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Inquieta Marmora. I capitelli romani del Museo Regionale di Messina

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MMXIV

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SOMMARIO

, Architetture onorarie dell’agorà di Alesa, 1. Il monumento dei Seviri Augustales : analisi e proposta ricostruttiva 11

, Inquieta marmora. I capitelli romani del Museo Regionale di Mes- sina 47

, Un impianto per la salagione del pesce di prima età imperiale a Ceril- lae (Diamante, Cosenza), lungo la costa tirrenica cosentina 75

, La ceramica della facies di Licodia Eubea. Per una definizione del re- pertorio ceramico indigeno della Sicilia centro-orientale in età arcaica 109

, I rilievi figurati dei Ninfei di Hierapolis di Frigia : il tema dell’ama- zonomachia nella decorazione architettonica dell’Asia Minore 123

, Akragas arcaica. Modelli culturali e linguaggi artistici di una città greca d’Occidente (Gioacchino Francesco La Torre) 133Gela-Survey. 3000 Jahre Siedlungsgeschichte in Sizilien, Hrsg. Johannes Bergemann (Gioacchino Francesco La Torre) 139

INQUIETA M AR MOR A. I CAPITELLI ROMANI DEL MUSEO REGIONALE

DI MESSINA

collezione archeologica del Museo Regionale di Messina 1 comprende un gruppo di capitelli che, alla luce dell’analisi stilistica pur mostrando caratteri di eterogenei-

tà, rivelano la comune appartenenza allo stesso arco cronologico coincidente con l’età romano-imperiale ( sec. d.C.).

I capitelli, che non conoscono ancora una loro precisa collocazione, si trovano attual-mente divisi tra il cortile esterno, gli spazi espositivi e i magazzini del Museo ; essi pongo-no delle difficoltà circa il loro inquadramento, stilistico e cronologico, derivanti dalle esi-gue conoscenze relative al contesto archeologico di rinvenimento, ma anche alle vicende della loro acquisizione al patrimonio del Museo di cui sono entrati a far parte nella prima metà del secolo scorso, insieme con la copiosa quantità di marmi di età moderna prove-niente dagli edifici distrutti in seguito ai due principali eventi disastrosi – il terremoto del 1908 e i bombardamenti del 1943 – che hanno danneggiato gravemente la città.

Questi capitelli sono, pertanto, da considerare come le sole testimonianze di ipotetici e non meglio identificabili monumenti architettonici della facies romano-imperiale di Mes-sina, sopravvissute ai molteplici assedi, distruzioni, ricostruzioni e trasformazioni che hanno modificato, in particolar modo nel corso degli ultimi secoli, l’aspetto urbano.

Il solo studio nel quale sono stati presi in considerazione alcuni dei capitelli oggetto del presente contributo è quello del 1966 di Giuseppe Agnello dal titolo I capitelli bizantini del Museo di Messina ; in esso lo studioso riunisce in maniera impropria sotto la comune denominazione di ‘bizantini’ capitelli antichi rilavorati riutilizzati in età, probabilmente, normanna e capitelli tardo-antichi e bizantini senza però illustrarne le differenze in ma-niera dettagliata. 2

La mancanza di studi specifici sui capitelli nel Museo o più genericamente sugli ele-menti antichi di decorazione architettonica provenienti dalla città di Messina si inserisce nel più vasto panorama della letteratura scientifica la quale soffre ugualmente della stessa carenza per quanto concerne tutta la Sicilia e la rende, salvo alcune realtà monumentali, 3 un territorio ancora quasi del tutto inesplorato.

1 Desidero esprimere un vivo ringraziamento alla dott.ssa Giovanna Maria Bacci, direttrice del Museo Regiona-le di Messina, per avere autorizzato lo studio dei materiali che sono qui presentati. Estendo il mio ringraziamento a tutto il personale del Museo e in maniera particolare alla compianta dott.ssa Anna Carbè, già responsabile della collezione archeologica, per aver seguito ogni passo della mia ricerca con rara disponibilità. Al prof. Lorenzo Cam-pagna dell’Università di Messina indirizzo la mia riconoscenza per le fruttuose discussioni e gli indispensabili consigli elargitimi nel corso dello studio.

2 1 . Fatto salvo questo contributo, i soli riferimenti ai capitelli provenienti dal Duomo normanno della città, minimi e non circostanziati, sono contenuti in studi di carattere generale : cfr. 1 , p. 57 ;

1 , p. 245. Entrambi gli studiosi, infatti, si limitano ad accennare soltanto alla presenza di elementi di reimpiego (capitelli e colonne) nell’ambito della fabbrica del Duomo.

3 A tal proposito si segnalano 1 , pp. 3-88 ; e i due recenti contributi rispettivamente sui teatri di Taormina e Catania : , pp. 213-255 (riedito in , pp. 129-154 ;

1 , pp. 57-99) ; , pp. 187-212. Alcuni aspetti relativi alla decorazione architettonica, soprattutto per quanto riguarda alcuni monumenti quali il teatro di Taormina, di Catania o il cosiddetto Ginnasio di Siracusa sono affrontati anche da 1 , p. 57 sgg.

Anche riguardo la Messana romana lo stato della ricerca è giunto a un livello che ancora può senz’altro definirsi superficiale : la topografia della città, infatti, con la localizzazione delle principali aree pubbliche, nelle quali è ipotizzabile la presenza di eventuali edifici monumentali, appare ancora ben lontana dall’essere chiara. 1 Ciò è dovuto a una molteplicità di fattori che hanno complicato nel corso degli anni le in-dagini : in primo luogo la particolare conformazione della città soggetta a terremoti disastrosi ed esondazioni di torrenti, che ne hanno nel corso dei secoli sconvolto il territorio, insieme con la sovrapposizione del centro moderno che ha obliterato la città antica. 2

È chiaro come un quadro generale dominato da questa complessità sia causa di una serie di problematiche di contestualizzazione : ciononostante, alla luce delle metodologie impiegate in aree distanti dalla Sicilia ma non scevre da problematiche similari, 3 è stato avviato da chi scrive uno studio sul territorio della città che ha consentito di ricavare al-cuni dati dall’analisi dei materiali sporadici schedati che rappresentano un primo passo verso una conoscenza delle testimonianze della realtà monumentale della città romana attraverso le forme della decorazione architettonica. 4 Gli elementi architettonici analiz-zati consentono di attestare la presenza di forme classicheggianti appartenenti agli esordi dell’età imperiale, come le cornici di via Geraci o le Blockkonsolen (di c.da Pistunina ?) da considerare degli hapax in Sicilia, e la presenza di prodotti come il capitello corinzio asiatico dal centro della città o le cornici di c.da Pistunina che evidenziano una fioritura dell’attività decorativa durante il periodo medio-imperiale, che trova conforto anche tra i capitelli in oggetto.

Risulta oltremodo complessa la ricostruzione dei contesti di rinvenimento dei singoli elementi : per la maggior parte dei capitelli della collezione, infatti, non si conosce nulla circa la provenienza o l’epoca di acquisizione al patrimonio del Museo.

I soli capitelli per i quali si ha qualche dato in più sono una coppia (cat. 7-8) recupera-

1 Tracce di un’area pubblica sono state localizzate nel cortile di Palazzo Zanca interessato da un’intensa attività di scavo a partire dalla fine degli anni ’80 : cfr. 1, pp. 105-118 ; dallo stesso sito si aveva già notizia di alcuni recuperi risalenti al 1916 quali una base ionico-attica e un capitello corinzio marmorei non meglio identificati : cfr. 1 , pp. 339-340. Meno probabile è la continuazione in età imperiale delle funzioni pubbliche della presunta agorà, parzialmente identificata durante gli scavi del 2005-2006 nel tratto di Corso Cavour corrispondente all’attuale Piazza Duomo : cfr. , pp. 359- 386 ; , pp. 127-128.

2 La ricerca archeologica sulle fasi di età romana della città risente di quello stato di trascuratezza negli studi che ha accomunato tutta la Sicilia in favore delle fasi greche ed ellenistiche. Per una storia delle ricerche si veda 1 p. 16. La ricerca degli ultimi due decenni, attraverso l’apertura di numerosi cantieri nell’area urbana, ha dato un notevole incremento alle conoscenze sullo sviluppo della città in tutte le epoche, anche se nella fattispecie l’im-possibilità di effettuare indagini estensive in un’area che è completamente urbanizzata, non ha ancora consentito di chiarire quale fosse lo sviluppo della città in età imperiale. Per i principali siti di età romana e una bibliografia relativa si veda : il catalogo della Da Zancle a Messina.

3 Da due decenni ormai la letteratura sulla decorazione architettonica d’età romana rivela degli orientamenti indirizzati al superamento della semplice analisi delle categorie dei materiali, puntando all’approfondimento del contesto storico e impostando diacronicamente una ricerca per località, che consideri i risultati dell’analisi formale in termini di individuazione di maestranze, di committenze, di rapporti socio-ambientali. Importanti punti di rife-rimento a tal fine sono gli studi di P. Pensabene, sui centri dell’Italia centrale e meridionale, di M.P. Rossignani e di G. Cavalieri Manasse sull’Italia settentrionale nei quali l’analisi stilistica, estremamente dettagliata, appare finalizzata allo sviluppo di problematiche di più ampio respiro quali quelle suesposte. Gli studi su Parma e Como, ad esempio, hanno consentito, attraverso una completa analisi del materiale frammentario, di tracciare una storia urbanistica delle rispettive città con l’acquisizione di dati nuovi, partendo sempre dall’analisi di elementi decontestualizzati e in assenza di materiale epigrafico. Per citare i principali contributi si vedano : 1 ; 1 ; , 2012 ; , 2005.

4 I dati ricavati da questo studio sono confluiti in una recente pubblicazione alla quale si rimanda per l’analisi dei frammenti di decorazione architettonica : 1 .

ta da Paolo Orsi 1 in uno dei cantieri della città e i capitelli provenienti dalla fabbrica del Duomo.

In riferimento a questi ultimi, attraverso lo studio di Agnello, insieme con un control-lo degli inventari e del materiale fotografico d’archivio, è stato possibile individuare un sottogruppo, all’interno della collezione, costituito da cinque esemplari provenienti dal Duomo, dal quale sicuramente furono asportati nel secondo dopoguerra, in seguito ai rovinosi bombardamenti del ’43, quindi portati al Museo. La prova di ciò è rappresenta-ta dalla loro assenza nell’inventario del Regio Museo e dalla regolare registrazione, con specifica indicazione di provenienza ‘Duomo’, nell’ultimo inventario stilato nel riallesti-mento post-bellico delle collezioni.

I capitelli provenienti dal Duomo, cinque in tutto (cat. 1-4 ; 9 ; . 1-5 ; 7 ; 12) sono tutti corinzi di tipo occidentale, ad eccezione del cat. 9 che è di tipo asiatico.

La mancanza sia di dati relativi all’esatto luogo di rinvenimento dei capitelli sia di mate-riale fotografico dettagliato degli interni del Duomo, prima della sua quasi totale distru-zione, rende piuttosto difficile anche solo ipotizzare una loro possibile collocazione.

È, però, molto probabile che nessuno può essere riconducibile al colonnato della nava-ta centrale per ragioni dovute alle dimensioni, troppo esigue rispetto alle colonne mono-litiche dello stesso alle quali sono, invece, pertinenti altri capitelli compresi nelle raccolte del Museo, ma di epoca più tarda. 2

Questo reimpiego trova riscontro anche dall’analisi dei pezzi che rivela la presenza di segni di rilavorazione come l’asportazione degl’ima folia (cat. 3, . 5) o il riadattamento della parte superiore dell’abaco (cat. 1, . 3-4), evidentemente praticati per un nuovo uso.

Il gruppo apre una questione particolarmente interessante che riguarda il reimpiego di materiali antichi nell’ambito delle architetture religiose normanne in Sicilia documen-tato in molti edifici, che non manca di avere le sue attestazioni a Messina ; l’esempio maggiormente evidente è costituito dal fregio-architrave della chiesa di S. Maria della Valle, meglio nota come Badiazza, ma anche dai reimpieghi uniti alle numerose citazioni dell’antico della chiesa della SS. Annunziata dei Catalani. 3

Alla luce di ciò è legittimo porsi un quesito, relativamente a questi capitelli di spoglio del Duomo : se cioè sono da ritenere provenienti dalla città o da oltremare, considerato che il commercio di marmi antichi nel Medioevo rappresenta un fenomeno piuttosto fre-quente, in special modo per quanto riguarda la Sicilia sotto la dominazione normanna. 4 Non essendovi elementi sufficienti per poter formulare anche solo una risposta ipotetica a questo problema – sono esigue, infatti, le conoscenze sulla città romana e i suoi edifici – la questione sembra destinata, allo stato attuale, a rimanere insoluta.

1 1

Il più antico esemplare della collezione è il cat. 1 ( . 3-4) : malgrado il cattivo stato di conservazione che rende poco leggibili le due corone di foglie, in particolare la prima mancante della parte inferiore, esso evidenzia da un punto di vista proporzionale carat-teri che sono tipici della produzione della prima metà del sec. d.C. Gli elementi che lo

1 Per la discussione relativa al contesto dei capitelli cat. 7-8 si veda infra, p. 12 sgg.2 Cfr. 1 , fig. 1-3. 3 Per un’analisi degli elementi provenienti dai due edifici cfr. 1 .4 Per uno studio sul problema del reimpiego di materiali antichi nell’architettura normanna cfr. 1 ;

e anche 1 , p. 293 sgg. Sulla commercializzazione dell’antico che, interessando molte regioni del Medi-terraneo, ebbe uno dei suoi picchi in età normanna, cfr. 1 ; 1 .

connotano – la seconda corona di foglie, con una costolatura centrale a sezione concava svasata verso l’alto, i caulicoli obliqui verso l’esterno con orlo convesso, attraversati da leggere solcature verticali, la foglia liscia alla base dello stelo al posto del calicetto – pos-sono essere considerati in continuità con la produzione augustea ma l’uso del trapano, che viene impiegato a partire da età tiberiana, 1 costituisce un elemento a favore di una datazione posteriore.

La serie di confronti, che possono supportare questa datazione, è piuttosto vasta : in primo luogo è possibile citare alcuni capitelli ostiensi datati tra la fine dell’età augustea e l’inizio dell’età giulio-claudia aventi i medesimi elementi : 2 in particolare, come in un capitello da Ostia ( . 19), nel nostro si nota la sovrapposizione del lobo inferiore delle foglie su quello mediano, indice anche questo di recenziorità rispetto agli esemplari pro-priamente augustei. 3

Confronti simili posso citarsi anche a Roma ( . 20), 4 ad Aquileia, dove un capitello d’anta presenta un trattamento morbido dell’acanto simile a quello del capitello in ogget-to, 5 e in Sardegna. 6 Sembra pertanto verisimile una datazione alla prima metà del sec. d.C., probabilmente al secondo venticinquennio.

Il capitello presenta poi delle particolarità che riguardano l’abaco : esso mostra i segni di una rilavorazione che, smussati gli spigoli, ne ha ridisegnato i lati rendendoli tangenti al kalathos, in tal modo il punto di vista dello stesso viene modificato in quanto il lato principale risulta essere la faccia angolare del capitello di partenza. Tale intervento, che rivela una mancanza di comprensione del capitello e del suo orientamento, è da far risa-lire a un probabile reimpiego dello stesso successivamente al suo recupero (epoca della dominazione normanna ?).

Il piano di attesa reca i segni per l’alloggiamento degli elementi dell’epistilio costitu-iti da tre cavità quadrangolari collegate a dei piccoli canali per lo scolo dei residui della piombatura tipico di un sistema di messa in opera che appare piuttosto frequente in età imperiale. 7

1 1 1

Gli esemplari ascrivibili alla produzione di sec. d.C. sono quelli in maggior numero nell’ambito della collezione : ciò non costituisce un elemento particolarmente sorpren-dente in questa fascia territoriale, se si considera che proprio nei primi decenni del secolo viene avviato il primo grande cantiere dell’isola, quello del teatro di Taormina, che con la ristrutturazione della scenae frons e della sua decorazione marmorea coinvolge mae-stranze di provenienza romana e centro-italica le quali dovettero, senza dubbio, avere un peso significativo nell’introduzione di nuovi modelli, forse anche con il coinvolgimento di maestranze locali. 8

I capitelli di Messina sembrano rivelare, alla luce dell’analisi stilistica, dei legami piut-tosto stretti con area romana, e mettono in luce la sopravvivenza di modelli e stilemi diversi, ad esempio flavi o augustei, che nel sec. d.C. convivono insieme con il nuovo stile nato nelle officine del Foro di Traiano.

1 1 , p. 217. 2 1 , tavv , nn. 216-219.3 Ivi, p. 57. 4 Cfr. MNR 1982, pp. 51-52, II, 20.5 1 , pp. 61-62, tav. 12,1. Allo stesso orizzonte cronologico appartengono anche pp. 111-112,

nn. 85-86.6 A tal proposito vengono indicati numerosi esempi cfr. 1 , pp. 62-63, n. 41. 7 1 , p. 241. Vedi anche 1 , p. 195, n. 46.8 Per la bibliografia relativa al teatro di Taormina e alle origini delle maestranze cfr. p. 47, n. 3.

Il capitello cat. 2 ( . 12), si inserisce nell’ambito di quella corrente flavia che non cessa di essere produttiva anche durante i primi decenni del sec, d.C. e oltre, con i cambia-menti dovuti agli influssi del nuovo gusto. 1

Prova ne sono alcuni dettagli, come ad esempio le foglie piatte, dal contorno liscio percorse da profonde solcature verticali o i caulicoli composti da foglioline verticali e or-lo ad anello con incisioni a ‘Y’ ; ciononostante la resa risulta nettamente diversa : l’effetto coloristico è sicuramente minore per un impiego del trapano più moderato e anche la distribuzione degli spazi risulta più aderente alla nuova moda degli inizi del sec. d.C. Il confronto con un esemplare adrianeo proveniente da Villa Adriana ( . 23) 2 e con alcu-ni provenienti da Ostia, che afferiscono allo stesso tipo e sono datati con certezza all’età adrianea ( . 24), 3 consente di avvicinare il capitello di Messina a questa produzione di

sec., in particolar modo per il tipo di foglia di acanto e di caulicolo : risalta però l’esecu-zione più fredda e piatta delle foglie del kalathos che sembra distanziarlo sia dai prototipi flavi di sec. sia da quelli di tradizione flavia di età adrianea. Per questa ragione è pensa-bile un’esecuzione da parte di maestranze non direttamente legate a Roma che hanno prodotto un tipo semplificato ma sempre riconducibile ai modelli della prima metà del

sec. d.C.Un retaggio della tradizione flavia 4 si può scorgere anche nel cat. 3 ( . 5), di molto

più tardo rispetto al precedente, in particolare nel rilievo piuttosto alto delle foglie che crea zone d’ombra in evidente contrasto con la superficie liscia del kalathos. Ciò convive con una struttura tettonica e distributiva degli elementi di matrice adrianea che consen-tono di inquadrarlo nel pieno sec. d.C. come sembrano suggerire una serie di confronti provenienti sia da area romana 5 sia dal nord Italia. 6 L’elemento più caratteristico è rap-presentato dal caulicolo : esso occupa l’intero spazio tra le foglie della seconda corona dalle quali si distingue mediante pochi tratti, come il solco centrale profondo e l’orlo con incisione centrale a ‘Y’. Quest’ultimo particolare, con la la variante della doppia incisione a ‘Y’ sull’orlo del caulicolo, è anche su un esemplare di provenienza ostiense, di esecu-zione certamente più raffinata, che mostra un simile trattamento dell’apparato fogliaceo ( . 25) ; 7 la datazione di questo, sulla base del contesto di rinvenimento agli ultimi due decenni del sec. d.C., fornisce un elemento ulteriore per formulare una cronologia del cat. 3 non oltre la seconda metà dello stesso secolo.

Un aspetto affatto particolare, di ‘non finito’, è quello del capitello cat. 4 ( . 1-2), che costituisce un unicum nella collezione ma anche tra i materiali del presente catalogo. Non si tratta di un caso raro dal momento che vi sono altre attestazioni : 8 avendo però il capitello messinese alcune foglie della seconda corona finite per metà e solo due cau-licoli completati potrebbe far pensare che si tratti di un caso di capitello realmente non finito e non appositamente non lavorato per ragioni di risparmio di manodopera. Da un punto di vista stilistico il capitello è da considerare di tipo corinzio normale come si evince dalla sua impostazione e dal tipo di foglia di acanto utilizzata : essa presenta due

1 Pensabene ha messo in evidenza come questo perdurare di una tipologia di capitelli di origine flavia anche du-rante il sec. d.C. sia particolarmente evidente a Ostia, meno che a Roma, dove è più forte l’influenza esercitata dai cantieri del foro di Traiano e più tardi dalle edificazioni adrianee. Cfr. 1 , pp. 226-227.

2 1970, tav. 59, 1. 3 1 , p. 64, nn. 247-249.4 V. p. 50, n. 1. 5 1 , p. 73 sgg. 295-296. 6 1 , p. 58, n. 54.7 1 , p. 74, n. 296. Lo studioso osserva plausibilmente che il capitello si inserisce in una tradizione

che fa capo al colorismo tipicamente flavio ma che rimane produttiva per tutto il sec. d.C.8 Tra questi un capitello di Ostia che, a differenza del presente, mostra un’intera faccia non finita lasciando com-

prendere che possa trattarsi di una soluzione adottata per evitare di completare una parte che sarebbe rimasta nasco-sta alla vista : cfr. 1 , tav. , 290.

profondi solchi che definiscono la costolatura centrale, attraversata da un’incisione meno profonda che si biforca alla base. Una serie di caratteristiche consentono di accostarlo alla produzione degli inizi del sec. d.C., a una tipologia creata nelle officine attive nel foro di Traiano.

A tal proposito è possibile fare riferimento a una serie di confronti, distinguendo i pro-dotti propri delle officine della capitale, che sono certamente di una qualità superiore, 1 da quelli più provinciali ai quali il nostro maggiormente si avvicina, provenienti da siti fuori Roma. Tra questi sono da considerare due capitelli di Verona, forse dal teatro, che evidenziano alcuni elementi simili all’esemplare messinese quali la sovrapposizione dei lobi inferiori delle foglie a quelli superiori, i caulicoli verticali con due solcature che li at-traversano verticalmente, il calicetto ‘ad alabarda’ rifinito a trapano, e le elici con un bor-do profilato e sezione angolare ( . 26). 2 Essi afferiscono a quello che Heilmeyer chiama stile centro-italico e per il quale indica come esempi alcuni capitelli di Tivoli e di Ostia che si caratterizzano per la sopravvivenza di influssi flavi. 3

Il capitello cat. 5 ( . 15), 4 malgrado le parti angolari siano danneggiate, mostra un eccellente stato di conservazione delle corone di foglie del kalathos che consente di osser-vare alcuni dettagli utili per un inquadramento del pezzo. Fin da un’analisi macroscopica è possibile osservare una serie di caratteristiche – una quasi bipartizione del kalathos e con la parte inferiore occupata dalle due corone di foglie, la parte superiore dagli altri ele-menti, tra i quali le elici a nastro dall’aggetto limitato 5 – ascrivibili alla produzione della prima metà del secolo e rappresentati da una gruppo di capitelli provenienti dal foro di Traiano. 6

L’analisi dei folia, invece, rivela l’appartenenza del pezzo a una fase più tarda : le foglie piatte, disposte in maniera aderente al kalathos, con una costolatura centrale solcata leg-germente al centro e le foglioline dei lobi inferiori sovrapposte a quelle superiori, con gli spazi creati a forma triangolare o a forma verticale allungata, le foglie della seconda coro-na, il caulicolo formato da foglie verticali con l’orlo vegetalizzato, ottenuto con incisioni ‘a Y’, sono elementi che consentono di collocare il capitello in età adrianea, quando non è rara la rivisitazione di elementi ripresi dal classicismo augusteo quali quelli succitati o il fiore dell’abaco ‘a margherita’ con la serpentina al centro. 7

Le caratteristiche appena evidenziate consentono di individuare numerosi confronti provenienti da più parti dell’impero e utili per l’inquadramento cronologico e stilistico del capitello : oltre a esemplari di area centro-italica e romana ascrivibili all’inizio del seco-lo 8 possono citarsi alcuni provenienti dalla Sardegna, che però presentano la variante del-la fogliolina invece del calicetto, 9 e dall’Italia settentrionale. 10 Un confronto più stringente può essere individuato con un capitello proveniente dal teatro di Italica del quale si ha una cronologia più certa in età adrianea e che presenta numerosi elementi di confronto con l’esemplare messinese tra i quali l’apparato vegetale e i dettagli dell’esecuzione delle foglie. 11

1 Tra questi è possibile annoverare alcuni capitelli provenienti dal Foro di Traiano. Cfr. 1 , Taf. 52,2-3 ; 53, 2.

2 1 , pp. 56-57, nn. 52-53. Lo studioso riporta una serie di esempi per lo stesso tipo che comprendono altri capitelli dell’Italia centrale e settentrionale.

3 1 , Taf. 59,2 (Ostia, Capitolium) ; Taf. 58, 1-4 (Tivoli, Villa Adriana). 4 Questo capitello è uno dei primi a essere entrato nella collezione del Museo, come risulta dagli inventari, si veda

scheda, s.v. Annotazioni. 5 Cfr. 1 , p. 207 sgg. 6 Cfr. 1 , p. 149 sgg. 7 v. supra n. 5. 8 1 , p. 62 sgg. 9 1 , p. 69 sgg. 10 1 , p. 55 sgg.11 , p. 371, fig. 21.

Il capitello cat. 6 ( . 8-9) posto nel nuovo allestimento del Museo, nonostante le alterazioni prodotte dalla rilavorazione, che ne ha ridotto considerevolmente le superfi-ci a tal punto che di esso rimane meno della metà, presenta elementi utili per un’analisi completa.

Esso è accostabile ad alcuni esemplari di età adrianea provenienti da Villa Adriana ( . 23) 1 e da Ostia (fig. 24) 2 i quali sono riconducibili a una tipologia che nasce e si sviluppa a partire dall’età flavia 3 rimanendo produttiva anche nei decenni successivi e in particolare nel II sec. d.C. : essi sono accomunati da una forma del kalathos cilindrica con un orlo ben rilevato, le foglie delle due corone piatte e attraversate da profonde solcature ad anda-mento piuttosto regolare, caulicoli leggermente obliqui, percorsi da scanalature e coro-nati da un orlo a fogliette che regge calici vegetalizzati e elici a sezione concava. La diffe-renza rispetto ai prototipi flavi è, però, costituita dalla resa con un uso del chiaroscuro più moderato, evidente dai sottosquadri meno profondi maggiormente in linea con il gusto classicheggiante di età adrianea : questo è ancora più evidente nell’esemplare messinese dove l’uso del trapano è più lieve, soprattutto nelle foglie della prima corona che, specie nei lobi laterali, risultano ancora più piatte, separate da leggere solcature.

La presenza di terminazioni posticce per il lobo superiore di due delle foglie della pri-ma e della seconda corona è relativa a un restauro operato in antico, consistito nella sosti-tuzione della parte superiore danneggiata delle foglie con una nuova inserita in un foro ‘a galleria’ praticato per l’alloggiamento dell’integrazione, simile a quello che è visibile sul retro del capitello. Si tratta di un uso non infrequente, specialmente a partire da età flavia in poi per il quale possono citarsi innumerevoli esempi 4 ( . 24 ; 26).

Queste considerazioni sembrano contribuire a rendere verisimile l’ipotesi di una da-tazione di questo entro il primo trentennio del sec. d.C., in un arco cronologico non distante da quello degli esempi proposti.

Un altro capitello che rientra nell’ambito di quelli databili nel sec. d.C. è il cat. 7 ( . 14). Da un punto di vista proporzionale l’altezza delle due corone di foglie, che si dispon-gono a occupare i 2/3 del kalathos, costituisce già un elemento che spinge a cercare dei confronti nell’ambito della produzione della prima metà del sec. d.C. : il dato sembra corroborato anche dallo sviluppo piuttosto limitato delle elici che appaiono di dimensio-ni considerevolmente ridotte, rispetto agli esemplari degli inizi dello stesso secolo. Un elemento significativo è rappresentato dal caulicolo tortile con orlo ad anello e con sepali rovesciati che risulta abbastanza raro in Sicilia : un esemplare che presenta questo tipo di soluzione è un capitello del teatro di Taormina, rimontato nel frontescena, databile con buona approssimazione ai primi decenni del sec. d.C. ( . 34). 5

Se da un punto di vista proporzionale si nota una simile distribuzione degli spazi, non può dirsi altrettanto per la resa stilistica : l’esemplare taorminese, infatti, utilizza un tipo di foglia che sembra ispirata a modelli asiatici differentemente da quello messinese che, invece, è riconducibile alla tradizione occidentale sia per l’uso della foglia, sia per il na-stro lateralmente profilato delle elici e probabilmente anche delle volute che risultano scomparse.

Gli ultimi due capitelli di seguito esaminati sono i soli della collezione ad appartenere alla tipologia corinzio-asiatica che si diffonde a partire dalla seconda metà del sec. d.C. anche se ciò necessita di alcune considerazioni.

1 1 , tav. 59, 1-2. 2 1 , p. 64, n. 247. 3 1 ,4 Simili restauri sono praticati anche durante e dopo l’età adrianea, con dei fori rispettivamente a sezione circolare

e trapezoidale, cfr. 1 , pp. 56-57, nrr. 52-53. Cfr. 1 , tav. , nrr. 260, 261, 262, 263, 296 et alia ; 1 , p. 19, tav. 51,3 ; 1 1. 5 , p. 237, n. 110.

Il capitello cat. 8 ( . 13), nonostante le difficoltà derivanti da un cattivo stato di con-servazione della superficie che appare fortemente abrasa consente, attraverso l’analisi di alcuni elementi specifici, un corretto inquadramento cronologico. La parte inferiore degl’ima folia, quella meglio conservata, rivela l’utilizzo dell’acanthus spinosus nelle estre-mità delle foglioline dei lobi i quali si avvicinano senza però toccarsi. Anche i caulicoli ‘a spigolo’ e le foglie schematizzate del calice, che fanno da sostegno a delle elici molto ridotte, sono elementi che consentono di inserire il pezzo nell’ambito della produzione asiatica del tardo -inizi sec. d.C.

Nell’ambito della vasta produzione corizio-asiatica un confronto che appare pertinen-te è certamente rappresentato da un capitello proveniente dal teatro di Taormina (fig. 18), 1 anche questo in cattivo stato di conservazione essendo mutilo della parte inferiore del kalathos : malgrado le differenze stilistiche legate all’esecuzione, che si evidenziano chiaramente nella realizzazione delle foglie, è ravvisabile la medesima impostazione tet-tonica, che trae la sua origine dall’oriente asiatico per poi diffondersi in forma di prodotti seriali in molte regioni dell’impero. 2 Esemplari simili sono attestati altrove in Sicilia : nel-la Villa del Casale di Piazza Armerina, in alcuni capitelli del peristilio ; 3 a Tindari, in un esemplare proveniente dal decumano ; non mancano poi i confronti di ambito romano come un capitello del Museo delle Terme 4 o due capitelli ostiensi della fase severiana del palazzo imperiale. 5

Ciononostante l’esemplare messinese sembra frutto di un’esecuzione più corsiva so-prattutto per quanto concerne l’apparato fogliaceo che mostra foglie piuttosto piatte e con solcature poco profonde rispetto agli esempi citati. Alla luce di ciò non sarebbe da escludere l’esecuzione del pezzo da parte di maestranze locali forse sulla base di modelli di importazione che giungono sull’isola già a metà del sec. d.C.

Il cat. 9 ( . 7) oltre a essere privo di una porzione consistente reca nella parte supe-riore evidenti segni di rilavorazione che rendono leggibili solo le due corone di foglie del kalathos. Queste, costituite da foglie di acanthus spinosus, sono piatte e costituite da inci-sioni poco profonde che ne caratterizzano i lobi. Il risultato è distante da quella rigidità che contraddistingue alcuni esemplari di tardo sec. o sec. pure variamente attestati in Sicilia e commercializzati in tutto il Mediterraneo : 6 nonostante le estremità dei lobi siano appuntite, le foglie nell’insieme risultano piuttosto morbide ed espanse e i punti di contatto tra loro limitati a formare uno spazio a losanga tra le foglie della prima e della seconda corona.

Malgrado la rilavorazione della parte superiore, è visibile il caulicolo a spigolo con un calice ridottissimo e un andamento delle elici dal profilo schiacciato all’interno di uno spazio fortemente limitato a vantaggio della parte inferiore del kalathos.

1 , p. 223, n. 117.2 Per una sintesi sullo sviluppo di questa classe di capitelli si veda 1 , p. 237 sgg.3 La Villa del Casale, pp. 210-211 (tipo B). 4 1 , p. 126 sgg. n. 305, Taf. 45, d.5 1 , p. 227, tav. , n. 347-348.6 La diffusione dei capitelli corinzi asiatici si registra a partire da età medio-imperiale sotto la spinta di una ri-

chiesta sempre maggiore, e a costi più contenuti, di prodotti finiti a partire da località situate in Oriente in cui la disponibilità del marmo diventa la condicio per lo sviluppo di officine specializzate nella lavorazione dello stesso. Per una classificazione dei tipi importati in Occidente si veda 1 , p. 304 sgg. Le principali attestazioni in Sicilia di questo tipo di capitelli si hanno : a Taormina, sia dalla fase severiana del teatro (fine inizio sec. d.C.) sia sporadiche, cfr. , p. 223 ; a Piazza Armerina, cfr. La Villa del Casale, p. 209 sgg. ; a Catania, cfr. 1 , pp. 171-180 ; a Messina, cfr. 1 , pp. 185-216 e sporadici provenienti da Centuripe, Tindari e Patti. Questi ultimi due e quelli di Taormina sono stati oggetto di studio da parte di chi scrive nell’ambito di una tesi di Dottorato in Scienze Archologiche e Storiche, dal titolo La decorazione architettonica di età imperiale nelle città della Sicilia nord-orientale, discussa il 7 maggio 2012 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina.

Il capitello presenta delle difficoltà di inquadramento che sono dovute essenzialmente alla resa dell’apparato fogliaceo : sotto il profilo morfologico esso è da ricondurre a un gruppo di capitelli degli inizi del sec. d.C. provenienti da Ostia e da Leptis Magna 1 con i quali condivide la ripartizione degli spazi e la forma degli elementi che lo costitui-scono. Rispetto a questi confronti però si nota una resa delle foglie meno tagliente e più morbida, forse frutto di contaminazione con tipi occidentali : in particolare le foglie della seconda corona, a differenza dei confronti citati che presentano il cosiddetto motivo ‘a corna’, si toccano con i due lobi inferiori che descrivono uno spazio ‘ a losanga’. Questa resa dell’apparato vegetale inserito in una simile struttura rende il capitello piuttosto isolato e privo di confronti stringenti : ciononostante, i dettagli considerati consentono di ricondurlo alla produzione di inizio sec. d.C.

1 1 1 11

Il gruppo di capitelli tardo-antichi è costituito da tre elementi appartenenti all’ultimo scorcio dell’età imperiale che, al momento, costituiscono le sole testimonianze architet-toniche del periodo per la città.

Per la coppia di capitelli cat. 10-11 ( . 10-11) si conoscono le circostanze di recupero da parte dell’Orsi in uno dei cantieri della città, in occasione della ricostruzione post-sismica delle cosiddette Case degli impiegati civili presso il Duomo. 2 Entrambi si trova-vano, fino al 2012, in due settori diversi dei magazzini e in particolare il cat. 8, insieme con gli altri capitelli antichi analizzati e il cat. 7, invece, nella sezione architettonica : è forse per questo motivo che, sfuggendogli il secondo, Agnello considera nel suo studio solo il primo, perdendo l’occasione di poterli esaminare insieme. 3

Entrambi i capitelli sono di piccole dimensioni, se paragonati a quelli del resto della collezione ; da un punto di vista morfologico è possibile evidenziare la notevole vicinanza ad alcuni esemplari piuttosto tardi. Oltre all’impiego dell’acanto spinoso è evidente una distribuzione delle corone delle due foglie sull’intero kalathos a svantaggio della parte superiore che risulta ridimensionata e privata della funzione portante dei suoi elementi, alcuni dei quali scompaiono, come i calici e le elici o come le volute che sono ridotte a un nastro piatto sorretto dalla foglia angolare. Il risvolto del lobo sommitale delle foglie è del tipo ‘a goccia’ e segue una modalità tipica dei capitelli corinzi tardi. 4

Un esemplare di Francoforte, di provenienza egiziana, può essere accostato ai due messinesi : esso presenta un’impostazione pressoché identica ma con piccole differenze ravvisabili nello spazio semicircolare formato dalle foglie inferiori della seconda corona e da un accenno di elici che, invece, negli esemplari messinesi sono affatto scomparse. 5 Ciononostante l’appartenenza alla stessa tipologia consente di ipotizzare una datazione alla prima metà del sec. d.C. per entrambi i capitelli.

Non è possibile sulla base di quanto pubblicato dall’Orsi nel resoconto dello scavo dell’isolato 1, ricavare dati utili a un migliore inquadramento dei pezzi : infatti, la strati-grafia accuratamente descritta appare essere piuttosto confusa e priva di elementi saldi ai quali ancorare una cronologia. 6 L’esatto luogo del recupero non è ben specificato, a

1 1 , p. 313, n. 9. 2 1 1 , pp. 201-218. 3 1 , p. 16, n. 8.4 1 , p. 137 sgg., figg. 4-6.5 1936, pp. 34-35, Taf. 8, 108. Lo studioso inserisce questo capitello nel gruppo della sua classificazione

di capitelli del tipo ‘mit Doppelhelices ohne Hüllblätter’ datato alla prima metà del sec. cfr. ivi, p. 39.6 Nello strato più recente, occupato da strutture di tipo abitativo, viene indicata la presenza di materiale di spoglio

proveniente da edifici più antichi, insieme con segni di distruzione dovuti a un incendio e a un’alluvione del torrente Portalegna. Cfr. 1 1 , p. 206.

tal punto che lo stesso studioso rivela l’impossibilità di collocare stratigraficamente en-trambi i capitelli e gli altri materiali marmorei quali un frammento di architrave di cui non si ha più notizia e una statua di Igea. 1 Contrariamente a quello che sostiene l’Orsi, e che cioè si possano considerare questi materiali come afferenti a un piccolo edificio san-tuariale, le modeste dimensioni dei capitelli, ma anche la loro datazione piuttosto tarda, potrebbero essere l’indice di un’appartenenza a un edificio privato ( ?) al quale sarebbe pertinente anche il lacerto di pavimento in opus sectile scoperto nello stesso isolato.

L’unico capitello a foglie (Blattkelchkapitell) 2 di tutta la collezione e anche di tutta l’area indagata è il cat. 12 ( . 6). Sebbene esso fosse già stato catalogato nella monumentale opera di Christoph Börker del 1965 viene considerato erroneamente da Agnello assimila-bile ai capitelli “a foglie di canna” e rilavorato in età bizantina. 3

Il tipo presenta numerose attestazioni già a partire dal sec. d.C. tra le quali si annove-rano alcuni capitelli appartenenti ai portici del Traianeum di Pergamo che costituiscono gli esemplari più raffinati, con le foglie risvoltate e l’acanto ancora legato a un disegno medio-imperiale ; 4 gli esemplari milesi a due corone di foglie 5 e quelli romani di età tar-do-adrianea o antonina. 6 Nonostante l’esecuzione piuttosto grossolana e lo stato di con-servazione non ottimale degli ima folia, il capitello è inseribile, sulla base della seriazione ricostruita da Börker, nell’ambito di una produzione tardo-antica di sec. d. C., di cui si conservano pochissimi esempi. Il confronto più immediato è con un capitello di Nico-media ( . 29), che presenta una serie di varianti come delle piccole foglie inserite tra le baccellature ma lo stesso trattamento dell’acanto spinoso con l’estremità dei lobi che si toccano formando una losanga. Allo stesso orizzonte cronologico è riconducibile pure un capitello del Museo di Alessandria ( . 30) che appare vicino al nostro per la divisione degli spazi, quasi equamente ripartiti tra corona di foglie e baccellatura e il doppio aba-co, ma si differenzia per una lavorazione un po’ più grossolana visibile nel trattamento dell’acanto. 7

1 1 1

Si tratta dell’unico esempio di capitello ionico marmoreo antico di tutta la raccolta, (cat.13 ; . 16-17) .

Esso conserva alcuni caratteri che sono tipici di una produzione dell’inizio del princi-pato che è strettamente legata a modelli ellenistici del tipo attestato dai numerosi esem-plari di Madhia, datati all’inizio del sec. a.C. 8 e presente anche a Ostia con alcuni esempi di età augustea.

Il kyma è strettamente legato a questo tipo di produzione per il rilievo molto basso, gli sgusci e le lancette sottili, l’assenza di uso del trapano nonostante la quale non mancano di consistenza plastica. Anche il canale dritto e molto alto e la linea che unisce l’occhio

1 Cfr. 1 1 , p. 210.2 Per la classificazione dei capitelli ‘a foglie’ di origine microasiatica si veda 1 , p. 197.3 1 , p. 201, Taf. 100, 189. 1 , p. 17, n. 11, nota 18. Secondo lo studioso il cat. 4 sarebbe il frutto

di una rilavorazione di un capitello nella variante ‘a foglie di canna’ per il quale vengono riportati in nota una serie di confronti. Cfr. 1936, p. 211, Taf. 44, 738, 745. Per questa tipologia si veda 1 , p.94, n. 368.

4 1 , p. 94, taf. 27, 2.5 Anche la tipologia a due corone di foglie risulta particolarmente diffusa nell’ambito della produzione orientale

di sec. d.C. cfr. Köster 2004, p. 68 sgg, Taf. 33, 5-6.6 MNR 1981, p. 115, n.21, anche in 1 , Taff. 97-98, 177-178.7 1936, pp. 212-213, Taf. 44, 753.8 Per gli elementi architettonici del relitto di Mahdia in Tunisia si veda 1 e

1 ; 1 , pp. 195-208.

delle due volute alla base del kyma stesso, sono elementi caratteristici di questa produ-zione. Le semipalmette a tre lobi invece di presentare sezione angolare e foglie rivolte verso l’alto, come nella produzione del sec. a.C., hanno una leggera incisione al centro e foglioline arrotondate verso il basso.

Per queste sue caratteristiche il capitello è accostabile a due esemplari ostiensi pro-venienti dal Piccolo Mercato che presentano lo stesso rilievo molto basso e lo stesso andamento delle foglie delle palmette. Questi nonostante le piccole differenze che li distanziano dalla produzione maggiore, sono datati in età augustea o nei decenni im-mediatamente successivi ( . 31-31), 1 pertanto sembra probabile ricondurre allo stesso orizzonte cronologico l’esemplare messinese.

L’analisi sin qui condotta spinge a fare alcune considerazioni di certo utili a porre i capi-telli del Museo di Messina in rapporto al più vasto quadro di rinvenimenti analoghi di età imperiale e all’uso dell’ordine architettonico corinzio in altre aree dell’isola.

I sopradiscussi problemi derivanti dalla mancanza di conoscenza del contesto e il dato derivante dal reimpiego di parte di essi all’interno di un edificio di età normanna solleva quantomeno il sospetto che essi siano potuti giungere in città all’epoca della costruzione della fabbrica del Duomo secondo una prassi documentata per altri edifici della stessa epoca in Sicilia.

Ciò premesso, è sicuramente utile enucleare due aspetti essenziali derivanti dall’analisi di questa raccolta che risultano essere in sintonia con le attestazioni note da altre aree dell’isola : il primo riguarda l’appartenenza di ben dodici esemplari sul totale di tredici all’ordine corinzio, di gran lunga preferito agli altri ordini, in tutto l’impero ; 2 il secondo riguarda la datazione della maggior parte dei capitelli a età medio-imperiale.

A parte il più antico esemplare della raccolta, il cat. 1, databile al sec. d.C. (età ti-beriana), appartenente a quella tradizione del corinzio normale, attestata a Roma a partire dalla media età augustea e che non cessa di essere produttiva per tutto il secolo successivo, 3 il maggior numero di capitelli del Museo di Messina si data nel sec. a.C. Ciò non appare come un fenomeno isolato se si estende lo sguardo alla realtà siciliana che proprio nella prima metà del secolo vede l’apertura del maggiore cantiere dell’iso-la : quello del teatro di Taormina, interessato da un programma di ricostruzione del frontescena nel quale vengono impiegati capitelli che si configurano quale esempio di quella ripresa, nell’ambito del classicismo affermatosi a partire da età traianea e raffor-zatosi sotto il principato di Adriano, di modelli di sec. d.C. seppur rivisitati alla luce del nuovo gusto. 4

Le caratteristiche tipiche di questo corinzio normale di matrice centro-italica si accom-pagnano a un ridimensionamento dello sviluppo di alcuni elementi superiori dei capi-telli, elici e volute, che hanno perso la loro funzione portante a vantaggio dell’apparato vegetale ; questo per effetto del lavoro del trapano e del nitore del marmo risalta per il contrasto chiaroscurale e per un trattamento delle superfici asciutto e quasi metallico che conferisce agli stessi un aspetto compassato.

1 1 , pp. 39, 110-111.2 Un excursus sull’origine del corinzio e sulla sua diffusione in età imperiale è in 1993, p. 115 sgg.3 Sull’origine del capitello corinzio normale, che compare per la prima volta su alcuni edifici romani quali i Portici

del Foro di Augusto e il Tempio di Marte Ultore come variante dei modelli greci, e sulla sua influenza su edifici di Ro-ma e del Lazio si veda 1 pp. 25-31 ; 1 1, p. 12 sgg. ; 1 , p. 208.

4 Cfr. .

Tra le prime attestazioni di questa ricca produzione si colloca il cat. 4, non finito, che può considerarsi, sulla base dei confronti, 1 come l’espressione di quello stile ‘centro-ita-lico’ 2 affermatosi all’inizio del sec. d.C. e ancora legato a una certa produzione flavia, avente in alcuni elementi – la sovrapposizione dei lobi inferiori a quelli superiori delle foglie, i caulicoli verticali con solcature parallele, il calicetto ‘ad alabarda’, le elici con un bordo profilato a sezione angolare – i suoi caratteri peculiari.

Il ‘non finito’ del pezzo può aprire una discussione circa la possibilità da tenere in de-bita considerazione di una lavorazione in loco dello stesso che avrebbe tanto più valore se si tiene presenta la sua datazione : sarebbe difficile, infatti, pensare a un acquisto sul mercato di un prodotto incompiuto, difficile da ricollocare come elemento decorativo. Con ciò non si vuole tout court affermare in maniera affrettata l’esistenza di officine locali, cosa che sarebbe difficile da provare in assenza di informazioni più circostanziate : quello che può al momento accettarsi come ipotesi di lavoro è che il capitello possa provenire dalla stessa città o da un’area non distante. 3

A questo stesso orizzonte cronologico sono riconducibili i cat. 2 ; 5 che possono inse-rirsi nell’ambito di quella corrente flavia la quale, seppur in misura minore continua ad essere attestata nel corso dell’età adrianea : 4 i dettagli tipici della seconda metà del sec. d.C., sia stilistici sia tettonici, sono modificati in linea con un’adesione al nuovo gusto sia con un impiego moderato del trapano che limita gli effetti coloristici sia con un ridimen-sionamento della parte superiore del kalathos.

È possibile quindi registrare per questa prima metà del secolo non solo un incre-mento dei materiali disponibili, ma anche una varietà degli stessi nella misura in cui si individuano facilmente, pur nella comune derivazione da ambiente romano, tradizioni differenti.

Se quasi del tutto assenti sono le testimonianze di capitelli corinzi di tipo asiatico all’inter-no della raccolta che, al contrario, si attestano nei principali centri orientali dell’isola dove si registra una rifioritura dell’edilizia pubblica a partire dalla seconda metà del sec. d.C., 5 diversamente sono conservati alcuni rarissimi esemplari di età tardo-antica catt. 10-12.

1 Cfr. supra. 2 Per questa denominazione si veda 1 .3 Non sono molti gli esempi del genere a parte quelli già citati supra n. 26, si può citare un esempio da Verona che

però è a uno stadio piuttosto avanzato rispetto al nostro cfr. 1 , p. 55, n. 51.4 1 , pp. 226-227.5 Il fenomeno conosce una rapida diffusione raggiungendo il suo culmine a cavallo tra il ed il sec. d.C. e

vede tra i suoi principali centri di esportazione l’isola di Proconneso, Efeso, Afrodisia, Docimio : cfr. 1 , passim ; 1 , p. 304 sgg. In particolare sui capitelli vedi 1 , 1990. Un impulso alla

diffusione di questi prodotti viene dato sotto il principato dei Severi e una base di diffusione in Occidente sembra potersi individuare in Leptis Magna, che sotto l’influsso dei maestri di Afrodisia è stata determinante : cfr. La Villa del Casale, p. 213. Poco chiara è la questione riguardante l’esistenza di officine di maestranze orientali in occidente, che per lo meno in Sicilia e a Roma sembra potersi escludere per l’assenza tra i rinvenimenti di elementi semi-lavorati ; ciò che non può essere escluso, ma anzi deve essere in più di un caso postulato, è la presenza di maestranze al seguito dei semilavorati

Il primo monumento nel quale si conosce un impiego massiccio di questi prodotti orientali è il teatro di Taormi-na, in particolare nella seconda fase di rifacimento del frontescea databile in età severiana : cfr. , p. 223 sgg.

L’analisi dettagliata ha evidenziato la presenza di tre differenti tipologie che si pongono tra loro a distanza di alcuni decenni ma che probabilmente sono state utilizzate insieme nel rifacimento severiano del frontescena. Esse appar-tengono a un tipo che conosce una vastissima diffusione, non soltanto in Sicilia ma anche a Roma, in Italia e in altre aree del Mediterraneo, suffragata da un’elevata serie di confronti.

Allo stesso tipo sono da ricondurre i capitelli appartenenti alla decorazione del frontescena del teatro di Catania, i quali si datano tra la fine del e gli inizi del sec. d.C. testimoniando una certa continuità delle importazioni di provenienza orientale nell’isola anche sullo scorcio del sec. d.C. : , pp. 187-212.

Questi ultimi, se si eccettuano gli elementi marmorei appartenenti al ciclo decorativo di Piazza Armerina 1 e alcuni esemplari inediti da Siracusa, sono tra le pochissime testi-monianze di decorazione architettonica note in Sicilia per questa fase.

Oltre questi non si conosce più nulla che testimoni il perdurare di queste importazio-ni provenienti dall’area micro-asiatica oltre la soglia del sec. : una condizione che non sembra, però, interessare omogeneamente tutta l’isola dal momento che lo studio dei relitti testimonia una presenza ininterrotta di flussi commerciali provenienti dall’Oriente fin oltre il sec., 2 che sicuramente in alcuni casi, non in tutti, erano destinati ai centri dell’isola come testimonia la presenza di elementi importati in alcune città della Sicilia orientale oltre l’inizio dell’epoca tardo-antica.

1 Il ‘gruppo D’ indicato da Pensabene. La Villa del Casale di Piazza Armerina (En) ha restituito un gruppo di ca-pitelli corinzi, in maggioranza di tipo asiatico, che comprende elementi di II sec., di età severiana e di fine inizi sec. ; a questo periodo, infatti, risale la monumentalizzazione dell’intero complesso. Si tratta in tutti i casi di elementi di importazione per i quali è possibile fornire una serie cospicua di esempi provenienti da aree diverse del Mediterra-neo a testimoniare il livello di grande diffusione dei prodotti asiatici. cfr. La Villa del Casale, p. 212.

2 Sui principali relitti si veda : 1 ; 1980 e 1 1, p. 137 ; 1993, p. 182.

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1. Capitello corinzio di colonna ( . 3-4)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, scalinata, inv. 3094

Dal Duomo.Marmoh 70 cm ; larg. m. 66 cm ; h. k. 56 cm ; h 1.c. 18,5 cm ; h 2c. 22,5 cm ; caulicolo 24 x 2,5 cm ; abaco

11,5 cm.Mutilo. Superfici abrase per effetto degli agenti atmosferici ; mutila la parte superiore priva delle

volute angolari e degli spigoli dell’abaco.Due corone di foglie di acanto larghe, piatte e poco slanciate con nervatura centrale percorsa da una leggera solcatura, separata da quelle laterali da solcature più ampie ; divise in cinque lobi, disposti due per parte separati da cavità a forma di occhio allungato.

Caulicoli cilindrici divisi verticalmente da solcature poco profonde, inclinati verso l’interno e sormontati da orlo ad anello. I calici vegetalizzati, spezzati quasi all’inizio del loro sviluppo.

Elici mutile con nastro superiormente profilato.Sul piano di attesa segni della messa in opera costituiti da quattro fori quadrangolari con i rela-

tivi canali per il deflusso del piombo fuso. sec. d.C. prima metà.

1 , p. 15.

2. Capitello corinzio di colonna ( . 12)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, depositi, inv. 3095 2

Dal Duomo.Marmoh 59,2 cm ; h k. 42 cm ; h 1 c. 19 cm ; h 2 c. 21 cm ; tavoletta 51,1 x 51,1 cmMutilo. Scheggiata in più punti la parte inferiore del kalathos ; spezzate, poco dopo il loro inizio,

le volute angolari ; fortemente danneggiato l’abaco.Due corone di foglie di altezza pari a metà del kalathos. Foglie della prima corona a cinque lobi, molto piatte, con una nervatura centrale bipartita da una leggera solcatura e incisa lateralmente da due profonde scanalature ; lobi articolati in fogliette a sezione angolare con zone d’ombra di forma ogivale allungata negli spazi tra essi. Foglie della seconda corona con medesime caratteristiche delle foglie della prima ma con maggiore sviluppo verso l’alto. Caulicoli di forma conica con foglie verticali e orlo ad anello. Calici, spezzati a metà circa del loro sviluppo, vegetalizzati e costituiti da fogliette distinte da solcature poco profonde.

Privo di volute angolari. Elici a nastro, con bordo profilato, che toccano il fiore dell’abaco retto da stelo piatto emergente da due foglioline lisce poste al di sopra della foglia centrale della seconda corona. L’abaco, raccordato al kalathos da un listello liscio, ha un profilo ricostruibile come con-vesso.

sec. d.C., prima metà.1 , p. 15, n. 6, fig. 6.

3. Capitello corinzio di colonna ( . 5)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, scalinatacortile esterno, scalinata

1 Abbreviazioni usate nelle schede : inv. = inventario ; h = altezza ; largh = larghezza ; k = kalathos ; 1 c. = prima corona di foglie ; 2 c. = seconda corona di foglie.

2 L’inventario al momento è ricostruito sulla base dello studio di Agnello, non essendovi tracce del numero sul pezzo.

Dal Duomo.Marmoh 59 cm ; larg. m. 74 cm ; h k. 60 cm ; h 2 c. 18 cm ; caulicolo 11 cm ; stelo 20 cm ; abaco 11,5 cm.Frammentario. Manca la prima corona di foglie, visibilmente rilavorata, della quale rimane sol-

tanto la parte superiore ; mutila la parte superiore del kalathos poco sopra l’origine dei calici.Due corone di foglie di acanto : la prima delle quali asportata con subbia di cui sono visibili i segni ; la seconda con foglie larghe, piatte e poco slanciate con nervatura centrale a sezione piatta, separata da quelle laterali da solcature più ampie. Le foglie sono divise in cinque lobi, disposti due per parte separati da cavità a forma di occhio allungato. Caulicoli indicati da pochi tratti, come una profonda solcatura centrale e un orlo con incisione a ‘Y’. Calici, costituiti da fogliette incise da profonde solcature e spezzati quasi all’inizio.

sec. d.C., seconda metà.

4. Capitello corinzio di colonna ( . 1-2)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, scalinata, inv. 3093

Dal Duomo.Marmoh 74 cm ; larg. m. 77 cm ; h. k. 60,5 cm ; h 1 c. 23,8 cm ; h 2c. 22,5 cm ; caulicolo 10 x 4 cm ; stelo 20

cm ; abaco 11,5 cm.Mutilo. Mutila la corona di foglie inferiore. Manca dei calici, delle volute e di gran parte dell’aba-

co.Due corone di foglie di acanto, larghe e piatte, con nervatura centrale a sezione piatta, separata da quelle laterali da ampie scanalature ; divise in cinque lobi, disposti due per parte separati da cavità a forma di occhio allungato e desinenti con fogliette dall’estremità arrotondata. Alcune foglie della seconda corona si trovano allo stato di semilavorazione o con il solo profilo scontorato. Caulicoli, costituiti da foglie verticali, sormontati da un orlo ad anello piatto dal quale emergono dei calici costituiti da fogliette separate da profonde solcature, spezzati quasi all’inizio. Le elici, prive di volute, sono costituite da un nastro a sezione angolare. Calicetto del tipo ‘ad alabarda’ con segni di trapano.

sec. d.C., prima metà.

5. Capitello corinzio di colonna ( . 15)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, depositi, inv. 2065 [V.I. 1681] 1

Marmo biancoh 56,4 cm ; larg. sup. 70 cm ; h k. 47 cm ; h 1c. 18 cm ; h 2c. 21 cm ; larg. calici 15 cm ; h abaco 7,5 cm ;

fiore dell’abaco 9,5 x 11 cm.Mutilo. Manca delle volute angolari, di parte dei calici e dell’abaco che è scheggiato in più punti.

Due corone di foglie di altezza pari a metà del kalathos Foglie della prima corona piatte, a cinque lobi e dal profilo espanso con nervatura centrale bipartita da una leggera solcatura ; lobi articolati in fogliette, con zone d’ombra di forma ogivale allungata tra esse. Foglie della seconda corona, simili a quelle della prima, con asse centrale che si origina dallo spazio sottostante liscio. Caulicoli a forma conica, costituiti da foglie disposte verticalmente con alto orlo con due incisioni a ‘Y’. Calici, spezzati a metà circa del loro sviluppo, costituiti da fogliette distinte da solcature poco profonde. Elici a nastro, unite mediante ponticello e sormontate dal fiorone dell’abaco. Abaco, posto al di sopra del kalathos liscio, chiuso superiormente da un listello, costituito da un cavetto e da un listello.

sec. d.C., secondo venticinquennio.1 , pp. 16-17, fig. 9.

1 Viene indicato con inv. A 253 da Agnello erroneamente. Il numero di inventario corretto è 2065, al posto del V.I. 1681. Nell’inventario Accascina si legge : ‘Capitello corinzio, epoca romanica’ ; nulla sulla provenienza. Nel vecchio inventario si legge dopo una breve descrizione un appunto a matita : ‘Prov. Casa Baratta. N. 5952 Reg. Recuperi’.

6. Capitello corinzio di colonna ( . 8-9)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, nuovo museo

Dal Duomo.Marmo.h 72 cm ; h 1.c. 22,5 cm ; h 2c. 39,8 cm ; h caulicolo 11 cmFrammentario. Privo della parte posteriore, evidentemente rilavorata, e dell’abaco.

Due corone di foglie di acanto piatte e dal profilo espanso. Foglie della prima corona, a cinque lobi disposti due per parte separati da cavità a forma di occhio allungato, con nervatura centrale campita lateralmente da due profondi solchi incisi e separata al centro da uno appena accennato ; lobi laterali, realizzati con particolari solo incisi poco profondamente.

Foglie della seconda corona, simili a quelle della prima, con asse centrale che si origina dallo spazio sottostante liscio. Caulicoli, cilindrici e costituiti da foglie verticali, sormontati da un orlo con incisioni a triangolo. Calici, vegetalizzati, costituiti da fogliette separate da profonde solcature, spezzati quasi all’inizio. Elici, prive di volute, costituite da un nastro a sezione concava. Stelo sezio-nato orizzontalmente da profonde incisioni eseguite a trapano.

Visibili i segni del restauro operato in antico di alcune foglie. sec. d.C., primo trentennio.

7. Capitello corinzio di colonna ( . 14)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, depositi, inv. 294

h 49 cm ; larg. m. 44 cm ; h k. 37 cm ; h 1.c. 16 cm ; h 2c. 13 cm ; larg. calici 12,5 cm ; h abaco 11 cmMutilo. Danneggiata la parte superiore in particolare le volute angolari quasi completamente

mancanti, e le elici centrali. Poco leggibile l’abaco mancante degli spigoli.Due corone di foglie, con altezza pari a metà circa dello sviluppo del kalathos. Foglie della prima corona piatte, divise in cinque lobi, disposti due per parte ; lobi articolati in fogliette spinose a sezione angolare con zone d’ombra di forma ogivale allungata tra di esse. Parte superiore con kalathos cilindrico liscio in vista, privo di volute angolari. Caulicoli percorsi da leggere solcature tortili con orlo vegetalizzato. Calici costituiti da fogliette leggermente incise da scanalature poco profonde. Elici, a sezione arrotondata, molto ridotte e lambenti il fiore dell’abaco. Abaco, poco leggibile, con profilo convesso, sorretto da uno stelo che si origina al di sopra della foglia centrale della seconda corona.Inizi sec. d.C.

8. Capitello corinzio di colonna ( . 13)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, depositi, inv. A 253 1

Marmoh 46,5 cm ; larg. calici 13 cm ; h k. 40 cm ; h 1 c. 16 cm ; h 2 c. 16 cm ; h abaco 9 cmMutilo. Fortemente danneggiata la parte superiore.

Due corone di foglie, di altezza pari a metà circa dello sviluppo del kalathos. Foglie della prima corona piatte ; divise in cinque lobi, disposti due per parte articolati in fogliette spinose a sezione angolare formanti negli spazi tra di essi zone d’ombra di forma ogivale allungata. Foglie della seconda come quelle della prima ma con maggiore slancio. Parte superiore con kalathos cilindrico liscio in vista. Caulicoli ridotti a spigolo. Calici, vegetalizzati, resi con pochi tratti. Elici, a sezione arrotondata, toccano il fiore dell’abaco quasi del tutto illeggibile. Abaco formato da cavetto e listello.Fine -inizi sec. d.C.

1 L’inv. 253 è segnato su un capitello conservato nei depositi. Lo stesso numero compare nel catalogo di (1966, p. 16, n. 3, fig. 9) per contrassegnare un altro capitello che, invece, non reca scritto alcun numero di inven- tario.

9. Capitello corinzio di colonna ( . 7)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, nuovo museo, inv. 3090 1

Dal Duomo.Marmo.h 73 cm ; diam. 67 cm ; h. k. 51 cm ; h 1.c. 26 cm ; h 2c. 39,8 cmFrammentario. Quasi illeggibile è la parte superiore del kalathos.

Foglie della prima corona piatte, con nervatura centrale a sezione arrotondata separata da quelle laterali da ampie scanalature, divise in cinque lobi, disposti due per parte, quelli inferiori toccano quelli della foglia adiacente. Foglie della seconda corona con medesime caratteristiche delle foglie della prima ma con profilo più espanso. Caulicoli a spigolo ; calici, spezzati nella parte iniziale, a foglie con incisioni poco profonde.Fine -inizi sec. d.C.

1 , p. 15, n. 5, fig. 5

10. Capitello corinzio di colonna ( . 10)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, depositi, inv. 3338

Dagli scavi dell’Orsi del 1916 nell’isolato 1.Marmoh 32,3 cm ; larg. m. 40,6 cm ; h k. 20 cm ; h 1.c. 13,5 cmMutilo. Scheggiata la parte superiore, in particolare gli spigoli dell’abaco.

Due corone di foglie di acanto spinoso che occupano il kalathos per quasi tutto il suo sviluppo. Foglie piatte, strette intorno alla costolatura centrale, pure a sezione piatta, percorse da leggere solcature che ne descrivono lo sviluppo ; con estremità aguzze che si toccano formando delle figure geometriche (triangolari e trapezoidali) e il lobo superiore con le foglie riverse verso l’esterno. Caulicoli e calici non appaiono definiti ; volute a nastro rese mediate pochi tratti. Abaco con profilo rettilineo, bordato superiormente da un listello.

sec. d.C., prima metà.1 1 , 98-99, fig. 54.

11. Capitello corinzio di colonna ( . 11)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, depositi, inv. 3339

Dagli scavi dell’Orsi del 1916 nell’isolato 1.Marmoh 32,3 cm ; larg. 33 cm ; h k. 24 cm ; h 1 c. 15,8 cm ; h 2 c. 11 cm ; h abaco 4 cmMutilo. Scheggiata la parte superiore, in particolare gli spigoli dell’abaco.

Due corone di foglie, di altezza pari a quasi l’intero sviluppo del kalathos divise in cinque lobi, disposti due per parte, dalle estremità aguzze che toccano le foglie adiacenti, con nervatura centrale a sezione piatta restringentesi verso l’alto e l’estremità superiore risvoltata verso il basso. Poco sviluppata la parte superiore e le volute angolari a nastro, mancano i calici. Abaco con profilo rettilineo, bordato superiormente da un listello.

sec. d.C., prima metà.1 1 , 98-99, fig. 54 ; 1 , p. 16, n. 8, fig. 8.

12. Capitello di colonna a foglie ( . 6)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’,cortile ingresso, inv. 1384

1 Il numero di inventario riportato da Agnello [1966, p. 15, n. 5, fig. 5] nel suo studio (3094) appare errato : sul pezzo di legge chiaramente l’inv. 309. Il numero inv. 3094 appartiene al presente catalogo ma non è tra i materiali studiati da Agnello.

Marmo.h 48 cm ; h 1 c. 17 cm ; h baccellatura 16,5 cm ; h abaco 10 cm.Mutilo. Privo di parte della corona di foglie di acanto e dell’abaco.

Corona di foglie d’acanto a tre lobi, percorsi da profonde solcature e con estremità aguzze che, nella parte inferiore, toccandosi formano uno spazio trapezoidale. Seconda corona costituita da foglie d’acqua con spazio interno concavo, campito da un profilo a sezione piatta separate da un breve spazio inciso, la corona è raccordata all’abaco da una sottile fascia liscia. Abaco costituito da un listello liscio sul quale è una tavoletta dal profilo obliquo. Piano di attesa presenta con due fori per la messa in opera : uno maggiore in prossimità del bordo e uno minore circolare in posizione opposta al primo.Fine -inizi sec. d.C.

1 , p. 201, Taf. 100, BK. 189 ; 1 , pag. 18, n. 11, fig. 11.

13. Capitello ionico di colonna ( . 16-17)Museo Regionale Interdisciplinare ‘M. Accascina’, depositi

Marmoh 19 cm, largh. max 54 cm ; spessore max 54 cm ; ovolo : h 7 cm, largh. 6,5 ; h canale 8,3 cm, h.

tavoletta 2 cmMutilo. Mancano le volute, spezzati in più punti sono l’abaco e il pulvino.

Capitello ionico di tipo normale. Echino aggettante dal piano di posa con profilo decorato da kymation ionico con ovoli dalla forma piatta e leggermente allungata, contenuti in sgusci molto sottili separati da esili lancette ; ovoli coperti alle estremità da fogliette trilobi con punta arrotondata e lieve incisione al centro. Echino raccordato a un profondo e alto canale terminante superiormente con listello liscio. Pulvino decorato da foglie di canna desinenti a punta, piatte con un bordo inciso. Abaco costituito da listello liscio.

sec. d.C., seconda metà.

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SCAVI

*Marzo

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