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RICERCHE Collana del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti VI Martiri, santi, patroni: per una archeologia della devozione Atti X Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana Università della Calabria 2012 a cura di Adele Coscarella - Paola De Santis Università della Calabria Aula Magna, 15-18 settembre 2010

La Processione dei Martiri in S. Apollinare Nuovo a Ravenna, in Martiri, santi, patroni: per una archeologia della devozione Atti X Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana

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RICERCHE

Collana del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti

VI

Martiri, santi, patroni:per una archeologia della devozioneAtti X Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana

Università della Calabria

2012

a cura diAdele Coscarella - Paola De Santis

Università della CalabriaAula Magna, 15-18 settembre 2010

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La Processione dei Martiri in S. Apollinare Nuovo a RavennaIsabella Baldini Lippolis

The testimony of Giovan Francesco da Carpi (Malezappi), in 1586, allows to add new details to the knowledge of the mosaics with female and male martyrs in St. Apollinare Nuovo (Ravenna). This source, in fact, witnesses the original presence of St. Stephen, who would antici-pate St. Martin in the male procession. This element can be analyzed in relation to the possible meaning of the two processions in the monument history and, more generally, in the development of the religious identity of Ravenna during the 6th century.

1. Lo status quaestionis e il manoscritto Malezappi

I cortei delle sante e dei santi nel registro inferiore della basilica di S. Apollinare Nuovo a Ravenna fanno parte, come è noto, del rifacimento musivo volto a cancellare tra il 557 e il 570 ogni testimonianza del passato ariano del monumento (Fig. 1)1. Già Andrea Agnello distingue nel mosaico due fasi, delle quali era evidentemente informato da fonti epigrafiche o d’archivio; non parla di una riconversione ico-nografica, ma si limita a segnalare gli interventi del vescovo suo omonimo2.

Nel tempo, tuttavia, è emerso in maniera evidente dall’esame della decorazione musiva che si era trattato di un rifacimento decorativo particolarmente esteso e impegnativo, accompagnato da interventi puntuali, come quelli operati nei due pannelli del Palatium e della Civitas Classis3.

1 Sul provvedimento di reconciliatio del 557 v. Cavarra et alii 1991 pp. 404-405, n. 10 (del 565-570); Agnelli Raven-natis Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, ed. D. Mauskopf Deliyannis, Turnhout 2006 (di seguito abbreviato LP), 86-89, pp. 253-257). Sull’attività di Agnello: Mazzotti 1971; Cosentino 1996, pp. 111-112. Oltre alla chiesa pa-latina di Teoderico, sarebbero state riconsacrate durante il suo episcopato la cattedrale ariana (a S. Teodoro) con il battistero (a S. Maria in Cosmedin), le chiese di S. Eusebio e di S. Giorgio de tabula (dediche cattoliche), S. Sergio in Viridario a Classe, di S. Zenone a Cesarea (LP 86, pp. 253-254). Inoltre, sarebbero state effettuate la decorazione musiva dei sacelli dei Ss. Matteo e Giacomo presso la basilica Petriana di Classe e la costruzione del monasterium di S. Giorgio presso Argenta (LP 89-91, pp. 256-257). Sulla basilica e sulla sua decorazione: Penni Iacco 2004; Pen-ni Iacco 2007, con bibliografia precedente. Sulla cultura artistica e l’architettura di età gota a Ravenna: Rizzardi 1989; Rizzardi 1994; Rizzardi 2001; Rizzardi 2012, edito quando il presente articolo era stato già consegna-to per la stampa.2 LP 86-88, pp. 253-254: “Igitur reconciliauit beatissimus Agnellus pontifex infra hanc urbem ecclesiam sancti Martini confessoris, quam Theodoricus rex fundauit, quae uocatur Caelum aureum; tribunal et utrasque parietes de imaginibus mar-tirum virginumque incedentium tessellis decorauit;….Ex Ravenna egrediuntur martires, parte uirorum, ad Christum eun-tes; ex Classis uirgines procedunt, ad sanctam Virginem uirginum procedentes…”.3 Sulle analisi eseguite sui sottofondi musivi: Bovini 1966b. V. anche Urbano 2005, pp. 80-81, con bibliografia pre-cedente. Non sono precisabili, invece, le modifiche apportate all’arco trionfale, dove Andrea Agnello ancora leggeva con difficoltà l’iscrizione dedicatoria, dati i danni inferti nella prima metà dell’VIII secolo da un terremoto a questo settore dell’edificio: LP 86, p. 254. V. a questo proposito, Fiaccadori 1977, secondo il quale l’iscrizione riportata da

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L’importanza ideologica di tale epurazione è ben evidente, anche considerando la sua unicità ad una scala così ampia. È infatti necessario sottolineare che gli esempi noti in età tardoantica di damnatio me-moriae coinvolgono in genere singoli personaggi, vinti o caduti in disgrazia4 oppure elementi figurativi pertinenti o assimilati all’ambito pagano5 e solo eccezionalmente le espressioni iconografiche di grup-pi religiosi antagonisti6: questo determina una scarsa incidenza del fenomeno all’interno degli edifici di culto. Oltre a ciò, sebbene siano ben documentate le sostituzioni iconiche a seguito di eventi militari o politici7 o, soprattutto nel caso della scultura, per ragioni pratiche di riutilizzo8, sono rari i casi che riguardino membri del clero9. Nei pochi esempi noti, comunque, sembra sempre rispettato il principio di uno scambio figurativo ‘alla pari’, secondo il ruolo sociale o gerarchico, reale o metaforico. Tale prassi

Agnello risalirebbe ad un restauro dell’epoca di Astolfo. L’espressione ‘in nomine Domini nostri Iesu Christi’ non fareb-be riferimento inoltre all’intitolazione originaria della chiesa al Salvatore, ma sarebbe una invocatio convenzionale. V. anche Penni Iacco 2004, pp. 31-32 e pp. 83-84. Della decorazione della facciata interna sopravvive solo il pannello musivo con il ritratto di Giustiniano, che secondo alcuni farebbe parte dell’epurazione agnelliana: su questo proble-ma v. Baldini Lippolis 2000, con bibliografia precedente.4 Nell’ambito di una casistica vastissima, v., ad esempio il decreto di damnatio nei riguardi di Eutropio, del 399 (CTh 9.40.17, commentato in Stewart 1999, p. 161): si tratta, in queste situazioni, di azioni legali con pesanti conseguen-ze economiche e sociali sull’individuo colpito e sulla sua famiglia.5 Sono numerosissimi gli interventi rivolti contro le statue: Stewart 1999; Baldini Lippolis 2009; Kristensen 2009.6 V. ad esempio gli interventi distruttivi contro le sinagoghe raccolti in Wharton 2000.7 Un episodio spesso ricordato è quello di Attila, che nel palazzo di Milano fece sostituire l’immagine dei sovrani su troni d’oro, con gli Sciti prostrati ai loro piedi, con quella di se stesso e della propria corte, dopo aver cancellato gli im-peratori fino alle spalle: Suidae Lex. III, 747.8 V., ad esempio, i numerosi esempi di sostituzione della testa: sulla documentazione di Gortina v., ad esempio, Bal-dini Lippolis 2009.9 Un raro esempio è quello ravennate riguardante il vescovo Ecclesio, sostituito con Massimiano nei mosaici del pre-sbiterio di S. Vitale: Andrescu Treadgold 1992, pp. 203-204; Andrescu Treadgold 1994.

Fig. 1. S. Apollinare Nuovo, mosaico raffigurante il palatium.

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deve essere tenuta presente anche nel caso della basilica ravennate, per comprenderne il significato e il carattere di eccezionalità nell’ambito delle espressioni figurative del VI secolo.

Un primo aspetto da valutare è infatti quello della decorazione teodericiana precedente. L’esame au-toptico condotto durante gli interventi di consolidamento e i saggi degli anni ’50 del secolo scorso, ha permesso solo di verificare l’esistenza di un fondo aureo nella parte superiore dei registri e di un bordo verde scuro in basso, senza fornire altre indicazioni10. In mancanza di dati concreti, viene comunque generalmente ipotizzato che la processione dei santi abbia sostituito scene con riferimenti specifici al culto ariano11, oppure un corteo di dignitari del re goto12. Nel secondo caso tuttavia, anche ritenendo eventualmente possibile l’equiparazione tra un corteo terreno e un corteo celeste secondo il principio della ‘sostituzione alla pari’, sembra strano che per il rifacimento non siano state considerate sufficienti lo scambio delle teste dei personaggi e l’aggiunta degli attributi (le corone e le iscrizioni identificative), secondo una prassi attestata anche a Ravenna13, ma si sia preferito operare un rifacimento integrale, estremamente impegnativo ed oneroso. È altrettanto difficile, d’altra parte, avanzare congetture sulla possibile decorazione ariana, caratterizzata da elementi dogmatici così significativi da rendere necessaria un’epurazione integrale.

In sostanza si deve per il momento considerare irrisolto il problema dell’identificazione del program-ma decorativo teodericiano relativamente a questo settore della chiesa, almeno finché non vengano con-dotte indagini estensive sui sottofondi musivi14. È importante rilevare, invece, che per quanto non siano sopravvissuti confronti coevi per una scena analoga e con un tal numero di personaggi15, considerando lo spazio occupato dalle 48 figure attualmente visibili e la presenza di altre, poi eliminate, nei due pannelli del palatium (7) e della Civitas Classis (5), lo schema compositivo rientra perfettamente nella tradizione iconografica classica della processione, sia come unico evento nella stessa unità di tempo e di luogo, sia come rappresentazione simbolica di episodi e realtà culturali e topografiche in sequenza. Questa chiave di lettura, consona al sistema della narrazione iconografica tradizionale, non può essere esclusa nella ricerca interpretativa sul significato della rappresentazione, soprattutto nel tentativo di comprendere le motivazioni delle scelte operate nella selezione dei personaggi e nel loro ordine.

Nell’ambito di un ampio dibattito, tra gli unici dati certi sarebbe la posizione preminente di Martino, in quanto titolare della basilica e noto oppositore degli eretici16. Le giustificazioni addotte per spiegare la presenza delle altre figure prevedono invece generalmente un raggruppamento per categorie (santi locali, pertinenti alla liturgia romana o milanese, ordine del calendario liturgico, etc.), senza che però sia stato possibile riconoscere un unico criterio che regoli collocazione e associazione dei personaggi17.

10 Bovini 1952, pp. 103-104; Bovini 1966a, pp. 54-56; fu constatata anche la pertinenza della raffigurazione dei Magi alla fase agnelliana. Sulle fasi del mosaico v. anche Ricci 1933.11 Bovini 1952, pp. 103-104; Bovini 1966a, p. 52.12 Lanzoni 1916, p. 93 (“personaggi della corte, accompagnati da vescovi ariani”). Sulla corte di Teoderico: Pietri 1992, pp. 296-297. Sull’ideologia religiosa ariana in riferimento al ciclo cristologico: Deliyannis 2010, pp. 153-158, con bibliografia precedente.13 V. nota 9. 14 Penni Iacco 2004, pp. 38-39, con bibliografia. V. anche Iannucci 1990, pp. 244-245.15 Le indicazioni delle fonti permettono di far ipotizzare l’esistenza di raffigurazioni simili solo a Roma e a Costanti-nopoli, senza la possibilità, tuttavia, di un riscontro diretto. A Roma, in S. Maria Maggiore, l’iscrizione dedicatoria a mosaico, ad esempio, alludeva alla raffigurazione di martiri recanti corone: Bovini 1971, pp. 147-148; in S. Agata dei Goti il catino absidale era decorato con i dodici apostoli a figura intera incedenti verso Cristo: Bovini 1971, pp. 229-236. A Costantinopoli il soffitto della Chalké, secondo la descrizione di Procopio (De aed. X, 16-19), raffigurava la famiglia imperiale con Belisario, senatori, popoli vinti e scene di battaglia: McCormack 1981, pp. 73-74, con bi-bliografia precedente. Lunghi cortei di personaggi erano rappresentati nei rilievi della colonna coclide di Arcadio, in un contesto tuttavia completamente diverso: Faedo 2001, p. 610. 16 Lucchesi 1971, p. 65.17 Secondo F. Lanzoni, ad esempio, si tratterebbe dei santi nominati nel Canone ravennate della Messa nel VI secolo:

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Le diverse interpretazioni sembrano in ogni caso aver tenuto in scarsa considerazione le numerose interpolazioni subite dal mosaico nel corso dei secoli. In particolare un intervento rilevante è attestato nel XVIII secolo, quando un organo venne incassato nella parete destra nello spazio corrispondente alle figure di Cristo e di S. Martino, che furono obliterate e in parte distrutte (Cristo per metà; S. Martino quasi completamente) (Fig. 2)18.

La parte destra, con Cristo in trono, due angeli e S. Martino, com’è noto, fu restaurata da F. Kibel nel-la seconda metà dell’80019 senza aderenza all’originale e con l’aggiunta fantasiosa di una sorta di scettro al posto del libro aperto nelle mani del personaggio principale. Che quest’ultima fosse invece l’iconografia originaria è noto da una fonte importante ancora inedita, Gianfrancesco Malezappi, che nel 1586 descri-veva l’immagine e addirittura poteva leggere ancora sul libro aperto il versetto ‘Ego sum rex mundi’20. Tale

Lanzoni 1916. O. von Simon vi vedeva la celebrazione di una rinnovata concordia tra le chiese di Roma, Ravenna e Mi-lano: Von Simon 1948, p. 88. G. Lucchesi (Lucchesi 1971) respingeva l’ipotesi di Lanzoni, ritenendo priva di fonda-mento l’ipotesi che esistesse un’anafora ravennate non pervenuta diversa da quelle romana e ambrosiana e proponeva in-vece che si trattasse di una raffigurazione dell’offerta mistica a Dio da parte dei santi che accompagnano simbolicamente il popolo ravennate; l’ordine avrebbe seguito quindi un criterio di ‘popolarità’ nell’ambito della chiesa locale; Martino sa-rebbe l’unico a non vestire di bianco perché non sottoposto al martirio: Lucchesi 1971, pp. 67-69. V. anche Morini 1992: lo studioso non condivide la proposta di Testi Rasponi (Testi Rasponi 1924) che i cortei siano una trasposizio-ne visiva delle memorie che scandivano a Ravenna la recita del canon Missae. Per ultima D. Mauskopf Deliyannis ritiene che si tratti di una lista di santi “whose choice was based upon conditions that we can no longer reconstruct” (Deliyan-nis 2010, p. 168). Sul dibattito v. anche: Morini 1992; Penni Iacco 2004, pp. 76-78, con bibliografia precedente.18 V. nota 17.19 Bovini 1966b, pp. 99-103.20 Foglio 201 delle Croniche della Provincia di Bologna dei Frati Minori Osservanti di San Francesco, raccolte da Frate Giovan Francesco da Carpi del medesimo ordine l’anno M.D.LXXX per commissione del Rmo Padre Ministro Genera-le di tutta la religione Franciscana l’Illustrissimo Frate Francesco Gonzaga. Il manoscritto originale, già conservato pres-so i Padri Francescani dell’Antoniano di Bologna, è scomparso da oltre dieci anni, ma ne rimangono fortunatamente una copia anastatica rilegata in sei fascicoli e una trascrizione del testo, ancora inedita, eseguita da P. Cesare Tinel-li. L’opera illustra con precisione il convento dei Frati Minori Osservanti di S. Francesco della chiesa di S. Apollina-re Nuovo di Ravenna. Dopo la storia dell’ordine e della chiesa, viene fornita una lista delle opere di restauro eseguite dai Frati nel corso degli anni e degli elementi strutturali e decorativi del monumento, concludendo con l’elenco del-le reliquie presenti nella chiesa.

Fig. 2. Ricostruzione della lacuna causata dall’organo cinquecentesco incassato nella parete destra della basilica.

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testimonianza, confermata anche da Flaminio da Parma nel 176021, è stata ritenuta assolutamente at-tendibile dagli studiosi successivi, che hanno dato fede anche a tutti gli altri elementi contenuti nella pre-sentazione del Malezappi. L’unica difficoltà nella descrizione di quest’ultimo è il particolare di una figura che precederebbe S. Martino nel corteo maschile: l’erudito ravennate, infatti, afferma senza incertezze di scorgere, primo della fila, S. Stefano22, elemento che non viene in genere riportato dalla storiografia

ravennate oppure è ritenuto un’invenzione. S. Muratori, ad esempio, nel 1916 pensava con argomenti contraddittori ad un fraintendimento, oppure ad un’aggiunta dipinta in età imprecisata, non potendo accettare che nel ciclo musivo della chiesa intitolata a S. Martino questi figurasse al secondo posto23.

La validità della testimonianza del Malezappi, però, non può essere ignorata o considerata falsa a priori: l’esistenza di un personaggio davanti a S. Martino è infatti resa quasi obbligatoria dalla simmetria della composizione, essendo evidente che il restauro ottocentesco ha cercato di colmare la distanza tra le figure allargando in maniera anomala i due angeli di destra e non riuscendo comunque a riempire un’am-pia lacuna, tanto da lasciare uno spazio vuoto a sinistra di Martino. Quindi, non soltanto non è possibile accettare solo una parte del resoconto del Malezzappi e rifiutarne un’altra, considerando lo specifico contesto descrittivo che la caratterizza, ma anche la ricostruzione grafica ipotizzabile (Fig. 3)24 suggerisce chiaramente la validità della sua testimonianza e mostra la necessità di prevedere un ulteriore personag-gio. La presenza di S. Stefano protomartire avrebbe peraltro un significato pregnante nell’ambito della ri-conversione della basilica in una prospettiva antiariana, avendo egli reso la propria testimonianza di fede

21 Questi riferiva che nel 1699 l’organo era stato asportato dalla parete, sulla quale si conservava ancora parte della fi-gura di S. Martino con l’iscrizione relativa. Si era deciso allora di integrare l’ampia lacuna a pittura, completando l’im-magine del vescovo di Tours e aggiungendo due angeli e metà del Salvatore: Flaminio da Parma, Memorie istoriche dell’osservante provincia di Bologna, Parma 1760, pp. 291-292. V. anche Bovini 1966b, p. 101.22 Foglio 201: “in ordine è il primo santo Stefano, per essere primo dei Martiri, quale col braccio dimostra Cristo stendendo la mano, et poi segue san Martino; perché primieramente gli fu consacrata la Chiesa; et a questi duoi santi parimenti in pie-di, seguitano molti altri martiri, vestiti di bianco, coi nomi loro…”. 23 Muratori 1916, pp. 67-73: l’introduzione di S. Stefano sarebbe stata “un mezzo capriccio chiesastico, una spe-cie di preferenza agiografica a cui si lasciasse andare, che so io, un abate del Monastero, persuaso che la mancanza del protomartire fosse una lacuna”.24 Si tratta di un’ipotesi grafica che utilizza come schema puramente indicativo il mosaico absidale della chiesa romana dei SS. Cosma e Damiano.

Fig. 3. Ricostruzione delle prime figure del corteo maschile secondo la descrizione del Malezappi.

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proprio affermando di vedere “Cristo seduto nella gloria alla destra del Padre”25, concetto che risulterebbe chiaramente espresso dal gesto del santo nel mosaico e dal contesto stesso della scena.

Tale circostanza, naturalmente, comporta ulteriori riflessioni sulla scelta e sull’ordine dei santi nei due cortei musivi e sul significato che tali culti rivestivano a Ravenna all’epoca della riconsacrazione della chiesa ariana al culto ortodosso (Fig. 4).

2. Il corteo maschile

Per quanto riguarda il corteo maschile, al primo posto, ma in una collocazione particolare rispetto al corteo dei martiri sarebbe quindi S. Stefano (I): la devozione per il santo, diacono e martire26, è ben attestata in città già tra la fine del IV e gli inizi del V secolo nell’oratorio dei SS. Stefano, Gervasio e Protasio situato a Cesarea, presso la chiesa cimiteriale di S. Lorenzo citata da Andrea Agnello: il com-plesso, com’è noto, sarebbe stato fatto costruire da Lauricio, cubiculario di Onorio27. È ipotetica invece l’esistenza di un monastero di S. Stefano già nel V secolo nella zona suburbana di via Sant’Alberto, che secondo una tradizione medievale risalirebbe alla donazione di una notabile ravennate di nome Ger-minella28. Nel 550 il culto del protomartire diviene centrale nella chiesa detta Maggiore, fatta costruire dall’arcivescovo Massimiano che vi fece porre reliquie di martiri e apostoli29: nel mosaico dell’arco ab-sidale, un’epigrafe ricordava la presenza dei resti del santo titolare e il suo ruolo di protomartire30. Un

25 At 7,55-60.8,1-2.26 Sulla diffusione delle reliquie del santo nel V sec. dalla Palestina a Costantinopoli, a Minorca, in Africa, a Roma, in Gallia, in Hispania: Chavarría Arnau 2009, p. 34, con bibliografia precedente.27 LP 36, pp. 187-189. V. anche Farioli Campanati 1992, pp. 129-132 (ricorda l’analogia tra la situazione di Ce-sarea e quella costantinopolitana per l’associazione tra il culto di S. Lorenzo e quello di S. Stefano); Cirelli 2006, p. 237, n. 166; Deliyannis 2010, pp. 61-62.28 Il monastero è noto con sicurezza dall’XI secolo: Cirelli 2006, pp. 269-270, con bibliografia precedente.29 LP 72, p. 241: Pietro, Paolo, Andrea, Zaccaria, Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Giacomo, Tommaso, Matteo, Stefano, Vincenzo, Lorenzo, Quirino, Floriano, Emiliano, Apollinare, Agata, Eufemia, Agnese ed Eugenia.30 LP 72, p. 241. Sull’edificio: Deliyannis 2010, pp. 255-256, con bibliografia precedente.

Fig. 4. S. Apollinare Nuovo, processione dei santi martiri (part.).

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monasterium di Classe associava dal VI secolo l’intitolazione allo stesso santo e quella di S. Giovanni31 e un altro edificio religioso probabilmente risalente al periodo paleocristiano era quello di S. Stefano de Marmorata, fuori Porta S. Vittore32.

L’importanza del culto ravennate di Martino di Tours (II), titolare della basilica dopo la riconsa-crazione agnelliana33, è ribadita anche dalla Vita del santo composta da Venanzio Fortunato attorno alla metà del VI sec.34. Risulta invece più difficile comprendere la ragione della presenza nel mosaico al terzo e quarto posto dei due papi Clemente I (III), e Sisto II (IV); il secondo dei due personaggi venne martirizzato attorno alla metà del III secolo insieme a Lorenzo (V), posto immediatamente dopo nel corteo. Questo santo era venerato già nel V secolo nella basilica cimiteriale di Cesarea fatta realizzare da Lauricio35; nel VI secolo, inoltre, reliquie del martire romano erano conservate anche in S. Stefano36.

Segue nella processione Ippolito (VI), venerato a Cesarea in un edificio attestato dal 1169 poco fuori S. Lorenzo37, per il quale però non abbiamo informazioni su un possibile culto anteriore. Dopo Ippolito sono raffigurati Cornelio (VII), papa del 251-253, e Cipriano (VIII), vescovo e martire di Car-tagine attorno alla metà del III secolo, accomunati nella pratica devozionale. Questo aspetto è messo in evidenza nel mosaico attraverso un gesto di invito del primo personaggio nei confronti del secondo, un elemento figurativo che verrà riproposto anche per le coppie dei martiri Giovanni e Paolo, Gervasio e Protasio, Nabore e Felice. Non è chiaro il radicamento cultuale dei due santi a Ravenna: per Cipriano è attestato un monasterium solo nel X secolo38. La stessa situazione riguarda il personaggio successivo,

31 Gregorio Magno, Epp. 5, 28 e 8, 15, PL 77, coll. 755 e 918. Farioli Campanati 1992, p. 134; Deliyannis 2010, pp. 257-258.32 Farioli Campanati 1992, p. 134, con bibliografia precedente. Un monastero di S. Stefano vicino a quello di S. Elia e alla basilica di S. Maria in Nepe è citato in un papiro del 557 Cavarra et alii, 1991 pp. 403-404, n. 8. A Ra-venna sono documentati anche altri edifici, di età medievale, dedicati a S. Stefano: 1) Il monastero di S. Stefano Pro-tomartire detto fondamenta presso il Palazzo, citato in documenti del IX e X secolo. In Farioli Campanati 1992, p. 134 viene evidenziata l’analogia con la fondazione costantinopolitana all’interno del palazzo di Daphné: Cavarra et alii 1991, pp. 415-416, n. 54 (si tratta di un privilegio dell’819 che pone sotto l’autorità arcivescovile il monastero stesso e tutti gli oracula e monasteria esistenti sub parochias della chiesa ravennate). V. Anche Cavarra et alii 1991, p. 504, n. 309 (del 976). Cirelli 2006, p. 240, n. 180. 2) La chiesa detta ad Balneum Gothorum o Olivorum: Bene-ricetti 1999, p. 90. Cirelli 2006, p. 243, n. 198. 3) S. Stefano Iuniore o Minore, citato in documenti del 970-971: Cavarra et alii 1991, p. 491, n. 269. Cirelli 2006, p. 244, n. 206. 4) S. Stefano ad Latronum: Zirardini 1908-1909, pp. 163-184; Cirelli 2006, p. 244, n. 207. 5) S. Stefano de mercato, noto solo dal XIII sec.: Cirelli 2006, p. 250, n. 247.33 V. nota 1. Un monastero di S. Martino è attestato a Ravenna dal 949 post ecclesiam maiorem: un documento del 450 permette di identificare il titolare del complesso con il papa della metà del VII secolo: Cavarra et alii 1991, pp. 448-449, n. 147. V. anche Cavarra et alii 1991, p. 451, n. 154 (del 450): “sancti Martini pontifici set confessoris Christi qui vocatur post ecclesia maiore”, p. 452, n. 156 (del 950); p. 454, n. 953; p. 472, n. 217 (del 964); pp. 473-474, n. 221 (del 964); p. 479, n. 238 (del 967); pp. 502-503, nn. 302 e 305 (del 975); p. 508, n. 321 (del 977); p. 508, n. 509, n. 325; pp. 511-512, nn. 332 e 334-335 (del 978 e del 979); pp. 533-534, n. 402 (del 993) Cirelli 2006, p. 243, n. 201.34 Ven. Fort. Mart. 4, 680-690.35 La chiesa è menzionata in un papiro del 491 (Cavarra et alii 1991, p. 402, n. 3) e in sermone di S. Agostino (Aug. Serm. 23). V. anche LP 35, pp. 186-187. Deichmann 1976, pp 336-340; Baldini Lippolis 2003; Cirelli 2006, p. 234, n. 154. Una regio di Ravenna nel 977 porta il nome della porta S. Lorenzo citata da Andrea Agnello: LP 162, p. 339. Una chiesa dedicata allo stesso santo è attestata nel 1169 presso S. Apollinare nuovo, nella zona della scubitum: Cirelli 2006, p. 254, n. 280. Altri edifici medievali con la stessa intitolazione erano S. Lorenzo ad summum vicum (Zirardini 1908-1909, pp. 184-185; Cirelli 2006, p. 245, n. 209), in posterula (Zirardini 1908-1909, pp. 185-187; Cirelli 2006, p. 245, n. 210) e in Pannonia (Zirardini 1908-1909, p. 155; Cirelli 2006, p. 252, n. 265).36 V. nota 23.37 Cirelli 2006, p. 254, n. 281.38 Benericetti 2002a, p. 98. In una pergamena del 1035 è detto in regione Palatii quondam Theuderici regis: Zirar-dini 1908-1909, pp. 148-149; Cirelli 2006, p. 242, n. 195.

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Cassiano (IX), martire di Imola tra III e IV secolo39, a proposito del quale, tuttavia, un episodio della vita del vescovo Pietro, narrato da Andrea Agnello evidenzia chiaramente l’esistenza di uno stretto legame con la chiesa ravennate40.

Come Cornelio e Cipriano anche Giovanni e Paolo (X-XI), martiri del IV secolo, rivelano di essere associati nel culto attraverso il gesto del primo nei confronti del secondo. Attorno alla metà del VI se-colo si conosce una basilica a loro dedicata grazie ad un accenno di Venanzio Fortunato41 che vi avrebbe miracolosamente riacquistato la vista, come riferisce anche Paolo Diacono42. Una devozione ravennate dei due santi è però certamente anteriore, dal momento che i loro ritratti compaiono nella Cappella Arcivescovile43.

Il gruppo dei quattro martiri successivi è fondamentale per la vita religiosa di Ravenna, trattandosi del martire bolognese Vitale (XII), dei figli Gervasio e Protasio (XIII-XIV) e del medico Ursicino (XV). Vitale era probabilmente già onorato nel V secolo nella chiesa fatta costruire da Ecclesio44 e con-sacrata da Massimiano45, cui fa riferimento anche Venanzio Fortunato46. Gervasio e Protasio, prima di essere venerati in S. Vitale47 erano associati nel culto a S. Stefano nell’oratorio di rango imperiale presso S. Lorenzo a Cesarea citato da Andrea Agnello48. Un culto di Ursicino, martire con Vitale, è citato da Venanzio Fortunato, ma potrebbe trattarsi del vescovo omonimo sepolto in S. Vitale49.

Segue nella processione una coppia di martiri abbinati, Nabore e Felice (XVI-XVII). Sebbene non esistano dati certi a questo riguardo, a Ravenna una devozione dei due santi potrebbe aver avuto sede nella chiesa, sorta tra il V e la prima metà del VI secolo, di S. Vittore, personaggio cui li collegava una tradizione agiografica risalente a S. Ambrogio50.

A S. Apollinare (XVIII)51, protovescovo della città nel II secolo, venne dedicata in età giustinianea la basilica di Classe finanziata da Giuliano Argentario52 e citata da Venanzio Fortunato53, ma le sue reliquie erano conservate anche in S. Stefano54.

Prima del 1163, anno in cui un documento ricorda la chiesa dei SS. Marco e Sebastiano presso piazza del Popolo55, non si hanno invece informazioni su un culto ravennate di S. Sebastiano (XIX),

39 Una chiesa dedicata a questo martire è infatti citata solo nel 954, come limite di un terreno di proprietà della chiesa di Ravenna Cavarra et alii 1991, pp. 454-455, n. 165 “non lontano dalla chiesa di S. Agnese Martire” e confinante anche con S. Cassiano “da un secondo lato”, con la “pubblica piazza” dal terzo e con la curia.40 LP 52, pp. 215-218.41 Ven. Fort. Mart. 4, 680-690 e LP 174, p. 356.42 Paolo Diacono, HL II, 13. L’edificio sorgeva presso la posterula Zenonis: Deichmann 1976, pp. 333-335; Cirelli 2006, p. 238, n. 169; Deliyannis 2010, p. 220.43 V. nota 23.44 LP 59, p. 226.45 LP 77, pp. 244-245. Deichmann 1976, pp. 47-230; Deliyannis 2010, pp. 223-250.46 Ven. Fort. Mart. 4, 680-690.47 Come testimoniava un’iscrizione musiva trascritta da Andrea Agnello: LP 61, p. 231. 48 LP 36, p. 187. V. anche Cirelli 2006, p. 226, n. 116; Deliyannis 2010, p. 62.49 Ven. Fort. Mart. 4, 680-690. Una porta Ursicini è nominata da documenti della fine del X sec. Cavarra et alii 1991, p. 518, n. 354 (del 982), p. 529, n. 388 (del 990), pp. 535-536, n. 407 (del 995).50 Autore dell’inno Victor, Nabor, Felix pii. Sulla chiesa di S. Vittore: Cirelli 2006, pp. 237-238, n. 168.51 Deliyannis 2010, pp. 38-39, con bibliografia precedente.52 Deichmann 1976, pp. 233-280; Deliyannis 2010, pp. 259-274.53 Ven. Fort. Mart. 4, 680-690. Un monasterium di S. Apollinare in veclo, citato da Andrea Agnello presso S. Croce e la moneta pubblica, non lontano dalla posterula Ovilionis, non è attestato prima della seconda metà del VII sec.: LP 115, p. 286.; LP 164, p. 342. V. anche Deichmann 1976, p. 308. Cirelli 2008, p. 205, n. 26; Deliyannis 2010, p. 293.54 V. nota 27. Sulla cappella dell’episcopio ariano dedicata allo stesso santo: Deliyannis 2010, p. 144, con biblio-grafia precedente.55 Cirelli 2006, p. 252, n. 262.

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vissuto nel III sec. È probabile invece che già nel VI secolo esistesse a Ravenna un edificio dedicato a S. Demetrio (XX), martire a Salonicco nel 306 che, secondo la testimonianza di Andrea Agnello, ai suoi tempi era venerato in una antica chiesa a sei miglia dalla città56.

È certo, già alla fine del V secolo, il culto di S. Policarpo (XXI), martire a Smirne nel I-II sec., raffigu-rato anche nella Cappella Arcivescovile. Le reliquie del martire Vincenzo (XXII) di Avila erano conser-vate in S. Stefano; il santo era venerato anche in un monasterium situato presso la Moneta Aurea e citato in diversi documenti non anteriori però al X secolo57. A S. Pancrazio (XXIII), martire degli inizi del IV secolo, era intitolata una chiesa attestata nello stesso periodo nella regione di S. Agnese58.

Crisogono (XXIV) è raffigurato nella Cappella Arcivescovile. Rimangono dubbi, infine, su una de-vozione ravennate anteriore al VI secolo dei martiri romani del 260 Proto e Giacinto (XXV-XXVI) e di Sabino (XXVII), martire di Spoleto.

3. Il corteo femminile (Fig. 5)

Il primo personaggio della processione è S. Eufemia (I), martire a Calcedonia (304), cui era dedicata secondo Andrea Agnello la chiesa detta ad Arietem, luogo in cui S. Apollinare avrebbe impartito per la prima volta il battesimo agli abitanti di Ravenna59; un reliquiario rinvenuto sotto l’altare della chiesa in via G. Barbiani conservava i resti della martire titolare insieme a quelli di S. Agata60. Reliquie della santa erano presenti anche in S. Stefano61 e la sua effigie è riprodotta anche nella Cappella Arcivescovile. Un’al-tra chiesa di S. Eufemia, detta ad mare62, decorata a mosaico da Massimiano, risulta già demolita all’epoca di Andrea Agnello e si trovava in area extraurbana, presso la basilica Probi63.

Non si hanno indicazioni invece su un luogo di culto di S. Pelagia (II), martire di Antiochia nel 304, venerata anche a Costantinopoli.

Reliquie di Agata (III), martire di Catania nel III secolo erano conservate in S. Stefano64. Le era dedi-cata a Ravenna la chiesa detta Maggiore, fondata nel V sec. e nella quale aveva servito il vescovo Agnello, che vi abitava anche vicino e che, nel 569, venne sepolto al suo interno, di fronte all’altare65. Andrea Agnello cita la chiesa a proposito di un episodio miracoloso riferito al vescovo Giovanni, che vi aveva trovato sepoltura nel 494 dietro allo stesso altare66.

56 LP 2, p. 149 Deichmann 1976, p. 322. Era onorato inoltre nella chiesa dei SS. Giovanni e Barbaziano preso la por-ta Ovilionis e in un luogo di culto attestato dal 1023, nella regione dei SS. Giovanni e Paolo (Zirardini 1908-1909, p. 189; Cirelli 2006, p. 245, n. 212).57 Vicino al monastero dei SS. Nicandro e Marziano: Cavarra et alii 1991, p. 477, n. 232 (del 966); p. 500, n. 294 (del 974). Una regio che prende il nome dall’edificio è già citata nel 902; vi si trovava anche un arco intitolato al santo: Cavarra et alii 1991, p. 428, n. 88 (del 907) e Cavarra et alii 1991, n. 232 (del 966). Zirardini 1908-1909, pp. 169-171; Cirelli 2006, p. 243, n. 197.58 Cavarra et alii 1991, p. 468, n. 206 (del 961); V. anche Cirelli 2006, n. 141.59 LP 1, p. 148. Invaso dall’acqua, venne restaurato dal vescovo Martino: LP 168, p. 349. V. anche Deichmann 1976, pp. 323-324; Farioli Campanati 1992, p. 136; Baldini Lippolis 2004, p. 71; Deliyannis 2010, pp. 38-39.60 Cirelli 2006, p. 207, n. 33.61 V. nota 27.62 Deichmann 1976, pp. 355-359; Deliyannis 2010, pp. 213 e 258.63 LP 8, pp. 153 e 97, p. 266. È noto anche un monasterium di S. Eufemia in Calinico (LP 163, p. 341), forse lo stesso, fuori porta Aurea, nominata in documenti del 960 (Cavarra et alii 1991, p. 466, n. 200; Benericetti 2002, p. 33, n. 101) e del 964 (Cod. Bav. n. 216). Cirelli 2006, p. 241, n. 185; Deliyannis 2010, p. 292. Il monasterium di S. Eufemia fuori Porta S. Lorenzo è attestata dal 1047: Zirardini 1908-1909, p. 196; Cirelli 2006, p. 252, n. 263.64 V. nota 27.65 LP 84, p. 252 e LP 92, p. 257. Gerola 1921, pp. 28-29; Farioli 1961, pp. 97-98; Deichmann 1976, pp. 283-297; Cirelli 2006, p. 215, n. 64; Deliyannis 2010, pp. 102-104.66 LP 44, p. 203. CIL XI, 34. L’edificio continua ad essere citato in documenti del X secolo: Cavarra et alii 1991, pp.

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Un altro culto tradizionalmente molto importante a Ravenna era quello di Agnese (IV), martire romana. Alla santa, raffigurata con un agnello, suo attributo tradizionale67, era dedicata una chiesa della prima metà del V sec., sorta all’epoca del vescovo Esuperanzio per volontà di Gemello, suddiaco-no della chiesa di Ravenna e amministratore dei beni della Chiesa locale in Sicilia, che venne seppellito nello stesso edificio68.

Ad Agnese segue nel corteo musivo Eulalia (V), martire nel 304 a Merida, non altrimenti nota a Ravenna. Cecilia (VI), invece, martire romana, è raffigurata nella Cappella Arcivescovile.

Non emergono notizie sulla devozione a Crispina (VIII), martire a Tebessa nel 304, mentre è probabile che esistesse un luogo di culto dedicato a Valeria (IX), moglie e madre dei tre santi Vitale, Gervasio e Protasio, citata da Andrea Agnello e accomunata nel culto al marito e al medico Ursicino.

Per la devozione precoce di Vincenza (X), moglie di S. Severo, è disponibile la testimonianza di Liutolfo, che cita il trasporto del suo corpo in Germania intorno all’83669.

513-514, n. 340 (del 980), p. 518, n. 354 (del 982), p. 525, n. 376 (del 987; viene citata la regio), p. 529, nn. 388-389 (del 990); pp. 530-531, n. 393 (del 991). Una chiesa detta “del mercato” è attestata dal 1130 vicino a S. Michele in Afri-cisco: Cirelli 2006, p. 250, n. 246. Una chiesa di S. Agata pittula è attestata dal 968, presso la chiesa dei SS. Apostoli: Cavarra et alii 1991, pp. 485-486, n. 255; pp. 509-510, n. 327 (del 978); Benericetti 1999, p. 172; Benericetti 2003, p. 126. V. anche Zirardini 1908-1909, pp. 39-40; Gerola 1921, p. 57; Farioli 1961, p. 103; Cirelli 2006, p. 245, n. 214.67 Deliyannis 2010, p. 174.68 LP 31, p. 184. Andrea Agnello fece costruire la propria dimora presso lo stesso edificio (LP 39, p. 196) ricordato in do-cumenti degli ultimi decenni del X sec.: Cavarra et alii 1991, pp. 454-455, n. 165 (del 954); pp. 465-466, n. 199 (del 959), p. 468, n. 206 (del 961), pp. 474-475, n. 224 (del 964). V. anche Benericetti 2002, p. 29, n. 99 (del 958/959). Sull’edificio: Gerola 1921, p. 29; Deichmann 1976, pp. 298-300; Cirelli 2006, pp. 217-218; Deliyannis 2010, pp. 102-103.69 Liutolfus Moguntinus presbyter, Vita Sever., p. 292.

Fig. 5. S. Apollinare Nuovo, processione delle martiri (part.).

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Segue nella processione Perpetua (XI) di Cartagine, martire del III sec. con Felicita70 (XII), en-trambe rappresentate nella Cappella Arcivescovile.

Delle due sante successive non si hanno informazioni su un loro culto specifico nella Ravenna del VI secolo, tranne la stessa raffigurazione musiva di S. Apollinare Nuovo. Si tratta di Giustina (XIII), martire a Padova e di Anastasia (XIV), martire nel 304 a Sirmio, venerata a Costantinopoli in un edificio di culto realizzato attorno al 46071. Daria (XV), martire romana del III secolo insieme a Cri-stanto, era invece rappresentata nella Cappella Arcivescovile.

La seguono infine Emerenziana (XVI), martire romana del 304 secolo, Paolina (XVII), martire romana, Vittoria e Anatolia (XVIII-XIX), martiri della Sabina nel III sec., Cristina (XX), martire di Tiro, Sabina (XXI), ricordata nel Canone Ambrosiano72. Per queste sante si ignora la natura di un legame specifico con Ravenna, mentre l’ultima figura della serie, Eugenia (XXII), martire romana del III sec., è raffigurata nella Cappella Arcivescovile.

4. La processione: una topografia della santità a Ravenna

Un dato senza dubbio interessante è che delle 49 figure rappresentate (considerando anche il per-duto S. Stefano), solo per 10 (maschili73) e 12 (femminili74) non è possibile affermare con certezza che nel VI secolo esistesse a Ravenna un culto loro riservato o una devozione specifica. Questo significa che, pur considerando le lacune della documentazione, più della metà dei martiri del corteo musivo è forma-to da santi venerati in città all’epoca di dedicazione della chiesa. Il numero delle attestazioni devozionali in ambito locale aumenta notevolmente se si considerano i culti attestati in edifici altomedievali, di cui non possiamo ricostruire con certezza la data di fondazione per mancanza di informazioni, ma per i quali è possibile ipotizzare una continuità nella pratica devozionale o un recupero di culti martiriali già esistenti; si avrebbero in questo caso solo 16 personaggi estranei alla casistica (6 maschili75) e 10 (fem-minili76), e salirebbe quindi al 70% la percentuale dei culti noti in relazione ad uno specifico luogo di devozione ravennate.

La prassi religiosa del periodo rende verosimile, inoltre, che tale devozione trovasse il proprio inte-resse principale nella presenza di reliquie77, attestate attraverso riferimenti espliciti delle fonti solo in 13 casi78, a fronte di un’incidenza sicuramente molto maggiore, come fa intuire in diversi passi del Liber Pontificalis lo stesso Andrea Agnello, quando accenna a multae reliquiae nelle chiese della città79.

Considerata l’alta incidenza delle dediche ravennati ai santi raffigurati in S. Apollinare, non si può escludere, pertanto, che sia in realtà l’assenza di informazioni a rendere oggi poco chiaro il rapporto

70 Un monastero sanctorum Marci, Marcelli et Feliculae è citato in un documento del 992 iuxta parietem della basilica di S. Apollinare in Classe: Cavarra et alii 1991, p. 533, n. 399. L’edificio sarebbe stato costruito e decorato dal ve-scovo Giovanni Romano, secondo la testimonianza di Andrea Agnello (LP 98, p. 267): si riferisce che le reliquie dei tre santi erano state richieste dal vescovo ravennate a papa Gregorio. Qui venne sepolto il vescovo Felice (LP 150, p. 328). Deichmann 1976, pp. 340-341; Deliyannis 2010, p. 260.71 Deliyannis 2010, pp. 174-175.72 Penni Iacco 2004, p. 76.73 Cassiano, Clemente, Cipriano, Cornelio, Giacinto, Ippolito, Proto, Sabino, Sebastiano e Sisto.74 Anastasia Anatolia, Crispina, Cristina, Emerenziana, Eulalia, Giustina, Lucia, Paolina, Pelagia, Sabina e Vittoria.75 Clemente, Cornelio, Giacinto, Proto, Sabino e Sisto.76 Anastasia Anatolia, Crispina, Cristina, Emerenziana, Eulalia, Lucia, Paolina, Sabina e Vittoria.77 Canetti 2002; Chavarría Arnau 2009, pp. 30-36, con bibliografia precedente.78 In S. Stefano: Stefano, Lorenzo, Apollinare, Vincenzo, Eufemia, Agata, Agnese. In S. Vitale: Ursicino, Vita-le e probabilmente, Gervasio, Protasio e Valeria. Di Vincenza si sa che il corpo fu portato in Germania da Ravenna nell’836: v. nota 87.79 LP 72, pp. 241-242; 76, p. 244; 98, p. 267; 149, p. 326; 158, p. 337. Si può ricordare inoltre che nel 599 S. Gregorio Magno aveva inviato al vescovo ravennate Secondino incenso da offrire ai corpi dei martiri: Ep. IX LII, in PL 77, 989.

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tra i martiri e la presenza di reliquie venerate negli edifici di culto di Ravenna, una realtà cultuale che per i contemporanei poteva invece risultare evidente e forse rivestire un ruolo particolare in relazione alla riconsacrazione della chiesa.

Proprio nei decenni immediatamente anteriori alla riconsacrazione di S. Apollinare Nuovo, in-fatti, è segnalato l’arrivo in città dei resti di numerosi santi grazie all’attività di Massimiano: oltre a quelle poste in S. Stefano80, è ricordato dal Liber Pontificalis l’episodio di quelli di S. Andrea, che l’arcivescovo avrebbe portato personalmente da Costantinopoli insieme a molte altre reliquie81. Anche per la Cappella arcivescovile, costruita da Pietro II, viene ipotizzato sulla base del ritrovamento di un pulvino che reca il suo monogramma, che lo stesso Massimiano abbia completato i lavori di costruzio-ne dedicandola allo stesso santo Andrea82: un’ipotesi possibile, a questo punto, è che il suo intervento possa essere collegato alla presenza all’interno della cappella delle reliquie dei santi raffigurati, alcuni dei quali come si è già accennato, sono comuni alla decorazione musiva della chiesa teodericiana nella fase agnelliana83.

In questa logica può essere interessante cercare di verificare anche il sistema rappresentativo delle figure utilizzando come criterio il nesso tra molti dei santi raffigurati e i culti attestati nel VI secolo in chiese, monasteria o cappelle secondarie di complessi più rilevanti. Per l’età altomedievale si aggiunge infatti, come già accennato, la testimonianza di alcune aree dedicate, che potrebbero avere ereditato la propria intitolazione da luoghi di culto precedenti. Anche la localizzazione di queste emergenze topografiche potrebbe essere interessante se confrontata con i personaggi del mosaico, nella prospet-tiva di una sorta di vera e propria rievocazione figurata degli elementi devozionali della città in età giustinianea.

Non abbiamo informazioni dirette sull’esistenza di una tradizione processionale nella Ravenna del VI secolo: nel Liber Pontificalis si fa cenno in diversi casi a celebrazioni in relazione a festività religiose, alcune delle quali suggerite anche dalla reduplicazione di culti della capitale d’Oriente84, ma testimo-nianze più circostanziate sono in effetti molto più tarde e consistono in due itinerari religiosi del XV e XVI secolo, con soste presso le chiese urbane e lungo le mura85.

L’importanza di tali cortei religiosi nella storia delle città tardoantiche, tuttavia, è ben nota (Fig. 6), testimoniata da episodi che ne evidenziano anche il carattere protettivo nei confronti di nemici ed eventi negativi (pestilenze, siccità, terremoti). Nelle fonti del VI sec. ricorrono spesso, ad esempio, i racconti di processioni condotte a questo scopo dai vescovi con il clero lungo il perimetro urbano e attraverso i luoghi di culto, in un sistema rappresentativo che attraverso tale prassi sintetizzava in ma-niera emblematica l’identità spaziale e cultuale delle città e ne enfatizzava i centri di riferimento prin-cipali, spesso in rapporto alla presenza di reliquie86. Non erano esclusi da questa pratica gli episodi di purificazione religiosa, come ad esempio nel caso del vescovo monofisita di Edessa, che nel 560 aveva liberato la città di Amida dalla dottrina di Calcedonia ordinando una processione del clero in tutta la città e intorno alle mura87.

80 V. nota 24.81 LP 76, p. 244. V. Anche Farioli Campanati 1992, p. 135.82 Cirelli 2006, pp. 247-248, n. 226, con bibliografia precedente.83 Si può osservare, infine, che purtroppo nel caso specifico di S. Apollinare Nuovo anche al Malezappi non era pos-sibile verificare il nome e la provenienza delle reliquie conservate nella chiesa al suo tempo, solo alcune delle quali era-no ancora contraddistinte dal nome del santo specifico, mentre altre, “numerosissime”, sprovviste di indicazioni, era-no state bruciate dai monaci stessi nel momento della traslazione dalla sagrestia all’altare: V. nota 20 (Fogli 204-206).84 Farioli Campanati 1992, p. 135.85 Mazzotti 1975: gli itinerari si svolgevano nei tre giorni precedenti l’Ascensione.86 Come ad esempio nei casi noti di Clermont, Reims, Treviri, Milano, Filippi, Salonicco, Costantinopoli: Janin 1966; Williams 2005, pp. 32-33; Saradi 2006, pp. 427-429; Chavarría Arnau 2009, pp. 37-38; Wickham 2009, pp. 715-717, con fonti e bibliografia precedente.87 Giovanni di Efeso, Vite, PO 19/2, 1926, pp. 260-261. Saradi 2006, p. 427.

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È evidente che anche a Ravenna l’immagine del corteo di S. Apollinare Nuovo doveva essere stata concepita e può essere letta secondo i modelli interpretativi dell’esperienza sociale del periodo. Una possibilità è, quindi, che le due processioni musive facciano riferimento in maniera simbolica all’episo-dio specifico della rifondazione agnelliana, rievocata ritualmente attraverso uno degli schemi rappre-sentativi tipici del periodo. I personaggi in corteo celebrerebbero in questo caso la Chiesa di Ravenna ricordando gli edifici e i culti martiriali ritenuti fondanti per la comunità locale, in una successione che potrebbe rispecchiare le stationes di un percorso processionale - reale o simbolico - posto a difesa e garanzia del nuovo corso religioso e politico della città.

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