta Corbellini, Archivio di Stato di Udine; Maurizio d’Arcano Grattoni, Udine; Pao lo Casadio, Soprintendenza per i beni artisti-ci, storici ed etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia; Fabio Pagano e Claudia Franceschino, Museo Archeologico Nazio-nale di Cividale del Friuli; Emanuela Elia, Gemona del Friuli; Denise Flaim, Cividale del Friuli; Angelo Floramo e Meri Ziral-do, Biblioteca Civica Guarneriana di San

Daniele del Friuli; Francesca Gambino e Nicoletta Giovè Marchioli, Università di Pa-dova; Pietro Gnan, Biblioteca Universitaria di Padova; Vincenzo Lappetito, Cividale del Friuli; Alida Londero, Gemona del Friuli; Giangiacomo Martines, Direzione regio-nale dei beni culturali, Trieste; Annemarie Menta, Beinecke Rare Book and Manuscript Library; Elisa Morandini, Museo Cristiano di Cividale del Friuli; Livio Passarino, Udi-ne; Gianluigi Perino, Biblioteca Civica di Treviso; Katja Piazza, Archivio Diocesano di Udine; Sandro Piussi, Biblioteca Arcive-scovile di Udine; Paolo Squillacioti, CNR - Istituto Opera del Vocabolario Italiano; Mauro Vale, Gemona del Friuli; Romano Vecchiet e Francesca Tamburlini, Biblioteca Civica ‘V. Joppi’ di Udine; Ingo Welther, Berlino; Armando Zorzin, arciprete di Grado

e ai fotografi:Luca Laureati, Udine; Riccardo Viola, Mor-tegliano; Adalberto D’Andrea, Cividale; Fabio Valerio, Gemona del Friuli

Sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana

Introduzione di Cesare Scalon p. IX

I L’Evangeliario ‘Forogiuliese’ » 1 Cesare Scalon

II Il ‘Codex Rehdigeranus’ » 15 Cesare Scalon – Norberto Valli

III Libri dell’età di Carlo Magno » 29 Laura Pani

IV I libri degli Ottoni » 63 Fabrizio Crivello

V Il Salterio di santa Elisabetta » 101 Fabrizio Crivello

VI Il libro dei libri: dalle Bibbie atlantiche alla Bibbie tascabili » 113

Massimiliano Bassetti

VII I libri liturgici musicali » 157 Giacomo Baroffio

VIII I libri corali » 189 Federica Toniolo

IX I libri scolastici » 229 Laura Pani

X I libri della letteratura in volgare » 263 Roberto Benedetti

XI Guarnerio e i libri degli umanisti » 307 Matteo Venier

XII I libri della scienza e della tecnica » 353 Mario D’Angelo

XIII I libri dei principi » 391 Antonio Manfredi

Bibliografia » 425

Indice dei Manoscritti » 453

SOMMARIO

IX � I LIBRI SCOLASTICI 229

IX

I LIBRI SCOLASTICI

La Grammatica punisce uno scolaro negligente, particolare (Paris, Bibliothèque de Sainte Genéviève, 2200, f. 57v)

IX � I LIBRI SCOLASTICI 231

«Karissime filii, post maternum desiderium, Christi gratia, sum sana. Tibi notiffico qualiter tuam susepi litteram, in qua continetur quod tibi mitam libros 3. Cum amicis laboravi hos invenire libros in contemplatione tui quos non reperi. Scias enim quod reperi in hac facultate 3 optimos libros qui suficientes essent pro te. Quapropter rescribas mihi vel vis hos habere vel pecuniam cum qua emere poteris illos libros. Te exorto ut adiscas, quia ero consolata et si alliqua vis, allia iube atimplebo. Item tibi notiffico quod penes magistrum Iacobum texarium sunt multi libri diversarum facultatum. Si in his delectaris, sunt de tui voluntate pro bono precio: de hoc intima. Alia non scribo. 1420, die 8ª mensis decembris. Tua genetrix domina Helisabeth».

Accingendomi a scrivere dei libri scolastici che nel medioevo furono prodotti o circolarono in Friuli mi è piaciuto partire

da un documento semplice e al tempo stesso eccezionale: una lettera originale scritta agli inizi del Quattrocento da una madre, di nome Elisabetta, al figlio, che altri documenti hanno permesso di identificare in Baldassarre di Nicolò da Amaro, alias Baldas-sarre da Cividale in riferimento alla città dove costui, terminati gli studi, visse e lavorò.E poiché in questa lettera si parla di libri, e di libri di studio, siano le parole di Elisabetta a offrire la traccia per queste pagine.

Le fonti Quella di Elisabetta è una missiva privata, una delle meno rappre-sentate tra le fonti documentarie medievali, cosa che contribuisce alla sua eccezionalità. Per parlare di scuole e libri scolastici nel Friuli medievale si dispone in realtà di un insieme molto eterogeneo di fonti, che ovviamente non sono distribuite uniformemente attraverso i secoli dell’età di mezzo: scarsissime per l’alto medioevo – come si è visto anche nel capitolo dedicato ai libri dell’età di Carlo Magno – aumentano esponenzialmente a partire dal XIII secolo, permettendo soprat-tutto per il XIV e il XV di ricostruire abbastanza fedelmente il quadro storico relativo alla scolarizzazione, ai curricula, all’attività dei maestri, agli interessi culturali che venivano coltivati, ai libri che circolavano. Si tratta di inventari di biblioteche, contratti e testamenti, documenti contabili, sottoscrizioni di copisti, che meno di vent’anni fa sono stati raccolti e pubblicati, nella maggior parte dei casi per la prima volta.

232 I LIBRI DEI PATRIARCHI

A questo complesso di testimonianze vanno aggiunte quelle più significative: i libri stessi. Le schede che si presentano in questa sezione dell’opera, tutte di codici trecenteschi o quattrocenteschi, sono solo una selezione dei libri di studio, scolastici e universitari, che, interi o frammentari, sono conservati in Friuli o altrove, o che comunque sono appartenuti a studenti e maestri friulani, o da friulani emigrati – ed emigrati spesso proprio per motivi di studio – sono stati copiati.

La scuola tra alto e basso medioevoElisabetta scrive nel 1420: a basso medioevo inoltrato, dunque, e anzi già in un’epoca in cui la cultura umanistica aveva iniziato a permeare non solo gli ambienti intellettuali ma anche il mondo scolastico. Dovendo parlare della scuola medievale bisogna ricordare che, in Friuli come in tutta Italia, il XIII secolo – o meglio ancora, almeno nel caso friulano, il passaggio tra Duecento e Trecento – rappre-senta uno spartiacque importante nell’organizzazione scolastica: con la nascita dei Comuni, infatti, si estingue rapidamente l’attività delle scuole ecclesiastiche che in tutta Italia, gestite per lo più dai Capitoli – in Friuli quelli di Cividale, Aquileia e Concordia –, avevano detenuto il monopolio dell’istruzione durante i secoli altomedioevali. Aventi come fine la formazione dei chierici – e clericus e scolaris sono, almeno nel lessico latino friulano medievale, spesso usati come sinonimi –, esse erano rette dallo scholasticus, ruolo secondo solo a quello del decano del Capitolo; le Scritture, il canto corale e la liturgia erano le materie insegnate in un percorso di studi che, passando poi alle arti liberali e alla teologia, poteva protrarsi fino al venticinquesimo anno d’età. Agli inizi del Trecento, se non già nei decenni precedenti, la formazione laica si affiancò e infine sostituì quella ecclesiastica, con radicali cambiamenti tanto nell’estrazione e nella posizione sociale dei maestri, presto stipendiati dagli stessi comuni, quanto nella possibilità di accedere all’istruzione da parte di una più larga fetta della popolazione, quanto nei programmi scolastici. A questo tipo di scuola, la stessa che avevano frequentato non solo Baldassarre ma forse anche sua madre, si farà riferimento, dove non diversamente indicato, in questo capitolo.

Il curriculum scolasticoElisabetta era moglie di Nicolò da Amaro, notaio e – ma su questo si dovrà tornare – maestro di scuola. La sua lettera è priva di da-tazione topica: il suo editore ha congetturato che sia stata spedita da Tolmezzo, ma Udine, dove Nicolò risulta aver esercitato la professione, potrebbe essere una valida alternativa. Dove si trovava invece Baldassarre? Non lo sappiamo, ma imma-giniamo che fosse uno dei numerosi studenti friulani ‘in mobilità’ che completavano la propria formazione fuori regione: tipicamente in una città universitaria, probabilmente a Padova o a Bologna

IX � I LIBRI SCOLASTICI 233

come numerosi altri suoi compatrioti sui quali siamo meglio documentati. Ma si trattava, a quel punto, dell’ultima tappa di una formazione che doveva per forza partire dall’insegnamento elementare e percor-rere tutti gli stadi successivi dell’istruzione di tipo – nell’accezione contemporanea del termine – umanistico. Al livello più elementare era ovviamente previsto l’apprendi-mento – nell’ordine – della scrittura e della lettura. Per la prima si seguiva, nel medioevo come nell’antichità, un metodo di tipo sintetico: all’inizio i nomi delle lettere, secondo l’ordine alfabe-tico; poi la loro forma e il loro valore; poi, nell’ordine, le sillabe e le parole; infine brevi frasi, spesso fittizie e contenenti tutte le lettere dell’alfabeto. L’apprendimento della lettura, lungo tutto il medioevo e oltre, avveniva sulla base del Salterio, un libriccino con le principali preghiere latine eventualmente precedute da un sillabario. Anche al primissimo livello del curriculum scolastico, dunque, e anche nel basso medioevo, la lingua dell’insegnamento era il latino: per la forza della tradizione, perché era comunque la lingua della liturgia, perché almeno in Italia la lingua volgare vi assomigliava tanto nel lessico e nella pronuncia da non creare, presumibilmente, eccessivi disordine o confusione. A un livello appena superiore c’era l’apprendimento della gramma-tica, anche in questo caso basata sulla lingua latina e in particolare sull’Ars minor del grammatico Donato, il testo più semplice e più diffuso fin dall’antichità e almeno fino a quando, in un non meglio precisato luogo e da un anonimo autore dell’Italia bassomedievale, non ne venne compilato un succedaneo destinato a scavalcarlo nell’uso, la cosiddetta – dalla sua parola iniziale – Ianua. Quanto noto sulla scuola friulana medievale permette di seguire con un certo agio il curriculum degli studi di tipo – sempre nell’ac-cezione contemporanea del termine – umanistico: quelli cioè che prevedevano la frequenza di scuole di grammatica e retorica fino alla vigilia degli eventuali studi universitari. Poco o nulla si sa invece di eventuali percorsi alternativi: quelli, per intendersi, che, secondo un notissimo e citatissimo brano della Cronica di Giovanni Villani, vedevano nella Firenze di inizi Trecento «fan-ciulli che stanno ad imparare l’abbaco e l’algorismo» in un iter formativo di tipo tecnico distinto da quello di coloro «che stanno ad apprendere la grammatica e loica», o che prevedevano un pro-gramma basato solo sulla lingua volgare. Si può immaginare però che i rudimenti della grammatica latina fossero impartiti anche a chi avrebbe poi abbandonato la scuola o si sarebbe dedicato a studi di diversa natura.Non è chiaro a quale età gli studenti di grammatica passassero da un livello elementare a un livello superiore, basato su manuali e testi più complessi, ivi compresi gli autori latini classici: si può immaginare che essa fosse variabile anche a seconda del momento in cui ogni scolaro aveva cominciato il proprio percorso forma-tivo; e d’altra parte a carico di uno stesso maestro, eventualmente

234 I LIBRI DEI PATRIARCHI

coadiuvato da un ripetitore, erano studenti di tutte le età e di tutti i livelli. Progredendo con gli studi, all’insegnamento della grammatica ‘avanzata’ si affiancava quello della retorica, secondo una distin-zione – quella delle arti del trivio – tutta medievale ma destinata a mutare nell’approccio e nei contenuti con l’avvento degli studia humanitatis. Studiando la retorica, lo scolaro doveva in sostanza rendersi in grado di comporre autonomamente testi (tipicamente lettere, secondo i dettami dell’ars dictandi) e orazioni, avendo in mente i repertori di exempla sui quali aveva studiato, ispirandosi a modelli di vizi e virtù offerti dalla letteratura latina e imitando, soprattutto da una certa epoca in avanti, la lingua e lo stile degli

autori classici e la struttura dei loro testi. Il ma-noscritto 228 della Biblioteca Guarneriana di San Daniele (vedi oltre, e scheda IX.7), un co-dice composito e miscellaneo in parte copiato da uno studente di retorica delle scuole udinesi di Giovanni da Spilimbergo, costituisce una silloge esemplare dei testi di riferimento per questa fase degli studi. Baldassarre da Amaro morirà nel 1484: non ci sono problemi a calcolare che nel 1420 fosse all’incirca diciottenne e avesse terminato gli studi compiuti presso le scuole regionali di grammatica e retorica per proseguire la propria formazione in una città universitaria. A tale riguardo, l’‘offerta didattica’, benché meno patinata e accattivante di quella con cui gli atenei contemporanei atti-rano i propri studenti, era comunque variegata: a Padova o Bologna – ma ci furono nel tempo studenti friulani che si formarono anche a Parigi e forse addirittura a Oxford –, oltre a compiere gli studi universitari propriamente detti di diritto canonico e civile (o di teologia e di filosofia, ai quali però provvedevano, dal XIII secolo, anche le scuole e gli studia degli ordini mendicanti), essenziali – almeno fino al pieno sviluppo degli studia humanitatis – nella formazione di chi, laico

o ecclesiastico, aspirava a futuri ruoli dirigenziali, si poteva anche studiare presso la facoltà di arti o formarsi nell’ars notariae. Una decina d’anni dopo la lettera della madre, le fonti documen-tarie nominano Baldassarre proprio con la qualifica di notaio, alla quale nel 1436 si aggiungerà quella di canonico del Capitolo di Cividale. E benché l’accesso al notariato non fosse necessa-riamente subordinato al compimento di studi giuridici di tipo universitario, essendo sufficienti gli studi di ars notariae offerti dalle scuole comunali e un periodo di tirocinio, furono numerosi gli studenti friulani che, tra Tre- e Quattrocento, fallito il tenta-tivo di fondare a Cividale uno Studium generale, preferirono ed

Frammento trecentesco (anno 1340) della

Summa totius artis notariae di Ronaldino da

Bologna (Udine, Archivio di Stato, frammento

146, f. 11r)

IX � I LIBRI SCOLASTICI 235

ebbero la possibilità di formarsi presso sedi più prestigiose: forse Baldassarre era uno di loro.

I libri Elisabetta scrive a Baldassarre in risposta all’incarico da lui affida-tole di procurargli alcuni libri. E gli comunica di averne trovati tre che dovrebbero fare al caso suo e di farle sapere se deve acqui-starli; lo informa, inoltre, che presso mastro Giacomo tessitore ve ne sono molti altri di materie diverse, oltre tutto acquistabili a poco prezzo. Non un titolo compare in questa missiva. Peccato: se ne sarebbero ricavate rilevanti informazioni sul tipo di studi compiuti da Baldassarre e sui suoi interessi, e si sarebbe aggiunto un ulteriore tassello a quanto già noto sulla circolazione del libro in Friuli nel basso medioevo. Ma, come si è detto, non mancano le fonti per conoscere quali fossero i libri e i testi usati ai diversi livelli dell’insegnamento scolastico.Detto delle grammatiche latine elementari di Donato e dello pseudo-Donato, allo studio, spesso a memoria, di queste si affian-cava o si faceva seguire ben presto la lettura di una serie di testi semplici, che componevano il repertorio dei cosiddetti minores auctores: minores, in quanto distinti dagli auctores propriamente detti, i classici della letteratura latina. Ne fanno parte, per esempio, Boezio con il De consolatione philosophiae, i Disticha Catonis, una raccolta di detti morali attribuiti a Catone il Censore, una rac-colta di favole di Esopo tradotte in latino da Gualtiero Anglico nel XII secolo, gli Epigrammata tratti da Prospero di Aquitania dalle opere di Agostino. Va osservato che tutti questi testi hanno il vantaggio di unire specifiche caratteristiche stilistiche – la me-scolanza di prosa e poesia nel De consolatione philosophiae, frasi brevi e di facile memorizzazione in altri casi – a contenuti morali o moraleggianti. A questo sembra attenersi anche la selezione degli autori classici letti al livello successivo del percorso scolastico: la fama dello scrittore, il suo utilizzo della lingua e dei suoi costrutti e il genere letterario (spesso in versi) non sembrano prescindere mai da un apprezzamento degli aspetti educativi e didascalici del contenuto dell’opera.L’uso di Donato, della Ianua e dei minores auctores nel sistema scolastico friulano medievale è documentato dagli inventari delle biblioteche dei maestri di scuola così come dalla sopravvivenza di frammenti o di codici integri: tra questi ultimi, per esempio, il codice 125 della Biblioteca Guarneriana di San Daniele (cfr. scheda IX.10), contenente il De consolatione di Boezio e copiato a Quattrocento avanzato da uno studente della scuola gemonese di maestro Nicolò di Jacopo di San Daniele, testimonia come questo testo continuasse a essere utilizzato nell’insegnamento scolastico (benché il manoscritto di fatto non rechi note e postille che ne attestino una lettura intensiva) anche quando si era ampiamente consolidata la tradizione degli studia humanitatis. Il manoscritto

236 I LIBRI DEI PATRIARCHI

156 della Biblioteca Comunale di Treviso (scheda IX.8), invece, che circolò fuori dal Friuli e contiene una miscellanea di commenti ai minores auctores nonché al trattato pedagogico De scholastica disciplina attribuito a Boezio a verisimile uso di un maestro di scuola, conferma il persistere tra XIV e XV secolo – tale l’epoca di allestimento delle diverse sezioni del manoscritto – di una tradi-zione scolastica che affondava le proprie radici nell’alto medioevo. A un livello superiore di apprendimento veniva affrontato lo studio di grammatiche latine più complesse. Ai classici tardo-antichi come l’Ars maior dello stesso Donato e le Institutiones di Prisciano si aggiunsero quelli di autori medievali come il Doc-trinale di Alessandro da Villedieu (cfr. scheda IX.9: San Daniele del Friuli, Biblioteca Civica Guarneriana, 120) o il Graecismus di Eberardo da Béthune, o degli stessi maestri di grammatica del Tre e Quattrocento: i Notabilia di Giovanni da Soncino, autore del quale si sa pochissimo ma la diffusione della cui opera è attestata da numerose testimonianze dirette o indirette, e, in progressione cronologica, il De ortographia di Gasparino Barzizza, le Regulae grammaticales di Guarino Veronese. Contemporaneamente, gli scolari erano in grado di affrontare lo studio degli auctores veri e propri. Sarebbe troppo lungo enumerare qui tutti i classici latini che nel medioevo, e con crescente inten-sità a partire dal XIV secolo, furono oggetto di lettura e studio nell’insegnamento scolastico. Del resto, la gamma di autori e opere a cui i maestri di scuola potevano attingere e che le scoperte del preumanesimo ampliarono in modo considerevole potenziando interessi e anche passioni, era talmente variegata che ogni docente dovette operare una selezione dei testi da far leggere nelle proprie scuole in base ai propri intenti didattici e gusti personali.Anche l’apparato di schede di questa sezione dell’opera contiene solo alcuni esempi: i Factorum et dictorum memorabilium libri IX di Valerio Massimo (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1918; scheda IX.1), considerati un’opera storica ma di fatto letti come repertorio di vizi e virtù, ciò che effettiva-mente erano; le Tragedie di Seneca (Oxford, Bodleian Library, Canon. Class. lat. 88; scheda IX.2), particolarmente apprezzate in Friuli almeno a giudicare dall’alto numero di menzioni nelle fonti documentarie trecentesche e quattrocentesche; la Tebaide di Stazio (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro H 15; scheda IX.3), poeta epico molto influenzato da Virgilio; le Satire di Persio e Giovenale (Udine, Biblioteca Arcivescovile, 14; scheda IX.6).Tutti questi codici sono accomunati da una diffusa presenza di note e glosse marginali e interlineari, che attestano un intenso lavoro di analisi e parafrasi. Anche non considerando il lussuoso codice della Tebaide, più d’apparato che di studio, si tratta comunque di manoscritti di buon livello: pergamenacei, aperti da capilettera miniati, muniti di iniziali minori a penna o pennello. Viene per-tanto da chiedersi come classificare invece un binione cartaceo di

IX � I LIBRI SCOLASTICI 237

formato medio-piccolo, rinvenuto recentemente presso l’Archivio capitolare della Parrocchia di Santa Maria Assunta di Cividale (busta nr 1595), dove una mano corsiva trecentesca ha ricopiato parte – o per lo meno parte è ciò che ne è rimasto – dei Fasti di Ovidio scrivendo in interlinea i sinonimi delle parole più difficili o aggiungendo pronomi o altro per aiutarsi nella comprensione di un testo piuttosto ostico. Bisogna forse credere che, accanto ai libri veri e propri, gli studenti di grammatica e retorica si servis-sero anche di ‘quaderni’ di uso personale, nei quali ricopiavano di proprio pugno i testi da studiare?Tra i classici latini Cicerone, dopo le riscoperte delle sue opere a cavallo tra il XIV e il XV secolo, era destinato a fare la parte del leone nell’insegnamento della retorica: per gli aspetti teorici, al suo De inventione e alla Rhetorica ad Herennium si potè aggiun-gere il De oratore; per quelli pratici l’ars dictandi poté avvalersi delle Epistole e l’oratoria propriamente detta appunto delle sue orazioni. Ciò non toglie che anche per la retorica, come per la grammatica, all’opera dei classici e di qualche superstite autore altomedievale – per esempio Goffredo da Vinsauf con la sua Po-etria nova – si aggiunse quella dei maestri contemporanei e degli umanisti. Significativi sono in tal senso i testi contenuti in due miscellanee copiate una integralmente e una parzialmente, benché a cinque anni di distanza, da uno stesso copista, Luigi di Antonio Belgrado, allievo del maestro di grammatica e retorica Giovanni da Spilimbergo: il manoscritto 100-23 della Biblioteca Capitular di Toledo e il già citato 228 della Biblioteca Guarneriana di San Daniele (vedi sopra e scheda IX.7). Il quinquennio intercorso tra l’allestimento del primo e della sezione datata del secondo e la natura composita di quest’ultimo permettono di escludere, anche in assenza di un’autopsia diretta del toledano, che i due volumi siano le due parti di un progetto unitario. Nel loro complesso, però, i testi presenti, senza doppioni, nell’uno o nell’altro dei due codici confermano quanto appena detto sul repertorio cui potevano attingere le scuole di grammatica e di retorica alla metà del Quat-trocento: la letteratura classica è rappresentata dai Synonima, dal De amicitia e da estratti di orazioni di Cicerone; l’alto medioevo solo dal Liber differentiarum di Isidoro; l’opera dei maestri d’età umanistica dalle Epistolae ad exercitationem accommodatae e dagli

L’insegnamento delle leggi in un codice pisano

degli inizi del XIV secolo (Pisa, Archivio di

Stato)

238 I LIBRI DEI PATRIARCHI

Exordia di Gasparino Barzizza, dal De diphthongis di Guarino Ve-ronese e dal De ortographia e dagli Exordia dello stesso Giovanni da Spilimbergo evidentemente debitore al magistero del Barzizza. Ci sono anche però, evidentemente come modelli rispettivamente oratorî ed epistolari, le Invectivae di Poggio Bracciolini contro Lorenzo Valla e un’ampia silloge di lettere di autori parte fittizi parte reali, e in quest’ultimo caso si tratta ancora una volta di personalità di spicco della contemporanea cultura umanistica.In un capitolo dedicato ai libri scolastici vale la pena di spendere infine qualche parola anche sui libri universitari, che non ebbero per ovvie ragioni in Friuli un centro di produzione, ma furono posseduti, acquistati, venduti, lasciati in eredità, ereditati, im-prestati, impegnati. In generale inequivocabilmente riconoscibili per formato (medio-grande), supporto scrittorio (pergamena), scrittura (littera textualis o una delle litterae scholasticae), conte-nuto (generalmente, diritto civile e canonico, ma anche teologia e filosofia), impaginazione (testo incorniciato da glossa), elementi paratestuali (gerarchia di capilettera, pie’ di mosca, segni di pa-ragrafo a individuare le partizioni del testo, titoli correnti per facilitarne il reperimento), ne restano, oltre a menzioni nelle fonti documentarie di varia natura e a un esemplare integro del Decretum Gratiani col commento di Giovanni Teutonico (Cividale del Friuli, Museo Archeologico Nazionale, V), numerosi frammenti presso l’Archivio di Stato di Udine. Essi confermano l’intensa mobilità studentesca dal Friuli verso i grandi centri universitari, iniziata già sul finire del XII secolo, quando Artuico, canonico aquileiese, ed Enrico, nipote del patriarca Udalrico di Treffen, studiavano rispettivamente a Bologna e Parigi.

I maestriLe fonti dicono che il marito di Elisabetta e padre di Bal-dassarre, Nicolò da Amaro, era notaio e maestro di scuola: una somma di ruoli non infrequente nel basso medioevo friulano. È stato anzi osservato che le maggiori biblioteche private del Trecento e del Quattrocento, con un numero di volumi oscillante tra i 20 e i 50, siano proprio quelle dei notai, e che in esse la percentuale di libri scolastici, relativi a qualsiasi livello del curriculum studiorum, sia nettamente superiore a quella dei libri professionali. Con il declino delle scuole ecclesiastiche, anche in Friuli come nel resto d’Italia furono i maestri laici a gestire l’istru-

zione dei giovani, dapprima come insegnanti privati pagati dalle famiglie degli allievi, poi come stipendiati dai Comuni. Le fonti documentarie, e in questo caso spesso si tratta proprio di delibere comunali, consentono di ricostruire le serie, anche ininterrotte, dei maestri che insegnarono nei principali centri della regione: Udine, Cividale, Gemona, San Daniele, Sacile. Permettono inoltre di constatare la grande mobilità degli insegnanti, che dipendeva sì dalle condizioni salariali offerte dai Comuni, ma più in generale

Maestro in un capolettera di un codice

cividalese (Cividale del Friuli, Museo

Archeologico Nazionale. Archivi e Biblioteca,

codice CXXVII, f. 1r)

IX � I LIBRI SCOLASTICI 239

da questioni di prestigio: prestigio del maestro per i Comuni che lo assoldavano, prestigio della sede per i maestri che non esitavano a lasciare un centro minore a favore di uno maggiore.Tale mobilità vide così maestri friulani insegnare fuori regione, tipicamente in Veneto o in Emilia ma anche distaccati presso gli Studia universitari, e maestri ‘forestieri’ insegnare in Friuli. Per limitarsi a pochi esempi, a Gemona nel Trecento insegnarono tra gli altri due milanesi, un trentino e un mantovano che prima era stato in servizio a Spilimbergo, Conegliano e Udine e che fece successivamente rotta verso Cividale; un Bartolomeo da Fagagna insegnò a Ferrara negli anni Settanta del XIV secolo; a Udine tra 1389 e 1392, in una breve tappa della sua carriera di docente e di funzionario pubblico, insegnò anche il celebre Giovanni Con-versini da Ravenna; Gentile Belloli, nella cui scuola cividalese nel 1399 si copiarono le Tragedie di Seneca ora alla Bodleian Library di Oxford (vedi sopra, e scheda IX.2) era giunto da Ravenna passando per Venezia e Treviso; Giovanni da Amaro († 1429; ci sarà stato un rapporto di parentela con il nostro Baldassarre di Nicolò?), notaio e maestro di scuola nonché proprietario di una delle più importanti biblioteche private, di impronta scolastica, dei primi del Quattrocento, prima di stabilirsi a Cividale aveva insegnato a Venezia ed era corteggiato da Udine; il già citato Giovanni da Spilimbergo oltre che a Udine e Cividale era stato maestro a Belluno. La permanenza di un maestro in uno stesso centro poteva limitarsi anche a soli due o tre anni: e questo, se certo non garantiva la continuità didattica, in compenso favoriva quell’apertura mentale che la circolazione di uomini, idee e metodi diversi sempre e in ogni luogo comportano.

Copiare per sé, copiare per denaroA un certo punto della missiva Elisabetta chiede a Baldassarre di farle sapere se vuole i libri che ha trovato per lui o, in alternativa, del denaro con cui comprarne altri. Nihil sub sole novum, si di-rebbe: nel Quattrocento, come adesso, i genitori che potevano permetterselo finanziavano gli studi dei figli fuori sede. Ma questo non sembra essere sempre stato possibile, almeno a giu-dicare dal numero di studenti che risultano aver svolto, dobbiamo immaginare per mantenersi agli studi, un’attività lucrativa come quella del copista. Dei dieci libri scolastici qui di seguito schedati almeno sette furono copiati da studenti. Certo è possibile che alcuni di loro lo facessero per se stessi: per esempio Giovanni del fu Andrea da Gemona, che a Bologna, in casa della vedova di un notaio, copiò un Valerio Massimo i cui margini e le cui interlinee sono inzeppati di annotazioni in una grafia che potrebbe essere la sua (scheda IX.1), o l’udinese Valerio Filittini che circa a metà del Quattrocento esemplò una copia di Persio e Giovenale (scheda IX.6), o ancora Luigi di Antonio Belgrado, che studiava retorica a Udine con maestro Giovanni da Spilimbergo e nel 1450 copiò

240 I LIBRI DEI PATRIARCHI

La storia delle scuole e della produzione e circolazione del libro in Friuli nel medioevo è stata studiata in modo esaustivo nel corso degli anni da Cesare Scalon, con una serie di contributi imprescindibili ai quali si è fatto costante riferimento per la stesura di queste pagine: Scalon 1987; Scalon 1995; Scalon 1999a; Scalon 2009a. Per i personaggi e gli autori citati in questo capitolo si rimanda dunque agli indici delle due monografie (Scalon 1987; Scalon 1995), da integrarsi per la parte prosopografica con quelli di Scalon 2008b e con le voci del primo e del secondo volume del Nuovo Liruti. In Scalon 1995, p. 299, nr 194A è edita la lettera di Elisabetta. Per un riscontro e un confronto della realtà friulana con quella italiana si è rivelata ricca di spunti la lettura di Grendler 1991; nello specifico su libri scolastici e autori anche, tra gli altri, quella di Avesani 1967; Gehl 1989; Munk Olsen 1991; Black 2004.

parte di una miscellanea di testi appunto retorici e grammaticali di sicuro utilizzo scolastico (scheda IX.7). Non così, per contro, quel Giovanni Berto o Berti, friulano, che nel 1402 copiò e sot-toscrisse uno splendido – per fattura e decorazione – esemplare della Tebaide di Stazio destinato ad arricchire la biblioteca di un cardinale (scheda IX.3); o ancora Francesco Squarani da Ven-zone, che mentre era studente di diritto a Padova copiò parte della miscellanea di commenti ai minores auctores ora conservata a Treviso (IX.8) o l’anonimo studente che nel 1461 esemplò il De consolatione philosophiae presso una scuola di Gemona (scheda IX.10): verisimili destinatari dei due manoscritti erano infatti un maestro di scuola nel primo caso, uno studente di livello inferiore nel secondo.

Tessitori che possiedono libri, donne che scrivono in latinoLeggendo la lettera di Elisabetta non sfugge un fatto di un certo rilievo: la mittente scrive in latino. Certo un latino zoppicante nell’ortografia, nella grammatica e nella sintassi, ma pur sempre latino, in cui i costrutti utilizzati non sono nemmeno di livello elementare. Dove l’avrà imparato? Dal marito notaio e maestro di scuola? Da autodidatta? Proveniva forse da una famiglia di un certo livello economico e sociale che l’aveva fatta studiare (è un fatto che, sottoscrivendosi, anteponga al proprio nome il titolo di «domina»)? O semplicemente avrà potuto accedere a quel sistema scolastico che, cessato il monopolio delle scuole ecclesiastiche, riuscì a diffondere l’alfabetizzazione presso più ampi strati della popolazione, comprese le donne? Al di là di tutta la teorica sull’istruzione femminile nel medioevo, sulla quale non mancò di pronunciarsi nemmeno un umanista come Leonardo Bruni, contano i fatti: e se Elisabetta scriveva in latino, nel Friuli medievale ci furono donne che copiavano libri, e altre, anche di modesta estrazione sociale, che i libri li leggevano e volentieri li imprestavano perché da altri fossero letti o fatti copiare. E a proposito di modesta estrazione sociale, un altro fatto va osservato: come Elisabetta informa, molti libri erano disponibili presso Giacomo tessitore. Chi fosse costui non è dato sapere, cosa facesse dei libri che teneva in casa nemmeno, ma il fatto ci ricorda che il libro nel medioevo era considerato dagli strati più bassi della popolazione un oggetto di grande valore: non solo per il suo costo, comunque sempre elevato, ma anche perché chiave d’accesso a quel mondo dell’istruzione e dello studio che erano percepiti come mezzo imprescindibile di ascesa nella scala sociale e di miglioramento delle proprie condizioni economiche, oltre che di arricchimento personale. Elisabetta, con la sua materna raccomandazione a Baldassarre – «Te exorto ut adiscas, quia ero consolata» –, ce lo conferma.

Laura Pani

IX � I LIBRI SCOLASTICI 241

1381, Bologna; membr.; mm 263 × 185; ff.

I, 9 + 102, I’.

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vati-

cana, Vat. lat. 1918

Vat. lat. 1918, f. 1r

IX.1 Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri IX

L’opera dello scrittore romano Valerio Massimo, vissuto a cavallo tra I secolo a.C. e I secolo d.C., conobbe nel medioevo una notevole fortuna, soprattutto per il suo contenuto retorico-morale: una serie di aneddoti sugli uomini del passato, organizzati in nove libri e presentati come esempi di vizi e virtù riconducibili a 95 diverse categorie. Fin dall’origine pensata come raccolta di spunti per le orazioni dei retori, scritta in uno stile sentenzioso e magniloquente, essa fu per questi stessi motivi letta e studiata nelle scuole di grammatica e retorica dell’età di mezzo e del Rinascimento; il clima poi di riscoperta dei classici latini che caratte-rizzò il XIV secolo accrebbe sicuramente l’interesse nei confronti anche

di questo testo, che trovò addirittura in Petrarca uno dei suoi più illustri estimatori e utilizzatori. Questo manoscritto dei Factorum et dic-torum memorabilium libri IX è di pugno di un gemonese, Giovanni del fu Andrea, che nel colophon, a f. 101v, dichiara di averlo copiato a Bologna: «Valerii Maximi dic-torum memorabilium et factorum liber nonus explicit. Ego Iohannes qondam [sic] Andree de Foroiulii de Glemona propriis manibus scripsi Bon(onie)»; a questa sotto-scrizione in lettere gotiche è aggiunta una ulteriore nota in corsiva, probabilmente della stessa mano del copista: «In domo domine Sire quondam Mucilini notarii uxoris, anno Domini 1381».Il manoscritto è su pergamena palinsesta, recuperata sia da un codice giuridico del XII secolo di grande formato sia, appa-rentemente, da registri di natura docu-mentaria.Dopo nove fogli in parte occupati dalla ta-vola dei capitoli e da un indice dei nomi (ff. 1-9), il testo, la cui foliazione ricomincia da 1, è scandito dalla presenza di iniziali ornate a motivi fitomorfi in rosso, blu, verde e rosato all’inizio di ciascuno dei nove libri in cui l’opera è suddivisa (ff. 1r, 11v, 23r, 35r, 47r, 59v, 70v, 80r, 90v). Soprat-tutto, esso è disseminato di note marginali e interlineari, consistenti in correzioni o nel richiamo di passi e nomi notevoli del testo, che testimoniano, assieme alle numerose maniculae, uno studio diffuso e meticoloso dell’opera.La maggior parte di queste annotazioni po-trebbe essere della mano del copista stesso. Per il testo egli impiega una semigotica

242 I LIBRI DEI PATRIARCHI

BIBLIOGRAFIA

Nogara 1912, pp. 353-354; Fohlen et al. 1971, p. 212; Schullian 1981, p. 724; Fohlen 1985, pp. 8, 25, 30, 48; Pellegrin et al. 1991, pp. 479-480; Manfredi 1994, pp. 422-423; Fohlen 1998, pp. 249-250, 263; Caldelli 2007, pp. 120-121.

caratterizzata da artificiosi allungamenti di tipo cancelleresco delle aste ascendenti e discendenti rispettivamente della prima e dell’ultima riga dei fogli, nei margini superiore e inferiore. Anche per le note dei primi fogli è utilizzato lo stesso tipo di scrittura, che gradualmente evolve in una corsiva di tipo cancelleresco, la stessa della seconda parte del colophon e del testo aggiunto ai ff. 101v-102v, l’Epitome de nominibus di Giulio Paris, che nel medioevo funse da decimo libro dell’opera di Valerio Massimo.Del resto del repertorio cancelleresco è anche l’apparato delle maiuscole usate per le scritture distintive, ciò che induce a pensare a una doppia competenza grafica del copista, educato all’uso della cancelleresca per fini professionali e a quello della semigotica per il suo lavoro di scriba. Egli, infatti, da una parte copia e forse legge in modo intensivo una delle opere più diffuse nelle scuole di grammatica e retorica, dall’altra dichiara di farlo in casa della vedova di un notaio (Sira, apparentemente; ma altri leggono Dina o Duca), dal quale aveva forse appreso i rudimenti della professione.Chi fosse Giovanni del fu Andrea da Gemona non è dato sapere ma si può pensare che, analogamente ad altri suoi conterranei sui quali siamo meglio informati (si vedano per esempio le schede nr 3 e 8 di questa sezione), fosse uno studente friulano ‘in mobilità’, in questo caso a Bo-logna per studiare diritto o ars notariae in un centro tanto prestigioso. Il codice fa parte del fondo latino antico della Biblioteca Vaticana, e in particolare è menzionato per la prima volta tra le raccolte manoscritte papali in un inventario del 1455, compilato all’indomani della morte di papa Niccolò V (1447-1455) da Cosimo da Monserrat, bibliotecario del suo successore.

Laura Pani

IX � I LIBRI SCOLASTICI 243

1399, [Cividale]; membr.; 290 × 215; ff. 228.

Oxford, Bodleian Library, Canon. Class. lat. 88

IX.2 Seneca, Tragoediae

Nel 1459 Battista Guarini (1434-1503), figlio del più celebre Guarino Veronese (1374-1460) e destinato a succedergli l’anno successivo nell’in-segnamento di grammatica e retorica a Ferrara, scrisse un trattatello dal titolo De ordine docendi et studendi avente l’obiettivo di fornire, sulla base dei metodi e dei programmi seguiti dal padre e dai di lui colleghi, una serie di indicazioni sulla formazione ideale di un giovane studente in discipline umanistiche (si veda anche oltre, la scheda IX.3). Nel discettare su un’ampia rosa di autori latini classici, raccomandò la lettura delle Tragedie di Seneca con queste parole: «Tragediae Senecae cum propter fabulas multum iuvant, tum vero propter sententias et vitae et sermoni cotidiano commodissimas, nam sicut gravissima omnia continent, ita lascivum nihil» (Piacente 2002, p. 52). Quest’opera del grande filosofo romano andava dunque letta per il suo contenuto morale, mediato dai

Bodleian, Canon. Class. lat. 88,

f. 27

244 I LIBRI DEI PATRIARCHI

BIBLIOGRAFIA

Watson 1984, I, p. 29 nr 162 e II, Pl. 240; Scalon 1987, pp. 46-47 e nota 120; Pellegrini R. 2006, p. 153.

fatti narrati, espresso da sentenze nonché privo di oscenità, prima ancora che per il suo stile; del resto nei confronti dello stile di Seneca, e in particolare di quello delle opere in prosa, il medioevo non si dimostrò mai entusiasta, preferendogli di gran lunga, per esempio per quanto riguarda le epistole, il rigore ciceroniano.Il programma tracciato dal Guarini appare quanto mai am-bizioso, ed è improbabile che un qualsivoglia maestro abbia

fondato il proprio insegnamento simultaneamente su tutti gli auctores da lui consigliati. Sicuramente però, dopo che agli inizi del XIV secolo Lovato Lovati (1240-1309) ebbe riscoperto presso l’abbazia di Pomposa il più antico codice delle Tragedie di Seneca, queste ultime, certo grazie anche alla mediazione dei preumanisti padovani contemporanei al Lovati o della generazione successiva, furono conosciute, apprezzate, lette e studiate lungo tutti i decenni successivi. Di una loro circolazione anche in Friuli tra Tre e Quattrocento restano significative testimonianze: due frammenti, di cui uno di ben quattor-dici fogli, presso l’Archivio di Stato di Udine (Scalon 1987, pp. 84-86 e 254-255), svariate menzioni negli inventari quattrocenteschi delle biblioteche di notai e maestri di scuola (oltre che della libreria di Guar-nerio d’Artegna e del convento udinese dei Predicatori; cfr. Scalon 1995, passim), e questo manoscritto ora conservato presso la Bodleian Library di Oxford, dello scorcio del XIV secolo. Esso è infatti datato al 1399: «Expliciunt Tragedie complete millesimo trecentesimo nonagesimo nono, die octava augusti hora XVa, in scolis reverendissimi artis gramatice doctoris et rhetorice eximii professoris magistri Gentilis de Ravenna» (f. 288r). Mancano sia il nome del copista – ma le mani che si avvicendano alla copia sono comunque almeno due – sia un’indicazione esplicita del luogo di copia, ma questo è facilmente deducibile: maestro Gentile Belloli da Ravenna, infatti, fu «artis grammatice professor»/«grammatice et rhetorice professor eximius» presso le scuole cividalesi dal 1397 alla morte, sopraggiunta nel 1404. È dalle fonti definito «eximius» almeno due volte: oltre che nel colophon di questo codice ora oxoniense, anche nel libro degli anniversari dei domenicani di Cividale, presso la cui chiesa fu sepolto (Scalon 2008b, I, p. 469; II, p. 711). Evidentemente la sua opera di insegnante fu particolarmente apprezzata; ed evidentemente essa doveva basarsi anche sulla lettura delle Tragedie senechiane, di cui questo manoscritto si configura come un tipico esemplare appunto di studio: cartaceo, con una decorazione limitata a rubriche e spazi riservati, disseminato di note marginali e interlineari, caratteri questi tutti – supporto scrittorio a parte – condivisi con i frammenti dell’Ar-chivio di Stato di Udine. Fece parte della ricca biblioteca manoscritta del sacerdote ed erudito veneziano Matteo Luigi Canonici (1727-1805), acquistata in cospicua parte dalla Bodleian Library di Oxford nel 1817.

Laura Pani

f. 28, particolare della sottoscrizione

IX � I LIBRI SCOLASTICI 245

1402; membr.; mm 352 × 234; ff. I, 168, II’.

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vati-

cana, Arch. Cap. S. Pietro H. 15

Arch. Cap. S. Pietro H. 15, f. 2r

IX.3 Stazio, Thebais

Non solo di studio ma anche e soprattutto d’apparato è da considerare questo splendido testimone della Tebaide di Stazio, copiato su bianca pergamena di buona qualità, con ampi margini e una decorazione ricchissima.Il codice, infatti, dopo un breve commento introduttivo all’opera (f. 1r) e due argumenta in versi rispettivamente del poema in generale e del suo primo libro (f. 1v) è aperto (f. 2r) da una vignetta e da un’iniziale istoriata da cui scaturisce un fregio esteso lungo i margini; altre iniziali istoriate, che illustrano i diversi momenti della storia narrata (ff. 14v, 27r, 39v, 54r, 67r, 83r, 97v, 110v, 126r, 142r, 155r), o ornate a motivi

fitomorfi (ff. 14r, 27r, 39v, 54r, 67r, 83r, 97r, 110r, 125v, 141v, 154v), tutte realizzate con impiego della foglia d’oro e di un’ampia gamma di colori sono presenti nei fogli suc-cessivi, dove si accompagnano a capilettera minori finemente filigranati alternativamente in blu e rosso o in foglia d’oro e blu.Note e glosse marginali e soprattutto in-terlineari provano comunque che il libro fu studiato, anche se non integralmente: più concentrate nei primi fogli, si interrom-pono infatti del tutto a partire dal f. 80r col quale inizia un nuovo quinione, segno che la lettura e la glossatura del testo di Stazio procedettero fascicolo per fascicolo quando il libro non era ancora stato rilegato. Stazio, del resto, e tra le sue opere la Tebaide in par-ticolare, fu uno degli auctores letti e studiati nel corso degli studi superiori di lingua e letteratura latina, tanto nel medioevo quanto a maggior ragione dopo l’avvento degli studia humanitatis.Il codice è munito di colophon: «Statii Surculi Papinii Tholosani poete anno Domini mil-lesimo CCC quadrigritesimo [sic] secundo octobris luce undecima Thebaydos peractus est liber per me Iohannembertum de Fo-roiulii tunc temporis Bononie studentem. Laus tibi Christe» si legge al f. 168v.Evidentemente lo scriba, così calligrafico nella copia del testo, non fu altrettanto ac-curato nel riportare la data di compimento del suo lavoro, cosa che ha dato luogo a in-terpretazioni discordanti: per alcuni il 1342 (Clogan 1967; Kristeller 1967; Sweeney 1969; Pellegrin et al. 1975; Jacoby 1989; De Angelis 1996; Ruysschaert-Marucchi-de la Mare 1997), per altri, correttamente, il 1402 (Avril 1980; Buonocore 1997).

246 I LIBRI DEI PATRIARCHI

BIBLIOGRAFIA

Mercati 1938, p. 157 e n. 4; Clogan 1967, p. 110; Kristeller 1967, p. 491; Sweeney 1969, pp. 25, 30; Pellegrin et al. 1975, pp. 41-42; Avril 1980, p. 13; Jacoby 1989, p. 243; Bianca 1992, p. 99 e nota 69; Medica 1992, pp. 13, 15, 17; De Angelis 1996, pp. 95, 110 nota 99; Buonocore 1997; Ruysschaert-Marucchi-de la Mare 1997, p. 8, Tav. XII.

A favore di quest’ultima datazione depongono diversi, incontrovertibili argomenti, tra i quali potrebbe quasi ba-stare l’osservazione della scrittura, una elegante semigotica già aperta alle suggestioni di tipo umanistico (il segno per et, per esempio, è reso dalla legatura & e non dal segno tachigrafico 7). Ancor più probante è comunque il fatto che esista un altro codice sottoscritto e datato dallo stesso copista, questa volta, senza ombra di dubbio, al 1404: si tratta del Plut. 91 inf. 10 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, un altro testimone di Stazio, dove lo stesso scriba dichiara di aver terminato il proprio lavoro «millesimo quadringentessimo quarto anno Domini fluente, mensis augusti luce decima nona, dum Bononie in domo spectabilium militum domini Melchionis et Bertholomei de Mazolis de Bononia permanerem».Inoltre l’apparato decorativo del codice, tutt’altro che banale come s’è accennato, rivela lo stile del «Maestro del Messale Orsini», il miniatore di un altro codice conservato presso la Biblioteca Vaticana, nello stesso fondo dell’Ar-chivio del Capitolo di San Pietro (ms B. 66), e databile ai primi anni del Quattrocento.Il cardinale Giordano Orsini († 1438, cardinale dal 1405) del resto, bibliofilo, mecenate, importante esponente della cultura umanistica romana del primo Quattrocento, fu il possessore anche di questo codice: il suo stemma, retto da due orsi e sormontato dal cappello cardinalizio, è infatti alloggiato nel fregio esteso lungo il margine inferiore del f.

2r. E nel testamento del cardinale, tra i numerosi libri da lui lasciati alla basilica di San Pietro e così confluiti nel fondo dell’Archivio del Capitolo di San Pietro acquisito dalla Biblioteca Vaticana nel 1940, è indicato anche uno «Statius satis pulcer» (Celenza 1996, p. 281). L’Orsini dovette entrare in possesso del codice e farvi realizzare il proprio stemma alcuni anni dopo il suo allestimento, sicuramente dopo la propria nomina a cardinale del 1405, forse durante uno dei suoi documentati viaggi a Bologna avvenuti attorno al 1410. Non è escluso che anche parte del resto della decorazione sia stata completata in un secondo momento rispetto alla data indicata nel colophon (Medica 1992).Su chi fosse il friulano – non forlivese, come pure si è creduto di inter-pretare (Avril 1980) – Giovanni Berto nulla si sa, a parte le informazioni che lui stesso fornisce nei suoi colophon: era studente a Bologna, forse di ars notariae o di diritto, e risiedeva, almeno nel 1404, in casa di due notabili della città, padre e figlio, che nel corso degli anni successivi rico-prirono alcune importanti cariche pubbliche tra cui quella di reformator appunto dello Studium bolognese.

Laura Pani

Arch. Cap. S. Pietro H. 15, f. 14v

IX � I LIBRI SCOLASTICI 247

XIV-XV sec.; membr.; mm 277 × 202; ff. I,

30, I’.

San Daniele del Friuli, Biblioteca Civica Guar-

neriana, 129

f. 1r, incipit dei Notabilia

IX.4 Giovanni da Soncino, Notabilia in grammaticam

Giovanni da Soncino, originario del cremonese, fu probabilmente un maestro di grammatica attivo a Bologna lungo i decenni centrali del XIV secolo (morì attorno agli inizi degli anni ’60); la sua opera Nota-bilia in grammaticam, una miscellanea di aspetti notevoli della lingua latina organizzati in ordine alfabetico per quanto riguarda i verbi, con un’attenzione alla sintassi e alla classificazione dei nomi e l’inserzione di vari esempi a fini didattici, fu utilizzata nell’insegnamento destinato agli studenti che della lingua latina avevano già acquisito i fondamenti.

248 I LIBRI DEI PATRIARCHI

Dovette conoscere una discreta diffusione, attestata dal numero rela-tivamente alto di copie tuttora conservate, per lo più del XV secolo.Una di esse – ma nelle raccolte manoscritte delle biblioteche friulane ce n’è almeno un’altra, il ms LXXV della Biblioteca capitolare di Cividale (Scalon-Pani 1998, pp. 258-259) – è questo codice, che appartiene a quella parte della libreria di Guarnerio d’Artegna in qualche modo eccentrica rispetto al più consistente e noto nucleo di libri copiati da Guarnerio stesso o dai suoi collaboratori e specchio esemplare della cultura umanistica in lingua latina.È un codice ancora medievale, se non per epoca di allestimento (almeno la legatura in assi di legno con mezza coperta in pelle tinta di rosso, ammettendo che sia originaria, potrebbe rimandare al XV secolo), per caratteri codicologici e paleografici: il testo è infatti vergato in littera textualis e organizzato in sezioni evidenziate da iniziali semplici e segni di paragrafo alternativamente in rosso e in azzurro, e ritocchi in rosso. Anche il colophon del f. 30v, nel conservare l’anonimato del copista me-diante una formula stereotipa, appare – si passi l’espressione – démodé: «Expliciunt Notabilia magistri Iohannis de Suncino. Deo gratias. Nomen scriptoris benedicatur omnibus horis» («horis» è stato eraso e riscritto da mano diversa).L’uso della pergamena come supporto scrittorio e una pregevole, an-corché in cattivo stato di conservazione, iniziale P istoriata e figurata (nell’occhiello maestro in cattedra; asta resa da una coppia abbracciata) al f. 1r, da cui si diparte un fregio a motivi fitomorfi esteso nei margini superiore e inferiore, provano che il codice fu pensato come un prodotto comunque di un certo livello.Libro di scuola, e di scuola secondaria, come attestano anche le diffuse annotazioni marginali e interlineari coeve o di poco posteriori, è probabil-mente legato alla formazione di Guarnerio o comunque ai suoi rapporti col maestro di scuola e a sua volta umanista Giovanni da Spilimbergo (1380 circa-1455), figura senz’altro rilevante nella costituzione della libreria dell’amico nonché probabile allievo, non fosse altro perché i suoi libri confluirono poi in gran parte nei fondi guarneriani.Il fatto anzi che la prima menzione di questo codice negli inventari guarneriani sia in quello del 1461 induce a pensare che si tratti di un’ac-quisizione posteriore alla morte dello spilimberghese e dunque proprio di uno dei codici che costitituirono la biblioteca professionale di quest’ul-timo, strumenti di quell’insegnamento di grammatica e retorica presso le scuole friulane e venete del quale verisimilmente lo stesso Guarnerio aveva a suo tempo beneficiato.

Laura Pani

BIBLIOGRAFIA

Kristeller 1992, pp. 206-207; Casarsa-D’Angelo-Scalon 1991, pp. 95, 376-377 e Tav. CXIII.

IX � I LIBRI SCOLASTICI 249

XV2 sec.; membr.; mm 158 × 99; ff. II, 74, II’.

Udine, Biblioteca Arcivescovile, 11

f. 3r, prologo di Leonardo Bruni all’omelia

di Basilio Magno

IX.5 Miscellanea di testi umanistici

È un piccolo gioiello questo codicetto umanistico di 74 fogli (la nume-razione stampigliata, da 1 a 78, comprende anche i bifogli di guardia originali anteriore e posteriore) organizzati in sette quinioni e un binione segnati da richiami verticali, di formato piccolo e di dimensioni in pro-porzione ancor più ridotte per quanto riguarda lo specchio scrittorio, tale (mm 89 × 55) da lasciare margini piuttosto ampi. E detti margini sono rimasti intonsi, del tutto privi di note o anche solo di correzioni, a prova del fatto che questo manoscritto dovette servire alle letture di un umanista o ad arricchire la raccolta di un bibliofilo, più che come libro scolastico.

Tuttavia proprio di istruzione, e di istruzione uma-nistica, trattano i testi contenuti nel codice. Esso è aperto (ff. 3r-5r) dal prologo di Leonardo Bruni (1370-1444) all’omelia De utilitate studii di Basilio Magno (IV sec. d.C.), la cui versione latina, sempre a opera del Bruni, segue ai ff. 5r-35r sotto la rubrica Magni Basilii de primis adolescentium in-stitutionibus libellus: si tratta di un testo poi assurto a «manifesto dell’umanesimo cristiano» (Fubini 2001, p. 24) in quanto relativo alle condizioni per accedere allo studio degli autori greci pagani, che il Bruni tradusse, e con toni polemici introdusse, proprio nell’intento di difendere la cultura classica dai suoi detrattori.Ai ff. 36r-74v si ha invece il trattatello De ordine docendi et studendi di Battista Guarini (1434-1503). Figlio del più famoso umanista Guarino Veronese (1374-1460), il Guarini scrisse nel 1459 questo manuale sull’insegnamento e l’apprendimento delle discipline umanistiche, ispirato dal magistero del padre che l’anno dopo avrebbe sostituito nella cattedra ferrarese. Si tratta di un compendio di indicazioni e consigli sull’approccio allo studio e sulle discipline e gli autori da prediligere (si veda anche la scheda IX.2), che Guarino stesso elogiò in una lettera al figlio con la quale si chiude anche il presente codice (ff. 75r-76r).Esso dunque nel suo complesso comprende testi accomunati da una legittimazione della cultura umanistica e degli studia humanitatis che anche in Friuli conobbero una diffusione significativa. Databile dunque per ragioni interne alla seconda metà del XV secolo, il manoscritto è vergato in una littera antiqua con le caratteristiche dell’antiqua tonda tipica dell’umanesimo veneto o veneto-padano di questo periodo: asse verticale, precisa indivi-duazione delle singole lettere, presenza di grazie ornamentali al termine delle aste ascendenti e di-scendenti, g formata da due occhielli sovrapposti,

250 I LIBRI DEI PATRIARCHI

BIBLIOGRAFIA

Kristeller 1967, p. 11; Casamassima et al. 1978, p. 51; Scalon 1979, pp. 83-84, Tav. VI.1.

uso di Q, R e S capitali, la seconda delle quali nell’abbreviazione –R(um), la terza in fine di parola.La fattura estremamente accurata di questo manoscritto – quasi imper-cettibili una imperfetta proporzione tra corpo e aste delle lettere e la morfologia un po’ sgraziata delle a – è completata dalla presenza di iniziali ornate in pigmento d’oro, inserite in vignette dallo sfondo bordeaux o blu con decorazioni ancora in oro (ff. 3r, 5v, 36r, 37v). Contemporanea alla decorazione del codice, e verisimilmente al suo allestimento, fu la realizzazione, nel margine inferiore del f. 3r e con l’impiego degli stessi colori, dello stemma della famiglia friulana dei Porcia. Fu proprio un membro della casata, Fabio, abate di San Martino di Fanna nei decenni centrali del Cinquecento, a donare questo manoscritto a un Giovanni Antonio de Egregiis, come si legge al f. 2v «1531. Fabii comitis Purliliarum monimentum mihi Joanni Antonio de Egregiis» (con «de Egregiis» eraso). Nel secolo successivo il codice dovette entrare in possesso di un membro della famiglia Dolfin: forse di Giovanni, patriarca di Aquileia dal 1657 al 1699, erudito e raffinato bibliofilo, oppure direttamente di suo nipote Dionisio, che oltre a sostituirlo nel soglio patriarcale e a ereditarne la pas-sione per le lettere, ne acquisì anche la biblioteca, unendola alla propria e facendone poi il nucleo fondativo della Biblioteca Arcivescovile di Udine.

Laura Pani

IX � I LIBRI SCOLASTICI 251

XV sec. med.; membr.; mm 233 × 147; ff.

IV, 86, III’.

Udine, Biblioteca Arcivescovile, 14

f. 1r, incipit delle Satire di Giovenale

IX.6 Giovenale, Saturarum libri V; Persio, Saturarum liber

Questo codice contiene due testi molto spesso abbinati nei manoscritti medievali: le Satire di Giovenale (ff. 1r-72r) e di Persio (ff. 72r-83v). Benché infatti risalenti a due epoche diverse della letteratura latina – rispettivamente l’età traianea (II sec. d. C.) e l’età claudia (I secolo d. C.) – le opere dei due autori, evidentemente accomunate, oltre che dal genere poetico, dall’atteggiamento caustico, indignato e dissacratorio nei confronti della società contemporanea, furono largamente lette nel medioevo tanto per il loro contenuto morale quanto per il loro latino ricercato e dunque adatto all’analisi lessicale, grammaticale e sintattica da effettuarsi nel corso degli studi di grammatica e retorica di livello superiore.

Anche questo fu un codice di studio: lo provano le diffuse, ancorché più concentrate in alcune sezioni del codice, annotazioni marginali e interlineari di lettori diversi, coevi e posteriori al suo allestimento; si tratta appunto di note esplicative, correttive e di parafrasi, una delle quali in greco, anche accompagnate da maniculae e graffe. Uno di questi lettori, particolar-mente entusiasta, ha scritto al f. 72r i seguenti versi: «Ultimus hic Satyrę liber explicit. Enterocellas / ille gerat qui te non, Iuvenalis, amat».Tale nota si trova in calce al colophon con cui il co-pista ha segnato il termine della copia di Giovenale: «Τελοσ. Explicit liber Iuvenalis quem ego de Phili-tinis Valerius scripsi, lausque sit Deo virginique eius matri Marie».Di Valerio Filittini poco si sa. Fu allievo, assieme al fratello Simone, del maestro e umanista Francesco Diana, rettore delle scuole udinesi sia all’inizio degli anni ’60 sia sul finire del XV secolo. Proprio per perorare la causa di una sua seconda nomina in città Luigi Belgrado (forse lo stesso ex allievo di Giovanni da Spilimbergo copista di una parte del manoscritto Guarneriano 228, su cui la scheda IX.7), enumerando i discepoli illustri del Diana, nominò anche la «bona memoria di M. Valerio Filitin, missier Simon suo fradello» (Leicht 1919, p. 108), rivelando così che agli inizi degli anni ’90 il Nostro era già morto.Dal punto di vista paleografico e codicologico questo manoscritto testimonia la recezione della riforma gra-fica e libraria dell’umanesimo: membranaceo, con la compagine organizzata in quinioni segnati da richiami verticali, rigato a pettine, vergato in littera antiqua. Tuttavia proprio la grafia, tracciata, soprattutto nei primi fogli, con una penna a punta piuttosto grossa, priva del carattere tondeggiante e del senso delle proporzioni che normalmente caratterizza le scritture librarie umanistiche (le aste sono decisamente allun-gate, il corpo delle lettere è di modulo rettangolare),

252 I LIBRI DEI PATRIARCHI

BIBLIOGRAFIA

Casamassima et al. 1978, pp. 50-51; Scalon 1979, pp. 86-87, Tav. VI.2; Casarsa 2009, p. 957

tendenzialmente disimpegnata anche nei frequenti cambi di penna e di inchiostro e non priva di ascendenze corsive (l’asta della d è inclinata a sinistra, le lettere si presentano giustapposte, se non propriamente concatenate, dal basso), rende questo manoscritto un prodotto piuttosto modesto. L’impressione è confermata dalla decorazione, che è rimasta incompleta: sono state realizzate solo la S iniziale del f. 1r, ornata a mo-tivi fitomorfi da cui si diparte un fregio vegetale esteso lungo parte del margine interno e ora molto consumata, e una V al f. 4r con foglia d’oro e motivi geometrici; di altre iniziali sono stati disegnati solo i contorni (ff. 7r, 13r, 16r, 19v, 31v), mentre nel resto del codice si notano solo gli spazi riservati (ff. 36r, 41r, 44r, 50v, 54v, 57r, 61v, 67v, 71r, 72v, 75r, 76v, 78r, 78v, 79v).Con ogni verisimiglianza questo manoscritto fu progettato e allestito come libro di studio, forse inizialmente a uso e consumo del copista stesso. Suoi possessori successivi non sono noti; le modalità attraverso le quali entrò a fare parte della Biblioteca Arcivescovile furono probabilmente le stesse delineate per il manoscritto 11 della medesima istituzione (cfr. la scheda IX.5 di questa sezione).

Laura Pani

IX � I LIBRI SCOLASTICI 253

XV sec.; cart.; mm 208 × 142; ff. VI, 227, VII’.

San Daniele del Friuli, Biblioteca Civica Guar-

neriana, 228

f. 184r, pagina della Miscellanea con la

sottoscrizione di Luigi Belgrado

IX.7 Miscellanea di testi umanistici e scolastici

Il manoscritto 228 della Biblioteca Guarneriana di San Daniele è un manoscritto composito che riunisce fascicoli cartacei appartenenti a unità codicologiche diverse, comunque accomunate dalla fattura modesta – sono assenti qualsiasi forma di rigatura e di decorazione –, dal supporto cartaceo, dal tipo di grafia – in tutti i casi, corsive di tipo umanistico – e dal contenuto: si tratta infatti di testi in massima parte di età umanistica, pensati o comunque utilizzati a fini scolastici o di erudizione. L’alto nu-mero di quelli tra essi che contengono lettere, modelli epistolari o orazioni attesta il loro uso presso le scuole di grammatica e retorica. Alcuni, del resto, sono riconducibili ad autori locali e in particolare a Giovanni da Spilimbergo (1380 circa-1455), maestro di scuola e rappresentante di spicco della cultura umanistica friulana.Nella prima unità (ff. 1r-67r) si trovano le cinque celebri Invettive di Poggio Bracciolini contro Lorenzo Valla: un esercizio stilistico-letterario, certo, ma anche una precisa difesa dell’umanesimo fiorentino delle origini, che ebbe proprio in Poggio il suo iniziatore, contro lo sviluppo storico-filologico di cui il Valla fu uno dei principali rappresentanti.Nella seconda unità (ff. 68r-91v) sono invece contenute le Epistolae ad exercitationem accommodatae di Gasparino Barzizza. Vissuto tra 1360 e 1431, il Barzizza fu maestro di grammatica e retorica dapprima a Ber-gamo, sua città natale, poi presso i più prestigiosi centri di Pavia, Padova e Venezia, dove ebbe come allievi diversi futuri esponenti delle classi politiche e intellettuali cittadine. Fu scopritore e studioso di codici dei classici latini, ma la sua produzione letteraria, della quale particolarmente noto è il trattato De ortographia, è strettamente connessa alla sua attività scolastica. Oltre alle Epistolae, una raccolta di modelli di composizione epistolare, del Barzizza questo codice contiene anche, ai ff. 134r-164v – facenti parte di una diversa unità codicologica –, gli Exordia, un’altra raccolta di modelli questa volta di orazioni, ma sempre pensati come esercizio scolastico.Al magistero del Barzizza si ispirò Giovanni da Spilimbergo: non solo come docente tra 1398 e 1454 impiegato continuativamente, a rota-zione, presso le scuole di Belluno, Cividale e Udine, ma anche e soprat-tutto come letterato e autore a sua volta di testi di carattere didattico, lettere e orazioni. Non a caso gli Exordia del Barzizza sono seguiti, ai ff. 165r-170r di questo stesso codice, da un’omonima opera, tuttora inedita, dello spilimberghese: «Expliciunt Exordia edita per magistrum Iohannem de Spiginbergo. Laus refferretur Deo» si legge al f. 170v. Della stessa mano e nella stessa unità codicologica, ai ff. 93r-133r, si ha anche l’unica opera non quattrocentesca contenuta nel codice, il Liber differentiarum di Isidoro da Siviglia, compilazione comunque di carattere grammaticale e lessicale.Il successivo gruppo di testi comprende l’orazione pro collegio phisicorum coram illustri comite Francisco Sfortia del veneziano Pietro Torsi alias Tommasi (ff. 171r-176r) con la Responsio illustris comitis Francisci Sforcia ad collegium phisicorum Venetorum de patrio sermone ad latinum conversa (f. 176v), un trattatello intitolato Barbarismus (ff. 177r-181v; inc. «In-cipit barbarismus. Barbarismus est una pars orationis…»), altre parti di orazioni ed esempi di discorsi (ff. 182r-184r). Al termine di questa

254 I LIBRI DEI PATRIARCHI

sezione, proprio al f. 184r, si ha un colophon che riporta con precisione all’ambiente in cui il manoscritto fu allestito e utilizzato, quello cioè delle scuole udinesi dove proprio alla metà del XV secolo era in servizio Giovanni da Spilimbergo: «Millesimo CCCC° L ego Aloysius, filius egregii ac famosissimi decretorum doctoris domini Antonii de Belgrado, perfeci hec omnia bona opera dum cepi studere arti oratorie sub magi-stro Iohanne Spignimbergensi rehetore (!) scolarum Utini. Laus Deo».Quel che si sa su Luigi di Antonio Belgrado non è molto più di quanto egli stesso rivela in questo e in un altro suo colophon: studente a Udine presso le scuole di Giovanni da Spilimbergo appunto nel 1450, cinque anni prima per sfuggire alla peste si era rifugiato in un piccolo villaggio del collio, Noax, attualmente frazione di Corno di Rosazzo. Lì copiò almeno l’ultima parte dell’attuale codice 100-23 della Biblioteca Capi-tular di Toledo, una miscellanea di tre testi grammaticali (i Synonima ciceroniani, l’Ortographia di Giovanni da Spilimbergo e il De diphthongis di Guarino Veronese) inframezzati dal De amicitia e da estratti di ora-zioni di Cicerone, nell’ultimo foglio della quale (99r) così si sottoscrisse: «Explicit opus dipthongandarum dictionum editum per Guarinum Veronensem. M°C°C°C°C°XLV adi V de februario ego Aloysius filius egregii et famosissimi decretorum doctoris domini Antonii del Belgrado complevi hunc librum dum eram Noachs prope Rosatium tempore pestis» (Octavio de Toledo 1903, pp. 77-78; cfr. anche Bénédictins du Bouveret, nr 461). Non è stato poi possibile appurare se fosse lo stesso Luigi Belgrado che decisamente più tardi, all’inizio degli anni ’90, pe-rorò il ritorno in città del maestro Francesco Diana, il quale proprio di Giovanni da Spilimbergo aveva preso il posto (vedi sopra, scheda nr 6).Infine, gli ultimi fogli del codice contengono altri materiali di natura epistolare e oratoria: tra i primi, lettere di Leonardo Bruni (1370-1444) ai ff. 187r-190v, e, ai ff. 191r-227r, per lo più in cattivo stato di con-servazione, lettere tra i cui mittenti e/o destinatari compaiono, tra gli altri, Guarino Veronese e lo stesso Giovanni di Spilimbergo che con Guarino fu in regolare contatto; tra i secondi per esempio l’Oratio ad Alexandrum Magnum sub nomine Demosthenis edita.Il manoscritto non appartenne a Guarnerio ma a Giusto Fontanini (1666-1736), sandanielese di nascita e vero fondatore della biblioteca nella quale confluirono anche i codici guarneriani: di sua mano la nota «1730. Iusti Fontanini archiepiscopi Ancyrani» al f. IIIr e una tavola dei contenuti ai ff. IVr-Vr.Molti dei testi del codice sono tuttavia presenti, non senza parentele filologiche, anche in vari manoscritti della libreria di Guarnerio, come del resto nell’ultima sezione è stata riconosciuta la mano di Leonardo Pittiani, uno dei notai della cancelleria del Patriarca di Aquileia di cui Guarnerio fu vicario.Libro destinato all’uso pratico di studenti e scolari più che alle dotte letture di un umanista, questo codice è comunque una preziosa testi-monianza del fermento culturale e della diffusione, grazie al sistema scolastico, degli studia humanitatis nel Friuli del Quattrocento.

Laura Pani

BIBLIOGRAFIA

Kristeller 1967, p. 569; Casarsa-D’Angelo-Scalon 1991, pp. 13 con nota 59, 94 nota 33, 127, 242, 267, 353, 363, 391, 395, 398, 431; Scalon 1995, pp. 106, 442 nr 332; Casarsa 2009, pp. 1282, 1287.

IX � I LIBRI SCOLASTICI 255

XIV e XV (1414, 1415, 1416) sec.; cart.; mm

297 × 220; ff. I, 210, I’.

Treviso, Biblioteca Comunale, 156

IX.8 Miscellanea di commenti ai minores auctores

Della tradizione scolastica medievale anteriore – ma anche successiva – all’avvento degli studia humanitatis e in qualche modo trasversale ad alto e basso medioevo fa parte la lettura dei cosiddetti minores auctores, un insieme di testi il cui studio era previsto per gli studenti che avessero già acquisito i rudimenti di grammatica e lingua latina ma il cui curriculum studiorum non fosse ancora sufficientemente avanzato per affrontare la lettura dei grandi classici, gli auctores propriamente detti. Di tale programma scolastico fa parte un certo numero di opere – talora di autore anonimo o incerto – caratterizzate da un latino sufficientemente semplice, dai contenuti moraleggianti e dallo stile preferibilmente in versi per aiutare la memoria.E a tale programma scolastico fa sicuramente riferimento questo mano-scritto della Biblioteca Comunale di Treviso, un codice composito sotto la cui legatura, restaurata una ventina di anni fa con reimpiego dei piatti antichi, sono ospitate unità codicologiche diverse, almeno alcune delle quali, tuttavia, ebbero probabilmente una storia comune.In esso è contenuta infatti una serie di commenti parafrastici proprio

ad alcuni dei minores auctores: uno al De consolatione philosophiae di Boezio (ff. 1ra-57ra), due, diversi, alle favole di Esopo tradotte in latino (ff. 61ra-68vb e ancora 71ra-98vb), altrettanti agli epigrammi di Prospero d’Aquitania tratti dalle opere di Agostino (ff. 102ra-124ra e nuovamente 198v-210r), uno ai Disticha Catonis (ff. 125ra-142vb), al De scholastica disciplina dello pseudo Boezio (ff. 143ra-162ra), all’Ecclesiaste (ff. 162va-177ra), alla Psychomachia di Prudenzio (incompleto, ff. 179ra-193ra); sono inoltre aggiunti alcuni versi dal Regimen sanitatis Sa-lerni (f. 162ra).L’ultima sezione del manoscritto, che comprende gli attuali ff. 197-210 e dove appunto si trova uno dei due commenti a Prospero, trecentesca come si può de-durre dal tipo di carta e di filigrana e soprattutto dalla grafia – che al f. 210r assume i caratteri di una pura cancelleresca libraria –, circolò probabilmente come fascicolo indipendente; si tratta, tra l’altro, dell’unica sezione in cui è presente una forma organica di deco-razione, consistente nell’impiego contestuale o alter-nato del rosso e del blu per iniziali filigranate, iniziali semplici, pie’ di mosca e ritocchi. Originariamente un senione, scritto a partire dal verso del primo foglio (ora f. 198) fu poi inserito in un ulteriore bifoglio per completare il testo (in questo modo rimase bianco anche l’attuale f. 197).Di tutta la precedente parte del codice (ff. 1-196) riesce difficile dire se sia organizzata in unità codi-cologiche distinte o piuttosto in una serie di sezioni allestite in base a una forma di divisione del lavoro ma in rispondenza a un progetto unitario.

Treviso 156, f. 1r

256 I LIBRI DEI PATRIARCHI

A favore di questa seconda ipotesi fanno propendere diversi fatti: innan-zitutto, c’è un tipo di filigrana prevalente nei diversi fascicoli; in secondo luogo, sono condivise la mise en page, generalmente su due colonne, e le tecniche di rigatura (a mina di piombo per la delimitazione dello spec-chio, senza realizzazione delle rettrici), pur a fronte di misure differenti, anche se non sensibilmente, della superficie scrittoria; condivisa è anche l’assenza di una pur prevista forma di decorazione: solo in alcuni pochi fogli gli spazi riservati sono stati infatti colmati con la realizzazione di iniziali semplici in rosso.Ma soprattutto i diversi scribi cui si deve la copia dei vari testi, oltre a praticare scritture corsive molto simili e anzi non sempre distinguibili con facilità, hanno in più di una occasione datato il loro lavoro. Il risultato è una serie di indicazioni cronologiche tra loro prossime, e in parte anche coerentemente scandite: al f. 57rb, al termine del commento a Boezio, si legge «Hoc opus expletum fuit anno Domini millesimo 14° XVI°, die octava mensis septembris, scriptum per me Iohannem Spanum de Novomonte. Deo gratias, amen»; solo un’anonima formula stereotipa e una generica formula di explicit si hanno rispettivamente ai ff. 68va e 98vb («Nomen scriptoris salvetur omnibus horis. Deo gratias, amen»; «Ex|pli|cit | li|ber | E|so|pi | cu|m | fa|bu|lis | et | historiis. Amen, amen, Deo gratias»), mentre un vero e proprio colophon è al f. 124ra: «Explicit scriptum Prosperi M° CCCC° XIIII, die XII mensis octobris, scriptum per me Franciscum Squaranum de Venzono in domo egregii ac nobilis viri domini Dominici de Ponte de Venetiis decretorum doctoris, quem Deus custodiat». Datazioni si hanno infine anche ai ff. 142rb («Explicit Catonis scriptum. Deo gratias, amen. 1415 die IIII febr(uarii)») e 162ra («M° 1415, die XX mai»), la prima forse dello stesso Francesco Squarani, copista dei fogli precedenti, la seconda di mano diversa.Di Francesco Squarani da Venzone si ha più di qualche notizia: quando esemplò parte di questo codice si trovava, come lui stesso di dichiara, in casa del canonista Domenico da Ponte da Venezia, dunque a Padova, dove il da Ponte era professore proprio agli inizi del XV secolo e dove lo Squarani studiava ars notariae; si sa infatti che nello stesso 1414 il notaio udinese Giovanni del fu Giusto Missulini nel suo testamento lasciò «Francisco filio honorabilis et prudentis viri ser Simeonis Squarani de Venzono pro presente in Studio Padue residenti» le Institutiones di Giustiniano e il commento di Rolandino de’ Passeggeri alla propria Summa totius artis notariae (Scalon 1995, p. 291 nr 187). Lo Squarani dovette poi tornare in patria, dove un decennio più tardi svolgeva ap-punto la professione di notaio.Più sfuggente è l’altro copista che si sottoscrive, Giovanni Spano forse da Neuberg, in Stiria: il conte Giovanni figlio di Jacopo Spano d’Un-gheria, anch’egli studente di diritto canonico a Padova ma nel 1379, era probabilmente solo un suo omonimo.Sicuramente questa miscellanea non fu un libro universitario ma un libro scolastico, al cui allestimento lavorò comunque, secondo una prassi largamente attestata, almeno uno studente universitario. Si può inoltre aggiungere che con ogni verisimiglianza il possessore e fruitore del libro non fu uno scolaro ma un maestro, che se ne servì per

IX � I LIBRI SCOLASTICI 257

BIBLIOGRAFIA

Kristeller 1967, p. 195; Pesce 1987, I, p. 404; Pani 1991, pp. 14, 25, 46-49; Scalon 1995, pp. 100, 291 nr 187.

spiegare e commentare in classe i testi dei minores auctores su cui gli studenti potenziavano la propria conoscenza del latino.Al f. 210v, ultimo dell’intero codice, si ha una nota di possesso scritta in inchiostro rosso da una mano di tipo umanistico: «Mei presbiteri Andree de Serravallo». Non è dato sapere se prete Andrea da Serravalle, che nel 1484 lasciò per testamento alla cattedrale di Treviso tutti i suoi libri liturgici e teologici, sia stato il possessore dell’intero manoscritto o solo della sua sezione finale (la quale sicuramente appartenne, dal 1448, ad Antonio da Fabriano vescovo di Soazzo in Dalmazia, come si apprende da una nota d’acquisto posta in testa al f. 198r).Restano pertanto oscure le circostanze in cui il manoscritto pervenne al Municipio di Treviso.

Laura Pani

Treviso 156, f. 124r

258 I LIBRI DEI PATRIARCHI

a. 1423; membr.; mm 306 × 205; ff. III, 54,

II’.

San Daniele del Friuli, Biblioteca Civica Guar-

neriana, 120

IX.9 Alessandro da Villedieu, Doctrinale

Talvolta citato anche col titolo De arte grammatica, il Doctrinale del normanno Alessandro da Villedieu (XII secolo) è un’opera in oltre 2600 esametri che, a gruppi, enunciano le diverse regole grammaticali della lingua latina. L’obiettivo è evidentemente quello di facilitarne l’apprendimento mediante la tecnica mnemonica così ottenuta: obiettivo raggiunto, se si considera che fu uno dei testi maggiormente utilizzati, fino al XVI secolo, per l’insegnamento del latino nelle scuole gramma-ticali di tutta Europa.Questo manoscritto Guarneriano, che appunto il Doctrinale contiene, così come i Notabilia di Giovanni da Soncino (Guarner. 129, scheda IX.5), potè far parte di quel gruppo di codici che Guarnerio o posse-dette prima di avviare la formazione della sua biblioteca propriamente umanistica o, più facilmente, acquisì dopo la morte dell’amico e forse maestro Giovanni da Spilimbergo.Si tratta di un codice datato la cui copia terminò nel 1423 a opera di uno scriba che, mentre fornisce dettagli cronologici piuttosto precisi, con una specie di sciarada rivela anche il proprio nome: «Explicit liber magistri Alexandri de Villa Dei. Deo dicamus gratias, amen. Manus scriptoris laudetur omnibus horis. Nomen scriptoris si tu cognoscere queris, ‘Mi’ tibi sit primo, medio ‘cha’, ‘el’ sit in ymo. Completum extitit dictum opus per supradictum scriptorem anno nativitatis Domini millesimo CCCC XXIII°, die XXa mensis aprelis, hora vigesima» (f. 54v).Si noterà che la data di copia coincide con gli anni della prima adole-scenza di Guarnerio, al termine della quale, tra il 1428 e i primi anni ’30, egli soggiornò a Roma. Benché non sia da escludere, un utilizzo di questo libro da parte del giovane Guarnerio nel corso della sua for-mazione di livello medio-superiore (il Doctrinale era infatti usato dagli studenti che si avviavano allo studio degli auctores) pare improbabile: tra l’altro, in calce al colophon un diverso possessore ha indicato, con un artificio analogo a quello del copista Michele, il proprio nome («Nomen poxexoris si tu congnoxere queris, ‘Car’ sit primo, medio ‘lu’, ‘cius’ sit in ymo»); inoltre, analogamente al Guarneriano 129, questo codice è assente dal primo inventario della libreria di Guarnerio, del 1456, né è identificabile con certezza col «Doctrinale in pergamenis» di quello del 1461: alla biblioteca dell’umanista friulano è infatti riconducibile anche un’altra copia del Doctrinale non imparentata con questa, l’attuale Canon. Misc. 44 della Bodleian Library di Oxford.Benché allestito a Quattrocento ormai inoltrato, questo libro di studio ha tutte le caratteristiche dei manoscritti dei secoli precedenti: è vergato in una littera textualis semplificata, tracciata liberamente pur imitando la scrittura gotica per morfologia delle lettere e tendenziale spezzatura delle curve; presenta una decorazione consistente in iniziali ornate a motivi fitomorfi con foglia d’oro sullo sfondo, e impiego dei colori rosso, verde, rosato e blu, ai ff. 1r (da cui si diparte un fregio marginale esteso lungo i margini interno, superiore e inferiore), 23r, 32v, 45v, 47r-v, 49r, in iniziali minori filigranate alternativamente in rosso e viola e blu e rosso, pie’ di mosca in rosso o blu, ritocchi in rosso.È diffusamente glossato e annotato: nei primi fogli (ff. 1r-3v) il com-mento inquadra tutto il testo ed è anche in parte riportato al f. IIIr-v,

IX � I LIBRI SCOLASTICI 259

f. 1r, iniziale a motivi fitomorfi e foglia d’oro

BIBLIOGRAFIA

Casamassima et al. 1978, p. 44, Bénédictins du Bouveret, nr 13663; Bursill-Hall 1981, p. 232, nr 251.4; Casarsa-D’Angelo-Scalon 1991, pp. 120, 368-369, 463-464, Tav. CVII.

ma in tutto il codice ci sono diffusi interventi interlineari di parafrasi e marginali di commento, più concentrati in alcune parti del testo.

Laura Pani

260 I LIBRI DEI PATRIARCHI

1461; cart.; mm 288 × 214; ff. II, 40, II’.

San Daniele del Friuli, Biblioteca Civica Guar-

neriana, 125

f. 37r, colophon

IX.10 Boezio, De consolatione philosophiae

Il De consolatione philosophiae di Boezio contenuto in questo codice guarneriano è gravemente acefalo, mutilo e lacunoso per la perdita di alcuni fogli all’inizio, alla fine e all’interno, che risultano essere stati strappati e sono stati poi restaurati mediante montaggio su carta.Non è andato perduto tuttavia il colophon, che ben informa sull’epoca e sull’ambiente di produzione e di utilizzo del manoscritto: «Explicit liber Boetii. Annicii Malii [sic] Torquacii Boetii Severini consularis patricii ordinarii liber explicit. Millesimo quadrigentesimo sexagessimo primo, die vero quinto decimo mensis octubris in scolis magistri Nicholai de Sancto Daniele habitantis Glemone. Laus Deo, amen. Nomen meum non pono, quia laudare me nolo» (f. 37r).Dunque il codice fu copiato nel 1461 da un anonimo scriba, verisimil-mente uno studente, che frequentava a Gemona le scuole del maestro Nicolò di Iacopo da San Daniele: è noto del resto che quest’ultimo vi insegnò proprio nel decennio dal 1453 al 1463.Il De consolatione philosophiae è un testo il cui utilizzo a fini scolastici è ampiamente documentato tanto nell’alto quanto nel basso medioevo: per lo stile, che alterna parti in prosa a parti in poesia, e per il contenuto, che mira a conciliare il valore della conoscenza e in particolare della filosofia con la prospettiva cristiana della salvezza. Benché non sia da escludersi una sua lettura anche a un livello elementare dell’insegnamento del latino, in generale era usato da studenti già in grado di affrontare gli auctores.Che anche il manoscritto Guarneriano 125 sia stato allestito per uso scolastico, probabilmente da parte dello stesso copista-studente, è at-testato oltre che da quanto scritto nel colophon anche dalla sua fattura, complessivamente modesta: il supporto è cartaceo e rigato a mina di piombo senza l’impiego di alcuno degli strumenti ergonomici largamente usati anche per i codici d’età umanistica; la grafia è una disimpegnata semigotica tracciata con penna a punta grossa, tale che il corpo delle lettere si presenti tozzo e più largo che alto, mentre vaghe ascendenze umanistiche sono presenti solo nella scrittura distintiva del colophon; la decorazione è limitata a iniziali in rosso filigranate a penna con pur graziosi fregi estesi lungo i margini, pie’ di mosca e ritocchi in rosso.Rarissime, per altro, sono le note, marginali o interlineari, che – come avviene per la maggior parte degli altri libri descritti in questa sezione – attestino un concreto uso del codice nello studio scolastico.Del resto solo cinque anni intercorrono tra l’allestimento del codice e la morte di Guarnerio, nella cui libreria esso dovette confluire in virtù dei rapporti che l’umanista friulano ebbe proprio con Niccolò da San Daniele: rapporti culturali e intellettuali, sicuramente, ma consolidati da un’acquisita parentela, poiché Nicolò aveva sposato la figlia di Guar-nerio Pasqua.

Laura Pani

BIBLIOGRAFIA

Casamassima et al. , pp. 45-46; Bursill-Hall , p. 232, nr .; Casarsa-Scalon-D’Angelo 1991, pp. 38 nota 182, 96, 129, 374-375, Tav. CXI; Scalon 1995, pp. 105 e 540 nr 435.

IX � I LIBRI SCOLASTICI 261

f. 22v, iniziale in rosso, filigranata a penna, con eleganti fregi che si estendono lungo i margini

BIBLIOGRAFIA

427BIBLIOGRAFIA

Alessio 1987: G.C. Alessio, Tradizione manoscritta, in Enciclopedia Virgiliana, III, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana 1987, pp. 432-443

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428 I LIBRI DEI PATRIARCHI

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Casarsa M. 1968: M. Casarsa, schede, in Mostra di codici liturgici aquileiesi. Catalogo della mostra (26 agosto-1 settembre 1968), Udine, Arti grafiche friulane 1968

Casella 1982: M.T. Casella, Tra Boccaccio e Petrarca. I volgarizzamenti di Tito Livio e di Valerio Massimo, Padova, Antenore 1982

Cattin 1994a: G. Cattin, Il pianto della Madonna e La visita delle Marie al sepolcro. Introduzione, testi e melodie del secolo XIV secondo una sconosciuta fonte di Venezia, Venezia, Fondazione Ugo e Olga Levi/La Biennale di Venezia 1994

Cattin 1994b: G. Cattin, Tra Padova e Ci-vidale: Nuova fonte per la drammaturgia

sacra nel Medioevo, «Il Saggiatore musicale» 1 (1994), pp. 7-122

Cavallo 1994: I luoghi della memoria scritta. Manoscritti, incunaboli, libri a stampa di Biblioteche Statali Italiane, dir. scientifica G. Cavallo, Roma, I.P.Z.S. Libreria dello Stato 1994

Ceccon 2011: S. Ceccon, Molino (Molin, da Molin, da Molino), Biagio, in Dizionario Bio-grafico degli Italiani, 75 (2011), pp. 417-420

Cecconi 2013: M. Cecconi, Bartolomeo San-vito: scritture e scelte librarie. I manoscritti petrarcheschi, tesi di dottorato, Universi-tà degli studi di Roma ‘La Sapienza’, a.a. 2012-2013

Celenza 1996: Ch.S. Celenza, The Will of Cardinal Giordano Orsini (ob. 1438), «Traditio» 51 (1996), pp. 257-286

Chavasse 1964: A. Chavasse, Les lettres de saint Léon le Grand dans le supplément de la Dyonisiana et de l’Hadriana et dans la col-lection du manuscrit du Vatican, «Revue de sciences religieuses» 38 (1964), pp. 154-176

Cherubini 2005: Forme e modelli della tra-dizione manoscritta della Bibbia, a cura di P. Cherubini. Prefazione del card. C.M. Martini, introduzione di A. Pratesi, Città del Vaticano, Scuola Vaticana di paleogra-fia, diplomatica e archivistica 2005 (Littera antiqua, 13)

Chiesa 2006: P. Chiesa, Paolino, patriarca di Aquileia, in Nuovo Liruti. Dizionario biogra-fico dei Friulani, 1. Il medioevo, a cura di C. Scalon, Udine, Forum 2006, pp. 641-650

Ciancetti 1981: M. Ciancetti, Tre graduali figurati dell’Archivio Capitolare Udinese, tesi di laurea, Università di Trieste, a.a. 1980-1981

Ciardi Duprè 1972: M.G. Ciardi Duprè, I Corali del Duomo di Siena, Siena, Monte dei Paschi di Siena 1972

Ciardi Duprè 1987: M.G. Ciardi Duprè dal Poggetto, Osservazioni sull’antifonario ms. XXXIII del Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli, in Miniatura in Friuli. Crocevia di Civiltà. Atti del Convegno in-ternazionale, (Passariano-Udine, 4-5 ottobre 1985), a cura di L. Menegazzi, Pordenone, GEAP 1987, pp. 105-117

432 I LIBRI DEI PATRIARCHI

Ciconi 18622: G.D. Ciconi, Udine e sua provincia, Udine, Tipografia Trombetti-Murero 18622

Cigni 2000: F. Cigni, La ricezione medie-vale della letteratura francese nella Toscana nord-occidentale, in Fra toscanità e italianità. Lingua e letteratura dagli inizi al Novecento, a cura di E. Werner, S. Schwarze, Tübingen-Basel, Francke 2000, pp. 71-108

Cigni 2003: F. Cigni, Tristano e Isotta nelle letterature francese e italiana, in Tristano e Isotta. La fortuna di un mito europeo, a cura di M. Dallapiazza, Trieste, Parnaso 2003, pp. 29-127

Cigni 2010: F. Cigni, Manuscrits en français, italien et latin entre la Toscane et la Ligurie à la fin du XIIIe siècle: implications codico-logiques, linguistiques et évolution des genres narratifs, in Medieval multilingualism. The Francophone World and its Neighbours, eds. C. Kleinhenz, K. Busby, Turnhout, Brepols 2010, pp. 187-217

Cigni 2012: F. Cigni, Per un riesame del Tri-stan in prosa, con nuove osservazioni sul ms. Paris, BnF, fr. 756-757, in Culture, livelli di cultura e ambienti nel Medioevo occidentale. Atti del IX Convegno della Società italiana di filologia romanza (Bologna, 5-8 ottobre 2009), a cura di F. Benozzo et al., Roma, Aracne 2012, pp. 247-278

Cinelli 2009: L. Cinelli, Mattei Leonardo (Leonardus de Utino), predicatore, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei Friulani, 2. L’età veneta, a cura di C. Scalon, C. Griggio, U. Rozzo, Udine, Forum 2009, pp. 1639-1649

Clagett 1976: M. Clagett, The life and works of Giovanni Fontana, «Annali dell’I-stituto e Museo di storia della scienza di Firenze» I (1976)

Clagett 1978: M. Clagett, Archimedes in the Middle Ages, III/2, Philadelphia, American Philosophical Society 1978

Claire 2004: J. Claire, L’antienne Media vita dans les premiers manuscrits dominicains, in † L. Boyle-P.M. Gy-P. Krupa (edd.), Aux ori-gines de la liturgie dominicaine: le manuscrit Santa Sabina XIV L 1, Paris-Rome, CNRS/École Française de Rome 2004, pp. 215-227

(Collection de l’École Française de Rome, 327 = IRHT Documents Études et Réper-toires, 67)

Clogan 1967: P.M. Clogan, Medieval Glossed Manuscripts of the Thebaid, «Manuscripta» 11 (1967), pp. 102-111

Colantuono 1999: M.I. Colantuono, Li-turgia aquileiese e rito patriarchino in alcuni libri liturgico–musicali di Cividale del Friuli, «Quaderni del M.AE.S.» 2 (1999), pp. 7-22

Colombi 2008: Le passiones dei martiri aqui-leiesi e istriani. I, a cura di E. Colombi, Ro-ma, Istituto storico italiano per il Medioevo 2008 (Fonti per la Storia della Chiesa in Friuli. Serie medievale, 7)

Colussi 1998: F. Colussi, La civiltà cortese, in Musica nel Veneto. La storia, a cura di P. Fabbri, Milano, Motta 1998, pp. 62-81

Comoretto 1988: A. Comoretto, Le mi-niature del Sacramentario fuldense di Udine, Udine, Arti grafiche friulane 1988

Condello 2005: E. Condello, La Bibbia al tempo della riforma gregoriana: le Bibbie atlantiche, in Forme e modelli della tradi-zione manoscritta della Bibbia, a cura di P. Cherubini. Prefazione del card. C. M. Martini, introduzione di A. Pratesi, Città del Vaticano, Scuola Vaticana di paleogra-fia, diplomatica e archivistica 2005 (Littera antiqua, 13), pp. 347-372

Conti 1972: A. Conti, La miniatura in Friuli [recensione], «Annali della Scuola normale superiore di Pisa» s. III, 2 (1972), pp. 1050-1053

Corgnali 1933: G.B. Corgnali, Frammento di un “rotolo” di famiglia cividalese (1413-1420), «Ce fastu?» 9 (1933), pp. 67-71, 132-134, 184-191, 192-194

Corgnali 1950: G.B. Corgnali, Esercizi di versione dal friulano in latino (secolo XV), «Ce fastu?» 26 (1950), pp. 83-88

Corso 2010: G. Corso, Miniature per una collegiata abruzzese. I corali medievali di Guardiagrele alla luce dei recenti ritrova-menti, Pescara, ZIP 2010

Cortesi 1997: M. Cortesi, Lettura di Plu-tarco alla scuola di Vittorino da Feltre, in Filologia umanistica. Per Gianvito Resta, a

cura di V. Fera, G. Ferraù, I, Padova, An-tenore 1997 (Medioevo e Umanesimo, 94)

Cortesi 2012: M. Cortesi, Lectures human-istes des Pères de l’Église. Philologie patristique et renouvellement de la culture au XVe siècle, in Humanistes, clercs et laïcs dans l’italie du XIIIe au début du XVIe siècle. Études réunies par C. Caby, R.M. Dessì, Turn-hout, Brepols 2012 (Collection d’études médiévales de Nice, 13), pp. 175-198

Coxe 1854: H.O. Coxe, Catalogi codicum manuscriptorum bibliotecae Bodleianae, pars III codicos graecos et latinos Canonicianos complectens, Oxonii, e Typographeo Aca-demico 1854

Cozzi 1976: E. Cozzi, Pittura murale di sog-getto profano in Friuli dal XII al XV secolo, San Vito al Tagliamento, Archivio artistico del Friuli 1976

Cozzi 1996: E. Cozzi, Tavolette da soffitto tardogotiche di soggetto cavalleresco a Por-denone, in In domo habitationis. L’arredo in Friuli nel tardo Medioevo, a cura di G. Fiaccadori, M. Grattoni d’Arcano, Venezia, Marsilio 1996, pp. 78-83

Cozzi 1999: E. Cozzi, Per la diffusione dei temi cavallereschi e profani nella pittura tardo-gotica. Breve viaggio nelle Venezie tra scoperte e restauri recenti, in Le Stanze di Artù. Gli affreschi di Frugarolo e l’immaginario ca-valleresco nell’autunno del Medioevo, a cura di E. Castelnuovo, Milano, Electa 1999, pp. 116-127, 177-179

Cozzi 2000: E. Cozzi, Storie di Troia, in Patriarchi. Quindici secoli di civiltà fra l’Adriatico e l’Europa Centrale. Catalogo della mostra (Aquileia-Cividale, 3 luglio-10 dicembre 2000), a cura di S. Tavano, G. Bergamini, Ginevra-Milano, Skira 2000, pp. 325-326 (scheda 24.4)

Cozzi 2001: E. Cozzi, L’arte medievale, in L’abbazia di Santa Maria di Sesto. L’arte me-dievale e moderna, a cura di G.C. Menis, E. Cozzi, Pordenone, GEAP 2001, pp. 3-355

Cozzi 2006: E. Cozzi, Tristano e Isotta in Palazzo Ricchieri a Pordenone. Gli affreschi di soggetto cavalleresco e allegorico, Pordenone, Comune di Pordenone 2006

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Cozzi 2008b: E. Cozzi, Da Poppone a Ber-trando di Saint-Geniès: aspetti della commit-tenza artistica nel patriarcato di Aquileia, in Medioevo: arte e storia. Atti del X Convegno internazionale di studi (Parma, 18-22 set-tembre 2007), a cura di A.C. Quintavalle, Milano, Electa 2008, pp. 539-553

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Crivello 2008: F. Crivello, Das Sacra-mentarium Ottonianum in Trient und seine Stellung innerhalb der spätottonischen Buch-malerei, in Buchkunst im Mittelalter und Kunst der Gegenwart – Scrinium Kilonense. Festschrift für Ulrich Kuder, a cura di H.-W. Stork, B. Tewes, C. Waszak, Nordhausen, Bautz 2008, pp. 89-104

Crivello 2009: F. Crivello, Manoscritti mi-niati ottoniani sul versante italiano delle Alpi, in Le Alpi porta d’Europa. Scritture, uomini, idee da Giustiniano al Barbarossa. Atti del Convegno internazionale dell’Associazio-ne italiana dei Paleografi e Diplomatisti (Cividale del Friuli, 5-7 ottobre 2006), a cura di L. Pani, C. Scalon, Spoleto, Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo 2009, pp. 523-536

Cuna 1996: A. Cuna, Le presenze librarie, in In domo habitationis. L’arredo in Friuli nel tardo Medioevo, a cura di G. Fiaccadori, M. Grattoni d’Arcano, Venezia, Marsilio 1996, pp. 292-303

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Cuscito 1988: G. Cuscito, Il patriarca Pa-olino e la liturgia di Aquileia, con appendice di B. Spolverato su l’Evangeliario di Grado, in Aquileia e le Venezie nell’alto medioevo, «Antichità altoadriatiche» 32 (1988)

Cuscito 2006: G. Cuscito, Ottocari (degli) Poppone, patriarca di Aquileia, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei Friulani, 1. Il medioevo, a cura di C. Scalon, Udine, Forum 2006, pp. 617-625

Daneu Lattanzi 1966: A. Daneu Lattan-zi, Lineamenti di storia della miniatura in Sicilia, Firenze, Olschki 1966

D’Angelo 1970: M. D’Angelo, Alcune notizie inedite su Guarnerio d’Artegna da un antico regesto, San Daniele del Friuli, Comune di San Daniele del Friuli 1970 (Quaderni guarneriani, 1)

D’Angelo 1983: M. D’Angelo, Inventari quattrocenteschi della chiesa di S. Michele a San Daniele del Friuli, San Daniele del Friuli, Comune di San Daniele del Friuli 1983 (Quaderni Guarneriani, 7)

D’Angelo 1988: M. D’Angelo, schede, in La Guarneriana. I tesori di un’antica biblioteca, a cura di L. Casarsa et al., San Daniele del Fri-uli, Comune di San Daniele del Friuli 1988

D’Angelo 1991: M. D’Angelo, schede in L. Casarsa, M. D’Angelo, C. Scalon, La libreria di Guarnerio d’Artegna, Udine, Casamassima 1991

D’Angelo 1993: Geremia Simeoni, De con-servanda sanitate. I consigli di un medico del Quattrocento, a cura di M. D’Angelo, Udine, Comune di Cassacco/Libraria 1993

D’Angelo 2009: M. D’Angelo, voci, in Nuo-vo Liruti, Dizionario biografico dei Friulani, 2. L’età veneta, a cura di C. Scalon, C. Grig-gio, U. Rozzo, Udine, Forum 2009

D’Aronco 1992: G. D’Aronco, La primavera cortese della lirica friulana: tre canzoni del

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De Bruyne 1913: D. De Bruyne, Les notes liturgiques du Codex Forojuliensis, «Revue Bénédictine» 30 (1913), pp. 208-218

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de Cantimpré 1973: T. de Cantimpré, Liber de naturis rerum: Editio princeps secundum codices manuscriptos, Berlin-New York, de Gruyter 1973

de Conihout 2007: I. de Conihout, Jean et André Hurault: deux frères ambassadeurs à Venise et acquéreurs de livres du cardinal Grimani, «Italique» 10 (2007), pp. 105-145

de Hamel 1984: C. de Hamel, Glossed Books of the Bible and the Origins of the Paris Book-trade, Woodbridge-Dover, D.S. Brever 1984

434 I LIBRI DEI PATRIARCHI

de Hamel 1996: C. De Hamel, Cutting up manuscripts for Pleasure and Profit, Charlot-tensville, Book Ars Press 1996

de la Mare 1971: A.C. de la Mare, Cata-logue of the collection of medieval manuscripts bequeathed to the Bodleian Library, Oxford, by James P. R. Lyell, Oxford, Clarendon Press 1971

de la Mare 1999: A.C. de la Mare, Bartolo-meo Sanvito da Padova, copista e miniatore, in La miniatura a Padova dal Medioevo al Settecento. Catalogo della mostra a cura di G. Baldissin Molli, G. Canova Mariani, F. Toniolo, Modena, Panini 1999, pp. 495-511

de la Mare-Griggio 1985: A.C. de la Mare, C. Griggio, Il copista Michele Salvatico col-laboratore di Francesco Barbaro e Guarne-rio d’Artegna, «Lettere Italiane» 37 (1985), pp. 345-354

de la Mare-Nuvoloni 2009: A.C. de la Ma-re, L. Nuvoloni, Bartolomeo Sanvito. The life & work of a Renaissance scribe, Paris, As-sociation internationale de bibliophilie 2009

de Montfaucon 1702: B. de Montfau-con, Diarium Italicum sive Monumentorum veterum, Bibliothecarum, Musaeorum ecc. Notitiae singulares in Itinerario Italico col-lectae, Parisiis, apud Ioannem Anisson 1702

De Nicola 1978: Pietro Edo, Il rimedio amoroso (Poema inedito), a cura di F. De Nicola, Ravenna, Longo 1978 (Classici italiani minori, 8)

De Rossi 1784: G.B. De Rossi, Variae lectio-nes in Veteris Testamenti libros, I, Parmae, ex Regio Typographeo 1784

de Rubeis 1754: J.F.B.M. de Rubeis, Disserta-tiones duae, prima de Turranio seu Tyrannio Rufinio … Altera de vetustis liturgicis aliisque sacris ritibus qui vigebant olim in antiquibus Forojuliensis provinciae ecclesiis, Venetiis, apud Simonem Occhi 1754

de Rubeis 1762: J.F.B.M. de Rubeis, Dis-sertationes variae eruditionis sub una capitum serie collectae, Venetiis, apud Simonem Oc-chi 1762

De Vitt 2000: Il registro battesimale di Gemona del Friuli. 1379-1404, a cura di F. De Vitt, Udine, Arti grafiche friulane 2000

Degani 1898: E. Degani, Il codice diplomatico di Antonio Panciera da Portogruaro, Vene-zia, R. Deputazione Veneta di Storia Patria 1898 (Miscellanea di storia veneta edita per cura della R. Deputazione Veneta di Storia Patria, 2a serie, 4)

Degenhat-Schmitt 1977: B. Degenhart, A. Schmitt, Frühe angiovinische Buchkunst in Neapel. Die Illustrierung französischer Unter-haltungsprosa in neapolitanischen Scriptorien zwischen 1290 und 1320, in Festschrift Wolf-gang Braunfels, hrsg. von F. Piel, J. Traeger, Tübingen, Wasmuth 1977, pp. 71-92

Degenhat-Schmitt 1980: B. Degenhart, A. Schmitt, Corpus der italienischen Zeich-nungen 1300-1450, 2. Venedig. Addenda zu Süd- und Mittelitalien, Berlin, Gebr. Mann 1980

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