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ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO NUOVI STUDI STORICI - 87 LA CATALOGAZIONE DEI MANOSCRITTI MINIATI COME STRUMENTO DI CONOSCENZA: ESPERIENZE, METODOLOGIA, PROSPETTIVE Atti del Convegno internazionale di studi Viterbo, 4-5 marzo 2009 a cura di Silvia Maddalo – Michela Torquati ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI 2010

Libri medullitus delectant, colloquuntur, consulunt. I libri del ‘diletto’ nella biblioteca di Federico da Montefeltro, in La catalogazione dei manoscritti miniati, a cura di S

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ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO

NUOVI STUDI STORICI - 87

LA CATALOGAZIONE DEI MANOSCRITTI MINIATI

COME STRUMENTO DI CONOSCENZA:

ESPERIENZE, METODOLOGIA, PROSPETTIVE

Atti del Convegno internazionale di studi

Viterbo, 4-5 marzo 2009

a cura di

Silvia Maddalo – Michela Torquati

ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO

PALAZZO BORROMINI 2010

SALVATORE SANSONE

LIBRI MEDULLITUS DELECTANT, COLLOQUUNTUR, CONSULUNT

I LIBRI DEL ‘DILETTO’ NELLA BIBLIOTECA DI FEDERICO DI MONTELFETRO

«Alle pendici dell’appennino [...], nell’aspero sito d’Urbino [Federico]edificò un palazzo [...], il più bello che in tutta Italia si ritrovi [...]. Appres-so con grandissima spesa adunò un gran numero di eccellentissimi e rarissi-mi libri greci, latini ed ebraici, quali tutti ornò d’oro e d’argento, estimandoche questa fusse la suprema eccellenzia del suo magno palazzo»1. La notiziasi accosta alle tante che esprimevano lodi per la libraria di Federico di Mon-tefeltro e poco importa se, al tempo della stesura del Cortigiano, l’oro e l’ar-gento, di cui narra il Castiglione, facevano già parte del bottino di guerra del-le truppe del Valentino, che nel 1502 avevano saccheggiato le casse in cuierano conservati i preziosi manoscritti2.

Già dalle loro prime attestazioni, allo scadere del secolo XII, i principa-li esponenti della casata dei Montefeltro, tra i quali spicca Guido, ricorda-to nel XXVII dell’Inferno, avevano legato il proprio nome al mestiere dellearmi. È lecito, dunque, immaginare che tali condottieri, come accadeva pres-so le principali corti dell’Italia settentrionale, si rivolgessero a quella cultu-ra cavalleresca che fondava le proprie basi sui poemi e sui romanzi francesiin lingua provenzale, a quei versi d’amore e prose di romanzi cantati ancheda Dante3.

All’interno della biblioteca del duca Federico, tuttavia, da un primoapproccio all’intera collezione, appare evidente che dei volumi che solita-

1 Baldassarre Castiglione, Il libro del Cortegiano, cur. W. Barberis, Torino 1998 (Biblio-teca Einaudi, 40), pp. 17-19.

2 Ibid., p. 19 nota 15.3 Dante Alighieri, Commedia, cur. A.M. Chiavacci Leonardi, Milano 1994, II, p. 783 (Pg.,

XXVI, 118).

mente rientrano nella categoria dei ‘libri del diletto’ o dei ‘libri di svago’,sembra non esserci traccia4. Come giustificare tali mancanze? Come consi-derare il ‘diletto’ alla corte di Urbino? E l’atteggiamento del duca nei con-fronti di quella cultura cavalleresca che, almeno dal punto di vista militare,egli certamente incarnava?

È utile ricordare che non fu Federico il primo conte di Urbino a mostra-re interessi in ambito culturale. Intorno alla metà del Trecento Bartolomeo,vescovo della città, dedicava a Galasso di Montefeltro (†1360) un Tractatusde re bellica spirituali per comparationem temporalem, l’attuale Urb. lat. 880[Fig. 76]5. E ancora più evidenti sono gli interessi del conte Antonio (†1404)e quelli di Guidantonio (†1443), i quali non si dedicarono soltanto all’acqui-sto di codici, ma anche alla scrittura di componimenti poetici. Di Antonioresta una nota di possesso, «magnifici domini comitis Antonii comitis Mon-tisferetri», sull’attuale Urb. lat. 1171 [Fig. 77], contenente due opere diPetrarca in origine non legate insieme, il De vita solitaria e il De sui ipsius etmultorum ignorantia, quest’ultima copiata nel 13756.

Un numero esiguo di codici appartenenti alla biblioteca degli avi, – che siè ipotizzato ne contenesse circa un centinaio – è stato identificato all’internodella collezione di Federico. Quest’ultima, come a ragione è stato sottolinea-to, «finì col cancellare le tracce dei precedenti interessi culturali dei Monte-feltro»7 e i manoscritti conservati in quella che è indicata come alia bibliothe-ca andarono in gran parte dispersi. È probabile, dunque, che i codici del ‘dilet-to’ della cultura cavalleresca di più antica tradizione facessero parte di quel-la vetus bibliotheca, che conteneva la totalità del patrimonio librario dei Mon-tefeltro prima della nascita di una collezione monumentale e d’apparato.

4 Sulla biblioteca di Federico di Montefeltro si veda, in primo luogo, il catalogo deimanoscritti redatto da C. Stornajolo, Codices urbinates latini, Città del Vaticano 1902-1921e i tre volumi Federico di Montefeltro. Lo stato, le arti, la cultura, cur. G. Cerboni Baiardi - G.Chittolini - P. Floriani, Roma 1986. Più di recente cfr. M. Peruzzi, Cultura potere immagine.La biblioteca di Federico di Montefeltro, Urbino 2004; Federico da Montefeltro and His Libra-ry. Catalogo della mostra (New York, The Morgan Library and Museum, 8 giugno-30 set-tembre 2007), cur. M. Simonetta, Milano-Città del Vaticano 2007, e Ornatissimo codice. Labiblioteca di Federico di Montefeltro. Catalogo della mostra (Urbino, Galleria Nazionale del-le Marche, 15 marzo-27 luglio 2008), cur. M. Peruzzi, Città del Vaticano-Milano 2008, al qua-le si rimanda anche per la bibliografia di riferimento.

5 L. Michelini Tocci, Il Dante Urbinate della Biblioteca Vaticana (Codice Urbinate Lati-no 365), Milano 1965, p. 7.

6 Si veda, per quest’aspetto, M. Moranti, Organizzazione della biblioteca di Federico daMontefeltro, in Federico di Montefeltro. La cultura cit., p. 31 e Peruzzi, Cultura potere imma-gine cit., p. 21.

7 Moranti, Organizzazione della biblioteca cit., p. 46.

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L’unico esempio di quella cultura è un Roman de la Rose, l’attuale Urb.lat. 376, accompagnato da eleganti miniature tabellari realizzate all’internodelle due colonne di scrittura [Fig. 78], databile tra il 1278 e il 1283 e sot-toscritto dal copista, Berthaud d’Achy, sul verso di f. 1298. Il manoscrittosembra essere uno dei primi esemplari illustrati del Roman, con un ciclo diimmagini tra i più completi dell’intera tradizione figurativa dell’opera. E tut-tavia è impossibile dire se il codice sia stato acquistato dallo stesso Federi-co oppure sia stato ereditato. In ogni caso è singolare il fatto che esso, uni-co rappresentante della tradizione cortese all’interno della biblioteca duca-le, rivesta un ruolo fondamentale anche per il successivo sviluppo figurati-vo del Roman de la Rose.

Il ‘diletto’, dunque. Già soltanto scorrendo il catalogo della bibliotecaedito dallo Stornajolo, si può stabilire come il carattere della collezione siadi assoluta novità, anche rispetto alle raccolte librarie di corti umanistichecontemporanee, e penso soprattutto a quella ferrarese degli Estensi9. L’idea-le umanistico inseguito alla corte di Urbino da Federico e da coloro che col-laborarono più strettamente con lui alla formazione della collezione, Otta-viano Ubaldini e la seconda moglie del duca, Battista Sforza, impose l’ab-bandono di tutto ciò che non fosse moderno e dunque di ciò che la tradizio-ne cortese reputava al contrario significativo, come quelle opere in linguad’oc e d’oil, che altrove si componevano e si leggevano in pubblico10.

Questa scelta sembra derivare da una precisa volontà del duca e dei suoipiù stretti collaboratori. Si confronti, infatti, il canone di Tommaso Paren-

8 Sul manoscritto cfr. E. Koening, Der Rosenroman des Berthaud d’Achy. Codex Urbina-tus latinus 376. Kommentarband zur Faksimileausgabe, Zurich-Stuttgart 1987 (Codices e Vati-canis selecti, 71) e Koening, Die Liebe im Zeichen der Rose. Die Handschriften des Rosenro-mans in der Vatikanischen Bibliothek, Stuttgart-Zurich 1992. Cfr. anche De la Rose. Texte,Image, Fortune, cur. C. Bel - H. Braet, Leuven 2006 (Synthema, 3). Berthaud d’Achy è il copi-sta anche del ms. lat. 9024 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, cfr. la sottoscrizio-ne in Bénedéctins du Bouveret, Colophons de manuscrits occidentaux des origines au XIVe siè-cle, 8 voll., Fribourg 1965-1982, I, p. 271.

9 Per la quale si veda A. Quondam, Le biblioteche della corte estense, in Il libro a corte,cur. Quondam, Roma 1994 (Biblioteca del Cinquecento, 60), pp. 7-38. Cfr. anche il saggiodi M. Peruzzi, Novello Malatesta e Federico di Montefeltro: biblioteche a confronto, in Mala-testa Novello nell’Italia delle Signorie. Fonti e interpretazioni. Atti del Convegno di studi(Cesena, 26-27 marzo 2004), cur. M. Mengozzi - C. Riva, Cesena 2005, pp. 227-247.

10 Sul primo dei due personaggi, Ottaviano Ubaldini, cfr. L. Michelini Tocci, Federicodi Montefeltro e Ottaviano Ubaldini della Carda, in Federico di Montefeltro. Lo stato cit., pp.297-344, mentre su Battista Sforza, personaggio, a mio avviso, assai poco indagato, si vedal’utile volume di M. Bonvini Mazzanti, Battista Sforza Montefeltro. Una «principessa» nelRinascimento italiano, Urbino 1993.

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tucelli, una ‘nota’, come la definisce Vespasiano da Bisticci, di volumi indi-spensabili alla realizzazione di una collezione libraria, che, com’è noto, feceda modello per la formazione della biblioteca urbinate, con le opere acqui-site o commissionate dallo stesso duca11. Emergerà con estrema evidenzache egli non si attenne strettamente alle indicazioni del canone, anzi moltospesso finì per disattenderle, in particolar modo con l’inserimento, spessosignificativo, di opere di storia, di filosofia aristotelica, di architettura e dimatematica, quelle cioè verso le quali egli nutriva un più vivo interesse; inte-resse confermato anche da Vespasiano in alcuni passi della Vita di Federi-co, che, sebbene con forti valenze celebrative, non lasciano spazio a dubbi:«Avendo udita l’Etica et la Pulitica, volle udire de’ libri naturali di Aristoti-le, et fessi legere la Fisica et altre opere d’Aristotile, in modo che si potevachiamare lui solo, essere il primo de’ signori che avessi dato opera a filoso-fia, et che n’avessi cognitione ignuna [...]. Aveva voluto avere notitia de’architettura, delle quale l’età sua, non dico [di] signori ma di privati, nonc’era chi avessi tanta notitia quanto la sua signoria [...]. Di geometria e d’ari-smetica n’aveva buona peritia [...]»12.

Per coltivare le proprie passioni, dunque, il duca non esita a rivedere iconsigli del Parentucelli. Ed è questa revisione che mi porta a credere che,alla corte di Urbino, la cultura del ‘diletto’ abbia tratti diversi da quella tar-domedievale cavalleresca e feudale dei Montefeltro, e anzi sembri volerse-ne distinguere, quasi che tale rigetto fosse utile al duca per affrancarsi dalruolo di capitano di ventura e identificarsi con quello di principe condottie-ro, mecenate delle arti e della cultura, coniugando, come imponeva l’idealeumanistico, la virtù delle armi con quella delle lettere13. Ed è vero che Fede-rico, così come invitava Ercole d’Este, con una lettera del 1480, «a prestaregli exemplari [...] a maestro Guglielmo»14, allo stesso modo avrebbe potu-to richiedere al signore di Ferrara quei romanzi di cavalleria che la collezio-

11 Sul canone del Parentucelli cfr. M.G. Blasio - C. Lelj - G. Roselli, Un contributo allalettura del canone bibliografico di Tommaso Parentucelli, in Le chiavi della memoria. Miscel-lanea in occasione del I centenario della Scuola Vaticana di Paleografia Diplomatica e Archivi-stica, Città del Vaticano 1984, pp. 125-165.

12 Vespasiano da Bisticci, Le Vite, cur. A. Greco, Firenze 1970, I, pp. 380, 382-383.13 Cfr. l’intero volume Federico di Montefeltro. Lo stato cit., e in particolare, per quanto

si dirà più avanti, L. Cheles, «Topoi» e «serio ludere» nello Studiolo di Urbino, pp. 269-286.Si veda anche C.H. Clough, Federigo da Montefeltro’s Patronage of Arts, 1468-1482, «Jour-nal of the Warburg and Courtauld Institute», 36 (1973), pp. 129-144 e, più in generale,Clough, The Duchy of Urbino in the Renaissance, London 1981.

14 In Moranti, Organizzazione della biblioteca cit., p. 33.

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ne estense orgogliosamente conservava e fermamente esibiva e che, a dispet-to del codice culturale umanistico, continuavano ad avere, presso quella cor-te, un grande seguito15.

Altro era il disegno perseguito da Federico e Ottaviano Ubaldini: librid’apparato, libri utili e non di intrattenimento, legati specialmente alle artitecniche e scientifiche, ma soprattutto libri da mostrare in tutto il loro splen-dore, come si legge nelle indicazione per il bibliotecario nell’Ordine et offi-cij de casa de lo illustrissimo signor Duca de Urbino: «E mostrarli lui proprio,cum diligentia, ale persone de auctorità et de doctrina cum farli cum belmodo intendere la prestantia belleza et gintileza d’essi, et de caracteri e deminiature»16.

Escludendo, quindi, dalla categoria dei ‘libri del diletto’ quelli legati allacultura cavalleresca tardomedievale, non è semplice inserire all’interno ditale categoria nemmeno i codici contenenti le opere poetiche di Petrarca, iRerum vulgarium fragmenta, per esempio, o i Trionfi, opere che ebberoampia diffusione nelle corti rinascimentali del secolo XV, spesso proposteinsieme nello stesso manoscritto, e che ben si prestavano a una duplice fun-zione, di studio e di intrattenimento17. L’unico codice, infatti, commissiona-to dal duca, e contenente le due opere del poeta laureato, è il manoscrittoVit. 22-1 conservato a Madrid, presso la Biblioteca Nacional, copiato intor-no al 1480 da Matteo Contugi e miniato in parte da Bartolomeo della Gat-ta, artista di origine fiorentina, che in quel tempo soggiornava a Urbino, alledirette dipendenze del duca: esemplare d’apparato, di straordinario pregio,volto con certezza a celebrare la figura del duca18. E altri due manoscritticontenenti i Trionfi, l’Urb. lat. 681 e l’Urb. lat. 683, hanno storie separate dal-

15 Quondam, Le biblioteche della corte cit., pp. 13-14.16 L’edizione del testo contenuto nel codice Urb. lat. 1248, copia di un manoscritto per-

duto e compilato nei primi anni del Cinquecento, si legge in Ordine et officij de casa de lo illu-strissimo signor Duca de Urbino, cur. S. Eiche, Urbino 1999 (la citazione è a p. 132). Si vedaanche P. Peruzzi, Lavorare a corte: «ordine et officij». Domestici, familiari, cortigiani e funzio-nari al servizio del Duca di Urbino, in Federico di Montefeltro. Lo stato cit., pp. 225-296. Siveda, inoltre, sulla figura del bibliotecario Agapito, ricordato nell’Ordine, L. Michelini Toc-ci, Agapito, bibliotecario “docto, acorto et diligente” della biblioteca urbinate alla fine del Quat-trocento, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. Card. Albareda a Bibliotheca Apo-stolica edita, Citta del Vaticano 1962 (Studi e Testi, 220), pp. 245-280.

17 Cfr., all’interno dell’ampia bibliografia sul Petrarca e i Trionfi, G. Guerrini, Il sistemadi comunicazione di un “corpus” di manoscritti quattrocenteschi: i Trionfi di Petrarca, «Scrittu-ra e civiltà», 10 (1986), pp. 121-197: 129-133.

18 Per il quale si veda, da ultimo, C. Martelli, I codici di produzione urbinate e lo scrip-torium di Federico di Montefeltro, in Ornatissimo codice cit., pp. 69-77.

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la committenza ducale: il primo [Fig. 79], realizzato sicuramente dopo lamorte di Federico, tra il 1505 e il 1525, raffigura sul f. 11r lo stemma cardi-nalizio di Sigismondo Gonzaga e il secondo [Fig. 80], entrato nella biblio-teca, probabilmente come dono, intorno alla meta degli anni ‘60, reca, al f.2r, lo stemma dei Montefeltro, ma aggiunto successivamente.

Vi è dunque, presso la corte di Urbino, un chiaro mutamento di prospet-tiva. La categoria del ‘diletto’ come retaggio di una cultura strettamente ‘cor-tese’, che narri storie di eroi, armi e amori non ha più ragione di esistere. Èsignificativo che Vespasiano, nella Vita di Federico, utilizzi il termine dilet-to soltanto in un caso, quando racconta di come il duca «della musica s’eradilettato assai, et intendevane benissimo et del canto et del sono [...]. Nonera istrumento che la sua signoria non avessi in casa, et deletavasi assai delsuono [...]. Diletavasi più d’instrumenti sotili che de’ grossi, trombe etinstrumenti grossi non se ne dilettava molto»19. Sembra di vedere, quasi inun’ekphrasis, la descrizione delle tarsie che il duca volle per il suo studiolo– e il riferimento a quello di Leonello d’Este nel Palazzo di Belfiore a Fer-rara non può essere casuale –, luogo intimo e appartato, luogo della medi-tazione e della riflessione, un ambiente, quindi, che avrebbe allontanatoFederico dalle preoccupazioni politiche e amministrative del ducato20.

La sua decorazione interna e soprattutto la sua vicinanza alla sala delleudienze, ha fatto ipotizzare, a ragione, che questa stanza remota non servis-se soltanto come luogo di studio, ma che avesse anche una funzione pubbli-ca e di propaganda.

Non è questa, tuttavia, la sede per ripercorrere le vicende relative allostudiolo di Urbino21. Mi piace soltanto rilevare che esso, con il programmaideologico che lo caratterizza, può forse chiarire cosa il duca e i suoi piùstretti collaboratori intendessero come ‘diletto’. La presenza di un ciclo diuomini illustri, infatti, costituito da uomini di Chiesa, di scienza, di cultura,da Aristotele a Dante, da Petrarca a Virgilio, da Cicerone a Bessarione, daGregorio Magno a Sisto IV, da Euclide ad Agostino, dice molto sulle prefe-

19 Vespasiano da Bisticci, Le Vite cit., I, pp. 383-384. Sulla passione di Federico per lamusica si veda, inoltre, N. Guidobaldi, La musica di Federico. Immagini e suoni alla corte diUrbino, Firenze 1995 (Studi e testi per la storia della musica, 11).

20 Sulla tradizione dello studiolo nel Rinascimento si veda W. Liebenwein, Studiolo. Sto-ria e tipologia di uno spazio culturale, Modena 1988.

21 Si rimanda al volume L. Cheles, Lo studiolo di Urbino. Iconografia di un microcosmoprincipesco, Modena 1991. Si veda anche il già citato Cheles, «Topoi» e «serio ludere» cit., pp.269-286 e C.H. Clough, Lo studiolo di Gubbio, in Federico di Montefeltro. Lo stato cit., pp.287-299. Da ultimo cfr. il recente Lo studiolo di Federico di Montefeltro, cur. O. Raggio - A.M.Wilmening, Milano 2009.

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renze del duca in materia di libri e sembra riflettere, come aveva notatoAndré Chastel, l’organizzazione in teologia, filosofia, poesia e legge, in cuiera suddivisa la biblioteca, così com’è descritta nella biografia dedicata aFederico da Giovanni Santi22. L’accostamento, inoltre, di tali figure a unaserie di tarsie lignee che raffigurano gli oggetti più disparati, dall’armaturadel duca ai libri sfogliati dal vento, dai leggii agli strumenti musicali e a quel-li per la misurazione geometrica e astronomica, una sorta di grande catalo-go figurato delle passioni di Federico, riporta al locus amoenus dell’antichi-tà classica, a un arcano luogo del ‘diletto’.

E allora il ‘diletto’ alla corte di Urbino si lega strettamente con il recu-pero della classicità dell’Umanesimo e ha nei personaggi raffigurati nello stu-diolo le sue punte di diamante. Federico, Ottaviano, Battista e l’intera cor-te trascorrono il loro tempo nella lettura di testi filosofici, testi storici, testitecnico–scientifici. E non è un caso che nelle Jocundissimae disputationes,Martino Filetico narra di Battista che ordina alla sua dama di compagnia,Maddalena, di portarle un libro di Cicerone23. Il ‘diletto’ è dato, dunque,dalla lettura dei libri amati. Federico dota la sua biblioteca dei libri che sen-te più vicino, che incarnano la sua essenza di principe umanista e da essi traeil proprio ‘diletto’. È ancora Vespasiano che parla: «Volle avere piena noti-zia [...] delle istorie, le quali aveva lette tutte et spesso le legeva, et facevalegere Livio, Salustio, Quinto Curtio, Giustino, Comentari di Cesare [...],tutte e quarantotto le Vite di Plutarco [...], Cornelio Tacito, Svetonio»24. Adaccompagnare la lettura probabilmente cantori, pifari et sonatori, e, a pro-posito della loro presenza, è utile ancora leggere il trattatello dell’Ordine etofficij de casa25.

Il ‘diletto’ così rientra a pieno titolo all’interno dei valori della corte uma-nistica. Ciò che cambia sono le opere e i testi utilizzati per il raggiungimen-to di tale scopo. Sembrano riecheggiare ancora le parole che Petrarca scri-veva in una delle Familiari a Giovanni Anchiseo: «[…] libri medullitusdelectant, colloquuntur, consulunt et viva quadam nobis atque arguta fami-liaritate iunguntur […]»26.

22 A. Chastel, Arte e umanesimo a Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico, Torino 1979,p. 367.

23 Cfr. Martino Filetico, Jocundissimae disputationes, ed. G. Arbizzoni, Firenze 1992, p.187 e Bonvini Mazzanti, Battista Sforza cit., p. 117.

24 Vespasiano da Bisticci, Le Vite cit., I, p. 382.25 Si veda, supra, nota 16.26 Ad Iohannem Anchiseum, in Francesco Petrarca, Le familiari, cur. V. Rossi, I, Firen-

ze 1933, p. 139.

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