13
Giovanna Bianchi LE FONDAZIONI DI CASTELLI, CHIESE E MONASTERI DELLA MAREMMA TOSCANA TRA IX E XIII SECOLO. LE EVIDENZE MATERIALI Archeologia dell’Architettura XVI 2011, pp. 124-137 1. Il contesto di analisi Il territorio preso in esame è relativo ad un comprenso- rio geografico non molto ampio, posto a Sud-Ovest della Toscana e denominato Colline Metallifere, attualmente si- tuato all’interno delle province di Pisa, Livorno e Grosseto. La scelta di quest’area si lega alla possibilità di usufruire di una notevole quantità di dati desumibili da intense attività di ricerca dell’insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università degli Studi di Siena che, dalla metà degli anni Ottanta dello scorso secolo ad oggi, hanno compreso lo scavo in estensione in molti siti, ricerche di superficie all’interno di più comprensori comunali e l’analisi degli elevati in numerosi centri storici minori 1 (fig. 1). L’avere individuato questo come ambito territoriale campione dipende, quindi, da due ordini di fattori: potere utilizzare dati raccolti sul campo; fare riferimento ad un contesto geografico non particolarmente esteso ma abbastanza omogeneo dal punto di vista dei modi di costruire e delle committenze, così come si è potuto verificare nel corso degli studi pregressi su tali argomenti (per una sintesi BIANCHI 2008a; BIANCHI, FICHERA, PARIS 2009). L’evi- dente frammentazione delle caratteristiche del cantiere da costruzione che caratterizzò la Toscana, soprattutto nei secoli dell’Altomedioevo, suggerisce, infatti, cautela nel generalizzare tendenze e caratteri delle architetture ad ambiti territoriali più estesi e meno sottoposti a verifiche sul campo (in ultimo BIANCHI c.s.a). In ogni caso, l’area presa in esame costituisce un ottimo osservatorio sia per la variabilità delle tipologie architettoniche analizzate, relative ad edilizia religiosa, civile pubblica e privata (cinte murarie, torri, palazzi, case etc.) sia per il tipo di committenza coinvolta, sia per l’ampia diacronia dei casi indagati, inseriti in una forbice cronologica compresa tra fine IX e XIII-XIV secolo. Prima, pertanto, di dedicare l’attenzione alle diverse tipologie di fondazione è necessaria una breve premessa per l’approfon- dimento di alcuni dei punti sopra citati relativi, appunto, al contesto di indagine. Innanzitutto i materiali da costruzione. Tutta l’area indagata si caratterizza per l’uso della pietra, in particolare tipi diversi di calcare di maggiore o minore qualità, estratti localmente da fronti di cava solitamente posti non troppo lontano dagli stessi insediamenti o addirittura all’interno di quest’ultimi, come nel noto sito di Rocca San Silvestro. In alcuni casi, all’uso di calcari è contemporaneo quello di arenarie o travertini, quest’ultimi sovente utilizzati in particolari parti delle architetture, come cantonali, ghiere di porte ed archi o paramenti di volte di copertura. Al- l’interno delle Colline Metallifere, nel territorio quasi a confine con il senese, dalla fine del XII e soprattutto nel secolo successivo cominciò ad essere usato il laterizio, in genere sempre in ridotte porzioni del paramento. Tutte le fondazioni esaminate furono, però, costruite in pietra, in relazione ai litotipi provenienti dai territori circostanti. L’area esaminata, del resto, si caratterizza per un uso precoce di questo materiale da costruzione risalente già agli ultimi decenni del IX secolo quando, in altri comprensori della Toscana, il legno era ancora la materia prima pre- valente (BIANCHI 2008a). Ciò dipese dalla committenza legata a questi luoghi e dal tipo dei suoi investimenti. Sin dall’Altomedioevo, in particolare dalla metà dell’VIII secolo, le risorse di questo territorio (filoni metalliferi nel sottosuolo, boschi, pianure costiere, stagni e saline) attrassero, infatti, soggetti di una certa rilevanza politica. Il vescovo di Lucca, come attestato dai documenti del tempo, possedeva, qui, una serie di curtes e chiese, in par- ticolare concentrate nell’attuale Val di Cornia. Il vescovo di Populonia aveva una serie di possedimenti nell’omonimo promontorio e nei terreni circostanti. Il monastero di S. Pietro a Palazzuolo, sin dal momento della sua fondazione avvenuta alla metà dell’VIII secolo, fu uno dei maggiori possessori dell’area e una delle principali realtà cenobitiche della penisola. Inoltre, qui ebbe inizio l’ascesa politica e patrimoniale degli Aldobrandeschi che, provenienti da Lucca, grazie al loro legame con lo stesso vescovo, dalla fine del IX secolo, iniziarono ad acquisire proprietà nella zona costiera e dell’entroterra (per un quadro di insieme si rimanda a BIANCHI c.s.b., BIANCHI 2010a). Sino al XII secolo, la tipologia insediativa prevalente fu quella dell’insediamento accentrato di altura, di mag- giori o minori dimensioni, interpretato, a seconda dei casi indagati, come rientrante nella parte dominica o in quella massaricia, all’interno di un contesto di gestione 1 Tra le numerose ricerche ricordiamo: quelle nelle aree sommitali dei cen- tri abitati di Scarlino, Suvereto, Campiglia Marittima, Montemassi (FRANCOVICH 1985; CEGLIE, PARIS, VENTURINI 2006; BIANCHI 2004; BRUTTINI 2009); lo scavo in estensione nei siti minerari di Rocca San Silvestro (FRANCOVICH 1991), Rocchette Pannocchieschi (BELLI, DE LUCA, GRASSI 2003) ed in quello ancora in corso nel castello di Cugnano (in ultimo BRUTTINI, FICHERA, GRASSI 2010; gli scavi a Rocca degli Alberti a Monterotondo M.mo (BRUTTINI, GRASSI 2010) a Castel di Pietra (CITTER 2009), in località Vetricella, nella piana di Scarlino (MARASCO 2009), quelli ancora in atto nel castello di Donoratico (FRANCOVICH, BIANCHI 2006a), nella Canonica di Montieri (BIANCHI, BRUTTINI, DALLAI 2011) oltre a puntuali interventi di indagini archeologiche nei centri abitati di Piombino e Montieri (BERTI, BIANCHI 2007; ARANGUREN, BIANCHI, BRUTTINI 2008). A questo gruppo di ricerche devono essere aggiunte quelle effettuate in passato nei monasteri di S. Quirico di Populonia (BIANCHI, FRANCOVICH, GELICHI 2007) e nella sede alto e basso medievale del monastero di S. Pietro in Palazzuolo a Monteverdi M.mo (FRANCOVICH, BIANCHI 2006b). Per le analisi delle architetture dei centri storici minori si rimanda a BIANCHI 2009.

Le fondazioni di castelli, chiese e monasteri della Maremma toscana tra IX e XIII secolo. Le evidenze materiali

  • Upload
    unisi

  • View
    0

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Giovanna Bianchi

LE FONDAZIONI DI CASTELLI, CHIESE E MONASTERI DELLA MAREMMA TOSCANA TRA IX E XIII SECOLO. LE EVIDENZE MATERIALI

Archeologia dell’ArchitetturaXVI 2011, pp. 124-137

1. Il contesto di analisi

Il territorio preso in esame è relativo ad un comprenso-rio geografico non molto ampio, posto a Sud-Ovest della Toscana e denominato Colline Metallifere, attualmente si-tuato all’interno delle province di Pisa, Livorno e Grosseto. La scelta di quest’area si lega alla possibilità di usufruire di una notevole quantità di dati desumibili da intense attività di ricerca dell’insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università degli Studi di Siena che, dalla metà degli anni Ottanta dello scorso secolo ad oggi, hanno compreso lo scavo in estensione in molti siti, ricerche di superficie all’interno di più comprensori comunali e l’analisi degli elevati in numerosi centri storici minori1 (fig. 1). L’avere individuato questo come ambito territoriale campione dipende, quindi, da due ordini di fattori: potere utilizzare dati raccolti sul campo; fare riferimento ad un contesto geografico non particolarmente esteso ma abbastanza omogeneo dal punto di vista dei modi di costruire e delle committenze, così come si è potuto verificare nel corso degli studi pregressi su tali argomenti (per una sintesi BIANCHI 2008a; BIANCHI, FICHERA, PARIS 2009). L’evi-dente frammentazione delle caratteristiche del cantiere da costruzione che caratterizzò la Toscana, soprattutto nei secoli dell’Altomedioevo, suggerisce, infatti, cautela nel generalizzare tendenze e caratteri delle architetture ad ambiti territoriali più estesi e meno sottoposti a verifiche sul campo (in ultimo BIANCHI c.s.a).

In ogni caso, l’area presa in esame costituisce un ottimo osservatorio sia per la variabilità delle tipologie architettoniche analizzate, relative ad edilizia religiosa, civile pubblica e privata (cinte murarie, torri, palazzi, case etc.) sia per il tipo di committenza coinvolta, sia per l’ampia diacronia dei casi indagati, inseriti in una forbice cronologica compresa tra fine IX e XIII-XIV secolo. Prima,

pertanto, di dedicare l’attenzione alle diverse tipologie di fondazione è necessaria una breve premessa per l’approfon-dimento di alcuni dei punti sopra citati relativi, appunto, al contesto di indagine.

Innanzitutto i materiali da costruzione. Tutta l’area indagata si caratterizza per l’uso della pietra, in particolare tipi diversi di calcare di maggiore o minore qualità, estratti localmente da fronti di cava solitamente posti non troppo lontano dagli stessi insediamenti o addirittura all’interno di quest’ultimi, come nel noto sito di Rocca San Silvestro. In alcuni casi, all’uso di calcari è contemporaneo quello di arenarie o travertini, quest’ultimi sovente utilizzati in particolari parti delle architetture, come cantonali, ghiere di porte ed archi o paramenti di volte di copertura. Al-l’interno delle Colline Metallifere, nel territorio quasi a confine con il senese, dalla fine del XII e soprattutto nel secolo successivo cominciò ad essere usato il laterizio, in genere sempre in ridotte porzioni del paramento. Tutte le fondazioni esaminate furono, però, costruite in pietra, in relazione ai litotipi provenienti dai territori circostanti.

L’area esaminata, del resto, si caratterizza per un uso precoce di questo materiale da costruzione risalente già agli ultimi decenni del IX secolo quando, in altri comprensori della Toscana, il legno era ancora la materia prima pre-valente (BIANCHI 2008a). Ciò dipese dalla committenza legata a questi luoghi e dal tipo dei suoi investimenti. Sin dall’Altomedioevo, in particolare dalla metà dell’VIII secolo, le risorse di questo territorio (filoni metalliferi nel sottosuolo, boschi, pianure costiere, stagni e saline) attrassero, infatti, soggetti di una certa rilevanza politica. Il vescovo di Lucca, come attestato dai documenti del tempo, possedeva, qui, una serie di curtes e chiese, in par-ticolare concentrate nell’attuale Val di Cornia. Il vescovo di Populonia aveva una serie di possedimenti nell’omonimo promontorio e nei terreni circostanti. Il monastero di S. Pietro a Palazzuolo, sin dal momento della sua fondazione avvenuta alla metà dell’VIII secolo, fu uno dei maggiori possessori dell’area e una delle principali realtà cenobitiche della penisola. Inoltre, qui ebbe inizio l’ascesa politica e patrimoniale degli Aldobrandeschi che, provenienti da Lucca, grazie al loro legame con lo stesso vescovo, dalla fine del IX secolo, iniziarono ad acquisire proprietà nella zona costiera e dell’entroterra (per un quadro di insieme si rimanda a BIANCHI c.s.b., BIANCHI 2010a).

Sino al XII secolo, la tipologia insediativa prevalente fu quella dell’insediamento accentrato di altura, di mag-giori o minori dimensioni, interpretato, a seconda dei casi indagati, come rientrante nella parte dominica o in quella massaricia, all’interno di un contesto di gestione

1 Tra le numerose ricerche ricordiamo: quelle nelle aree sommitali dei cen-tri abitati di Scarlino, Suvereto, Campiglia Marittima, Montemassi (FRANCOVICH 1985; CEGLIE, PARIS, VENTURINI 2006; BIANCHI 2004; BRUTTINI 2009); lo scavo in estensione nei siti minerari di Rocca San Silvestro (FRANCOVICH 1991), Rocchette Pannocchieschi (BELLI, DE LUCA, GRASSI 2003) ed in quello ancora in corso nel castello di Cugnano (in ultimo BRUTTINI, FICHERA, GRASSI 2010; gli scavi a Rocca degli Alberti a Monterotondo M.mo (BRUTTINI, GRASSI 2010) a Castel di Pietra (CITTER 2009), in località Vetricella, nella piana di Scarlino (MARASCO 2009), quelli ancora in atto nel castello di Donoratico (FRANCOVICH, BIANCHI 2006a), nella Canonica di Montieri (BIANCHI, BRUTTINI, DALLAI 2011) oltre a puntuali interventi di indagini archeologiche nei centri abitati di Piombino e Montieri (BERTI, BIANCHI 2007; ARANGUREN, BIANCHI, BRUTTINI 2008). A questo gruppo di ricerche devono essere aggiunte quelle effettuate in passato nei monasteri di S. Quirico di Populonia (BIANCHI, FRANCOVICH, GELICHI 2007) e nella sede alto e basso medievale del monastero di S. Pietro in Palazzuolo a Monteverdi M.mo (FRANCOVICH, BIANCHI 2006b). Per le analisi delle architetture dei centri storici minori si rimanda a BIANCHI 2009.

LE FONDAZIONI DI CASTELLI, CHIESE E MONASTERI DELLA MAREMMA TOSCANA TRA IX E XIII SECOLO. LE EVIDENZE MATERIALI 125

fig. 1 – Carta della Toscana con la localizzazione dei siti citati.

strettamente legato, sin dagli ultimi anni del dominio longobardo, al sistema curtense (per lo sviluppo di tale modello insediativo FRANCOVICH, GINATEMPO 2000; FRANCOVICH, HODGES 2003; FRANCOVICH 2004). Tali insediamenti si caratterizzavano per la presenza di abita-zioni in legno, racchiuse da palizzate (VALENTI 2004). È proprio verso gli ultimi decenni del IX secolo, che alcune di queste originarie cinte in materiale deperibile furono sostituite da circuiti in pietra che costituiscono la prima attestazione, in quest’area, di tale materiale da costruzione, insieme al suo uso per l’edificazione di piccoli edifici reli-giosi sovente posti all’interno di questi villaggi di sommità (BIANCHI 2010a, BIANCHI 2008b).

Ciò avvenne in concomitanza di un generale pro-cesso di riorganizzazione delle proprietà appartenenti a soggetti politici di rilevo, come quelli sopra citati. Tra fine IX e primi decenni del secolo successivo, alcune di queste proprietà furono, infatti, scelte, rispetto ad altre, per sperimentare una migliore razionalizzazione dello sfruttamento del territorio circostante, con la conseguenza che alcuni di questi insediamenti furono sottoposti ad un rinnovamento del proprio assetto insediativo, coevo anche a specifici indirizzi di vocazione economica. È, di conseguenza, in questi decenni che committenze, anche dotate di una fisionomia pubblica, decisero di caratte-rizzare i propri centri di controllo del territorio con la costruzione di cinte in pietra. In alcuni dei casi indagati archeologicamente, si è potuta verificare la presenza in loco di maestranze altamente specializzate, provenienti da aree esterne a questa e caratterizzate da specifiche conoscenze tecniche. L’esito materiale di questi saperi è individuabile, ad esempio, nella presenza di particolari strutture produtti-ve, come i miscelatori da malta che fanno la loro comparsa in quest’area dopo le loro prime attestazioni nei cantieri dei

grandi monasteri e palazzi regi d’oltralpe (BIANCHI 2010b, contributi su tale argomento contenuti in questo volume). Nella scelta dei modi di costruire, pur registrando un uso diffuso della tecnica complessa, si individuano casi di lavo-razione della pietra e posa in opera maggiormente regolare che preludono alle tecniche dei secoli successivi (BIANCHI 2008a). Inoltre, la stessa scala dell’impresa e della relativa progettazione delle cinte, rimanda sicuramente a cono-scenze specifiche e qualificate. In recenti contributi si è, poi, ipotizzata, da parte della committenza, l’attribuzione di un valore simbolico soprattutto alla scelta del materiale da costruzione, più che al tipo di tecnica adottata. Valore insito nel senso di forza e durevolezza degli stessi paramenti in pietra che, spesso, potevano anche essere parzialmente intonacati (BIANCHI c.s.a).

Dopo questi primi importanti casi, è dagli ultimi decenni del X secolo che, si registra un aumento delle cinte in muratura, seppure ancora a difesa di abitati in legno o in materiali misti, in contemporanea alla graduale privatizzazione di diritti pubblici da parte anche di signori di minore calibro politico.

Solo dal XII secolo è, però, evidente un salto di scala nei modi di costruire con un uso diffuso della pietra come materiale da costruzione non solo in cinte e chiese ma anche nell’edilizia abitativa privata e signorile. L’uniforme diffusione della pietra, da questo momento sottoposta anche a processi di lavorazione e finitura più standardizzati e di qualità, con la piena diffusione dell’opera in litotec-nica, si legò alla formazione dei castelli e alla definitiva stabilizzazione politica ed economica delle signorie rurali (BIANCHI c.s.b.). Quest’ultime, definitivamente trasferi-tesi dalla città alla campagna per una gestione più diretta delle loro proprietà, investirono risorse economiche per la costruzione dei nuovi insediamenti fortificati, come conseguenza, in molti casi, di una maggiore floridezza economica e di un più incisivo potere coercitivo nei confronti degli uomini residenti nel proprio distretto che, con le loro prestazioni d’opera, potevano contribuire all’impianto di cantieri di grandi dimensioni. Gli studi pregressi a tale riguardo hanno, infatti, verificato per i castelli di questo comprensorio, la chiamata di piccoli gruppi di maestranze altamente qualificate, a cui spet-tava il compito di progettare e gestire la costruzione del castello, organizzando il lavoro di muratori locali. Tale compresenza di saperi e organizzazione del lavoro ebbe, come esito, l’adozione di tecniche più o meno qualificate anche da parte dei muratori locali, soprattutto in relazione alla finitura della pietra da costruzione, interpretate in molti casi come possibili ‘tendenze tecniche’ rispetto ai saperi importati dalle maestranze esterne (BIANCHI 1996; in ultimo BIANCHI 2010c).

Importanti cantieri furono impiantati anche per la realizzazione di chiese, pievi, cattedrali e monasteri, que-st’ultimi, spesso, delegati, al pari dei castelli, alla gestione e controllo di ampi territori. La nascita dei primi comuni rurali, spesso controllati in maniera più o meno diretta, dalle autorità cittadine che cominciavano la loro espan-sione nel contado, comportò anche intensi programmi edilizi al loro interno, con l’edificazione di nuove tipolo-gie abitative e dei primi palazzi comunali, soprattutto a

126 G. BIANCHI

partire dalla metà del XIII secolo. La stessa, sopracitata, influenza politica, soprattutto di Pisa in buona parte della Maremma costiera e del suo immediato entroterra, si legò anche l’arrivo dalla città di maestranze specializzate che introdussero nuove prassi costruttive e tipologie edilizie, come si è ben verificato, ad esempio, con lo studio della chiesa di S. Antimo sopra i Canali a Piombino (BERTI, BIANCHI 2007) o per il torrione e palazzo dei Della Ghe-rardesca a Campiglia M.ma (BIANCHI 2004).

2. Caratteristiche e tipologie di fondazioni

Gli studi relativi alle fondazioni non sono numerosi e tale considerazione è particolarmente valida per la Toscana, pur a fronte di una certa mole di ricerche archeologiche sulle architetture.

Eppure, nella costruzione di un muro, la fondazione è essenziale dal momento che ha il compito, oltre che di sostenere l’alzato, anche di ripartirne il suo peso a terra. La fondazione, quindi, costituisce un importante legame statico tra il terreno ed i carichi delle parti in elevato del muro. Per tale motivo, soprattutto in età classica, si prestava attenzione a conferire un certo spessore al cosid-detto piano di appoggio, in modo da ridurre e distribuire meglio la pressione sul terreno. Tale superficie di risega, denominata, appunto, risega di fondazione, secondo Vitru-vio doveva avere uno spessore doppio rispetto all’alzato, regola, sovente, disattesa sia nell’Antichità, sia nei periodi

storici successivi (COPPOLA 1999, p. 167). Nel Medioevo il problema di una buona conoscenza empirica delle caratteristiche meccaniche del terreno fu, in alcuni casi, risolto secondo una modalità che consentiva di stimare le capacità portanti. Nei punti dove sarebbero state edificate le fondazioni si scavavano alcuni pozzi di una certa pro-fondità e vi si lasciava cadere dentro un blocco di pietra pesante almeno 10 kg. Se la pietra rimbalzava con un suono secco il terreno era adatto altrimenti, in caso di un suono sordo, era necessario scendere più a fondo nella stratigrafia geologica (COPPOLA 1999, p. 167-168).

Nel mondo classico, caratterizzato da un’organizza-zione di cantiere complessa, comprensiva di molte specia-lizzazioni, è possibile individuare alcune tra le principali tipologie di fondazione che, secondo il noto schema (fig. 2) riportato da Carandini (CARANDINI 2000, p. 197) sono state suddivise in: fondazioni a vista, quando la fondazione, pur interrata nel taglio, era provvista di paramento sui due lati; fondazioni a sacco caratterizzate da un taglio nel terreno di dimensioni variabili riempito con materiali di risulta (pietre miste a malta di calce) sino a livello del suolo su cui veniva costruito lo spiccato dell’alzato; a sacco con trincee di fondazione, ovvero quando l’alzato non spiccava dal livello di calpestio ma era in parte coperto dal riempimento del taglio di fondazione; a sacco ed a vista quando al di sopra del sacco veniva impostata anche la fondazione provvista di paramento. A queste tipologie si aggiunge poi un’altra, usata frequentemente su suoli in pendenza, che si caratte-

fig. 2 – Schema dei principali tipi di fondazioni edito in CARANDINI 2000, p. 197: a. a vista; b. a sacco; c. a sacco con piccole fosse di fondazione; d. a sacco e a vista sovrapposti; e. a sacco o a fossa stretta su un lato e a vista sull’altro.

LE FONDAZIONI DI CASTELLI, CHIESE E MONASTERI DELLA MAREMMA TOSCANA TRA IX E XIII SECOLO. LE EVIDENZE MATERIALI 127

fig. 3 – Monastero di S. Quirico di Populonia. Fondazioni a sacco del perimetrale della chiesa di XI secolo.

fig. 4 – Castello di Donoratico. Fossa di una fondazione a sacco del muro di cinta datato agli ultimi decenni del IX secolo.

rizza per la presenza di fondazioni a vista sul lato esterno ed a sacco sulla parte interna, a riempimento del taglio in pendenza operato per costruire il muro. Naturalmente, a seconda dell’ampiezza dei tagli di fondazione, delle misure delle stesse riseghe o delle caratteristiche di riempimento del sacco è possibile presupporre un impiego maggiore o minore di tempi e forza lavoro.

Per il Medioevo, la casistica delle tipologie di fonda-zione sembra circoscrivibile con difficoltà a schemi validi per più ambiti territoriali. Tale variabilità, soprattutto nell’Altomedioevo, deriva, come accennato poco sopra, da una maggiore frammentazione dei modi di costruire, fortemente influenzata da fattori meno presenti nel modo classico, come le diverse possibilità economiche delle più ridotte committenze, cantieri caratterizzati da un nume-ro minore di muratori e specialisti, una circolazione più ristretta delle nozioni legate al costruire.

Una simile diversificazione emerge anche per l’am-bito territoriale qui preso in esame per il quale possiamo individuare una serie di tipologie di fondazione, per le quali si preferisce adottare una terminologia leggermente diversa da quella utilizzata da Carandini, distinguendo come fondazioni a vista quelle poggianti direttamente sul suolo di calpestio, senza fossa di fondazione ed inserendo

nelle fondazioni a sacco quelle costituite sia da materiale di risulta, sia da strutture provviste di paramento più o meno regolare.

In base a questa suddivisione, schematizzando al mas-simo, le fondazioni censite possono suddividersi in:

A sacco. Sono registrabili in esempi di edilizia civile (cinte murarie per i secoli altomedievali; case per quelli centrali) e religiosa distribuiti in un arco cronologico compreso tra gli ultimi decenni del IX ed il XIII secolo. Nei mag-gioranza dei casi esaminati, la trincea di fondazione è di limitate dimensioni, con andamento regolare e parallelo all’alzato, ed è possibile verificare come lo spessore del sacco coincidesse, in buona parte dei casi, con quello dell’alzato (figg. 3-4). Il sacco poteva essere costituito da materiale di risulta composto da malta e pietrame (fig. 5) oppure sempre da pietre di dimensioni variabili poste in opera

128 G. BIANCHI

fig. 5 – Rocca di Campiglia, palazzo di XII secolo. Fon-dazioni a sacco di uno dei perimetrali con materiale di risulta costituito da pietra-me e malta di calce.

fig. 6 – Castello di Dono-ratico. Fondazione a sacco, con paramento irregolare, del perimetrale di una casa di XIII secolo.

irregolarmente a formare una sorta di paramento (fig. 6). I litotipi utilizzati sono in genere coincidenti con quelli dell’alzato. Solo nel caso della cinta di XII secolo presente nel sito di Rocca degli Alberti a Monterotondo M.mo, una trincea irregolare di grandi dimensioni conteneva una fondazione costruita con pietre di analoghe misure e lavorazione dell’alzato, poste in opera regolarmente (fig. 7). Tali fondazioni sono presenti in contesti caratterizzati da suoli geologici prevalentemente argillosi-sedimentari o di natura antropica, derivanti dall’accumulo di precedenti fasi di vita.

Con risega e trincea di fondazione. Si tratta di una casistica caratterizzata da una risega di fondazione, in genere, di uno spessore poco più grande rispetto all’elevato, pog-giante sul sacco in materiale di risulta, e inserita al di sotto dell’originario piano di calpestio attraverso un taglio di fondazione solitamente poco più grande dello spessore della risega (figg. 8-9). Nei casi esaminati le pietre della risega di fondazione non differiscono nei materiali, nel tipo di lavorazione e nella posa in opera da quelle impie-gate per l’alzato. Stesse considerazioni valgono anche per

il legante utilizzato. Solitamente l’altezza della risega di fondazione è piuttosto limitata comprendendo un ristretto numero di filari. Questo tipo di fondazione si è registrato in esempi di edilizia religiosa ed abitativa privata, relativi ad un arco cronologico compreso tra i secoli XI inoltrato e XIII ed è utilizzata in suoli analoghi a quelli descritti per la precedente tipologia.

Con risega a vista direttamente poggiante sul suolo. Una discreta percentuale dei casi esaminati presenta questo tipo di fondazione. Negli esempi caratterizzati da una sola risega lo spessore è solitamente più ampio dell’alzato nel-l’ordine di 30-40 cm e la tessitura è ottenuta utilizzando lo stesso materiale del paramento soprastante, posto in opera con le medesime modalità. I casi, però, più numerosi, registrabili nel periodo compreso tra XII e XIII secolo, presentano più riseghe di fondazione, caratterizzate da un andamento decrescente. Per queste murature la risega posta più in basso può arrivare anche ad uno spessore di 70-80 cm in più rispetto all’alzato, mentre quella posta al di sotto di quest’ultimo, solitamente, ha dimensioni di poco superiori (figg. 10-11-12-13). Spesso tali fondazioni,

LE FONDAZIONI DI CASTELLI, CHIESE E MONASTERI DELLA MAREMMA TOSCANA TRA IX E XIII SECOLO. LE EVIDENZE MATERIALI 129

Fig. 7 – Rocca degli Alberti (Monterotondo M.mo), cinta muraria di XII secolo. Fondazione a sacco con paramento re-golare e fossa di ampie dimensioni.

fig. 8 – Rocca di Campiglia, edificio A di XII secolo. Fondazioni a sacco, con risega di fondazione soprastante interrata nella stessa fossa di fondazione.

fig. 9 – Monastero di S. Quirico di Populonia. Fondazioni a sacco del perimetrale della chiesa di XI secolo, con risega di fondazione soprastante interrata nella stessa fossa di fondazione.

sono utilizzate in costruzioni poste al di sopra di banchi rocciosi con andamento irregolare e la linearità dell’anda-mento e delle dimensioni delle riseghe dipende proprio dall’adattamento all’irregolarità della superficie rocciosa. In molti edifici indagati, il sistema di queste riseghe de-crescenti andava a costituire una sorta di basamento che poteva riguardare tutto il perimetro dell’edificio, come nel caso della chiesa di XIII secolo di S. Antimo a Piombino (FICHERA 2007) o solo alcune sue parti, poste, appunto, nei punti più irregolari della roccia vergine. Proprio in relazione a queste esigenze, si sono registrati esempi di edifici dove il complesso delle riseghe di fondazione poteva avere un’altezza considerevole, ad esempio nell’ordine di più metri, come nel caso della chiesa di Montieri (fig. 10). In queste fondazioni sono impiegate pietre di dimensioni simili o leggermente maggiori rispetto a quelle dell’alzato, con lo stesso tipo di lavorazione e legante, sempre a base di calce, in genere piuttosto tenace. Nei casi in cui si è potuto osservare il nucleo interno di questo tipo di fondazione si è notata la tendenza a realizzarlo, a seconda dello spessore, o normalmente a sacco o con l’utilizzo di pietre poste in maniera abbastanza regolare in modo da formare delle bancate interne che costituivano un ulteriore legame tra le due superfici murarie esterne. Tali tipi di fondazioni sono indifferentemente usati sia nell’edilizia religiosa, sia

130 G. BIANCHI

fig. 10 – Chiesa di S. Giacomo a Montieri, XIII secolo. Prospetto della parete Nord provvisto di abside pensile e riseghe di fonda-zione decrescenti a vista direttamente poggianti sul terreno.

in quella civile, seppure solitamente riferibile a cantieri legati ad una committenza di particolare rilievo.

A vista da un lato ed a sacco dall’altro. Questo tipo di fon-dazione è molto comune nei frequenti casi di edifici posti sulle sommità di colline delle quali si tendeva a sfruttare tutto il suolo calpestabile. In molti esempi, uno o più lati perimetrali dell’edificio, posto ai margini dell’area sommi-tale, aveva una fondazione a vista direttamente poggiante sul suolo naturale, roccioso o meno, mentre l’altra era ricavata realizzando un sacco all’interno di una fossa di fondazione tagliata nel deposito naturale od antropico della sommità. Soprattutto nel XIII secolo, la fondazione a vista era spesso provvista di riseghe decrescenti, in modo da fornire ulteriore solidità alla struttura muraria soprastante.

La tessitura regolare della fondazione a vista non aveva un corrispettivo per quella a sacco interna, per la quale, in genere, si utilizzava pietrame di vari dimensioni, posto irregolarmente in opera e legato da malta di calce. Dal XIV secolo, in questo territorio, cominciano a comparire delle fondazioni provviste di una muratura ‘a scarpa’. I primi casi sono caratterizzati da un’inclinazione non troppo accentuata della scarpa e da una sua dimensione relativamente ridotta, come, ad esempio, per le fondazioni dell’edificio sommitale della Rocca di Suvereto o della cinta di Donoratico (figg. 14-15). In seguito, soprattutto nei territori interni, a confine con l’area senese, le murature ‘a scarpa’ acquisirono una più marcata inclinazione con un aumento esponenziale della loro altezza, come si registra nel palazzo di Montemassi (fig. 16).

LE FONDAZIONI DI CASTELLI, CHIESE E MONASTERI DELLA MAREMMA TOSCANA TRA IX E XIII SECOLO. LE EVIDENZE MATERIALI 131

fig. 11 – Particolare delle riseghe decrescenti di fondazione della chiesa di S. Giacomo a Montieri.

fig. 12 – Rocca di Campiglia, palazzo di XII secolo. Particolare delle riseghe di fondazione decrescenti a vista.

fig. 13 – Chiesa abbaziale del monastero di Monteverdi Marit-timo, XII secolo. Riseghe decrescenti del catino absidale.

fig. 14 – Castello di Donoratico. muro di fondazione a scarpa della cinta di XIII secolo.

Riuso di murature preesistenti. Rari sono i casi, per que-sto territorio, di uso, come fondazioni, di strutture murarie pertinenti precedenti architetture. Il riutilizzo di preesistenze, che avrebbe comportato il mantenimento delle medesime proporzioni, inclinazioni e necessitato di maggiori calcoli empirici sulla resa statica della muratura, rendeva probabilmente meno complessa la costruzione ex novo delle stesse fondazioni. Questo, ad esempio, fu il probabile ragionamento fatto dai costruttori impegnati nella realizzazione della cinta muraria di tardo IX secolo a Donoratico. Il precedente ed imponente circuito elleni-stico, avente un andamento molto simile alla nuova cinta, fu solo in alcuni, rari, punti usato come base, mentre si preferì piuttosto reimpiegare abbondantemente i conci

di grandi dimensioni nell’alzato delle murature (fig. 17). Nell’unico caso di vero e proprio riuso di precedenti murature, registrato in parte della navata della chiesa monastica di S. Quirico di Populonia (BIANCHI 2008b), tale scelta sembrerebbe maggiormente legata alla carica simbolica che rivestiva il precedente piccolo oratorio che avrebbe giustificato tale prassi costruttiva.

Coincidenti con l’elevato. Per tutto l’arco cronologico preso in esame, questa scelta costruttiva risulta la più frequente. In questo caso gli alzati sono direttamente poggianti sul suolo vergine, nella maggioranza di tipo roccioso, e non esistono differenziazioni tra la parte inferiore e superiore del paramento, costruito con la medesima tecnica costruttiva e

132 G. BIANCHI

fig. 15 – Rocca di Suvereto, XIV secolo. A sinistra muro di fondazione ‘a scarpa’ dell’edificio addossato alla torre.

fig. 16 – Montemassi, palazzo di XIV secolo. Le murature a scar-pa di fondazione (da FELETTI, DI PASQUALE 2000, p. 241).

fig. 17 – Castello di Donoratico. Cinta di fine IX secolo senza fondazione e direttamente poggiante sul suolo. Nel filare infe-riore si nota il riuso di pietre originariamente appartenenti alla precedente cinta di età ellenistica.

materiali da costruzione. Quasi tutti gli edifici del castello di S. Silvestro, ad esempio, compresa l’imponente cinta muraria, sono costruiti con i paramenti poggianti sul suolo, analogamente a molte altre architetture presenti nei castelli indagati del territorio (figg. 17-18-19). In alcuni esempi si è potuta verificare una preliminare operazione di livella-mento della roccia vergine, con l’obiettivo di regolarizzare il piano di posa. In altri casi furono realizzate murature provviste di una sezione inclinata in modo da adattarsi ai frequenti salti di quota del terreno dove si andava a co-struire. Questo tipo di scelta, adottata sia nell’alto sia nel Bassomedioevo, caratterizza la costruzione di elevati ap-

LE FONDAZIONI DI CASTELLI, CHIESE E MONASTERI DELLA MAREMMA TOSCANA TRA IX E XIII SECOLO. LE EVIDENZE MATERIALI 133

fig. 18 – Castello di Rocca San Silvestro. Particolare di uno dei perimetrali delle case di XII se-colo direttamente poggiante sul terreno.

partenenti ad una svariata casistica, comprensiva di chiese, palazzi, cinte murarie, abitazioni private ed è connessa ad alzati quasi sempre legati da malta di calce, sebbene, per le fasi più antiche, una simile prassi si riscontri anche per i basamenti in pietra, di abitazioni per le quali si ipotizza un alzato in materiali deperibili.

Per quanto riguarda la sequenza costruttiva delle fon-dazioni a vista (provviste o meno di risega di fondazione), in alcuni degli edifici esaminati, relativi a chiese, torri o palazzi signorili, si è potuto verificare che, analogamente all’alzato, si seguiva la prassi di edificare una porzione di muratura con un’interruzione in verticale, coincidente con i cosidetti ‘giunti di attesa’ (per questa definizione si rimanda a MANNONI, BOATO p. 45). In questi casi, quindi, non si costruiva procedendo per avanzamenti omogenei della fondazione in orizzontale ma con l’aggiunta graduale di porzioni di muratura longitudinali (fig. 20). Si può presupporre che tali cesure verticali non coincidessero con pause prolungate di cantiere. In ogni caso sono sinonimo di cambi di ‘ritmo costruttivo’, dipendenti forse dai tempi diversi di approvvigionamento delle materie prime o dalle pause stagionali di cantiere.

È, inoltre, molto frequente la compresenza nello stesso edificio, per coeve fasi costruttive, di fondazioni di diversa tipologia, probabile conseguenza dell’empirica capacità dei costruttori di adattarsi alle diverse caratteristiche ed andamenti del suolo vergine o meno (ad esempio nella chiesa monastica di S. Quirico di Populonia figg. 3-9, oppure nel palazzo di Campiglia figg. 5-12).

3. Alcune considerazioni conclusive

In questo comprensorio, a livello di tipologie di fon-dazione, notiamo come alcune soluzioni adottate in età classica trovino una loro continuità anche nel Medioevo, seppure con una serie di varianti. Sicuramente la presenza sul cantiere di un minor numero di manovalanza specia-lizzata o meno, rispetto al mondo romano, ebbe come

conseguenza, soprattutto per i secoli altomedievali, la scelta di prassi costruttive necessitanti di un minore spreco di tempo e forza lavoro, come ad esempio la realizzazione di sacchi di fondazione con dimensioni simili all’alzato o di trincee di fondazione di limitate dimensioni, nella maggioranza dei casi, quasi coincidenti con lo spessore della struttura muraria, analogamente alle stesse riseghe di fondazione.

Sicuramente l’emergere di tipologie insediative che, sin dall’Altomedioevo, prediligevano la sommità di rilie-vi, caratterizzati spesso dalla presenza di banchi rocciosi affioranti, comportò la frequente adozione di soluzioni, tipiche di questo periodo, come la posa delle fondazio-ni direttamente sul suolo geologico o la costruzione di paramenti dove non si coglie la differenza tra alzato e fondazione. Tali scelte denotano una notevole capacità di adattamento, da parte dei costruttori, alle caratteristiche dei terreni di appoggio e all’esigenza di progettare comples-si architettonici difensivi o abitativi in condizioni molto diverse da quelle tipiche dei suoli di pianura. La scelta di fondazioni come quelle sopra citate, non sembra, quindi, indicativa, di un regresso di conoscenze relativo al costrui-re, ma semplicemente conseguenza di una necessità per la quale probabilmente si mettevano in campo ulteriori saperi legati ai calcoli di resistenza statica della muratura, portati avanti con successo, visto che la maggioranza delle architetture castrensi o religiose sono ancora conservate in buona parte od in tutto il loro alzato2. La solidità delle fondazioni e dell’alzato era, del resto, garantita da un uso costante, per il periodo esaminato, di malta di calce, la cui tenacità tese ad aumentare avvicinandosi ai secoli centrali del Medioevo.

Le caratteristiche delle fondazioni rispecchiano, del re-sto, una realtà di cantiere analoga a quella desumibile dalle

2 Per le problematiche relative allo stato delle conoscenze dei costruttori medievali ed al relativo contesto economico si rimanda alle considerazioni contenute in BIANCHI c.s.b.

134 G. BIANCHI

fig. 20 – Campiglia, pieve di S. Giovanni, XII secolo. Prospetto del lato Ovest della navata con segnate le cesure di costruzione verticali presenti anche nelle fondazioni a vista con riseghe decrescenti (da BIANCHI 2004).

fig. 19 – Panoramica del castello di Rocca San Silvestro (foto LAP&T in cui è ben visibile la maggioranza dei muri senza distinzione tra fondazioni e alzato, direttamente poggianti sul suolo roccioso).

indagini sulle scelte relative all’alzato (tecniche murarie, soluzioni architettoniche e stilistico-architettoniche etc.) a loro volta strettamente legate al generale contesto politico ed economico del tempo.

Tra IX ed XI secolo, la presenza di nuovi muri in pietra con relative fondazioni riguarda episodi puntuali

e limitati numericamente, connessi a particolari commit-tenze di discreta rilevanza politica, in grado di investire nel costruito a seguito anche di un generale processo di riorganizzazione delle loro proprietà. Le caratteristiche ed il numero delle fondazioni sono, pertanto, connesse più ad uno specifico contesto economico che ad un maggiore o

LE FONDAZIONI DI CASTELLI, CHIESE E MONASTERI DELLA MAREMMA TOSCANA TRA IX E XIII SECOLO. LE EVIDENZE MATERIALI 135

minore livello di conoscenze tecniche, di fatto mantenutosi piuttosto costante seppure relativo a gruppi più ristretti di costruttori specializzati3.

Analogamente ad altri aspetti della cultura materiale, il generale salto di scala, evidente nel XII secolo e legato ad una maggiore capacità di investimento delle signorie laiche ed ecclesiastiche a seguito di una loro stabilizzazione politica e territoriale, risulta chiaro anche nelle specifiche scelte relative alle fondazioni.

L’aumento di gruppi itineranti di maestranze specializ-zate, al servizio di una più articolata e ricca committenza, portò ad un esponenziale aumento delle architetture in pietra per le cui fondazioni si adottarono soluzioni più complesse e di maggiore resa statica, come nel caso delle riseghe di fondazione descrescenti, ampliamente adottate in molti degli edifici esaminati, tra XII e XIII secolo. Tali scelte si legano anche alla possibilità di usufruire di un maggior numero di maestri, lapicidi e muratori all’interno di un cantiere fattosi, da questo periodo, sicuramente più complesso e ricco di specializzazioni. Contemporaneamen-te si continuarono a costruire paramenti senza apparenti fondazioni, legati però da una malta tenace, frutto del lavoro di esperti calcinai ma anche di un maggiore investi-mento economico, per innalzare muri di notevole altezza, che ancora oggi caratterizzano questa parte di paesaggio toscano, come la torre di Donoratico, ancora svettante nei suoi 24 m di altezza originaria.

BibliografiaARANGUREN B.M., BIANCHI G., BRUTTINI J., 2008, Montieri (GR).

Archeologia urbana: l’intervento in via delle Fonderie, «Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana», 3/2007, pp. 435-441.

BERTI G., BIANCHI G. (a cura di), 2007, Piombino. La chiesa di S. Antimo sopra i Canali. Ceramiche e architetture per la lettura archeologica di un abitato medievale e del suo porto, Firenze.

BIANCHI G., 1996, Trasmissione dei saperi tecnici e analisi dei pro-cedimenti costruttivi, «Archeologia dell’Architettura», I 1996, pp. 53-65.

BIANCHI G. (a cura di), 2004, Campiglia. Un castello e il suo territorio, Firenze.

BIANCHI G., 2008a, Costruire in pietra nella Toscana medievale. Tec-niche murarie dei secoli VIII-inizio XII, «Archeologia Medievale», XXXV, pp. 23-38.

BIANCHI G., 2008b, Gli edifici religiosi tardo antichi e altomedievali nella diocesi di Populonia-Massa: il caso della val di Cornia e bassa val di Cecina, in S. CAMPANA, C. FELICI, R. FRANCOVICH, F. GAB-BRIELLI (a cura di) Chiese e insediamenti nei secoli di formazione dei paesaggi medievali della Toscana. Il rapporto fra le chiese e gli insediamenti fra V e X secolo, Firenze, pp. 369-390.

BIANCHI G., 2009, Centri abitati e comunità rurali basso medievali della Toscana sud-occidentale. Percorsi interpretativi attraverso l’archeologia delle architetture, «Archeologia dell’Architettura», XIV 2009 (2011), pp. 189-198.

BIANCHI G., 2010a, Dominare e gestire un territorio. Ascesa e sviluppo delle ‘signorie forti’ nella Maremma toscana centrosettentrionale tra X e metà XII secolo, «Archeologia Medievale», XXXVII, pp. 93-104.

BIANCHI G., 2010b, Cantieri monastici, cantieri curtensi e cantieri cas-trensi tra altomedioevo e secoli centrali nella Toscana meridionale, in M.C. SOMMA (a cura di), Cantieri e maestranze nell’Italia medievale, Spoleto, pp. 449-479.

BIANCHI G., 2010c, Archeologia dell’Architettura e indicatori materiali di storia sociale: il caso toscano e l’Italia centro Nord tra IX e XII secolo, «Archeologia dell’Architettura», XV 2010 (2011), pp. 205-210.

BIANCHI G., c.s.a., Modi di costruire, organizzazione del cantiere e politiche edilizie nelle campagne del regno italico tra seconda metà IX e X secolo: continuità o rinnovamento? in M. VALENTI, C. WICKHAM (a cura di), Italia 888-962: una svolta?, Brepols.

BIANCHI G., c.s.b., Curtes, castelli e comunità rurali di un territorio minerario toscano. Nuove domande per consolidati modelli, in P. GALETTI (a cura di) Villaggi, comunità, paesaggi medievali, Atti del Convegno (Bologna, 14-16 gennaio 2010), Spoleto.

BIANCHI G., BRUTTINI J., DALLAI L., 2011, Sfruttamento e ciclo produttivo dell’allume e dell’argento nel territorio delle Colline Metallifere grossetane, in Risorse naturali e attività produttive: Ferento a confronto con altre realtà, Atti del II convegno di studi in memoria di Gabriella Maetzke (Viterbo, 27-28 aprile 2010), Viterbo, pp. 249-282.

BIANCHI G., FRANCOVICH R., GELICHI S., 2007, Scavi nel monastero di S. Quirico di Populonia (LI). Campagne 2002-2006, «Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana», 2/2006, pp. 277-278.

BIANCHI G., FICHERA G., PARIS M.F., 2009, Rappresentazione ed esercizio dei poteri signorili di XII secolo nella Toscana meridionale attraverso le evidenze archeologiche, in G. VOLPE, P. FAVIA (a cura di), V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Foggia-Man-fredonia 2009), Firenze, pp. 412-416.

BELLI M., DE LUCA D., GRASSI F., 2003, Dal villaggio alla formazione del castello: il caso di Rocchette Pannocchieschi, in R. FIORILLO, P. PEDUTO (a cura di), III Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Salerno 2003), Firenze, pp. 286-291.

BRUTTINI J., 2009, La formazione dell’insediamento accentrato nella Valle del Bruna: il caso di Montemassi (Grosseto (VIII-X secolo), in G. VOLPE, P. FAVIA (a cura di), V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Foggia-Manfredonia 2009), Firenze, pp. 319-325.

BRUTTINI J., FICHERA G., GRASSI F., 2010, Un insediamento a vocazione mineraria nella Toscana medievale: il caso di Cugnano nelle Colline Metallifere, www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2010-179.pdf.

BRUTTINI J., GRASSI F., 2010, Monterotondo M.mo: dall’insediamento altomedievale alla Rocca degli Alberti (IX-XIV secolo), www.fa-stionline.org/docs/FOLDER-it-2010-180.pdf.

CARANDINI A., 2000, Storie dalla terra. Manuale dello scavo archeolo-gico, Torino.

CEGLIE S., PARIS M.F., VENTURINI F., 2006, Le storie della Rocca di Suvereto tra alto e basso Medioevo attraverso le nuove indagini ar-cheologiche, in C. MARCUCCI, C. MEGALE (a cura di), Il Medioevo nella provincia di Livorno. I risultati delle recenti indagini, Pisa, pp. 117-130.

CITTER C. (a cura di), 2009, Dieci anni di ricerche a Castel di Pietra. Edizione degli scavi 1997-2007, Firenze.

COPPOLA G., 1999, La costruzione nel Medioevo, Salerno.FELETTI I., DI PASQUALE S., 2000, La situazione statica delle emergenze

monumentali, in S. GUIDERI, R. PARENTI (a cura di), Archeologia a Montemassi. Un castello fra storia e storia dell’arte, Firenze, pp. 231-240.

FICHERA G., 2007, Archeologia dell’architettura del cantiere di costruzione della chiesa, in BERTI, BIANCHI 2007, pp. 47-148.

FRANCOVICH R. (a cura di) 1985, Scarlino I. Storia e territorio, Firenze.FRANCOVICH R., 1991, Rocca San Silvestro, Roma.FRANCOVICH R., 2004, Villaggi dell’altomedioevo: invisibilità sociale e

labilità archeologica, in VALENTI 2004, pp. IX-XXII.FRANCOVICH R., BIANCHI G., 2006a, Capanne e muri in pietra. Do-

noratico nell’alto medioevo, in C. MARCUCCI, C. MEGALE (a cura di), Il Medioevo nella provincia di Livorno. I risultati delle recenti indagini, Pisa, pp. 105-116.

FRANCOVICH R., BIANCHI G., 2006b, Prime indagini archeologiche in un monastero della Tuscia altomedievale: S. Pietro in Palazzuolo a Monteverdi Marittimo (PI), in R. FRANCOVICH, M. VALENTI (a cura di), IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Chiu-sdino [SI] 2006), Firenze, pp. 346-352.

FRANCOVICH R., GINATEMPO M. (a cura di) 2000, Castelli. Storia e archeologia del potere nella Toscana medievale, Firenze.

3 Per un quadro generale relativo ai gruppi di maestranze altomedievali si rimanda ai vari contributi contenuti in I magistri commacini 2009.

136 G. BIANCHI

FRANCOVICH R., HODGES R., 2003, Villa to village. The transformation of the Roman Countryside in Italy, c. 400-1000, Duckworth, London.

I magistri commacini 2009 = I magistri commacini. Mito e realtà nel Medioevo lombardo, XIX Congresso Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo Spoleto.

MANNONI T., BOATO A., 2002, Archeologia e storia del cantiere da costru-zione, «Arqueología de la Arquitectura», I, pp. 39-54.

MARASCO L., 2009, Un castello di pianura in località Vetricella a Scarlino (Scarlino Scalo, GR): indagini preliminari e saggi di verifica, in G. VOLPE, P. FAVIA (a cura di), V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Foggia-Manfredonia 2009), Firenze, pp. 326-331.

VALENTI M., 2004, L’insediamento altomedievale nelle campagna toscane. Paesaggi, popolamento e villaggi tra VI e X secolo, Firenze.

RiassuntoNel contributo si affronta il tema dell’edificazione delle fondazioni partendo dalle loro evidenze materiali, censite in occasione dei nu-merosi progetti di ricerca archeologica recentemente realizzati in area toscana. Data la frammentarietà dei modi di costruire che caratterizzò soprattutto l’Altomedioevo, per evitare eccessive generalizzazioni, si è preferito concentrare l’attenzione su di uno specifico territorio posto a Sud della Toscana. Partendo da una numerosa serie di casi, registrati in ambito rurale, si propone una tipologia del tipo di fondazioni censite, premettendo un confronto di quest’ultime con i modi di costruire propri dell’età classica. Pur riscontrando una certa continuità con quest’ultimo periodo, nelle soluzioni adottate si è registrato, soprattutto per l’Altomedioevo, la tendenza ad adottare soluzioni costruttive che necessitassero minore dispendio di energia umana, in rapporto anche

ad un’organizzazione di cantiere caratterizzata da un numero minore di lavoranti. Tale tendenza non escludeva la messa in campo di saperi specializzati necessari per individuare nuove soluzioni costruttive in rapporto anche a diverse tipologie di insediamento rispetto all’età classica. Dal XII secolo, in contemporanea ad un nuovo contesto storico e ad un’organizzazione di cantiere più articolata, è evidente la scelta di tipi di fondazioni elaborate e di migliore resa statica, frutto del lavoro di maestranze sempre più numerose e portatrici di saperi tecnici complessi.

AbstractThe Foundations of Castles, Churches and Monasteries in the Countryside of Southern Tuscany in the 9th to 13th centuries. The Material EvidenceThis article deals with the subject of the construction of founda-tions based on the material evidence recorded during the numerous archeological research projects conducted recently in the Tuscan area. Considering the fragmentary nature of the construction methods used in the early Middle Ages, in order to avoid excessive generalizations, we decided to focus on a specific area located in southern Tuscany. On the basis of the numerous groups of cases recorded in rural areas, we were able to formulate a typology for the types of foundations that were used so that it is possible to compare them with the construction methods that had been used in Classical Antiquity. Starting in the 12th century, along with a new historical context and a more structured organiza-tion of the building site, it becomes evident that they were using more elaborate foundation types with improved static performance which were the result of the work of an increasing number of craftsmen who were contributing complex technical know-how.