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Art. 816 quinquies Libro IV - Titolo VIII: Dell’arbitrato 402 tipo di arbitrato, ma occorre procedere all’esame dei singoli articoli, onde verificarne l’eventuale compatibilità con l’arbitrato libero 132 . Con specifico riferimento all’art. 816 quater c.p.c., si è ritenuto che la norma in esame sarebbe di dubbia applicazione all’arbitrato irrituale, nella parte in cui commina l’improcedibilità del giudizio in caso di mancato rispetto delle modalità di nomina nelle controversie caratterizzate da liti- sconsorzio necessario 133 . Tuttavia, non sembra concepibile che, in caso di violazione del principio di uguaglianza delle parti nella formazione del col- legio arbitrale, gli arbitri irrituali possano pervenire ad una decisione nel merito della controversia in essere fra litisconsorti necessari: anche il terzo comma della disposizione in esame dovrebbe dunque operare, pur nel silen- zio osservato dalle parti 134 . Art. 816 quinquies Intervento di terzi e successione nel diritto controverso 1 [1] L’intervento volontario o la chiamata in arbitrato di un terzo sono ammessi solo con l’accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri (1, 5, 6). [2] Sono sempre ammessi l’intervento previsto dal secondo comma dell’articolo 105 e l’intervento del litisconsorte necessario (2, 3, 4, 5, 6). [3] Si applica l’articolo 111 (7). 1 Articolo aggiunto dall’art. 22, d.lg. 2.2.2006, n. 40. 132 In tal senso, dopo la riforma del 2006, v. Coll. Arbitrale Venezia, 19.2.2008 e T. Venezia, 5.11.2009, entrambe in Contr., 2008, 869 ss., con nota di SANGIOVANNI, Natura contrattuale o processuale dell’arbitrato irrituale? 133 In questo modo, v. SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, cit., 37 s.; TOTA, Appunti sul nuovo arbitrato irrituale, cit., 562, secondo la quale la tesi negativa si fonderebbe sul presup- posto dell’inidoneità del lodo contrattuale a riverberare i propri effetti ultra partes. 134 Per tale conclusione, v. BERTOLDI, sub art. 808 ter, in Codice di procedura civile com- mentato, III, cit., 1564; ID., Osservazioni a margine del nuovo art. 808 ter c.p.c., cit., 307; POLINARI, sub art. 816 quater, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 216, il quale rileva inoltre che, anche qualora l’interpretazione dell’art. 808 ter c.p.c. e/o della volontà delle parti conduca ad escludere l’applicazione della disposizione in commento all’arbitrato libero, «non pare potersi escludere l’applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza, in mate- ria di arbitrato con pluralità di parti, con riferimento al sistema normativo antecedente alla riforma del 2006»; in senso conforme rispetto a tale ultima conclusione, v. anche BIAVATI, sub art. 808 ter, in Arbitrato, diretto da Carpi, 2ª ed., cit., 184, secondo il quale «si ripropongono qui le soluzioni che la dottrina individuava prima della riforma».

Intervento di terzi e successione nel diritto controverso nel processo arbitrale

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Art. 816 quinquies Libro IV - Titolo VIII: Dell’arbitrato

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tipo di arbitrato, ma occorre procedere all’esame dei singoli articoli, onde verificarne l’eventuale compatibilità con l’arbitrato libero132.

Con specifico riferimento all’art. 816 quater c.p.c., si è ritenuto che la norma in esame sarebbe di dubbia applicazione all’arbitrato irrituale, nella parte in cui commina l’improcedibilità del giudizio in caso di mancato rispetto delle modalità di nomina nelle controversie caratterizzate da liti-sconsorzio necessario133. Tuttavia, non sembra concepibile che, in caso di violazione del principio di uguaglianza delle parti nella formazione del col-legio arbitrale, gli arbitri irrituali possano pervenire ad una decisione nel merito della controversia in essere fra litisconsorti necessari: anche il terzo comma della disposizione in esame dovrebbe dunque operare, pur nel silen-zio osservato dalle parti134.

Art. 816 quinquies − Intervento di terzi e successione nel diritto controverso1

[1] L’intervento volontario o la chiamata in arbitrato di un terzo sono ammessi solo con l’accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri (1, 5, 6).[2] Sono sempre ammessi l’intervento previsto dal secondo comma dell’articolo 105 e l’intervento del litisconsorte necessario (2, 3, 4, 5, 6).[3] Si applica l’articolo 111 (7).1 Articolo aggiunto dall’art. 22, d.lg. 2.2.2006, n. 40.

132 In tal senso, dopo la riforma del 2006, v. Coll. Arbitrale Venezia, 19.2.2008 e T. Venezia, 5.11.2009, entrambe in Contr., 2008, 869 ss., con nota di SANGIOVANNI, Natura contrattuale o processuale dell’arbitrato irrituale?

133 In questo modo, v. SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, cit., 37 s.; TOTA, Appunti sul nuovo arbitrato irrituale, cit., 562, secondo la quale la tesi negativa si fonderebbe sul presup-posto dell’inidoneità del lodo contrattuale a riverberare i propri effetti ultra partes.

134 Per tale conclusione, v. BERTOLDI, sub art. 808 ter, in Codice di procedura civile com-mentato, III, cit., 1564; ID., Osservazioni a margine del nuovo art. 808 ter c.p.c., cit., 307; POLINARI, sub art. 816 quater, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 216, il quale rileva inoltre che, anche qualora l’interpretazione dell’art. 808 ter c.p.c. e/o della volontà delle parti conduca ad escludere l’applicazione della disposizione in commento all’arbitrato libero, «non pare potersi escludere l’applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza, in mate-ria di arbitrato con pluralità di parti, con riferimento al sistema normativo antecedente alla riforma del 2006»; in senso conforme rispetto a tale ultima conclusione, v. anche BIAVATI, sub art. 808 ter, in Arbitrato, diretto da Carpi, 2ª ed., cit., 184, secondo il quale «si ripropongono qui le soluzioni che la dottrina individuava prima della riforma».

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Marco Gradi Art. 816 quinquies

commento di Marco Gradi

Sommario: A. PROFILI GENERALI. - B. SCOPO DELLA NORMA. - C. ANALISI DELLA DISPOSIZIONE. - 1. «L’intervento volontario o la chiamata in arbitrato di un terzo sono ammessi solo con l’accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri». − 2. «Sono sempre ammessi l’intervento previsto dal secondo comma dell’art. 105 e l’inter-vento del litisconsorte necessario». - 3. L’ordine di integrazione del contradditto-rio. - 4. L’intervento per ordine degli arbitri. - 5. Litisconsorzio successivo e nomina degli arbitri. - 6. Tempo dell’intervento e svolgimento del processo arbitrale in caso di litisconsorzio successivo. - 7. «Si applica l’art. 111». - D. LA DISCIPLINA SPECIALE DELL’INTERVENTO DEI TERZI NELL’ARBITRATO SOCIETARIO. - E. RIUNIONE E SEPARAZIONE DI PROCE-DIMENTI ARBITRALI. - F. LA GESTIONE DELLE LITI CON PLURALITÀ DI PARTI NELL’ARBITRATO AMMINI-STRATO. - G. L’APPLICAZIONE DELLA DISPOSIZIONE ALL’ARBITRATO IRRITUALE.

A. PROFILI GENERALI

Prima dell’introduzione dell’art. 816 quinquies c.p.c., l’opinione tradizio-nale era nel senso di escludere qualsiasi possibilità di intervento nel giudizio arbitrale del terzo estraneo al patto compromissorio, ritenendo a tal fine necessario, in nome del fondamento volontaristico dell’arbitrato, l’accordo di tutti i soggetti coinvolti1 e, secondo alcuni, in ragione dell’esigenza di sal-vaguardare lo spatium deliberandi degli arbitri, anche il consenso di questi ultimi2.

In tempi più recenti, tuttavia, tale orientamento era stato messo in discussione da una parte della dottrina, la quale era giunta ad ammettere l’intervento del terzo nell’arbitrato per lo meno quando lo stesso non avesse comportato un mutamento dell’oggetto della lite, in considerazione degli effetti che il lodo rituale di diritto è capace di produrre nella sfera dei terzi, non essendo ammissibile trasformare l’accordo compromissorio in «un

1 V. CARNACINI, Arbitrato rituale, in Noviss. Dig. it., I, 2, Torino, 1958, 895 s.; REDENTI, Compromesso (diritto processuale civile), in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1959, 802; VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema del processo civile, Milano, 1971, 547 ss.; PIERGROSSI, Tutela del terzo nell’arbitrato, in Studi in onore di Enrico Tullio Liebman, Milano, 1979, IV, 2569 ss.; PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, I, 564 ss.

2 In tal senso, v. CARNACINI, Arbitrato rituale, cit., 895; PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 568; DELLA PIETRA, Il procedimento, in Diritto dell’arbitrato, a cura di Verde, 3ª ed., Milano, 2005, 246; ma contra, sotto questo profilo, PIERGROSSI, Tutela del terzo nell’arbitrato, cit., 2571; RICCI G.F., sub art. 816, in Arbitrato, diretto da Carpi, Bologna, 2001, 323 s.

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onere preliminare della difesa»3. In senso consonante, si era riconosciuta l’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum ai sensi dell’art. 105, 2° co., c.p.c., in quanto, ove il terzo non avesse allargato l’oggetto del giudizio arbi-trale, gli originari compromittenti non avrebbero avuto alcun motivo per rifiutare la sua partecipazione all’arbitrato4.

Secondo una prospettiva ancora più vasta, si era poi giunti ad ammet-tere che la necessità di tutelare il terzo estraneo al patto compromissorio avrebbe consentito anche gli altri tipi di intervento, con la sola esclusione di quello litisconsortile5. In particolare, anche il litisconsorte necessario pretermesso avrebbe dunque potuto intervenire a prescindere dalla volontà dei compromittenti originari, dovendo essere garantito il diritto di difesa del soggetto rimasto estraneo al giudizio arbitrale6.

3 Così RICCI E.F., Il lodo rituale di fronte ai terzi, in Riv. dir. processuale, 1989, 655 ss., spec. 676 ss., il quale però escludeva la facoltà di intervento nel caso in cui gli arbitri fossero chiamati a decidere secondo equità, posto che tale lodo non avrebbe potuto vincolare i terzi. In senso contrario, si era tuttavia rilevato come un tale effetto ultra partes del lodo, equivalente all’autorità della cosa giudicata, semmai presupponesse, e non invece provocasse, il potere di intervento e come, in realtà, il dovuto rispetto delle esigenze di protezione del terzo potesse essere raggiunto proprio accettando l’opposta tesi della natura contrattuale del lodo: v. RUFFINI, L’intervento nel giudizio arbitrale, in Riv. arbitrato, 1995, 657 ss.

4 V. LUISO, Diritto processuale civile, IV, 3ª ed., Milano, 2000, 341; BOVE, Processo arbitrale e terzi, in Riv. arbitrato, 1995, 792 s.; CECCHELLA, Disciplina del processo nell’arbitrato, in Riv. arbitrato, 1995, 230; e, similmente, ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rispetto ai terzi, Milano, 2004, 740 ss., secondo la quale il fondamento dell’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum avrebbe determinato a favore del terzo titolare di un diritto dipendente desti-nato ad essere inciso dagli effetti del lodo emesso inter alios la nascita di un diritto potestativo ad aderire alla convenzione d’arbitrato altrui, con la conseguenza che al terzo sarebbe stato sempre possibile l’intervento non innovativo, senza alcuna possibilità dei paciscenti di impe-dirne l’accesso.

5 FAZZALARI, Le difese del terzo rispetto al lodo rituale, in Riv. arbitrato, 1992, 613 ss., spec. 618 ss.; ID., L’arbitrato, Torino, 1997, 57 ss., il quale, sul presupposto che il lodo arbitrale omologato fosse da equiparare alla sentenza «non solo quanto agli effetti, ma anche quanto ai mezzi di tutela del terzo», giungeva ad ammettere l’intervento del litisconsorte necessario pretermesso, del falsamente rappresentato, del terzo titolare di un diritto autonomo ed incom-patibile e di quello titolare di un diritto dipendente.

6 V. FAZZALARI, Le difese del terzo, cit., 620; e, in simile prospettiva, ROMANO A.A., Arbitrato rituale e litisconsorzio necessario, in Corriere giur., 1999, 231, che richiama in tale direzione anche il pensiero di RICCI E.F., Il lodo rituale, cit., 677 s. A conseguenze analoghe era inoltre giunta ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rispetto ai terzi, cit., 183 ss. e 733, secondo la quale, sempre per la necessità di tutela del contraddittorio, il litisconsorte neces-sario pretermesso avrebbe avuto la facoltà di aderire alla convenzione di arbitrato stipulata inter alios e, conseguentemente, il potere di intervenire nel giudizio arbitrale instaurato fra altri soggetti.

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A quest’ultimo riguardo, altri autori avevano invece ritenuto che il liti-sconsorte necessario pretermesso rimasto estraneo al patto compromis-sorio non avrebbe potuto avvalersi della convenzione arbitrale contro il volere concorde dei compromittenti originari, ma che ove fosse riuscito ad ottenere il consenso di una sola delle parti, avrebbe avuto titolo all’inter-vento, in quanto, con la stipulazione del patto compromissorio, ciascuna parte si sarebbe impegnata (nei confronti degli altri contraenti, non del terzo) anche a consentire l’ingresso in giudizio di soggetti estranei senza la cui partecipazione non si sarebbe potuti pervenire ad una decisione di meri-to7. Aderendo a questa soluzione, altra parte della dottrina aveva peraltro osservato come tale consenso avrebbe dovuto considerarsi implicito nello stesso comportamento della parte compromittente che aveva dato inizio al processo arbitrale8.

Ad ogni modo, si era opportunamente precisato come il problema dell’ammissibilità dell’intervento del terzo nell’arbitrato non avesse comun-que ragione di porsi, rispetto alla comune volontà dei paciscenti, nelle ipotesi in cui il terzo fosse stato parte del patto compromissorio9, di guisa che tutte le forme di intervento sarebbero state in tal caso ammissibili, ivi inclusa la chiamata in arbitrato. In tali circostanze, ossia in caso di litiscon-sorzio successivo, si poneva peraltro in maniera preponderante la necessità di garantire la libera e paritaria partecipazione di tutte le parti alla nomina degli arbitri10.

Il vuoto normativo, che aveva generato l’ampio dibattito sopra riferito, è stato colmato dapprima con l’art. 35, 2° co., d.lg. n. 5/2003 in relazione all’intervento dei terzi nell’arbitrato societario, ossia proprio in quella materia in cui strutturalmente sorgono ipotesi di litisconsorzio, laddove si

7 In tal senso, v. RUFFINI, L’intervento, cit., 649 s.; ID., Il giudizio arbitrale con pluralità di parti, in Studi in onore di Luigi Montesano, I, Padova, 1997, 681 s.; PUNZI, Disegno siste-matico, I, cit., 569, i quali avevano peraltro precisato che, in questo caso, nemmeno gli arbitri avrebbero potuto rifiutare la partecipazione del terzo, che è strumentale alla decisione nel merito della controversia dedotta, ossia all’adempimento dell’obbligazione che gli stessi arbitri hanno assunto con l’accettazione dell’incarico.

8 SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti, Padova, 1999, 274 s., testo e nt. 88.9 Per tale precisazione, che non sempre si rinviene negli autori che si occupano del tema,

v., in particolare, RUFFINI, L’intervento nel processo arbitrale, cit., 661 ss.; ID., Il giudizio arbi-trale con pluralità di parti, cit., 682 s.; PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 564 ss.

10 Il problema era stato, in particolare, sottolineato da RUFFINI, L’intervento nel processo arbitrale, cit., 663 ss.; ID., Il giudizio arbitrale, cit., 678 ss., ove anche l’indicazione di ulteriori questioni connesse alle modalità di svolgimento del processo arbitrale litisconsortile.

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è espressamente riconosciuta la possibilità dell’intervento volontario dei terzi, nonché della chiamata in causa e dell’intervento iussu arbitrorum dei soci11. Peraltro, proprio al fine di favorire la partecipazione successiva del terzo all’arbitrato, il legislatore societario ha stabilito che le clausole arbitrali contenute negli statuti delle società debbano, a pena di nullità, rimettere ad un terzo la nomina del collegio arbitrale, così appunto rimuovendo qualsiasi complicazione in ordine alla nomina successiva degli arbitri12.

Con l’introduzione dell’art. 816 quinquies, 1° e 2° co., c.p.c., il legisla-tore ha quindi disciplinato l’intervento dei terzi anche nell’arbitrato di diritto comune, stabilendo che l’intervento volontario o la chiamata in arbitrato sono consentiti solo con l’accordo del terzo e delle parti, oltre che con il con-senso degli arbitri, ed ha inoltre sancito che sono sempre ammessi l’inter-vento ad adiuvandum previsto dall’art. 105, 2° co., c.p.c. e l’intervento del litisconsorte necessario pretermesso13.

11 In proposito, v. infra il commento al § D.12 Come chiariva la stessa Relazione al d.lg. n. 5/2003, «la designazione del collegio da

parte di terzi imparziali» è diretta allo scopo di «rendere possibile, senza pregiudizio delle concrete possibilità di difesa, l’intervento volontario di terzi nel procedimento arbitrale»; in dottrina, v. LUISO, Appunti sull’arbitrato societario, in Riv. dir. processuale, 2003, 715 s.; ZUC-CONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 956 ss.; BONATO, L’indipendenza e l’imparzialità degli arbitri alla luce della riforma dell’arbitrato societario, in Davanti al giudice. Studi sul processo societario, a cura di Lanfranchi, Carratta, Torino, 2005, 478 ss.

13 In argomento, v. MARENGO, Processo arbitrale, in Riv. arbitrato 2005, 803 ss.; LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, Milano, 2006, 291 ss.; BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, in BOVE, CECCHELLA, Il nuovo processo civile, Milano, 2006, 76 ss.; ID., La giu-stizia privata, 2ª ed., Padova, 2013, 152 ss.; ODORISIO, Prime osservazioni alla nuova disci-plina dell’arbitrato, in Riv. dir. processuale, 2006, 262 s.; PUNZI, Luci e ombre nella riforma dell’arbitrato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, 419 s.; ID., Il processo civile. Sistema e problematiche, III, 2ª ed., Torino, 2010, 216 ss.; ID., Disegno sistematico dell’arbitrato, II, 2ª ed., Padova, 2012, 118 ss.; NELA, sub art. 816 quinquies, in Le recenti riforme del processo civile, II, diretto da Chiarloni, Bologna, 2007, 1752 ss.; RICCI G.F, sub art. 816 quinquies, in Arbitrato, diretto da Carpi, 2ª ed., Bologna, 2007, 453 ss.; CAVALLINI, L’arbitrato rituale. Clausola com-promissoria e processo arbitrale, Milano, 2009, 157 ss.; SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Menchini, Padova, 2010, 254 ss.; MURONI, La successione nella res litigiosa nell’arbitrato rituale interno e con profili di internazionalità: analisi retrospettiva dell’ultimo comma del nuovo art. 816 quinquies c.p.c., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, 903 ss.; ID., La pendenza del giudizio arbitrale, Torino, 2008, 153 ss.; LIPARI, sub art. 816 quinquies, in Commentario alle riforme del processo civile, III, 2, a cura di Briguglio, Capponi, Padova, 2009, 768 ss.; CALIFANO, Spunti sul principio del contraddittorio nel procedimento arbitrale rituale, in Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 100 s.; GRADI, L’intervento volontario e la chiamata in causa dei terzi nel processo arbitrale, in Riv. arbitrato, 2010, 283 ss.; ID., sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato interno e internazionale, a cura di Benedettelli, Consolo, Radicati di

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Con riferimento alla successione a titolo particolare nel diritto contro-verso in pendenza dell’arbitrato, si discuteva, sempre prima della riforma del 2006, se dovesse trovare applicazione l’art. 111 c.p.c.14. V’era infatti chi negava l’integrale applicazione di tale disposizione al processo arbitrale, in quanto essa rappresenterebbe una lex specialis nel nostro ordinamento, per cui non sarebbe ipotizzabile una scissione fra la titolarità del rapporto pro-cessuale e la titolarità del diritto controverso, che l’art. 111 c.p.c. regola prop-ter opportunitatem con esclusivo riferimento al giudizio davanti all’autorità giudiziaria: avrebbe quindi dovuto essere escluso qualsiasi potere del dante causa in merito alla prosecuzione del giudizio arbitrale in luogo dell’avente causa, ovvero del successore universale in luogo del legatario, in quanto per l’arbitrato non era prevista alcuna norma derogatoria rispetto alla disciplina generale delle successioni15.

Quest’ultima conclusione era però negata da altra parte della dottrina, secondo la quale, invece, nel caso di trasferimento inter vivos, il processo

Brozolo, Milano, 2010, 216 ss.; ID., sub art. 816 quinquies, in Codice di procedura civile com-mentato, III, diretto da Consolo, 5ª ed., Milano, 2013, 1734 ss.; LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, 4ª ed., Milano, 2011, 133 ss.; CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, in Riv. dir. processuale, 2012, 841 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, V, 7ª ed., Milano, 2013, 149 ss.; VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 4ª ed., Torino, 2013, 129 ss.

14 Per un’ampia rassegna delle diverse opinioni al riguardo, v. innanzitutto MURONI, La suc-cessione nella res litigiosa, cit., 903 ss.; ID., La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 228 ss. In giurisprudenza, per l’inapplicabilità dell’art. 111 c.p.c. all’arbitrato, v. Cass., 8.4.2003, n. 5457, in Giur. it., 2004, 1391 ss., con nota di RONCO, Successione nel diritto controverso e trasla-zione del potere di nomina degli arbitri, secondo cui, appunto, «non può ritenersi applicabile nel procedimento arbitrale il disposto dell’art. 111 c.p.c.»; Cass., 8.9.2011, n. 18428; e, in un particolare caso, A. Napoli, 19.10.1998 e A. Napoli, 7.7.1998, entrambe in Riv. arbitrato, 1999, 279 ss., con nota di LUISO, Intorno ad una peculiare ipotesi di (asserita) disapplicazione dell’art. 111 c.p.c.. In senso favorevole all’estensione dell’art. 111 c.p.c. all’arbitrato, v. invece Cass., 25.7.2002, n. 10922, in Foro it., 2002, I, 2919 ss., la quale ha affermato che «l’eventuale subentro di altro soggetto nel rapporto controverso, dopo l’inizio del giudizio, non incide sulla legittimazione (…) del soggetto originariamente identificato, in base alla clausola compro-missoria, ma dà luogo all’ipotesi prevista e regolata dall’art. 111 c.p.c., applicabile, analogi-camente, anche al giudizio arbitrale»; A. Napoli, 9.9.1999, in Riv. arbitrato, 2001, 227 ss., con nota di NAZZINI, Domanda di arbitrato, art. 111 c.p.c. e potere di nomina dell’arbitro rituale, secondo cui «si applica all’arbitrato rituale l’art. 111 c.p.c., con la conseguenza che la nomina dell’arbitro spetta alla parte originaria e non al successore a titolo particolare».

15 Così REDENTI, Compromesso, cit., 808, secondo il quale il successore a titolo particolare avrebbe dovuto succedere in statu et terminis nel processo arbitrale, qualora lo stesso fosse subentrato negli effetti del patto compromissorio in relazione alla lite oggetto dell’arbitrato; viceversa, nei casi in cui ciò non fosse invece avvenuto, il processo arbitrale non avrebbe potuto proseguire nei confronti dell’avente causa, di guisa che sarebbe stato destinato a chiu-dersi in rito senza pronuncia nel merito.

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arbitrale avrebbe dovuto essere proseguito dalle parti originarie, con esclusione della facoltà del terzo acquirente di intervenire sua sponte senza il consenso delle parti del giudizio arbitrale; a ciò avrebbe fatto eccezione soltanto il caso della successione a titolo particolare mortis causa, in relazione alla quale, non trovando diretta applicazione l’art. 111 c.p.c., non avrebbe potuto escludersi l’intervento del legatario nell’arbi-trato16.

Secondo un’altra ricostruzione, che pure disconosceva l’applicazione dell’art. 111 c.p.c. all’arbitrato, si disegnava tuttavia una disciplina non troppo distante rispetto a quella tracciata da questa disposizione17, in quanto non si metteva in dubbio la possibilità che il successore a titolo particolare potesse intervenire o essere chiamato nel giudizio arbitrale pendente, né che egli dovesse subire gli effetti sfavorevoli del lodo comunque emesso inter alios18. Tale soluzione si reggeva però nelle sole ipotesi in cui la successione nella posizione soggettiva sostanziale determinava anche un subingresso dell’avente causa negli effetti del patto compromissorio19, di guisa che tale problema finiva così per risultare assorbente20.

V’era poi chi affermava che fosse applicabile all’arbitrato soltanto una parte dell’art. 111 c.p.c.: più precisamente, ammessa la perpetuatio legitima-tionis in capo all’alienante, veniva però esclusa la possibilità dell’intervento dell’avente causa, al quale era tuttavia riconosciuta la facoltà di proporre l’impugnazione per nullità del lodo, posto che la decisione arbitrale avrebbe comunque dispiegato effetti nei suoi confronti21.

16 In tal senso, CARNACINI, Arbitrato rituale, cit., 896.17 Come rilevava DELLA PIETRA, op. cit., 258, nt. 133.18 V. PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 561 ss. e 570 ss., il quale affermava che il dante

causa o il successore universale non avrebbero avuto il potere di proseguire il giudizio arbitrale per un diritto ormai spettante al successore a titolo particolare, ma precisava che quest’ultimo sarebbe stato l’unico soggetto che, intervenendo nel giudizio arbitrale, avrebbe potuto conte-starne la legittimazione.

19 Sul problema del subentro dell’avente causa nel patto compromissorio in seguito a fenomeni di successione nel diritto o nel rapporto sostanziale, cfr. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, 3ª ed., Napoli, 1964, 785 ss.; CARLEO, La successione nel rapporto compromissorio, in L’arbitrato. Profili sostanziali, a cura di Alpa, II, Torino, 1999, 692 ss.; SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti, cit., 85 ss.; ZUCCONI GALLI FONSECA, La conven-zione arbitrale rispetto ai terzi, cit., 440 ss.; PUNZI, Disegno sistematico, II, cit., 106 ss.; GRADI, sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 230.

20 PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 571 s.21 CAVALLINI, L’alienazione della res litigiosa nell’arbitrato, in Riv. dir. processuale, 1997,

158 ss.; ID., Profili dell’arbitrato rituale, Milano, 2005, 120 ss.

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Altri autori si schieravano invece a favore di una generale applicazione dell’istituto di cui all’art. 111 c.p.c., ricavandola dalle regole di trascrizione della domanda arbitrale e del lodo di cui agli artt. 2652, 2653, 2690 e 2691 c.c., ovvero da esigenze di effettività della tutela delle parti compromitten-ti22. Di conseguenza, secondo questa impostazione, il processo arbitrale avrebbe dovuto proseguire nei confronti delle parti originarie, ovvero del successore universale, senza alcuna possibilità per gli arbitri di rigettare in rito la domanda, superando così l’inconveniente, foriero di possibili diseco-nomie generate da trasferimenti fittizi, di costringere la parte interessata a proporre un nuovo procedimento nei confronti del successore particolare (in ipotesi di trasferimento sul versante passivo), ovvero a subire il giudizio intentato ex novo dall’avente causa (in ipotesi di successione dal lato attivo). A tale scopo, la decisione arbitrale avrebbe dunque dovuto estendere i suoi effetti – vel in bonam, vel in malam partem − anche nei confronti del suc-cessore, il quale avrebbe potuto intervenire od essere chiamato nel procedi-mento in corso23.

Altri autori avevano precisato che l’applicazione integrale dell’art. 111 c.p.c. al giudizio arbitrale, ed in particolare l’opponibilità del lodo al suc-cessore a titolo particolare, sarebbe stata subordinata al suo subingresso nella convenzione di arbitrato, da verificarsi sulla base delle regole di diritto sostanziale; qualora invece la successione a titolo particolare non avesse provocato anche una successione nel vincolo compromissorio, gli arbitri avrebbero dovuto declinare la propria potestas judicandi, consentendo così l’instaurazione della controversia davanti al giudice statale, salva comunque la possibilità di ricercare il consenso del successore24.

22 V. SASSANI, L’opposizione del terzo al lodo arbitrale, in Riv. arbitrato, 95, 210 s.; SALVANE-SCHI, L’arbitrato con pluralità di parti, cit., 123 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, IV, 3ª ed., cit., 342; TOMMASEO, La domanda d’arbitrato, in Riv. arbitrato, 2001, 186; RONCO, Successione nel diritto controverso e traslazione del potere di nomina degli arbitri, in Giur. it., 2004, 1395 s. Secondo la ricostruzione di ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rispetto ai terzi, cit., 468 ss., pur non potendosi applicare direttamente all’arbitrato l’art. 111 c.p.c., il sistema previsto in caso di alienazione della res litigiosa in pendenza dell’arbitrato sarebbe stato ad esso contiguo, in quanto vi sarebbe stata una eccezionale legittimazione del dante causa e il lodo avrebbe dovuto valere anche nei confronti dell’avente causa, il quale, dovendo ritenersi subentrato nel patto compromissorio, avrebbe comunque avuto titolo all’intervento.

23 V. anche DELLA PIETRA, op. cit., 257 ss.24 In questo modo, CECCHELLA, Il processo e il giudizio arbitrale, in L’arbitrato, a cura di

Cecchella, Torino, 2005, 181 s., secondo il quale, dunque, «nel caso in cui la successione a titolo particolare non provoca un vincolo del successore ai patti tutti del dante causa senza il suo consenso (tra i quali il patto d’arbitrato), agli arbitri non resta che declinare la propria compe-

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Il legislatore è adesso intervenuto espressamente in subiecta materia con l’art. 816 quinquies, 3° co., c.p.c., dichiarando applicabile all’arbitrato l’art. 111 c.p.c., con la conseguenza che in caso di successione a titolo parti-colare dopo l’inizio dell’arbitrato il processo arbitrale continuerà fra le parti originarie (in caso di successione inter vivos nella res litigiosa), ovvero verrà proseguito nei confronti del successore universale (in caso di trasfe-rimento del diritto controverso a titolo particolare mortis causa), e il lodo emesso vincolerà comunque l’avente causa, il quale potrà essere chiamato o intervenire volontariamente nell’arbitrato, oltre ad avere la facoltà di impu-gnare il lodo ai sensi degli artt. 827 ss. c.p.c. anche nel caso in cui non sia divenuto parte del giudizio arbitrale25.

B. SCOPO DELLA NORMA

In primo luogo, lo scopo della disposizione in commento (art. 816 quin-quies, 1° e 2° co., c.p.c.) è quello di contemperare due contrapposte esigenze: da un lato, quella di salvaguardare la volontà delle parti compromittenti, che hanno rinunciato alla giurisdizione offerta dallo Stato soltanto in riferimento alle controversie oggetto del patto compromissorio e «non ad altre», non-ché soltanto nei confronti delle parti compromittenti e «non nei confronti di altri soggetti», e che hanno altresì interesse alla più pronta definizione della lite arbitrale senza dover subire un ampliamento che ne determinerebbe senz’altro un rallentamento; dall’altro, quella di offrire ai terzi adeguate pos-sibilità difensive di fronte alla controversia arbitrale altrui, in considerazione degli effetti che la pronuncia degli arbitri può comunque produrre nei loro confronti26.

Infatti, a prescindere dalla portata che si voglia assegnare all’art. 824 bis c.p.c., il quale ha adesso attribuito al lodo «gli effetti della sentenza pronun-ciata dall’autorità giudiziaria»27, non si può comunque escludere a priori

tenza (rectius dichiarare l’inefficacia del loro mandato) e consentire così che la controversia si avvii innanzi al giudice».

25 In proposito, v. infra il commento al § 7.26 V. in proposito, anche per ulteriori riferimenti, GRADI, L’intervento volontario, cit., 287

ss.27 Come è noto, mentre una parte della dottrina (fra cui RICCI E.F., Arbitrato volontario

e pregiudiziale comunitaria, in Riv. dir. processuale, 2006, 714; ID., Profili liberali della nuova disciplina dell’arbitrato, in Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell’arbitrato, Milano, 2006, 23 ss.; ID., La Cassazione si pronuncia ancora sulla «natura» della conven-zione di arbitrato rituale: tra l’attaccamento a vecchi schemi e qualche incertezza con-

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che il terzo possa ricevere un pregiudizio dalla decisione arbitrale resa inter alios, vuoi in ragione dell’esecutività che può essere conferita al lodo a seguito dell’exequatur, vuoi per effetto della stessa efficacia vincolante del dictum arbitrale fra le parti, e che sia quindi ragionevole (e finanche neces-sario) disporre strumenti idonei a rimuovere, o anche a prevenire, siffatto pregiudizio28.

Ciò ha quindi indotto il legislatore, ad ammettere, anche in deroga al principio consensualistico del fenomeno arbitrale, una qualche forma di intervento del terzo pregiudicato dal lodo altrui, ritenendo a tal fine insufficiente consentire soltanto la facoltà di intervento nel giudizio di

cettuale, in Riv. dir. processuale, 2007, 1296; GALGANO, Il lodo vale, dunque, come sentenza, in Contratto e impresa, 2006, 297 s.; RICCI G.F., Ancora sulla natura e sugli effetti del lodo arbitrale, in Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, cit., 699 ss.; CASTAGNOLA, CONSOLO, MARINUCCI, Sul dialogo (impossibile?) fra cassazione e dottrina, nella specie … sulla natura (mutevole?) dell’arbitrato, in Corriere giur., 2011, 55 s.; D’ALESSANDRO, Riflessioni sull’effi-cacia del lodo arbitrale rituale alla luce dell’art. 824-bis c.p.c., in Riv. arbitrato, 2007, 529 ss., spec. 537 ss.) riconosce alla decisione degli arbitri la stessa efficacia di accertamento della sentenza statale e, quindi, anche l’attitudine al giudicato sostanziale di cui all’art. 2909 c.c., altri autori ritengono invece che al lodo non possa essere attribuita l’autorità e la forza della cosa giudicata, che sarebbe propria soltanto della sentenza: così PUNZI, «Efficacia di sentenza» del lodo, cit., 819 ss., spec. 839; ID., Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 392 ss.; RUFFINI, Patto compromissorio, in Riv. arbitrato, 2005, 711 s. e 722; ID., sub art. 806, in Codice di procedura civile commentato, III, cit., 1446; ODORISIO, Prime osservazioni sulla nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 266 ss.

Peraltro, anche coloro che riconoscono al lodo arbitrale non più impugnabile la forza della res iudicata spesso escludono l’efficacia del lodo nei confronti dei terzi: così, in par-ticolare, CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2010, 162; LA CHINA, op. cit., 240; AULETTA, sub art. 824 bis, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 420 ss., spec. 431 ss.; v. anche la posizione di LUISO, L’articolo 824-bis c.p.c., in Riv. arbitrato, 2010, 235 ss.; ID., I terzi e il lodo arbitrale, in Riv. arbitrato, 2012, 805 ss., secondo il quale il con-tratto risolutivo di una lite, il lodo e la sentenza avrebbero analoghi effetti nei confronti dei terzi. In proposito ed anche per ulteriori ragguagli, mi permetto peraltro di rinviare a GRADI, Natura ed effetti del lodo arbitrale in Germania e Austria, in PUNZI, Disegno sistematico, III, 2ª ed., cit., 845 ss.

28 Se è evidente che tale esigenza si pone con maggiore forza negli autori che equiparano sentenza e lodo ai fini degli effetti della cosa giudicata, essa non è comunque estranea alle riflessioni di chi propende per la tesi negoziale dell’arbitrato: v. PUNZI, Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 419 ss. e 610 ss., il quale ritiene che, avverso gli effetti pregiudizievoli del lodo, debba essere per lo meno accordato al terzo uno strumento di tutela idoneo a rimuoverne la portata; analogamente, l’esigenza di protezione dei terzi è fortemente avvertita, in maniera irrinunciabile, anche dalla dottrina civilistica in riferimento a quegli atti negoziali idonei a pro-durre effetti pregiudizievoli nei confronti dei terzi; in proposito, per ampi ragguagli, v. ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rispetto ai terzi, cit., 710 ss.

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impugnazione per nullità eventualmente proposto da uno dei paciscenti29, ovvero il rimedio successivo dell’opposizione di terzo avverso la pronun-cia degli arbitri30.

In altre parole, nel consentire l’ammissibilità dell’intervento ad adiu-vandum senza alcun bisogno di ricercare l’accordo delle parti e il consenso degli arbitri, il legislatore ha inteso scalfire l’autonomia negoziale delle parti in materia di arbitrato solamente sotto il profilo meramente soggettivo31, ritenendo dunque opportuno consentire in ogni caso l’accesso nel giudizio arbitrale ai soggetti titolari di situazioni soggettive dipendenti o altrimenti connesse che volessero sostenere le ragioni di una delle parti in lite. In tal modo, con il limite del divieto di modificare l’oggetto della controversia, la riforma ha quindi offerto uno strumento di tutela anticipato del soggetto rimasto estraneo alla convenzione e al processo arbitrale.

Con riferimento all’ammissibilità senza condizioni dell’intervento del litisconsorte necessario pretermesso, invece, la regola di cui al novellato art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c. non si giustifica soltanto in ragione della tutela del terzo pretermesso, che pure potrebbe subire un pregiudizio dalla decisione resa inter pauciores, ma appare diretta anche a consentire la pro-nuncia di una sentenza «utile»32. Per questa via, l’intervento spontaneo del litisconsorte necessario pure se estraneo al patto compromissorio risponde

29 In tal senso, sia pure sotto il vigore della legge arbitrale anteriore al 1994, v. Cass., 25.9.1984, n. 4820, in Foro it., 1985, I, 816 ss.; A. Roma, 24.1.1991, in Giur. di Merito, 1992, 317 ss., con nota di RUFFINI, Intervento principale del terzo nel giudizio d’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, che hanno peraltro limitato l’intervento nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo soltanto ai titolari del potere di proporre opposizione di terzo; contra, v. però Cass., 11.2.1988, n. 1465, in Giust. civ., 1988, I, 1508 ss.; Cass., S.U., 17.12.1998, n. 12622, in Arch. civ., 1999, 448 ss.

30 Tale facoltà è stata introdotta a seguito della novella del 1994, che ha modificato l’art. 831 c.p.c., sul quale v. LUISO, Le impugnazioni del lodo dopo la riforma, in Riv. arbitrato, 1995, 30 ss.; SASSANI, L’opposizione del terzo al lodo arbitrale, cit., 199 ss.; PUNZI, Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 609 ss.; e, in giurisprudenza, Cass., 28.5.2003, n. 8545, in Giust. civ., 2004, I, 401 ss.

31 In tal senso, PUNZI, Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 126; v. anche CORSINI, L’arbi-trato nella riforma del diritto societario, in Giur. it., 2003, 1295, secondo il quale la possi-bilità dell’intervento dei terzi senza il consenso degli arbitri escluderebbe il riconoscimento della «natura squisitamente privatistica dell’obbligazione» assunta dagli stessi nei confronti dei paciscenti. Secondo CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 846 ss., al fine di non derogare al principio consensualistico dell’arbitrato, l’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c. dovrebbe essere interpretato «quale presunzione di già prestato pieno consenso delle parti e degli arbitri» all’intervento adesivo dipendente.

32 Per l’inutilità della pronuncia arbitrale resa in assenza del litisconsorte necessario pre-termesso, v., in particolare, SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti, cit., 262 ss.

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in ogni caso anche all’interesse dei compromittenti o, se vogliamo, alla loro volontà implicita, di guisa che appare ragionevole che le parti del giudizio arbitrale non possano rifiutare, nei limiti di quanto già dedotto in arbitrato, la partecipazione volontaria del terzo33.

Sotto un secondo profilo, la funzione della nuova disciplina, nella parte in cui estende all’arbitrato l’applicazione dell’art. 111 c.p.c. (art. 816 quinquies, 3° co., c.p.c.), è inoltre quella di garantire l’effettività del diritto di azione e di difesa dei litiganti in caso di alienazione della res litigiosa nel corso del processo arbitrale, posto che altrimenti la parte che ha ragione sarebbe costretta a proporre un ulteriore processo nei confronti del successore per la tutela dei propri diritti, in cui dovrebbe discutere nuovamente della mede-sima questione34.

Tali inconvenienti sono quindi superati, tanto nell’arbitrato, quanto nel processo davanti all’autorità giudiziaria35, prevedendo che, nonostante il trasferimento del bene oggetto della contesa, il processo arbitrale sia pro-seguito fra le parti originarie, ovvero fra l’erede universale del dante causa e la sua controparte, ma soprattutto estendendo all’avente causa gli effetti del lodo reso inter alios.

33 Secondo CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 849, in considerazione di tale rilievo, si giustificherebbe «la presunzione di consenso che assiste l’ingresso nel giudizio arbi-trale pendente del litisconsorte necessario pretermesso». In senso contrario, v. però CORSINI, L’intervento del litisconsorte necessario nel procedimento arbitrale, in Riv. dir. processuale, 2013, 589 ss.; COLESANTI, Notarelle «controcorrente» in tema di arbitrato e litisconsorte non compromittente, in Riv. dir. processuale, 2013, 791 ss., secondo i quali ciò determinerebbe un’inaccettabile violazione del principio negoziale dell’arbitrato. Per un esame più dettagliato della questione, v. infra il commento al § 2.

34 V., in particolare, MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 229; BOVE, La giusti-zia privata, 2ª ed., cit., 162; LUISO, Intorno ad una peculiare ipotesi di (asserita) disapplica-zione dell’art. 111 c.p.c., in Riv. arbitrato, 1999, 290 s.; e, con riferimento al processo statale, ID., Diritto processuale civile, I, 7ª ed., cit., 374 ss.

35 Di recente, Cass., S.U., 25.10.2013, n. 24153 ha ritenuto di ravvisare nell’applicabilità dell’art. 111 c.p.c. al giudizio arbitrale una conferma della natura giurisdizionale dell’arbi-trato, così giungendo a ribaltare l’orientamento privatistico fatto proprio con la c.d. «svolta negoziale» di Cass., S.U., 3.8.2000, n. 527, in Corriere giur., 2001, 51 ss., con premessa di CONSOLO e note di RUFFINI e MARINELLI, Le sezioni unite fanno davvero chiarezza sui rap-porti tra arbitrato e giurisdizione?; in Riv. arbitrato, 2000, 699 ss., con nota di FAZZALARI, Una svolta attesa in ordine alla «natura» dell’arbitrato; in Riv. dir. processuale, 2001, 254 ss., con nota di RICCI E.F., La «natura» dell’arbitrato rituale e del relativo lodo: parlano le sezioni unite; in Giust. civ., 2001, I, 761 ss., con nota di MONTELEONE, Le sezioni unite della cassazione affermano la natura giuridica negoziale e non giurisdizionale del c.d. «arbitrato rituale».

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C. ANALISI DELLA DISPOSIZIONE

1. «L’intervento volontario o la chiamata in arbitrato di un terzo sono ammessi solo con l’accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri»

Dal confronto fra il 1° e il 2° co. dell’art. 816 quinquies c.p.c., emerge pacificamente che le condizioni di ammissibilità dell’intervento volontario di cui all’art. 105, 1° co., c.p.c. vanno ravvisate nell’accordo di tutte le parti coin-volte e nel consenso degli arbitri36. Il legislatore sembra qui non aver ope-rato alcuna distinzione fra terzi «assoluti», estranei tanto al giudizio arbitrale quanto al patto compromissorio, e terzi «imperfetti», che pur avendo sotto-scritto la convenzione arbitrale, non sono però stati convenuti nell’arbitrato, come peraltro oggi consente espressamente l’art. 816 quater, 1° co., c.p.c.37.

Si potrebbe quindi essere indotti a ritenere che tali requisiti siano sempre necessari ai fini dell’ammissibilità dell’intervento principale e dell’intervento adesivo autonomo38, ma una tale interpretazione strettamente letterale appare contraddetta dal rilievo che la manifestazione di volontà degli origi-nari compromittenti è, in realtà, già contenuta nella stessa convezione arbi-trale stipulata anche con il terzo. Di conseguenza, deve ritenersi che in tale ipotesi non occorra un ulteriore assenso delle parti del giudizio arbitrale, al fine di riconoscere l’ammissibilità dell’intervento principale e dell’intervento adesivo autonomo39.

36 In caso di intervento volontario, l’accordo del terzo che interviene deve peraltro ravvi-sarsi come implicito nello stesso atto di intervento: v. BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 152 s.

37 Per la necessità di distinguere, ai fini dell’intervento nel giudizio arbitrale, fra terzi vin-colati e terzi non vincolati al patto compromissorio, v. invece, già prima della novella del 2006, RUFFINI, L’intervento nel processo arbitrale, cit., 661 ss.; ID., Il giudizio arbitrale, cit., 682 s.; PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 564 ss., i quali pertanto ritenevano che non potesse dun-que escludersi alcuna forma di intervento dei compromittenti nel giudizio arbitrale, a ciò non ostando il principio consensualistico dell’arbitrato.

38 Cfr. CORSINI, Prime riflessioni sulla nuova riforma dell’arbitrato, cit., 517 s., secondo il quale sarebbe «stato forse più opportuno distinguere tra terzo estraneo sia alla lite che alla clausola compromissoria e terzo che, pur non essendo parte della controversia, ha comunque sottoscritto la convenzione arbitrale»; SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disci-plina dell’arbitrato, cit., 257 ss., la quale afferma, sia pure in senso dubitativo, che «il legisla-tore non ha fatto distinzioni, precludendo apparentemente anche l’intervento (…) del terzo che non sia estraneo al patto compromissorio».

39 In senso conforme, v. BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 154, secondo il quale il consenso delle parti ai fini dell’intervento volontario «è stato già prestato (…) in sede di stipu-lazione del contratto sulla cui base si è instaurato il giudizio arbitrale»; RICCI G.F., sub art. 816

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Analogamente, quanto al requisito del consenso del collegio arbitrale, non pare ragionevole che l’interesse degli arbitri a non subire un allargamento del processo arbitrale possa prevalere sulla volontà dei compromittenti di consentire un arbitrato con pluralità di parti. E ciò proprio nel rispetto del rapporto che lega il collegio arbitrale ai paciscenti, ossia al fine di evitare che un eventuale rifiuto si risolva, per loro tramite, in una violazione dello stesso patto compromissorio a cui le parti del giudizio arbitrale sono vinco-late, tenendo peraltro conto che la presenza di una convenzione arbitrale con pluralità di parti consente agli arbitri di prevedere l’ampliamento della controversia anche ad ulteriori domande dei terzi40.

A prescindere dalle condizioni di ammissibilità dell’intervento su inizia-tiva del terzo, è stato peraltro sostenuto che in ogni caso, con l’intervento volontario, questi farebbe proprio il tribunale arbitrale già nominato41. Tut-tavia, questa soluzione non sembra invero imposta dalla lettera della norma, né tantomeno dal sistema normativo nel suo complesso, con la conse-guenza che deve essere riconosciuta all’interveniente anche la possibilità di contestare, al momento del suo ingresso nell’arbitrato, l’imparzialità del

quinquies, 2ª ed., cit., 455; LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 291 s.; PUNZI, Il processo civile, III, 2ª ed., cit., 217; ID., Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 127; CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 851; GRADI, L’intervento volontario, cit., 293 s.; LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 779 ss. Similmente, è da ritenersi che non sia necessario il consenso delle parti vincolate da convenzioni arbitrali distinte, ma collegate: v. ZUCCONI GALLI FONSECA, Collegamento negoziale e arbitrato, in I collegamenti negoziali e le forme di tutela, Milano, 2007, 95.

40 Per analoghe conclusioni, v. RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 455; PUNZI, Il processo civile, III, 2ª ed., cit., 217; ID., Disegno sistematico dell’arbitrato, II, 2ª ed., cit., 127; GRADI, L’intervento volontario, cit., 294. Un problema potrebbe tuttavia sorgere nel caso in cui, a seguito di interventi innovativi, le parti decidano di non concedere una proroga dal termine per la pronuncia del lodo, soprattutto in prossimità della sua scadenza: in proposito, v. infra il commento al § 6.

41 Così, in particolare, CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 844 s., testo e nt. 5, secondo il quale la questione della composizione del collegio arbitrale dovrebbe essere risolta in limine, precludendo, in mancanza di accordo, il perfezionamento dell’accordo compromis-sorio necessario ad ammettere l’intervento; BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 153, per il quale «il terzo, con questa scelta, sacrifica il suo diritto a partecipare alla formazione del colle-gio arbitrale», ossia «accetta il tribunale arbitrale nella composizione che trova»; SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 260, la quale rileva che, in questa ipotesi, non sarebbe violato il suo diritto alla eguale partecipazione nella nomina del tribunale arbitrale, posto che «il terzo che decida di intervenire avrà la scelta tra l’effettuare l’intervento, accettando il collegio così come è costituito e il non intervenire»; nello stesso senso, v. anche LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 291 s.; LUISO, Diritto proces-suale civile, V, 7ª ed., cit., 151; CALIFANO, op. cit., 100.

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collegio arbitrale: tale comportamento processuale porrà quindi il problema di garantire la paritaria partecipazione del terzo alla formazione del tribu-nale arbitrale, nel rispetto del principio di uguaglianza, per effetto del quale potrebbe pertanto giungersi, con simili risultati, anche se non del tutto iden-tici, all’impossibilità di celebrare il simultaneus arbitratus42.

Nel merito della scelta del legislatore, va osservato che la subordinazione dell’intervento ad excludendum all’accordo delle parti e al consenso degli arbitri è stata giudicata inopportuna, sulla base della considerazione che non sarebbe accettabile ostacolare l’intervento del terzo titolare di un diritto autonomo e incompatibile, in ragione del fatto che il lodo emesso inter alios potrebbe comunque pregiudicarlo anche se solo in via di fatto43. Pur non trascurando tali rilievi, si deve però prendere atto del contemperamento voluto dal legislatore fra il fondamento consensuale dell’arbitrato e il diritto di azione e di difesa del terzo titolare di un diritto autonomo e incompatibile, la cui tutela resterà dunque affidata, in caso di disaccordo, alla possibilità dell’intervento nell’eventuale giudizio di impugnazione per nullità, al rime-dio successivo costituito dall’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., nonché a quello, che pare senz’altro il più efficace, di instaurare immediatamente un giudizio dinnanzi all’autorità statale, coinvolgendo anche le parti del giudizio arbitrale44.

L’inammissibilità, senza il consenso delle parti e degli arbitri, dell’inter-vento adesivo autonomo non pone invece insuperabili questioni, conside-rato che, in caso di connessione basata sul titolo o sull’identità di questioni, il diritto del terzo è del tutto indipendente rispetto alla res in judicium deducta e che, quindi, non si pone alcuna necessità di consentire il processo arbitrale litisconsortile45, mentre, qualora le diverse situazioni soggettive siano legate da un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, al terzo è comun-que aperta la possibilità di effettuare liberamente l’intervento nella forma adesiva dipendente ai sensi dell’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c.46.

La nuova disposizione di cui all’art. 816 quinquies, 1° co., c.p.c. fa inol-tre dipendere la chiamata in arbitrato del terzo, anche se non innovativa, al

42 V. infra il commento al § 5.43 V. MARENGO, Processo arbitrale, cit., 804.44 V. GRADI, L’intervento volontario, cit., 299.45 Così MARENGO, Processo arbitrale, cit., 804, il quale si pone in senso critico però rispetto

al requisito del consenso degli arbitri, in quanto ciò finisce per attribuire loro «un ruolo che contrasta con la tradizionale subordinazione di essi alla volontà delle parti».

46 V. infra il commento al § 2.

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consenso degli arbitri e all’accordo di tutte le parti del processo arbitrale47. Ciò costituisce una soluzione scontata, ove la norma venga riferita esclusiva-mente al terzo non vincolato dal patto compromissorio, che non può essere certamente chiamato in arbitrato senza il suo consenso, nemmeno ai limitati fini della denuntiatio litis, in quanto è inconcepibile che un soggetto rima-sto estraneo all’accordo compromissorio possa risultare costretto a parteci-pare in via coatta all’arbitrato, finendo così per essere privato, contro la sua volontà, del diritto di accedere alla tutela giurisdizionale davanti al giudice statale48. E ciò anche nel caso in cui il terzo che si vorrebbe chiamare è un litisconsorte necessario estraneo alla convenzione arbitrale, il quale non può essere parimenti costretto, contro la sua volontà, a partecipare al giudizio arbitrale49.

Tuttavia, anche a questo riguardo, occorre distinguere fra chiamata del terzo estraneo alla convenzione di arbitrato, che è ammissibile alle condi-zioni di cui all’art. 816 quinquies, 1° co., c.p.c., e di intervento coatto di colui che vi è invece vincolato, nel qual caso non sarà pertanto necessario né il consenso delle parti e del terzo, né quello degli arbitri, posto che il terzo che si intende chiamare non può sottrarsi alla decisione arbitrale della contro-versia50. È stato tuttavia affermato che il terzo potrebbe comunque rifiutare la chiamata nel caso in cui gli arbitri non siano stati nominati da un terzo designatore, in ragione dell’insuperabile necessità di garantire il principio di uguaglianza di tutte le parti nella formazione del collegio arbitrale51. Ma

47 V. BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 160; RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 457; LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 785.

48 Conformemente, v. RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 457; LUISO, Diritto processuale civile, V, 7ª ed., cit., 150 s.; LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 292. Per analoga conclusione, prima della riforma del 2006, v. inoltre FAZZALARI, L’arbitrato, cit., 61 s.; RUFFINI, L’intervento nel processo arbitrale, cit., 662; Coll. Arbitrale, 27.1.1994, in Riv. arbi-trato, 1995, 781 ss., con nota di BOVE, Processo arbitrale e terzi; Coll. Arbitrale, 24.1.1993, in Arch. giur. opere pubbl., 1994, 538 ss.; Coll. Arbitrale, 27.10.1992, in Arch. giur. opere pubbl., 1994, 371 ss.; Coll. Arbitrale, 17.10.1988, in Arch. giur. opere pubbl., 1989, 580 ss.

49 In senso conforme, v. RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 456; SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti, cit., 272 s.

50 In senso conforme, v. ZUCCONI GALLI FONSECA, Collegamento negoziale e arbitrato, cit., 96 s., la quale rileva che «quando ad essere chiamata in causa sia una parte della conven-zione arbitrale, si deve tener conto del fatto che ha già espresso il consenso all’arbitrato, e che il rifiuto a partecipare si sostanzierebbe in un inammissibile recesso unilaterale dal vincolo compromissorio»; RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 455 e 457, testo e nt. 14; GRADI, L’intervento volontario, cit., 302 s.

51 V. BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 161; LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 291 s.; LUISO, Diritto processuale civile, V, 7ª ed., cit., 151; PUNZI, Il processo civile,

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anche a tale riguardo, appare più corretto ritenere che l’adesione del terzo al collegio arbitrale già nominato non rappresenti un requisito di ammissibilità dell’intervento coatto, quanto piuttosto un motivo che impone di procedere alla ricostituzione del collegio arbitrale, ove questo non sia espressione pari-taria di tutti i litisconsorti, originari e successivi, a pena di impossibilità di celebrare il simultaneus arbitratus52.

Va altresì osservato che la subordinazione della chiamata richiesta da una delle parti del giudizio arbitrale al consenso dell’avversario potrebbe determinare conseguenze irragionevoli nel caso in cui, proprio a seguito delle difese di quest’ultimo, sia sorta l’opportunità di coinvolgere il terzo nell’arbitrato per estendergli, anche semplicemente con una chiamata non innovativa, l’efficacia della decisione, come potrebbe, ad esempio, accadere nel caso in cui l’avversario abbia indicato il soggetto estraneo al processo arbitrale come il vero responsabile. Si è quindi ritenuto che il rifiuto della controparte del giudizio arbitrale di consentire la chiamata non innovativa del terzo non sarebbe meritevole di tutela e potrebbe essere risolto, senza violare il fondamento consensuale dell’arbitrato, ritenendo che l’accordo del paciscente sia implicito nella sua stessa strategia di difesa o, comun-que, che non possa essere da questi negato in evidente pregiudizio della controparte53.

Tanto nelle ipotesi di intervento volontario, quanto in quelle di chiamata in arbitrato, occorre infine chiedersi in quale forma possa validamente espri-mermi l’accordo delle parti e del terzo nei casi in cui questo sia necessario ai fini dell’ammissibilità dell’intervento o della chiamata di cui all’art. 816 quinquies, 1° co., c.p.c.; in assenza di un’esplicita precisazione del legisla-tore, non è chiaro, infatti, se tale accordo, comportante un vera e propria

III, 2ª ed., cit., 217; ID., Disegno sistematico dell’arbitrato, II, 2ª ed., cit., 127; SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 260 s.; LIPARI, sub art. 816 quin-quies, cit., 786 s.; nella stessa linea, v. anche CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 860 s., il quale però esclude che «possa validamente opporsi alla chiamata – deducendo la mancanza di rappresentatività del collegio – il paciscente la cui posizione trovi egualitaria rappresentazione negli arbitri nominati dalle parti», come avverrebbe nel caso di chiamata del debitore surrogato nell’ambito del giudizio avente ad oggetto l’azione surrogatoria promossa dal creditore.

52 Su tale problematica, v. ancora infra il commento al § 5.53 Cfr. BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 77; ID., La giustizia privata, 2ª ed.,

cit., 160 s.; e simili ragionamenti potrebbero essere svolti, mutato ciò che si deve, in relazione alla posizione degli arbitri rispetto agli interessi della parte istante, sulla base del rapporto obbligatorio che lega l’una agli altri: v. GRADI, L’intervento volontario, cit., 304 s.

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integrazione del patto compromissorio54, necessiti della forma scritta nel rispetto dell’art. 807 c.p.c.55 o se invece sia possibile anche un’accettazione tacita dell’intervento. La soluzione del problema deve però rinvenirsi, almeno da un punto di vista pratico, nell’art. 817, 2° co., c.p.c., in combinato dispo-sto con l’art. 829, 1° co., n. 1, c.p.c., il quale esclude che il lodo possa essere impugnato per un difetto inerente alla convenzione arbitrale qualora il vizio non sia stato sollevato dalla parte interessata nella prima difesa utile56.

Con riferimento al consenso degli arbitri, è parimenti controverso se a tal fine occorra l’unanimità dei membri del collegio57, o se invece basti la semplice maggioranza58, ma il dubbio dovrebbe essere risolto nella prima

54 V. RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 455, secondo il quale «il consenso del terzo funge quale sorta di successiva adesione alla convenzione di arbitrato»; CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 843 ss., il quale ravvisa la necessità «della conclusione – a procedimento arbitrale pendente – di una nuova convenzione d’arbitrato tra il terzo e le parti», che avrà la forma di un compromesso sui generis valido esclusivamente per la controversia in atto e che, dunque, non manterrà la sua efficacia nell’ipotesi in cui il procedimento arbitrale si concluda senza decisione nel merito.

55 Secondo CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 845, il consenso delle parti dovrà rivestire la forma scritta, ossia essere contenuto nell’atto di intervento sottoscritto per-sonalmente dall’interveniente o dal solo difensore a cui sia stato conferito, anche solo per implicito, il suddetto potere, ovvero verbalizzato all’udienza fissata per la ricezione dell’atto di intervento con riferimento alle parti originarie dell’arbitrato, con la precisazione che in tal caso potrà bastare la sottoscrizione del difensore soltanto nel caso in cui la procura ad esso conferita contempli il potere di stipulare convenzioni arbitrali. Prima della riforma, nel senso che fosse necessaria la forma scritta, v. PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 568 s.

56 Per l’applicabilità di tale disposizione al caso in esame, v. GRADI, L’intervento volonta-rio, cit., 298. Diversamente, CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 850 s., il quale ravvisa nella fattispecie un’applicazione analogica dell’art. 817, 3° co., c.p.c., per violazione dei limiti soggettivi (e non oggettivi) della convenzione di arbitrato, con la conseguenza che il difetto dell’accordo compromissorio potrebbe essere dedotto nel corso dell’intero procedi-mento arbitrale. Con riferimento all’ipotesi di domande cumulate, alcune inerenti a contratti privi di clausola compromissoria, v. inoltre CONSOLO, MURONI, Contratti collegati con clausole arbitrali identiche: sempre unica la potestà (e così il processo) arbitrale?, in Corriere giur., 2008, 1274, secondo i quali, in tal caso, «non si assisterebbe tanto al sopravvenuto perfezio-namento di un compromesso» quanto più «ad un ampliamento della potestas judicandi degli arbitri su una controversia astrattamente compromettibile, ma non compromessa in concreto, a fronte della mancata tempestiva eccezione dell’altra parte ex art. 817 c.p.c.».

57 In tal senso, v. LA CHINA, op. cit., 134 s., il quale ritiene peraltro che non possa nemmeno farsi ricorso a rimozioni o sostituzioni degli arbitri dissenzienti; e, in senso conforme, CON-SOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 845 s. L’art. 1696 bis del Code judiciaire belga rimuove ogni dubbio in proposito, richiedendo a tal fine l’unanimità degli arbitri: v. PATOCCHI, MARZOLINI, I terzi ed il procedimento arbitrale nella prospettiva internazionale, in Riv. arbi-trato, 2012, 787.

58 Così invece NELA, sub art. 816 quinquies, in Le recenti riforme del processo civile, II, diretto da Chiarloni, cit., 1752; LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 783 s.

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direzione, trattandosi di un’accettazione che implica, tanto sotto il profilo oggettivo quanto sotto quello soggettivo, una modifica dell’incarico arbi-trale, che non può che competere singolarmente a ciascun arbitro59.

2. «Sono sempre ammessi l’intervento previsto dal secondo comma dell’art. 105 e l’intervento del litisconsorte necessario»

In deroga alla regola generale di cui all’art. 816 quinquies, 1° co., c.p.c., l’intervento adesivo dipendente è sempre ammesso, anche nel caso in cui il terzo non sia vincolato alla risoluzione arbitrale della controversia nei con-fronti delle parti del giudizio arbitrale, tenuto conto che in questa ipotesi non si realizza alcun allargamento oggettivo della controversie dedotta in arbitrato60.

La novità legislativa ha dunque superato tutte quelle discussioni che in passato ritenevano di far dipendere l’ammissibilità dell’intervento in parola dall’estensione e dalla qualità degli effetti della decisione arbitrale nei con-fronti dei terzi61, così allineandone i presupposti con quelli ricavabili da una più ampia lettura dell’art. 105, 2° co., c.p.c., nel quale una parte della dottrina ravvisa ragionevolmente, non solo le ipotesi in cui l’accertamento

59 Come già rilevato da PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 568 s., sarebbe peraltro neces-sario anche il rispetto delle forme previste per l’accettazione degli arbitri; nello stesso senso, v. CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 845, secondo il quale il consenso degli arbitri può risultare dal verbale dell’udienza in cui si svolge l’intervento.

60 V. in proposito PUNZI, Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 126; MARENGO, Processo arbi-trale, cit., 803; ODORISIO, Prime osservazioni alla nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 262 s.; CALIFANO, op. cit., 100 s.; VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 4ª ed., cit., 130; RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 456; SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 261; CAVALLINI, L’arbitrato rituale, cit., 161 s.; LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 292, secondo i quali «non ha senso porsi il problema dell’effi-cacia della convenzione di arbitrato nei suoi confronti, poiché tale efficacia va valutata dal punto di vista oggettivo (della domanda proposta), non soggettivo (dei soggetti coinvolti)». Per una prima applicazione della nuova normativa, v. inoltre Arb. Roma, 29.3.2012, in Arch. giur. opere pubbliche, 2012, 1005.

61 Non sembra pertanto condivisibile la tesi secondo la quale l’intervento ad adiuvan-dum del terzo estraneo alla convenzione arbitrale dovrebbe essere consentito, anche con-tro la volontà dei paciscenti, solo a quei soggetti destinati ad essere incisi dagli effetti del lodo emesso inter alios, ovvero soltanto a quei terzi che, se rimasti estranei al processo arbi-trale, sarebbero legittimati a proporre contro il lodo l’opposizione di terzo revocatoria di cui all’art. 404, 2° co., c.p.c.; in tal senso, BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 76; ID., L’arbitrato societario tra disciplina speciale e (nuova) disciplina di diritto comune, in Riv. dir. processuale, 2008, 947; ID., La giustizia privata, 2ª ed., cit., 156 ss.; ma, contra, NELA, sub art. 816 quinquies, in Le recenti riforme del processo civile, II, diretto da Chiarloni, cit., 1754.

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contenuto nella decisione resa inter alios risulti vincolante ultra partes, ma anche quelle in cui il terzo dipendente subisca un pregiudizio semplicemente in ragione degli effetti costitutivi, esecutivi o di fattispecie derivanti dalla decisione62.

Sempre sulla base dell’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c., anche l’intervento volontario del litisconsorte necessario deve oggi ritenersi ammissibile senza la necessità di alcun consenso dei paciscenti o degli arbitri63, ciò che il legi-slatore riconosce senza vincoli proprio al fine di favorire lo svolgimento del giudizio arbitrale64. Secondo un’interpretazione assai diffusa, siffatto inter-vento è da ritenersi ammesso tanto nel caso in cui il terzo pretermesso sia vincolato nei confronti delle altre parti alla risoluzione arbitrale della con-troversia, quanto in quello in cui sia rimasto estraneo alla convenzione di arbitrato sottoscritta inter pauciores65.

Tale interpretazione è stata però oggetto di critica da parte di alcuni autori, secondo i quali, al contrario, l’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c. legit-timerebbe l’intervento del litisconsorte necessario pretermesso soltanto nell’ipotesi in cui lo stesso sia già parte dell’accordo compromissorio, di guisa che, in mancanza, ai fini dell’ammissibilità del suo intervento (e, con-seguentemente, della procedibilità dell’arbitrato), sarebbe imprescindibile il consenso di tutte le parti alla stregua dell’art. 816 quinquies, 1° co., c.p.c.66.

62 In questo senso, v., in particolare, CHIZZINI, L’intervento adesivo, II, Padova, 1992, 655 ss.; CHIZZINI, PAOLETTI, sub art. 105, in Codice di procedura civile commentato, I, cit., 1202 ss., a cui si rinvia anche per ulteriori richiami.

63 PUNZI, Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 126; MARENGO, Processo arbitrale, cit., 802 s.; ODORISIO, Prime osservazioni alla nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 262 s.; SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 262 ss.; LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 292; CALIFANO, op. cit., 100, nt. 9. Per un’ipotesi applicativa alla luce della riforma del 2006, v. Arb. Roma, 26.6.2012, in Arch. giur. opere pubbliche, 2012, 1087.

64 V., in particolare, VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 4ª ed., cit., 130, il quale appunto rileva che «l’intervento del litisconsorte necessario trova giustificazione nel fatto che altrimenti il processo sarebbe improcedibile».

65 In tal senso, MARENGO, Processo arbitrale, 802 s.; ODORISIO, Prime osservazioni alla nuova disciplina dell’arbitrato, in Riv. dir. processuale, 2006, 262 s.; RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 456; LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 788 s.; SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 262; RUBINO SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato, 6ª ed., Padova, 2010, I, 395 s.; LUISO, Diritto processuale civile, V, 7ª ed., cit., 152; VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 4ª ed., cit., 89 e 129 s.; GRADI, L’intervento volontario, cit., 296.

66 In tal senso, v. LA CHINA, op. cit., 135 s. il quale ritiene che l’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c. riguarderebbe «l’intervento per integrazione del contraddittorio del solo litisconsorte necessario che era vincolato anche lui dalla stessa convenzione arbitrale che vincolava le altre parti del procedimento arbitrale in atto ma che non vi era stato convenuto»; CORSINI, L’inter-

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Questa limitazione deriverebbe dall’art. 816 quater c.p.c., a norma del quale l’arbitrato è improcedibile ogni qual volta i litisconsorti necessari non siano tutti vincolati dalla medesima convenzione arbitrale67, e sarebbe altresì imposta dal principio consensualistico dell’arbitrato, che verrebbe violato in pregiudizio dei compromittenti originari qualora si ammettesse l’intervento del litisconsorte estraneo al patto compromissorio68.

Se si accettasse questa impostazione69, l’espressione «sono sempre ammessi» contenuta nell’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c. finirebbe però per assumere significati esattamente opposti in relazione alle due ipotesi congiuntamente prese in considerazione dalla disposizione, escludendo l’intervento del litisconsorte necessario estraneo al patto compromissorio e consentendo invece l’intervento adesivo dipendente del terzo «assoluto»70, con risultati che appaiono pertanto contrari al tenore letterale della norma

vento del litisconsorte necessario nel procedimento arbitrale, cit., 589 ss., secondo il quale, peraltro, nell’ipotesi di procedimento arbitrale derivante da clausola compromissoria, non potrebbe mai verificarsi il caso di intervento del litisconsorte necessario pretermesso che non sia parte del contratto in cui la clausola è inserita o che non vi abbia successivamente aderito; SASSANI, Di modificazioni della domanda, diritti autodeterminati, litisconsorti necessari e altro ancora nel giudizio arbitrale, in www.judicium.it, 2013, 13 ss.; COLESANTI, Notarelle «controcorrente» in tema di arbitrato e litisconsorte non compromittente, cit., 791 ss.

67 In tale prospettiva, v. LA CHINA, op. cit., 135 s.; CORSINI, L’intervento del litisconsorte necessario nel procedimento arbitrale, cit., 601 s.; COLESANTI, Notarelle «controcorrente» in tema di arbitrato, cit., 798 ss., i quali rilevano che l’art. 816 quater, 3° co., c.p.c. sancisce l’improcedibilità dell’arbitrato «se non si verifica l’ipotesi prevista nel primo comma», ossia se la pluralità di parti (litisconsorti necessari) non è vincolata dalla medesima convenzione di arbitrato e se la nomina degli arbitri non avviene secondo le tre modalità ivi descritte.

68 CORSINI, L’intervento del litisconsorte necessario nel procedimento arbitrale, cit., 599; COLESANTI, Notarelle «controcorrente» in tema di arbitrato, cit., 801 ss.

69 Si noti però che, se è vero che l’art. 816 quater c.p.c. disciplina l’ipotesi in cui la plura-lità di parti sia vincolata dalla medesima convenzione di arbitrato, non sembra da escludere la possibilità di realizzare un unico processo arbitrale in ipotesi differenti, ad esempio qualora le parti siano vincolate da diversi accordi compromissori fra di loro collegati: in tal senso, v. BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 83 s.; POLINARI, Pluralità di parti e pluralità di conven-zioni d’arbitrato, in Riv. arbitrato, 2006, 543 s.; ID., sub art. 816 quater, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 213; LIPARI, sub art. 816 quater, in Commentario alle riforme del processo civile, III, 2, cit., 746; in senso contrario sembrano invece orientati LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 289; RICCI G.F., sub art. 816 quater, in Arbitrato, diretto da Carpi, 2ª ed., cit., 447 e 449; LICCI, La pluralità di parti nel procedimento arbitrale: le solu-zioni del passato, i problemi del presente, in Riv. arbitrato, 2009, 390.

70 Così SASSANI, Di modificazioni della domanda, cit., 15 s., il quale ritiene che il potere di intervento del terzo adesivo dipendente estraneo al patto compromissorio sarebbe giustifi-cato in quanto egli subirebbe gli effetti del lodo reso inter alios, a differenza del litisconsorte necessario non compromittente e pretermesso dall’arbitrato, per il quale la decisione arbitrale sarebbe inutiliter data.

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(che, non a caso, è invece formulata al plurale). Inoltre, l’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c. risulterebbe privo di concreta utilità nell’ammettere il solo intervento del litisconsorte necessario vincolato alla convenzione arbitrale, in quanto ogni forma di intervento del terzo compromittente (e non solo quella del litisconsorte ex art. 102 c.p.c.) è invero ammissibile già in forza del patto compromissorio, senza necessità di un ulteriore accordo degli altri contraenti71.

In relazione al secondo argomento, non sembra peraltro che il legisla-tore abbia in questo caso derogato al fondamento negoziale dell’arbitrato, ma piuttosto che abbia previsto, nell’ottica del favor contractus, un mec-canismo per realizzare, attraverso la successiva partecipazione spontanea del litisconsorte necessario pretermesso, proprio la volontà dei paciscenti di ricorrere alla soluzione arbitrale della lite, in un’ipotesi in cui l’iniziale intento compromissorio delle parti non avrebbe altrimenti potuto spiegare i suoi effetti72. Deve, infatti, riconoscersi che, con la stipula della conven-zione di arbitrato, i contraenti originari si sono impegnati reciprocamente a dare esecuzione al contratto in buona fede e, quindi, anche a non opporsi all’ingresso nell’arbitrato dei litisconsorti necessari, senza i quali non sarebbe possibile la decisione nel merito da parte degli arbitri73.

71 Ciò – beninteso – a meno che non si voglia sostenere che i presupposti per l’intervento di cui all’art. 816 quinquies, 1° co., c.p.c. (accordo delle parti e consenso degli arbitri) tro-vino applicazione anche ai terzi «relativi», estranei al procedimento ma non alla convenzione arbitrale: infatti, solo adottando tale soluzione, che pare però irragionevole per le ragioni già in precedenza esposte (v. supra il commento al § 1 e gli autori ivi citati, fra cui LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 291 s.), l’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c. così interpretato acquisterebbe un senso con riferimento al litisconsorte necessario.

72 Proprio a tal fine, CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 849, ritiene che vi sia una prestazione di consenso implicito dei compromittenti all’accettazione dell’intervento dei litisconsorti necessari pretermessi. Contra, COLESANTI, Notarelle «controcorrente» in tema di arbitrato, cit., 801 ss., secondo il quale siffatta presunzione sarebbe invece una fictio inido-nea a superare il contrasto fra legge delegata e legge delega, la quale imponeva di disciplinare la partecipazione successiva dei terzi «nel rispetto dei principi fondamentali dell’istituto»; in tale ultimo senso, v. anche CORSINI, L’intervento del litisconsorte necessario nel procedimento arbitrale, cit., 599 s., per il quale l’interpretazione accolta nel testo renderebbe incostituzionale l’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c. per eccesso di delega.

73 In questo modo, già nel sistema anteriore alla novella del 2006, RUFFINI, L’intervento, cit., 649 s.; ID., Il giudizio arbitrale con pluralità di parti, cit., 681 s.; PUNZI, Disegno siste-matico, I, cit., 569, per i quali, ai fini dell’ammissibilità dell’intervento del terzo estraneo alla convenzione arbitrale, sarebbe stato necessario acquisire il consenso di almeno uno dei com-promittenti originari, cui adde SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti, cit., 274 s., testo e nt. 88, secondo la quale tale consenso avrebbe potuto ravvisarsi come implicito nel comporta-mento della parte proponente la domanda di arbitrato. Il risultato indicato nel testo potrebbe,

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Va dunque riconosciuta, alla luce dell’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c., l’ammissibilità dell’intervento del litisconsorte necessario pretermesso, anche se estraneo al patto compromissorio. Peraltro, ciò non comporta, sotto il profilo delle modalità di designazione degli arbitri e conseguente-mente della procedibilità dell’arbitrato, un trattamento di maggior favore dell’intervento rispetto all’ipotesi in cui il cumulo soggettivo si realizzi ab origine fra litisconsorti vincolati dal medesimo accordo compromissorio74: infatti, anche a seguito dell’intervento ex art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c., possono sorgere problemi relativi alla composizione del collegio arbitrale, analoghi a quelli previsti per l’ipotesi di litisconsorzio iniziale.

A tale proposito, una parte della dottrina ha sostenuto che, con l’inter-vento volontario del litisconsorte necessario pretermesso, questi farebbe necessariamente proprio il collegio arbitrale già costituito75, ma, come si è già visto con riferimento alle altre forme di intervento, anche in questo caso non può escludersi che l’interveniente pretenda di partecipare alla designa-zione del tribunale arbitrale in condizioni di parità con i litisconsorti ori-ginari, ciò che potrebbe quindi determinare l’improcedibilità del processo arbitrale ai sensi dell’art. 816 quater, 3° co., c.p.c.76.

3. L’ordine di integrazione del contraddittorio

Il legislatore non si è invece espressamente occupato dell’ordine di inte-grazione del contraddittorio, previsto dall’art. 102 c.p.c. per il processo

in alternativa, essere raggiunto anche valorizzando la nozione di «convenzione di arbitrato necessariamente aperta» sotto il profilo soggettivo in relazione a particolari ipotesi legitti-manti, elaborata sempre nel sistema anteriore alla novella del 2006, da ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rispetto ai terzi, cit., 183 ss. e 733, secondo la quale il litisconsorte necessario pretermesso avrebbe avuto la facoltà di aderire al patto compromissorio altrui e, di conseguenza, il potere di intervenire nel giudizio arbitrale. In proposito, v. anche supra il commento al § 1. Tali prospettive sono respinte da COLESANTI, Notarelle «controcorrente» in tema di arbitrato, cit., 796 e 804, ma tale autorevole opinione non appare condivisibile, in quanto essa finirebbe per legittimare comportamenti contraddittori degli originari contraenti, in contrasto con la stessa volontà iniziale di compromettere la lite.

74 Come afferma invece COLESANTI, Notarelle «controcorrente» in tema di arbitrato, cit., 799, nt. 8, secondo il quale mentre l’arbitrato instaurato fra tutti i litisconsorti necessari che abbiano sottoscritto la medesima convenzione di arbitrato sarebbe improcedibile qualora non sia rispettata una delle modalità di formazione del collegio giudicante previste dall’art. 816 quater, 1° co., c.p.c., nel caso di intervento del litisconsorte necessario estraneo al patto, si avrebbe una sorta di «sanatoria» di ogni anteriore irregolarità.

75 LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 788 s.76 Per tali problematiche, v. ancora infra il commento al § 5.

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statale, con la conseguenza che si pone tutt’ora il problema di stabilire se gli arbitri abbiano la possibilità di ordinare alle parti di far partecipare i liti-sconsorti necessari pretermessi all’arbitrato, problema che veniva tradizio-nalmente risolto in senso negativo sulla base della considerazione che gli arbitri sarebbero privi di poteri di imperium77.

In realtà, la mancanza di poteri di coazione degli arbitri non sembra avere niente a che fare con l’istituto in parola, atteso che l’eventuale ordine di inte-grazione del contraddittorio degli arbitri non sarebbe affatto diretto ai terzi, quanto piuttosto alle parti del giudizio arbitrale, al fine di stimolare queste ultime a coinvolgere i litisconsorti necessari rimasti estranei e, quindi, con lo scopo di rendere una pronuncia «utile»78. Infatti, in tutti i casi in cui il contraddittorio non venga integrato nei confronti dei litisconsorti neces-sari pretermessi, vuoi per l’inerzia delle parti, vuoi perché il terzo estraneo alla convenzione arbitrale rifiuti di parteciparvi, l’arbitrato dovrà ritenersi improcedibile, come oggi appare confermato a contrario dall’art. 816 qua-ter, 3° co., c.p.c.79.

L’iniziativa del collegio arbitrale, nell’interesse delle stesse parti dalle quali ha ricevuto il mandato, volta a provocare la partecipazione del litiscon-sorte necessario pretermesso, sia esso vincolato o meno alla convenzione d’arbitrato, non solo risulta possibile, ma anzi appare obbligata, sebbene non tanto in forza di un’applicazione analogica dell’art. 102 c.p.c., quanto piut-tosto in virtù del corretto adempimento del mandato arbitrale raccolto80. Tuttavia, proprio la mancanza nell’arbitrato di una norma siffatta fa sì che l’ordine degli arbitri assumerà le forme e i modi della prassi e, soprattutto, che l’improcedibilità non possa essere dagli stessi dichiarata qualora le parti

77 V. FAZZALARI, L’arbitrato, cit., 58; BERNARDINI, Il diritto dell’arbitrato, Bari, 1998, 76; A. Roma, 26.10.1989, in Rass. arbitrato, 1990, 202.

78 A. Milano, 25.9.1998, in Corriere giur., 1999, 226 ss., con nota di ROMANO A.A., Arbitrato rituale e litisconsorzio necessario.

79 In tal senso, v. RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 450 s.; VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 4ª ed., cit., 129 s.; e, già prima della riforma, v. FAZZALARI, L’arbitrato, cit., 58; SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti, cit., 267 s.; DELLA PIETRA, op. cit., 245, secondo il quale, nel caso di litisconsorte necessario estraneo alla convenzione di arbitrato, dovrà però essere dichiarata la nullità del patto compromissorio e improseguibile il giudizio; nella giurisprudenza arbitrale, v. inoltre Coll. Arbitrale, 26.10.1998, in Riv. arbitrato, 1999, 357 ss., con nota di LONGO, Litisconsorzio necessario e arbitrato.

80 Cfr., in proposito, RUFFINI, L’intervento nel processo arbitrale, cit., 662; SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti, cit., 262 s.; RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 452; in giurisprudenza, Cass., 27.9.1994, n. 7872, in Riv. arbitrato, 1994, 697 ss., con nota di FAZZALARI, In tema di compromesso e di litisconsorzio necessario.

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provvedano all’integrazione del contraddittorio oltre il termine fissato dal collegio arbitrale, ma comunque prima dell’emanazione del lodo di impro-cedibilità81.

4. L’intervento per ordine degli arbitri

Anche l’intervento ordinato dal collegio arbitrale per ragioni di oppor-tunità dovute alla comunanza di causa sulla base dell’art. 107 c.p.c., non è stato disciplinato in riferimento all’arbitrato di diritto comune82. L’ordine degli arbitri di chiamare in lite un altro soggetto, a cui consegue l’estensione del contraddittorio ad opera della parte più diligente, deve peraltro ritenersi inammissibile nell’arbitrato di diritto comune83, in quanto non pare che il collegio arbitrale, il quale ha assunto verso i paciscenti l’obbligo di rendere un lodo di merito, si possa rifiutare di decidere la lite, chiudendo in rito il procedimento, solo perché ritenga opportuno estendere l’arbitrato ad un terzo e, per giunta, nell’interesse di quest’ultimo84.

81 RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 452; CALIFANO, op. cit., 100 s., nt. 9; MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 341, secondo la quale gli arbitri devono invitare le parti ad integrare il contraddittorio e, se queste non ottemperano, emettere un lodo definitivo, che dichiari l’impedimento alla decisione di merito.

82 In senso analogo, V. LA CHINA, op. cit., 135, secondo il quale «se le parole di un testo nor-mativo hanno un senso – e devono averlo – è decisivo il fatto che nel comma in esame si usa la parola “chiamata”, in letterale corrispondenza al verbo “chiamare” di cui all’art. 106 e solo in esso, e si ignorino in assoluto le parole “ordine”, “ordinare” del successivo art. 107». Diver-samente, v. invece BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 158, secondo il quale «la genericità dell’art. 816 quinquies c.p.c. sembra rinviare ad ogni ipotesi d’intervento su istanza di parte o per ordine del giudice di cui agli articoli 106 e 107 c.p.c.», anche se poi giunge ad escludere che nel giudizio arbitrale possa parlarsi di un vero e proprio intervento iussu arbitrorum; RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 457, per il quale «poiché l’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c., sembra consentire l’intervento “su chiamata” in generale, senza porre specifiche distin-zioni, parrebbe di dover concludere che sia avallata la possibilità di impiego anche dell’inter-vento ex art. 107 c.p.c.».

83 A diversa soluzione deve invece giungersi nell’arbitrato societario alla luce dell’art. 35, d.lg. n. 5/2003: v. infra il commento al § D.

84 In senso conforme, BOVE, L’arbitrato nelle controversie societarie, cit., 486; ID., La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 77; ID., La giustizia privata, 2ª ed., cit., 159; LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 787. Per analoga conclusione, ma sulla base di diversi percorsi argo-mentativi, v. CARNACINI, Arbitrato rituale, cit., 896, che deriva una tale conseguenza dall’origine contrattuale dell’arbitrato e nella mancanza di imperium degli arbitri; FAZZALARI, L’arbitrato, cit., 61, il quale giunge allo stesso esito affermando che il terzo non può essere privato del suo giudice naturale; CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 862, che fonda la sua opinione sulla mancanza in capo agli arbitri di poteri di imperio; in giurisprudenza, cfr. Coll. Arbitrale, 28.7.1998, in Arch. giur, op. pubbl., 2000, 1230.

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Ciò infatti mal si adatta alla funzione dell’arbitro, il quale, pur essendo ovviamente chiamato a rendere una decisione «giusta», deve però innanzi-tutto rispondere dell’incarico conferito dalle parti. Inoltre, rispetto ai terzi estranei al patto compromissorio, un tale ordine potrebbe invero rivelarsi inutile, atteso che la partecipazione al processo arbitrale di soggetti non vincolati alla convenzione arbitrale non potrebbe in nessun caso realizzarsi senza l’accordo dello stesso terzo chiamato85.

Non va invece ovviamente esclusa la facoltà del collegio arbitrale di indi-care alle parti i terzi ai quali sarebbe opportuno estendere il contraddittorio, ma senza che l’inottemperanza dell’eventuale provvedimento degli arbitri possa produrre un qualche effetto sull’arbitrato, che potrà comunque giun-gere alla sua conclusione anche senza la partecipazione del terzo86. E si è anche sostenuto che nulla vieterebbe agli arbitri di dare informale comuni-cazione al terzo della pendenza del procedimento arbitrale in modo tale che egli possa valutare la possibilità di un eventuale intervento87, ma in realtà non sembra che possano essere trascurati proprio quegli obblighi di riserva-tezza che l’arbitro assume nei confronti delle parti al momento di raccogliere il mandato arbitrale88.

5. Litisconsorzio successivo e nomina degli arbitri

Come si è già in parte anticipato, in tutti i casi in cui il litisconsorzio successivo è consentito, si pone il problema di garantire la partecipazione del terzo alla nomina degli arbitri, nel rispetto del principio di parità, non essendo ammissibile che la scelta del tribunale arbitrale possa essere rimessa soltanto alle parti originarie89.

85 RUFFINI, L’intervento nel processo arbitrale, cit., 662.86 V. CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 860; RICCI G.F., sub art. 816 quin-

quies, 2ª ed., cit., 457 s.; BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 160; OCCHIPINTI, Il procedimento arbitrale, cit., 98.

87 V. ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rispetto ai terzi, cit., 749; LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 788.

88 In proposito, v., sia pure in maniera problematica, LAUDISA, Arbitrato e riservatezza, in Riv. arbitrato, 2004, 23 ss., spec. 31.

89 V., con particolare riferimento al problema dell’intervento nel giudizio arbitrale, RUF-FINI, L’intervento nel processo arbitrale, cit., 663 ss., il quale rileva tuttavia che, ove il terzo intervenga prima della costituzione del tribunale arbitrale, avrà la possibilità di partecipare alla nomina degli arbitri ab origine in condizioni di uguaglianza rispetto agli altri paciscenti; TIZI, Litisconsorzio successivo e imparzialità del tribunale arbitrale, in Riv. arbitrato, 2008, 485 ss.; più in generale, sul principio della libera e paritaria partecipazione di tutte le parti alla

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Al riguardo, non si pone alcun problema soltanto qualora le parti abbiano affidato spontaneamente ad un soggetto terzo il compito di scegliere il col-legio arbitrale o l’arbitro unico, oppure nel caso in cui il terzo intervenuto abbia comunque partecipato alla formazione degli arbitri, avendo concorso a nominarli nel patto compromissorio al quale era vincolato ab origine, in quanto tali modalità di nomina si prestano a rispettare il principio di ugua-glianza nella nomina degli arbitri anche nell’ipotesi di litisconsorzio succes-sivo90. Indubbie problematiche presenta invece la situazione in cui il terzo intervenuto o chiamato non abbia in alcun modo partecipato alla nomina del collegio arbitrale, vuoi perché sia rimasto estraneo al patto compromissorio con il quale sia stata effettuata la nomina, vuoi perché non abbia poi parteci-pato alla designazione degli arbitri nella fase introduttiva del procedimento arbitrale instaurato fra le altre parti.

In tali casi, non sorge alcun ostacolo al funzionamento del giudizio arbi-trale pendente soltanto qualora il terzo aderisca, anche implicitamente, alla nomina dell’arbitro effettuata da una delle parti, id est quando accetti libe-ramente di farsi giudicare dal collegio arbitrale già designato91, oppure nel caso in cui tutte le parti procedano, di comune accordo, all’ampliamento

nomina degli arbitri, REDENTI, Compromesso, cit., 803; ANDRIOLI, op. cit., 797; VECCHIONE, L’arbi-trato nel sistema del processo civile, cit., 408 s.; SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti (una pluralità di problemi), in Riv. dir. processuale, 2002, 465; e, in giurisprudenza, Cass., 29.11.1999, n. 13306; Cass., 25.3.1998, n. 3136; Cass., 5.2.1997, n. 1090; Cass., 7.6.1985, n. 3394, in Giur. comm., 1986, II, 26 ss., con nota di SILINGARDI, L’arbitrato in materia societaria e la «linea di maggior rigore»; Cass., 11.05.1982, n. 2945, in Giur. it., 1983, I, 1, 69 ss.; Cass., 30.3.1981, n. 1826, in Giust. civ., 1981, I, 2666 ss.

90 In tal senso, v. già RUFFINI, L’intervento nel processo arbitrale, cit., 663, il quale appunto aveva rilevato come la devoluzione della nomina degli arbitri ad un soggetto terzo fosse l’unico meccanismo idoneo a consentire in ogni caso lo svolgimento dell’arbitrato con pluralità di parti, anche in considerazione della possibilità di intervento dei terzi nel corso del giudizio. A seguito della novella del 2006, v. SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 260 s.; TIZI, Litisconsorzio successivo e imparzialità del tribunale arbi-trale, cit., 492 ss.

91 Così RUFFINI, L’intervento nel processo arbitrale, cit., 667; NELA, sub art. 816 quin-quies, in Le recenti riforme del processo civile, diretto da Chiarloni, II, cit., 1752 s.; GRADI, L’intervento volontario, cit., 308; TIZI, Litisconsorzio successivo e imparzialità del tri-bunale arbitrale, cit., 493 ss., la quale rileva come, in tal modo, l’interveniente «ratifi-chi tacitamente la nomina dell’arbitro o degli arbitri posta in essere dalle parti originarie, esercitando il proprio diritto di nomina attraverso l’adesione alla designazione del giudice da altri effettuata», ed aggiunge che tale rinuncia a nominare un proprio arbitro è senza dubbio ammissibile, in quanto successiva e non preventiva rispetto al sorgere della con-troversia.

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o alla ricostituzione dello stesso92. Quando però ciò non accada, si crea una situazione di possibile stallo: da un lato, infatti, il tribunale arbitrale in precedenza nominato non è fornito di potestas judicandi nei confronti del terzo e, dall’altro, l’eventuale nomina successiva di ulteriori giudici privati da parte di quest’ultimo potrebbe portare il collegio ad un numero pari di componenti, ovvero ad una sua composizione squilibrata qualora il terzo intervenuto o chiamato sia portatore di un interesse comune a quello di una della parti del giudizio arbitrale, con conseguente impossibilità del collegio originario di assumere validamente una decisione congiunta nel merito della controversia93.

Si è quindi affermato, in dottrina, che, al fine di evitare una possibile impasse del processo arbitrale, l’ammissibilità dell’intervento volontario sia in ogni caso subordinata all’adesione del terzo al collegio o all’arbitro unico già nominato, in quanto – fuori dei casi di litisconsorzio necessario – non sarebbe accettabile consentire al terzo di determinare una soprav-venuta impossibilità di funzionamento dell’arbitrato94; analogamente, si è ritenuto che la chiamata del terzo che non intenda accettare il collegio arbitrale già designato non possa avere alcun effetto nei suoi confronti, in quanto non sarebbe certamente congruo costringerlo ad un tale sacrificio95.

92 Tale possibilità è ammessa, ad esempio, da BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 77; GRADI, L’intervento volontario, cit., 308 s.; e, con riferimento all’ipotesi di chiamata in causa del terzo o di intervento del litisconsorte necessario pretermesso, da SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 260 e 262; più in generale, per la possibilità della revoca degli arbitri o di un singolo arbitro per volontà concorde di tutti i paciscenti, v. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, 3ª ed., Milano, 1988, 417 s., mentre per il divieto di revoca unilaterale dell’arbitro già nominato dalla parte, ANDRIOLI, op. cit., 807; PUNZI, Disegno sistematico, I, 2ª ed., cit., 583.

93 Per un’approfondita analisi sulla complessa questione relativa alla nomina degli arbitri con pluralità di parti, che sembra riproporsi negli stessi termini anche quando il litisconsorzio si realizzi in un momento successivo, si rinvia a SALVANESCHI, sub art. 816 quater, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 242 ss.; POLINARI, sub art. 816 quater, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 207 ss., ove anche ampi riferimenti.

94 V. CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 852 s., il quale giunge a tale con-clusione in considerazione degli inconvenienti che la situazione potrebbe determinare sul funzionamento dell’arbitrato; SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 260, secondo cui l’intervento dovrebbe ritenersi precluso qualora l’interve-niente rifiuti di accettare il collegio già costituito, potendo tuttavia instaurare un diverso pro-cedimento arbitrale in cui parteciperà alla formazione del collegio; LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 291 s.; BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 77.

95 CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 860; LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 292; PUNZI, Il processo civile, III, 2ª ed., cit., 217; SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 260 s.

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Secondo questa prospettiva, dunque, la spontanea accettazione del terzo al collegio arbitrale già nominato finirebbe per riflettersi sull’ammissibilità dell’intervento volontario o coatto, così costringendo il terzo all’alternativa di accettare il tribunale arbitrale o di rinunciare di partecipare all’arbitrato, accontentandosi dei rimedi successivi.

Si è in proposito anche affermato che siffatta adesione sarebbe rispettosa del principio della libera e paritaria partecipazione delle parti alla forma-zione del collegio arbitrale96, ma in verità appare evidente che siffatta accet-tazione, ove ritenuta implicita nell’intervento, non sarebbe il frutto di una scelta incondizionata, bensì risulterebbe imposta obtorto collo alla parte che intenda difendersi nell’arbitrato, tenuto conto che la sua scelta non sarebbe completamente libera, né tantomeno equivalente rispetto a quella effettuata dai litisconsorti originari.

Il profilo della partecipazione successiva del terzo alla nomina del col-legio arbitrale, che sorge invero soltanto a seguito della realizzazione del cumulo processuale, risulta peraltro estraneo alla questione dell’ammissibi-lità dell’intervento stesso. Non può, infatti, essere trascurata la duplice cir-costanza che il legislatore non ha in alcun modo subordinato l’ammissibilità della partecipazione successiva del terzo alla supina adesione di quest’ultimo alle designazioni arbitrali altrui97 e che, nel momento in cui sorge la crisi circa la composizione del collegio arbitrale, l’intervento o la chiamata del terzo si sono, in un certo qual modo, già verificate98, senza considerare che

96 V., in particolare, TIZI, Litisconsorzio successivo e imparzialità del tribunale arbi-trale, cit., 496 ss., la quale ritiene pertanto che il terzo intervenuto non possa lamentarsi della parzialità dell’organo arbitrale, salvo soltanto il limitato caso in cui si tratti di terzo titolare di un diritto permanentemente dipendente da quello dedotto in arbitrato e quindi soggetto all’effi-cacia del lodo indipendentemente dalla sua partecipazione al processo arbitrale, nel qual caso egli avrebbe la facoltà di denunciare il vizio di costituzione del collegio arbitrale, innanzitutto attraverso la ricusazione di singoli arbitri ai sensi dell’art. 815 c.p.c., ma soprattutto denun-ciando l’imparzialità del collegio arbitrale nel suo complesso, che potrebbe essere fatta valere anche avverso il lodo di merito ai sensi dell’art. 829, 1° co., n. 2, c.p.c., per violazione sostan-ziale delle regole che governano la nomina degli arbitri, ovvero ai sensi dell’art. 829, 3° co., c.p.c., per contrarietà all’ordine pubblico (sul presupposto che dovrebbe essere ivi ricompreso anche l’ordine pubblico processuale).

97 In tal senso, v. PUNZI, Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 129 s.; GRADI, L’intervento volontario, cit., 310 s.; e, in senso dubitativo, v. ZUCCONI GALLI FONSECA, Collegamento negoziale e arbitrato, cit., 96, secondo la quale «è tutto da dimostrare» che l’accordo del terzo circa la sua partecipazione successiva all’arbitrato implichi automaticamente l’accettazione del colle-gio arbitrale originariamente costituito.

98 Secondo l’opinione oggi prevalente, la pendenza del processo arbitrale sorge a seguito dalla semplice proposizione della domanda di arbitrato, con la quale si procede ad indicare

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l’intervento potrebbe essere dispiegato dal terzo con contestuale denuncia dell’imparzialità del collegio arbitrale già operante, ovvero con nomina di un ulteriore arbitro, di cui ovviamente non sarebbe possibile non tenere conto.

Ovviamente, ove l’accordo delle parti e il consenso gli arbitri siano neces-sari ai sensi dell’art. 816 quinquies, 1° co., c.p.c. ai fini dell’ammissibilità dell’intervento, essi potrebbero subordinare il proprio benestare all’inter-vento alla rinuncia del terzo alla nomina di ulteriori giudici privati, ovvero alla sua accettazione del tribunale già costituito, proprio al fine di evitare le complicazioni che potrebbero derivare in tal caso alla realizzazione del simultaneus arbitratus99. Ma, quando l’intervento è ammissibile anche a prescindere dalla loro ulteriore volontà – in quanto si tratta di terzi vincolati con le parti del giudizio arbitrale alla convenzione di arbitrato, ovvero di intervento ai sensi dell’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c.100 – la soluzione dei problemi relativi alla formazione del collegio arbitrale in caso di litiscon-sorzio successivo non può essere diversa da quella prevista per le ipotesi in cui il litisconsorzio si realizzi già nella fase introduttiva del procedimento, ma prima della costituzione del collegio arbitrale, che sono oggi regolate dall’art. 816 quater, 2° e 3° co., c.p.c.101.

Tale disposizione prevede, fra l’altro, che, nel caso in cui gli arbitri non siano stati designati da un terzo, ovvero nominati con l’accordo di tutte le parti o ancora frutto dello spontaneo raggruppamento di due gruppi di

la materia del contendere, le parti ed eventualmente ad effettuare la nomina dell’arbitro di propria competenza, senza però che sia necessaria la costituzione del collegio arbitrale: v., da ultimo, MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 118 ss., che parla in proposito di liti-spendenza «semplice» conseguente al compimento di tali adempimenti ed anteriore all’accet-tazione del collegio arbitrale; e, nello stesso senso, TOMMASEO, La domanda di arbitrato, in Riv. arbitrato, 2001, 186; SALETTI A., La domanda di arbitrato e i suoi effetti, in Riv. arbitrato, 2002, 678 s.; TRISORIO LIUZZI G., La fase introduttiva del procedimento arbitrale, in Riv. arbi-trato, 2003, 704; in giurisprudenza, v. Cass., 25.7.2002, n. 10922, cit.; Cass., 28.5.2003, n. 8532, in Arch. civ., 2004, 360 ss.; Cass., 8.4.2003, n. 5457, cit.; contra, CAVALLINI, L’alienazione della res litigiosa nell’arbitrato, in Riv. dir. processuale, 1997, 146 ss., secondo cui, invece, la pendenza del processo arbitrale si avrebbe soltanto con l’accettazione degli arbitri. Se però si accetta, come pare ragionevole, la prima tesi, è allora giocoforza concludere che anche l’intervento o la chiamata del terzo spieghino i suoi effetti fin dalla proposizione dell’atto di intervento o di chiamata da o nei suoi confronti, senza che ciò imponga l’accettazione del collegio arbitrale, che peraltro potrebbe dover essere modificato o integrato proprio a seguito dell’intervento.

99 Cfr. SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 256 s.

100 V. supra il commento ai §§ 1 e 2.101 In tal senso, v. PUNZI, Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 129 s.; GRADI, L’intervento

volontario, cit., 311 ss.

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litiganti, il procedimento arbitrale si scinda dando origine ad una serie di arbitrati paralleli, mentre, limitatamente al caso in cui si versi in ipotesi di litisconsorzio necessario, l’arbitrato venga dichiarato improcedibile. Per-tanto, qualora il litisconsorte necessario pretermesso non intenda accettare il collegio già nominato, gli arbitri officiati del lodo dovranno chiudere in rito il procedimento, con conseguente possibilità di ciascuna delle parti di proporre un nuovo giudizio davanti all’autorità giudiziaria102.

L’improcedibilità del giudizio arbitrale pendente deve peraltro riscon-trarsi, nonostante la lettera della legge, anche nelle ipotesi di litisconsorzio unitario, nelle quali la decisione deve essere logicamente unica per tutte le parti103. Nelle ipotesi di litisconsorzio facoltativo, invece, il cumulo proces-suale non potrà realizzarsi, analogamente a quanto previsto dall’art. 816 qua-ter, 2° co., c.p.c.: ne segue che la domanda introdotta con l’intervento o con la chiamata del terzo dovrà proseguire disgiuntamente rispetto al giudizio arbitrale pendente, dando vita ad un arbitrato parallelo, nel qual caso pare peraltro necessaria la pronuncia di un lodo di scissione a cura del collegio arbitrale già costituito104. Appare però assai discutibile l’operare del mec-canismo di separazione delle liti nei casi vi sia una connessione per incom-patibilità, ovvero nelle ipotesi in cui l’intervento sia effettuato nella forma adesiva dipendente o sia dispiegata la chiamata in garanzia105.

102 Secondo CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 858, «da una tale declinatoria discenderà – nella sola ipotesi, però, in cui il pretermesso non sia parte della convenzione di arbitrato – l’inoperatività dell’art. 808 quinquies c.p.c., sulla perdurante efficacia della conven-zione in ipotesi di conclusione del procedimento arbitrale senza decisione nel merito»; nello stesso senso, anche GRADI, L’intervento volontario, cit., 311. Deve però riconoscersi che, anche nel caso in cui tutti i litisconsorti necessari siano vincolati al patto compromissorio, l’azione potrebbe essere proposta davanti al giudice ordinario, sul presupposto che la convenzione arbitrale sia divenuta inoperante a seguito del disaccordo delle parti nella scelta degli arbitri: così, con riferimento all’art. 816 quater c.p.c., RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 451.

103 V. LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 290; RICCI G.F., sub art. 816 quin-quies, 2ª ed., cit., 451; GRADI, L’intervento volontario, cit., 311, il quale ravvisa peraltro una fat-tispecie di litisconsorzio unitario o necessario di origine convenzionale anche nel caso in cui le parti si siano impegnate a risolvere congiuntamente una lite per mezzo dell’arbitrato, perché anche in tale circostanza la separazione delle liti in distinti procedimenti sarebbe contraria alla volontà iniziale dei compromittenti.

104 È evidente come un tale risultato possa essere raggiunto attraverso la diretta proposi-zione, da parte o nei confronti del terzo, di un distinto giudizio arbitrale, come sostenuto da SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 256 s. e 260 s., secondo cui l’intervento o la chiamata dovrebbero ritenersi precluse nel caso in cui il terzo rifiuti di accettare il collegio già costituito e non si raggiunga un accordo sulla ricostituzione dello stesso.

105 V. GRADI, L’intervento volontario, cit., 312 s.

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Al fine di risolvere i problemi di funzionamento del meccanismo di nomina degli arbitri nei giudizi arbitrali con pluralità di parti, non è peraltro possibile ricorrere all’ausilio dell’autorità giudiziaria, in quanto la disposi-zione contenuta nel nuovo art. 816 quater c.p.c. impone alternativamente, in tali casi, l’improcedibilità dell’arbitrato o la separazione dei procedimenti106. Non è quindi consentito, di fronte alla nomina da parte del terzo intervenuto di un ulteriore giudice privato, senza che venga ricostituita concordemente la disparità del collegio, che la parte più diligente possa far ricorso, ai sensi dell’art. 809, 3° co., c.p.c., al presidente del tribunale per la nomina dell’ulte-riore arbitro; ovvero, quando ciò non sia sufficiente, non sembra ammissibile applicare analogicamente la disposizione contenuta nel medesimo comma ai fini della ricomposizione integrale del collegio107.

La celebrazione di giudizi arbitrali litisconsortili in cui la nomina degli arbitri sia rimessa all’iniziativa delle parti è dunque possibile soltanto in caso di accordo dei litiganti, ciò che si ravvisa nel caso in cui il terzo intervenuto aderisca liberamente alla scelta degli arbitri già effettuata dalle parti origina-rie108. Tuttavia, nella recente giurisprudenza arbitrale, anche la dichiarazione dell’interveniente di accettare il collegio arbitrale già nominato è stata repu-tata insufficiente, qualora uno dei litisconsorti originari neghi il proprio con-senso rispetto a tale adesione, sul presupposto che in tal caso mancherebbe l’accordo di tutti i litisconsorti necessari rispetto alla nomina condivisa del collegio arbitrale, con l’ulteriore conseguenza che, in caso di litisconsorzio necessario, ciò comunque determinerebbe l’improcedibilità dell’arbitrato109.

106 Come ricordato anche da ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, cit., 955 ss., a cui si rinvia anche per riferimenti comparatistici, al fine di risolvere i problemi della nomina degli arbitri nelle controversie con pluralità di parti, ove non si voglia imporre la soluzione della designazione affidata fin dall’inizio ad un soggetto terzo (che pure ha lo svantaggio della rinuncia della «gelosa» prerogativa della nomina diretta ad opera delle parti), si dovrebbero adottare meccanismi che consentano il ricorso all’autorità giudiziaria in ogni caso di impasse.

107 Prima della novella, tali soluzioni erano state proposte, sia pure con riferimento al liti-sconsorzio iniziale, rispettivamente da SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti (una pluralità di problemi), cit., 471 ss., e da RUFFINI, Il giudizio arbitrale, cit., 693.

108 Così anche BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 153 e 155; TIZI, Litisconsorzio suc-cessivo e imparzialità del tribunale arbitrale, cit., 493 ss.; LIPARI, sub art. 816 quater, cit., 767.

109 V. Coll. Arbitrale Milano, 7.2.2011, in Riv. dir. processuale, 2011, 943 ss., con nota di SAS-SANI, Sull’esclusione del litisconsorte necessario dal giudizio arbitrale; e in Giust. civ., 2012, I, 2857 ss., con nota di GRADI, Adesione del litisconsorte necessario pretermesso al collegio arbitrale già costituito e dissenso di uno dei litisconsorti originari: uno «strano caso» di improcedibilità dell’arbitrato.

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La pronuncia, resa a maggioranza a fronte di una incisiva dissenting opi-nion dell’arbitro di minoranza, ha trovato alcuni consensi in dottrina, che ha rilevato che la parte originaria dell’arbitrato avrebbe in ogni caso il diritto di non «condividere» con il terzo intervenuto l’arbitro di propria nomina, perché altrimenti «risulterebbe ingiustamente limitata la possibilità della parte già presente in arbitrato di rifiutare l’aggregazione, sebbene ex post, che invece – in ossequio al diritto inviolabile di ogni compromittente di par-tecipare liberamente alla designazione del collegio arbitrale – era piena ed incondizionata durante la fase di formazione del collegio»110; e, dall’altro, che il litisconsorte originario dovrebbe comunque esprimere un ulteriore consenso anche rispetto alla nomina della stesso effettuata, non potendo altrimenti ritenersi raggiunto l’accordo di tutte le parti previsto dall’art. 816 quater, 1° co., c.p.c.111.

Tuttavia, non sembra che i litisconsorti originari possano esercitare un tale potere di veto, opponendosi all’adesione del terzo intervenuto, di guisa che, nel caso di intervento del litisconsorte necessario pretermesso che aderisca al collegio arbitrale già costituito, l’arbitrato deve ritenersi pro-cedibile112. Infatti, da un lato, la successiva adesione del soggetto preter-messo non determina alcuna lesione del diritto del litisconsorte originario di partecipare liberamente e paritariamente alla formazione del collegio arbitrale113; dall’altro, le parti originarie non possono revocare le nomine già effettuate dopo che gli arbitri abbiano accettato l’incarico, mentre

110 In tal senso, v. GRAZIOSI, Consenso delle parti e intervento del litisconsorte necessario pretermesso in arbitrato rituale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, 300 ss.

111 Così, in particolare, BRIGUGLIO, Amleto, la pluralità di parti sopravvenuta e la nomina degli arbitri, in Riv. dir. processuale, 2012, 1533 ss., il quale però esclude la possibilità per il litisconsorte originario di esprimere validamente il proprio dissenso quanto questo risulti ingiustificato in ragione dell’assenza di contrapposizioni interne con la parte intervenuta.

112 V., per questa conclusione, l’opinione dell’arbitro di minoranza espressa in Coll. Arbi-trale Milano, 7.2.2011, cit.; nonché SASSANI, Di modificazioni della domanda, cit., 17 s.

113 V. SASSANI, Sull’esclusione del litisconsorte necessario dal giudizio arbitrale, in Riv. dir. processuale, 2011, 951, secondo il quale, in caso di adesione del terzo, non sorge alcuno «squilibrio nei rapporti di forza fra gli arbitri» già nominati e non sorge quindi alcun impedi-mento alla prosecuzione dell’arbitrato; CORSINI, L’intervento del litisconsorte necessario nel procedimento arbitrale, cit., 602 s., per il quale non è configurabile «alcun valore meritevole di tutela in capo a colui che sia già parte dell’arbitrato ed abbia nominato il “proprio” arbitro, ma non intenda “condividerlo” con l’intervenuto»; GRADI, Adesione del litisconsorte necessario pretermesso, cit., 2867 s., ove si è osservato che, «se è vero che la parte può legittimamente rifiutarsi di negoziare con un’altra la scelta di un arbitro comune (perché ciò comporta presu-mibilmente reciproche limitazioni), è altrettanto vero che, se la stessa invece procede – in base alla propria strategia processuale – alla nomina unilaterale di un proprio arbitro, non può poi

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l’accordo sulla nomina ex art. 816 quater, 1° co., c.p.c. deve intendersi in tal caso raggiunto, sia pure per successiva adesione dell’interveniente114. Può soltanto riconoscersi alla parte originaria, che poteva invero preve-dere l’intervento del litisconsorte necessario pretermesso soprattutto ove questi sia parte della convenzione di arbitrato, un potere di ricusazione anche dell’arbitro dalla stessa già nominato, qualora a seguito dell’inter-vento siano sorte ragioni di imparzialità in precedenza non conosciute e derivanti, in particolare, dai rapporti fra i membri del collegio arbitrale e i difensori prescelti dal terzo115.

6. Tempo dell’intervento e svolgimento del processo arbitrale in caso di litisconsorzio successivo

Per quanto riguarda il tempo dell’intervento del terzo, non essendo pre-vista alcuna decadenza, deve ritenersi che esso sia consentito in qualunque stato del procedimento arbitrale116, al contrario di quanto avviene invece

evitare che un altro litigante converga su tale designazione al fine di consentire la celebrazione del giudizio arbitrale».

114 In questo modo, v. CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 859, il quale eviden-zia come, proprio in relazione alla disciplina di cui all’art. 816 quater, 1° co., c.p.c., «il richiesto accordo dei litisconsorti necessari sussista anche in caso di adesione alla nomina voluta da uno solo di essi, senza che a ciò possa opporsi proprio chi quell’arbitro vorrebbe incaricare»; GRADI, Adesione del litisconsorte necessario pretermesso, cit., 2869 ss., ove si è rilevato anche che la spontanea aggregazione, originaria o successiva, delle parti ai fini della nomina degli arbitri può realizzarsi, alla luce del nuovo art. 816 quater c.p.c., anche per fini meramente processuali, ossia anche nel caso in cui le stesse non appartengano al medesimo centro sostan-ziale di interessi: per tale ultima conclusione, v. anche SALVANESCHI, sub art. 816 quater, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 245; RICCI G.F., sub art. 816 quinquies, 2ª ed., cit., 448; LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 289 s.; LIPARI, sub art. 816 quater, cit., 753 s.; LICCI, La pluralità di parti nel procedimento arbitrale, cit., 392.

115 GRADI, Adesione del litisconsorte necessario pretermesso, cit., 2874, testo e nt. 46.116 Così NELA, sub art. 816 quinquies, in Le recenti riforme del processo civile, II, diretto

da Chiarloni, cit., 1755, il quale ravvisa in ciò il pericolo di manovre di disturbo, volte a ritar-dare la conclusione dell’arbitrato; CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 869; GRADI, sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 228; LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 790, che a tal fine valorizza anche l’avverbio «sempre» in relazione agli interventi di cui all’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c. In senso parzialmente diverso, v. CAVALLINI, L’arbitrato rituale, cit., 163 ss., per il quale il vuoto normativo andrebbe colmato limitando la possibilità della chiamata in arbitrato alla prima udienza di discussione davanti agli arbitri, mentre ad analoga conclusione non potrebbe giungersi con riferimento all’intervento volonta-rio, in quanto altrimenti verrebbero ad essere penalizzati i terzi che vengano a conoscenza del giudizio arbitrale in un momento successivo.

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nell’ambito dell’arbitrato societario, laddove esso è consentito soltanto fino alla prima udienza arbitrale, come previsto dall’art. 35, 2° co., d.lg. n. 5/2003117.

In tutti i casi in cui si realizzi il litisconsorzio successivo, si pone inoltre la questione se al terzo intervenuto possano essere imposte le regole pro-cessuali stabilite dalle parti nel patto compromissorio o con atto scritto separato anteriore all’inizio del giudizio arbitrale, ovvero decise dagli arbi-tri in caso di disaccordo o silenzio degli stessi compromittenti (si pensi, in particolare, ad eventuali meccanismi di preclusione o alla scelta della lingua dell’arbitrato). A tale proposito, sembra ragionevole ritenere che le norme procedimentali previste nella convenzione d’arbitrato o nella sua successiva integrazione siano vincolanti per il terzo compromittente, non-ché per colui che le accetti in seguito; similmente, se tali regole sono state decise dagli arbitri non sembra che il terzo intervenuto possa pretendere una modifica delle decisioni del collegio a tale riguardo, posto che anche la sua mancata adesione ab origine non sarebbe stata comunque idonea a limitare il potere regolamentare del collegio arbitrale. In ogni caso, però, l’imposizione delle disposizioni processuali pattuite inter pauciores o decise dagli arbitri dovrà trovare un limite nel rispetto del principio del contraddittorio: pertanto, al terzo dovranno essere sempre consentite nuove allegazioni ed eccezioni, nonché nuove deduzioni istruttorie118, ed egli potrà sempre avvalersi di una lingua a lui conosciuta, maturando anche il diritto ad ottenere le opportune traduzioni degli atti avversari e delle attività d’udienza119.

A seguito dell’intervento, gli arbitri non possono beneficiare di una pro-roga ex lege del termine per la pronuncia del lodo, giacché l’art. 820 c.p.c. non prevede a tal fine l’ipotesi di allargamento soggettivo (ed eventualmente anche oggettivo) della lite120. Eppure, un prolungamento dei termini potrebbe aversi nel caso in cui venga concordemente modificata la composizione del

117 V. infra il commento al § D.118 V. CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 870, il quale aggiunge che anche «le

parti originarie del procedimento arbitrale riacquisteranno i loro poteri (…), limitatamente, però, a quelle attività che si rendano necessarie a seguito delle difese svolte dal terzo»; GRADI, sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 228 s.

119 GRADI, sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 229.120 V. CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 870; BOVE, La giustizia privata,

2ª ed., cit., 153, secondo il quale non è nemmeno possibile ritenere che l’accettazione degli arbitri di un intervento innovativo possa far decorrere un nuovo termine, «perché non si può concepire che all’interno di un giudizio unitario decorrano termini diversi per le diverse cause che in esso si trattano».

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collegio arbitrale o decisa la sostituzione dell’arbitro unico [art. 820, 4° co., lett. d), c.p.c.]121, nel caso in cui il collegio pronunci un lodo interlocutorio che dichiari l’ammissibilità dell’intervento in seguito ad una controversia insorta fra le parti122 o un lodo parziale che decida soltanto alcune delle cause cumulate [art. 820, 4° co., lett. c), c.p.c.]123, ovvero nell’ipotesi in cui gli arbitri o le parti ottengano una proroga dal presidente del tribunale che ravvisi in ciò un fondato motivo [art. 820, 4° co., lett. b), c.p.c.]124. Inoltre, è anche ipo-tizzabile una dilazione del termine ex art. 820, 4° co., lett. a), c.p.c., mediante decisione concordata delle parti, alla quale gli arbitri potranno subordinare il proprio consenso all’intervento, nei casi in cui esso è necessario125.

In caso di eventuale ricomposizione del collegio arbitrale a seguito dell’intervento, si pone altresì il problema di valutare l’attività compiuta dagli arbitri uscenti, la quale dovrebbe tuttavia continuare a mantenere l’efficacia e la validità che le è propria, anche se il materiale probatorio eventualmente raccolto dovrà essere apprezzato dal nuovo collegio, il quale potrà anche disporne la rinnovazione126.

Nel caso in cui sia dichiarata l’inammissibilità dell’intervento, in quanto non rispettoso delle condizioni di cui agli artt. 816 quinquies, 1° e 2° co., c.p.c., deve peraltro ritenersi possibile condannare il soggetto che ha pro-posto l’atto di intervento alle spese del giudizio arbitrale relative alla fase processuale concernente l’ammissibilità dell’intervento: è vero infatti che gli arbitri non hanno potestas judicandi nel merito della controversia, ma ai sensi dell’art. 817, 1° co., c.p.c. hanno comunque il potere di decidere della propria «competenza», per il semplice fatto di essere stati investiti della lite.

121 GRADI, sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 229.122 In tal senso, GRADI, sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbi-

trato, cit., 229; ma contra, CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 871. Sul punto, cfr. anche CORSINI, L’intervento del litisconsorte necessario nel procedimento arbitrale, cit., 597.

123 Per tale ipotesi, BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 154, secondo il quale, nel caso di cause scindibili «gli arbitri potrebbero continuare la trattazione delle cause nel cui ambito hanno ottenuto la proroga del termine e decidere, quindi separare, le altre»; CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 871.

124 GRADI, sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 229.125 Così CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 870, il quale ipotizza peraltro, in

alternativa, la possibilità di riconoscere agli arbitri la facoltà di rinunciare all’incarico; BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 153; GRADI, sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 229; LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 790.

126 GRADI, sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 229.

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7. «Si applica l’art. 111»

L’art. 816 quinquies, 3° co., c.p.c. richiama oggi per intero l’art. 111 c.p.c., comportando l’applicazione all’arbitrato di tutto il contenuto della disposi-zione127 in caso di trasferimento del diritto controverso successivo alla pro-posizione della domanda arbitrale128. Pertanto, oltre alla possibilità che il giudizio arbitrale venga proseguito dalle parti originarie, ovvero dal succes-sore universale o in suo confronto, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.129, si deve oggi ritenere consentito l’intervento o la chiamata in arbitrato del successore a titolo particolare nella res litigiosa, il quale peraltro, sempre in forza di tale rinvio, è destinato ad essere comunque inciso dagli effetti del lodo emesso inter alios anche nel caso in cui l’arbitrato continui a svolgersi fra le parti originarie, ovvero, nell’ipotesi di trasferimento mortis causa, qualora venga eventualmente proseguito dal successore universale130.

Per l’effetto della riforma, il subingresso sostanziale del successore nel patto compromissorio non sembra inoltre più decisivo al fine di consentire l’applicazione dell’art. 111 c.p.c., che deve dunque operare anche qualora il terzo non sia succeduto negli effetti del patto compromissorio131, anche

127 ODORISIO, Prime osservazioni alla nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 263; VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 4ª ed., cit., 132; SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 263 s.

128 La litispendenza arbitrale sorge infatti al momento della notificazione della domanda arbitrale: v. supra il commento al § 5, nt. 98 e testo corrispondente. In senso contrario, v. invece CAVALLINI, L’arbitrato rituale, cit., 105 ss.; LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 792 ss., secondo i quali l’art. 111 c.p.c. troverebbe applicazione soltanto in relazione ai trasferimenti del diritto successivi all’accettazione degli arbitri. Ma questa interpretazione finisce per pri-vare di tutela la parte interessata nelle more della costituzione del tribunale arbitrale: per tale critica, v. CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 864.

129 In relazione alla possibilità che il processo sia proseguito dal successore universale, v., anche per i collegamenti di questa diposizione con il nuovo art. 816 sexies c.p.c., MURONI, La successione nella res litigiosa, cit., 924 s.; LA CHINA, op. cit., 137; SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 263 s.

130 V. LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 293; BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 162, il quale precisa che il terzo potrebbe sfuggire al giudicato arbitrale nel caso in cui il suo diritto non derivi da una delle parti, avendo acquistato a titolo originario o da un altro soggetto, ovvero nell’ipotesi in cui il trasferimento sia avvenuto prima della litispendenza arbi-trale o quando la trascrizione del proprio acquisto nei registri immobiliari sia avvenuta prima della trascrizione della domanda di arbitrato.

131 V. PUNZI, Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 134 s.; BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 161 s., i quali sono a favore dell’applicazione integrale della disposizione al processo arbi-trale; per alcuni distinguo, v. invece MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 257 ss., la quale rileva tuttavia che il lodo reso fra le parti originarie produce effetti nei confronti dell’avente causa rimasto estraneo al processo arbitrale anche quando non vi sia stata succes-

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se in quest’ultima ipotesi la disposizione in esame deve adattarsi alla fat-tispecie concreta in cui manca un accordo compromissorio fra parti ori-ginarie e avente causa a titolo particolare. Per risolvere questo problema, risulta peraltro essenziale stabilire se il fenomeno successorio debba assu-mere rilievo nel giudizio arbitrale, con la conseguenza che l’oggetto del pro-cesso pendente non sarebbe più costituito dal rapporto originario, bensì da quello fra il successore a titolo particolare e la controparte del dante causa o dell’erede, la quale starebbe in giudizio in qualità di sostituto processuale, secondo la c.d. teoria della rilevanza132; oppure se, secondo la c.d. teoria dell’irrilevanza, il quid disputatum resterebbe immutato a seguito del tra-sferimento, di guisa che il giudice dovrebbe decidere la controversia come se la successione non si fosse verificata133.

Seguendo quest’ultima impostazione, è stato dunque affermato che «gli arbitri debbano pronunciare il lodo non solo sulle domande formulate nell’introduzione dello stesso, ma altresì solo nei confronti dei compro-mittenti (originari) che abbiano con i medesimi concluso il contratto di

sione nella convenzione di arbitrato, ma in tal caso gli arbitri non potrebbero accertare diret-tamente l’esistenza del diritto sostanziale in capo a quest’ultimo, in ragione dell’inopponibilità nei suoi confronti del patto compromissorio; anche secondo CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 866, non dovrebbe essere disconosciuta in ogni caso l’estensione degli effetti della sentenza al successore, ma la piena operatività dell’art. 111 c.p.c. nell’arbitrato potrebbe riconoscersi soltanto nell’ipotesi in cui il successore a titolo particolare sia subentrato nella convenzione di arbitrato. Più restrittivo appare invece LA CHINA, op. cit., 136 s., secondo il quale «la successione nella qualità di parte del procedimento arbitrale pendente può aver luogo solo se chi succede nel diritto succede pure nella convenzione arbitrale».

132 Accorda preferenza alla teoria della rilevanza, anche nel contesto della successione a titolo particolare in pendenza di arbitrato, MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 239 e 263 ss., in quanto più idonea a consentire la tutela dell’azione, anche se la piena applica-zione di questo principio andrebbe limitata al caso di successione dell’avente causa nel patto compromissorio, nel qual caso, appunto, il dante causa assumerebbe la veste di sostituto pro-cessuale dell’avente causa, di guisa che gli arbitri potrebbero statuire direttamente sul diritto di quest’ultimo; viceversa, tale ultima conseguenza non sarebbe ammissibile nel caso di terzo successore non subentrato negli effetti della convenzione arbitrale: in proposito, v. anche infra, nt. 135 e testo corrispondente.

133 V., già prima della novella del 2006, CAVALLINI, L’alienazione della res litigiosa nell’arbi-trato, cit., 156 ss.; ID., Profili dell’arbitrato rituale, cit., 120 ss., secondo il quale, rispetto al giudizio statale, nel diverso ambiente arbitrale si dovrebbe applicare la teoria dell’irrilevanza; e, dopo l’ultima riforma, ID., L’arbitrato rituale, cit., 112 ss., il quale afferma che «la perpetua-tio legitimationis nel processo arbitrale manifesta l’irrilevanza della vicenda traslativa nel corso di svolgimento del giudizio». Si rammenta peraltro che, con riferimento al processo statale, LUISO, Diritto processuale civile, I, 7ª ed., cit., 383 ss., ritiene preferibile l’applicazione della teoria dell’irrilevanza con riferimento alle ipotesi di successione dal lato dell’obbligato, mentre dovrebbe essere seguita la teoria della rilevanza in caso di successione dal lato attivo.

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arbitrato»134. Chi invece aderisce alla prima teoria osserva che l’estraneità del terzo alla convenzione arbitrale dovrebbe impedire la modificazione della domanda oggetto del processo arbitrale, che prosegue fra le parti ori-ginarie; conseguentemente, in tal caso, il collegio arbitrale non avrebbe il potere di decidere in via diretta del diritto del successore a titolo particolare, potendo soltanto statuire sul rapporto originario fatto valere in arbitrato, che potrebbe dunque essere dichiarato non più attuale per effetto dell’avve-nuto trasferimento, nel qual caso la protezione dei litiganti sarebbe tuttavia assicurata «attraverso la valorizzazione del motivo portante della decisione resa fra le parti originarie»135.

Quanto all’intervento volontario del successore a titolo particolare nel diritto controverso, esso costituisce un intervento sui generis, che non è riconducibile alle altre forme già note e che, nonostante la connessione per dipendenza fra il diritto dell’avente causa e quello del dante causa, si diffe-renza sia rispetto alla forma di intervento litisconsortile, sia rispetto a quella ad adiunvadum136. Pertanto, ai fini dell’intervento in arbitrato del succes-sore nella res litigiosa, sia esso succeduto o meno nel patto compromissorio, non è dunque necessario ricercare il consenso delle parti del processo arbi-trale, né tantomeno il consenso degli arbitri, in quanto l’ammissibilità dello stesso è ormai prevista dalla disposizione richiamata, che prevale come lex specialis sul disposto di cui all’art. 816 quinquies, 1° co., c.p.c.137. Viceversa,

134 V. CAVALLINI, L’arbitrato rituale, cit., 112 ss.135 V. MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 264 ss., la quale precisa che se il

processo avente ad oggetto il diritto del dante causa accerti l’esistenza di un fatto estintivo anteriore alla successione, allora pregiudicherà l’avente causa in via riflessa; viceversa, ove la domanda venga respinta in ragione della successione nel diritto controverso, allora l’efficacia conformativa di questo giudicato non coprirà gli eventuali fatti estintivi personali all’avente causa e così sopravvenuti alla successione. Aderisce a questa soluzione anche CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 867.

136 Così, in particolare, MARENGO, Processo arbitrale, cit., 810 s.137 In questo modo, v. CORSINI, Prime riflessioni sulla nuova riforma dell’arbitrato,

cit., 518; RICCI G.F., sub art. 816 sexies, 2ª ed., cit., 462 s.; NELA, sub art. 816 quinquies, in Le recenti riforme del processo civile, II, diretto da Chiarloni, cit., 1756 s.; PUNZI, Il processo civile, III, 2ª ed., cit., 217. Nello stesso senso, v. MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 268 s., secondo la quale, mediante l’intervento volontario, l’avente causa accetta di aderire all’accordo arbitrale, ove non subentrato nello stesso, di guisa che verrebbe così ad assumere la veste di parte principale, mentre il dante causa diverrebbe parte adesiva; similmente, v. CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 866 s., secondo il quale il successore non subentrato nel patto compromissorio così «elide in radice le problematiche sottese all’indivi-duazione del fondamento della potestas decidendi degli arbitri in relazione a situazioni giuri-diche di spettanza di terzi non paciscenti». Contra, v. invece LA CHINA, op. cit., 137, secondo

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con riferimento alla chiamata in causa del successore non subentrato negli effetti dell’accordo compromissorio, si è affermato che non si possa pre-scindere dal suo consenso, atteso che non vi sarebbe un apprezzabile inte-resse degli altri soggetti di provocare coattivamente la sua partecipazione, in quanto il lodo potrebbe essere comunque opposto al successore138.

Quanto alla partecipazione del successore nella res litigiosa alla forma-zione del collegio arbitrale, è stato affermato che l’esclusione di qualsiasi possibilità dello stesso di incidere sulla sua composizione a seguito dell’inter-vento comporterebbe un’ingiustificata imposizione degli arbitri già nominati e che analoghi dubbi si porrebbero in relazione alle stesse parti del giudizio arbitrale, le quali potrebbero replicare che avrebbero nominato un arbitro diverso o scelto un tiers arbitre differente qualora avessero avuto a che fare con il successore139. Tali incertezze interpretative vanno però respinte: se, infatti, il successore nella res litigiosa deve ritenersi vincolato dal lodo emesso anche in assenza della sua partecipazione al giudizio arbitrale, ossia proprio dal lodo emesso dagli arbitri designati da altri soggetti, a maggior ragione dovrà ritenersi assoggettato alla nomina del collegio effettuata dal proprio dante causa140; inoltre, dal punto di vista delle parti del giudizio arbi-trale, l’interesse alla nomina di un arbitro diverso in caso di intervento del

cui nessun automatismo di subentro in arbitrato pare possibile nell’ipotesi di trasferimento del diritto litigioso senza successione nella convenzione arbitrale, nel qual caso l’intervento del successore a titolo particolare dovrebbe ritenersi possibile soltanto con il consenso delle parti e degli arbitri. V. anche CAVALLINI, L’arbitrato rituale, cit., 114 s., secondo il quale l’inter-vento del successore a titolo particolare non subentrato nel patto compromissorio potrebbe avvenire soltanto secondo lo schema dell’«unico “tipo” di intervento volontario che l’art. 816 quinquies c.p.c. esonera dalla stipulazione di una nuova convenzione arbitrale lite pendente, cioè quello adesivo dipendente».

138 In tal senso, MURONI, La successione nella res litigiosa, cit., 921 ss.; ID., La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 269, la quale ritiene peraltro sussistente un onere di denuntiatio litis in favore dell’avente causa, al fine di favorire il suo intervento volontario, in quanto non sarebbe congruo imporre al terzo l’estensione del lodo senza consentirgli di influire sull’esito del processo arbitrale, posto che il lodo, a differenza della sentenza statale, può essere cen-surato solo per motivi tassativi e con esclusione delle censure di diritto qualora le parti non l’abbiano espressamente consentito. Contrari alla chiamata in causa del successore nella res litigiosa non subentrato nel patto compromissorio anche: CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 866, nt. 45; LA CHINA, op. cit., 137.

139 Per tali rilievi, v., prima della novella del 2006, CAVALLINI, L’alienazione della res litigiosa nell’arbitrato, cit., 161 s.; ID., Profili dell’arbitrato rituale, cit., 118 ss.; e, anche dopo tale riforma, ID., L’arbitrato rituale, cit., 108 ss.

140 Per un’analoga soluzione, variamente argomentata, v. PUNZI, Il processo civile, III, 2ª ed., cit., 218; ID., Disegno sistematico dell’arbitrato, II, 2ª ed., cit., 136; CONSOLO, I terzi e il proce-dimento arbitrale, cit., 867 s.; BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 162; e, già prima della

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successore, pur apprezzabile in alcune ipotesi, non può certo valere in asso-luto. Il problema potrebbe pertanto trovare un adeguato contemperamento nell’istituto della ricusazione, che dovrà ritenersi consentita, nei limiti dei motivi di cui all’art. 815 c.p.c., in caso di sopravvenienza di una causa di incompatibilità a seguito della partecipazione del successore all’arbitrato141.

Deve inoltre riconoscersi che, qualora il convenuto in arbitrato trasferi-sca ad altri la posizione soggettiva litigiosa prima della formazione del col-legio arbitrale, la nomina dell’arbitro spettante al dante causa possa essere effettuata dal successore, che in tal modo interviene nel processo arbitrale in limine litis, ma che in mancanza di tale intervento essa continui a spet-tare alla parte originaria, ovvero dal successore universale nell’ipotesi di cui all’art. 111, 2° co., c.p.c.142.

A seguito dell’intervento, il dante causa o il successore universale potrebbero peraltro essere estromessi secondo le regole generali143. A tal fine, si è ritenuto che il consenso degli arbitri non sia necessario, in quanto la parte estromessa resterebbe comunque obbligata al pagamento di quanto spettante agli arbitri per l’attività prestata fino all’estromissio-ne144; secondo una diversa opinione, invece, il consenso del collegio arbi-trale sarebbe invece indispensabile, in quanto gli arbitri potrebbero avere

riforma del 2006, CECCHELLA, Il processo e il giudizio arbitrale, cit., 180; RICCI G.F., sub art. 816 sexies, 2ª ed., cit., 463; LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 797 s.

141 V. Salvaneschi, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 266, nt. 25.

142 In tal senso, v. Cass., 8.4.2003, n. 5457, cit., la quale ravvisa nell’atto di nomina dell’arbi-tro ad opera dell’avente causa un «intervento volontario, quantomeno implicito»; MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., 253; CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 868, i quali peraltro sembrano richiedere a tal fine un apposito atto di intervento del succes-sore a titolo particolare. Contra, A. Napoli, 9.9.1999, cit., la quale ha invece ritenuto che, in tal caso, la nomina dell’arbitro spetterebbe alla parte originaria e non al successore a titolo particolare, di guisa che ove la nomina venisse effettuata da quest’ultimo, la stessa sarebbe invalida qualora non fosse fatta propria dal dante causa e notificata alla controparte. Sempre in senso discordante, v. inoltre CAVALLINI, L’arbitrato rituale, cit., 110; NAZZINI, Domanda di arbitrato, art. 111 c.p.c. e potere di nomina dell’arbitro rituale, in Riv. arbitrato, 2001, 229 ss., spec. 245 s., secondo i quali, dopo la successione avvenuta prima della costituzione del tri-bunale arbitrale, la nomina dell’arbitro spetterebbe soltanto al successore a titolo particolare, in quanto atto di natura negoziale-sostanziale; nello stesso senso, v. Cass., 8.9.2011, n. 18428, la quale ha affermato, sempre in relazione ad una fattispecie anteriore alla riforma del 2006, che «la nomina dell’arbitro è atto di natura negoziale (…) e non di natura processuale».

143 V. SALVANESCHI, sub art. 816 quinquies, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 264; e già CECCHELLA, Il processo e il giudizio arbitrale, cit., 182.

144 LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, cit., 292 s.; LUISO, Diritto processuale civile, V, 7ª ed., cit., 154; BOVE, La giustizia privata, 2ª ed., cit., 162.

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interesse a mantenere la garanzia del dante causa anche per gli onorari relativi all’attività successiva145.

Come contropartita della sua soggezione agli effetti della pronuncia arbi-trale, il successore pendente lite acquista il diritto di impugnare la decisione arbitrale ai sensi dell’art. 829 c.p.c. anche nel caso in cui non abbia parteci-pato all’arbitrato146. Resta invece il problema di stabilire se il successore a titolo particolare possa intervenire per la prima volta nel giudizio di impu-gnazione per nullità del lodo. La giurisprudenza propende per l’ammissibi-lità senza limiti dell’intervento dell’avente causa nel processo davanti alla corte d’appello147. In dottrina, è stato invece ritenuto che, nel caso in cui la successione sia avvenuta durante il processo arbitrale o nelle more della sua impugnazione, il successore che abbia omesso di parteciparvi, ovvero di impugnare il lodo, non potrebbe intervenire nel giudizio dinnanzi alla corte d’appello, in ragione dell’applicazione analogica dell’art. 344 c.p.c.148, ma questa disposizione non sembra invero facilmente adattabile al giudizio di impugnazione per nullità del lodo149. Ad ogni modo, deve comunque ritenersi consentito l’intervento dell’avente causa nel caso in cui la successione si verifichi in pendenza del giudizio di impugnazione per nullità150.

D. LA DISCIPLINA SPECIALE DELL’INTERVENTO DEI TERZI NELL’ARBITRATO SOCIETARIO

Nell’arbitrato societario, la disciplina dell’intervento dei terzi è regolata dall’art. 35, 2° co., d.lg. n. 5/2003151, la quale mantiene alcuni

145 RICCI G.F., sub art. 816 sexies, 2ª ed., cit., 463, nt. 10; PUNZI, Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 136.

146 MARENGO, Processo arbitrale, cit., 811; BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 76.

147 A. Roma, 11.11.1999, in Riv. arbitrato, 2000, 491, con nota di MARENGO, Limiti all’inter-vento del successore a titolo particolare innanzi al giudice della nullità. Configurabilità dell’arbitrato libero internazionale; A. Milano, 2.4.1980, in Giur. it., 1980, I, 2, 401.

148 In tal senso, v. MARENGO, Processo arbitrale, cit., 811 ss.; LIPARI, sub art. 816 quinquies, cit., 799.

149 V. CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, cit., 871 s., secondo il quale, nel pro-cesso di impugnazione di cui all’art. 829 c.p.c., sono ammesse tutte le forme di intervento di cui all’art. 105 c.p.c., con la precisazione che lo stesso potrà avere effetti soltanto con riferimento alla fase rescissoria del giudizio.

150 A. Milano, 14.9.2001, in Corriere giur., 2003, 1187 ss.; MARENGO, Processo arbitrale, cit., 813.

151 V. in proposito BIAVATI, Il procedimento nell’arbitrato societario, in Riv. arbitrato, 2003, 33 ss.; ID., sub art. 35, in Arbitrati speciali, diretto da Carpi, cit., 123 ss.; BOVE, L’arbitrato nelle controversie societarie, in Giust. civ., 2003, II, 484 ss.; CARPI, Profili dell’arbitrato in materia

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significativi tratti di differenza rispetto all’arbitrato di diritto comune152, in primo luogo perché non possono sorgere complicazioni in ordine alla nomina successiva degli arbitri, che sono in ogni caso designati da un terzo estraneo alla società, a pena di nullità della clausola compromisso-ria statutaria153.

La disciplina speciale per l’arbitrato societario prevede innanzitutto che l’intervento volontario dei terzi è ammissibile senza la necessità di ottenere il consenso delle parti e degli arbitri; non è stato inoltre operato alcun distin-guo fra le diverse forme di intervento, né tantomeno previsto alcun limite in relazione ai soggetti non vincolati dalla clausola arbitrale contenuta nello statuto, con la conseguenza che appaiono consentiti anche gli interventi innovativi dei soggetti estranei alla clausola statutaria154. Una parte della dot-trina ha tuttavia proposto un’interpretazione correttiva della disposizione in esame, ritenendo che l’intervento volontario dei terzi non soggetti alla clausola compromissoria debba ritenersi consentito liberamente soltanto nella forma adesiva dipendente, come è oggi peraltro previsto nell’arbi-trato di diritto comune dall’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c., in quanto la possibilità di compiere interventi innovativi si porrebbe in contrasto, oltre che con la natura del rapporto che lega le parti agli arbitri, con la garanzia

di società, in Riv. arbitrato, 2003, 425 ss.; LUISO, Appunti sull’arbitrato societario, cit., 718 ss.; RICCI E.F., Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 530 ss.; RUFFINI, La riforma dell’arbitrato societario, in Corriere giur., 2003, 1533 s.; ID., Il nuovo arbitrato per le controversie societarie, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, 523 ss.; TARZIA, L’intervento di terzi nell’arbitrato societario, in Riv. dir. processuale, 2004, 349 ss.; GRADI, L’intervento volontario, cit., 300 s.

152 Come rilevato da BOVE, L’arbitrato societario tra disciplina speciale e (nuova) disci-plina di diritto comune, cit., 945 s., per quanto riguarda gli aspetti non oggetto della normativa speciale, anche all’arbitrato societario si applica la disciplina degli interventi di cui all’art. 816 quinquies c.p.c., in particolare con riferimento all’intervento del litisconsorte necessario pre-termesso ed a quello del successore a titolo particolare.

153 V. supra il commento al § A, nt. 12 e testo corrispondente.154 V. RICCI E.F., Il nuovo arbitrato societario, cit., 530, il quale osserva che, in ragione

dell’influenza che la decisione arbitrale può avere su una pluralità di soggetti, non si può non consentire, al fine del rispetto del principio del contraddittorio, «l’intervento dei terzi interes-sati esattamente negli stessi termini, in cui esso sarebbe possibile davanti all’autorità giudi-ziaria»; FAZZALARI, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Riv. arbitrato, 2002, 445; CORSINI, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, cit., 1295; CARPI, Profili dell’arbitrato in materia di società, cit., 426; BIAVATI, Il procedimento nell’arbitrato societario, cit., 33 s.; ID., sub art. 35, in Arbitrati speciali, diretto da Carpi, cit., 124 s.; SALVANESCHI, L’arbitrato societa-rio, in Arbitrato, ADR, conciliazione, a cura di Rubino Sammartano, Bologna, 2009, 217 s.; GRADI, L’intervento volontario, cit., 300 s.

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costituzionale dell’accesso alla giurisdizione sancita nell’art. 24 cost. da rico-noscere agli originari compromittenti155.

Con riferimento all’intervento coatto ai sensi dell’art. 106 c.p.c., esso è invece limitato dalla stessa normativa speciale ai soci, che sono senz’altro vincolati alla convenzione di arbitrato, anche se in dottrina è stata avanzata l’idea che sia possibile anche la chiamata in arbitrato della società, nonché degli amministratori, dei sindaci e dei liquidatori, purché soggetti alla clau-sola compromissoria statutaria, senza necessità di ricercare il lodo accor-do156. Non sembra peraltro che la chiamata in causa del terzo vincolato alla risoluzione arbitrale della controversia possa essere soggetta all’autorizza-zione o al consenso degli arbitri157.

L’espresso richiamo all’art. 107 c.p.c. contenuto nell’art. 35, 2° co., d.lg. n. 5/2003, consente inoltre agli arbitri di ordinare alle parti di estendere il contraddittorio nei confronti di altri soci158, la cui inosservanza, a differenza di quanto avviene nel giudizio arbitrale regolato dal diritto comune, dovrebbe comportare un motivo di chiusura in rito del procedimento arbitrale159.

Dal punto di vista applicativo, la disposizione speciale chiarisce inol-tre che tutti gli interventi ammessi sono consentiti soltanto fino alla prima

155 In tal senso, ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rispetto ai terzi, cit., 513 ss.; LUISO, Appunti sull’arbitrato societario, cit., 719 s.; BOVE, L’arbitrato societario tra disci-plina speciale e (nuova) disciplina di diritto comune, cit., 948. V. anche RUFFINI, La riforma dell’arbitrato societario, cit., 1534, il quale precisa che per gli interventi innovativi sarebbe dunque necessario il consenso delle parti e degli arbitri.

156 Per tali estensioni v., rispettivamente, LUISO, Appunti sull’arbitrato societario, cit., 719; BOVE, L’arbitrato nelle controversie societarie, cit., 485, nt. 42.; e RUFFINI, La riforma dell’arbi-trato societario, cit., 1534; ID., Il nuovo arbitrato per le controversie societarie, cit., 523 ss. Ma contra, TARZIA, L’intervento di terzi nell’arbitrato societario, cit., 356, secondo il quale l’art. 35, 2° co., d.lg. n. 5/2003 non potrebbe estendersi oltre i casi considerati.

157 In senso conforme, v. CARPI, Profili dell’arbitrato in materia di società, cit., 428; con-tra, invece, BIAVATI, sub art. 35, in Arbitrati speciali, diretto da Carpi, cit., 127.

158 In tal senso, TARZIA, L’intervento dei terzi nell’arbitrato societario, cit., 354 ss.159 Per tale opinione, v. CORSINI, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Giur.

it., 2003, 1295, il quale parla di lodo di «non luogo a procedere»; SALVANESCHI, L’arbitrato socie-tario, cit., 218 s.; LUISO, Diritto processuale civile, V, 7ª ed., cit., 153; contra, v. invece BOVE, L’arbitrato nelle controversie societarie, cit., 485; ID., L’arbitrato societario tra disciplina speciale e (nuova) disciplina di diritto comune, cit., 950; ZUCCONI GALLI FONSECA, Modelli arbitrali e controversi societarie, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 530; BIAVATI, sub art. 35, in Arbitrati speciali, diretto da Carpi, cit., 126127 s.; CARPI, Profili dell’arbitrato in materia di società, cit., 428; nonché VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 4ª ed., cit., 133, il quale afferma che «se i loro ordini di chiamata non sono rispettati, non sembra che gli arbitri possano, in applicazione dell’art. 270 c.p.c., “cancellare la causa dal ruolo”, ma devono (…) deciderla nel merito».

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udienza di trattazione160, da intendersi come la prima udienza che si svolge davanti al collegio arbitrale161. Tuttavia, poiché i terzi rispetto al giudizio arbitrale hanno la concreta possibilità di venire a conoscenza della domanda di arbitrato per effetto del suo deposito presso il registro delle imprese ai sensi dell’art. 35, 1° co., d.lg. n. 5/2003, deve ritenersi che, in caso di mancato assolvimento di tale onere, non sia possibile opporre alcuna decadenza ai soggetti intervenuti volontariamente nell’arbitrato dopo la prima udienza162.

Infine, va menzionato che il legislatore societario ha previsto che, in caso di allargamento soggettivo della controversia, debba trovare applicazione l’art. 820, 2° co., c.p.c., il cui contenuto è ora trasfuso, a seguito della novella del 2006, nel quarto comma della medesima disposizione, e che consente agli arbitri di beneficiare della proroga, per una sola volta e per non più di centottanta giorni, del termine per la pronuncia del lodo163.

E. RIUNIONE E SEPARAZIONE DI PROCEDIMENTI ARBITRALI

Un problema sicuramente affine a quello dell’intervento o della chiamata in arbitrato riguarda la riunione di procedimenti arbitrali connessi, la quale

160 Tale momento preclusivo dovrebbe valere non solo per gli interventi volontari, ma anche per quelli di cui agli artt. 106 e 107 c.p.c.: v. RUFFINI, Il nuovo arbitrato per le contro-versie societarie, cit., 524; BIAVATI, sub art. 35, in Arbitrati speciali, diretto da Carpi, cit., 128. In senso contrario, v. però CARPI, Profili dell’arbitrato in materia di società, cit., 427, che esclude questo limite in relazione agli interventi coatti e iussu arbitrorum, in ragione della inelegante formulazione letterale della norma.

161 In proposito, non v’è concordia in dottrina: v. CORSINI, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, cit., 1295, secondo il quale si tratterebbe dell’udienza nella quale viene pro-grammato ed impostato il giudizio, prima dell’inizio dell’istruttoria; BIAVATI, sub art. 35, in Arbi-trati speciali, diretto da Carpi, cit., 126 s., il quale afferma che l’udienza de qua sarebbe quella in cui gli arbitri cominciano ad occuparsi della materia del contendere; CARPI, Profili dell’arbi-trato in materia di società, cit., 426 s., che ravvisa tale momento nell’udienza in cui le parti sono invitate a comparire davanti agli arbitri per l’eventuale interrogatorio libero e l’eventuale tentativo di conciliazione. Sul punto, cfr. anche TARZIA, L’intervento di terzi nell’arbitrato societario, cit., 358 ss.

162 In tal senso, v. NELA, sub art. 35, in Il nuovo processo societario, diretto da Chiarloni, Bologna, 2004, 977; CORRADO, L’arbitrato commerciale, in PUNZI, Disegno sistematico, III, 2ª ed., cit., 168; e, sia pure in senso dubitativo, BOVE, L’arbitrato societario tra disciplina spe-ciale e (nuova) disciplina di diritto comune, cit., 950.

163 V. BIAVATI, sub art. 35, in Arbitrati speciali, diretto da Carpi, cit., 129, secondo il quale il rinvio deve appunto oggi ritenersi diretto al vigente art. 820, 4° co., c.p.c.: se si condivide questa impostazione, la proroga opera quindi di diritto, a differenza di quanto avveniva prima della riforma del 2006, laddove, ai sensi del previgente art. 820, 2° co., c.p.c., la proroga doveva essere disposta dagli arbitri; su tale sistema normativo, con riferimento all’intervento nell’arbi-trato societario, v. RUFFINI, La riforma dell’arbitrato societario, cit., 1533.

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è parimenti diretta a consentire il simultaneus processus; al riguardo, tut-tavia, si ritiene che questa possa essere disposta dal collegio arbitrale solo se le diverse cause pendano dinnanzi agli stessi arbitri e, in ragione del fon-damento negoziale dell’arbitrato, soltanto ove sussista il consenso di tutte le parti e degli arbitri medesimi164. Non è invece in alcun modo possibile ricorrere all’intervento dell’autorità giudiziaria al fine di ottenere la riunione fra diversi procedimenti arbitrali pendenti, come è ad esempio previsto in alcuni ordinamenti stranieri165.

Di recente, al fine di consentire la trattazione congiunta di liti connesse, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la possibilità di celebrare, ab origine, un unico arbitrato anche in presenza di una pluralità di clau-sole compromissorie, sempre che sussista un collegamento negoziale fra i diversi contratti stipulati fra le stesse parti e che via sia omogeneità di conte-nuto fra le singole clausole compromissorie, ciò che imporrebbe alle parti di nominare, in virtù del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, i medesimi arbitri per la pluralità di controversie connesse166. Tuttavia, la Suprema Corte non è giunta a ritenere che, in caso di attivazione di proce-dimenti arbitrali disgiunti davanti a collegi arbitrali difformi, sia possibile disporne la riunione167.

Analogamente, sempre in ragione del fondamento negoziale dell’arbi-trato, non sembra che, fuori dall’ipotesi oggi prevista dall’art. 816 quater,

164 V. PUNZI, Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 275; RUBINO SAMMARTANO, Diritto dell’arbi-trato. Disciplina comune e regimi speciali, I, 6ª ed., Padova, 2010, 397 ss.; ZUCCONI GALLI FONSECA, Collegamento negoziale e arbitrato, cit., 98; POLINARI, Pluralità di clausole compro-missorie, connessione di cause e processo arbitrale: quali i limiti alla realizzazione del simultaneus processus?, in Riv. dir. processuale, 2008, 1159 e 1164; v. anche CONSOLO, MURONI, Contratti collegati con clausole arbitrali identiche: sempre unica la potestà (e così il pro-cesso) arbitrale?, in Corriere giur., 2008, 1276 s., i quali ritengono che, a tal fine, sarebbe però irrilevante il consenso degli arbitri, salvo che in riferimento alla rimodulazione del termine per la pronuncia del lodo.

165 V., ad esempio, l’art. 1046 del Wetboek van Burgerlijke Rechtsvordering olandese, il quale dispone che, previa audizione delle parti e degli arbitri, il giudice statale possa disporre la riunione degli arbitrati connessi; sul punto, anche per riferimenti ad esperienze di altri paesi, v. SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti, cit., 7 ss.; ZUFFI, L’arbitrato nel diritto inglese, Torino, 2008, 100 s.

166 V. Cass., 25.5.2007, n. 12321, in Riv. arbitrato, 2007, 601 ss., con nota di LUISO, Pluralità di clausole compromissorie e unitarietà del processo arbitrale, in Corriere giur., 2008, 1269 ss., con nota di CONSOLO, MURONI, Contratti collegati con clausole arbitrali identiche: sempre unica la potestà (e così il processo) arbitrale?; e in Riv. dir. processuale, 2008, 1155 ss., con nota di POLINARI, Pluralità di clausole compromissorie, cit.

167 Per tale rilievo, v. POLINARI, Pluralità di clausole compromissorie, cit., 1166.

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2° co., c.p.c., si possa procedere alla separazione dei processi arbitrali senza il consenso delle parti e degli arbitri168, anche se questi ultimi hanno la facoltà di emettere lodi parziali in relazione ad una o più delle cause cumulate.

F. LA GESTIONE DELLE LITI CON PLURALITÀ DI PARTI NELL’ARBITRATO AMMINISTRATO

I regolamenti arbitrali si occupano del problema dell’intervento dei terzi, prevedendo disposizioni di vario tipo. Alcuni regolamenti arbitrali subor-dinano l’ammissibilità dell’intervento o della chiamata alla decisione del collegio arbitrale, da assumere sentite le parti e tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti169, mentre in altri casi sono disciplinate le concrete modalità operative dell’intervento, per cui è ad esempio richiesto il depo-sito di una memoria difensiva da depositare presso l’istituzione arbitrale e da comunicare alle altre parti, con previsione dei relativi termini170. Tale disciplina è senza dubbio apprezzabile, ma non affronta i principali problemi lasciati aperti dalle lacune della disciplina di legge, soprattutto per quanto riguarda la nomina degli arbitri a seguito dell’intervento.

Più significativo è il ruolo delle camere arbitrali in relazione alla riunione e alla separazione dei procedimenti. Qualora, come avviene in alcuni rego-lamenti di arbitrato, il potere di riunione venga attribuito agli arbitri171, si potrà infatti prescindere dalla volontà delle parti, che è stata delegata al tribunale arbitrale attraverso il rinvio operato nel patto compromissorio

168 In tal senso, v. ancora POLINARI, Pluralità di clausole compromissorie, cit., 1160. Con-tra, v. però Coll. Arbitrale, 17.5.2006, in Riv. arbitrato, 2006, 531 ss., con nota di POLINARI, Plu-ralità di parti e pluralità di convenzioni d’arbitrato, in cui si è affermato che nell’arbitrato potrebbe «disporsi la separazione delle cause soltanto in presenza di istanza congiunta delle parti in lite o quando la continuazione della riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo» arbitrale.

169 Ad esempio, l’art. 22, 5° co., del regolamento della Camera arbitrale di Milano, su cui v. GIARDINA, L’intervention et l’attraction des tiers dans la procédure arbitrale, in Riv. arbitrato, 2011, 563 s.

170 Cfr. l’art. 27 del regolamento tipo delle Camere di commercio.171 Così, ad esempio, gli artt. 21, 3° co., e 22, 3° co., del regolamento della Camera arbitrale

di Milano; l’art. 12 del regolamento della Camera arbitrale di Roma, dove questo potere è però riconosciuto all’istituzione soltanto prima della costituzione dell’organo arbitrale. Diversa-mente, l’art. 16 del regolamento dell’Associazione italiana per l’arbitrato subordina la possi-bilità della riunione all’accordo delle parti. V. anche l’art. 14, 1° co., del regolamento tipo delle Camere di commercio, che al secondo comma prevede peraltro che, qualora una stessa deli-bera sia oggetto di una pluralità di impugnazioni, l’istituzione o il collegio arbitrale debbano disporre che tali impugnazioni siano decise con un unico lodo.

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al regolamento di arbitrato172. Sempre nei regolamenti arbitrali, è talvolta previsto che il tribunale arbitrale possa disporre la separazione delle cause, quando ciò sia opportuno, con esclusione delle ipotesi in cui le domande proposte debbano essere unitariamente decise173.

G. L’APPLICAZIONE DELLA DISPOSIZIONE ALL’ARBITRATO IRRITUALE

È controverso se gli artt. 806 ss. c.p.c. debbano applicarsi, salvo diversa volontà delle parti, anche all’arbitrato irrituale174, oppure se, con la scelta dell’arbitrato libero, le parti decidano automaticamente di derogare all’intero corpo normativo dal codice di rito175. Non manca peraltro chi, pur ritenendo che l’arbitrato irrituale sia regolato soltanto dalle norme pattuite fra le parti, non esclude che, in riferimento al procedimento arbitrale, si possa fare rife-rimento alle disposizioni codicistiche non in via diretta, ma per attrazione, anche se ciò andrebbe escluso ove queste comportino forme di aiuto giudi-ziario o di mutua relazione con il processo statale176.

172 Per l’ammissibilità di una tale disposizione, v. ZUCCONI GALLI FONSECA, Collegamento negoziale e arbitrato, cit., 98 ss.; POLINARI, Pluralità di clausole compromissorie, cit., 1160 s., il quale afferma che «dette norme operano perché sono state accettate o volute dalle parti nel momento in cui hanno scelto un arbitrato amministrato, nel pieno rispetto, quindi, della natura negoziale dell’arbitrato e della loro volontà».

173 Così, ad esempio, gli artt. 21, 4° co., e 22, 4° co., del regolamento della Camera arbitrale di Milano.

174 In tal senso, v. PUNZI, Disegno sistematico, II, 2ª ed., cit., 619 ss.; RUFFINI, Patto com-promissorio, in Riv. arbitrato, 2005, 720; SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, in Riv. arbitrato, 2007, 37 s.; BERTOLDI, Osservazioni a margine del nuovo art. 808 ter c.p.c., in Studi in onore di Carmine Punzi, II, Torino, 2008, 295 ss.; in giurisprudenza, v. Coll. Arbi-trale Venezia, 19.2.2008 e T. Venezia, 5.11.2009, entrambe in Contr., 2008, 869 ss., con nota di SANGIOVANNI, Natura contrattuale o processuale dell’arbitrato irrituale?, secondo le quali non sussiste alcun motivo per ritenere che tutta la normativa contenuta nel Titolo VIII del Libro IV del codice di procedura civile sia inapplicabile all’arbitrato irrituale, con la precisazione che occorre tuttavia procedere all’esame dei singoli articoli, onde verificarne la compatibilità con tale species di arbitrato.

175 In dottrina, v. VERDE, Arbitrato irrituale, in Riv. arbitrato, 2005, 672; BOVE, sub art. 808 ter, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 65 ss.; CONSOLO, I terzi e il procedimento arbi-trale, cit., 842 s., il quale, con specifico riferimento all’art. 816 quinquies c.p.c., afferma che il problema dell’intervento dei terzi nell’arbitrato irrituale non potrà porsi in quanto tale spe-cies di arbitrato consiste in un «procedimento di natura contrattuale destinato come tale a concludersi con un atto avente valenza squisitamente negoziale»; in giurisprudenza, v. Cass., 17.1.2013, n. 1158, secondo la quale «la pattuizione dell’arbitrato irrituale determina l’inappli-cabilità di tutte le norme dettate per quello rituale».

176 BIAVATI, sub art. 808 ter, in Arbitrato, 2ª ed., diretto da Carpi, cit., 183.

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Tuttavia, anche chi propende per la tendenziale applicabilità all’arbitrato irrituale delle norme contenute nel Titolo VIII del Libro IV del codice di rito solleva dubbi di compatibilità in riferimento all’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c., ossia in merito alla possibilità, senza l’accordo delle parti e il consenso degli arbitri, di consentire l’intervento adesivo dipendente ovvero quello del litisconsorte necessario pretermesso177. Secondo altra parte della dottrina, invece, anche tale disposizione dovrebbe operare, pur nel silenzio osservato dalle parti, in relazione all’arbitrato libero178, mentre l’applicazione del primo comma della disposizione in esame non pone invece insuperabili questioni, posto che la disposizione subordina la partecipazione dei terzi all’accordo di tutti, dei paciscenti, del terzo e del collegio arbitrale179.

Quale che sia l’opinione in proposito, non può comunque escludersi che gli stessi compromittenti, pur stabilendo che la controversia sia defi-nita mediante «determinazione contrattuale», richiamino espressamente le disposizioni relative all’arbitrato rituale e che, dunque, l’intera disciplina dell’intervento dei terzi possa applicarsi all’arbitrato libero180.

Anche in relazione all’applicabilità all’arbitrato irrituale, salva diversa volontà delle parti, dell’istituto della successione nel diritto controverso di cui all’art. 111 c.p.c. si avanzano analoghi dubbi181; diversamente, si è però ritenuto che anche la disciplina in discorso possa trovare applicazione con riferimento all’arbitrato libero182.

Peraltro, qualora l’art. 816 quinquies c.p.c. venga espressamente invo-cato dalle parti compromittenti, non sembra che, per ciò solo, gli effetti del lodo emesso inter alios si possano riversare sull’avente causa, qualora lo stesso non sia subentrato anche nel patto compromissorio; tuttavia, non si può ovviamente escludere che il successore subisca gli effetti del lodo al

177 In tal senso, v. SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, cit., 37 s.; secondo TOTA, Appunti sul nuovo arbitrato irrituale, in Riv. arbitrato, 2007, 562 s., la disposizione di cui all’art. 816 quinquies, 2° co., c.p.c. sarebbe inapplicabile in relazione al procedimento arbitrale destinato a concludersi con lodo contrattuale, in ragione del fatto che questo produce effetti nei confronti dei terzi soltanto nei casi previsti dalla legge.

178 BERTOLDI, sub art. 808 ter, in Codice di procedura civile commentato, III, cit., 1564 s.; ID., Osservazioni a margine del nuovo art. 808 ter c.p.c., cit., 307.

179 SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, cit., 37 s.180 GRADI, sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 234.181 SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, cit., 37 s.; v. anche TOTA, Appunti sul nuovo

arbitrato irrituale, cit., 562 s., che esclude l’operatività dell’art. 111 c.p.c. all’arbitrato irrituale.182 BERTOLDI, sub art. 808 ter, in Codice di procedura civile commentato, III, cit., 1564; ID.,

Osservazioni a margine del nuovo art. 808 ter c.p.c., cit., 307.

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pari di una «determinazione contrattuale» pattuita inter alios, beninteso se e in quanto lo stesso gli risulti opponibile alla stregua delle norme di diritto sostanziale183.

Art. 816 sexies − Morte, estinzione o perdita di capacità della parte1

[1] Se la parte viene meno per morte o altra causa, ovvero perde la capa-cità legale (1), gli arbitri assumono le misure idonee a garantire l’appli-cazione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio (2). Essi possono sospendere il procedimento (3).[2] Se nessuna delle parti ottempera alle disposizioni degli arbitri per la prosecuzione del giudizio, gli arbitri possono rinunciare all’incarico (4, 5).1 Articolo aggiunto dall’art. 22, d.lg. 2.2.2006, n. 40.

commento di Marco Gradi

Sommario: A. PROFILI GENERALI. - B. SCOPO DELLA NORMA. - C. ANALISI DELLA DISPOSIZIONE. - 1. «Se la parte viene meno per morte o altra causa, ovvero perde la capacità legale». - 2. «gli arbitri assumono le misure idonee a garantire l’applicazione del contrad-dittorio ai fini della prosecuzione del giudizio». - 3. «Essi possono sospendere il procedimento». - 4. «Se nessuna delle parti ottempera alle disposizioni degli arbitri per la prosecuzione del giudizio, gli arbitri possono rinunciare all’incarico». - 5. (Segue). Conclusione del procedimento arbitrale con pronuncia di un lodo di rito. - D. VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO E IMPUGNAZIONE DEL LODO. - E. MORTE, ESTINZIONE E PERDITA DELLA CAPACITÀ DELLA PARTE PRIMA DELL’ACCETTAZIONE DEGLI ARBITRI. - F. MORTE E PERDITA DI CAPACITÀ DEL DIFENSORE DELLA PARTE. - G. L’APPLICAZIONE DELLA DISPOSIZIONE ALL’ARBITRATO IRRITUALE.

A. PROFILI GENERALI

Nel processo di cognizione davanti al giudice statale, la morte della parte o del suo rappresentante legale, la perdita della capacità di stare in giudizio di tali soggetti, nonché la cessazione di tale rappresentanza sono conside-rate, insieme al venir meno dello ius postulandi del difensore per morte, radiazione o sospensione dall’albo degli avvocati, motivo di interruzione

183 GRADI, sub art. 816 quinquies, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 234.

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