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Massimo Bernabo
Ossessioni bizantine e culturaartistica in Italia
Tra D’Annunzio, fascismo e dopoguerra
Liguori Editore
Questa opera è protetta dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni. L�utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni sta-bilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell�Editore all�indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza.Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riprodu-zione in qualsiasi forma, all�uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La duplicazione digitale dell�opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l�uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa Editrice Liguori è disponibile all�indirizzo Internet http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=legal
Liguori EditoreVia Posillipo 394 - I 80123 Napoli NAhttp://www.liguori.it/
© 2003 by Liguori Editore, S.r.l.Tutti i diritti sono riservatiPrima edizione italiana Marzo 2003
Bernabò, Massimo:Ossessioni bizantine e cultura artistica in Italia. Tra D�Annunzio, fascismo e dopoguerra/Massimo BernabòNuovo MedioevoNapoli : Liguori, 2003 ISBN-13 978 - 88 - 207 - 5723 - 6
1. Critica figurativa del Novecento 2. Storia dell�arte contemporanea I. Titolo
Aggiornamenti:�����������������������������������������12 11 10 09 08 07 06 05 04 03 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
INDICE
Premessa ......................................................................... 1
Parte I - L’Ottocento, D’Annunzio, Teodora e Basiliola
Capitolo 1 - Teodora ..................................................... 7
a. Da Belisario a Teodora ........................................ 7
b. La Theodora di Sardou ......................................... 11
c. Condanna e apologia di Teodora ........................ 15
d. Teodora in Italia: da Sardou alla Bizantina ........ 18
e. Teodora, odalisca, a dispense .............................. 21
Capitolo 2 - Basiliola ..................................................... 25
a. Basiliola, Teodora italianizzata ............................. 26
b. Teodora alla esposizione di Venezia .................... 34
c. Teodora la divina ................................................. 38
d. Psicologia di Teodora .......................................... 41
Capitolo 3 - Viaggiatori ottocenteschi .............................. 43
a. Costantinopoli ottomana. ..................................... 44
b. La Costantinopoli – Babilonia di De Amicis ....... 47
c. Un racconto sugli ultimi giorni di Costantinopoli 50
d. Taine su Ravenna, una voce dissonante .............. 51
INDICE
Capitolo 4 - Primi studi in Italia ................................... 55
a. Seroux D’Agincourt e Garrucci ........................... 58
b. Cristi improsciuttiti e Madonne color cioccolata ... 60
c. Una fioritura effimera di studi ............................. 62
Parte II - Roma o Bisanzio, Roma o Parigi
Capitolo 5 - L’apogeo di Bisanzio e l’assalto all’arte italiana 71
a. L’apogeo novecentesco di Bisanzio ...................... 71
b. Parigi, cioe Bisanzio ............................................. 75
c. Strzygowski, moderno Attila ................................. 79
d. Bisanzio futurista e cubista .................................. 83
Capitolo 6 - La difesa dell’arte patria ............................ 87
a. La reazione antigermanica e antifrancese ............. 88
b. La definizione di un’arte nazionale ...................... 92
c. Contro l’Oriente, contro i barbari, contro Strzy-
gowski ................................................................... 96
d. Il nemico e a Oriente: conformismi, idiozie e vergo-
gne bizantine ........................................................ 100
e. Soffici, Vasari moderno ........................................ 108
f. Cezanne italiano, Matisse bizantino: plasticismo
contro colorismo ................................................... 111
Capitolo 7 - Il fronte interno filobizantino: Pietro Toesca ... 117
a. Pietro Toesca ....................................................... 118
b. Toesca orientalista ................................................ 121
c. Il Medioevo bizantino: le origini dell’arte cristiana ed
i mosaici di Ravenna ...........................................
124
d. Il Medioevo bizantino: dai mosaici romani a Giotto 129
Capitolo 8 - Gli altri filobizantini (Berenson, Lionello
Venturi), gli allineati, i manuali ................................... 131
a. Bernard Berenson, filobizantino ........................... 132
b. Lionello Venturi, anticlassico ............................... 138
c. Programmi scolastici ed altri studiosi allineati ..... 145
INDICE
Capitolo 9 - Bisanzio e la politica fascista delle arti ....... 149
a. L’ala filobizantina del regime ............................... 150
b. Severini, il muralismo ed i mosaici bizantini ....... 156
c. La Mostra Augustea della Romanita ................... 162
d. La colonizzazione romanista dell’Adriatico e della
Sicilia 166
e. Epiloghi razzisti .................................................... 170
f. Folklore bizantino ................................................. 172
Capitolo 10 - Giotto: Bisanzio o Italia ........................... 175
a. Prima del 1937 .................................................... 175
b. La mostra giottesca del 1937 .............................. 179
c. Il “Giudizio” antibizantino di Longhi .................. 182
Capitolo 11 - L’enciclopedia orientalista .......................... 189
a. Ojetti alla direzione della Sezione Arte ................ 189
b. L’incarico a Toesca .............................................. 194
c. Il debole spirito romanista dell’Enciclopedia Italiana 196
d. “Iconografia”, “Musaico”: due voci metodologiche 203
e. Le voci altomedievali e duecentesche .................. 206
f. La voce romanista “Bizantina, Civilta” ed il “Medio-
evo bizantino” di Pasquali ................................... 207
Parte III - Crociani, comunisti e ravveduti 217
Capitolo 12 - Il riassetto dopo il conflitto ........................ 219
a. La restituzione a Bisanzio delle conquiste romaniste 221
b. Il giudizio italiano su Longhi ............................... 224
c. Contini e Garrison su Longhi ............................. 227
d. Bianchi Bandinelli ed i Princetoniani ................... 233
Capitolo 13 - Stile contro iconografia .............................. 241
a. Il pericolo crociano .............................................. 242
b. La Mostra Storica Nazionale della Miniatura ...... 249
c. L’entrata ed uscita di scena della Siria ............... 253
d. L’Iliade Ambrosiana come problema metodologico 260
INDICE
e. I Bizantini a Castelseprio ..................................... 266
f. La reazione italiana e l’intervento sovietico su Ca-
stelseprio ............................................................... 269
Epilogo: studi sull’arte bizantina 1960-2000 ................. 275
Tavole ............................................................................. 279
Bibliografia ...................................................................... 399
Indice dei luoghi e dei nomi ............................................. 443
PREMESSA
La trama di questo libro segue due fili conduttori: uno e la storia
della critica d’arte in Italia nell’Ottocento e nel Novecento, percorsa
attraverso la vicenda del rapporto di amore episodico e di ossessivo
odio verso l’arte bizantina, frutto decaduto della civilta romana;
l’altro e la contemporanea storia degli studi sull’arte bizantina. Sino
agli anni Dieci del Novecento i due fili si intrecciano occasional-
mente; negli anni Venti e Trenta, quando Bisanzio diventa l’anti-
Roma, cioe la civilta antitetica alla romanita dell’ideologia fascista, i
due fili si riuniscono: la demonizzazione dell’arte bizantina fu allora
anche pretesto per attaccare quel gruppo di intellettuali ed artisti,
anche fascisti, che cercavano rapporti con l’arte internazionale e
soprattutto con l’arte della rivale Francia democratica. A sfavore
dell’arte bizantina giocavano proprio l’accento anti-tradizione ita-
liana che veniva messo nel suo apprezzamento da parte delle avan-
guardie novecentesche, da Monet a Matisse, e la sua denigrazione da
parte dei sostenitori di un’arte accademica e di un arte nazionale
italiana, conservatrice e rurale (Soffici fu l’idolo di questi ultimi) che
si richiamasse ai valori plastici di Giotto, Masaccio o Paolo Uccello,
contrapposti al decorativismo o al preziosismo dei bizantini.
Gli antefatti di questa romanizzazione antibizantina sono presen-
tati attraverso la fortuna di Teodora, incarnazione femminile della
cattiveria e della immoralita, demone bizantino per eccellenza, ed
attraverso quella della sua figlia in arte, Basiliola, la bizantina nemica
e corruttrice del libero popolo dei Veneti, creata da D’Annunzio per
La nave. Per i capitoli sul periodo tra le due guerre i giudizi e le
interpretazioni storico-artistiche di Pietro Toesca, figura limpida ed
appartata di storico dell’arte non piegatosi alle banalita della critica
di regime, sono stati scelti come guida, contrapponendo quel tipo di
moralita intellettuale alla ambizione, coltivata da tanti storici del-
l’arte del periodo, ad entrare nella corte del principe, specialmente
OSSESSIONI BIZANTINE E CULTURA ARTISTICA IN ITALIA
con l’apparente trionfo internazionale di Mussolini negli anni
Trenta. Nonostante che gli studiosi abbiano di regola voluto tenere
la storia dell’arte ed i suoi protagonisti fuori dalle vicende dei propri
tempi, come se quella disciplina fosse attivita dello spirito umano
vergine di contaminazioni secolari, atti, documenti e pubblicazioni
delineano l’aspettato quadro di compromissioni non imposte con il
potere. Fatto, del resto, gia descritto per gli antichisti. Oltre a
Toesca, tra i maggiori che scelsero altre strade al prezzo dell’isola-
mento o dell’esilio, vanno ricordati Bernard Berenson e Lionello
Venturi, ai quali e intitolato uno dei capitoli del libro. Per i capitoli
sul secondo dopoguerra, caratterizzati, per l’ambito degli interessi del
libro, dalla metamorfosi dei critici d’arte emersi nel ventennio mus-
soliniano in crociani dichiarati, dal dominio quasi monopolistico
della storia dell’arte come disciplina che studi i valori formali delle
opere e dalla concezione dell’arte come mondo a se isolato dai fatti
contemporanei della storia, e stata presa come figura guida l’archeo-
logo Ranuccio Bianchi Bandinelli, che fu tra i pochi che dal crocia-
nesimo passarono al marxismo, nello stesso tempo incorporando nel
suo approccio metodologico i criteri d’indagine del contenuto delle
opere e della trasmissione iconografica elaborati a Princeton. Le
citazioni dai suoi scritti appariranno forse banalita agli studiosi di
archeologia, ma sono probabilmente poco note al di fuori della loro
cerchia. Citazioni da D’Annunzio, Boccioni, Carra, Croce od altri
possono avere lo stesso difetto. Le pagine su Soffici si addentrano, al
contrario, nei suoi scritti protorazzisti: la lunghezza di citazioni che
ne viene e dovuta al ruolo svolto nell’ideologia artistica del fascismo
dalle numerose pubblicazioni del pittore toscano, che dettero im-
pulso alla polemica contro la Francia ed anche, di conseguenza,
contro Bisanzio: all’opposto, nei discorsi elogiativi del mondo conta-
dino e della tradizione italiana di Soffici letti in monografie e catalo-
ghi delle sue opere che mi sono passati sotto gli occhi, mai ho trovato
l’onesta ed il dovere di studioso di mettere a conoscenza il lettore che
si appresta a vedere i suoi quadri del retroterra di razzismo e
volgarita che Soffici scriveva su donne, omosessuali e drogati. Aver
ricordato di passaggio che chi professava idee contrarie al regime,
storico dell’arte o altro, subiva intimidazioni e chi faceva invece parte
della grande maggioranza dei consenzienti aveva studi e carriera
facilitati e apparsa una menzione doverosa e necessaria per l’intendi-
mento degli avvenimenti descritti.
L’ampiezza dell’arco cronologico, la varieta degli argomenti toc-
PREMESSA
cati e lo stato degli studi dovrebbero scusare il fatto che piu argo-
menti di questa storia delle ossessioni bizantine sono soltanto abboz-
zati e sono quindi inevitabili generalizzazioni, difetti e lacune.
Purtroppo, a parte l’antologia di Paola Barocchi, sono stati pubbli-
cati solo studi su singoli storici dell’arte, quasi sempre monografie
agiografiche. Il libro non ha, tra l’altro, una discussione dei restauri
di monumenti del periodo bizantino condotti negli anni presi in
esame; per tutti, quelli di San Vitale a Ravenna e quelli del Battistero
di San Giovanni a Firenze. Un mio articolo, che racconta la campa-
gna della stampa fascista contro gli orientalisti, nel 1930, riassunta in
questo libro al capitolo sesto, e da poco pubblicato sulla veterana
Byzantinische Zeitschrift, e risultato il primo contributo lı accettato
sulla storia della disciplina: attestazione che mi rende piu sereno di
fronte a prevedibili critiche. Per non assillare il lettore zeppando le
frasi di numeri esponenziali di note ho cercato di raggrupparle in una
unica nota complessiva alla conclusione di ciascun argomento intro-
dotto, anche a scapito, forse, della praticita. Il tono narrativo e la
brevita dei capitoli sono voluti per l’analogo fine di leggibilita del
testo.
Origine remota del libro e stata la ricerca di risposte alle do-
mande: perche a Bisanzio si associano sempre valori negativi e, piu
specificamente nel campo della storia degli studi, perche le testimo-
nianze di arte bizantina, che l’Italia ha piu numerose ed importanti
che ogni altro paese dell’Occidente, non hanno indotto l’affermarsi
di una scuola e tradizione di studi consistente? Al destino sfavorevole
dei termini bizantineggiare, bizantinerie, bizantinismi, fatti divenire
sinonimi, rispettivamente, di argomentare con eccessiva sottigliezza,
di ragionamenti cavillosi e inconcludenti, di preziosismi ed estetismi
raffinati e decadenti, corrisponde l’assenza di biblioteche pubbliche
italiane che possiedano in misura confortante i libri su Bisanzio di
studiosi stranieri pubblicati almeno nei primi settanta anni del Nove-
cento. Solo due istituzioni straniere in Italia sopperiscono a questo
vuoto bibliografico 1900-1970: la Biblioteca Vaticana e la Biblioteca
Berenson. Piu prosaicamente, la genesi di questo libro ha come
progenitrice la mia passione per l’arte bizantina che si e scontrata
con la formazione in un ateneo, quello fiorentino, dove due celebri
docenti avevano sentenziato la noiosita ed il disvalore artistico della
letteratura e delle arti figurative bizantine con inconfutata autorevo-
lezza. La lusinghiera proposta di uno dei maestri indiscussi dell’arte
bizantina del Novecento, Kurt Weitzmann, a trascorrere un lungo
OSSESSIONI BIZANTINE E CULTURA ARTISTICA IN ITALIA
periodo con lui all’Universita di Princeton alla realizzazione di una
opera vasta e da tanto attesa, pubblicata infine nel 1999, mi ha
concesso fortuna e privilegio di frequentare la piu autorevole scuola
metodologica del Novecento sulla illustrazione dei manoscritti me-
dievali e mi ha permesso di vedere con chiarezza i limiti degli studi di
arte bizantina in Italia – ovvia eccezione alcuni singoli avveduti
studiosi. Soprattutto, i motivi storici di questa assenza mi si comin-
ciarono a inserire nel percorso della cultura italiana.
Di lı, l’ideazione di un lavoro sulla demonizzazione dell’arte
bizantina nell’Italia tra le due guerre mondiali e sulla incapacita degli
studi dell’immediato dopoguerra in Italia di uscire da autarchia di
giudizio e approssimazioni sull’arte bizantina superate da tempo
dalla bizantinistica internazionale. I primi risultati di questo lavoro
furono da me presentati a un convegno a Urbino nel 1998 ed accolti
con molto calore dagli studenti e dai colleghi coetanei presenti. Il
sostegno e l’apprezzamento di coloro a cui piacque la problematica
storica da me allora proposta (per primo quello di Giulia Orofino,
poi di Massimo Oldoni, curatore della collana, di Luciano Canfora,
fonte autorevole di notizie e chiarimenti, Marcello Barbanera, che ha
fornito tra l’altro la foto inedita di Bianchi Bandinelli, Rita Tara-
sconi, alla quale si deve buona parte della ricerca, e altri colleghi
stranieri, sorpresi dalla rivelazione dell’ostracismo inflitto in Italia
all’arte bizantina, che pure collimava con intuizioni avute) mi ha
spinto a far conoscere in forma piu estesa, con questo libro, il molto
materiale che avevo raccolto sull’amore e sull’odio in Italia verso
Bisanzio. Oltre alle persone elencate sopra, un ringraziamento parti-
colare va a Ilaria Toesca ed al personale della Biblioteca Berenson di
Villa I Tatti, a Sandra Bianchi Bandinelli, Gianfranco Morandi,
Valentino Pace, Anna Pontani, Niccolo Zorzi.
agosto 2001 Massimo Bernabo
1
TEODORA
Fino al Settecento i personaggi della storia bizantina erano noti
solamente ad antichisti, eruditi ed uomini di chiesa, fatta eccezione
per un piccolo gruppo di imperatori, imperatrici e generali, protago-
nisti del teatro di prosa e dell’opera lirica. Nell’Ottocento, i romanzi
storici fecero conoscere i luoghi di Costantinopoli, mentre teatro ed
opera resero popolari prima Belisario, poi, in maniera incomparabil-
mente piu viva e diffusa, Teodora, moglie dell’imperatore Giusti-
niano. La scenografia per eccellenza dove questi personaggi furono
immaginati e la chiesa di Santa Sofia, non nell’aspetto, perduto, della
basilica bizantina giustinianea scintillante di mosaici e marmi, ma in
quello esotico e ridondante di arredi della moschea ottomana dell’e-
poca. Parallelamente alla costruzione della immagine storica di Bi-
sanzio fatta dai primi studi ottocenteschi, spettacoli, riviste e moda
foggiarono una immagine volgare di Bisanzio come patria di lusso,
sensualita, corruzione, intrighi, le cui fila erano tirate da figure
femminili, delle quali Teodora era l’archetipo. In Italia, la Bisanzio
di Teodora ebbe la sua apoteosi all’inizio del Novecento, quando i
tratti dell’imperatrice furono fusi con quelli di Salome e furono presi
come modello sulle scene per molte altre donne fatali, storiche e di
fantasia.
a. Da Belisario a Teodora
Teodora fu preceduta sul palcoscenico da Giustino, Teofane e Beli-
sario. Un dramma per musica Giustino, che ha per protagonisti il
militare di umili origini divenuto imperatore dal 518 al 527, Ariadne,
la vedova del suo predecessore Anastasio, che Giustino sposa dive-
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
1H. Weinstock, Donizetti and the World of Opera in Italy, Paris, and Vienna in the First
Half of the Nineteenth Century (New York, 1963), pp. 113-119 e 350. S. Cammarano,
Belisario. Tragedia lirica in tre parti. Parte Prima, Il trionfo. Parte Seconda, L’esilio. Parte Terza,
La morte, da rappresentarsi nell’imp. e real teatro in via della Pergola, la primavera del
1836, sotto la protezione di S. A. Imp. e R. Leopoldo II Gran-Duca di Toscana (Firenze
[1836]). Notizie su Giustino, Teofane e Belisario si trovano in The New Grove Dictionary of
Opera, a cura di S. Sadie (London – New York, 1992), alle rispettive voci.2
J.-F. Marmontel, Belisaire (Paris, 1767); traduzione italiana, Belisario (Venezia, 1768).
nendo cosı imperatore, e generali fedeli e ribelli, fu musicato da
Giovanni Legrenzi su libretto di Nicolo Beregan e fu messo in scena
al Teatro San Salvatore di Venezia nel 1683, per poi passare al
Teatro San Giovanni Grisostomo. Con le sue ricche architetture ed i
costumi bizantini, le battaglie terrestri ed una naumachia, l’opera
ebbe un grande successo e fu rappresentata varie volte in Italia fino
al 1699. Dal Giustino di Beregan derivo il Giustino opera in tre atti di
Georg Friederich Handel, data al Covent Garden Theatre di Londra
nel 1737. Le peripezie a lieto fine con nozze finali di Teofano,
principessa bizantina, con Ottone II, furono invece messe in scena a
Dresda nel 1719 col Teofane, dramma per musica in tre atti di
Antonio Lotti su libretto di Stefano Benedetto Pallavicino, per le
nozze del principe elettore Federico Augusto II di Sassonia. Mag-
giore fortuna ebbe Belisario, il generale di Giustiniano: dopo le opere
di Philodor (1796), Saint-Lubin (ca 1827) e Maurer (1830), nel
1836 Gaetano Donizetti compose Belisario, tragedia lirica in tre atti
con libretto di Salvatore Cammarano, la cui prima fu alla Fenice di
Venezia il 4 febbraio 1836. L’opera fu ridata a Napoli, Firenze,
Londra, Berlino, Filadelfia, Parigi, New York, Vienna tra il 1836 e il
18371. Il libretto di Cammarano riprende la storia raccontata nel
Belisaire di Jean-Francois Marmontel, pubblicato in italiano a Vene-
zia nel 1768 con l’aggiunta di alcune incisioni che mancano nella
edizione francese. Marmontel dichiara di seguire la tradizione popo-
lare per il Belisario cieco e mendico e Procopio per il resto della
storia, senza pero aver riguardo a “quel calunnioso libello, che gli
viene attribuito sotto titolo di Aneddoti o Storia Secreta. E cosa per me
evidente, che questo ammasso informe d’ingiurie e palpabili falsita,
non e suo, ma di qualche declamatore malvagio e sciocco”2.
La storia del Belisario di Marmontel si svolge in uno degli ultimi
anni dell’impero di Giustiniano, quando l’imperatore e restato solo a
governare, dopo che Teodora e morta; Belisario vaga accompagnato
dalla figlia Eudocia e finisce ospite nella capanna di un contadino,
che e in realta Gelimero, il vecchio re dei Vandali da lui sconfitto e
TEODORA
3T. Gautier, Italie (Paris, 1852), p. 119. Valery, Voyages historiques et litteraires en Italie,
pendant les annees 1826, 1827 et 1828; ou l’indicateur italien, vol. 3 (Paris, 1832), p. 240.4
Revue archeologique 7/1 (1850), pp. 351-353. Per Seroux d’Agincourt vedi al Capitolo 4,
paragrafo a.
portato a Costantinopoli; nella capanna Belisario incontra anche un
gruppo di persone, tra le quali, in incognito, e il futuro imperatore
Tiberio; e poi la volta di Giustiniano, anche lui in incognito, a recarsi
da Belisario; l’imperatore capisce di aver accusato ingiustamente il
suo generale, lo abbraccia e lo riabilita di fronte ai suoi cortigiani
corrotti; Eudocia e promessa sposa a Tiberio. Le incisioni del Belisa-
rio della versione veneziana di Marmontel hanno costumi e monu-
mentali ambientazioni genericamente antichi, niente di esotico (fig.
1): Bisanzio e un prolungamento dell’antichita, non appartiene an-
cora all’Oriente. Parallelamente, ancora nel 1840, Delacroix nella
“Presa di Costantinopoli” (ora al Louvre) dipinge i bizantini sconfitti
dai Crociati di Baldovino vestiti di simili costumi latini davanti a
portici romani. Nel libretto per l’opera di Donizetti, Cammarano si
dichiara debitore non di Marmontel, ma di una tragedia di Holbein,
ridotta per le scene italiane dall’attore e drammaturgo fiorentino
Luigi Marchionni. Il racconto di Cammarano si svolge nel 580 e
comincia con il trionfo di Belisario a Costantinopoli con il re Alarico
suo prigioniero; seguono l’accusa di fellonia, la prigione, l’esilio del
generale cieco con la figlia, durante il quale Belisario riesce a sven-
tare un assalto inaspettato dei barbari di Alarico; nel frattempo
Giustiniano ha avuto da Antonina la prova della innocenza del suo
generale, che i veterani gli portano sui loro scudi morente, colpito da
una freccia; l’opera si chiude con la morte di Belisario.
Fino agli anni ottanta dell’Ottocento, Teodora e conosciuta a
pochi eruditi, per i quali lei e le altre cortigiane del tardo impero
sono emule di Salome; “lussuriose, lascive, crudeli” le definı Theo-
phile Gautier in Italia (1852), descrivendo il mosaico con la danza di
Salome nella basilica di San Marco a Venezia. Per Valery (pseudo-
nimo di Antoine-Claude Pasquin), che visito l’Italia tra il 1826 e il
1828, nel mosaico di San Vitale a Ravenna “les traits de Theodora,
de cette comedienne, passee d’un trone de theatre sur le trone du
monde, ont encore un certain air lascif qui rappelle ses longues
prostitutions”3. Qualche immagine di Teodora dal pannello musivo
di San Vitale e presentata nelle incisioni nei primi studi ottocenteschi
sull’arte medievale, come nell’opera monumentale di Seroux d’Agin-
court o sul fascicolo della Revue archeologique del 1850 (fig. 2)4. Dopo
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
5F. A. Isambert, ANEKDOTA ou Histoire secrete de Justinien traduite de Procope. Geogra-
phie du VIe siecle et revision de la numismatique d’apres la livre de Justinien (Paris, 1856). Un
caso di discussione di Teodora come personaggio storico e non come prostituta che fa
carriera e, ad esempio, in A. Marrast, La vie byzantine au VIe siecle (Paris, 1881), pp.
44-85. Il commento di Gibbon su Teodora e al Capitolo 40 della sua Storia: E. Gibbon,
Storia della decadenza e rovina dell’impero romano (Lugano, 1841), pp. 370-379, spec. p. 374
nota 2.6
Caesar Baronius, Annales ecclesiastici, a cura di A. Theiner, vol. 9, 500-545 (Ludovicus
Guerin et Socii, 1867), citazione nel testo da p. 477 (= anno Christi 535, par. 63).
la nuova edizione della Storia segreta pubblicata in traduzione fran-
cese nel 1856 da Francois Andre Isambert ed illustrata da alcune
incisioni dai mosaici di Ravenna (fig. 3), il giudizio degli storici fu di
aspra condanna, se cattolici – Teodora aveva deposto un papa ed
aveva sostenuto il monofisismo – oppure, se antipapali, di difesa del
suo operato e di rigetto delle pagine della Storia segreta come cumulo
di calunnie falsamente attribuite a Procopio: a Teodora fu attribuito
il merito della salvezza di Giustiniano quando con il suo intervento
risolutivo fece desistere il sovrano dalla fuga durante la rivolta del
“Nika” del 5325. Come antesignano della condanna di Teodora sono
citati gli Annales ecclesiastici del cardinale Cesare Baronio, che era
ricorso, per descrivere la donna, a paragoni con le figure di donne
bibliche piu negative (Teodora come Eva, Dalila, Erodiade), al
dizionario infernale, alle personificazioni della mitologia pagana
(Teodora, nuova Erinni, alla pari di Aletto, Megera, o Tisifone,
femmina diabolica che si nutre del sangue dei martiri):
“Tanta haec mala ordita est pessima femina quae altera Eva serpentiobaudiens facta est viro malorum omnium causa; novaque DalilaSamsoni, ejus vires dolosa arte enervare laborans, Herodias alterasanctissimorum virorum sitiens sanguinem; petulansque summi sacer-doti ancilla, Petri negationem sollicitans: sed parum sit ipsam hujusce-modi sugillasse nominibus, quae reliquas impietate feminas antecelluit:accipiat potius nomen ab Inferis, quod Furiis fabulae indiderunt,femina furens, Alecto potius, vel Megera, aut Tisiphone, nuncupando,civis inferni, alumna daemonum, Satanico agitato spiritu, oestro per-cita diabolico, initiaeque summo labore inimica concordiae, pacisqueredemptae sanguinem martyrum et sudoris confessorum partae fuga-trix: quanta enim haec Ecclesiae Catholicae mola invexerit, quaedicenda erunt ostendent.”
6.
La lettura della Storia segreta di Procopio forniva svariati elementi
diffamatori sulla imperatrice. In sintonia, Hyppolite Taine parlava
del lusso mostruoso della imperatrice ritratta nel mosaico di San
TEODORA
7H. Taine, Voyage en Italie, 2 voll. (Paris, 1866; 2a ediz. 1874), citazione da p. 222. La
descrizione di Teodora data da Procopio e in Storia segreta 10:11; la traduzione italiana e di
F. M. Pontani (Procopio di Cesarea, Storia segreta, a cura di F. M. P. [Roma, 1972], p. 71).8
Theodora. Dram en cinq actes fu pubblicato per la prima volta come fascicolo monogra-
fico in L’illustration theatrale 66 (7 settembre 1907), con una introduzione dalla quale sono
prese le citazioni di giudizi sul dramma in francese nel testo (p. i); alcune incisioni di scene
del dramma e dei mosaici di Ravenna apparvero in L’illustration. Journal universel 43, n 85
(3 gennaio 1885) insieme alla recensione dello spettacolo di M. Savigny, p. 15. Fotografie
di Sarah Bernhardt come Teodora scattate da Paul Nadar sono riprodotte in Sarah
Bernhardt. Sculptures de l’ephemere, a cura di G. Banu (Paris, 1955).
Vitale: “la prostituta del circo”, figura pallida e distrutta, libertina
tisica dagli occhi enormi, dallo sguardo ardente, con l’energia feb-
brile della cortigiana sazia e magra; un giudizio che riprende, travi-
sandola partigianamente, la descrizione di Teodora data da Proco-
pio, pur acerrimo detrattore della imperatrice : “bella di viso e certo
graziosa, ma piccola e, se non proprio gracile, un po’ pallidina;
l’occhio mobile e aggrottato”:
“on voit l’imperatrice Theodora, l’ancienne sauteuse, la prostituee ducirque, apportant les offrandes avec ses femmes: figure pale et presquedetruite, comme d’une lorette poitrinaire; rien que des yeux enormes,des sourcils joints et une bouche (...). Il n’y a plus en elle que le regardardent, l’energie fievreuse de la courtisane rassasiee et maigre, mainte-nant enveloppee et surchargee du luxe monstrueux de l’imperatrice.”
7.
b. La Theodora di Sardou
Il successo di Theodora, dramma in cinque atti e sette quadri di
Victorien Sardou, la cui prima fu data a Parigi al Teatro Porte-Saint-
Martin il 26 dicembre 1884 con la regia di Duquesnel e musiche di
scena di Massenet, rese definitivamente popolare l’imperatrice (figg.
4-7) . Come altre eroine di Sardou, Teodora fu interpretata da Sarah
Bernhardt (figg. 8-9). Il testo della Theodora, ambientata nel 532
durante la rivolta del “Nika”, rimase, comunque, inedito fino al
19078. Sardou dichiaro di essersi rifatto alla Teodora della “leggen-
da”, ma anche ai Dialoghi delle cortigiane di Luciano. Anche se alcuni
episodi sono evidentemente ispirati a Procopio, le calunnie della
Storia segreta sono inattendibili per Sardou. Tre soli fatti della biogra-
fia della donna sono inoppugnabili: il matrimonio con Giustiniano e
la parte che Teodora prende nel governo dell’impero, il suo atteggia-
mento energico che salva Giustiniano nel 532, la sua morte per
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
cancro nel 548. Il dramma di Sardou e il romanzo di un amore
impossibile che scoppia improvviso nel cuore della gelida impera-
trice: nei primi quadri nelle stanze imperiali con le cupole di Santa
Sofia che appaiono attraverso le finestre, l’eunuco Euphratas rievoca
per accenni con il parigino Caribert la giovinezza di Teodora gioco-
liera nel circo; Teodora umilia poi Belisario, costringendolo a ricon-
ciliarsi con l’infedele Antonina; annoiata dagli incontri di corte,
Teodora si reca in seguito all’Ippodromo a trovare Tamyris, un’an-
ziana donna egiziana da lei conosciuta quando dava spettacolo ad
Alessandria, capace di preparare filtri amorosi che l’imperatrice le
commissiona per riconquistare Giustiniano (ma Tamyris dara a Teo-
dora un filtro avvelenato per vendicare la morte del figlio). Nel
quadro successivo avviene l’incontro tra Teodora e un certo Andrea,
un giovane nel quale vive ancora lo spirito di Roma e dell’antica
Grecia, venuto da Atene a Costantinopoli a cospirare con l’amico
Marcello per uccidere la coppia dei tiranni, Giustiniano e, appunto,
Teodora. Ignaro della vera identita della donna, Andrea se ne inna-
mora. Nelle stanze di Giustiniano ricoperte di mosaici e d’oro, la
congiura viene pero scoperta e Marcello e arrestato, mentre Andrea
riesce a sfuggire proprio grazie all’aiuto di Teodora; quest’ultima, per
evitare che Marcello tradisca sotto tortura il suo amato Andrea, lo
uccide con la spilla d’oro che tiene tra i capelli. All’Ippodromo,
Andrea si pone a capo del popolo in rivolta che va ad assediare il
palazzo imperiale. Infine, dopo vari avvenimenti, Andrea, ferito, e
trasportato per ordine di Teodora nel Palazzo; qui la incontra e,
pieno di collera contro di lei, si impadronisce del filtro preparato da
Tamyris e lo beve, morendo avvelenato. Il dramma si chiude con
Costantinopoli in fiamme e l’arrivo di Giustiniano che, vedendo
Teodora con il cadavere dell’amato stretto a se, ordina al carnefice di
strangolarla con un laccio di seta rossa.
Charles Diehl, uno dei padri della bizantinistica, descrisse alcune
scenografie e costumi della messinscena del dramma di Sardou:
“Je sais peu d’evocations plus vivantes de la cour et du Palais Sacre deByzance que ce tableau sur lequel s’ouvre Theodora, ou, sous les voutesde la Chalce tapissees de mosaıques etincelantes, se groupe autour del’imperatrice le pompeux cortege des dignitaires vetus de soie et d’or,des gardes empanaches, des femmes joliment parees de brocarts auxbroderies multicolores. Et pareillement le tableau de la loge imperialea l’Hippodrome est une merveille de reconstitution historique ou toutest a louer, les details et l’ensemble, la splendeur des costumes etl’arrangement des corteges, et la verite des gestes rituels que prescit le
TEODORA
9C. Diehl, “Byzance dans la Litterature”, La vie des peuples, aprile 1922, ristampato in
Choses et Gens de Byzance (Paris, 1926), pp. 231-248, citazione da pp. 236-238.10
Vedi Capitolo 4, premessa.11
C. Diehl, Figures byzantines (Paris, 1906), pp. 305-306.
ceremonial. (...) Mais les costumes etaient en general d’une rigoreuseexactitude, et l’archeologue le plus difficile put admirer sans arriere-pensee la splendeur des parures de Theodora, la magnificence desbijoux et des orfevreries, dont quelques-uns avaient ete dessines parLalique.”
9.
Nel dramma di Sardou Giustiniano e personaggio senza spessore.
Teodora, invece, grazie a Sardou diventa nell’immaginario comune
donna crudele redenta dall’amore. La Theodora fu “bien une des
pieces le plus souvent jouees et avec les plus d’eclat, dans le monde
entier”; il suo successo a Parigi, scrive Diehl, fu “prodigioso” e rivelo
al pubblico un mondo bizantino inimmaginato che era stato presen-
tato con falsita e totale “ignoranza dei suoi costumi” (un riferimento
forse ai giudizi di Montesquieu e Voltaire)10
e che era, invece, uno
dei periodi piu interessanti e drammatici della storia:
“Le succes fut prodigieux. Cette evocation de Byzance etait unerevelation pour les spectateurs, a qui on ne l’avait jamais presente quesous le jour les plus faux, avec une ignorance parfaite des ses mœurs,les auteurs dramatiques ayant toujours neglige l’etude de ce que l’on adedaigneusement appele «le Bas-Empire», et qui est en realite une desperiodes les plus curieuses et les plus dramatiques de l’histoire.”.
I costumi di Teodora erano stati ideati da Thomas “d’apres les
meilleurs documents”, mentre i gioielli erano di Rene Lalique. Nelle
incisioni dalla messa in scena e nelle foto d’epoca, la Bernhardt porta
sulla testa piu tipi di corone imperiali, una delle quali e una corona a
casco sormotata da una mezzaluna e da una raggiera; la parte
inferiore del volto e coperta da un velo trasparente, un dettaglio
probabilmente inaspettato, ma che l’elogio funebre scritto dall’eru-
dito bizantino Michele Psello per la madre Teodoto e da poco
pubblicato da Rambaud diceva indossato comunemente dalle don-
ne11
. Le scenografie mescolano dettagli romani, bizantini e moreschi,
quasi sempre con sovrabbondanza di decorazioni: le pareti sono
coperte da decorazioni vegetali, le porte contengono medaglioni
istoriati, file di statue sormontano gli architravi, le colonne sono
decorate con figure di santi e sostengono capitelli corinzi, il letto di
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
12V. Sardou, “Theodora. Dram en cinq actes”, L’illustration theatrale 66 (7 settembre
1907).13
C. Diehl, Justinien et la civilisation byzantin au VIe siecle (Paris, 1901), pp. vii, 37.14
Diehl, Figures byzantines.
Teodora e abbellito da grandi sculture dorate di pavoni agli spigoli e
una testata a penne di pavone. Questo eclettismo orientale di sceno-
grafie e costumi e la presenza come protagonista di una donna dai
capelli rossi come la Bernhardt, fatale, perversa e crudele, divengono
tratti identificativi di Bisanzio nell’immaginario comune. Il successo
della Theodora di Sardou (“le Napoleon de l’art dramatique”) eccito
gli eruditi che si accanirono a criticare l’esattezza storica di orna-
menti, mobili e accessori. In una lunga intervista a Sardou che
apparve su L’illustration theatrale del 1907, seguita da una discussione
tra Sardou e Darcel, direttore della manifattura dei Gobelins, Darcel
puntigliosamente rimarco le assurdita della forchetta che usa Teo-
dora nella scena della visita a Tamyris, dei vetri alla finestra della
stanza di Giustiniano, della cupola nella prima scena, della forma
della loggia imperiale del Cathisma e delle costruzioni simili a mina-
reti che davano un aspetto turco a Santa Sofia12
.
Teodora fu solamente uno dei protagonisti della storia bizantina
che offrirono una collezione di figure per la letteratura ottocentesca,
le quali, se donne, furono perverse, fatali, appassionate, perfide o
sanguinarie, ma anche abili e intelligenti. Diehl definı Teodora figura
enigmatica ed energica, di rara intelligenza, vero uomo di stato,
personalita originale, potente e dispotica, di complessita spesso scon-
certante e di profondo interesse psicologico13
. Dei dodici capitoli
delle sue Figures byzantines Diehl ne dedica otto a personaggi femmi-
nili: “La vie d’une imperatrice a Byzance”, “Athenaıs” (cioe Eudo-
cia, la moglie di Teodosio II), “Theodore” (la moglie di Giustinia-
no), “L’imperatrice Irene” (la vedova di Leone IV), “Theoctista, une
burgeoise de Byzance au VIIIe siecle”, “La bienhereuse Theodora”
(la moglie di Teofilo), “Theophano” (la moglie di Romano II), “Zoe
la porphyrogenete” (la figlia di Costantino VIII), “Anne Dalassene”
(la figlia di Isacco Comneno); e ugualmente il capitolo “Une famille
de bourgeoisie a Byzance au XIe siecle” ha tra i suoi protagonisti la
madre di Psello14
. La Bisanzio popolare nacque come mondo femmi-
nile. Lo stesso Diehl sottolineo piu volte come l’esplosione della
fortuna di Bisanzio sia legata al suo successo in teatro, all’opera e nei
romanzi storici. Di Bisanzio interessarono ai romanzieri intrighi, lotte
politiche e religiose, fazioni del circo, corruzione, lusso, sensualita,
TEODORA
15Diehl, “Byzance dans la Litterature”, rist., pp. 233-248.
raffinatezza, cerimoniale, costumi, titoli evocativi dei dignitari (silen-
ziari, cubicolari, ostiari, prepositi, sincelli, ecc.). In un elenco som-
mario, nel 1922, Diehl ricordo tra i romanzi su Bisanzio il Belisaire
(1767) di Marmontel, dalla cui trama lui disse derivare il Belisario
(1836) di Donizetti; il Count Robert of Paris (1832) di Walter Scott,
ispirato all’Alessiade di Anna Comnena; i drammi dati al teatro
d’Atene, tra i quali Herakleios (1885) e Theodora (1884) di Cleone
Rankabes (figg. 10-11); il dramma Bizanc (1904) di Ferenc Herczeg;
Byzance (1891) di Jean Lombard; Amants byzantins (1897) di Hu-
gues Le Roux; Princesses byzantines (1893), Basile et Sophia (1900),
Irene et les Eunuques (1906) di Paul Adam (figg. 12-13)15
.
c. Condanna e apologia di Teodora
L’anno successivo alla messa in scena di Sardou, 1885, sono pubbli-
cati vari scritti su Teodora, non indagini storiche, ma enunciazioni
polemiche di principio sulla sua figura. Da parte cattolica si attinge
senza novita al solito repertorio di accuse appreso da Procopio:
Teodora e corrotta e corruttrice, ambiziosa e prepotente, augusta
immoralissima che calpesta freddamente i deboli e gli onesti, genio
audace di intrighi dalla sete indicibile di oro. Alla condanna dell’im-
peratrice si affianco la condanna generale di Bisanzio (eretica, sci-
smatica, ortodossa), alla quale venne opposta Roma (cattolica), una
contrapposizione che divento un motivo ricorrente nei giudizi poste-
riori su Bisanzio anche in Italia. Cosı, in un articolo ferocemente
antiteodoriano su Nuova Antologia del 1885, Dionigi Largajolli de-
scrisse Bisanzio, “incadaverita moralmente”:
“Un cristianesimo, fonte di moralita e di idealita nella vita (...) non ecertamente nella Bisanzio del VI secolo, ne in seno al paese greco-orientale che bisogna cercarlo: in fondo la grande citta, sotto quellasua impudente vernice di ascetismo, era sempre pagana, tutta vitareligiosa esteriore; cioe con tutti i vizi dell’antichita, senza le sue virtu.Attraversando quella indicibile corruzione bizantina, il cristianesimonon che potere rinnovare quella societa incadaverita moralmente, siera sinistramente trasformato in palestra di cavilli indigesti e di prati-che pesanti; come, attraversando la Grecia, si era, direi quasi, umaniz-zato, ed era divenuto operoso e pratico fra i latini. Non dimentichiamo
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
16D. Largajolli, “Teodora. Un’augusta bizantina del VI secolo”, Nuova Antologia, ser. 2,
50 (1885), pp. 210-244; i brani sono da pp. 225 e 226.17
A. Debidour, L’imperatrice Theodora (Paris, 1885), citazioni da pp. 5 e 10.18
Sardou cita proprio Debidour e Diehl in difesa della esattezza storica della sua Teodora
(L’illustration theatrale, cit. p. iii).
che il numero minore di martiri e stato dato appunto dal paesegreco-orientale.”.
Vengono poi le lodi del papa che opera in opposizione al Cristia-
nesimo di facciata dei Bizantini:
“Il vescovo di Roma, con le sue tendenze latine e pratiche alla unita,agendo dall’antichissima e veneranda citta come da un centro operosoed attraente, sentiva chiaramente la missione papale che era quella diorganizzare e disciplinare saldamente in un solo l’Impero spirituale,l’Occidente barbarico e l’Oriente riluttante; (...).”
16.
Da parte francese, il giudizio sulla figura di Teodora e completa-
mente differente. Nello stesso 1885, ad esempio, escono piu testi
polemici in difesa dell’imperatrice, ne avventuriera, ne eroina del
circo: se ritornasse in vita, scrisse Antonin Debidour, non avrebbe da
ringraziare certamente Sardou per come la fa apparire nel suo
dramma:
“Depuis quelques mois on a beaucoup parle en France et surtout aParis de l’imperatrice Theodora. De son vivant le theatre, dit-on, luiavait valu un trone. Le theatre aujourd’hui lui vaut une notorieteposthume qu’elle eut peut-etre souhaitee si elle n’eut ete qu’uneaventuriere et une heroıne de cirque. Comme elle fut probablementtout autre chose, il y a gros a parier que, si elle revenait en ce monde,elle n’irait pas remercier M. Sardou du role qu’il lui fait jouer dans saderniere piece.”
17.
L’ultima frase parafrasa un giudizio analogo di Diehl, riportato
dallo stesso Sardou nell’intervista pubblicata su L’illustration theatrale
del 1907:
“Si Theodora, dit-il [Diehl], revenait au monde, elle ne serait pasflattee du role que lui fait jouer Sardou et de la gloire posthume qu’illui a value. Il nous monstre une imperatrice gardant sur le trone desfacon d’aventuriere, courant les rues de Byzance la nuit, menant avecle bel Andreas une intrigue amoreuse! Une femme si soucieuse del’etiquette n’eut pas ete, comme la Theodora de Sardou, s’encanaillera l’Hippodrome et se lacher au style familier qui lui prete le drame.”
18.
TEODORA
19H. Houssaye, “L’imperatrice Theodora”, Revue des deux mondes 67 (1885), pp.
568-597, citazioni da pp. 568 e 573.
E Henry Houssaye nello stesso anno 1885:
“A entendre Montesquie et tous les historiens occidentaux s’indignercontre le despotisme, la degradation, «le tissu de crimes et de perfidies»de l’empire d’Orient, on croirait que les peuples de l’Occident avaientalors recouvre les vertus de l’age d’Or, sous le regne de la justice et dela liberte. Or, quel tableau presente l’Occident pendant ce VIe siecleou vecut Justinien? C’est la barbarie dans sa plus affreuse expression,la barbarie qui a perdu ses mœurs simples et ses quelques vertus aucontact des races qu’elle a vaincues. Ce sont tous les exces de l’etatsauvage combines avec tous les vices d’une civilisation finissante. C’estpartout le desordre, l’arbitraire, la violence, la dissolution morale, lamisere publique.(...) ce gouvernement si corrupteur, ce peuple si corrompu, cetteadministration si mauvaise, cette armee si miserable, ont fait durerl’empire pendant, plus des neuf cents ans, qu’ils ont resiste a vingtpeuples, retarde de longs siecles l’invasion des Turcs, donne le chri-stianisme aux Slaves, la civilisation aux Arabes et a l’Occident le tresordes lettres grecques.”.
Teodora, giudicata quasi sempre con sfavore nella storiografia,
non era stata ancora difesa da nessuno e pochissimi avevano accolto
alcune giustificazioni in sua difesa, prendendo per buono quanto
narrato nella Storia segreta. Quasi eroina di un romanzo veristico
ottocentesco, Teodora e stata una povera filatrice di lana da giovane;
divenuta imperatrice, costruisce chiese ed edifici pubblici per i biso-
gnosi19
.
Come le accuse a Teodora da parte italiana divennero in Italia
condanna di tutta Bisanzio ed apologia di Roma, la polemica in
difesa di Teodora, donna, imperatrice e cristiana, divenne in Francia
apologia di Bisanzio e condanna di Roma: se per Teodora bisogna
ricorrere a una storia segreta, ad accusare delle loro nefandezze i
vescovi italiani e la storia pubblica di Gregorio di Tours. Mentre
l’Occidente medievale e in situazione di anarchia, in preda ai barbari
ed in uno stato selvaggio combinato con i vizi di una civilta alla sua
fine, in Oriente c’e una organizzazione statale, con citta, scuole e
tribunali che si rifanno al codice di leggi giustinianeo; i Bizantini
sono stati i bibliotecari del genere umano e Bisanzio fu per gli Slavi
quello che Roma fu per il mondo occidentale. Questa difesa di
Bisanzio e un luogo comune negli studi francesi dell’Ottocento.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
Curiosamente, se Teodora diventa il centro del dibattito sul valore
storico della civilta bizantina, Giustiniano resta al confronto nell’om-
bra.
d. Teodora in Italia: da Sardou alla Bizantina
La Theodora di Sardou non fu salutata trionfalmente in Italia, almeno
dalla critica. Una recensione alla prima italiana al Teatro Manzoni di
Milano, apparsa nel maggio 1885 sull’Illustrazione italiana, ne parla
come di una mediocre interpretazione della Compagnia Nazionale,
“un drammone ad effetto, da circo”, “un misero lavoro” a confronto
di altri di Sardou, che fa sbadigliare e puo ottenere successo solo in
tempi in cui nell’arte “si cerca la pompa, lo sfarzo, lo spolvero di
similoro per acciecare i gonzi”. Il recensore non obietto alla inesat-
tezza storica delle scenografie e dei costumi; piuttosto, invece di far
morire Teodora “lagrimata da Giustiniano”, Sardou fa di lei “una
sgualdrina, che scappa dal palazzo, di notte, per isfogare un capriccio
erotico”. Trasformato Giustiniano in “una specie di Claudio, un
imbecille”, Teodora e
“una di quelle ragazze che, nate in infimo stato, cresciute mangiandopomi crudi, colle pianelle nel fango, scarmigliate, sono invano portate,un giorno, dalla loro bellezza, dal vizio e dalla fortuna in sale dorate dapremurosi protettori, – invano, che ne scappano appena lo possono,sia pure ad intervalli, per ritornare alle loro casupole, alle loro vecchieconoscenze, alle loro minestre divorate sulle ginocchia, fra le risate. LaTeodora della storia e bensı nata da un custode di orsi, e bensıcommediante, etera e si da a molti, ma ama uno solo, il suo cuore ecapace di elevazione.”.
A differenza della “fraschetta pettegola” di Sardou, la vera Teo-
dora, giunta al trono, aveva mostrato le sue capacita, diventando la
sovrana di fatto dell’impero:
“Ella vede tutto, sa tutto, fa tutto. La sua mente e acuta, capace d’ogniastuzia di governo: il suo cuore e saldo, virile, chiuso alla pieta. Non epiu Giustiniano che regna, e lei con Giustiniano; o, meglio, lei sola. –La Teodora del Sardou, non e che una fraschetta pettegola.”.
In conclusione, nulla di bizantino e nella Teodora di Sardou; la
vera Teodora e quella italiana di San Vitale, conosciuta solo dagli
eruditi:
TEODORA
20R. Barbiera, “Teodora”, L’illustrazione italiana 12, n 20 (17 maggio 1885), pp.
307-310.21
Sui ‘Bizantini’ e la Cronaca bizantina, vedi: S. Slataper, “Quando Roma era Bisanzio”,
in S. S., Scritti letterari e critici raccolti da G. Stuparich (Roma, 1920), pp. 161-167; F.
Flora, “La «Cronaca Bizantina»“, Pegaso 2 (1930) , pp. 681-698; M. Praz, La carne, la morte
e il diavolo nella letteratura romantica (Milano-Roma, 1930; seconda edizione accresciuta
Torino, 1942), pp. 289-403, in particolare sulla Teodora di Fiorentino p. 378; A. Somma-
ruga, Cronaca Bizantina (1881-1885). Note e ricordi (Milano-Verona, 1941); G. Squarcia-
pino, Roma bizantina. Societa e letteratura ai tempi di Angelo Sommaruga (Torino, 1950); E.
Scarano, Dalla ‘Cronaca Bizantina’ al ‘Convito’ (Firenze, 1970); Cronaca Bizantina, a cura
di V. Chiarenza (Treviso, 1975); Roma bizantina, a cura di E. Ghidetti (Milano, 1979).
“La pagina autentica di Bisanzio, di Giustiniano, di Teodora, l’ab-biamo noi, italiani, nell’antica cappella di San Vitale (...). Quella solavale tutte le Teodore della scena, francese e inglese; e noi siamo ingrado di presentarvela riprodotta da un nostro artista.(...) Quante nuvole d’incensi salirono a quella immagine di artista dacirco incoronata!... Ora non attira che quelli degli eruditi d’occasione.E, domani, dimenticata la Teodora del Sardou, sara dimenticata anchelei.”
20.
Negli stessi anni in cui si svolse la polemica su Teodora apparve
la rivista Cronaca bizantina. Periodico letterario – sociale – artistico di
Angelo Sommaruga (figg. 14-15). La Cronaca bizantina, o la Bizan-
tina tout cour, constava di una dozzina di pagine ed ebbe alta
tiratura, ma vita difficile (Sommaruga finı sotto processo per le
battute allusive sui governanti). Uscı in due serie: la prima quindici-
nale dal 15 giugno 1881 al primo febbraio 1885 sotto la direzione di
Sommaruga; la seconda rinacque settimanale nel novembre 1885,
sotto la direzione di Gabriele D’Annunzio, ma chiuse, definitiva-
mente, col numero del 28 marzo 1886. Il carattere della rivista era a
meta strada tra il giornale letterario – vi pubblicarono i maggiori
scrittori italiani del tardo Ottocento – e il giornale scandalistico di
cronaca mondana: intrighi, ricevimenti, moda, amori della buona
societa del tempo. Una gran quantita di pubblicita di profumi,
abbigliamento, vini, e libri seri, esotici ed eccitanti della casa editrice
Sommaruga accompagnava gli articoli. La Bizantina, sulla prima
pagina, portava nella prima serie di Sommaruga i due versi finali
dell’ode postuma di Giosue Carducci, del 1871, dedicata al patriota
Vincenzo Caldesi, che fa parte dei Giambi ed epodi:
“Impronta Italia dimandava Roma:Bisanzio essi le han dato.”
21.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
22La conoscenza approssimativa di Bisanzio della Cronaca bizantina e il livello degli studi
bizantini di quegli anni sono commentati in G. Pasquali, “Medioevo bizantino”, Civilta
moderna 13 (1941), pp. 289 sgg., che trascrisse e commento il pezzo della Bizantina
riportato nel testo. Vedi inoltre R. Drake, Byzantium for Rome: The Politics of Nostalgia in
Umbertian Italy, 1878-1900 (Chapel Hill, 1980).
L’opposizione tra Bisanzio, simbolo di decadenza, e Roma, sim-
bolo di auspicata rinascita, diventa luogo comune; il titolo Cronaca
bizantina alludeva appunto alle trame della corte di Costantinopoli,
paragonabili a quelli di Roma neocapitale d’Italia. Di fatto, la rivista
non pubblico mai niente a favore o contro la vera Bisanzio, sulla
quale probabilmente si avevano ben poche notizie esatte. La cita-
zione degli imperatori Basilio e Michele nella spiegazione del titolo
fornita nel primo numero della rivista non chiariva a quali Basilio e
Michele ci si riferisse:
“Il nostro titolo. Non ha nulla a che fare con l’argomento. E risaputache Bisanzio da piu di quindici secoli si chiama Costantinopoli; che aCostantinopoli, ora come ora, c’e il padiscia, mentre – per nostraimmeritata fortuna – qui a Roma c’e sempre il papa, vicario volonta-riamente invisibile di quel dio che tutti vede; che i successori diNiceforo non hanno niente, ma quel che si dice niente di comune co’discendenti di Bertoldo – e tanto meno di Bertoldino; e che, infine, glieunuchi di Basilio e di Michel Paflagonico non possono, secondo ogniprobabilita, aver fatto razza (...).”
22.
La Cronaca bizantina era impaginata a somiglianza di un codice
medievale, ma le decorazioni sono spesso grottesche rinascimentali e
altre volte cineserie. La grafica delle pagine e un misto di elementi
medievali ed esotici. Accanto al titolo, nei fascicoli dei primi due
anni (1881-1882), appaiono due incisioni a inchiostro rosso, en-
trambe ispirate genericamente all’arte medievale, che raffigurano
Daniele in abito militare romano nella fossa tra due leoni araldici,
sopra l’iscrizione DANIHEL, e un contadino in abiti medievali che
zappa la terra tra le sue pecore. Col primo numero del 1883 spari-
scono le scene medievali dalla testata e le lettere del titolo e dei versi
di Carducci imitano i caratteri cinesi; dal giugno 1883, terza annata,
il titolo ha per sfondo una processione con giovani cantori e mona-
che che portano una icona della crocifissione, mentre sulla destra,
dopo una colonna tortile, e deposto un cadavere (l’incisione e fir-
mata da Giulio Aristide Sartorio); dal gennaio 1884 (sempre a firma
di Sartorio) la processione e sostituita da una scena erotica con una
TEODORA
23I. Fiorentino, Teodora (Roma, 1886); i brani riportati piu sotto nel testo sono dalle pp.
22, 23-24, 45, 69; il trafiletto e a p. 8 del numero della Cronaca bizantina del 29 novembre
1885.
giovane schiava procace, a seni nudi, baciata sulla spalla da un
efebico adolescente nero in un chiostro con colonne tortili; infine,
con la nuova serie sotto la direzione di D’Annunzio, la rivista riduce
il formato e tutta la prima pagina e occupata da un grande scudo su
cui sono tre figure femminili, intrecci agli angoli e due clipei circolari
con una testa femminile e un giovane arciere; intorno allo scudo
l’iscrizione “tristis gratia non ridet”.
e. Teodora, odalisca, a dispense
Nel numero del 22 novembre 1885, nel periodo della direzione di
D’Annunzio, la Cronaca bizantina annuncio l’uscita imminente di
Teodora. Romanzo storico bizantino di Italo Fiorentino, illustrato con
quaranta incisioni di Giuseppe Pigna (poi apparso col titolo Teodora.
Scene bisantine); il romanzo sara posto in vendita a puntate, a due
dispense la settimana, presso i rivenditori di libri e giornali. Un
trafiletto diceva:
“Teodora. – Una donna che, uscita dall’infimo strato della plebe,pervenne a sedere imperatrice sul maggior trono del mondo, chepresenta in se stessa uno strano miscuglio di abbiezione e di grandezza,di crudelta, di magnificenza, di magnanimita, e un soggetto non menodegno di studio, che di ammirazione.La societa bisantina di tredici secoli or sono, con le sue disputeteologiche, le sue volutta feroci, e con una strana turba di eunuchi, evescovi, e capitani, e cocchieri, frammisti e avviluppati intorno al tronoimperiale, forma una corona degnissima a quella bizzarra figura.Della Teodora si pubblicheranno due dispense alla settimana a cent.10 cadauna. – L’opera sara di 40 dispense. – (...)”
23.
Il romanzo di Fiorentino e un feuilleton che ripropone, sulla scia
del rumore provocato dal dramma di Sardou, le vicende di Teodora
narrate da Procopio nella Storia segreta ampliandole di dettagli san-
guinari, crudeli, melodrammatici e soprattutto erotici (che mancano
nella Theodora) in ripetitive puntate: quasi ogni dispensa prende la
scusa dalle pagine di Procopio per descrivere amori di Teodora o
Antonina e le esibizioni di Teodora e della sorella maggiore Comi-
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
tone (cioe Comito) nel circo (figg. 16-20). Dopo la disgrazia della
morte del padre, addetto alla alimentazione degli orsi, il nuovo
matrimonio della depravata madre e altre vicissitudini della giovi-
netta Teodora, al Capitolo IV (“In teatro”) avviene l’entrata in
societa della sorella maggiore e poi quella della protagonista:
“L’esordio di Comitone ebbe un felice successo. (...) Questo trionfoartistico della giovinetta non ando lungamente scompaginato dallarovina della sua virtu. In quel tempo le donne di teatro cumulavanoall’arte loro quella della cortigiana, esercitata piu o meno nobilmente.Non v’era eccezione possibile.”.
Dopo l’inizio come ancella di Comitone, male abbigliata, Teo-
dora
“prese cura del suo abbigliamento, e con precoce malizia lo dispose inmodo che rimanessero esposte senza velo agli sguardi della moltitudinealcune porzioni del suo corpo atte ad accendere l’immaginazione.”.
Crebbero i trionfi di Teodora, coronati da un successo completo
e inaspettato. Inevitabilmente, la ragazza si fa cortigiana:
“Teodora, mima danzante il giorno, cortigiana alla notte, passava conindifferenza dalle braccia d’uno a quelle d’altro amatore, senza prefe-renza e senza ripugnanza, con una suprema indifferenza. Cio che laschiero di slancio fra le cortigiane di primo ordine fu appunto quellaimpassibilita sua ad ogni prova, quell’obblio d’ogni pudore, che lafaceva somigliare a una sfinge, splendida di bellezze, gelida come ilmarmo.”.
Sirena incantatrice, Teodora
“non faceva altra distinzione fra gli amanti se non che dal piu al menoricco, e che non rifuggiva dalle ultime laidezze, innanzi alle quali siarretravano le piu imperterrite sue compagne.”.
Riesce, comunque, a sfondare e a diventare l’amante di Ipparco,
nipote dell’imperatore Anastasio, che pero Teodora rifiuta di seguire
nella catastrofe e nella fuga:
“Orbene rimani. Vedo ora qual sei. Tu non mi hai amato mai, tu nonsei che una volgare meretrice.”.
Ed Ipparco si porta via il figlio loro, Giovanni, senza che Teo-
TEODORA
dora, gelida madre, glielo impedisca in alcuna maniera; il figlio
riapparira piu tardi, nobile giovane che ignora chi sia sua madre
(l’episodio e raccontato da Procopio al Capitolo 17 della Storia
segreta: che il padre sia questo Ipparco e pero una invenzione di
Fiorentino, dato che Procopio non dice il nome del padre di Gio-
vanni, il quale e poi fatto sparire da Teodora quando le si presenta a
corte divenuto ragazzo). L’incisione dal titolo “Cuor di pietra” (di-
spensa 7) ritrae Teodora che guarda impassibile verso il mare e la
didascalia commenta: “Teodora li vide dall’alto d’un balcone, ne si
curo di dare un ultimo bacio a quel bimbo che forse non rivedrebbe
mai piu” (anche questi sentimenti di Teodora sono invenzione di
Fiorentino).
Viene poi l’episodio della schiava Aglae (altra invenzione), fatta
bastonare per rabbia da Teodora perche, pettinandola, le avrebbe
tirato i capelli cosı da farle male:
“Ne preghiere, ne pianti giovarono. Teodora comando che Aglae fossetratta nel sottoposto cortile, e battuta sulle carni ignude con venti colpidi verga. Essa medesima si affaccio al balcone per accertarsi che il suocomando fosse eseguito. Vide correre il sangue dell’infelice, udı le suestrida disperate, ma non fu paga finche il ventesimo colpo non fucaduto. Le carni delicate di Aglae, erano lacerate, e quelle spalle, careai baci degli amanti, sarebbero d’allora in poi deformate dalle cicatri-ci.”.
Seguono altre crudelta verso i nemici, derisioni di nobili, ca-
pricci, intrighi ed anche il drammatico giuramento di Giustiniano sul
libro (le Scritture, presumibilmente) all’Ippodromo durante la rivolta
del “Nika”, l’intervento di Teodora contraria alla fuga, e via dicendo.
Le scenografie delle incisioni di Pigna sono un pastiche di archi-
tetture e costumi medievali o moderne, ispirati in parte alle immagini
della Theodora di Sardou: soldati in armature da crociati, letti a
baldacchino barocchi, mobili gotici, bagni stile impero, capitelli egizi,
finestre ottomane, archi moreschi; ma anche dignitari vestiti in ma-
niera genericamente bizantina, monogrammi giustinianei, tralci d’a-
canto e santi ascetici dipinti alle pareti (sono anche nel bagno di
Amalasunta, la figlia di Teodorico uccisa da sicari), patriarchi dalla
lunga barba materializzatisi da qualche mosaico bizantino per con-
vincere il perplesso Giustiniano della questione del filioque. In ap-
pendice, sono pubblicati “brani della storia segreta di Procopio nella
parte che riguarda Teodora”, usati come scusa per riproporre altre
incisioni erotiche di Teodora.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
24C. Rankabes, Θεïδωρα. Πïιηµα δραµατικïν ει µερη πεντε (Leipzig, 1884), pp. 3, 13, 53.
Di fatto, la maggior parte delle incisioni e delle leggende tratte
dal testo che le accompagnano insistono sulle nudita di Teodora e
compagne con presumibili finalita di vendita delle dispense (simili
incisioni con Teodora giovinetta seminuda, odalisca e piangente
accompagnano la Theodora di Rankabes, uscita nello stesso 1885)
(figg. 10-11)24
. Tutte queste figure femminili non hanno niente di
storicamente bizantino, non sono riprese da mosaici: sono odalische,
il cui modello sono i dipinti esotici di Ingres e Delacroix, in gran
voga, anche se di qualche decennio anteriori, o la pittura storica
italiana contemporanea, come quella di Hayez, Morelli od Ussi.
Nella incisione della prima dispensa Teodora e ritratta come una
odalisca a seno nudo pettinata da serve di colore (la ricca turca
pettinata dalla schiava nel bagno turco e una scena tipica del reperto-
rio orientale ottocentesco), con la corona imperiale ai suoi piedi e lo
stendardo con l’aquila di Roma accanto (dice la didascalia: “In
mezzo a quel lusso orientale per le sue forme scultorie, i suoi sguardi
procaci risplendevano in tutta la loro possanza”), danza con un
tamburello su un tappeto tra rose e specchi; con alti stivali e nuda
tranne che per la vita nella quarta dipensa (Teodora mima: “Fu
impiegata in una parte che oggi si chiamerebbe di pantomima buffa.
Poco vestita anzi presso che ignuda ...”); si scioglie tra le braccia
dell’amato a petto nudo nella quinta dispensa (Amori di Teodora:
“Amato mio diceva ella, guardandolo cogli occhi socchiusi – io son
divenuta brutta e non ti piacero piu – Tu mi sembri cento volte piu
bella”: anche qui il modello potrebbero essere stati i quadri di
Ingres); e cosı via fino al riassunto della vita nella dispensa trenta-
treesima, dove suona e danza a petto nudo davanti a un muscoloso
negro che ha delle ali di farfalla attaccate alla schiena (Rimembranze:
“... quando si mostrava quasi nuda sul teatro, facendo arrossire fino
le cortigiane ...”), e nella trentanovesima, dove e nuovamente tra le
braccia di un amante sotto una rudimentale tettoia (Primi amori:
“Ma ad ognuno che si presentasse e la trovasse bella di tutta la
persona faceva copia”). All’occasione, sono gratuitamente seminude
anche anche altre giovani donne, come le schiave di Teodora fatte
frustare per minime inadempienze o la barbara Amalasunta, che vede
arrivare nel bagno i suoi assassini seduta nella posa di una bagnante
orientale di Ingres.
2
BASILIOLA
“(...) le non diro vecchie, ma giudiziosamente maturesignore adorne di sardanapaleschi orecchini da 50.000lire l’uno (detti nel Salgari «nocciuole di brillanti») (...).Il «buonasera Anselmo» largito al passaggio pioveva giudal fastigio di una pellicciosa e margaritante regalita,come sguardo di eccelsa Teodora o di Caterina alloscriba genuflesso (...)”.Carlo Emilio Gadda, “Quando il Girolamo ha smesso...”, in L’Adalgisa. Disegni milanesi, 1944, p. 21.
Tra la fine dell’Ottocento ed il primo decennio del Novecento il
gusto bizantino si afferma in Italia. Sulle orme di Klimt e Mucha, la
ricchezza della decorazione bizantina ispira artisti: Galileo Chini, nei
dipinti per la esposizione di Venezia del 1908, incorona Bisanzio
come una delle grandi civilta artistiche umane, alla pari della Grecia,
Roma ed il Rinascimento. Ancora una volta e un drammaturgo,
D’Annunzio, a creare un personaggio simbolo di Bisanzio: Basiliola,
la bizantina protagonista de La nave, unisce agli attributi di Teodora
quelli anch’essi orientali di Salome. Dopo Teodora, personaggio
femminista per Diehl, Bisanzio corrotta e lussuriosa e nuovamente
impersonata da una donna. Questa volta, pero, invece di un vacil-
lante Giustiniano, le e contrapposto un coraggioso e virile Marco
Gratico, veneto di sangue romano, che prima e stregato dal fascino
della donna, poi se ne libera e la doma: nonostante ne sia stato
inizialmente corrotto, nell’epilogo della tragedia dannunziana l’Occi-
dente latino ha ragione dell’Oriente bizantino.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
1C. Ricci, Ravenna (Bergamo, 1902), citazioni da pp. 29 e 12.
a. Basiliola, Teodora italianizzata
Nella Teodora di Italo Fiorentino, la vita dell’imperatrice raccontata
da Procopio e presa come scusa per un romanzo erotico che ha per
protagonista una donna dissoluta. Anche gli storici dell’arte raven-
nate degli inizi del Novecento, di fronte alla sua immagine nel
mosaico di San Vitale, ripeterono sull’imperatrice il giudizio cattolico
tratto da Procopio; Corrado Ricci, nel 1902, la descrisse come
dissoluta e sanguinaria (fig. 21):
“E ben essa, in questo vecchio tempio, la celebre donna, che dalla vitaistrionica del circo fu portata sul trono d’Oriente; che, gettati i falsiornamenti di comica, cinse il prezioso diadema bizantino stellante digemme; che dalla commedia, che dilettava i popoli, passo alla tragediache li fece sanguinare; che dal peccaminoso giaciglio, aperto a chipagava, salı alla gloria delle absidi sacre. La figura, alta, magra, i suoiocchi larghi, rotondi le danno proprio quell’aspetto di nervosismoisterico e sfrontato che sembra risultare dalla storia e dal suo enormesuccesso in una societa raffinata e corrotta.”.
A Teodora Ricci contrappose la virtuosa Galla Placidia, “la
donna piu straordinaria di tutta un’epoca”, “il centro dei destini piu
tragici dell’impero romano agonizzante”; Galla, figlia di Teodosio, e
obbligata a sposare Ataulfo, del quale resta vedova, ed e respinta a
Ravenna, “dopo indegni trattamenti”, presso il fratello Onorio; qui
sposa Costanzo, che muore lasciandola con due figli, ed e esiliata a
Bisanzio, da dove ritorna per mettere sul trono d’Occidente il figlio
Valentiniano. Galla ha ornato Ravenna di grandi monumenti:
“il suo mausoleo appare come la tomba della potenza dei Cesari, nellasua potenza di raccoglimento di colibro, desta sensi di raccoglimentostorico piu che il mausoleo d’Augusto e quello d’Adriano. Ogni poe-tica tradizione. ogni fantasia contempla in lei sola la gloria d’unperiodo di tempo e di vicende straordinarie.”
1.
Tutti, cosı, tra il popolo ricordano Galla Placidia, con sensi
ancora vivi di ammirazione. Diversamente, Carlo Cecchelli, nel
1932, per l’Enciclopedia Italiana, traccio un ritratto negativo della
donna, imputandole leggerezza nel favorire gli intrighi di corte,
complicita nell’assassinio di Serena, moglie di Stilicone, relazioni
BASILIOLA
2C. Cecchelli, “Galla Placidia”, in E. I., vol. 16 (1932), pp. 286-287.
3C. Diehl, Justinien et la civilisation byzantin au VIe siecle (Paris, 1901); id., Theodora
imperatrice de Byzance (Paris [1904]), p. 113 (traduzione italiana, Teodora imperatrice di
Bisanzio [Firenze, 1939 – XVII], p. 82):
“Depuis que Sardou, dans son drame, nous a monstre Theodora amoureuse et coureuse
d’aventures, on admet volontiers que l’imperatrice, gardant sur le trone les libres de sa
jeunesse, ne se prive point, en courtisane qu’elle etait restee, de retourner a ses vieux
peches. Je ne voudrais point me donner le ridicule de me faire le champion trop resolu de la
vertu de Theodora apres son mariage.” L’accenno al ridicolo sembra una risposta alle
contestazioni di Sardou delle critiche di Diehl pubblicate sull’Illustration theatrale, cit., p. iv.
Non sono stato in grado di rintracciare copia della edizione di Theodora di Diehl con le
incisioni di Orazi.4
P. Adam, Irene et les eunuques, illustrazioni di M. Orazi (Paris, 1906).
colpevoli della figlia Giusta Grata Onoria con il maggiordomo di
palazzo Eugenio2.
A differenza dell’immagine italiana di Teodora, quella francese
resta complessivamente positiva, quantomeno non viziata dal suo
presunto apprendistato di cortigiana; le pagine di Procopio non
fanno lı testo. Nel 1901 Diehl pubblica Justinien et la civilisation
byzantin au VIe siecle, con numerose incisioni in bianco e nero di
accompagnamento; seguono nel 1904 Theodora imperatrice de By-
zance, in edizione di lusso con sessanta grandi composizioni a colori
e oro di Manuel Orazi, che e proposta anche in edizione piu sobria
ed e poi tradotta in italiano nel 1939, e, nel 1906, il gia citato Figures
byzantines con un capitolo dedicato a Teodora3. Nella monografia
sull’imperatrice Diehl riparte dalla Teodora “sempre in cerca di
avventure amorose” di Sardou, ma nel capitolo “La virtu di Teo-
dora” sostiene che i fatti sono piuttosto a favore di Teodora, nono-
stante non si possa giurare sulla sua moralita dopo il matrimonio con
Giustiniano. Teodora e una prostituta famosa, ma, abbandonata
dall’amante, si ravvede e passa a frequentare i circoli cristiani di
Antiochia; era pero anche donna, pertanto mobile, appassionata,
ambiziosa, avida di rifarsi una fortuna; di qui l’incontro con Giusti-
niano e la sua ascesa fino a diventare imperatrice. Tre capitoli,
infine, sono dedicati al femminismo, alla pieta ed alla religiosita di
Teodora. Quasi contemporaneamente esce Irene et les eunuques di
Paul Adam (1906), un drammone storico, anch’esso con illutrazioni,
insipide, di Orazi (figg. 12-13), che ha per protagonista Irene, una
colta ateniese che sposa l’imperatore Leone IV: donne di corte ed
eunuchi iconoduli sono contrapposti ad uomini, tra cui l’imperatore,
iconoclasti4.
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento Orazi realizzo anche manife-
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
5V. Sardou e P. Ferrier, Teodora, musica di X. Leroux, editore P. Choudens (Milano,
1907).6
Per la trama e la critica su questi film: A. Bernardini, Il cinema muto italiano. I film dei
primi anni 1905-1909 (Torino, 1996) p. 411 (Teodora, Imperatrice di Bisanzio); V. Martinelli,
“Il cinema italiano muto. I film degli anni venti 1921-1922”, BN. Bianco e nero, 42/1-3
(gennaio-giugno 1981), pp. 505-506 (Teodora del 1913 e Teodora di Carlucci).7
La notizia e presa da L’illustrazione italiana 35, n 12 (22 marzo 1908), p. 279. Le
citazioni sono dalla recensione alla prima dello spettacolo firmata Leporello, “La nave di
Gabriele D’Annunzio”, L’illustrazione italiana 35, n 3 (19 gennaio 1908), pp. 58-64.
sti e altre immagini dalla Theodora di Sardou (fig. 22), dove la
Bernhardt indossava un abito dorato ed ha un nimbo di tessere
musive pure dorate. La Theodora fu ripresa con un successo eclatante
nel 1902 e da essa fu tratta nel 1907 un’opera lirica in italiano,
Teodora, dove sono introdotte alcune varianti nella trama rispetto
all’originale (tra queste, Andrea che, ferito, dichiara il suo amore per
Teodora, dopo averla riconosciuta come l’imperatrice)5. In Italia, nel
1909, apparve un primo film muto Teodora, Imperatrice di Bisanzio,
con la regia di Ernesto Maria Pasquali; la trama e una parafrasi di
Sardou, senza prestiti da Procopio: Giustiniano si innamora di Teo-
dora, bellissima fanciulla, la quale, salita al trono, senza rivelare la
sua identita diventa amante di un certo Eraclio, che cospira insieme
ad altri per uccidere l’imperatrice; Eraclio, al momento di colpire
Teodora, la riconosce e si inginocchia davanti a lei. Un secondo film
su Teodora fu prodotto nel 1913; poi, nel primo dopoguerra (1921),
da Sardou fu tratto un altro film italiano di grande successo di
pubblico, con la regia di Leopoldo Carlucci, proiettato prima negli
Stati Uniti (1921) e poi in Italia (1922) (fig. 23); la trama e qui
fedele al dramma di Sardou: Teodora appare sulla scena indossando
costume e copricapo imperiali ispirati alla Tedora di San Vitale o alla
imperatrice Arianna del dittico d’avorio del Bargello6.
Negli stessi anni della riduzione a opera del dramma di Sardou,
dissolutezza, morbosita e intrighi di Bisanzio vengono messi in scena
anche da D’Annunzio ne La nave (figg. 24-28), la cui prima a Roma,
al Teatro Argentina, l’11 gennaio 1908, stabilı il record di incassi per
il teatro di prosa italiano; alla Fenice di Venezia ne furono date piu
di cento rappresentazioni7. La tragedia e ambientata nell’anno 552 e
racconta le vicende che precorrono la fondazione di Venezia: un
gruppo di cittadini di Aquileia si rifugia su una isola della laguna
veneziana per sfuggire alle invasioni barbariche e qui costruisce una
basilica e una nave (la Totus Mundus), con la quale salpare per
recuperare ad Alessandria il corpo dell’evangelista Marco. Gli attori
BASILIOLA
8D. Angeli, “Lo scenografo della ‘Nave’: Duilio Cambellotti”, Il Marzocco 12, n 52, 29
dicembre 1907, p. 2. Per le scenografie di Cambellotti per La nave: Nemi, “Tra libri e
riviste. «La Nave» di G. D’Annunzio”, Nuova Antologia, ser. 5, n 133 (1908), pp. 162-167;
per le musiche di Pizzetti: Valetta, “Rassegna musicale”, ibid., pp. 132-138.9
Cf. C. Sforza, L’Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi (Roma, 1944), pp. 104-105.
della Compagnia stabile del teatro erano diretti da Ferruccio Garava-
glia, con Basiliola interpretata da Evelina Paoli (alla Fenice invece
Basiliola sara Emilia Varini) (figg. 27-28), i cori erano diretti dal
maestro Ildebrando Pizzetti, scenografie e costumi erano di Duilio
Cambellotti, che con “pazienza di certosino” trasse ispirazione dal
“tesoro di Brescia [la lipsanoteca del Museo Civico di Brescia], dal
museo Laterano [forse la croce di Giustino II in San Pietro], dagli
avori del South Kensington [il Victoria and Albert Museum di
Londra] o del Louvre, dagli argenti milanesi di San Nazario [il
reliquiario in argento di San Nazaro a Milano], dalle rosse miniature
del codice di Rossano [l’Evangeliario purpureo di Rossano Calabro],
da tutti i documenti sincroni o di poco anteriori e posteriori”8.
Nella tragedia sono contrapposti personaggi di due differenti
moralita e razze: da una parte Marco e Sergio Gratico ed i loro
seguaci, che impersonano la romanita, virile e combattiva; dall’altra
parte sta Basiliola, “la bizantina”, la bellissima, seducente figlia del
corrotto Orso Faledro, deposto ed accecato. Il lavoro di D’Annunzio
fu visto come “un monito di poeta civile che guarda oltre le miserie,
le vergogne, le vilta, i bizantinismi dell’ora corrente”, “un grande
soffio di italianita” dai recensori, una lotta antesignana tra Italia e
Bisanzio. Carlo Sforza, il ministro degli esteri di Giolitti nel primo
dopoguerra, parlando de La nave giudico D’Annunzio un contraffat-
tore delle idee di Nietzsche e un precursore del fascismo, avendo
cominciato
“a volgarizzare per i giovani borghesi italiani il vangelo di una novellavita che non aveva di romano altro che una messa in scena di cartone(. ..). Nel 1908, una delle sue tragedie, La Nave, fu rappresentata aRoma; un verso ne era il Leitmotiv:Arma la prora e salpa verso il mondo.Il verso non significava nulla; o tutt’al piu un vago appetito di conqui-sta; ma, agli studenti e giovani impiegati sbadiglianti all’universita oall’ufficio, esso parve un programma di grandezza e di guerra; (...). Lacorruzione mentale fascista comincio allora.”
9.
L’opposizione morale tra i seguaci di Sergio e Marco Gratico e
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
10Come si vede in una foto pubblicata su La Domenica del Corriere 10, n 3 (19-26
gennaio 1908), p. 8 e in Illustrazione popolare. Giornale per le famiglie 39, n 23 (7 giugno
1908), p. 356; qui a p. 357 altre due foto dei protagonisti della rappresentazione, una delle
quali con le sette danzatrici che accompagnano Basiliola. Altre foto e disegni dello
spettacolo in “Gabriele D’Annunzio e il varo della «Nave»”, Natura ed arte 1907-1908, pp.
329-335, e in L’illustrazione italiana 35 (1908), p. 419 (Emilia Varini come Basiliola).
quelli di Basiliola emerge gia dal prologo, al loro ritorno dalla
spedizione con la quale hanno ripreso le urne sacre dei tutelari ai
barbari; Marco si dichiara discendente dei Veneti, liberi perpetua-
mente perche nelle loro vene scorre il sangue di Roma:
“(...) la giovinezza vostra senza giogo,la Liberta perpetua dei Veneti!L’antichissimo sangue grida in voi?Romana era la forza d’AquileiaRomane l’arche ove seppelliremoi nostri morti; e son romane quellecolonne che porremo ai quattro cantidel nostro altare, sopravi il ciborio.”
All’opposizione sta la fazione grecanica, i Greci (i Bizantini):
“corrotti d’eresia nelle midolle!”, che nel nome di Giustiniano hanno
smunto e spolpato i Veneti con tasse, espropri e decime e che
volevano offrire i Veneti all’impero come sudditi. Sono i seguaci di
Basiliola – che nelle foto apparse sulla stampa dall’allestimento
all’Argentina portava un costume bizantino: lunghi orecchini a piu
pendenti e tunica senza maniche con una stola davanti decorata con
motivi a palmette (fig. 27)–10
, che la fazione gratica vorrebbe cacciare
via:
“Sia rimessa in marela Bisantina!
Al largo la Grecastra!”
Basiliola, come calunniano i Gratici, sarebbe stata portata dal
fratello maggiore Giovanni a Salona da Narsete, pio e casto eunuco
comandante dei Greci, “da esporre a mal uso”, da prostituire “a
tutta l’oste”, per aiutare le sue trame; Basiliola finira
“sopra le carra delle meretriciche cigolano dietro l’accozzagliadei Bulgari degli Unni e degli Alani.”.
BASILIOLA
Dopo la sua apparizione, Basiliola reca all’altare una ampolla
votiva con una (improbabile) immagine di
“San Marco orante tra i cammelli, pienadell’olio che arde sopra il suo sepolcronella piaggia d’Egitto.”.
D’Annunzio fa confusione tra l’iconografia di Marco e quella di
Menas, che e di solito raffigurato appunto come un orante a braccia
aperte tra due cammelli in ampolle e avori copti, dei quali uno al
Museo del Castello Sforzesco, che puo essere stato visto da D’An-
nunzio: Menas e un santo venerato in Egitto come Marco, le cui
spoglie erano ad Alessandria. Poi Basiliola, resa folle dall’acceca-
mento col quale sono stati puniti il padre e i quattro fratelli, “all’uso
di Bisanzio”, e una volta che Sergio Gratico e stato proclamato
nuovo vescovo e Marco Gratico nuovo tribuno, promette distruzione
per la fazione gratica. Basiliola si prepara a una danza sacra di
vittoria, si profuma e chiede una spada, una fiaccola, il velo serpen-
tino e una stoffa di porpora su cui danzare, ma cadra poi a terra
senza farlo; lei bellissima e desiderata da tutto il popolo, promette di
offrirsi come dono a Marco, il vincitore, quanto basta al popolo per
apostrofare Basiliola come nuova Teodora:
“Danza! Danza!La Grecastra
appreso ha l’arte dell’Imperatrice!Danza, danza, o Faledra!
Nei quadriviidi Bisanzio, nel circo!E bella! E bella!
Basiliola!
Basiliola diventa concubina di Marco Gratico; “bellissima belva”,
appare ai suoi precedenti oppositori, ora prigionieri in una fossa fuia
e melmosa, vestita alla bizantina come la Teodora di San Vitale:
“Col passo tacito e lieve della lonza, ecco, la Faledra si mostra inprossimita dell’ara. Porta una tunica molle che scende fino ai piedicalzati di porpora, verde come le alghe divelte; su cui larga fimbrial’arte del ricamatore greco opero la trasfigurazione delle piante e deglianimali come in un sogno visibile. Traspariscono le bianche braccia atraverso le maniche fatte d’un tessuto reticolare che svaria come ilcollo dell’anatra selvatica. La grande capellatura (...) le scende piu giu
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
11Questo ed i precedenti brani riportati dal Prologo de La nave sono, nell’ordine, alle pp.
64, 37, 51, 68, 84, 102, 137-138 di G. D’Annunzio, La nave (Milano, 1908).
della cintola ricca, piu giu dei lombi potenti, insino al poplite, costrettada una lista purpurea intorno alla fronte imperiale.”.
Basiliola uccide di sua mano i prigioneri a tiri di freccia. A questo
punto entra in scena il monaco Traba, vestito come un eremita del
deserto, con l’aria ascetica di un santo bizantino:
“Egli porta intorno ai lombi un cilicio fatto di setole di cavalloannodate; del rimanente e ignudo (...). Calvo come Eliseo, vellosocome Elia, cinto di corda il cranio come un battelliere siriaco, ossuto enocchiuto (...).”.
Di fronte a Marco Gratico, Traba accusa Basiliola di idolatria
pagana e di essere l’amante non solo di Marco, ma anche di suo
fratello, il vescovo Sergio Gratico. Basiliola riesce a vincere anche
questa volta, incantando Marco per mezzo della sua bellezza e
rendendolo obbediente al suo volere.
Il secondo episodio ha per scenario la basilica in costruzione, che
e un pastiche di elementi tratti da chiese ravennati: sul frontone e un
mosaico con il Cristo imberbe di San Vitale tra due spezzoni delle
teorie delle vergini e dei martiri di Sant’Apollinare Nuovo, mentre
dei capitelli bizantini stanno sopra le colonne dell’atrio:
“Appare costrutto di marmi raccogliticci l’atrio quadrilatero dellaBasilica, (...); [sulla facciata] biancheggia e brilla d’opera musaica inalto, sopra gli embrici del nartece, il duplice ordine dei Martiri e delleVergini che procedenti dalle due mistiche Citta fra gli alberi di palmealzano con le mani velate il simbolo del premio eterno verso ilRedentore imberbe coronato del nimbo crucifero in mezzo a una nubeovale.(...) La porta maggiore della Basilica e spalancata: e si discopre pellargo vano tutta la nave centrale fino all’abside: la cattedra del Ve-scovo, il tabernacolo dell’altare, la scola dei cantori chiusa dai plutei dimarmo, l’ambone dell’Epistola e quello dell’Evangelio. Sospese per lecatenelle alla pergola e agli architravi tra colonna e colonna splendonole lampade numerose in forma di corone, di delfini, di navicelle,recanti il monogramma del Cristo, la croce equilatera, il vaso eucari-stico, l’effige di San Pietro a poppa col timone e di San Paolo a prorain vigilia.”
11.
Emula di Salome al banchetto di Erode, Basiliola danza accom-
BASILIOLA
12Vedi sopra alla nota 9.
13O. Wilde, Salome. Poema drammatico, unica versione italiana consentita dall’Autore di
G. G. Rocco (Napoli, 1906). Sulla figura di Salome e la sua fortuna figurativa tra Ottocento
e Novecento: E. Bairati, Salome. Immagini di un mito (Nuoro, 1998), pp. 151-194.
pagnata dalle ancelle, coperte solo da veli trasparenti, davanti al
vescovo Sergio Gratico quasi ebbro, mentre gli altri commensali
intingono le dita nelle vivande e bevono dai calici colmi. Con due
grappoli di perle che le discendono fino ai lati della bocca, di fronte
all’ara dei Naumachi Basiliola seduce con i suoi movimenti il popolo
che la implora di denudarsi. E a questo punto che appare sulla porta
della basilica la processione con alla testa il presbitero Teodoro che
porta una croce “equilatera” (greca), “fasciata d’auree lamine e
costellata di pietre incise” (incastonata di gemme ad imitazione di
una croce altomedievale, come le croci di Agilulfo e Berengario nel
Tesoro del Duomo di Monza o come la croce di Giustino II nel
Tesoro di San Pietro a Roma); altri chierici portano “monogrammi
compresi nel nimbo”, “le immagini di Maria dipinte su le tavole con
l’arte arcana di San Luca” (cioe la Odegetria, la Vergine col Bam-
bino che si credeva dipinta dall’evangelista Luca), “le immagini
metalliche degli Apostoli”, “le teche delle reliquie, le fiale degli olii
santi, gli evangeliarii, i dittici”. In una foto d’epoca pubblicata sulla
Domenica del Corriere dopo la prima sono radunati insieme la grande
croce greca, un codice con la coperta dorata, quattro cassette a urna
con figure sbalzate di tipo limosino, uno smalto con un Cristo
frontale, un secondo smalto con una figura, forse un evangelista, una
corona, una croce latina, una spada, un calice di pietra dura con base
metalllica, un’icona con la Madonna col Bambino, un’icona con un
santo orante, un alto candelabro12
.
Scoppiano ora la violenta discussione e poi la rissa durante la
quale i due gruppi di oppositori si accapigliano sui dogmi della fede,
i Tre Capitoli di Giustiniano, la natura degli angeli, la Resurrezione,
il sinodo di Calcedonia, la deposizione di papa Vigilio. Basiliola,
ripetutamente chiamata “la meretrice”, appare sempre piu come una
creatura demoniaca, un po’ Teodora, un po’ Salome di Oscar Wilde
– Salome era stata pubblicata in francese nel 1893 e tradotta in
italiano nel 190613
– o quella dei quadri di Gustave Moreau (1876) –
cosı amati da Des Esseintes nel quinto capitolo di A rebours di
Huysmans (1884) –, un po’ Cleopatra; oppure come la grande
meretrice dell’Apocalisse, vestita di porpora e di scarlatto e adorna di
gioielli d’oro, pietre preziose e perle, con la quale i re della terra
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
14Cambellotti (1876-1960), Roma, Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contempora-
nea, 24 settembre 1999 – 23 gennaio 2000, catalogo della mostra (Roma, 1999), p. 224.15
Illustrazione popolare. Giornale per le famiglie 45, n 2 (12 gennaio 1908), p. 26. Nel
successivo fascicolo 3 del 19 gennaio e pubblicata una recensione della prima de La nave
(p. 38); e nel fascicolo 5 del 2 febbraio e un grande disegno del varo della nave
dall’allestimento del dramma con lungo commento. Per gli abiti bizantini versioni ricche
come quello di Basiliola sono disegnati da Alphonse Mucha per la Bernhardt o per
pubblicita come nel manifesto per Moet et Chandon del 1899: Alphonse Mucha 1860-1939,
Darmstadt, Mathildehohe, 8 giugno – 3 agosto 1980, catalogo della mostra (Munchen,
1980), n 109 p. 158; vedi anche sotto alla nota 21.
hanno fornicato e con il vino delle cui prostituzioni i popoli si sono
inebriati.
Irrompe, infine, Marco Gratico, il tribuno, coi suoi soldati, che
rifiuta gli inviti di Basiliola e si batte a duello col fratello Sergio.
Marco uccide Sergio; il virile tribuno italiano trionfa sul fratello
corrotto dall’Oriente. Arrivano i soldati bizantini di Narsete guidati
da Giovanni Faledro, fratello di Basiliola, ma sono respinti dai
Veneti. Basiliola viene legata all’altare della Vittoria, al quale era
solita portare sacrifici; terrorizzata, e condannata all’accecamento,
nonostante le sue accorate suppliche; riesce pero a darsi la morte
gettandosi nel fuoco. La storia si conclude con la partenza di Marco
ed i suoi che salpano per Alessandria con la Totus Mundus per
prendere le spoglie dell’evangelista Marco.
b. Teodora alla esposizione di Venezia
Il costume della Basiliola di D’Annunzio, con la stola davanti, era il
cosiddetto costume bizantino della moda dell’epoca. Cambellotti, lo
scenografo de La nave, realizzo costumi bizantini, maschili e femmi-
nili, ispirati a mosaici anche per i personaggi del film Giuliano
l’Apostata (1919), figurazione storica in quattro visioni di Ugo Falena
dal poema sinfonico per archi soli e cori di Luigi Mancinelli14
. Nella
copertina del fascicolo del 12 gennaio 1908 della Illustrazione popolare
con la recensione de La nave, D’Annunzio e ritratto nel suo studio
tra cuscini e mobili moreschi, alla vigilia della prima (fig. 29); la
copertina del fascicolo successivo e occupata da una grande imma-
gine del “varo della Totus mondus, la gran nave dei primi Vene-
ziani” (fig. 30); ancora nel fascicolo di gennaio, stole ‘bizantine’ di
nastro azzurro ricamate d’oro accompagnano vestiti gialli di crespo
con pizzi d’argento, grande eleganze del tempo (fig. 31)15
. Modelli
BASILIOLA
16La notizia su Adelina Patti e presa da R. Levi Pisetzky, Storia del costume in Italia, vol. 2
(Milano, 1964), p. 329.17
Per la ripresa del 1938 vedi gli articoli apparsi su Il Tevere del 6-7 e del 15-16 dicembre
1938, quest’ultimo a firma di A. Righetti, “Il successo della «Nave» di Montemezzi e
D’Annunzio al reale dell’Opera” (p. 3).18
Il testo del commento di “Grecia e Italia” diceva invece:
“III. Grecia e Italia. Il grave etrusco assiso stringe fra le mani un’urna cineraria; ma Eros
con stola ‘bizantina’ appaiono gia nella moda italiana del periodo
umbertino. La famosa cantante lirica Adelina Patti indosso nel 1891
un abito da ballo, creato apposta per lei dalla sarta parigina Maria
Blossier, di raso bianco, ricamato a disegni di stella, con sei raggi in
perle vere e di cristallo, con alte bordure e stola bizantina16
.
La nave fu musicata da Italo Montemezzi sulla riduzione di Tito
Ricordi; l’opera fu data in prima a Milano alla Scala nel 1918 e fu
ripresa nel 1938 per inaugurare la stagione lirica al teatro Reale di
Roma, con la regia di Carlo Piccinato, Gina Cigna nella parte di
Basiliola, il tenore Paolo Civil in quella di Marco Gratico, il baritono
Mario Basiola in quella di Sergio Gratico, scene di Ettore Polidori su
bozzetti di Cipriano Efisio Oppo17
. Nel 1909, l’anno successivo della
apparizione teatrale del testo di D’Annunzio, La nave e Teodora
servirono di ispirazione per i dipinti realizzati da Galileo Chini nella
Sala della Cupola per la VIII Esposizione d’Arte di Venezia del 1908
(figg. 32-33). Chini dipinse le otto vele della cupola con una fascia a
tappeto decorativo, sopra la quale erano otto episodi delle civilta
dell’arte. Alcuni endecasillabi di Antonio Fradeletto, segretario gene-
rale della Biennale dettano il programma degli episodi delle varie
civilta. Dopo “Le origini” (“La Bellezza, portata dalle Muse e gui-
data da Amore, va verso l’uomo”), “Le arti primitive” (Egitto,
Babilonia, Assiria), “Grecia e Italia” (cioe Etruschi e Roma, con un
etrusco con un’urna, un Eros, simboli dell’Arte, la Forza e La
Grazia, la Lupa di Roma, un uomo che regge il mondo), la quarta
vela era occupata dall’“Arte bizantina”. Il programma diceva:
“IV. Arte bizantina. Paganesimo e cristianesimo, opulenza orientale emisticismo s’accostano e talora si confondono: questo dicono le raffi-gurazioni del quarto campo. Un sarcofago istoriato di immagini pa-gane ha il coperchio santificato dalla croce. Nel musaico di Sant’Apol-linare di Ravenna si svolge con ritmo divino la teoria delle Verginipurissime; dal musaico di San Vitale ci muove incontro Teodora,imperatrice e teologhessa. Intanto i rudi lavoratori latini dell’estuarioveneto s’accingono alla conquista del mare. La leggenda esprimel’antitesi:«Sogno a Ravenna e da Venezia salpo»”
18.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
giovinetto gli porge fiori e fiori porge alla Grecia, simboleggiata da un fregio prefidiaco.
Passano trionfalmente i simulacri della Vittoria di Samotracia, della Vittoria virile, della
Vittoria femminile, a raffigurare l’Arte, la Forza, la Grazia. Cresce gagliarda la lupa di
Roma; e un lembo di architettura latina, un uomo che regge la sfera del mondo annunciano
la potenza dell’Urbe. L’Arte e serena come la natura e come l’anima: «Lieta rifulgo al greco
italo sole».”19
Su questi dipinti vedi: VIII Esposizione Internazionale d’Arte della citta di Venezia 1909,
catalogo illustrato (Venezia, 1909), con la descrizione delle scene e gli endecasillabi; L.
Bortolatto, “Sulla cupola «ridonata alla luce» come Galileo Chini «la dono a Venezia» nel
1909”, in XLII Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia. Arte e scienza,
catalogo generale 1986 ([Venezia] 1986), pp. 21-30; F. Benzi, “Galileo Chini affreschista e
decoratore”, in Galileo Chini. Dipinti Decorazioni Ceramiche opere 1895-1952, catalogo della
mostra, Montecatini Terme, 5 agosto – 31 ottobre 1988, a cura di F. Benzi e G. Cefariello
Grosso (Milano, 1988), pp. 72-73. Grandi riproduzioni degli spicchi della cupola e della
vela di Bisanzio per intero sono in F. Fenzi, “La cupola di Galileo Chini alla biennale di
Venezia del 1909”, in Galileo Chini e l’Oriente. Venezia Bangkok Salsomaggiore, catalogo della
Il verso finale parafrasa il motto de La nave: “Arma la prora e
salpa verso il mondo”. Seguivano “Medioevo e Rinascimento”, “Mi-
chelangelo”, “L’Impero del barocco”, “La civilta nuova”. Durante il
fascismo i dipinti di Chini nella cupola non suscitarono piu alcun
entusiasmo: per l’allestimento della Biennale del 1928 la cupola
venne ricoperta con una controcupola di Gio Ponti ed e stata
riportata alla luce solo nel 1986.
Bisanzio ricevette da Chini un’importanza pari a quella delle
civilta della antichita o del Medioevo e Rinascimento insieme. La
vela di Bisanzio contiene la raffigurazione di due delle vergini di
Sant’Apollinare Nuovo di Ravenna; poi, al centro davanti a un
sarcofago ravennate con due palme e due pavoni sulla fronte, sta
Teodora ritratta nella posa e nel costume del mosaico di San Vitale,
ma ringiovanita cosı da diventare una florida ragazza bruna, dai
lineamenti mediterranei e regolari; sulla destra, bambini e ragazze,
nudi e in pose maliziose, spingono una nave in mare. La spiegazione
della vela della civilta di Bisanzio fa riferimento a l’esotico, il cri-
stiano ed il pagano (“Paganesimo e cristianesimo, opulenza orientale
e misticismo s’accostano e talora si confondono”); Teodora e impe-
ratrice e teologa. Alcuni temi sono presi da La nave: Bisanzio
simboleggiata da una donna (Basiliola-Teodora), i mosaici di Ra-
venna come scenografia, “i nudi lavoratori latini dell’estuario veneto”
che sono in procinto di salpare con una nave (Chini ha dipinto in
realta delle ragazze nude a destra di Teodora); il sarcofago dietro a
Teodora, che avrebbe dovuto avere nel programma simboli pagani e
non cristiani, ricorda l’ara alla quale viene legata Basiliola nell’epi-
logo drammatico de La nave19
.
BASILIOLA
mostra, Salsomaggiore, Terme Berzini, 20 maggio – 20 giugno 1995, a cura di M. Bonatti
Bacchini, introduzione di R. Bossaglia (Parma, 1995), pp. 41-61.20
A. Soffici, “L’esposizione di Venezia”, La Voce 1 (1909), p. 195.21
Riproduzioni in Alphonse Mucha 1860-1939, pp. 123-125 per le “Byzantinische Kopfe”
e passim per le immagini della Bernhardt.
La critica conservatrice espresse un giudizio favorevole sulle vele
di Chini: Ugo Ojetti vi vide un “vigore di stile tanto italiano”, la cui
freschezza gli ricordava le realizzazioni dei secoli d’oro dell’arte
italiana. La critica d’avanguardia lo boccio: Ardengo Soffici definı i
dipinti “un’arte che puo utilmente alluminar vasi e piatti, illustrar
libri e riviste (...); ma che, per l’amor di Dio non sconfini – checche
possan cantare i critici pappagalli e i cortigiani del talento”; “An-
diamo, cari signori! Lasciamo da parte tutta questa fraseologia [dei
programmi] da callisti indannunziati, e dateci un po’ di buona
pittura (...)”; e sulla Teodora:
“(...) senonche io vedo, qui, nella cupola, cattivo disegno, membrabistorte, falsita di attitudini, comunalita infinita d’invenzione, malapittura e morte. Pigliamo, per esempio, questa Teodora impalata nellasua vestaglia, attonita, geometrica: vi par ch’essa rifletta, come parevolesse l’autore, la solennita e l’incanto della divinissima arte di Bisan-zio, di quell’arte che ha prodotto proprio qui a Venezia, dei capolavorieterni, impregnati di realita e di spiritualita – di poesia entusiasmantecome la faccia del sole? O non somiglia piuttosto, questa Teodora, enelle pieghe dure, manierate dell’abito, e nella impersonalita dellafaccia, e nel gesto inespressivo, e nel colore, e nel disegno, uno deitanti cartelloni di Mataloni, di Mucha o, tutt’al piu, di Grasset,raccomandanti una compagnia di assicurazioni, un nuovo modello dilampada elettrica, un’acqua minerale o – prosa definitiva – un energicopurgante? Potrei anche sbagliare, ma a me questa basilissa e tutta lapittura che ricopre gli otto spicchi della cupola ha fatto l’impressionedi roba da cartellone e di copertina di calendario (...).”
20.
Soffici ha ragione: nel dipinto di Chini non c’e che qualche
aspetto esteriore di Bisanzio, come le figure simboliche della impera-
trice e delle vergini di Ravenna o lo splendore delle decorazioni
soprattutto dei tappeti a mosaico della fascia della vela sotto le
figure, che Chini puo aver ripreso, piuttosto che direttamente da
Bisanzio, da Klimt, da manifesti pubblicitari, da locandine per gli
spettacoli della Bernhardt, o dalle “Teste bizantine” di Alphonse
Mucha del 189721
. L’arte bizantina esiste solo come arte ravennate
del VI secolo, che viene citata con le due vergini e Teodora, espres-
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
22Sulla prima versione cinematografica: A. Bernardini e V. Martinelli, “Il cinema muto
italiano. 1912. Seconda parte. I film degli anni d’oro”, Rivista del Centro Sperimentale di
Cinematografia “Bianco e nero”, numero speciale (Roma, 1955), pp. 8-13; sulla seconda
versione di Gabriellino D’Annunzio: Martinelli, “Il cinema italiano muto”, pp. 215-218.
sione delle convenzionalita dell’immaginario comune; Teodora e una
figura carnale, opposta alla immaterialita della Teodora di San Vi-
tale. Curiosamente, pero, la presentazione di Bisanzio di Chini
inverte figurativamente il giudizio morale dato ne La nave di D’An-
nunzio: la bizantina Basiliola, femmina corrotta e orientale, e sosti-
tuita da una Teodora etnicamente italianizzata, mentre i virili mari-
nai di sangue romano che fanno salpare la nave in D’Annunzio, sono
trasformati in seducenti ragazze corruttrici. Anche qui, come in
D’Annunzio, Bisanzio e simboleggiata per il pubblico italiano da una
immagine femminile, l’imperatrice Teodora; il suo compagno di
impero, Giustiniano, figura per eccellenza della storia bizantina, e
invece ignorato. Un’ultima nota riguarda le lodi di Soffici per l’arte
bizantina (“capolavori eterni, “arte divinissima”, “poesia entusia-
smante come la faccia del sole”): da ricordare per confronto alle
offese che Soffici e altri getteranno su Bisanzio nel periodo tra le due
guerre mondiali.
c. Teodora la divina
La nave fu tradotta in pellicola una prima volta nel 1912 da Eduardo
Bencivenga e una seconda volta nel 1921 da Gabriellino D’Annunzio
con la solita immagine dell’Oriente luogo di depravazione e di
passioni (fig. 34)22
. Teodora, meta odalisca, meta donna di potere,
dai lunghi capelli rossi (come la Bernhardt), danzatrice seducente,
sanguinaria e crudele da far frustare altre donne, rivali o schiave, per
sua volonta – come nelle dispense di Fiorentino uscite con D’Ann-
nunzio direttore della Cronaca bizantina o ne La nave –, divenne il
modello, insieme a Salome, di altre donne immorali del cinema
storico degli inizi del Novecento. Nel 1911, il film Le tentazioni di
Sant’Antonio, con la regia di Frusta, ispirato a La tentation de Saint
Antoine di Flaubert, mise in scena la storia del ricco Antonio e di
Yarba, una bella prostituta dai capelli rossi raccolta da Antonio in un
postribolo, la quale fa frustare ingiustamente la sua schiava etiope,
tradisce Antonio e infine, dopo che lui si e fatto anacoreta, si
converte e muore. In Marcantonio e Cleopatra (1913), con la regia di
BASILIOLA
23Le schede di questi film si leggono, nell’ordine del testo, in A. Bernardini e V.
Martinelli, Il cinema muto italiano. I film degli anni d’oro. 1911, 2 (Torino, 1996), pp.
201-202 (Le tentazioni di Sant’Antonio); A. Bernardini, e V. Martinelli, Il cinema muto
italiano. I film degli anni d’oro. 1913 (Torino, 1994), pp. 41-46 (Marcantonio e Cleopatra), pp.
286-288 (Tersicore); V. Martinelli, Il cinema muto italiano. I film degli anni d’oro. 1914
(Torino, 1993), pp. 102-103 (Christus; la frase e dalla recensione di Olleja, apparsa su La
Cine-Fono, Napoli, 16-29 gennaio 1915, e riportata nel libro di Martinelli a pp. 102-103).
Enrico Guazzoni, Cleopatra, perfida e crudele, esegue una danza del
ventre e fa frustare e poi uccidere la schiava Agar, della quale si era
innamorato Marco Antonio. In Tersicore (Oriente e Occidente) (1913),
con la regia di Giuseppe Gray, la danzatrice Tersicore, accompa-
gnata da altre odalische, esegue la danza “Oriente e Occidente” alla
festa di fidanzamento di Susanna e Gerard, che poi giunge quasi a
cedere alla seduzione della stessa Tersicore. Un Christus (o La sfinge
dello Ionio), con la regia di Giuseppe De Liguoro, tratto da Leggenda
siracusana dell’anno 1000 di Victor de Lussac, che ha per trama
l’amore tra Christus e la regina Xenia (“corrotta e furba, feroce e
autoritaria”), secondo la critica ebbe il merito di mostrare al pub-
blico l’epoca bizantina, bella, ma trascurata cinematograficamente,
dopo tanti film su Roma (“Giuseppe De Liguoro a avuto il merito
d’aver saputo comprendere, una buona volta, che i gusti del pubblico
non esigono i piu o meno tenebrosi drammoni storici dell’epoca
romana, a base di Cesari, Neroni, Attilii Regoli, Agrippine, ecc.”); i
costumi erano “confezionati su stampe e modelli dell’epoca bizanti-
na”23
.
Teodora fu mitizzata, un’ultima volta, come ideale dannunziano
di donna e di bellezza in un panegirico su Bisanzio scritto da Angelo
Pernice nella rivista Studi bizantini del 1924: avventuriera passata dal
lupanare alla reggia, conosciuta da tutti attraverso “il meraviglioso
mosaico di San Vitale”, dove “e rappresentata in tutto lo splendore
della sua maesta imperiale”, Teodora possiede gli elementi della
bellezza divina secondo i canoni dannunziani del Trionfo della morte:
“C’erano in lei i tre elementi di bellezza che D’Annunzio nel «Trionfodella morte» chiama divini: la fronte, gli occhi, la bocca. La fronteliscia e superba; gli occhi, sotto l’arco perfetto delle sopraciglia, grandineri pieni di luce e di profondita; pieni di sogno e di passione, chenessuno poteva fissare senza turbamento; una bocca piccola dallelabbra rosee e armoniose di un disegno perfetto.”
Piu che alla Teodora di San Vitale, la descrizione rimanda alla
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
24A. Pernice, “Imperatrici bizantine”, Studi bizantini, ser. 2, 5 (1924), pp. 3-22; i brani
riportati sono a p. 12. Pernice scrisse piu tardi (1937) la voce “Teodora” nel vol. 33 del
1937 dell’Enciclopedia italiana, pp. 508-509, dove ripropose Teodora come figura positiva e
pia, che affascina Giustiniano con la sua bellezza ed intelligenza: “Sul trono T. si mostro
una donna veramente superiore. Essa parve nata per regnare, tanta fu la dignita che mise
nei suoi atti e l’attivita che spiego negli affari politici.” Giustiniano ne esalto la fedelta.
Dopo la sua morte l’attivita di Giustiniano avrebbe subito un arresto a conferma della
“parte grandissima che T. ebbe nel governo del grande imperatore”. Nella stessa Enciclope-
dia Italiana, alla sezione “Storia dell’impero bizantino” della voce “Bizantina, Civilta”, nel
vol. 9 (1930), p. 122, Pernice definı Teodora “donna di grande animo e di acuta
intelligenza”.25
Per i giudizi sull’arte bizantina di Bendinelli, Galassi, Toesca vedi al Capitolo 7,
paragrafo c. D. Amato, Teodora imperatrice di Bisanzio (Roma, 1927). Un capitolo su
Teodora si trova in G. Manacorda, Medaglioni. Con un autoritratto (Milano, 1941), pp.
7-12. Un film intitolato Teodora, Imperatrice di Bisanzio, con Teodora ritratta come donna
saggia, caritatevole, populista e democratica, e con scene davanti ai mosaici di San Vitale, e
stata realizzata nel 1953 come coproduzione italo-francese con la regia di Riccardo Freda.
florida Teodora di Galileo Chini. Per il resto, l’articolo ripete luoghi
comuni sulla civilta bizantina, dove si leggevano e commentavano i
classici mentre in Occidente trionfava la barbarie; le donne bizantine
avrebbero goduto di liberta e ruolo sociale, a confronto degli harem
arabi e dell’eta moderna; una situazione migliore della presente
quando per la scelta della consorte dell’imperatore
“si facevano dei veri concorsi di bellezza che avevano un piu serio eutile risultato (...) di quelli che di tanto in tanto indicono le nostregazzette di provincia in cerca di reclame e di abbonati.”
Si indicava anche il numero di scarpe che doveva avere la nuova
imperatrice24
.
Infine, una vita di Teodora tratta da Procopio, sullo stile del libro
di Fiorentino, ma castigata dei particolari spinti, e pubblicata nel
1927 in un piccolo volume tascabile, a carattere popolare, da Dome-
nico Amato. Qui, Teodora e donna di rara bellezza, orgogliosa e
crudele, “maestra di prostituzione”, che sa governare Bisanzio “con
sagacia, con intelligenza e con fermezza piu che virile”. La storia
dell’imperatrice, che doveva essere soggetto di facile vendibilita,
apparve anche in una collana di monografie accanto a volumi sulle
piu strampalate curiosita: Bagni e toeletta presso i Romani, Le cortigiane
nella Roma antica, La morte e il suo mistero, Calzolai e calzature
nell’antica Roma, L’amore omosessuale, Le vite anteriori, L’Atlantide, Il
culto fallico nell’antichita, Filosofia delle psicopatie sessuali25
.
BASILIOLA
26G. Nicco, “Ravenna e i principi compositivi dell’arte bizantina”, L’arte 28 (1915), p.
263.27
P. Toesca, Storia dell’arte italiana, vol. 1, Il Medioevo, Parte 1, Dalle origini cristiane alla
fine del secolo VIII, Parte 2, Dalla fine del secolo VIII al secolo XI, Parte 3, Dal principio del
secolo XI alla fine del XIII (Torino, 1927), p. 198.
d. Psicologia di Teodora
Una storica dell’arte, Giusta Nicco, nel 1925, non vide, invece, nella
solennita ieratica di Teodora a San Vitale “nessuna di quelle caratte-
ristiche che la storia maldicente ripete sul suo conto”, ne segni di
bellezza particolari; Giustiniano riguadagna prestigio e superiorita
sulla moglie:
“Il musaico di Teodora e poco compositivo, s’abbandona al capriccioe all’improvvisazione nel gioco dei colori, fervido di fantasia. Fermezzacompositiva e nell’altra parete. E le qualita ritrattistiche [sottolineateda altri bizantinisti, ad esempio Oskar Wulff] non sono altro che lavivezza del colore; il colore fa brillare l’occhio e ne rende squillante lanota, ma senza che l’occhio per questo acquisti sguardo umano e riveliun’anima.”
26.
Per altri storici dell’arte che scrivono negli anni Dieci e Venti del
Novecento, come Toesca, Galassi o Bendinelli non esiste una Teo-
dora come figura bizantina della cui moralita discutere, ma un’opera
d’arte bizantina su cui discutere. Di Teodora, Toesca sottolineo le
sfumature psicologiche che fu capace di esprimere con la sua arte
l’autore del mosaico:
“La figlia di un guardiano d’orsi del circo imperiale, che giovinettadanzava nel teatro di Bisanzio, si mostra nobile, altera: e viva imma-gine del fasto della corte bizantina.”
27.
Sulla ricerca psicologica nel mosaico di Teodora, giudicato ben
superiore come qualita a quello di Giustiniano, Toesca ritorno nella
introduzione a una raccolta di tavole a colori dei mosaici di San
Vitale pubblicata nel 1952 (fig. 35) (in essa sono ripetuti sintetica-
mente i giudizi sui mosaici ravennati de Il Medioevo); il brano che
segue, tratto dalla introduzione, e una bella lettura della poetica di
quei mosaici:
“Eccezionali sono le qualita psicologiche dell’artista: nella rappresenta-zione che avrebbe potuto ridurre a una cerimonia di corte parallela al
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
28P. Toesca, S. Vitale di Ravenna. I mosaici (Milano, 1952), pp. 19-20.
mosaico di Giustiniano, egli ha introdotto, facendoli campeggiare sututto lo splendore mondano che li circonda, ritratti di squisita, mor-bosa sensibilita.Teodora e figura indimenticabile. Pur se nulla si sapesse di lei, il suoaspetto delicato, quasi esausto, sotto il pesante diadema, e l’atto decisodella sottile persona nel grave paludamento, potrebbero accendereappassionatamente tutte le fantasie. La sua storia non si puo tuttaaccettare quale fu narrata in un famoso libello dallo scrittore coevoProcopio da Cesarea (...).Nel mosaico, che precedette di poco la sua morte, i suoi lineamentirivelano una sensibilita acuta e insieme il freddo dominio della volontanello sguardo chiaro eppur instabile. Ne meno penetrante e il ritrattodella sua vicina [che e forse da identificare con Antonina], di piu eta, ilcui atteggiamento, non cosı riservato come nelle altre seguaci, neaccenna l’autorita presso l’imperatrice (...). Ingenuo, ma personale, ilcarattere della seconda giovane patrizia, che si vorrebbe identificare inuna figlia della supposta Antonina (...)
28.’’.
1T. Gautier, Italia (Paris, 1852), p. 97. La definizione di San Marco come Santa Sofia in
miniatura e in Constantinople (Paris, 18562), p. 269.
3
VIAGGIATORI OTTOCENTESCHI
Costantinopoli, Venezia e Ravenna furono mete bizantine di viaggia-
tori e studiosi nel periodo romantico. Di Venezia sono note le lodi di
Ruskin e di Gautier; quest’ultimo vide in San Marco “una Santa
Sofia in miniatura”, un tempio incoerente, dove il pagano ritrove-
rebbe l’altare di Nettuno con i suoi delfini, tridenti e cocchi marini, il
maomettano potrebbe credersi nella sua moschea vedendo le scritte
nelle volte come sure del Corano, il greco-ortodosso vi incontrerebbe
la sua Panagia incornata come una imperatrice di Costantinopoli, il
suo Cristo barbaro con il monogramma a intrecci, i santi del calen-
dario disegnati alla maniera dei monaci-pittori del Santo Monte
dell’Athos:
“(...) temple incoherent, ou le paıen retrouverait l’autel de Neptuneavec ses dauphines, ses tridents, ses couques marines servant debenitier, ou le mahometan pourrait se croire dans le mihrab de samosquee en voyant les legendes circuler aux parois des voutes, commedes Suras du Coran, ou le chretien grec rencontrerait sa Panagiacouronnee comme une imperatrice de Constantinople, son Christbarbare au monogramme entrelace, les saints speciaux de son calen-drier dessines a la maniere de Panselinos et des moines-peintres de lamontaigne saint (...).”
1.
Diehl definı Ravenna una Pompei italo-bizantina, piu greca an-
cora che italiana, una citta dove, meglio che in Oriente e a Costanti-
nopoli stessa, si puo studiare l’arte bizantina del V e VI secolo; e
dove si puo vedere meglio che a Roma l’influsso dell’arte orientale
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
2C. Diehl, Ravenne. Etudes d’Archeologie byzantine (Paris, 1886), pp. 1-2.
3E. De Amicis, Costantinopoli, 2 voll. (Milano, 1877-1878; edizione illustrata da Cesare
Biseo, Milano, 1912), pp. 3-4.4
A. Baratta, Costantinopoli nel 1831 ossia notizie esatte e recentissime intorno a questa capitale
ed agli usi e costumi de’ suoi abitanti (Genova, 1831; La citazione riportata nel testo e tratta
dalle pagine vi-viii); id., Costantinopoli effigiata e descritta con una notizia su le celebri sette
Chiese dell’Asia Minore ed altri siti osservabili del Levante (Torino, 1840).
sull’Italia2. Quanto a Costantinopoli, fin dagli inizi dell’Ottocento, da
quando l’impero turco venne alla ribalta della scena politica, la citta
fu meta esotica alla moda, dove i viaggiatori europei calarono alla
ricerca di avventure e segreti, senza spesso sapere niente della citta e
neppure conoscere qualcosa delle lingue parlate dalla sua popola-
zione. Altre volte, la rapacita degli archeologi spoglio e degrado i
monumenti bizantini. Tuttavia, Santa Sofia e la piu bella e la piu
maestosa fra le tante chiese cristiane viste da Gautier. La citta appare
bellissima a chi vi arriva dopo il lungo viaggio per mare, “sterminata,
superba, sublime”, “il piu bel luogo di tutta la terra, a giudizio di
tutta la terra”, come la definı De Amicis; “umme-dunia”, la madre
del mondo per arabi e Turchi; di fronte a lei
“il Perthusier balbetta, il Tournefort dice che la lingua umana eimpotente, il Pouqueville crede d’essere rapito in un altro mondo, il LaCroix e innebriato, il visconte di Marcellus rimane estatico, il Lamar-tine ringrazia Iddio, il Gautier dubita della realta di quello che vede(...). Il solo Chateaubriand descrive la sua entrata in Costantinopolicon un’apparenza di tranquillita d’animo che reca stupore; ma nontralascia di dire che e il piu bello spettacolo dell’universo (...)”
3.
Ma anche una citta seduta su immani rovine, come fosse una
odalisca sopra un sepolcro che aspetta la sua ora.
a. Costantinopoli ottomana
Angelo Baratta, avvocato e “impiegato” del Consolato Generale del
Regno di Sardegna a Costantinopoli, in un libro del 1831 di piccolo
formato, con notizie, “esatte e recentissime” sulla citta di Costanti-
nopoli (Costantinopoli nel 1831 ossia notizie esatte e recentissime intorno a
questa capitale ed agli usi e costumi de’ suoi abitanti), dette un ritratto
dei visitatori della capitale ottomana, ignoranti e numerosi4:
“mille penne hanno scritto sulla Capitale dell’Impero Ottomano. Unanuvola di viaggiatori-scrittori attraversa giornalmente Costantinopoli.
VIAGGIATORI OTTOCENTESCHI
Ma oltrecche queste erudite cavallette non posseggono le cognizionispeciali necessarie per ben vedere, quali sarebbero almeno le linguelocali, esse non hanno ne il tempo, ne la pazienza per vedere conesattezza. (...). Pure ognuno di essi non manca mai, tosto giunto inpaese dove sia un torchio, di stampare un’opera in quattro o cinquevolumi sopra Costantinopoli (...). Novelli Vampiri, sono penetratinelle Moschee, in Santa Sofia, entro alle Sette Torri, ne’ pozzi delTesoro, e persino nei boudoirs delle Sultane del Serraglio Imperiale(...).”.
Nel 1840, l’opera di Baratta fu ristampata come volume di
grande formato con un nuovo titolo (Costantinopoli effigiata e descritta
con una notizia su le celebri sette Chiese dell’Asia Minore ed altri siti
osservabili del Levante) e “adorna di cento eleganti intagli in acciaio”
(figg. 36-39). Precursore dell’edizione del 1840 e dichiarata la Co-
stantinopoli antica e moderna di Fischer, da poco apparsa a Londra e
poi a Parigi, la cui parte scritta, “incompleta e negletta”, non var-
rebbe pero la pena di una traduzione italiana; altri libri usciti su
Costantinopoli sono poi brevi e superficiali e non considerano i
cambiamenti e le riforme introdotte nell’impero negli ultimi ven-
t’anni. Si decide cosı di utilizzare solo le incisioni dal volume del
Fischer.
L’interesse librario del pubblico europeo per Costantinopoli e
spiegato dalle “attuali vertenze politiche le quali attraggono verso
l’Oriente l’animo d’ogni colta persona”; se una volta la Turchia
offriva soltanto “il consueto spettacolo del suo limpido cielo, delle
sue ridenti campagne delle sue peregrine e magnifiche pompe”, ora
l’Oriente, “fatto teatro delle piu straordinarie vicende che abbiano,
da secoli, fissato gli sguardi degli uomimi, e prediletto argomento di
tutti i discorsi, scopo a cui tendono tutti gli occhi tutti i pensieri”. Il
sultanato ottomano era all’inizio dell’Ottocento al centro della poli-
tica internazionale e la capitale Costantinopoli era senz’altro meta di
viaggiatori attratti piuttosto dal suo fascino esotico, che dalle anti-
chita bizantine. Il libro di Baratta ha, cosı, non l’antica metropoli
bizantina come oggetto, ma la contemporanea capitale ottomana.
Quasi trecentocinquanta delle ottocento pagine del volume sono
dedicate alle vite degli imperatori ottomani, con ampia biografia del
sultano regnante, Mahomud, e con appendice sul Giannizzerato, i
cui “fasti (...) sono tanta parte delle cose turchesche”, e sulla sua
distruzione, evento quasi contemporaneo al libro del Baratta. Segue
il prospetto cronologico dei “principi che tennero il seggio di Costan-
tinopoli da Costantino il Grande sino alla caduta della citta in mano
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
5Baratta, Costantinopoli, p. 391; il testo prosegue cosı:
“E se qualcuno volesse negarlo, noi lo proveremmo facilmente e colle sacrileghe rapine
dell’Elgin e coll’esempio dell’Oriente universo, divenuto omai vuota ed insipida landa, dopo
i crudeli spigolamenti fattivi da cento scientifiche arpie, sue degne seguaci. – Ma la
controversia e, grazie al Cielo, fuori affatto dal nostro assunto, e noi siam lieti di poterne
lasciare ad altri il franco e ragionato recidimento. Solo noteremo che il doloroso tema in
discorso fu svolto con nobile coraggio ed irresistibile potenza di argomenti dallo Slade nel
suo bellissimo viaggio in Levante: opera che teniamo in sommo pregio ed amore e che
inchiude quadri pieni di verita ed evidenza intorno alle cose ed alle persone, primeggianti,
attualmente, in quelle contrade.”6
L’anno successivo Baratta pubblico un volume gemello intitolato Bellezze del Bosforo.
Panorama del maraviglioso Canale di Costantinopoli dello Stretto dei Dardanelli e del Mar di
Marmara. Opera destinata a far seguito alla Costantinopoli effigiata e descritta, e nella quale, con
l’aiuto di ottanta finissimi intagli eseguiti dal vero dai migliori artisti dell’Inghilterra, offresi
l’impareggiabile quadro di luoghi unanimemente acclamati siccome capo-lavoro della natura, ...
(Torino, 1841). Le incisioni sono su disegni di W. H. Bartlett. Tra le incisioni ne
compaiono alcune di monumenti di Costantinopoli, anche bizantini, come lo Tchenberle o
colonna bruciata (tra p. 316 e p. 317); corrispondentemente, compaiono descrizioni di
monumenti bizantini, come Santa Sofia (pp. 464-467). Alcune delle incisioni pubblicate dal
Baratta furono ristampate nel 1928, senza indicarne la fonte, da G. A. Borgese, Autunno di
Costantinopoli. Pagine d’Atlante con 16 vecchie stampe (Milano, 1928).
de’ Turchi”. La parte seconda e la descrizione della capitale e dei
dintorni con i monumenti antichi bizantini, ignorati dai Turchi e
depredati dagli Europei:
“Nasce qui, del resto, fra gli scrittori una seria e delicata quistione:quella, cioe, di definire se alla conservazione degli antichi monumentipiu rescisse funesta la magnificata barbarie turca, o la svenevoletenerezza europea. Poiche gli e un fatto doloroso bensı, ma incontra-stabile che su cento monumenti distrutti o riformati, novantanove,almeno, dovettero il loro sfacelo alla dotta rapacita degli scienziatinostrani, i quali, purche arricchiscano i propri o gli altrui musei conqualche capo recato dall’Asia o dall’Africa, poco badano ad ogni piurispettabile avanzo.”
5.
I monumenti bizantini sono descritti sommariamente in quaranta
pagine: mura, porti, le sette torri, colonne, cisterne, acquedotti,
tombe, il convento di Studius, l’ippodromo, l’obelisco di Teodosio,
la piramide murata, Santa Sofia, la Piccola Santa Sofia, Sant’Irene, il
palazzo detto di Costantino, il palazzo detto di Belisario. La descri-
zione dei monumenti turchi occupa invece il triplo di spazio, appros-
simativamente centoventi pagine: questo e l’interesse maggiore del-
l’autore e quello supposto del suo pubblico. Le descrizioni di
monumenti, cristiani e turchi, sono corredate da notizie conosciute
personalmente dal Baratta o ricavate da fonti antiche6.
Parallelamente, la maggior parte delle incisioni raffigurano Co-
VIAGGIATORI OTTOCENTESCHI
7De Amicis, Costantinopoli, citazioni nel testo dalle pagine 27, 31, 36-37, 57-58,
245-246, 258, nell’ordine.
stantinopoli turca; anche quando il tema e un monumento bizantino,
come la antica cisterna di Yere’-Batan-Serai, l’obelisco di Teodosio
sull’ippodromo, o Santa Sofia, si tratta di vedute panoramiche con i
monumenti in lontananza; l’interesse, piuttosto che archeologico (i
rilievi dell’obelisco di Teodosio, ad esempio, sono appena tratteg-
giati) e etnografico, verso i costumi e le attivita dei Turchi che
stanno lı intorno. Santa Sofia fa la parte del leone tra i monumenti
cristiani: appare nello sfondo in piu vedute dal Bosforo, ma c’e anche
una veduta dell’interno con i musulmani in preghiera. Baratta pre-
mette che sono tante le notizie e descrizioni del tempio che ripeterle
sarebbe noioso per il lettore. Santa Sofia, comunque, “esteticamente
considerata, non e capo che voglia darsi a modello”, anche se
andrebbe giudicata una volta rimossi i cento piccoli edifici che i
sultani hanno addossato all’originario. La smisurata cavita della
rotonda centrale e la tanta celebre cupola stupiscono il viaggiatore,
“con immenso e pittorico effetto”; quali fossero le preziosita interne
di Santa Sofia lo possiamo solo leggere nelle cronache antiche (qui
Baratta elenca le varieta dei marmi usati per le colonne) ed e
testimoniato dalla storia di Maometto II che, meravigliato della
bellezza e ricchezza dell’edificio, uccide il soldato che si accaniva a
rompere il lastricato di marmo della chiesa. Di questa ricchezza di
marmi e colonne molto e stato rimosso e le tessere dei mosaici alle
pareti sono state asportate come reliquie dai Cristiani con la compia-
cenza dei Turchi.
b. La Costantinopoli – Babilonia di De Amicis
Una quarantina di anni dopo il libro di Baratta, Costantinopoli
divenne popolare in Italia grazie a Edmondo De Amicis7. I resoconti
di viaggio di De Amicis uscivano a puntate in anteprima sulla rivista
Illustrazione Italiana dei Fratelli Treves di Milano ed erano poi
pubblicati dallo stesso editore come volumi a se. I primi di questi
volumi ad uscire furono su Spagna, Olanda (entrambi nel 1873) e
Londra (1875); Marocco, annunciato come strenna natalizia nel
1876, uscı in una edizione con incisioni di Stefano Ussi e Cesare
Biseo nel 1877. Su Turchia e Bulgaria, che erano teatro della guerra
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
russo-turca del 1877-1878, apparvero resoconti di cruenti massacri
quasi su ogni numero della rivista di quegli anni, spesso accompa-
gnati da incisioni. Nel 1877 sulla rivista fu pubblicato in anteprima
un brano del libro Costantinopoli, il cui primo volume appare nello
stesso anno, mentre il secondo volume e del 1878. Costantinopoli fu
ristampato numerose volte, in piu lingue, senza illustrazioni; solo nel
1912 apparve una edizione italiana con incisioni di Biseo.
Il resoconto di De Amicis su Costantinopoli e colorito ed entu-
siastico. La maggior parte del libro e a carattere etnografico, con
descrizioni della vita e dei tipi che popolano la citta (il modello sono
i capitoli di Constantinople di Gautier, del 1853): il cimitero, il caffe,
il bazar, i cani, gli eunuchi, l’esercito, i teatri, la cucina, il bagno
turco, le moschee, le turche, i dervisci, i turchi. Etnie balcaniche e
asiatiche convivono a Costantinopoli (Turchi, Armeni, Greci, Ebrei,
Albanesi, Circassi, Siriani, Bulgari, Georgiani, oltre a missionari e
altre minoranze europee) e fanno della citta una Babilonia:
“La visione di stamattina e svanita. Quella Costantinopoli tutta luce etutta bellezza e una citta mostruosa, sparpagliata per un saliscendiinfinito di colline e di valli; e un labirinto di formicai umani, dicimiteri, di rovine, di solitudini; una confusione non mai veduta dicivilta e di barbarie, che presenta un’immagine di tutte le citta dellaterra e raccoglie in se tutti gli aspetti della vita umana.”“A chi ci domandasse improvvisamente che cos’e Costantinopoli, nonsi saprebbe rispondere che mettendosi una mano sulla fronte perquetare la tempesta dei pensieri. Costantinopoli e una Babilonia, unmondo, un caos.”“Le figure che dan piu nell’occhio in quella folla, sono i Circassi chevanno per lo piu a tre, a cinque insieme, a passo lento; pezzi d’uominibarbuti, dalla faccia terribile, che portano un grosso berrettone di peloalla foggia dell’antica guardia napoleonica, un lungo caffetano nero, unpugnale alla cintura e un cartucciere d’argento sul petto; vere figure dibriganti, ognuno dei quali pare che sia venuto a Costantinopoli pervendere una figliuola o una sorella, e debba avere le mani intrise disangue russo. Poi i siriani col loro vestito in forma di dalmaticabizantina e il capo ravvolto in un fazzoletto rigato d’oro; i bulgari,vestiti d’un saio grossolano, con un berretto incoronato di pelliccia; igiorgiani con un caschetto di cuoio verniciato e la tunica stretta allavita da un cerchio metallico; i greci dell’arcipelago coperti da capo apiedi di ricami, di nappine e di bottoncini luccicanti.”.
Come per Baratta, i monumenti antichi non sono il primo inte-
resse di De Amicis, ne il suo libro e concepito come una guida alle
antichita; tra i monumenti prevalgono i luoghi musulmani e le
VIAGGIATORI OTTOCENTESCHI
bellezze naturali sui siti archeologici bizantini: in un elenco di mera-
viglie di Costantinopoli, che il visitatore e ansioso di vedere, De
Amicis fa figurare Santa Sofia, l’antico Serraglio, i palazzi del sul-
tano, il castello delle sette torri, Abdul-Aziz, il Bosforo. Le descri-
zioni di questi monumenti sono impressioni soggettive, con qualche
rievocazione da letture fatte, ma nessuna notizia storica. De Amicis
piange su quel che resta dei monumenti bizantini, su chiese, palazzi
di marmo, colossi equestri, terme, portici, cupole dorate scomparsi,
statue di bronzo fuse per fare cannoni, rivestimenti di rame degli
obelischi trasformati in monete, sarcofagi di imperatrici adibiti a
fontane, Sant’Irene ridotta ad arsenale, la cisterna di Costantino ad
officina, il piedestallo della colonna d’Arcadio a bottega di mani-
scalco, l’Ippodromo a mercato di cavalli:
“l’edera e le macerie coprono le fondamenta delle reggie, sul suolodegli anfiteatri cresce l’erba dei cimiteri, e poche iscrizioni calcinatedagli incendi o mutilate dalle scimitarre degl’invasori rammentano chesu quei colli vi fu la metropoli meravigliosa dell’impero d’Oriente. Suquesta immane rovina siede Stambul, come un’odalisca sopra unsepolcro, aspettando la sua ora.”.
Santa Sofia prende, naturalmente, l’interesse maggiore di De
Amicis e ad essa, un misto di barbaro e di classico (come San Marco
per Gautier), si riservano alcune pagine di descrizione stupefatta:
“Il primo effetto, veramente, e grande e nuovo.Si abbraccia con uno sguardo un vuoto enorme, un’architettura arditadi mezze cupole che paion sospese nell’aria, di pilastri smisurati, diarchi giganteschi, di colonne colossali, di gallerie, di tribune, di portici,su cui scende da mille grandi finestre un torrente di luce; un non soche di teatrale e di principesco, piu che di sacro; una ostentazione digrandezza e di forza, un’aria d’eleganza mondana, una confusione diclassico, di barbaro, di capriccioso, di presuntuoso, di magnifico; unagrande armonia, in cui, alle note tonanti e formidabili dei pilastri edegli archi ciclopici, che rammentano le cattedrali nordiche, si me-scono gentili e sommesse cantilene orientali, musiche clamorose deiconviti di Giustiniano e d’Eraclio, echi di canti pagani, voci fioched’un popolo effeminato e stanco, e grida lontane di Vandali, d’Avari edi Goti; una grande maesta sfregiata, una nudita sinistra, una paceprofonda; un’idea della basilica di San Pietro raccorciata e intonacata,e della basilica di San Marco ingigantita e deserta; un misto non maiveduto di tempio, di chiesa e di moschea, d’aspetti severi e d’orna-menti puerili, di cose antiche e di cose nuove, e di colori disparati, ed’accessori sconosciuti e bizzarri; uno spettacolo, insomma, che destaun sentimento di stupore insieme e di rammarico (...).”.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
8A. D. Furse, Umme-Dunia (Roma, 1884).
La chiesa e ora ridotta a un immenso sepolcro, nel quale bisogna
reimmaginare il fasto delle cerimonie e dei riti che vi si svolgevano:
“fra i canti dei poeti e i clamori degli araldi che gridavano evviva intutte le lingue dell’impero, veniva innanzi l’Imperatore, colla tiarasormontata da una croce, imperlato come un idolo, seduto sopra uncarro d’oro dalle tende di porpora, tirato da due mule bianche, ecircondato da un corteo di monarca persiano; e gli andava incontro ilclero pomposo nell’atrio della basilica; e tutta quella turba di corti-giani, di scudieri, di logoteti, di protospatari, di drongarii, di conesta-bili, di generali eunuchi, di governatori ladri, di magistrati venduti, dipatrizie spudorate, di senatori codardi, di schiavi, di buffoni, di casisti,di mercenari d’ogni paese, tutta quella canaglia fastosa, tutto quelputridume dorato irrompeva per ventisette porte nella navata illumi-nata da seimila candelabri (...).”.
c. Un racconto sugli ultimi giorni di Costantinopoli
A differenza di Constantinopoli di De Amicis, Umme-Dunia (madre
del mondo), del 1884, di Alberto D. Furse, ufficiale britannico,e un
romanzo storico, con note ben documentate, sui luoghi e la societa
di Costantinopoli (figg. 40-41). Il romanzo e ambientato nei giorni
precedenti la presa della citta da parte di Maometto II nel 1453 e
nella trama si intrecciano vicende di piu personaggi, greci e latini
venuti a difendere la capitale bizantina: l’epigrafe dopo il titolo del
libro (“Che il leggere le gloriose gesta degli antenati ispiri ai posteri
quegli alti sensi di virtu che servono a render grande la Patria!”) e
altre in testa ai capitoli (al Capitolo I i versi di Leopardi: “O patria
mia, vedo le mura e gli archi, / E le colonne e i simulacri e l’erme /
Torri degli avi nostri, / Ma la gloria non vedo, / Non vedo il lauro e il
ferro ond’eran carchi / I nostri padri antichi. Or fatta inerme / Nuda
la fronte e nudo il petto mostri”) si riferiscono ai Veneziani e
Genovesi che combattono eroicamente contro i Turchi8.
Ogni capitolo si svolge in una zona diversa della citta, spesso con
nuovi personaggi e in occasioni storiche, cosı da fornire motivo per
una descrizione accurata, attraverso le fonti, della societa e della
storia bizantina e dei monumenti di Costantinopoli. Il Capitolo I
racconta di uno stilita e un vignaiolo che guidano il popolo dalla
colonna di porfido di Costantino alla porta aurea crollata; il Capitolo
VIAGGIATORI OTTOCENTESCHI
9Valery, Voyages historiques et litteraires en Italie, vol. 3, p. 240. Cf. R. Chevallier, “Quatre
siecles de voyageurs et d’antiquaires francais a Ravenne (1500-1900)”, in XX Corso di
II, “Hebdomon”, racconta il ritorno della fallita ambasceria presso i
Turchi (con occasionale lamento in nota per il degrado dei mosaici
del palazzo imperiale che venivano asportati pezzo a pezzo al tempo
dell’autore) e contiene una lunga descrizione dei funzionari bizantini,
basata sul trattato dello pseudo-Codino; il Capitolo III, “La Peghe”,
racconta dell’arrivo di alcuni cavalieri latini e una leggiadra ragazza
per la porta aurea; poi i capitoli “Blacherne”, “Bucoleone”, “Ippo-
dromo”, con la gara tra la quadriga dei verdi e quella degli azzurri,
“Embolos”, “Il Foro di Teodosio”, “Santa Sofia”, con la descrizione
della chiesa all’ingresso stupefatto di Calliroe, mima del teatro di
Embolos (“muta, estatica, credevasi trasportata in Paradiso, ed am-
mirava con tutti i sensi di un’anima facilmente eccitabile le maravi-
glie accumulate da secoli nel gran santuario della Cristianita”), il 12
dicembre del 1452, al momento della cerimonia della messa in rito
latino per l’unione delle Chiese, con il popolo che insorge contro la
formula eretica del filioque; e, infine, la giornata del 24 maggio con
l’irruzione dei Turchi nella citta, il saccheggio, la divisione delle
spoglie, l’uccisione dei prigionieri e l’orgia finale. Varie incisioni
originali di Santa Sofia e di altri monumenti bizantini abbandonati
accompagnano il testo.
d. Taine su Ravenna, una voce dissonante
I viaggiatori francesi settecenteschi dettero un giudizio a volte pes-
simo dei monumenti di Ravenna: i mosaici di Galla Placidia e San
Vitale sono detestabili, del peggior gusto; San Vitale e una costru-
zione bizzarra, un insieme confuso e barbaro, anche se prezioso nei
dettagli; le sue colonne di marmo greco sono sprecate per una
costruzione cosı pesante e triste. Tuttavia, nell’Ottocento il giudizio
era mutato: i mosaici di San Vitale sono ora superbi, le figure
veramente vive. Negli anni 1820, Valery (gia citato al capitolo prece-
dente) scrive di San Vitale che e un “magnifique et hardi monument
de l’architecture des Goths, monument capital pour l’histoire de
l’art, offre le style bysantin dans toute sa purete, dans tout son eclat
oriental”; e che Ravenna e piu Costantinopoli di Costantinopoli
stessa, “dont la barbarie et le fanatisme ottoman ont du bien davan-
tage changer l’aspect”9. Fu stabilito definitivamente che i personaggi
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
cultura sull’arte ravennate e bizantina, Ravenna, 11-24 marzo 1973 (Ravenna, 1973), pp.
195-216, ristampato in E. e R. Chevallier, Iter italicum. Les voyageurs francais a la decouverte
de l’Italie ancienne (Paris – Geneve, 1984), pp. 200-217.10
“Mosaiques de l’eglise de Sain-Vital de Ravenne”, Revue archeologique 7/1 (1850), pp.
351-353, con due incisioni di C. Saunier (tavv. 145-146); cf. J.-M. Spieser, “Hellenisme et
connaissance de l’art byzantin au XIXe siecle”, in ÎΛΛΕΝΙΣΜÃΣ. Quelques jalons pour
une histoire de l’identite grecque, Actes du Colloque de Strasbourg, 25-27 octobre 1989, a
cura di S. Saıd, (Leiden – New York, 1991), p. 350 e figg. 4-5.
imperiali rappresentati nei due pannelli musivi di San Vitale sono
Giustiniano e Teodora, contro altre interpretazioni che vedevano
nella imperatrice Sofia, moglie di Giustino II, e vennero pubblicate
incisioni a volte non molto fedeli dei due pannelli10
.
L’amore per Bisanzio e la sua arte non fu tuttavia universale.
Una voce dissonante su Ravenna in particolare, di un positivista, fu
quella di Hyppolite Taine (del quale e stato gia riportato il giudizio
su Teodora al capitolo precedente), in questo continuatore del giudi-
zio negativo dell’illuminismo sulla decadenza di Bisanzio. Piu volte
attaccato dalla critica italiana che si erge a difesa dei monumenti
ravennati, Taine pubblico le sue impressioni sfavorevoli all’arte bi-
zantina vista durante un viaggio in Italia del 1864 in Voyage en Italie
(1866). Per Taine l’arte bizantina e arte da malato, inferma e
paradossale, con figure accosciate, scimmie idrocefale; Bisanzio offre
lo spettacolo di un mondo che trascina per mille anni la civilta antica
sotto un cristianesimo guasto e tra importazioni orientali, un mo-
mento unico dell’anima e della cultura umana che non ha paralleli
nella storia: una degenerazione cosı lunga e complicata, una muffa di
mille anni in un vaso chiuso, acido di fermenti di spezie numerose e
contrastanti. Nelle figure degli uomini e delle donne un po’ tristi nei
mosaici di Sant’Apollinare Nuovo e una dignita quasi antica; ma a
questo si limitano le reminescenze degli artisti che hanno disimpa-
rato l’osservazione del modello vivo; i Padri lo hanno loro proibito;
copiano tipi accettati, ripetono venti volte di seguito lo stesso gesto e
lo stesso abito e spesso i tratti del viso sono barbarici, come le prove
di disegno di un bambino; i colli sono diritti, le mani di legno, le
pieghe dei drappeggi meccaniche; i personaggi sono degli abbozzi di
uomini piuttosto che uomini; non vi e uno dei personaggi che non
sia un idiota inebetito, appiattito, malato, che non abbia una cera
VIAGGIATORI OTTOCENTESCHI
11H. Taine, Voyage en Italie, (Paris, 1866). I giudizi riportati nel testo sono presi dalla
introduzione alla traduzione italiana del 1915: Viaggio in Italia (Il paese – l’arte – la nazione),
pagine scelte a cura di P. Arcari (Lanciano, 1915), p. 10; qui sotto e il giudizio su Ravenna
nel testo francese pubblicato alle pp. 210-212 della seconda edizione del 1874 (cf. pp.
59-61 della traduzione italiana del 1915):
“(...) les figures de les femmes, regulieres, un peu longues, calmes, quoique triste, ont
une dignite presque antique; les chevaux tombent en tresses et se relevent au sommet du
front comme dans la coiffure des nymphes; leur stole descend en long plis graves. Aussi
grave se developpe la file des grandes figures viriles, et pres du Christ et de la Vierge, des
anges prient en grands vetements blancs, le front ceint d’une bandelette blanche. Mais la
s’arretent les reminescences (...). Ils [les artistes] ont desappris l’observation du modele
vivant, les Peres la leur ont interdite; ils copient des types acceptes (...). D’artistes ils sont
devenus ouvriers (...) ils repetent vingt fois de suit le meme geste et le meme vetement (...).
Nulle physionomie; souvent les traits du visage sont aussi barbares que les dessins d’un
enfant qui s’essaye. Le col est roide, les mains sont en bois, les plis de la draperie sont
mecaniques. Les personnages sont des ebauches d’hommes plutot que des hommes (...) En
effet, il n’y a pas un de ces personnages qui ne soit un idiot hebete, aplati, malade.”.
Giudizi di Taine sui mosaici di San Marco sono alle pp. 274-279 della seconda edizione
francese. Vedi inoltre i giudizi simili sull’arte bizantina espressi in Philosophie de l’art (Paris,
1864), quinta edizione (1890), pp. 351-352. Una sintesi dei giudizi su San Vitale di
Ravenna si trova in S. Foschi e C. Franzoni, “Artisti, eruditi, viaggiatori: le interpretazioni
di San Vitale”, in La basilica di San Vitale a Ravenna, a cura di P. Angiolini Martinelli
(Modena, 1997), pp. 135-155.
smorta, una floscia rassegnazione, senza piu azione, volonta, pen-
siero, anima: per quanto lo siano non sanno stare in piedi11
.
1Sulla nascita degli studi bizantini in Francia vedi A. Rambaud, Etudes sur l’histoire
byzantine, prefazione di C. Diehl (Paris, 1912), pp. xiii-xxiii; C. Diehl, “Introduction a
l’histoire de Byzance” e “Les etudes byzantines en France au XIXe siecle”, in C. D., Etudes
byzantines (Paris, 1905), pp. 1-20 e 21-37 rispettivamente (il primo gia apparso in Byzanti-
nische Zeitschrift 9 [1900], pp. 20-37); P. Lemerle, “Presence de Byzance”, Journal des
Savants (1990), pp. 250-254.
4
PRIMI STUDI IN ITALIA
La nascita degli studi bizantini si fa risalire alla pubblicazione della
cosiddetta ‘Bizantina del Louvre’. Questa serie di studi dei testi dei
Padri, della storia dei dogmi e della storia della Chiesa, curata
soprattutto da eruditi gesuiti, domenicani e benedettini francesi,
ebbe l’incoraggiamento di Luigi XIV e di Colbert, come risposta agli
studi sull’Antico e Nuovo Testamento promossi dalla Riforma prote-
stante. Il primo volume della serie apparve nel 1648. Nel Settecento,
diversamente, alcuni degli studiosi piu acuti del secolo dei lumi
dettero un giudizio negativo senza appelli su Bisanzio: prima Monte-
squieu nelle Considerations sur les causes de la grandeur des Romaines et
de leur decadence, del 1734, poi Voltaire nell’Essai sur les mœurs, dove
della storia di Bisanzio si domando “Quelle histoire de brigands
obscurs est plus horrible et plus degoutante?”, ed infine Edward
Gibbon in The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, del
1776.1. Il moderno interesse per Bisanzio nacque nell’Ottocento,
frutto della espansione coloniale europea in Oriente e della afferma-
zione del Romanticismo. Pionieri ne furono nuovamente studiosi e
artisti francesi; ad essi vennero dietro gli inglesi ed i tedeschi. In
Grecia le spinte nazionalistiche furono determinanti per la crescita
dell’interesse per Bisanzio nella seconda meta dell’Ottocento. In
Russia furono piuttosto l’antibonapartismo, il nazionalismo slavofilo
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
2La storia delle origini della bizantinistica e ormai tracciata. Uno sguardo generale e in
D. T. Rice, The Appreciation of Byzantine Art (London, 1972), Capitolo II, “The Western
Attitude towards Byzantine Studies”, pp. 20-42; per l’atteggiamento prima ostile e poi
favorevole dei Greci verso Bisanzio nell’Ottocento vedi C. Mango, “Byzantinism and
Romantic Hellenism”, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 28 (1965), pp. 24-43.
Una buona panoramica e nell’introduzione di Armando Saitta alla versione italiana di C.
Diehl, Les grandes problemes de l’histoire byzantine (Paris, 19472): I grandi problemi della storia
bizantina (Bari, 1957), pp. 5-45. Al contrario, La storia della bizantinistica e ancora da
scrivere per Spieser, “Hellenisme et connaissance de l’art byzantin”, nota 9 p. 340.3
Istoriia vizantiiskago iskusstva i ikonografii po miniatiuram’ grecheskikh’ rukopisei (Odessa,
1876); traduzione francese, Histoire de l’art byzantin considere principalement dans les miniatu-
res, a cura di K. Travinskii e con una prefazione di A. Springer, 2 voll., (Paris – London,
1886 e 1891), pp. 49, 51-57. Su Kondakov vedi: W. E. Kleinbauer, “Nikodim Pavlovich
Kondakov: The First Byzantine Art Historian in Russia”, in Byzantine East, Latin West. Art
Historical Studies in Honor of Kurt Weitzmann, a cura di D. Mouriki et alii (Princeton, N.J.,
1995), pp. 637-643.
e l’espansionismo verso l’impero turco a fomentare la riscoperta
nazionalistica della storia nazionale della Russia come erede di Bi-
sanzio2. Il gusto romantico di Francesi ed Inglesi fece apprezzare
nella storia e nell’arte bizantina quanto vi e di non-classico, di
irrazionale e di gotico. Gautier e Ruskin assimilarono i monumenti
bizantini di Costantinopoli e Venezia all’arte barbarica. Al contrario,
la rivalutazione di Bisanzio in Grecia ed in Russia ricerco l’eredita
classica in quella civilta. La Storia dell’arte e dell’iconografia bizantina
di Nikodim Kondakov, il primo trattato moderno complessivo sul-
l’arte bizantina, pubblicato nel 1877 in russo e poi tradotto in
francese nel 1886-1891, rivendico ai bizantinisti russi una migliore
metodologia e comprensione dell’arte bizantina rispetto ai bizantini-
sti degli altri paesi (francesi e tedeschi, soprattutto), in quanto di essa
l’arte russa avrebbe conservato molti elementi; ma, insieme, Konda-
kov giudico come eta d’oro dell’arte bizantina i tre periodi in cui
prevalse il legame con l’arte antica: il periodo formativo fino a
Giustiniano, il periodo della dinastia macedone, il periodo della
dinastia paleologa3. Nello stesso tempo, dopo la fondazione della
Societa Archeologica Russa (1846), si procedette al restauro delle
antiche icone di Novgorod e delle altre scuole russe; nel 1904 fu
restaurata la “Trinita” di Rublev; nel 1913 si aprı l’esposizione di
arte antica russa a Mosca.
L’Italia partecipo marginalmente all’espansionismo coloniale e
alla rinascita di interessi eruditi verso Bisanzio. Il giudizio degli
studiosi italiani su Bisanzio nell’Ottocento e nei secoli precedenti
non fu univoco e ando quasi sempre parallelo al giudizio sui primitivi
e sul Medioevo. Da Giorgio Vasari, fazioso alfiere dei preconcetti
PRIMI STUDI IN ITALIA
4Cosı la miniatura a piena pagina con il profeta Geremia nel cod. plut. 5.9 della
Biblioteca Laurenziana riprodotta in A. M. Bandini, Catalogus Codicum Manuscriptorum
Bibliothecae Mediceae Laurentianae varia continens opera Graecorum Patrum (Firenze, 1764),
vol. 1, incisione dopo p. 82. G. P. Bellori, Veterum illustrium philosophorum poetarum rhetorum
et oratorum imagines ex vetustis nummis, gemmis, hermis, marmoribus, aliisque antiquis monu-
mentis desumptae (Roma, 1635; 2a edizione Roma 1739), incisioni a pp. 91-92.5
La fortuna critica dell’arte medievale prima di Giotto e stata esaurientemente studiata
da G. Previtali, La fortuna dei primitivi. Dal Vasari al Neo-classico (Torino, 1964); vedi in
particolare le pp. 88 sgg. sul ramo filo-bizantino della critica in Italia che va da Lami fino a
Lionello Venturi. Notizie dettagliate sulla valutazione dell’arte bizantina nel Sette e Otto-
cento in B. Pace, “Pensiero romantico ed arte bizantina”, in Universita degli Studi di Pisa,
Istituto di Archeologia e di Storia Antica, Studi classici e orientali, vol. 2 (Pisa, 1953), pp.
85-99.
italiani verso l’arte bizantina, a Filippo Baldinucci e Luigi Lanzi
esisteva una ostilita ereditaria contro i bizantini ed i barbari nella
storiografia artistica italiana. A questo filone si contrapposero Giulio
Mancini e, piu tardi, il muratoriano Giovanni Lami insieme ad un
gruppo di studiosi settecenteschi che espressero un giudizio favore-
vole sull’arte bizantina, superiore all’arte di Cimabue e di altri pittori
del Duecento. Sporadicamente, opere bizantine sono riprodotte ad
incisione come corredo di cataloghi di biblioteche (ad esempio il
catalogo del Bandini della Biblioteca Laurenziana), o come docu-
mentazione iconografica di soggetti antichi conosciuti attraverso co-
pie bizantine posteriori (i ritratti di farmacologi nel Dioscoride di
Vienna usati da Giovanni Pietro Bellori, nel 1685, nelle Veterum
illustrium philosophorum poetarum rhetorum et oratorum imagines)4. Non
interessano, tuttavia, ne la lunga storia artistica bizantina, ne l’esoti-
smo orientale o l’anticlassicismo di Bisanzio, ma la misura in cui
Cimabue, Giotto e contemporanei furono debitori dei maestri bizan-
tini del Duecento; a differenza di quanto avviene in Grecia e Russia,
il nazionalismo ottocentesco in Italia gioca contro l’apprezzamento
dell’arte bizantina: i versi del Carducci in testa alla Cronaca bizantina
(“Impronta Italia dimandava Roma: / Bisanzio essi le han dato”) e
quelli della prima strofa della stessa ode a Caldesi (“De’ subdoli e
de’ fiacchi oggi e l’istoria / E de i forti l’oblio”) riassumono perfetta-
mente la percezione comune ed il biasimo nei confronti di Bisanzio
in Italia. Le origini dell’arte cristiana, poi, sono poste nelle pitture
delle catacombe romane: il ruolo svolto dall’Oriente nelle origini
dell’arte cristiana, che fu riconosciuto dalla storiografia artistica
estera di fine Ottocento, e una scoperta ancora da venire, una spina,
appunto, con la quale gli studiosi italiani si confronteranno a lungo
nel Novecento5.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
6J.-B.-L.-G. Seroux d’Agincourt, Histoire de l’art par les monuments, depuis sa decadence au
IVe siecle jusqu’a son renouvellement au XVIe
siecle (Paris, 1823), traduzione italiana, Storia
dell’arte dimostrata coi monumenti dalla sua decadenza nel IV secolo fino al suo risorgimento nel
XVI, a cura di S. Ticozzi, 8 voll. (Prato, 1826); un elenco abbreviato delle incisioni
comprende, secondo l’ordine di citazione nel testo, le tavole: scultura tavv. iii (dittico
Barberini dato come raffigurante Costantino e del IV secolo) , x (obelisco di Teodosio), xi
(colonna di Teodosio), xii (pannelli d’avorio di cassetta con Adamo ed Eva; Ariadne),
xiii-xx (porta di San Paolo f.l.m.); pittura tavv. xvi (mosaici ravennati), xviii (il Logos che
estrae la costola ad Adamo nella prima cupola dell’atrio di San Marco a Venezia), xix
(Genesi di Vienna), xxvi (Dioscoride di Vienna), xxvii (Evangeliario di Rabbula), xxviii-xxx
(Rotulo di Giosue), xxxi-xxxiii (Menologio di Basilio II), xxxiv (Cosma Indicopleuste), xlvi
(Catena sui Profeti Maggiori, cod. Vat. gr. 755), xlvii (Salterio di Basilio II), xlviii (raccolta
ippocratica, Laur. plut. 74.7), l-li (Omelie di Giacomo Coccinobafo della Vaticana), lii
(Giovanni Climaco, cod. Vat. gr. 394), lviii (Panoplia dogmatica di Eutimio Zigabeno della
Vaticana), lix (Evangeliario, Urb. gr. 2 della Vaticana), lxii (Ottateuco, cod. Vat. gr. 746
della Vaticana), lxxxii-xciii, ic, cvi, cxi-cxiii (varie icone).
a. Seroux D’Agincourt e Garrucci
Poco prima della descrizione di Costantinopoli e del Bosforo nei libri
del Baratta, un buon numero di immagini di monumenti bizantini
erano stati riprodotti in incisioni nella edizione italiana del 1826
della Storia dell’arte di Seroux D’Agincourt (figg. 42-43). Le incisioni
includevano avori (tra i quali il dittico d’avorio Barberini del Louvre
e placchette da cassette), bassorilievi (tra i quali la colonna di
Teodosio e le quattro facce della base dell’obelisco di Teodosio a
Costantinopoli), alcuni mosaici di San Vitale e Sant’Apollinare
Nuovo a Ravenna, una considerevole selezione di miniature in ma-
noscritti bizantini, una ventina di icone, tavole duecentesche italiane,
ecc.6.
Questa scelta di Seroux D’Agincourt era senz’altro ricca come
immagini di miniature, ma aveva solo pochi esempi di mosaici ed
alcuni non ben riprodotti; le incisioni dei pannelli di Ravenna (quello
di Giustiniano e la corte, il Sacrificio di Abramo e l’offerta di
Melchisedek) erano piccole, imprecise e poco leggibili. Nonostante il
gran numero di monumenti bizantini, mancavano i mosaici siciliani,
c’erano solo pochi particolari da Venezia e niente da fuori d’Italia;
Costantinopoli figurava solo come scultura tardoantica ed era as-
sente la chiesa di Santa Sofia. La scelta dei monumenti riprodotti
dipende dal gusto neoclassico di Seroux d’Agincourt, che scrisse i
suoi volumi in pieno neoclassicismo, prima della rivoluzione fran-
cese, anche se poi essi uscirono nell’Ottocento; una traduzione
italiana fu pubblicata nel 1826, tre anni dopo l’edizione originale. Il
suo giudizio sull’arte bizantina e che si tratti di arte degenerata
PRIMI STUDI IN ITALIA
7Seroux d’Agincourt, Storia dell’arte, pp. 256-257.
8R. Garrucci, Storia della arte cristiana nei primi otto secoli della Chiesa, 6 voll. (Prato,
1872-1881). J. Labarte, Histoire des arts industriels au Moyen Age et a l’epoque de la
Renaissance, 4 voll. (Paris, 1864-1866).
rispetto a quella antica. Parlando di un manoscritto miniato della
Biblioteca vaticana, l’Ottateuco Vat. gr. 746, da lui datato al secolo
XIV (oggi lo si ritiene della meta circa del XII), D’Agincourt cosı
spiega l’impossibilita di una rinascita dell’arte bizantina tarda:
“Se dietro questi indizj, per deboli che essi siano, si puo credere cheverso il principio del decimoquinto secolo, il gusto era sul punto dirinascere presso i Greci, ben si comprende per altra parte, che questinuovi progressi non potevano estendersi al di la del momento fatale,che opero la distruzione dell’impero di Oriente colla presa di Costanti-nopoli.E dunque con quest’ultimo monumento che mi bisogna terminare lastoria di questa branca della Pittura, ed anche quella dell’arte in tuttele sue diramazioni considerata della Grecia. Abbandoniamo questodisgraziato paese ad esempio dei Greci occupati in arti, o di lettere,che si trovarono obbligati in questa dolorosa epoca della storia, acercare in Italia un rifugio. Ritorniamo a Roma, e riprendiamo lepitture dei manoscritti latini all’epoca in cui le abbiamo lasciate, vale adire nel duodecimo secolo. Noi vedremo come dopo aver continuato adecadere questa branca dell’Arte si miglioro nel decimoquarto secolo,e si perfeziono nel decimoquinto, nel tempo stesso della pittura ingrande; e noi acquisteremo egualmente la prova, che all’epoca delrinascimento, l’arte di eseguire grandi quadri ebbe qualche obbliga-zione alle pitture dei manoscritti, e che l’Italia in generale fu debitricedi una parte dei suoi successi agli artisti greci, che essa aveva accolti,non ostante la debolezza, e l’ignoranza di questi artisti degenerati.”
7.
Cinquant’anni piu tardi apparve la Storia dell’arte cristiana nei
primi otto secoli della Chiesa di Raffaele Garrucci, in sei volumi
pubblicati tra 1872 e 1881, l’altra enciclopedia ottocentesca di arte
medievale includente molte opere bizantine, insieme ai volumi sulla
Histoire des arts industriels au Moyen Age et a l’epoque de la Renaissance
di Jules Labarte del 1864-18668. A differenza di Seroux d’Agincourt,
Garrucci e un positivista: non esprime giudizi partendo da una idea
prefissata di bello – anche se e entusiasta di una opera classicheg-
giante quale il Rotulo di Giosue della Biblioteca Vaticana –; elenca
piuttosto i monumenti, ripartendoli tra i volumi secondo criteri
oggettivi di luogo o di materiale di esecuzione; fornisce descrizioni e
notizie, ma non commenti, di ogni singola opera (figg. 44-46).
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
9Nell’ordine del testo: vol. 3, tavv. 112-123 (Genesi di Vienna), 124-125 (Genesi
Cotton), 157-167 (Rotulo di Giosue), 142-153 (Cosma Indicoleuste), 128-140 (Evangelia-
rio di Rabbula); volume 4, tavv. 226-228 (Battistero Ursiano), 229-233 (Galla Placidia),
241 (Battistero degli Ariani), 242-252 (Sant’Apollinare Nuovo), 258-264 (San Vitale),
265-267 (Sant’Apollinare Nuovo), 268 (Sinai), 276 (Parenzo).
Garrucci tende a presentare i cicli figurativi al completo, non fa
selezioni di immagini: nel terzo volume include le pitture cimiteriali,
nel quarto i mosaici cimiteriali e non cimiteriali. Dipendendo in
molto dalle scelte del materiale fatto conoscere da Seroux d’Agin-
court, Garrucci presenta tutte le miniature della Genesi di Vienna,
tutti i frammenti superstiti della Genesi Cotton di Londra e gli
acquerelli anteriori all’incendio da lui rintracciati a Parigi, tutti gli
spezzoni del Rotulo di Giosue, molte miniature del Cosma Indico-
pleuste vaticano e dell’Evangeliario di Rabbula. Tra i mosaici molti-
plica il numero di quelli italiani e ravennati in particolare: appaiono
buone riproduzioni del Battistero Ursiano, del Mausoleo di Galla
Placidia, del Battistero degli Ariani, di Sant’Apollinare Nuovo, di
San Vitale (sia Giustiniano, sia Teodora), di Sant’Apollinare in
Classe; ed inoltre alcuni mosaici fuori d’Italia, come il mosaico
absidale della chiesa del Monastero di Santa Caterina al Sinai e
quelli della Cattedrale di Parenzo9.
b. Cristi improsciuttiti e Madonne color cioccolata
Mentre il neoclassico Seroux D’Agincourt ed il positivista Garrucci
aprivano la strada alla scoperta di Bisanzio nella storiografia artistica
in Italia, trattati meno dotti accennavano all’arte bizantina con luo-
ghi comuni vasariani e con espressioni che oggi fanno sorridere. Nel
1839 Giovanni Rosini, nei suoi sette volumi sulla storia della pittura
italiana, che hanno vari riferimenti a Seroux D’Agincourt, fa appena
degli accenni a Bisanzio, inserendo una unica riproduzione a inci-
sione di una miniatura con Eusebio e Carpiano in un manoscritto a
Lucca, testimonianza della perfezione delle miniature bizantine. Gio-
vanni Battista Toschi, in un saggio in quattro puntate sulla “Fisiolo-
gia della pittura trecentistica” apparso nella Nuova Antologia del
1878, fa partire dai Cosmati, Cimabue e Duccio la rinascita dell’arte
italiana, accusando i pittori bizantini di copiarsi servilmente l’uno
con l’altro, facendo delle Madonne identiche, piuttosto che somi-
glianti fra di loro, brutte e a volte “bruttissime sotto ogni aspetto” e
PRIMI STUDI IN ITALIA
10G. Rosini, Storia della pittura italiana esposta coi monumenti, 7 voll. (Pisa, 1839-1848),
vol. 1, Epoca prima da Giunta a Masaccio (1839): le miniature di Eusebio e Carpiano
“adornano un Evangeliario del Secolo X, il quale dalla casa Bonvisi passo ad ornare la
Biblioteca Sovrana di Lucca” (p. 11); G. B. Toschi, “Fisiologia della pittura trecentista”,
Nuova Antologia, ser. 2, 9 (1878), pp. 453-476; 10 (1878), pp. 228-250, 617-637; 11
(1878), pp. 29-45, citazioni da p. 468 della prima puntata e p. 235 della seconda; il brano
di P. Tedeschi, Storia delle arti belle (architettura – pittura- scultura) raccontata ai giovinetti
(Milano, 1872), pp. 127-128, dice:
“Maestro: “(...) dall’epoca della caduta di Roma la pittura s’era andata sempre piu
corrompendo. E nota bene, peggiori dei barbari furono i Greci. Questi, dopo essere stati ai
tempi di Pericle i maestri del buon gusto, erano caduti sempre piu al basso; ne valse a
rialzarli la protezione di Costantino il grande. (...) Sorse quindi una questione della piu alta
importanza per la pittura. I vescovi greci sostenevano che Gesu Cristo, per insegnarci con
suo esempio il disprezzo del mondo, era stato il piu brutto degli uomini; i latini, invece, con
piu buon senso, affermavano tutto il contrario. I pittori greci, cosı ispirati dal clero
cominciarono quindi a dipingere certe brutte figure, certi Cristi improsciuttiti, che facevano
e fanno tuttora paura. Pigliando poi alla lettera le parole della Scrittura «Nigra sum sed
formosa» Sono nera, ma bella, presentavano alla venerazione dei fedeli madonne d’una tinta
olivastra o nera, come se Maria di Nazaret non fosse stata discendente del re di Giuda, ma
di qualche capo della razza tartara o etiopica. Cosı sorse la cosı detta scuola bizantina, con
la quale denominazione si comprendono tutti i quadri de’ pittori greci, o degli italiani loro
imitatori, che dipinsero santi e madonne nella detta maniera.”.
dalle “carni color cioccolatte”; in questo giudizio, Toschi, che do-
veva amare la pittura accademica ottocentesca, accomuna autentiche
tavole bizantine (“la prima tavola della galleria degli Uffizi e una
Madonna di Rico di Candia color di rame, ma in fondo mesta,
maestosa, non sgradevole”) con tavole di primitivi del Duecento
toscano, come la Maddalena della Galleria dell’Accademia (“La
prima tavola della Galleria delle Belle Arti pure in Firenze e una
Santa Maria Maddalena col viso macchiato di bianco, turchino e
rosso proprio in natura, ma considerandone solo i contorni non
sarebbe brutta; ha una cert’aria che non dispiace. Intorno a lei sono
dipinte varie storiette della sua vita, nelle quali le scorrezioni raggiun-
gono il massimo grado”) ed i Berlinghieri (“Nella stessa galleria
[dell’Accademia] si vedono figure orribili di un tal Berlinghieri”).
Infine, Paolo Tedeschi, in un dialogo sulle belle arti tra il maestro ed
il giovane Giovannino, del 1872 (fig. 47), descrive Costantinopoli
come una citta e una corte piena di servi, femmine e cortigiani, e
l’arte bizantina come un’arte alla base delle quali e la civilta romana,
ma corrotta dalla abbondanza degli ornati e della ricchezza, e nella
quale i pittori, per volonta dei preti, facevano Cristi brutti e “impro-
sciuttiti” che fanno paura e Madonne nere come fossero donne
tartare o etiopiche10
.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
11L. Chirtani, L’arte attraverso ai secoli (Milano, 1878), citazioni da pp. 202-203, 211.
c. Una fioritura effimera di studi
L’idea di Bisanzio come erede corrotta di Roma e un luogo comune
dei trattati d’arte italiani degli ultimi decenni del secolo. Nel 1878
Luigi Chirtani pubblica con la casa editrice Treves di Milano (la
stessa della Costantinopoli di De Amicis) L’arte attraverso i secoli, un
volume illustrato da alcune incisioni di monumenti bizantini, tra le
quali Santa Sofia, San Marco a Venezia ed i pannelli di Giustiniano e
Teodora a San Vitale (figg. 48-49). Per Costantinopoli Chirtani
riporta ampi passi dal libro di De Amicis e per l’arte bizantina in
generale riporta il giudizio di che Taine aveva dato per i mosaici di
Ravenna: Bisanzio fu una diga isolata contro i barbari, la quale, nel
mezzo della inondazione generale “divenne un centro di putrefazione
che si ando corrompendo per 1148 anni”, una deformita, un gon-
fiore, una pustola dell’umana natura. Bisanzio e “fantasma orientale
dell’impero romano”; in Santa Sofia alla semplicita greca e suben-
trata la profusione, l’ingombro disordinato; la magnificenza ha sosti-
tuito l’arte, il “fasto che abbarbaglia” ha sostituito il bello. Curiosa-
mente – ma, giustamente, vista l’impressione che ricava dalle opere
bizantine, che e la stessa dei viaggiatori romantici della prima meta
dell’Ottocento –, l’arte bizantina e orientale e “barbara”, aggettivi
che per Chirtani hanno valore negativo; gli Italiani, al contrario,
hanno la tendenza a restare nella tradizione classica: “Roma, corsa
dai barbari e impoverita, non potendo essere ricca, sembra si stu-
diasse di parer bella, colla parsimonia degli ornamenti e la semplicita
delle linee” e grazie alla “indole del genio italico portato alle cose
chiare evidenti, e che non potea rimanere offuscato dalla farraginosa
indole della decorazione bizantina”11
. Moralmente, Bisanzio e perfida
rispetto alla virtuosa Roma (Chirtani la accusa di aver deviato le orde
barbariche verso Roma per salvarsi).
Anche se la visione di Bisanzio che certamente prevalse tra i
classicisti e i conservatori filoromani e quella di una civilta in deca-
denza, dagli anni 1880 e fino al 1910 circa furono pubblicati in Italia
un buon numero di volumi con un approccio all’arte bizantina privi
di tali pregiudizi, aggiornati sui risultati della bizantinistica estera
contemporanea (Diehl, Kondakov, Krumbacher, Schlumberger); al-
tre volte, lavori di studiosi stranieri sono proposti in traduzione
italiana, come nel caso del secondo volume del manuale di storia
PRIMI STUDI IN ITALIA
12A. Springer, Manuale di storia dell’arte, vol. 2, Arte del Medio Evo, riveduto dal dr. G.
Neuwirth, 1a edizione italiana a cura di C. Ricci (Bergamo, 1906); 2aedizione, di nuovo
tradotta ed ampliata sulla 8a edizione tedesca a cura del dr. A. Munoz (Bergamo, 1911). La
definizione di Ricci e da M. Pittaluga, “Arte e studi in Italia nel ’900. Gli storici dell’arte”,
La Nuova Italia 1 (1930), p. 413.13
La basilica di San Marco in Venezia illustrata nella storia e nell’arte da scrittori veneziani, a
cura di C. Boito (Venezia, 1888) contenente P. Saccardo, “Mosaici e loro iscrizioni”, pp.
299-388. G. T. Rivoira, Le origini dell’architettura lombarda e delle sue principali derivazioni nei
paesi d’oltr’alpe, 2 voll. (Roma, 1901 e 1907). A. Colasanti, L’arte bizantina in Italia,
prefazione di C. Ricci (Milano, 1912). Su Corrado Ricci si e da poco tenuto un convegno:
Corrado Ricci storico dell’arte tra esperienza e progetto, Convegno di studi, Ravenna 27-28
settembre 2001.
dell’arte di Springer, curato nelle due edizioni italiane (1906 e 1911)
da due esperti di Bisanzio, rispettivamente Corrado Ricci (“certo il
piu popolare degli scrittori d’arte italiana”), e Antonio Munoz, ma
con notizie a volte clamorosamente errate (per Springer nella cupola
di Santa Sofia si sarebbe ancora trovato raffigurato Cristo tra apostoli
e santi)12
. Da studiosi italiani appaiono la descrizione dei mosaici di
San Marco nella Basilica di San Marco in Venezia di Camillo Boito
(1888), aggiornatissima sulle origini iconografiche dei mosaici delle
cupole dell’atrio da un manoscritto della Genesi proposte dal finlan-
dese Johan Jakob Tikkanen, le pagine sulla architettura bizantina nel
primo volume delle Origini dell’architettura lombarda di Giovanni
Teresio Rivoira (1901) e le cento tavole fotografiche di grande
formato de L’arte bizantina in Italia di Arduino Colasanti (1912) con
poche pagine introduttive e una prefazione di Ricci (fig. 50)13
. Que-
st’ultimo aveva pubblicato nel 1902 una monografia su Ravenna dal
carattere di guida turistica, che fu piu volte ristampata e che contiene
in nuce la differenza, divenuta poi luogo comune, tra interesse per la
forma, proprio della tradizione artistica occidentale romana, per la
quale Ricci parteggia, e interesse per la decorazione, proprio del
gusto orientale bizantino. Esempio di questa “evidentissima” diffe-
renza, “sfuggita per tanto tempo agli storici ed ai critici dell’arte”, tra
valori antagonisti occidentali e orientali sono i mosaici della navata di
Sant’Apollinare Nuovo, che risalgono in parte (i profeti) al periodo
della dominazione gotica di Teodorico, che chiamo ad operare arte-
fici romani, e in parte al successivo periodo della dominazione
orientale bizantina:
“La differenza, ad esempio, che passa tra i musaici eseguiti in Ravennasotto i dominii occidentale e gotico, e quelli eseguiti dopo il ristabili-mento del dominio orientale e la istituzione dell’Esarcato, e palese a
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
14Ricci, Ravenna, citazioni dalle pp. 18-20.
chi li consideri nelle forme, nel sentimento nella tecnica, nella stessasostanza materiale (...). Lascieremo per ora in disparte l’esame deglialtri monumenti ravennati nei quali le forme tradizionali romaneprevalgono su tutto, come nel Mausoleo di Galla Placidia, nel Batti-stero della Cattedrale, ecc., per rimanerci al semplice confronto deidue stili, quali si mostrano in Sant’Apollinare Nuovo. La parte, percosı dire, romana sfugge a ogni ornamento e sembra derivare dallastatuaria. Le figure de’ profeti, di prospetto ravvolti nel manto, collibro o col rotolo in mano, sembrano vere e proprie riproduzioni distatue (... ). Ben piantate sopra un piano prospettico, che ritrae labase, variano l’atteggiamento delle mani e il giro del manto con gestiche si hanno tutti nelle statue antiche. Le loro teste sono ben mossesui forti colli. Le pieghe, stupendamente ombreggiate, a varie grada-zioni di toni, rivelano le forme, che ravvolgono con esattezza.”.
Diverso invece lo stile orientale delle teorie di martiri e vergini:
“Ben altri metodi e ideali d’arte dimostrano le due file (...) delleVergini e dei Martiri. Ogni amore per la forma sembra attutito dinanzialla preoccupazione dell’effetto decorativo. Le figure si succedonosenza varieta, come se fossero levate dallo stesso stampo. (...) Le mani[dei martiri] sono tutte uguali; i piedi grevi, pesanti, talora deformi. Leteste, mal costrutte, sono coperte di capelli che sembrano sottilicalotte. Le carni non hanno varieta cromatica (...).Diverso effetto fanno certo le opposte Vergini, ma non perche le formesiano migliori. Sorprendono, abbagliano per lo splendore delle stoffeaurate e fiorate, dei diademi, dei monili, dei cinti, tutti fregiati d’oro edi gemme. (...)Ma e bellezza quasi unicamente decorativa, non di forma. Si direbbeche, come gli artisti italici sentivano per le loro figure l’influenza dellasevera scoltura classica, i bizantini sentissero invece quella delle sma-glianti stoffe orientali.”.
Lo stile romano e, in conclusione, piu bello, quello bizantino e
piu fastoso e decorativo:
“Conviene pero riconoscere che se, come disegno e, a cosı dire, nellasostanza, il musaico di tradizione romana e piu solido e bello, quellobizantino, con l’esaltazione d’un lusso sfrenato, e piu fastoso e quindipiu decorativo.”
14.
Alcuni dei contributi piu all’avanguardia furono pubblicati nel-
l’Archivio storico dell’arte di Domenico Gnoli (poi divenuto L’arte),
PRIMI STUDI IN ITALIA
15J. J. Tikkanen, “Le rappresentazioni della Genesi in S. Marco a Venezia e loro
relazione con la Bibbia Cottoniana”, Archivio storico dell’arte 1 (1888), pp. 212-23, 257-67,
348-63; cf. id., Die Genesismosaiken von S. Marco in Venedig und ihr Verhaltnis zu den
Miniaturen der Cottonbibel nebst einer Untersuchung uber den Ursprung der mittelalterlichen
Genesisdarstellung besonders in der byzantinischen und italienischen Kunst (Helsingfors, 1889).
H. Graeven, “Il Rotulo di Giosue”, L’Arte 1 (1898), pp. 221-230; id., “Adamo ed Eva nei
cofanetti d’avorio bizantini”, L’Arte 2 (1899), pp. 297-315; cf. “Antike Vorlagen byzantini-
scher Elfenbeinreliefs”, Jahrbuch der koniglichen preussischen Kunstsammlungen 18 (1897), pp.
3-23. Sull’Archivio storico dell’arte e L’arte vedi G. Agosti, La nascita della storia dell’arte in
Italia. Adolfo Venturi: dal museo all’universita 1880 – 1940 (Venezia, 1996), pp. 75-79 e
140-143. Notizie sui primi studiosi di arte italiani degli inizi del secolo si trovano in
Pittaluga, “Arte e studi in Italia nel ‘900”, e in L. Venturi, “Gli studi di storia dell’arte
medievale e moderna”, in Cinquant’anni di vita intellettuale italiana 1896-1946. Scritti in onore
di Benedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario, a cura di C. Antoni e R. Mattioli
(Napoli, 1950), 2, pp. 175-189. Quanto agli studi sull’arte in Italia visti dall’estero, Diehl
nel 1905 (“Les etudes byzantines en 1905”, in C. D., Etudes byzantines. Introduction a
l’histoire de Byzance. Les etudes d’histoire byzantine en 1905. La civilisation byzantine. L’empire
grec sous les Paleologues. Les mosaıques de Nicee, Saint-Luc, Kahrie-Djami, etc. [Paris, 1905],
pp. 38-106) menziona solo Venturi e Rivoira. Una sintesi degli studi stranieri e italiani di
inizio Novecento e in Nicco, “Ravenna e i principi compositivi dell’arte bizantina”, pp.
195-203. Per lo studio delle antichita cristiane vedi G. Wataghin Cantino, “Roma sotterra-
nea. Appunti sulle origini dell’archeologia cristiana”, Ricerche di storia dell’arte 10 (1980),
pp. 5-14; R. Giordani, “Lo studio dell’antichita cristiana nell’Ottocento”, in Lo studio storico
del mondo antico nella cultura italiana dell’Ottocento, Acquasparta, Palazzo Cesi, 30 maggio –
1˚ giugno 1988, a cura di L. Polverini (Napoli, 1993), pp. 335-358.16
Di Munoz vedi: “Descrizioni di opere d’arte in un poeta bizantino del secolo XIV
(Manuel Philes)”, Repertorium fur Kunstwissenschaft 27 (1904), pp. 390-400; I codici greci
miniati delle minori biblioteche di Roma (Firenze, 1905); “I musaici di Kahrie Giami”,
Rassegna Italiana, marzo 1906; Il codice purpureo di Rossano e il frammento Sinopense (Roma,
anche come riproposizione di articoli di contenuto simile gia apparsi
altrove in lingua straniera; tra questi il lungo articolo di Tikkanen sui
rapporti iconografici tra i mosaici della Genesi nell’atrio di San
Marco e le miniature del manoscritto della Genesi Cotton, a cui si
faceva riferimento nel volume di Boito, e quelli di Hans Graeven sul
Rotulo di Giosue e sulle cassette d’avorio bizantine15
. Il piu attivo
scrittore di cose bizantine sembra Munoz, abile nel tener dietro ai
soggetti su cui dibatteva al momento la bizantinistica (i manoscritti
del Serraglio, i mosaici di San Salvatore in Chora a Costantinopoli,
gli Ottateuchi miniati, ecc.) e a riproporli al pubblico italiano. Nono-
stante l’eclettismo metodologico dei suoi testi, che variano da descri-
zioni tout court degli oggetti a pubblicazioni di fonti scritte di opere
bizantine ed a studi iconografici, va riconosciuta in ogni caso a
Munoz la rilevanza del lavoro fatto con la riproduzione dell’Evange-
liario purpureo miniato di Rossano Calabro (che stava per essere
illegittimamente venduto nel 1889 dai canonici del capitolo di Ros-
sano) e la descrizione dei manoscritti nelle biblioteche minori di
Roma e delle icone vaticane16
.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
1907); “Nella Biblioteca del Seraglio a Costantinopoli”, Nuova antologia 130 (1907), pp.
314-320; Le icone bizantine gia nel Museo Cristiano della Biblioteca Vaticana (Roma, 1924);
“Alcuni dipinti bizantini di Firenze”, Rivista d’arte 6 (1907), pp. 113-120; “Alcune
osservazioni intorno al Rotulo di Giosue e agli Ottateuchi illustrati”, Byzantion 1 (1924),
pp. 475-483. Quanto agli Ottateuchi Strzygowski aveva pubblicato uno studio su alcuni
Ottateuchi bizantini, tra i quali il codice 8 della Biblioteca del Serraglio presentato da
Munoz (J. Strzygowski, Der Bilderkreis des griechischen Physiologus, des Kosmas Indicopleustes
und Oktateuch nach Handschriften der Bibliothek zu Smyrna [Byzantiniches Archiv, Heft 2.
Leipzig, 1899]) e pubblicato poi da F. Uspenskii (Konstantinopolskii Seral’skii kodeks
Vos’mikniziia (L’Octateuque de la Bibliotheque du Serail a Constantinople) [Izvestiia Russkago
Arkheologicheskago Instituta v Konstantinopolie / Bulletin de l’Institut archeologique russe a
Constantinople, 12 1907], Sofia, 1907; Al’bom, Munich, 1907). Quanto al Rossanense erano
usciti O. von Gebhardt e A. Harnack, Evangeliorum Codex Graecus Purpureus Rossanensis
(Leipzig, 1880) e A. Haseloff, Codex Purpureus Rossanensis. Die Miniaturen der griechischen
Evangelien-Handschrift in Rossano (Berlin – Leipzig, 1898): Munoz sottolinea inesattezze e
deficienze nelle tavole di entrambe le edizioni. La notizia del tentativo di vendita dell’evan-
geliario purpureo da parte dei canonici di Rossano Calabro e data in Archivio storico dell’arte
2 (1889), pp. 93-94.17
A. Venturi, Storia dell’arte italiana, 11 voll. (Milano, 1901-1940); vol. 1, Dai primordi
dell’arte cristiana al tempo di Giustiniano (1901); vol. 2, Dall’arte barbarica alla romanica
(1902).18
Cosı nella commemorazione del 4 maggio 1942 al Reale Istituto d’Archeologia e Storia
dell’Arte: P. Toesca, Adolfo Venturi, commemorazione tenuta il 4 maggio 1942-XX al Reale
Istituto d’Archeologia e Storia dell’Arte (Roma, 1942-XX), p. 14. Invece, nella commemo-
razione di Venturi apparsa in Le arti, a proposito della Storia dell’arte italiana, Toesca scrive
soltanto (p. 311): “Superate le origini del Medioevo, in cui pure ricerco problemi fra le
tenebre dell’arte barbarica, riaffermando la sua convinzione nel sopravvivere dell’arte
discesa da Roma; quando fu giunto nell’eta romanica al definirsi di un’arte italiana (...)”;
id., “Adolfo Venturi”, Le arti 3 (1940-1941), pp. 309-312.
L’eclettismo di Munoz ha le sue radici nei volumi della Storia
dell’arte italiana del suo maestro Adolfo Venturi, i cui due primi
volumi, che trattano l’arte medievale fino al romanico, uscirono nel
1901 e nel 1902 (figg. 51-57)17
. Le lezioni romane di Venturi furono
seguite da molti dei protagonisti delle discussioni su Bisanzio e l’arte
contemporanea nella prima meta del Novecento; tra questi, oltre a
Munoz, Pietro D’Achiardi, Giuseppe Fiocco, Gustavo Giovannoni,
Federico Hermanin, Mario Salmi, Pietro Toesca. Commemorandolo
nel 1942, Toesca sottolineo come Venturi cercasse le origini dell’arte
italiana nell’antichita, vedesse nell’arte etrusca il preludio dell’arte
toscana e asserisse la persistenza dell’eredita romana nell’arte medie-
vale, risalendo oltre Roma a cercare le radici dei caratteri della stirpe
italiana; nel Medioevo “ancora non gli si affacciava distintamente
l’arte italiana, mentre intorno gli insistevano, quale piu eletta, quale
piu rude ma vigorosa, l’arte bizantina e la carolingia e la barbarica”18
.
Venturi e il primo studioso italiano a cimentarsi in una esposi-
zione generale dell’arte bizantina, destinato a rimanere pressoche
PRIMI STUDI IN ITALIA
19J. J. Tikkanen, Die Psalterillustration im Mittelalter (Helsingfors, 1903).
20I giudizi dalla Storia dell’arte italiana di Venturi riportati nel testo sono dal vol. 1, pp.
309-328, 340-344, 379, e dal vol. 2, pp. 478-485.
l’unico. I suoi due volumi includono un buon numero di manoscritti
miniati tardoantichi e bizantini, tra i quali il Virgilio Vaticano della
Biblioteca Vaticana, l’Iliade Ambrosiana (questi tre manoscritti
erano rimasti fino ad allora quasi sconosciuti agli studiosi italiani), la
Genesi Cotton, la Genesi di Vienna, il Rossanense, il Dioscoride di
Vienna, un buon numero di salteri tra i quali il Salterio di Parigi (per
questi dipendendo molto da recenti studi di Tikkanen)19
e altri
manoscritti bizantini gia noti. Venturi parte da un punto di vista
classico nel giudicare le opere e, di fatto, non ama le arti per lo piu
decadenti del periodo barbarico e del periodo bizantino: si stupisce
della bellezza delle figure e della vivezza dei colori nelle miniature del
Dioscoride di Vienna, che “riflettono le forme classiche” ancora agli
inizi del VI secolo, “quantunque eseguite a Bisanzio”. Mentre la
presentazione del Virgilio Vaticano, che Venturi data al IV secolo,
occupa ben diciassette pagine del primo volume con le sue miniature
di tradizione antica, al contrario le miniature piu medievali del
Virgilio Romano non sono considerate: “Non teniamo conto del
Virgilio romano (n. 3867) della Vaticana, perche le illustrazioni che
reca sono certo un esercizio di fanciullo barbaro, o di barbaro
ignorante quanto un fanciullo”. Non gli piace il Rotulo di Giosue,
copia da opera del X secolo di mano di un “calligrafo” e “improvvi-
sato miniatore”, ma il Salterio di Parigi, copia anch’esso dall’antico,
mostra un “vero fiorire dell’arte classica (...) nella seconda eta d’oro
bizantina”.
Altri giudizi di Venturi sono invece liberi da condizionamenti
classici, come nelle lodi delle miniature del Rossanense (fig. 52),
anticipatrici dell’arte di Giotto, e della Scala paradisiaca di Giovanni
Climaco della Vaticana (cod. Vat. gr. 394) (fig. 57) – “di una finezza
senza pari”, “non la decadenza di un’arte, ma un rinascimento” –
che restano uniche nella critica italiana:
“il miniatore vince le convenzioni, profonde sentimenti umani, sor-prende la vita. Questo capolavoro della miniatura proclama la forza ela grandezza dell’arte bizantina, che si considera gia avvolta dal buioalla fine dell’eta d’oro: era quell’arte civile che si diffondeva nel secoloXII sulle nostre coste, nelle nostre isole, fecondando l’arte occidenta-le”
20.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
21A. Munoz, L’Art Byzantin a l’exposition de Grottaferrata (Roma, 1906).
22Il Rotulo di Giosue, a cura di P. Franchi de’ Cavalieri (Codices e Vaticanis selecti, 5.
Milano, 1905); Il Menologio di Basilio II (cod. vat. gr. 1613) (Codices e Vaticanis selecti
phototypice expressi, 8. Torino, 1907); C. Stornajolo, Le miniature della Topografia Cristiana
di Cosma Indicopleuste. Codice Vaticano Greco 699 (Codices e Vaticanis selecti phototypice
expressi, 10. Milano, 1908); C. Stornajolo, Miniature delle Omilie di Giacomo Monaco (Cod.
Vatic. Gr. 1162) e dell’Evangeliario Greco Urbinate (Cod. Vatic. Urbin. Gr. 2) (Codices e
Vaticanis selecti phototypice expressi, Series Minor, 1. Roma, 1910); B. D. Filow, Les
miniatures de la Chronique de Manasses a la Bibliotheque du Vatican (cod. Vat. Slav. II)
(Codices e Vaticanis selecti, 17. Sofia, 1927). Homeri Iliadis pictae fragmenta ambrosiana
phototypice edita, a cura di A. M. Ceriani e A. Ratti (Milano, 1905).
L’arte bizantina era quindi ben lontana dal sonno di morte;
anche Duccio doveva essersi ispirato a un evangeliario bizantino
simile al cod. Vat. gr. 1156 (che e datato alla seconda meta del
secolo XI).
La prima esposizione di oggetti d’arte bizantini in Italia fu alle-
stita a Grottaferrata nel 1905 in occasione del nono centenario dalla
fondazione dell’abbazia da parte di San Nilo; il catalogo fu curato da
Munoz21
. Nella mostra, caso unico in Italia che non avra seguito per
almeno cinquant’anni, furono esposte miniature, icone, stoffe, orefi-
cerie provenienti per lo piu dal Museo Cristiano della Biblioteca
Vaticana. Il materiale esposto era comunque eterogeneo ed ordinato
per tipologie, non era presentato alcun percorso storico dell’arte
bizantina. Erano esposti anche dipinti pregiotteschi toscani, attribuiti
a Duccio o Cimabue, manoscritti miniati italo-greci e latini da
Montecassino, oltre al Rossanense e due evangeliari di proprieta
dell’abbazia. La Biblioteca Vaticana aveva frattanto iniziato a pubbli-
care i cicli miniati completi dei propri manoscritti bizantini e slavi in
una serie in cui apparvero il Rotulo di Giosue (1905), il Menologio
di Basilio II (1907), la Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste
(nel 1908) le Omelie del monaco Giacomo e l’Evangeliario Urbinate
gr. 2 (1910), la Cronaca di Manasse (1927). Contemporaneamente,
furono completamente pubblicati i fogli superstiti dell’Iliade Ambro-
siana con il commento di Antonio Maria Ceriani e Achille Ratti,
quest’ultimo poi divenuto papa Pio XI (1905)22
. Dal 1890, i fotografi
Alinari cominciarono a documentare le opere d’arte in Italia, com-
prese le opere bizantine; Alinari non fece mai campagne fotografiche
su monumenti all’estero, salvo, per i possedimenti e le colonie
acquisiti dall’Italia in Istria (in particolare Parenzo) e in Dalmazia,
nel 1922, e nel Mare Egeo, nel 1936.
5
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO
ALL’ARTE ITALIANA
‘‘Fino all’anno 1200, la pittura in tutta Europa fucostantinopolitana, come negli ultimi cent’anni, in cifratonda, e stata parigina’’.
Bernard Berenson, ‘‘Due dipinti’’, 1922
Tra l’inizio del Novecento e la seconda guerra mondiale la fortuna di
Bisanzio e in veloce ascesa e la bizantinistica, nata da una costola
dell’antichistica, si consolida come disciplina autonoma. La rivaluta-
zione di Bisanzio e della sua arte sono parallele, negli studi e nella
produzione artistica contemporanea, alla svalutazione dell’arte ro-
mana. Soprattutto in Francia, l’amore di impressionisti e postimpres-
sionisti per la natura ed i colori porta all’abbandono dell’arte accade-
mica e dell’arte classica suo modello ed al favore verso la spiritualita
ed il cromatismo di primitivi e bizantini. Nello stesso tempo, un
bizantinista, Strzygowski, cancella il ruolo di Roma come genitrice
dell’arte medievale e ne fa risalire i caratteri innovativi all’Oriente, in
un primo tempo alle metropoli del Mediterraneo orientale, poi alle
razze ariane dell’Iran e del Nord Europa.
a. L’apogeo novecentesco di Bisanzio
Alla fine dell’Ottocento ed agli inizi del Novecento le avanguardie
europee, soprattutto in Francia a partire dai simbolisti, si ispirarono
a mosaici bizantini e ad icone russe, quest’ultime rese famose dalla
esposizione Deux siecles d’art russe organizzata da Sergej Diaghilev al
Salon d’Automne di Parigi del 1906. Kandinsky, in Sullo spirituale
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
1W. Kandinsky, Uber das Geistige in der Kunst (Munchen, 1912); traduzione italiana,
Della spiritualita nell’arte particolarmente nella pittura, prima versione italiana a cura di G. A.
Colonna di Cesaro (Roma, 1940), pp. 107-108 e tavv. 2 e 6. W. Kandinsky e F. Marc, Der
blaue Reiter (Munchen, 1912), traduzione italiana, Il Cavaliere azzurro (Bari, 1967), p. 36.
nell’arte del 1912, porta il mosaico di Teodora a San Vitale e le
bagnanti di Cezanne come esempio di composizione ‘‘melodica’’;
riproduzioni da un mosaico di Venezia apparirono nell’almanacco
del Cavaliere azzurro1. Bisanzio trionfo tra artisti e critici anglosassoni
(soprattutto Roger Fry, Matthew Stewart Prichard e William Morris,
per il quale Santa Sofia era ‘‘the crown of all the great buldings in
the world’’) negli anni immediatamente precedenti la prima guerra
mondiale, che sono anche gli anni in cui ebbero inizio indagini
archeologiche e grandi progetti di restauro di monumenti bizantini.
Boris Anrep, sostenuto da Fry, cerco di riproporre l’arte del mosaico
bizantino in Inghilterra. Nella undicesima edizione della Encyclopæ-
dia Britannica del 1910-1911, la voce ‘‘Byzantine Art’’, scritta dal-
l’architetto William Richard Lethaby ed illustrata solamente con
architetture (Santa Sofia, la Piccola Cattedrale di Atene, la chiesa del
monastero di Dafni, capitelli di Ravenna e Venezia), parlava entusia-
sticamente dell’arte bizantina e asseriva la sua enorme influenza
sull’arte dell’Europa e dell’Oriente durante il Medioevo; diversi edi-
fici in Italia sarebbero da chiamare propriamente bizantini. In Au-
stria, Alphonse Mucha e Gustav Klimt seguiti in Italia da Chini e
Vittorio Zecchin, imitarono l’arte bizantina nella giustapposizione e
nell’estetismo dei colori. Nei paesi occidentali furono erette chiese in
stile neobizantino; negli Stati Uniti, gli stili bizantino e romanico
erano sentiti piu adatti che lo stile gotico alle chiese e cattedrali
nazionali cattoliche e ortodosse di Washington: il National Shrine of
the Immaculate Conception, la chiesa di Haghia Sophia e la Catte-
drale di San Matteo Apostolo, ebbero piante architettoniche model-
late su Santa Sofia di Costantinopoli e San Marco di Venezia e pareti
decorate con mosaici di stile bizantino. Di Carlo Wostry, pittore
triestino emigrato nel 1925 negli Stati Uniti, La Rivista illustrata del
‘‘Popolo d’Italia’’ fece un panegirico nazionalistico nel 1936 rico-
struendo la sua attivita americana: dalla prima commissione di dieci
quadri con scene per la Vergine nella chiesa di Notre Dame di
Lourdes a New York al trasferimento a Hollywood, dove il parroco
di Sant’Andrea a Pasadena lo invita a decorare la sua chiesa, appena
eretta ‘‘in stile bizantino o neo-cristiano, ispirandosi precisamente
alla basilica di Santa Maria Sabina in Roma’’, con quattordici dipinti
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
2R. Fry, “Modern Mosaic and Mr. Boris Anrep”, The Burlington Magazine 42 (1923),
pp. 272-278. W. R. Lethaby, “Byzantine Art”, in Enciclopædia Britannica (Cambridge,
191011
), pp. 906-911. Sui rapporti tra artisti moderni e arte bizantina vedi C. Greenberg,
“Byzantine Parallels”, in C. G., Art and Culture: Critical Essays (Boston, 1965), pp. 169-171
(traduzione italiana Arte e cultura. Saggi critici [Torino, 1991], pp. 165-167). L’apprezza-
mento dell’arte bizantina in Francia, Inghilterra e Stati Uniti e sintetizzato in Rice, The
Appreciation of Byzantine Art, cap. 2, pp. 20-42, dal quale e presa la definizione di Santa
Sofia di Morris; J. B. Bullen, “Byzantinism and Modernism 1900-1914”, The Burlington
Magazine n 141, novembre 1999, pp. 665-675. Sulla fortuna di Bisanzio, la formazione
delle collezioni di oggetti e l’inizio degli studi di bizantinistica negli Stati Uniti vedi K.
Weitzmann, “Byzantine Art and Scholarship in America”, American Journal of Archaeology
51 (1947), pp. 394-418. Delle chiese di Washington, il progetto del National Shrine of the
Immaculate Conception (la cattedrale cattolica di America) risale al 1919, la chiesa di San
Matteo Apostolo fu consacrata nel 1913, la chiesa ortodossa di Haghia Sophia riproduce la
struttura ed i mosaici di San Marco di Venezia; agli esempi di questo revival neomedievale
va aggiunto il Monastero Francescano a Washington con decorazioni musive e repliche di
catacombe di Roma. Per Carlo Wostry: A. B., “Affermazioni italiane in America”, La
Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 14 n 3 (marzo 1936), pp. 33-35. Modelli di architet-
tura e decorazione bizantina in senso lato si trovano utilizzati in Italia, ad esempio, per
chiese ortodosse, come la chiesa russa di Firenze del 1902: G. Gobbi, Itinerario di Firenze
moderna. Architettura 1860-1975 (Firenze, 1976), p. 32.
delle stazioni della Via Crucis ed altre dieci scene della vita di Gesu,
un Pantocrator con una teoria di santi e sante alternati alla maniera
di Sant’Apollinare di Ravenna nell’abside, scene della vita di San-
t’Andrea nell’arco trionfale, altre storie della Vergine e Santi nelle
cappelle (fig. 58)2.
Ai pionieri della bizantinistica ottocentesca successe una genera-
zione folta di studiosi, che si ramifico nei paesi europei e in America.
L’indagine delle radici ellenistiche e della continuita o delle rina-
scenze classiche dell’arte bizantina fu al centro degli studi in Francia
(Diehl), Russia (Dimitri V. Ainalov, scolaro di Kondakov), Austria e
Germania (Franz Wickhoff, Adolf Goldschmidt, Kurt Weitzmann),
dove i corsi di arte bizantina erano accoppiati nel curriculum studen-
tesco agli studi sull’archeologia classica. A Monaco fu fondata nel
1892 la Byzantinische Zeitschrift, la prima rivista di bizantinistica,
seguita in Russia da Vizantjskij Vremennik nel 1894 e a Bruxelles da
Byzantion nel 1925. L’impostazione filologica e archeologica germa-
nica impronto, come caratteristica costitutiva, la bizantinistica ameri-
cana (Howard Crosby Butler, Earl Baldwin Smith, Charles R. Mo-
rey, Albert M. Friend Jr) che si adopero in questo periodo
soprattutto nella ricerca delle origini dell’arte bizantina in Siria, Asia
Minore e Alessandria. Quasi sempre, comunque, l’interesse si con-
centro sui secoli formativi dell’arte bizantina, per la loro prossimita
con il mondo classico, o sul regno della dinastia macedone (IX-XI
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
3S. Bettini, La pittura bizantina, 1 (Firenze, 1937-XV); 2, I mosaici, 2 voll. (Firenze,
1939-XVII); id., La scultura bizantina, 2 voll. (Firenze, 1944). O. M. Dalton, Byzantine Art
and Archaeology (Oxford, 1911); id., East Christian Art (Oxford, 1925). C. Diehl, Manuel
d’art byzantine, 2 voll. (Paris, 1910; seconda edizione 1926); id., L’art chretien primitif et l’art
byzantin (Paris e Brussels, 1928). H. Peirce e R. Tyler, Byzantine Art (London, 1926). J.
Ebersolt, La miniature byzantine (Paris – Brussels, 1926). A. Goldschmidt e K. Weitzmann,
Die byzantinischen Elfenbeinskulpturen des X.-XIII. Jahrhunderts, 1, Kasten, 2, Reliefs (Berlin,
1930 e 1934). G. Millet, Recherches sur l’iconographie de l’Evangile au XIVe, XVe et XVIe
siecles (Paris, 1916). P. Muratov, La pittura russa antica (Praga – Roma, 1925); id., La
pittura bizantina (Roma, 1928). K. Weitzmann, Die byzantinische Buchmalerei des 9. und 10.
Jahrhunderts (Berlin, 1935). O. Wulff, Altchristliche und Byzantinische Kunst, 1, Die altchristli-
che Kunst von ihren Anfangen bis zur Mitte des ersten Jahrtausends, 2, Die byzantinische Kunst
(Berlin – Neubabelsberg, 1914 e 1918); id., Die Byzantinische Kunst von der ersten Blute bis
zu ihrem Ausgang: Handbuch der Kunstwissenschaft, a cura di F. Berger e A. E. Brinckmann
(Potsdam, 1924).4
Ojetti, tuttavia, riconobbe il debito verso Bisanzio dell’arte italiana nella prefazione al
catalogo della mostra parigina di arte italiana da Cimabue a Tiepolo del 1925: U. Ojetti,
“Preface”, in Exposition de l’art italien de Cimabue a Tiepolo, Paris, Petit Palais, 1935,
secolo), il periodo durante il quale avvenne una ripresa di modi
classici tale da meritare la definizione di ‘Rinascenza macedone’.
Apparvero in questi anni studi iconografici complessivi (le ricer-
che sulla iconografia del Vangelo di Gabriel Millet, 1916), studi
storico-artistici, compendi generali sull’arte bizantina (i manuali di
Diehl del 1910 e del 1928, di Ormond M. Dalton del 1911 e del
1925, di Oskar Wulff del 1914-1918 e del 1924, di Hayford Peirce e
Royall Tyler del 1926, di Jean Ebersolt sulle arti sontuarie e sulla
miniatura, rispettivamente del 1923 e 1926, di Weitzmann sulla
miniatura dei secoli X-XI, del 1935), repertori (di Goldschmidt e
Weitzmann sugli avori). In italiano uscirono i libri di Pavel Muratov
sulla pittura bizantina e sulla pittura russa nel 1925 e nel 1928, ma i
primi manuali di studiosi italiani (fatta eccezione per le pagine su
Bisanzio nella Storia dell’arte italiana di Adolfo Venturi) furono i
volumetti di Sergio Bettini sulla pittura, i mosaici e la scultura
bizantina rispettivamente del 1937, 1939, 19443
La fortuna di Bisanzio ebbe il suo apogeo con la prima esposi-
zione internazionale di arte bizantina a Parigi, aperta in maggio e
giugno del 1931 al Musee des Arts Decoratifs, nel Pavillon de
Marsan al Louvre. Il comitato scientifico era presieduto da Diehl ed
aveva Georges Duthuit come segretario generale; oltre ai maggiori
bizantinisti francesi (Louis Brehier, Ebersolt, Millet), vi partecipa-
vano studiosi di Austria , Belgio, Germania, Gran Bretagna, Grecia,
Italia, Spagna, Stati Uniti; per l’Italia vennero Corrado Ricci, Carlo
Cecchelli, Giuseppe Mercati, Antonio Munoz, Ugo Ojetti (senz’altro
di gusti piu classici e accademici che bizantini)4, Pietro Toesca,
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
catalogo della mostra, p. xiii:
“(...) l’influence byzantine qui, profonde et durable en France, s’exerca en Italie, de
Ravenne a Rome, de Palerme a Sienne, pendant plus de six cents ans, jusqu’a la deuxieme
periode d’or de l’art byzantin, et jusq’aux Toscans de l’epoque de Duccio qui admira et prit
dans la sculpture francaise la sinuosite des plis, mais qui tira de l’art byzantin la musique
des lignes et l’eclat des couleurs.”5
Exposition internationale d’art byzantin, Paris, Musee des Arts decoratifs, Palais du
Louvre, Pavillon de Marsan, 28 maggio – 9 luglio 1931, catalogo della mostra (Paris
[1931]); i testi di Diehl, Tyler e Ebersolt sono rispettivamente alle pp. 19-24, 25-29 e
45-53, 31-43. A seguito della mostra e basato sugli oggetti lı esposti uscı Art byzantin. Cent
planches reproduisant un grand nombre de pieces choisies permi le plus representatives des diverses
tendances ..., a cura di F. Volbach e G. Duthuit, introduzione di G. Salle (Paris [1933]). Nel
1936, la Biblioteca Apostolica Vaticana aprı una mostra di manoscritti bizantini, tra i quali
furono esposti gli Ottateuchi cod. Vat. gr. 746 e cod. Vat. gr. 747, il Giobbe cod. Vat. gr.
749, i Libri di Samuele e dei Re cod. Vat. gr. 333, il Cosma Indicopleuste cod. Vat. gr. 699,
il Menologio di Basilio II cod. Vat. gr. 1613, la Bibbia della Regina Cristina cod. Regin. gr.
1, le Omelie di Giacomo Monaco cod. Vat. gr. 1162: Catalogo della mostra di manoscritti e
documenti bizantini disposta dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Archivio Segreto in
occasione del V Congresso Internazionale di Studi bizantini, Roma, 20-26 settembre 1936
(Citta del Vaticano, 1936).
Adolfo Venturi e Roberto Paribeni (che di Bisanzio era un denigra-
tore; fu forse mandato a mo’ di capomanipolo a controllare Toesca e
Venturi che erano ostili al fascismo). Il catalogo ebbe introduzioni di
Diehl, decano degli studi su Bisanzio, e di Tyler, collezionista e
conoscitore di opere bizantine, che lamentarono il poco materiale
riprodotto di Bisanzio e il giudizio corrente dato con occhi occiden-
tali sulla sua arte di essere inumana, immobile, rigida nelle formule
espressive. Ebersolt sottolineo invece il gusto del colore nell’arte
bizantina, cosı amato dagli artisti contemporanei. La mostra presento
un insieme straordinario di opere bizantine; due sezioni espositive
con una quarantina di manoscritti furono aperte nello stesso Louvre
e nella Biblioteca Nazionale; ad esse l’Italia, alla ricerca di prestigio
internazionale (l’anno prima Mussolini aveva inviato alla mostra di
arte italiana di Londra alcuni dei piu celebri capolavori dei musei
italiani), contribuı con un piccolo gruppo dei piu preziosi manoscritti
conservati nelle sue biblioteche, tra i quali il Giobbe di Napoli, il
Rossanense ed i Cinegetica di Venezia5.
b. Parigi, cioe Bisanzio
L’apoteosi dell’arte bizantina si svolse dunque in Francia. Non piu
apprezzata soltanto per il suo esotismo e la sua ricchezza come
avevano fatto i simbolisti, l’arte bizantina era amata per la sua
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
6M. Denis, “Notes sur la peinture religieuse”, in Theories 1890-1910 (Paris, 1920), p. 37.
7G. Duthuit, Byzance et l’art du XIIe siecle (Paris, 1926), p. 13; la citazione di Renoir,
ripresa da A. Vollard, La vie et l’œuvre de Pierre-Auguste Renoir (Paris, 1919), e alla nota 3 p.
104. Di Strzygowski Duthuit parla alle pp. 37 sgg.
capacita di tradurre in immagini sentimenti mistici e conferire imma-
terialita alle figure. Maurice Denis proclamo che la pittura bizantina
aveva portato il linguaggio figurativo cristiano alla espressione piu
alta6. Scrivendo nel 1926 su Bisanzio e l’arte del XII secolo, Duthuit
– che fu forse lo scrittore piu bersagliato dalla critica italiana anti-
francese ed antibizantina a causa della sua antipatia per l’arte ita-
liana, che era provocata in massima parte dal disgusto per il cromati-
smo ‘‘sgraziato’’ e ‘‘cacofonico’’ dei dipinti italiani – fece notare
come Renoir, viaggiando in Italia, avesse lasciato precipitosamente
Roma e Firenze, per la tristezza degli edifici e la freddezza delle
chiese; annoiato dal nero e bianco del Rinascimento forentino, Re-
noir si fermo invece a Venezia a rendere omaggio alla cattedrale
bizantina di San Marco, vero tempio adorno di magnifici mosaici del
quale e impossibile supporre la bellezza finche non vi si entra al suo
interno:
‘‘Et la basilique de Saint-Marc, voila qui m’a change des froids eglisesitaliennes de la Renaissance, et surtout de cette cathedrale de Milano,dont les Italiens sont si fiers, avec son toit en dentelle de marbre, desbetises, quoi! ... A Saint-Marc, et des l’entree, on sent qu’on est dansun veritable temple: cet air doux et tamise, et ces magnifiques mosaı-ques, ce grand Christ byzantin, avec un cerne gris! Impossible desoupconner, lorsqu’on n’est pas entre dans Saint-Marc, combien c’estbeau, les piliers lourds, les colonnes sans moulures! ...’’.
Il colore parla al cuore, scrisse Duthuit citando Ruskin. Duthuit
sposo le tesi orientaliste di Strzygowski (questo ‘‘vecchio professore’’
che lavora in maniera ‘‘prodigiosa’’ da piu di vent’anni, ‘‘etnologo,
sociologo, architetto, esegeta a pretese profetiche’’): era giunto il
momento di rigettare l’‘‘ipotesi di propaganda’’ dell’archeologia eu-
ropea del predominio artistico dell’arte di Roma nell’antichita e
sostituirla con l’ipotesi del predominio delle componenti asiatiche
diffuse dalle grandi citta del Mediterraneo orientale7.
Dai pittori delle avanguardie l’arte greco-romana era sentita
come fredda, ufficiale e falsa nel suo tentativo di simulare una
impossibile perfezione: la sosituı come modello l’arte espressiva e
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
8Cf. A. Clutton-Brock, “The ‘Primitive’ Tendency in Modern Art”, The Burlington
Magazine 19 (1911), pp. 226-228.9
H. Bouchot, Les primitifs francais (1252-1500). Complement documentaire au catalogue
officiel de l’exposition (Paris, 1904); i passi completi (pp. 9, 37-38, 41, 65 rispettivamente)
recitano:
“Les Italiens avaient sous les yeux les redites grecques ou romaines rencontrees partout;
les Francais n’avaient que la nature naıve et sincere, et s’ingeniaient a l’imiter de leur
mieux.” “Aussi tandis que les peuples de l’Italie, qui demeuraient soumis a la tradition
antique deformee et abımee, se confinent dans la copie plus au moins adroite de neo-grecs
de Byzance, et, de decadence en decadence, aboutissent a Cimabue, les barbares du Nord,
livres a eoux-memes, se cherchent un canon particulier, et prennent un rang individuel et
original.” “Des avant Cimabue dont les vierges exclusivement orientales, figees et sans
grace, n’ont d’etonnant que leur conservation, les vieux Francais cherchent l’expression de
nature, la verite.” “[A confronto con] les attitudes mornes, rigides, sans ame, le vieux
Francais a voulu exprimer la vie; il a reellement trouve la note sublime dans un geste, un
imple mouvement d’un naturalisme exquis.”. Cf. E. Castelnuovo, “«Primitifs» e «fin de
siecle»”, in Storia dell’arte e politica culturale intorno al 1900. La fondazione dell’Istituto
Germanico di Storia dell’Arte di Firenze. Per i cento anni dalla fondazione del Kunsthistorisches
Institut in Florenz, Convegno Internazionale, Firenze, 21-24 maggio 1997, a cura di M.
Seidel (Padova, 1999), p. 49.
viva dei primitivi occidentali e dei bizantini8. Lo sciovinismo artistico
antitaliano ebbe un suo picco alla mostra dei primitivi francesi del
1904: qui gli Italiani del Medioevo, popoli e artisti, furono visti come
sottomessi alla tradizione antica ‘‘deformee et abımee’’ e come cattivi
copisti dei neogreci di Bisanzio; al contrario, i Francesi, non avendo
che la natura ‘‘naıve et sincere’’, s’ingegnano di imitarla (evidenta-
mente un punto di vista impressionistico), cercando un loro canone
originale: le vergini di Cimabue sono ‘‘mornes, rigides, sans ame’’,
quelle francesi esprimono la vita, trovano ‘‘la note sublime dans un
geste’’, con un ‘‘naturalisme exquis’’; lo stesso Giotto, ’’byzantin de
gouts et de pratique’’, avrebbe imparato la tecnica pittorica da
Etienne d’Auxerre, chiamato a Roma da Bonifacio VIII nel 12989.
La scelta dei pittori dell’avanguardia per una pittura senza terza
dimensione trova come antesignane le qualita pittoriche dell’arte
bizantina, in primo luogo il suo cromatismo e lo svolgersi dei soggetti
raffigurati su superfici piane; il cromatismo trionfo cosı sul plastici-
smo della tradizione italiana. I Fauves, soprattutto Georges Rouault
e Henri Matisse, furono gli artisti piu indebitati con il mondo
orientale. Matisse, secondo Duthuit, che di Matisse divenne genero,
era oggetto delle stesse critiche che gli Italiani del Rinascimento
avevano fatto alla maniera greca. Il senso che Matisse ha dei colori,
scrive Duthuit in Les Fauves del 1949, e lo stesso degli orafi bizan-
tini: nelle loro figure a smalti cloisonnee, se cessiamo di guardarle
nelle minuzie da archeologo, i verdi, i rossi, gli azzurri, i marroni e i
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
10G. Duthuit, Les Fauves. Braque Derain Van Dongen Dufy Friesz Manguin Marquet
Matisse Puy Vlaminck (Geneve, 1949), p. 211 (citato anche in Matisse. “La revelation m’est
venue de l’Orient”, Roma, Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, 20 settembre 1997 –
20 gennaio 1998, catalogo della mostra, a cura di C. Duthuit, A. Kostenevich, R. Labrusse,
J. Leymarie [Firenze, 1997], p. 108 n 6).11
La recensione di Longhi apparve su Paragone 1 (1950), pp. 63-64.
rosa perdono la loro funzione narrativa e compongono con il loro
supporto d’oro, proprio come in Matisse, una ‘‘orchestrazione colo-
rata’’; ‘‘questi timbri di smalto, infine, non sono che un accordo nel
coro liturgico, nelle icone, nei costumi, nel ciborio, nelle lampade,
ecc. e figure infine di una danza solenne’’:
‘‘Sur une croix chaque email et, dans chaque email chaque surfacecloisonnee ont ete sentis et eprouves a l’echelle de l’œuvre qui lesrecoit. Si elles peuvent encore rappeler la neige d’une robe de colombeou l’incarnat d’une joue d’archange, les teintes ne s’en apparient parmoins aux harmonies voisines, assez hardiment transposees pour qu’iln’y ait dans cette union trace de mesalliance; pour qui cesse de scruterles medaillons en archeologue, comme on trie des lentilles, les verts,les rouges, les bleus, les bruns et les roses se delestent de leur fonctionnarrative et composent avec les bras d’or, tojours comme chez Ma-tisse, une «orchestration coloree». Cet timbres des email enfin ne sonteux-memes qu’un accord dans les chœur liturgique, edifice, iconogra-phie, costumes, ciboire, lampadaires, etc., et figures enfin de la dansesolennelle’’
10.
Ancora nel 1950, gli storici dell’arte italiani non avevano perdo-
nato questi giudizi a Duthuit: nella recensione a Les Fauves, Roberto
Longhi disse che Duthuit ‘‘giace sui vecchi testi fondamentali della
sua cultura, un generico orientalismo, uno specifico bizantinismo
rutilante nel quale e versatissimo’’; del museo immaginario di Du-
thuit resterebbe fuori tutto l’Occidente artistico e, come principale
responsabile, l’Italia11
.
Matisse, e noto, si interesso a Bisanzio soprattutto stimolato dalla
amicizia con Prichard e con Thomas B. Whittemore, che stava
riportando alla luce i mosaici di Santa Sofia a Istanbul. Nell’autunno
1911 Matisse visito la Russia su invito del mercante d’arte e suo
collezionista Sergej Sciukin; entusiasta delle icone russe, le descrisse
come le opere d’arte dove piu e rivelato il sentimento mistico, ‘‘uno
dei piu interessanti campioni della pittura primitiva’’: ‘‘Da nessuna
parte mai ho visto una tale ricchezza, una tale purezza di colori, una
tale spontaneita di rappresentazione’’:
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
12Il lungo rapporto tra Matisse e l’arte dell’Oriente e ricostruito in A. Kostenevich, “Un
dialogo lungo mezzo secolo: incontri con l’Oriente”, in Matisse. “La revelation m’est venue de
l’Orient”, pp. 23-79; e, nello stesso catalogo G. Duthuit, “Matisse e lo spazio bizantino”,
pp. 322-335. Inoltre: A. Chastel, L’Italie et Byzance, a cura di C. Lorgues-Lapouge (Paris,
1999), pp. 10-12 sulla Bisanzio di Duthuit e Matisse; P. Schneider, Matisse (Paris, 1984;
traduzione italiana, Milano, 1985), pp. 14-25, 155-185; A. G. Kostenevich e N. Semio-
nova, Matisse v Rossii (Moskva, 1993), traduzione francese Matisse et la Russie (Parigi,
1993). Da quest’ultimo, pp. 25-26, e la citazione di Matisse nel testo, tratta da una
intervista al pittore del corrispondente di Rousskie viedomosti, del 27 ottobre 1911.13
Su Strzygowki vedi: F. W. F. von Bissing, Kunstforschung oder Kunstwissenschaft? Eine
Auseinandersetzung mit der Arbeitweise Josef Strzygowskis, 2 voll. (Munchen, 1950-1951); H.
J. Spross, “Die Naturauffassung bei Alois Riegl und Josef Strzygowski”, Diss., Saarbrucken,
Universitat des Saarlandes, Philosophische Fakultat, 1989, pp. 173-189. Il profilo dato nel
testo dipende ampiamente da: A. Kingsley Porter, “Strzygowski in English”, The Arts 7
(1925), pp. 139-140; E. Strong, “L’art romain et ses critiques”, Formes n 8, ottobre 1930,
pp. 2-4; M. S. Dimand, “In memoriam Josef Strzygowski (1862-1941)” Ars Islamica 7
(1940); E. E. Herzfeld, W. R. W. Koehler e C. R. Morey, “Josef Strzygowski”, Speculum 17
(1942), pp. 460-461.
‘‘Les Russes ne soupconnent meme pas de quels tresors artistiques ilsdisposent. Je connais l’art religieux de plusiers pays, mais nulle part jen’ai vu une telle revelation du sentiment mystique, parfois meme del’effroi religieux. (...) Les icones, quant’a elles, sont un echantillon desplus interessants de la peinture primitive. (...) Je n’ai vu nulle part unetelle richesse, une telle purete des couleurs, une telle spontaneite de larepresentation. C’est le meilleur patrimonie de Moscou. Il faut venirici pour s’istruire, car c’est chez les primitifs qu’il convient de chercherl’inspiration’’
12.
c. Strzygowski, moderno Attila
Le idee dell’austriaco, nativo della Slesia, Josef Strzygowski sulle
origini orientali e non occidentali di Bisanzio e del Medioevo latino
raccolsero entusiastici seguaci ed irriducibili avversari. Presentazioni
di suoi libri e necrologi (Strzygowski morı nel gennaio del 1941)
concordano nel definirlo lo studioso che piu scosse le certezze acqui-
site degli storici dell’arte antica e medievale13
. Strzygowski studio
archeologia classica e storia dell’arte a Vienna, Berlino e Monaco. La
sua tesi dottorale discusse l’iconografia del battesimo di Cristo. Le
sue prime pubblicazioni indagarono l’arte tardoantica, paleocristiana
e bizantina, con approccio filologico e iconografico. Sul Repertorium
fur Kunstwissenschaf, sulla Byzantinische Zeitschrift, sulla serie di mo-
nografie a questa collegata del Byzantinische Archiv e su altre riviste
apparvero alla fine dell’Ottocento suoi studi sulla miniatura tardoan-
tica e bizantina: il Calendario del 354, il ciclo bizantino dei mesi, i
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
14J. Strzygowski, “Die Monatscyclen in der byzantinischen Kunst”, Repertorium fur
Kunstwissenschaft 11 (1888), pp. 23-46; Der Calenderbilder des Chronographia vom Jahre 354
(Berlin, 1888); Der Bilderkreis des griechischen Physiologus, des Kosmas Indicopleustes und
Oktateuch nach Handschriften der Bibliothek zu Smyrna (Byzantiniches Archiv, 2. Leipzig,
1899), seguito poco dopo da “Der illustrierte Physiologus in Smyrna, Byzantinische Zeit-
schrift 10 (1901), pp. 218-222; “Eine trapezuntische Bilderhandschrift vom Jahre 1346”,
Repertorium fur Kunstwissenschaft 13 (1890), pp. 241-63. Gli interessi di Strzygowski per gli
influssi dell’arte bizantina su altre culture lo portarono a pubblicare nel 1906 Die Miniaturen
des serbischen Psalters der Konigl. Hof- und Staatsbibliothek in Munchen nach einer belgrader
Kopie erganzt und im Zusammenhange mit der syrische Bilderredaktion des Psalters untersucht
(Denkschriften der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften in Wien. Philosophisch-
historische Klasse, 52. Wien, 1906).
manoscritti miniati di Cosma Indicopleuste, del Fisiologo e dell’Ot-
tateuco conservati nella Biblioteca della Scuola Evangelica di Smir-
ne14
.
Il libro che lo rese celebre fu Orient oder Rom. Beitrage zur
Geschichte der spatantiken und fruhchristlichen Kunst del 1901 (figg.
59-60); qui, fino dalla introduzione, Strzygowski contesto la predo-
minanza di Roma sull’arte cristiana dei primi secoli che Wickhoff
aveva enfatizzato nella parte da lui scritta del libro sulla Genesi di
Vienna del 1895. Strzygowski fu cosı il primo a richiamare l’atten-
zione sull’importanza del ruolo avuto dall’arte dell’Oriente nella
formazione dell’arte cristiana, fatto poi accettato da tutti gli studiosi:
l’arte paleocristiana e l’arte medievale, ritenute fino ad allora meta-
morfosi dell’arte romana, furono ripensate come derivazioni dell’arte
orientale. Nel 1920 Strzygowski scrisse che prima di Orient oder Rom
le ricerche sull’arte cristiana avevano creduto di trovarne le origini a
Roma; fino al 1880 l’orizzonte degli storici dell’arte antica non
superava l’Italia e si pensava che le catacombe fossero gli inizi
dell’arte cristiana. Tutto puntava a Roma e l’unico problema era se
la trasformazione dell’arte era dovuta alla decadenza interna della
cultura romana o alla vittoria della barbarita germanica da fuori. Con
Orient oder Rom Alessandria, Antiochia, Efeso vennero in prima fila
nella formazione dell’arte cristiana. La vecchia archeologia con la sua
visione romano-centrica – scrisse in una recensione Arthur Kingsley
Porter – era crollata come un castello di carte: il Mediterraneo
orientale divenne nettamente la moda archeologica e nessuno parlo
piu di arte medievale senza connetterla a influssi orientali. Nono-
stante i tentativi di controbattere le sue tesi, la sua reputazione
crebbe velocemente ed i manuali di arte bizantina divennero di fatto
riepiloghi dei suoi scritti: dalle novita da essi introdotte dipesero,
come lo stesso Strzygowski fece notare, i manuali di Diehl, Dalton,
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
15W. Rittel von Hartel e F. Wickhoff, Die Wiener Genesis (Prag – Wien – Leipzig, 1895).
J. Strzygowski, Orient oder Rom. Beitrage zur Geschichte der spatantiken und fruhchristlichen
Kunst (Lepzig, 1901), introduzione pp. 1-10; Ursprung der christlichen Kirchenkunst. Neue
Tatsachen und Grundsatze der Kunstforschung (Leipzig, 1920), pp. 4 sgg. La definizione di
Strzygowski come il piu profetico archeologo ed altre espressioni nel capoverso sono da
Kingsley Porter, “Strzygowski in English”, pp. 139-140.16
Per le opere di Strzygowski vedi in bibliografia. Quanto alla dottrina del ‘ritorno al
Nord’ vedi la lettera di Strzygowski a Focillon del 1932 e la risposta di Focillon a
Strzygowski del 1934 entrambe pubblicate in Civilisations. Orient – Occident. Genie du Nord
– Latinite. Lettres de Henri Focillon, Gilbert Murray – Josef Strzygowski – Robindranath Tagore
(Societe des Nations, Institut International de Cooperation Intellectuelle, 1935).
Kauffmann, Toesca, Wulff. Dai suoi contemporanei Strzygowski fu
definito ‘‘il piu profetico, il piu intuitivo, il piu ispirato e il piu
sconcertante degli archeologi’’15
.
Dopo Orient oder Rom, Strzygowski sposto la sua attenzione
all’arte copta (1904) e soprattutto all’arte dell’Asia con i suoi lavori
sull’Asia Minore come nuova regione della storia dell’arte (1904), su
Mschatta (1904), su Amida (1910) e sull’architettura degli Armeni
(1918). Ulteriori campagne di esplorazione lo convinsero che il
Mediterraneo orientale era stato solo il canale attraverso il quale era
giunta in Occidente l’arte delle regioni interne dell’Asia Minore, in
particolare quella iranica. La sua idea guida divenne quella di una
decisa predominanza dell’arte dell’Iran, il ‘‘cuore dell’Asia’’, sull’arte
delle regioni limitrofe, Cina, India e Mediterraneo. Nel crogiolo
culturale iranico sarebbero stati recepiti i modi artistici dell’Asia
orientale, trasformati e ritrasmessi in specie al mondo ellenistico. La
popolazione iranica, inoltre, fu la seconda grande fonte dell’energia
ariana, che avrebbe unito le sue forze con gli abitanti del Nord e con
le tribu nomadi pastorali per sviluppare lo spirito medievale dell’arte
cristiana; il triangolo Edessa-Amida-Nisibi avrebbe rappresentato per
le nazioni dell’Asia interna (Siria, Armenia, Anatolia, Mesopotamia,
Persia, Iran) quello che il Mediterraneo fu per il mondo greco-
romano. Infine, la Cristianita ariana orientale avrebbe portato attra-
verso l’Armenia i suoi modi artistici al mondo mediterraneo. Tempo
dopo, Strzygowski definı tre zone culturali dell’umanita corrispon-
denti a tre razze distinte: la zona calda meridionale, abitata dalla
razza negra, che non avrebbe contribuito in nulla all’arte, la zona
settentrionale fredda collegata alla cultura dell’Iran, abitata da popoli
di razza ariana, la quale avrebbe fecondato con la sua cultura pura la
zona mediana (mediterranea, dove l’arte era prostituita al servizio di
sovrani e chiesa) dando vita alle arti classica e gotica, vinte poi dal
Rinascimento16
.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
17B. Berenson, Aestethics, Ethics and History in the Arts of Visual Representation (London,
1948), introduzione datata 1941, pp. 25-26; qui sotto la traduzione italiana:
“Questo Attila della storia dell’arte sembra aver avuto negli ultimi trenta anni della sua
vita lo stesso odio amaro di tutto cio che la civilta mediterranea implica che ispiro il barbaro
unno che i suoi contemporanei chiamarono ‘il flagello di Dio’. Egli finı col persuadere i suoi
seguaci che niente di buono poteva giungere dall’Egeo e dal Sud. Solamente nel Nord c’era
arte, e quell’arte era ariana e germanica, senza debiti a razze contaminate con sangue
negroide, come i Greci e i Semiti. Cosı, col professor Strzygowski il razzismo comincio a
predicare il suo vangelo antiumanistico, molto prima che la parola ‘Nazismo’ fosse nem-
meno immaginata, e mentre i suoi capi erano ancora bambini.”
Le dottrine di Strzygowski corrisposero bene e anticiparono
quelle del Nazionalsocialismo, come scrisse Berenson nel 1941:
‘‘This Attila of art history seems to have had in his last thirty years ofhis life the same bitter hatred of all that Mediterranean civilizationimplies which inspired the Hunnish barbarian whom his Christiancontemporaries called ‘the scourge of God’. He ended by persuadinghis followers that nothing good could come from the Aegean and fromthe South. Only in the North was there art, and that art was Aryan andGermanic, owing nothing to races tainted with Negroid blood as wereGreeks and Semites. So with Professor Strzygowski racialism began topreach its anti-humanistic Gospel, long before the word ’Nazism’ wasas much as imagined, and while its chiefs were still children’’
17.
Autori italiani, comunque, emularono le sue dottrine razziste,
rovesciandole contro semiti e ‘‘semiasiatici’’ (classificazione che
comprendeva bizantini e orientali) nel periodo di gestazione e in
quello successivo all’emanazione delle leggi razziali del 1938 (vedi
Capitolo 9, paragrafo e). La tesi di Strzygowski del distacco da Roma
(la sua scuola archeologica fu chiamata del ‘‘Los von Rom’’), ne-
gando importanza formativa all’arte romana, fece di lui la bestia nera
degli studiosi italiani della prima meta del Novecento. Nel 1915
Giuseppe Galassi, uno degli studiosi italiani anti-Strzygowski, noto
che l’‘‘amletico dilemma dello Strzygowski Orient oder Rom’’ era
‘‘gravido di minaccia per la romanita’’. Delle tesi di Strzygowski fu
data a volte una versione edulcorata e accettabile in Italia, con parita
di ruoli tra Roma e l’Oriente nella formazione dell’arte bizantina: nel
1912 Colasanti, nella introduzione al suo album di fotografie di
opere bizantine in Italia, propose di mutare la domanda ‘‘Orient oder
Rom?’’ (il punto interrogativo e una aggiunta di Colasanti) nella
affermazione ‘‘Roma e Oriente’’. Soprattutto con il nazionalismo
culturale tra le due guerre mondiali negare validita alle tesi strzygow-
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
18G. Galassi, “Scultura romana e bizantina a Ravenna”, L’arte 18 (1915), p. 29. Sul ‘Los
von Rom’ e le apprensioni che suscitava vedi S. Muratori, “Il «Los von Rom» e l’arte
bizantina”, Felix Ravenna, n. s., 3, gennaio-aprile 1932, pp. 44-49. A. Colasanti, L’arte
bizantina in Italia, prefazione di C. Ricci (Milano, 1912). Un riassunto della questione
Strzygowski si trova in C. Cecchelli, “Le varie teorie sulle origini dell’arte bizantina”, 1,
“Oriente o Roma?”, 2, “Oriente, o Bisanzio?”, in Corsi di Cultura sull’Arte Ravennate e
Bizantina, Universita degli Studi di Bologna, Ravenna, 31 marzo – 13 aprile 1957 (Ra-
venna, 1957), pp. 51-52, 53-55.19
S. Slataper, “Quando Roma era bizantina”, La Voce 3 (1911), pp. 552-553, ristampato
in S. S., Scritti letterari e critici raccolti da G. Stuparich (Roma, 1920), pp. 158-171 e in
particolare la testimonianza riportata alle pp. 161-162:
“Oggi [1910] si accenna spesso con ammirazione e invidia all’epoca bizantina. Par epoca
d’arte, di passione, di liberta, di ricchezza, di spensieratezza in contrapposto storico alla
nostra che si raccoglie severamente per poverta, ed e critica, frigida, logica, vigile, bronto-
lona. Dicono. E si sdraiano sul deserto divano e sognano: – Cavalcavano allora! Uno se
n’andava per diporto al mare; c’era il plenilunio; montava in barca ed eccolo, senza neanche
una camicia di ricambio, in Sardegna. E s’amava! il braccio sinistro intorno alla colma Lalla
agreste, l’altro fra i capelli o sotto le gonne della nobildonna romana Livia. E intanto, agli
scocchi dei raddoppiati baci, si poetava. Si beveva vino rosso, e non caffe. Sommaruga
pagava. Eran tempi di Saturno, di Venere e di Plutone.”.
skiane divenne imperativo negli scritti italiani sull’arte romana e
medievale (vedi Capitolo 6, paragrafo c)18
.
d. Bisanzio futurista e cubista
Ancora negli anni immediatamente precedenti e seguenti la guerra
1914-1918 l’atteggiamento in Italia verso l’arte bizantina non era
sfavorevole, nonostante l’idea di decadenza e corruzione di Bisanzio
divenuta luogo comune. Gli anni ‘bizantini’ di fine Ottocento furono
anzi ricordati in testimonianze di scrittori dell’epoca come periodo di
passione, spensieratezza e liberta morale e artistica rispetto al gri-
giume dominante dal secondo decennio del Novecento19
. Come visto
prima, Soffici, uno dei piu drastici antagonisti dell’arte filobizantina
negli anni decisivi del primo dopoguerra, criticando la Teodora
dipinta da Chini nella cupola della Biennale con la rappresentazione
di Bisanzio, sostenne che essa non rifletteva la ‘‘solennita e l’incanto
della divinissima arte di Bisanzio’’, che ha prodotto ‘‘capolavori
eterni, impregnati di realita e di spiritualita – di poesia entusiasmante
come la faccia del sole’’ (vedi Capitolo 2, paragrafo b). Nel 1911,
alla Esposizione Internazionale di Belle Arti a Valle Giulia a Roma,
allestita per celebrare il cinquantenario dell’unita d’Italia, i padiglioni
stranieri che riscossero piu successo furono quello germanico e
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
20G. Piantoni, “Nell’ideale citta dell’arte”, in Roma 1911, Roma, Galleria d’Arte Mo-
derna, Valle Giulia, 4 giugno – 15 luglio 1980, catalogo della mostra, a cura di G. P.
(Roma, 1980), pp. 77, 80-81.21
U. Boccioni, “Per l’ignoranza italiana. Sillabario pittorico”, Lacerba 1 (1913), p. 179.
soprattutto quello austriaco grazie alla presenza di alcune tra le piu
famose opere di Klimt, in molto debitrici dell’arte bizantina, il quale
era gia stato presentato con grande successo alla Biennale di Venezia
del 191020
.
Umberto Boccioni, in uno schema riassuntivo dell’evoluzione
dell’arte in un breve articolo pubblicato su Lacerba del 1913 col
titolo ‘‘Sillabario pittorico’’, suddivise il cammino dell’arte in tre
grandi periodi che avrebbero precorso la ‘‘astrazione plastica futuri-
sta’’: la ‘‘astrazione plastica greca’’, con ‘‘l’esterno fisico centro
dell’universo’’, suddivisa in quattro fasi dagli Egizi all’arte bizantina,
che ne rappresenterebbe lo stadio ultimo; la ‘‘astrazione plastica
cristiana’’, con il ‘‘passaggio dall’esterno all’interno’’, con quattro
stadi, dagli inizi nell’arte romana e bizantina ai Gotici, a Michelan-
gelo, ai Veneziani, allo stadio ultimo con Rembrandt; la ‘‘astrazione
plastica naturalista’’, con la ‘‘esteriorizzazione dell’interno’’, da Rem-
brandt al cubismo. I futuristi (Boccioni, Russolo, Carra, Severini,
Balla, Soffici), sintetizzarono nella loro arte le coppie antagoniste
colore e forma, sensazione ed intelletto, della pittura moderna (dove
colore e sensazione sono rappresentati da impressionisti, divisionisti
e Matisse, e forma e intelletto da Cezanne, Degas, Gauguin, Van
Gogh, Picasso, Braque e i cubisti)21
.
La stessa contrapposizione tra plasticismo e colorismo – un luogo
comune delle discussioni postbelliche su arte romana e arte bizantina
– fu proposta da Galassi in un curioso articolo sulla scultura del
basso Impero nel 1915, nel quale la scultura tardoantica e bizantina
e letta in termini cubisti e descritta con termini e stile di scrittura
futuristi. In particolare, la lettura attualizzata e condotta su un
gruppo di teste del VI secolo (figg. 61-62); le piccole riproduzioni
fotografiche fanno apparire quasi novecentesche (cubiste) le teste,
che sono descritte con le espressioni ‘‘materia organica disfatta che
ha compiuto la rielaborazione organica’’ ‘‘senza moto e senza vita’’,
‘‘atomi liberi dall’energia vitale assestatisi nelle armonie metriche di
cristalli’’, ‘‘sfere dei volti, precisione di curve, raccordi che addolci-
scono l’acutezza delle congiunzioni’’, ‘‘tubi che rientrano gli uni
negli altri, sfere ed anelli che intercidono a vicenda’’. Una testa
femminile, conservata al Civico Museo d’Arte Antica al Castello
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
22G. Galassi, “Dall’antico Egitto ai Bassi Tempi (A proposito di un monumento artistico
del sec. VI)”, L’Arte 18 (1915), pp. 286-295, 321-342; le citazioni sono da pp. 286-288; la
testa di Teodora a Milano e descritta a p. 289 e riprodotta alla fig. 5. Galassi aveva
pubblicato sullo stesso fascicolo de L’arte “Scultura romana e bizantina a Ravenna”, pp.
29-57. Per la testa del Castello Sforzesco vedi ora Age of Spirituality: Late Antique and Early
Christian Art, Third to Seventh Century, New York, Metropolitan Museum of Art, Novembre
1977 – Febbraio 1978, catalogo della mostra, a cura di K. Weitzmann (New York, 1979), n
27 p. 33.
Sforzesco di Milano, considerata un ritratto di Teodora seguendo
Diehl (una identificazione accettata anche dalla critica recente, per la
quale la testa e databile agli anni 530-540), e cosı descritta:
‘‘Altissima la mitra bicorne, lunghissimo il viso incassato della impera-trice Teodora, nel ritratto del Museo Archeologico di Milano: angustocono rovescio che si addentra in un cono grandioso svettato, ricintoalla base come da lingue assiderate, ripetute intorno con matematicauguaglianza. Due calotte sfuggono dietro e lasciano immaginare unamoltiplicazione nascosta di globi. Non un moto, non un brivido, nonun segno di vita: materia rigida e inerte, freddo impero della normageometrica’’
22.
1Per la sentenza sugli iconografi non storici dell’arte vedi R. Longhi, Recensione a A.
Munoz, “La scultura barocca a Roma: Iconografia – Rapporti col teatro”, Rassegna d’Arte,
ottobre 1916, L’Arte 1917, pp. 60-61. Per la critica di Croce alle interpretazioni contenuti-
stiche degli storici dell’arte vedi, ad esempio, La critica e la storia delle arti figurative.
Questioni di metodo (Bari, 1934), p. 8.
6
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
Lo scoppio della guerra contro Germania e Austria, il nazionalismo e
l’antagonismo con la Francia negli anni successivi all’armistizio ed al
trattato di pace di Versailles travolgono le aperture verso l’apprezza-
mento e lo studio dell’arte di Bisanzio i cui semi erano stati gettati
nei primi anni del Novecento. Stare al passo della bizantinistica
internazionale significava ammettere la bonta delle ricerche contenu-
tistiche impostate sulla filologia germanica, della quale si erano
nutriti gli studi bizantini; attribuire importanza e apprezzare l’arte
bizantina significava essere additato come antipatriottico e filofran-
cese. Le indagini filologiche vennero giudicate pedanti e saccenti,
inutili ai fini dell’apprezzamento del valore dell’opera d’arte, compito
primo della critica. L’estetica crociana provvide i presupposti ideali
per l’estromissione dalle fila degli storici dell’arte degli studiosi di
iconografia, che si occupano del contenuto delle rappresentazioni
artistiche e astraggono da forma ed espressione1. Con poche ecce-
zioni di grande prestigio, i critici italiani di Bisanzio, artisti e storici
dell’arte, avevano una conoscenza dell’arte bizantina approssimativa,
limitata quasi ai soli mosaici ravennati del tempo di Giustiniano e
pregiudicata dai luoghi comuni vasariani e ottocenteschi: bello in
arte e cio che e naturalistico e plastico e tali sono le opere della
classicita e del Rinascimento; la bellezza non si trova, invece, nel-
l’arte bizantina, i cui valori sarebbero dati piuttosto da astrazione,
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
cromatismo, linearismo. Di un’arte bizantina espressiva e delle sue
varie rinascenza classiche non si conosceva pressoche nulla.
L’allineamento degli studi sugli orientamenti ideologici del fasci-
smo produsse una demonizzazione acritica di Bisanzio, vista come
l’anti-Roma dell’antichita; mentre Parigi fu definita la nuova Bisan-
zio artistica, la moderna anti-Roma. Le teorie artistiche dell’impres-
sionismo e delle avanguardie novecentesche contenevano una espli-
cita svalutazione dell’arte accademica, classica e italiana. La contesa
per il primato artistico tra Italia e Francia fu il riflesso nella cultura
del conflitto nazionalistico tra l’Italia fascista, che cercava una affer-
mazione internazionale come grande potenza, e la Francia democra-
tica sua antagonista. In Italia, questo periodo di reazione antifrancese
in arte si svolse parallelo al periodo della repressione antioperaia, del
ritorno all’’ordine e del colpo di stato fascista e faceva parte del clima
generale di vittoria mutilata degli anni successivi alla pace di Versail-
les e all’impresa di Fiume. La contesa artistica con la Francia ebbe
tre campi principali di battaglia, tutti coinvolgenti Bisanzio: le origini
romane o bizantine dell’arte cristiana e medievale nei termini propo-
sti da Strzygowski; le origini italiane o bizantine dell’arte del Due-
cento e di Giotto; la superiorita del plasticismo virile dell’arte ro-
mana e dell’arte contemporanea italiana o del cromatismo sensuale
dell’arte bizantina e dell’arte contemporanea francese.
a. La reazione antigermanica e antifrancese
La reazione italiana alle tesi di Strzygowski fu preceduta dalla rea-
zione al primato germanico negli studi durante gli anni della grande
guerra. In un pamphlet nazionalistico intitolato L’Italia e la civilta
tedesca del 1915, Ojetti lamento il poco patriottismo della subordina-
zione culturale degli studi alle metodologie germaniche:
‘‘Quasi tutti i popoli d’Europa sono in piedi, coperti d’arme e disangue, tesi a difendere o a riconquistare con uno sforzo supremo iloro confini politici e forse a raggiungere i loro confini etnici o naturali.E lecito a noi italiani definire almeno i confini ideali dell’arte nostra edella nostra civilta?’’.
Dunque, dopo l’invasione del romanticismo tedesco e la reazione
classica ‘‘calda, franca e convinta’’ e il momento di respingere le altre
mode filogermaniche: persino i classici latini ed il greco vengono fatti
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
2U. Ojetti, L’Italia e la civilta tedesca (Milano, 1915); i brani riportati sono alle pp. 5 e
25.3
Su Paquali e De Sanctis vedi G. Mastromarco, “Il neutralismo di Pasquali e De
Sanctis”, in Matrici culturali del fascismo (Bari, 1977), pp. 125-141. Sulle posizioni degli
intellettuali, soprattutto degli antichisti, negli anni prima e durante la grande guerra e nel
periodo del fascismo: M. Pavan, “Gli antichisti e l’intervento dell’Italia nella prima guerra
mondiale”, Rassegna Storica del Risorgimento 51 (1964), pp. 71-78; L. Canfora, “Classicismo
e fascismo”, in Matrici culturali del fascismo, pp. 85-111; M. Cagnetta, Antichisti e impero
fascista (Bari, 1979). Un’altra reazione alla filologia germanica nella critica d’arte e in P.
Mastri, “Le due critiche”, Il Marzocco 1, n 14 (3 maggio 1896), p. 1, citato da E. Garin, La
cultura italiana tra ‘800 e ‘900 (Bari, 1962):
“La vera indiscutibile superiorita della critica soggettiva [sulla critica oggettiva o storica] e
data da un’altra differenza anche piu sostanziale – questa: che essa e immensamente piu
sincera, quindi piu sicura. Il critico che si limita a descrivere se stesso in contatto con
l’opera d’arte e molto meno soggetto ad errori, per la ragione che noi siamo molto piu sicuri
delle nostre impressioni che non dei nostri giudizi.”.
imparare sulle edizioni e le grammatiche tedesche (tipo Curtius).
Seguendo i colleghi tedeschi, i professori universitari espongono, non
giudicano, gli scolari credono inutile e pericoloso il giudizio, cioe il
gusto, l’arte e un documento non opera dello spirito:
‘‘Anzi, spesso odiano l’arte, stanchi, che nessuno ha mai detto loro cheuna poesia o un quadro sono individui vivi, prossimo loro, spirito delloro spirito. L’arte e tutt’al piu un documento, e i documenti sonoun’opportuna materia di tesi. Testi senza errori, bibliografie senzalacune, monografie senza divagazioni: ecco le norme. (...) L’universitaitaliana e oggi una colonia tedesca.’’
2.
Gli intellettuali piu legati alla cultura tedesca, come Benedetto
Croce, Gaetano De Sanctis e Giorgio Pasquali, non seguirono Ojetti
e gli altri ne nell’interventismo ne nelle forme antigermaniche del
nazionalismo culturale postbellico. Reazioni alle indagini filologiche
delle opere d’arte non erano comunque una novita di Ojetti3. Soffici,
pure definito da Croce ‘‘in fondo, un bravo giovane, facile all’entu-
siasmo e al controentusiasmo’’, e esempio di sciovinismo e protoraz-
zismo; in ‘‘Relativismo e politica’’ del 1922 mette in guardia dal
‘‘subdolo lavorio che si sta facendo dall’armistizio in qua presso di
noi ed in alcuni paesi stranieri, da sedicenti letterati ed artisti per
ricondurre in onore teorie e forme letterarie e pittoriche di pura
derivazione germanica’’; una offensiva filosofica complementare alla
palese offensiva industriale, della quale la punta sarebbe rappresen-
tata dall’introduzione e diffusione rapida della ‘‘dottrina del relativi-
smo, fondata da un gruppo di tedeschi e d’ebrei, o d’ebrei tedeschi,
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
4A. Soffici, “Relativismo e politica”, Gerarchia 1 n 1 (1922), p. 29. Per il giudizio di
Croce su Soffici, vedi La critica e la storia delle arti figurative, pp. 164-166.5
A. Maraini, “Influenze straniere sull’arte italiana d’oggi”, Bollettino d’Arte del Ministero
della Pubblica Istruzione 1 (1921-1922), pp. 511-527. Della relativamente ricca bibliografia
su questo periodo artistico vedi: C. Maltese, Storia dell’arte in Italia 1785-1943 (Torino,
1960), Parte III, pp. 319 sgg. ; R. Bossaglia, Il Novecento Italiano. Storia, documenti,
iconografia (Milano, 1979. 2a ediz., Milano, 1995); P. Fossati, “Pittura e scultura fra le due
guerre”, in Storia dell’arte italiana, Parte seconda, Dal Medioevo al Novecento, 3, Il Novecento
(Torino, 1979), pp. 173-259 e “Intorno al 1920”, Prospettiva nn 57-60 (aprile 1989 –
ottobre 1990), pp. 468-484; i saggi che accompagnano il catalogo della mostra Il futuro alle
spalle. Italia Francia – L’arte tra le due guerre, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 22 aprile – 22
giugno 1998, a cura di Federica Pirani (Roma, 1998) e in particolare M. G. Messina,
“Valori plastici, il confronto con la Francia e la questione dell’arcaismo nel primo dopo-
guerra”, pp. 19-25; inoltre: G. Armellini, “Fascismo e pittura italiana. I: Carra, Sironi,
Rosai”, Paragone 23, n 271 (settembre 1972), pp. 51-68; E. Pontiggia, “L’idea del classico.
Il dibattito sulla classicita tra pittori, critici e riviste”, in L’idea del classico 1916 – 1932,
Milano, Padiglione d’arte contemporanea, 8 ottobre – 31 dicembre 1992, catalogo della
mostra (Milano, 1992), pp. 9-43, spec. pp. 10-11; F. Tempesti, Arte dell’Italia fascista
(Milano, 1976), pp. 11-28. La citazione di Boccioni e da “Per l’ignoranza italiana.
Sillabario pittorico”, p. 179.
con a capo Einstein’’4. Ancora nel 1921, tuttavia, Londra, Parigi e
Vienna erano considerate le citta dalle quali dipende l’arte italiana
contemporanea, la capitale austriaca soprattutto per via di Klimt.
Pochi anni prima della guerra, anche il primato parigino era stato
messo in discussione dagli artisti italiani, in primo luogo da Marinetti
e futuristi, Carra e Soffici; Boccioni ammetteva invece il disprezzo
con cui si parlava dell’arte italiana all’estero:
‘‘Da troppo tempo l’Europa si rifiuta di considerarci come contempo-ranei. Confessiamo il disprezzo con cui si parla dell’arte italianaall’estero. Quattro secoli di oscurita politica ed estetica ci hanno resocompletamente estranei ad ogni evoluzione artistica.’’
5.
Avversione per la Francia e per i movimenti artistici prodotti da
Parigi, nuova Babilonia, nuova Babele, moderna Bisanzio, fu provata
da Carra subito dopo la fine della guerra:
‘‘Dall’altra parte, lasciando da parte ogni altro discorso, riteniamo che,per quanto riguarda i suddetti attributi [dolcezza, soavita e profonditadi costruzione], l’ideologia francese e quella germanica abbiano nonpoco abusato putrefacendosi, la prima nel «joli», che si potrebbedefinire la degenerazione della grazia, e l’altra nella mania di fareprofondo – cose del resto comuni anche agli artisti italiani. (...)Non occorre dilungarsi sui contrasti di gusto che esistono fra noi e ifrancesi, ancorche ci potesse sembrare giusta la calata dei Fauves edegli altri ottentotti di Montmartre, ma non possiamo non riconoscere
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
6C. Carra, “L’arte parigina. Rousseau, Matisse, Derain”, La ronda 1, n 7 (novembre
1919), p. 86. Vedi anche la lettera di Carra a Soffici del 7 febbraio del 1918 (“La lettera che
ti avevo scritto voleva appunto affermare il nostro bisogno di italianita. Abbasso il cosmopo-
litismo artistico! abbasso il mal francioso! (...) Abbasso i giovani alla francese con tutte le
loro imbecillita provinciali!.”) e quella di Soffici a Carra del 6 dicembre successivo (“La
Francia, incomprensibilmente per me, si comporta malissimo verso l’Italia (che l’ha salvata)
in questo momento. Avrai saputo qualcosa circa alle loro trame con i serbi per crearci dei
pasticci e darci dei gatti a pelare.”), pubblicate in C. Carra e A. Soffici, Lettere 1913 / 1929,
a cura di M. Carra e V. Fagone (Milano, 1983), pp. 110 e 122 rispettivamente.7
Corra elenco poi le dissolutezze di Parigi nella critica dei moralisti e ben pensanti e
passo alle lodi della citta: B. Corra, Per l’arte nuova della nuova Italia (Milano, 1918),
citazione da p. 105. Tra i critici della Francia e anche A. Savinio, “Fini dell’arte”, Valori
plastici 1, nn 6-10 (giugno-ottobre 1919), pp. 17-21.8
Soffici, Periplo dell’arte, pp. 27-33; brani nel testo da pp. 32-33.
che opinioni mal fondate trovano sempre grande seguito nella Bisanziomoderna, per cui addimostrano soverchia ingenuita coloro che da noicontinuano a dare importanza a certi movimenti che cola sorgonoperiodicamente per ragioni mercantili.’’
6.
Questa avversione per Parigi e l’affermazione che l’arte francese
era ormai in decadenza divenne un topos tra gli italiani, tanto che
Bruno Corra, un futurista, scrisse controcorrente nel 1918 che
‘‘Esiste uno schema fatto, indubbiamente noto ad ogni lettore di gior-nali, per un articolo sulla Francia. Parte prima: descrizione di Parigi,citta dissoluta e babelica; (...); parte quarta: Parigi non e che unprodotto della corruzione internazionale (...).’’
7.
Dopo l’iniziale innamoramento per la pittura francese, Soffici si
unı al gruppo dei piu accaniti e rozzi critici della Francia contempo-
ranea. Il suo Periplo dell’arte. Richiamo all’ordine, del 1928, ha un
capitolo sul ‘‘Decadimento dell’arte francese’’:
‘‘la Francia, custoditrice gelosa per tutto il XIX secolo della immortalefiamma del genio latino, per non avere, come e detto, saputo poiattenersi alla propria essenza spirituale, trovasi ad essere in pienasoggezione di una forza nemica. (...) Invasa da intere legioni di pittorimetechi-tedeschi, scandinavi, svizzeri, russi, polacchi, balcanici, ar-meni, americani, giapponesi, affricani, in gran parte ebrei, dominatadal ciarlatanismo universale, percorsa da tutte le correnti dell’errorebarbarico, come un paese di conquista fatto crogiolo per le esperienzepiu stolide e disperate, essa non ci presenta ormai se non lo spettacolodi una piena e totale decadenza creativa.’’
8.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
9A. Soffici, Ritratto delle cose di Francia (Roma, 1934-XII), p. 103:
“Al francese di Francia si mescola cosı nel crogiuolo parigino, oltre che il russo, il
tedesco, l’inglese, l’italiano, lo spagnuolo, ecc., l’immigrato dall’estremo Oriente, dall’Ame-
rica del Nord e del Sud, dalla Patagonia, l’ebreo levantino, il pellirossa, il cafro, genıa
composita che l’ospite battezza col nome spregiativo di metechi senza peraltro evitarne la
contaminazione, e magari l’ascendente”. Le altre citazioni nel testo sono dalle pp. 11 e 93. I
capitoli “Trafila del meretricio” e “Sfruttamento del meretricio” sono alle pp. 67-71 e
72-78 rispettivamente.10
M. Sarfatti, Dux (Milano, 1926). Sulla Sarfatti: R. Lambarelli, “Margherita Sarfatti e
la supremazia dell’arte italiana”, in Il futuro alle spalle, pp. 71-74; Da Boccioni a Sironi: il
mondo di Margherita Sarfatti, Brescia, Palazzo Martinengo, 13 luglio – 12 ottobre 1997,
catalogo della mostra, a cura di E. Pontiggia (Milano, 1997).
In Ritratto delle cose di Francia, del 1934, Soffici ripete nei con-
fronti dei Francesi l’accusa di popolo bastardo (qui i metechi francesi
sono ‘‘l’ebreo levantino, il pellirossa, il cafro’’, oltre a vari popoli
europei); ossessionato dal dimostrare la decadenza morale dei Fran-
cesi dopo la guerra, Soffici li definı freddi, crudeli, brutali, corrotti,
maneschi, crapuloni. Piu capitoli sono dedicati agli omosessuali, alle
prostitute, ‘‘insensibili ed utilitaristiche’’, ed alle donne in genere,
che, perverse eroticamente, praticano il tribadismo, abusano di afro-
disiaci e stupefacenti; abbondano le coppie lesbiche, le eteromani, le
fumatrici d’oppio e la mangiatrici d’haschisch; le donne usano anche
la coca; mentre tra gli uomini ‘‘sono legione i pederasti, i sodomiti’’.
Un capitolo e poi dedicato alla ‘‘Trafila del meretricio’’, un altro allo
‘‘Sfruttamento del meretricio’’. In conclusione, ‘‘quel che di meglio
realizza l’arte francese non e una pura espressione del genio nazio-
nale, sibbene il riflesso, il prodotto dello studio (sagacissimo, intelli-
gentissimo, fecondissimo, invero) delle manifestazioni del genio stra-
niero’’, come si puo vedere in David, Delacroix, Daumier, Cezanne,
Degas, Rodin, tutta gente d’ispirazione aliena e remota dalla naturale
francese (e tutti artisti non della generazione contemporanea)9.
b. La definizione di un’arte nazionale
L’avvento del fascismo porto al trionfo il nazionalismo culturale. Il
‘‘Convegno per le istituzioni fasciste di cultura’’ o ‘‘Convegno per la
Cultura Fascista’’ di Bologna, del 27-30 marzo 1925, fu presieduto
da Giovanni Gentile ed ebbe interventi dell’archeologo Giulio Qui-
rino Giglioli (‘‘Sviluppi e tendenze delle ricerche in relazione alle
finalita storiche e nazionali del Fascismo’’), della giornalista e critica
d’arte Margherita Sarfatti, fascista della prim’ora e futura autrice
della popolare biografia di Mussolini Dux10
, (‘‘L’arte nell’economia
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
11Gli elenchi delle adesioni al Convegno di Bologna e al Manifesto crociano sono in E.
R. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la cultura italiana, con un saggio di F. Flora
(Milano, 1958), pp. 45-47 e 97, rispettivamente.12
Marinetti et alii, Arte fascista. Elementi per la battaglia artistica (Torino [dopo il 1927]),
sopratutto pp. 13-15. Lo stesso scritto apparve col titolo “L’arte fascista sara futurismo piu
o meno audace”, L’arte fascista 2 (1927), pp. 5-6.
nazionale’’), di Ardengo Soffici (‘‘Il fascismo e l’avvenire dell’arte’’),
di Giuseppe Bottai, il futuro ministro fascista (‘‘Sulla funzione e
finalita dei centri nazionali di cultura’’), di Filippo Tommaso Mari-
netti (che propose la creazione di un sistema di credito finanziario
per gli artisti), di Ojetti e del grecista Ettore Romagnoli, personaggi
la maggior parte dei quali parteciparono alla polemica su Bisanzio e
Roma degli anni Venti e Trenta. Tra gli studiosi che aderirono al
convegno furono Pericle Ducati, Lionello Venturi e Gioacchino
Volpe; aderı anche Giovanni Treccani il futuro patrono della Enciclo-
pedia Italiana.
Varie adesioni di antichisti e storici dell’arte ebbe il ‘‘Manifesto
degli intellettuali fascisti’’ che uscı dal convegno. Molti piu intellet-
tuali e maggiormente titolati, come riconobbe la stessa stampa filofa-
scista, seguirono invece Croce e aderirono al ‘‘Manifesto degli intel-
lettuali antifascisti’’ da lui promosso, che fu pubblicato su Il Mondo il
primo maggio 1925; tra questi figurarono Pasquali ed Emilio Cec-
chi11
. Per il suo neutralismo, antifascismo e germanofilia, Croce
divenne uno dei bersagli preferiti degli artisti nazionalistici; in questa
denigrazione Marinetti si distinse per epiteti villani, quali ‘‘stonato
filofesso e germanofilo’’:
‘‘Benedetto Croce fu neutralista e germanofilo, consacro dei pomposiarticoli inutili a Goethe, mentre noi ci battevamo al fronte contro itedeschi. Fu e rimane lo stonato filofesso senza fiuto carico di libri epovero d’idee.’’
12.
Lo stesso Marinetti, tuttavia, che cercava di porre il futurismo
come arte del fascismo fu a sua volta ripetutamente contestato e
ingiuriato dagli artisti fascisti: Marinetti ‘‘faceva colazione a Milano
ma cenava a Parigi’’; la svolta italiana non era certo iniziata col
‘‘parolibero futurista’’, ma con l’impresa libica, con la ‘‘marcia dei
bersaglieri verso la morte gloriosa di Sciara Sciat’’; l’Europa invidio e
insidio allora l’Italia:
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
13Le frasi, due fra molte simili pubblicate in questo periodo, sono tratte da G. Manzella
Frontini, “L’arte fascista non sara l’arte futurista”, L’arte fascista 1 (1926), pp. 116-117, e
C. Bonavia, “Padri del fascismo”, L’arte fascista 1 (1926), pp. 76-77.14
Il telegramma di Mussolini, le adesioni, i resoconti dei discorsi e dei lavori del
convegno si trovano in forma estesa in Il Popolo d’Italia del 29 e 31 marzo e La Nazione del
2 aprile 1925.
‘‘Il fascismo nell’Uomo che lo ha plasmato – puro spirito umanistico,quasi dalla rinascita trasferito ai nostri giorni – (...) e classicismo, l’artenuova non sara che classica.’’.‘‘Il Fascismo e ordine, chiarezza, forza e virilita. L’arte futurista edisordine, oscurita espressiva, quindi debolezza, femminilita.’’
13.
Nell’ideale di un’arte fascista nuova, classica e virile, antifemmi-
nile, la Bisanzio di Teodora e Basiliola diveniva uno dei nemici
naturali. Il convegno fascista, tuttavia, non produsse che alcune
indicazioni generiche di rivalsa nazionalistica nella cultura, nono-
stante la stampa fascista lo propagandasse come ‘‘solenne afferma-
zione di fede e di intellettualita’’ e usasse titoli promettenti e retorici,
quali ‘‘Tempus edificandi’’, per i resoconti. Lo stesso Mussolini nel
telegramma inviato al convegno si augurava semplicemente che l’ini-
ziativa smentisse ‘‘in pieno e per sempre la stolta leggenda di una
pretesa incompatibilita fra intelligenza e Fascismo’’. Gentile ri-
chiamo i fascisti alla consapevolezza della forza e della necessita della
patria in tutti i campi della cultura. Fu promessa una enciclopedia
italiana che soppiantasse il primato del Larousse francese. Emilio
Bodrero, storico della filosofia e deputato fascista, lamento che nel
passato fosse stata scritta e insegnata una storia che abbassava se non
addirittura denigrava la romanita:
‘‘La nostra alta cultura alla vigilia della guerra’’ – come documentato,fu detto, da un libro memorabile di Romagnoli – ‘‘non e altro che unpallido riflesso della «kultur» germanica, la quale era essenzialmentenazionalistica e imperialistica e contribuı non poco a stringere ilpopolo tedesco intorno alle bandiere della Patria e a rafforzare in Italiail movimento neutralista e germanofilo. (...) Bisogna dunque fascistiz-zare la cultura, cioe nazionalizzarla, cioe sottrarla alle influenze e allesudditanze straniere.’’
14.
Come simbolo di vergogna nazionale, Giglioli, allora rettore
dell’Universita di Pisa, ricordo la tristissima condizione di avere il
catalogo dei musei capitolini affidato a un inglese e quello dei musei
vaticani a dei tedeschi, quando gli studiosi italiani non mancano:
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
15Cf. J. T. Schnapp, “Epic Demonstrations. Fascist Modernity and the 1932 Exhibition
of the Fascist Revolution”, in Fascism, Aesthetics, and Culture, a cura di R. J. Golsan
(Hanover, 1992), pp. 1-37.16
Mostra del Novecento italiano (1923 – 1933), Milano, Palazzo della Permanente, 12
gennaio – 27 marzo 1983, Catalogo della mostra (Milano, 1983). B. Mussolini, Discorso
sul Novecento, in Il Popolo d’Italia, 16 febbraio 1926, p. 3 (“La Mostra del «Novecento
Italiano» inaugurata a Roma dall’on. Mussolini”).
Romagnoli, ad esempio, ‘‘uno dei piu insigni rappresentanti che
onora questo congresso’’.
Al Convegno di Bologna seguirono i primi passi del fascismo nel
campo della cultura, la fondazione dell’Istituto Nazionale di Cultura
Fascista nel 1925, della Accademia Italiana, dell’Opera Nazionale
Balilla e della rivista Critica fascista nel 192615
. In questo stesso anno,
Mussolini lodo la nuova arte italiana che appariva dalla Mostra del
Novecento a Milano nel suo discorso inaugurale riferito su Il Popolo
d’Italia del 16 febbraio (‘‘Il segno degli eventi c’e. Basta saperlo
trovare’’). Il Popolo d’Italia riporto poi anche la ottimistica nota
editoriale del filofascista Il Tevere dello stesso giorno:
‘‘(...) Ma e proprio vero che traccia non vi sia di Fascismo nella vitaartistica nazionale? (...) Ma questo ritorno alla classicita questo sforzoverso un linguaggio italiano, questa nausea della moda forestiera etutte le crisi che abbiamo visto vivere e gli esami di coscienza cheartisti maturi hanno compiuto strappandosi poi di dosso ricchissimeesperienze per ridursi poveri e semplici, non e questo Fascismo,almeno Fascismo come noi lo intendiamo? Se non altro per la volontadi essere italiani, esclusivamente italiani, a costo di apparire provin-ciali, il che ieri era colpa da far arrossire una statua.’’
16.
Una definizione dei principi di un’arte fascista fu tentata ancora
da Soffici nel gia citato Periplo dell’arte, che ebbe due edizioni nello
stesso anno (1928), la seconda raddoppiata di pagine. Nel capitolo
‘‘Arte fascista’’ Soffici propose un decalogo che contenesse ‘‘i prin-
cipi fondamentali, sostanziali e i caratteri spirituali propri di questo
grandioso moto spirituale che si chiama Fascismo’’; bastera per
individuarli ‘‘riferirsi ai discorsi ed alle norme fondamentali del
Duce, i quali e le quali insomma costituiscono i testi e le genuine
espressioni della dottrina fascista’’, che sono: la realta imprescindi-
bile della Patria; lo spirito di religione da opporre al materialismo,
che per gli italiani deve essere il cattolicesimo; la tradizione che
significa anche orgoglio di stirpe e continuita di storia; il Fascismo
come ritrovamento dell’ordine del popolo italiano quale creato da
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
17A. Soffici, Periplo dell’arte. Richiamo all’ordine (Firenze, 1928-VII
2), citazioni nel testo
dalle pp. v-vi, 151-154; i capitoli “Del colore” e “Arte fascista” sono alle pp. 211-218 e
237-245 rispettivamente; alcune pagine di “Arte fascista sono ristampate in P. Barocchi,
Storia moderna dell’arte in Italia. Manifesti polemiche documenti, 3/1, Dal Novecento ai dibattiti
sulla figura e sul monumentale 1925 – 1945 (Torino, 1990), pp. 26-29.
latinita e cattolicesimo; il Fascismo come realismo e non misticismo
visionario, chiarezza e non barbarica infatuazione; il Fascismo come
ruralismo nemico del panindustrialismo. Poste queste premesse mus-
soliniane, stilo la lista dei principi dell’estetica fascista:
1) l’arte fascista e arte nazionale italiana, non internazionalista,
distinta da quella che si ispira a forme estetiche straniere e
che e fondata su astrattezze (estranee alla mentalita naziona-
le);
2) l’arte fascista e animata da religiosita e austerita spirituale;
del cattolicesimo rispecchia grandiosita, nobilta morale, bel-
lezza di forme, equilibrio e misura nell’espressione plastica; le
e estraneo il materialismo, cioe il sensualismo cromatico;
3) l’arte fascista e fedele alla tradizione italiana e non si trastulla
in arcaismi, primitivismi, bubbole accademiche;
4) l’arte fascista ritrova i caratteri propri dell’italianita quali
permangono dall’epoca dell’arte greco-romana al secolo
XIX.
Seguono altri punti che qui non interessano17
. Vista come orto-
dossa (non cattolica), forestiera, sensuale e cromatica, primitiva,
mistica e visionaria, l’arte bizantina non poteva corrispondere ai
requisiti estetici di Mussolini e Soffici.
c. Contro l’Oriente, contro i barbari, contro Strzygowski
Subito dopo l’incendio di Smirne del 1922, ultimo episodio della
disfatta del corpo di spedizione greco nella guerra greco-turca, Mus-
solini commento la vittoria kemalista su Gerarchia, la rivista politica
da lui fondata, accostando Russia e Grecia all’impero di Costantino-
poli, sinonimo di caos, crudelta, paradosso, squilibri e rassegnazione.
Nella stessa rivista, sulla scia dell’annessione del Dodecanneso, altri
articolisti inneggiavano alla via italiana verso l’Oriente. Tuttavia,
l’ostilita verso la Grecia non fu il motivo primo della ostilita culturale
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
18B. Mussolini, “La luna crescente”, Gerarchia 1 (1922), p. 477 e 479: “Nemmeno il piu
fantasioso ed estremista fra gli imperialisti greci puo, ora [cioe dopo la presa di Smirne da
parte delle truppe kemaliste], pensare a un ritorno della Grecia a Smirne, o, come si
vagheggiava, a Costantinopoli. (...) Dietro la Russia dei Romanoff, affiorava Bisanzio – con
il caos, la crudelta, il paradosso, gli squilibri, la rassegnazione di Bisanzio – dietro la Russia
di Oulianoff [Lenin], spunta la grinta senza baffi del capitano d’industria occidentale.”. La
via italiana a Oriente e auspicata, ad esempio, sullo stesso fascicolo di settembre di
Gerarchia da A. Signorelli, “La guerra nell’Asia Minore”, p. 488 e da F. Di Pretoro, “L’Asia
Minore e l’Italia attraverso la storia”, sul fascicolo di novembre della rivista, p. 613. Il
giudizio di Croce e dai Marginalia alla terza edizione di B. Croce, Teoria e storia della
storiografia (Bari, 1927), pp. 313-314: “Alla critica storica accade spesso d’apparire non
abbastanza amica del patriottismo o nazionalismo, e di ricevere pero cattive accoglienze e
maltrattamenti. Per non andar lontano, se alcuno volesse provarsi oggi, in Italia, a
rammentare che la storia di Roma non e la storia d’Italia, che gl’italiani odierni non sono i
figli di Roma, che la Roma dell’Impero non puo fungere da ideale di forza e di grandezza
perche rappresenta invece la lenta e indarno infrenata decadenza di una societa e di un
organismo statale, e simili ovvie verita della critica storica, si sentirebbe subito attorniato e
avvolto da un coro musicale tutt’altro che di lieto suono.”.19
Exhibition of Italian Art 1200-1900, London, Royal Academy of Arts, Burlington
House, Piccadilly, 1 gennaio – 8 marzo 1930, catalogo della mostra (London, 1930); F.
Haskell, “Botticelli, Fascism and Burlington House. The ‘Italian Exhibition’ of 1930”, The
Burlington Magazine 141 (1999), pp. 462-472.20
Il primo numero di Documents. Doctrines Archeologie Beaux-arts Ethnographie uscı
nell’aprile 1929.
verso Bisanzio e l’Oriente: il motivo fu l’affermazione della suprema-
zia sull’Oriente di Roma antica, della quale i fascisti proclamavano
l’Italia moderna emula ed erede; uno sbandieramento di patriottismo
che offendeva la verita della critica storica, come ribadı Croce18
.
Il primo gennaio del 1930 fu inaugurata a Londra, alla Royal
Academy, la grande mostra Exhibition of Italian Art 1200-1900, per
la quale Mussolini, alla ricerca di prestigio internazionale per il
fascismo, invio alcuni tra i piu celebri capolavori delle gallerie italia-
ne19
. Il Giornale d’Italia pubblico ampi resoconti della mostra tra
gennaio e febbraio e, contemporaneamente, sfrutto il successo mon-
diale che la mostra stava riscuotendo per lanciare una campagna di
stampa a sostegno dell’arte italiana antica e moderna e contro i suoi
denigratori interni ed esterni. Questi denigratori furono indicati in
Strzygowski, Toesca, Lionello Venturi e la redazione di Documents,
una rivista di etnografia, musica e arti, dalla africana a quelle sumera,
cinese, popolare e contemporanea di impressionisti e postimpressio-
nisti, alla quale collaboravano studiosi e artisti di varia estrazione e
interessi: oltre a Strzygowski e Toesca, Georges Bataille, Carlo
Carra, Jean Ebersolt, Carl Einstein, Erwin Panofsky, Andre Malraux,
Fritz Saxl, Royall Tyler, Georges Wildenstein20
. L’archeologo Ro-
berto Paribeni (che fu forse l’ispiratore degli attacchi su Il Giornale
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
21La serie di articoli pubblicati sul Giornale d’Italia sono: G. Bellonci, “L’arte italiana
assalita e difesa”, 21 gennaio, p. 3, dal quale sono tratti i seguenti due brani:
“Uno storico inglese, pochi giorni innanzi che fosse aperta al pubblico la Mostra di
Londra, credette necessario ricordare ai suoi lettori che «la pittura non era un’arte perduta
prima del secolo XII» quando i toscani si vantarono d’averla riscoperta. E soggiunse le lodi
dell’arte bizantina, la forza della quale, egli diceva, dovrebbe essere compresa facilmente
«oggi che assistiamo a Parigi e altrove alla rinascita di un’arte non naturalista, di conven-
zione, e di origine senza dubbio orientale». E a Parigi, infatti, vede la luce da qualce mese
una rivistuola di archeologia e di arte – Les documents – che ha per direttori e collaboratori
tutti i piu illustri studiosi dell’oriente bizantino, del mezzogiorno affricano, e di quanti altri
punti cardinali abbia l’arte non romana e non italiana antica e moderna. E questi uomini di
buona volonta, dallo Strzygowski al Contenau, dall’Einstein ai critici dell’impressionismo e
del postimpressionismo continuano concordi quella guerra a Roma e all’Italia che dura
ormai da alcuni decenni e che vorrebbe toglierci un primato riconosciutoci da molti secoli.
Alti, su le loro cattedre, vigilate dalla dea Scienza, gridano al mondo che i romani non
ebbero nessuna originalita, bensı presero dai greci e poi dagli alessandrini e finalmente dai
popoli dell’Asia Minore, della Siria e della Mesopotamia tutte le loro diverse forme di
architettura scultura o pittura; che gli italiani del Medioevo furono gli allievi provinciali dei
bizantini dei barbari e poi dei «gotici» di Francia (...). Via via, cancellate dalla storia i
capitoli su l’arte romana e su l’arte italiana medievale e sostituiteli con altrettanti capitoli su
l’ellenismo, l’arte cristiana d’oriente, il bizantinismo, il gotico, e, se volete esser proprio
d’Italia) e invece promosso ad esempio di studioso ’’coraggioso,
antimaniaco, dalla fine arguzia’’ da opporre a Strzygowski ed ai
’’maniaci nostrali’’. Le accuse di antiitalianita rivolte ai denigratori
espongono i capisaldi della critica nazionalistica antiorientalista e
antifrancese, che possono essere cosı riassunti:
1) da alcuni decenni Strzygowski ed i sostenitori dell’impressio-
nismo e postimpressionismo conducono una guerra a Roma
e all’Italia che vorrebbe togliere ad esse un primato ricono-
sciuto da secoli;
2) secondo costoro, i Romani non avrebbero avuto alcuna origi-
nalita, ma avrebbero preso dai Greci, dagli Alessandrini e dai
popoli dell’Asia Minore, della Siria e della Mesopotamia e in
particolare dagli Armeni tutte le loro diverse forme di archi-
tettura scultura o pittura;
3) costoro sostengono anche che gli Italiani del Medioevo sa-
rebbero stati gli allievi provinciali dei bizantini, dei barbari ed
infine dei «gotici» di Francia;
4) invece: la Francia moderna non e maestra all’Italia in arte;
5) una quinta colonna interna, che ha i suoi rappresentanti piu
noti in Toesca e Lionello Venturi ha adottato l’orientalismo e
le tesi di Strzygowski e considera l’arte moderna francese
come modello da seguire21
.
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
precisi, gli stili sassanide copto mazdaista anticocroato (...). La piccola Armenia ebbe una
potenza di creazione artistica che Roma non ebbe.”. “L’arte «non naturalista, di conven-
zione, e di origine orientale», che fanno a Parigi, e che dovrebbe diventare, per forza di
moda, l’arte di tutto il mondo contemporaneo, ha una propria estetica, una propria critica,
una propria storia: se l’accettate dovete accettare anche le teorie del signor Strzygowski sui
romani antichi e su gli italiani del medioevo; e d’altra parte se riconoscete giuste queste
teorie dovete necessariamente dare alla Parigi dei nostri giorni la dignita di maestra. ” U.
Antonielli, “Dalli all’arte italiana”, 24 gennaio, p. 3, dal quale e tratto il seguente brano:
“Dunque, lo strzygowskianismo e un male di piu larga vibrazione. Quanto alla persona
dell’austriaco-slavo, o che so io, non preoccupiamoci, Roberto Paribeni, uno dei piu
coraggiosi ... antimaniaci, con fine arguzia ha detto che c’e da sperare bene; siccome quel
signore in caccia del berceau sta da tempo compiendo un affannoso viaggio, dalla Siria alla
Persia, dall’Egitto alla Cappadocia, all’Armenia, all’altopiano del Tibet..., considerando la
longitudine del suo viaggio, c’e da sperare che attraverso altre terre estreme esso finisca per
ritornare nel nostro Occidente! Non e il messianico orientalista che ci fa paura; ma sono i
maniaci di casa che ci fanno pena, e non per le loro corporali figure, ma per quel che ne
risulta, che piu delittuoso «disfattismo» io non saprei concepire.”. G. Bellonci, “Scienza
storica e spirito nazionale (L’arte italiana assalita e difesa)”, 25 gennaio, p. 3; C. Tridenti,
“L’arte italiana non va a scuola a Parigi”, 5 febbraio, p. 3 (quest’ultimo contro l’idea di
Venturi che gli artisti italiani dovessero soggiornare a Parigi come una volta facevano gli
artisti francesi a Roma). La campagna lanciata dal Giornale d’Italia e discussa estesamente
in M. Bernabo, “Un episodio della demonizzazione dell’arte bizantina in Italia: la campagna
contro Strzygowski, Toesca e Lionello Venturi sulla stampa fascista del 1930”, Byzantini-
sche Zeitschrift 93/2 (2001), pp. 1-10.22
La lettera e del 24 novembre 1930 ed e conservata nella Biblioteca Berenson di Villa I
Tatti, Settignano (Firenze).
Al tempo della mostra e della campagna di stampa Lionello Venturi
si era ormai trasferito a Parigi. Scrivendo a Berenson, Toesca com-
mento:
‘‘C’e stata nel Giornale d’Italia, una serie di articoli in cui ero presen-tato come un denigratore di Roma a beneficio di ... Bisanzio; e questacampagna scientifica – di liberazione dallo straniero – ha trovato la suapiu alta espressione in un volume di un certo Galassi (Roma o Bisan-
zio) edito dalla ... Libreria dello Stato. Sarei forse gia messo al confinose cio fosse in podesta di questi messeri che trascinano cosı vilmentegli studi nella politica, e a un certo punto sembrano far opera di agentiprovocatori. Per fortuna queste provocazioni, come i latrati dietro ilcancello, mi lasciano indifferente sebbene non favoriscano di certo ilmio desiderio di serenita. Ne, d’altra parte, io posso entrare in polemi-che con persone di mala fede e di nessuno studio.’’
22.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
d. Il nemico e a Oriente: conformismi, idiozie evergogne bizantine
‘‘Erodoto parla dell’usanza di certi Sciti, che cavavano gliocchi agli schiavi perche nulla potesse distrarli dal battere illoro latte. Noi siamo come quelli schiavi, ai quali unmiracolo avesse ridonato la vista. Ne la frase sembri tropporetorica o eccessiva: giacche non e da valutarsi mai troppoalto il danno che la costrizione e il conformismo hannofatto in questi anni allo sviluppo intellettuale e spirituale.Danno tanto piu grave, male tanto piu profondo, se chi losubisce perde per atrofia la facolta di rendersene conto e dimisurarlo. Ed e con amarezza che bisogna riconoscere conquanta supina acquiescenza l’Universita abbia contribuito aquesto male. L’Universita ha una colpa ben piu profonda diquanto non si possa riparare con isolati atti di epurazione eio non esito a dire che vedo con preoccupazione quantinell’Universita non sembrano avere altra aspirazione cheriprendere la loro consueta vita, riannodare le fila delpassato, ritessere la vecchia trama, solo con qualche colorediverso.’’.Ranuccio Bianchi Bandinelli, ‘‘A che cosa serve la storiadell’arte antica?’’, 1945, pp. 10-11.
In breve, Il Giornale d’Italia ribadı soltanto alcuni assiomi della critica
fascista, conosciuti da tempo e che vennero ora gridati a gran voce
cercando di imporli ai recalcitranti critici italiani, grazie al buon
vento che spirava dopo il successo espositivo di Londra: Roma
antica, madre dell’Occidente, incarno ogni valore positivo; l’Oriente
(Bisanzio per prima) ed il Nord ogni valore negativo; Oriente e
protestantesimo nordico si contendono il titolo di anti-Roma. Com-
memorando, nell’ottobre del 1932, i fascisti del Gruppo Sciesa
caduti durante l’assalto alla sede dell’Avanti!, Mussolini affermo:
“Siamo circondati da nemici: ci sono i nemici palesi e quelli occulti.(...) Ci vogliono gli italiani ed in genere gli occidentali a bucare con glispilli della loro logica e della loro critica le grottesche vesciche delsocialismo internazionale. Forse, viste le cose sotto l’aspetto storico, euna lotta fra l’Oriente e l’Occidente: fra l’Oriente famoso [= fumoso],caotico, rassegnato (vedi la Russia) e noi, popolo occidentale, che nonci lasciamo trasportare eccessivamente dai voli della metafisica e chesiamo assetati di concreta, dura realta. Gli italiani non possono esserea lungo mistificati da dottrine asiatiche, assurde e criminose nella loroapplicazione pratica e concreta. Questo e il senso del fascismo italia-no.”.
Le polemiche pero degenerarono. Qualche pensatore fascista si
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA 101
23C. Galassi Paluzzi “Roma e antiroma”, Roma 5 (1927), pp. 437-441; l’albero genealo-
gico e a p. 441. L’attivita propagandistica della cultura fascista promossa dell’Istituto di
Studi Romani appare anche solo dall’elenco delle sue pubblicazioni (per il quale sono
debitore a Luciano Canfora): Istituto di Studi Romani, Catalogo delle pubblicazioni. Indice
analitico (Roma, 1941-XIX2). La frase di Mussolini e da: B. Mussolini, “Il discorso della
vigilia alla «Sciesa» di Milano”, La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 10 n 10, ottobre
1932, pp. 8-11.24
Piu volte si tento di superare il conflitto tra Romanita e Germanesimo dopo la
proclamazione dell’asse Roma-Berlino; vedi, ad esempio, Romanita e Germanesimo. Letture
tenute per il Lyceum di Firenze, a cura di J. De Blasi (Firenze, 1941); con un farneticante
intervento della curatrice (“Romanita e Germanesimo”, pp. 391-400); tra gli altri interventi
quello di R. Longhi, “Le arti”, pp. 209-239. Vedi inoltre: J. von Schlosser, Magistra
Latinitas und Magistra Barbaritas (Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissen-
schaften, Philosophisch-historische Abteilung, 1937/2. Munchen, 1937).
spinse a proclamare l’ebraismo come malattia originaria dell’Oriente
e l’illuminismo, il positivismo, la socialdemocrazia ed il comunismo
come progenie del protestantesimo nordico. I ragionamenti con cui
si argomentano queste tesi appaiono oggi servilismo intellettuale,
propaganda estranea ad ogni critica seria, deliri di pochi fanatici; in
verita, questi deliri sono costanti e frequenti nelle pubblicazioni
dell’epoca. L’albero genealogico riportato qui sotto fu tracciato da
Carlo Galassi Paluzzi, direttore della rivista Roma dal 1925 e diret-
tore ed animatore dell’Istituto di Studi Romani23
:
Strzygowski, il campione dell’Oriente contro Roma e dello spirito
dei popoli barbari del Nord che avrebbe fecondato i popoli mediter-
ranei divenne il nemico per eccellenza, il diavolo da esorcizzare.
Monotona dichiarazione d’apertura, la ricusazione di Orient oder Rom
e posta in testa alle trattazioni sulla romanita, l’Oriente e le invasioni
barbariche da ogni autore che voglia mostrare la propria condivisione
del decalogo culturale nazionalistico24
. Binomi alternativi furono pro-
posti in sostituzione a quello strzygowskiano Oriente o Roma: Roma
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
25G. Giovannoni, La tecnica della costruzione presso i Romani (Roma [1925]); L’architettura
come volonta costruttiva del genio romano e italico (Quaderni di Studi Romani. La Civilta di
Roma e i problemi della razza. [Roma] 1939-XVIII); discorso inaugurale in Atti del I˚
Congresso Nazionale di Storia dell’Architettura, [Firenze, Palazzo Vecchio,] 29-31 ottobre
1936-XV (Firenze, 1938-XVI), p. ix; G. De Angelis D’Ossat, “Sugli edifici ottagonali a
cupola nell’antichita e nel Medio Evo”, ivi, pp. 13-24.
o Bisanzio, Roma e Oriente, Oriente e Ellenismo, Oriente e Bisanzio;
italo-bizantino e italo-greco furono suggeriti in sostituzione di neoel-
lenistico per l’arte duecentesca. Molta colpa dell’attacco alla roma-
nita poteva essere attribuita a un qualche complotto giudaico-
sionista, bolscevico o protestante. La mancanza di valore critico di
queste trattazioni potrebbe farle ignorare, ma una succinta antologia
di esse serve a documentazione del provincialismo e in piu casi del
servilismo culturale degli studiosi del tempo. Va notato che la quasi
totalita delle trattazioni non cita passi dai libri di Strzygowski, i cui
testi sembrano conosciuti solo indirettamente:
- Gustavo Giovannoni, La tecnica della costruzione presso i Romani,
1925, uno dei suoi primi scritti sull’architettura romana ed in parti-
colare sulla tecnica di costruzione delle volte e cupole, esaltanti il
genio architettonico dei Romani, che ‘‘non si arresta a criteri astratti
e a quisquilie sofistiche, non fa filosofia per la filosofia e l’arte per
l’arte, ma tende sempre a scopi pratici e positivi’’, con rivendicazione
a Roma della invenzione degli schemi costruttivi degli edifici raven-
nati, bizantini, romanici, ecc. Le visioni romaniste in architettura di
Giovannoni, in particolare sulla origine romana degli edifici a cupola
in Oriente e nel Medioevo occidentale, sono riprese da vicino da
Guglielmo De Angelis D’Ossat. Nel 1938 Giovannoni, come presi-
dente del Primo Congresso Nazionale di Storia dell’Architettura in
Firenze, rendera omaggio ‘‘al sentimento di italianita che mai come
ora, al risorgere dell’Impero, vibra nei nostri animi’’, dileggiando il
‘‘gracchiare dei partigiani studiosi stranieri di origini ultramontane’’
come Gillet, Frey, Schlosser ed il farneticante Strzygowski. Giovan-
noni entro alla fine degli anni Trenta nelle file dei sostenitori del
genio della razza romana e italica e del razzismo in arte25
.
- Pietro D’Achiardi, ‘‘Roma e Oriente’’, 1926: ‘‘A questa impo-
stazione, errata, a nostro parere [di Oriente o Roma] noi sostituiamo
l’altra meno esclusivista Roma e Oriente, gia proposta dal nostro
illustre direttore alle Belle Arti Arduino Colasanti nella prefazione
alla sua grande opera sull’Arte Bizantina pubblicata nel 1912 [cioe
L’arte bizantina in Italia]’’. ‘‘Dall’Oriente pervennero a Roma ele-
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
26P. D’Achiardi, “Roma e Oriente”, Roma 4 (1926), citazioni dalle pp. 3, 11-13.
27Galassi Paluzzi “Roma e antiroma”, citazioni dalle pp. 439, 441.
menti di altissimo valor decorativo, che portarono soprattutto ad una
grande preziosita di stile e ad un grande raffinamento nella policro-
mia. (...) Ma dall’Oriente vennero anche quei principi di immobilita,
di fissita, di esteriorita formale’’ che non avrebbero permesso la
fioritura del Duecento in Italia. ‘‘Fortunatamente, le infiltrazioni di
orientalismo nel mondo latino (...) troppo esteriori e sensuali, non
hanno mai modificato a fondo i caratteri peculiari della romanita’’.
Ora gli studiosi tedeschi pretendono di dimostrare che ‘‘dalle razze
barbariche deriva tutta la forza rigeneratrice e rinnovatrice di tutta
l’arte medievale’’. ‘‘Questa dell’Orientalismo era una delle teorie ri-
nunciatarie piu mortificanti, inventata dai dotti stranieri ad umilia-
zione della nostra romanita’’. Oggi purtroppo l’Italia e assente in
Oriente, mentre le altre nazioni vi hanno scuole archeologiche. ‘‘E
tutto cio in nome di una civilta nuova, di un nuovissimo orientalismo
anglicano-protestante, giudaico-sionista e greco-scismatico’’; dob-
biamo far risorgere i valori della nostra stirpe in nome della Roma-
nita; dobbiamo ‘‘porre un argine al bolscevismo della cultura e
dell’arte’’26
.
- Carlo Galassi Paluzzi, ‘‘Roma e antiroma’’, 1927: e il testo dal
quale e stato tratto l’albero genealogico riprodotto sopra; Galassi
Paluzzi da l’allarme di fronte al pericolo rappresentato dalla potenza
dell’oro ebraico; ‘‘che oggi, concretamente, il movimento giudaico
sia un caposaldo del piu vasto movimento «antiromano» e cosa
palese’’; ‘‘l’antiromanita e degli ebrei e non dell’ebraismo’’; ‘‘gli ebrei
si sono affiancati, ed hanno favorito il piu vero movimento antiro-
mano rappresentato dall’individualismo protestante’’27
.
- Roberto Papini, ‘‘L’Italia, l’arte e la critica’’, 1927: ’’Curiose
intromissioni politiche a fondo nazionalistico avevano finito per do-
minare nella storia dell’arte. Parallela al tentativo germanico d’espan-
sione verso Oriente era stata la svalutazione sistematica del ruolo di
Roma nell’eta imperiale e nel Medio Evo in favore dei centri artistici
d’Oriente, dall’Ellade alla Persia. L’arte romana e l’arte italica non
dovevano esistere se non come propaggini provinciali o pallidi riflessi
di quella dell’Oriente da cui veniva una luce obbligatoria’’. Ora
l’Italia, fatta di studiosi umanisti, non e caduta nell’eccesso opposto,
ma ‘‘ogni giorno contrappone la serieta e la pacatezza dell’indagine e
dell’osservazione alle intemperanze straniere nell’intento di rivalutare
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
28R. Papini, “L’Italia, l’arte e la critica”, Nuova Antologia 62, n 1316 (1927), citazioni
dalle pp. 144-145.
cio che era stato con ingiustizia mortificato’’. Strzygowski non fa
archeologia, ma ‘‘scienza politica’’. Seguono lodi a Pericle Ducati,
Alessandro Della Seta e Gustavo Giovannoni e critiche a Toesca e
Lionello Venturi28
.
- Giuseppe Galassi, Roma o Bisanzio, 1929. Questo fu forse il
lavoro piu impegnato nel ridimensionamento e nella romanizzazione
delle tesi di Strzygowski, citato in seguito, anche dopo la seconda
guerra mondiale, come manuale antistrzygowskiano di riferimento. Il
fatto che il libro di Galassi sia stato pubblicato dalla Libreria dello
Stato conferisce anche un crisma di ufficialita alle sue idee, come ben
chiaro a Toesca. Il libro fu stampato nel 1929-1930 (e datato solo
col computo fascista all’anno VIII e. f.), col sottotitolo I musaici di
Ravenna e le origini dell’arte italiana. Galassi individuo due correnti
contrapposte a Ravenna, una romana l’altra bizantina; da Giusti-
niano a oltre il Mille si sarebbe consolidata gradualmente la corrente
romana, ‘‘che divenne poi tutt’una cosa con l’arte romanica’’; dopo
Giustiniano l’arte dei Romani volse sempre piu al concreto e rimase
figurativa, mentre quella dei Bizantini trascese sempre piu l’espres-
sione visiva a vantaggio di un linguaggio ‘‘metafisico’’ (qui Galassi
allude senz’altro all’arte moderna: contro la pittura metafisica, a
favore del ritorno alla tradizione italiana); Roma assorbe il bizantini-
smo e continua il gusto dell’arte antica romana, cosı da costituire il
fondamento del linguaggio di Giotto e Dante (le letture di Galassi
dell’arte bizantina sono frutto di palese ignoranza o travisamento dei
fatti artistici fatto al fine di controbattere ogni interpretazione del
Medioevo artistico come periodo dominato da Bisanzio, tesi che e
frutto della ‘‘stranezza mentale del Toesca’’); il romanesimo dell’arte
romana e occidentale e dunque esaltazione della forma, volonta
costruttiva, gravitazione verso il concreto, ricerca di un mondo sta-
bilmente determinato (piu che una descrizione dell’arte romana,
sembra un ritratto degli ideali del fascismo); l’arte di Bisanzio e
dell’Oriente, invece, e esaltazione del colore, aspirazione decorativa,
gravitazione verso il sogno, ricerca di apparenze favolosamente e
musicalmente irreali. Un capitolo finale dal titolo ‘‘Roma o Bisanzio?
Conclusione: origini dell’arte italiana’’ riassume il problema della
italianita dell’arte medievale, cercandone i caratteri etnografici e
culturali e religiosi; sono indicati come italiani i caratteri della civilta
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
29G. Galassi, Roma o Bisanzio, 1, I musaici di Ravenna e le origini dell’arte italiana (Roma,
a. VIII e.f. [1929-1930]), citazioni dalla Prefazione, da p. 264, da nota 12 p. 297 e passim.
Nel 1915 Galassi aveva invece usato per l’arte bizantina i termini spazio bidimensionale,
discentramento compositivo, effetto pittorico, visione antiplastica; la visione romana era
definita plastico-costruttiva (“Scultura romana e bizantina a Ravenna”, p. 29). Per il
giudizio di Toesca su Galassi vedi al Capitolo 7, paragrafo b.30
P. Marconi, La pittura dei Romani (Roma, 1929).
della forma e della tradizione cattolico-umanistica incarnati in
Giotto, Masaccio e Michelangelo e presenti in nuce nell’arte del
Medioevo; non e da dubitare, comunque, che ‘‘i modi costanti della
tradizione italiana’’ avessero avuto la loro origine in Roma, dove essi
furono ‘‘simbolicamente magnificati’’ dalle figure di Bruto, Scipione,
Catone e Cesare:
‘‘un mondo emerse [tra il Trecento e il Seicento] che aveva leggiorganiche non confondibili e severe. Precisione ed ordine; distinzione earticolazione; isolamento e compendio: definizione e gerarchia delleesistenze individuali: tali i modi costanti della tradizione italiana.[Questi caratteri erano gia apparsi in Roma] simbolicamente magnifi-cati in alcune figure d’uomini eminenti, diversi fra loro ma comple-mentari nella costituzione della «romanita», come quelle di Bruto e diScipione, di Catone e di Cesare. Basterebbe una tale identita, concessain sede teorica, per ravvisare in Roma la vera generatrice dell’arteitaliana.’’
29.
- Pirro Marconi, La pittura dei Romani, 1929: ‘‘E di molti il
lamento della posizione di dipendenza in cui e tenuta l’arte romana e
della sua sistematica svalutazione; e molti esprimono il desiderio che
si possa fissarne decisamente i valori ed i tanto alti risultati. Non
possiamo attendere che altri lo faccia; di noi italiani deve essere
questa opera di rivalutazione, la creazione di una base indipendente
agli studi della Romanita (...), noi italiani, che finora siamo stati
troppo reverenti di opinioni negatrici e volutamente denigratrici’’.
Seguono le lodi della genialita di Wickhoff e della sua (obsoleta)
valutazione dell’arte romana30
.
- Il I Congresso Nazionale di Studi Romani, 1929, con segretario
Carlo Galassi Paluzzi, ora Preside dei Corsi Superiori di Studi
Romani, con un intervento di Carlo Cecchelli su ‘‘Il problema
dell’«Oriente o Roma» alla luce delle scoperte e degli studi attuali’’:
uno studioso di archeologia cristiana e bizantina che, caso singolare,
disprezza l’arte di Bisanzio negando alcun valore a quella civilta,
‘‘grande emporio di residui’’, ‘‘fantasmagoria di luce che non illumi-
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
31C. Cecchelli, “Il problema dell’«Oriente o Roma» alla luce delle scoperte e degli studi
attuali (sunto di comunicazione)”, in Atti del I˚ Congresso Nazionale di Studi Romani (Roma,
1928-VII), 1, pp. 669-682, in particolare, p. 672:
Veramente, chi bene osservi la civilta bizantina, s’accorge che essa e una civilta di riflessi e
d’artificio. Roma sorge quando erano ancora intatti i valori delle civilta primitive. Bisanzio si
elevo a grande centro quando le antiche civilta sono nella parabola discendente ed hanno
maturato i loro frutti migliori. Bisanzio e un grande emporio di residui, una fantasmagoria
di luci che non illumina, un insieme originale per se stesso (dato il suo aspetto poliedrico)
ma non depositario di fermenti nuovi. Bisanzio tutt’al piu ridistribuisce i favori ricevuti
dall’Oriente e da Roma. Sotto questo aspetto potrebbero avere ragione quanti parlano di
un’arte cristiana orientale, anziche di arte bizantina.”.
Inoltre: Roma segnacolo di reazione della stirpe alle invasioni barbariche (Quaderni di Studi
Romani. La Civilta di Roma e i problemi della razza. [Roma] 1939-XVIII). La questione
ebraica e il sionismo (Quaderni di Studi Romani. La civilta di Roma e i Problemi della Razza
[Roma: Istituto Nazionale di Cultura Fascista, 1939-XVII]).32
N. Borgia, “La romanita di una badia greca”, in Istituto di Studi Romani, Atti del II˚
Congresso Nazionale di Studi Romani (aprile 1930), a cura di C. Galassi Paluzzi (Roma,
1931-IX), 2, pp. 79-86. Cf. G. M. Croce, La Badia Greca di Grottaferrata e la rivista “Roma
e l’Oriente”. Cattolicesimo e ortodossia tra unionismo ed ecumenismo (1799-1923) (Citta del
Vaticano, 1990).33
P. D’Achiardi, “Neoellenismo e neoromanita nella pittura medievale italiana”, in
Istituto di Studi Romani, Atti del III Congresso Nazionale di Studi Romani, a cura di C.
Galassi Paluzzi (Bologna, 1935-XIII), 2, pp. 30-38.
na’’: ‘‘Bisanzio puo tutt’al piu ridistribuire i favori ricevuti dall’O-
riente e da Roma’’; alla fine degli anni Trenta, anche Cecchelli
scrivera volumi razzisti per esaltare la stirpe romana31
.
- Il II Congresso Nazionale di Studi Romani, 1930: tra gli inter-
venti quello di Nilo Borgia, monaco della Badia greca di Grottafer-
rata, dal titolo ‘‘La romanita di una badia greca’’, nel quale viene
garantita la fede romana dei monaci della Badia32
.
- Il III Congresso Nazionale di Studi Romani, 1934, con inter-
vento di D’Achiardi su ‘‘Neoellenismo e neoromanita nella pittura
medievale italiana’’: da ‘‘Roma o Oriente?’’ si e passati a ‘‘Roma e
Oriente’’ ed anche a ‘‘Oriente o Ellenismo?’’ e meglio a ‘‘Oriente o
Bisanzio?’’ e ‘‘Ellenismo o Romanita?’’; si e dato nome di ellenistica
a tanta arte romana del periodo imperiale ed ora si vuole qualificare
come neoellenistica, da parte di Muratov, l’arte verso il secolo XII,
che e invece emancipazione dall’arte bizantina e prima arte italiana:
‘‘si vuol cacciare l’arte romana fuori di casa con i gendarmi del
prebizantino e del neoellenistico’’; per l’arte del secolo XII meglio
dire italo-greca o italo-bizantina, piuttosto che neoellenistica)33
.
- Il IV Congresso Nazionale di Studi Romani, del 1935, un
congresso oceanico, i cui atti occupano cinque volumi, intitolato ‘‘I
rapporti intercorsi nei secoli tra Roma e l’Oriente’’ fu dedicato per lo
piu al problema strzygowskiano ‘‘Orient oder Rom’’, con interventi
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
34A. Munoz, Roma di Mussolini (Milano, 1935-XII); L’Urbe, 1 (1936).
35Istituto di Studi Romani, Atti del IV Congresso Nazionale di Studi Romani (I rapporti
intercorsi nei secoli tra Roma e l’Oriente) (Roma, 1935-XIII), 5 voll., a cura di C. Galassi
Paluzzi (Roma, 1938-XVI): G. Q. Giglioli, “L’arte di Roma e l’arte dell’Oriente nell’Anti-
chita”, 1, pp. 9-16; A. Munoz, “L’arte di Roma e l’arte dell’Oriente nel periodo paleo-
cristiano e medievale”, 1, pp. 18-25; P. D’Achiardi, “Neoellenismo e neoromanita nella
pittura medievale italiana”,, 2, pp. 30-38; C. Galassi Paluzzi, “Per l’organizzazione meto-
dica e per l’incremento degli studi riguardanti i rapporti intercorsi nei secoli tra Roma e
l’Oriente”, 2, pp. 54-59. Di Galassi Paluzzi vedi anche, pubblicato l’anno successivo al
congresso, “Gli studi romani e i rapporti tra Roma e l’Oriente”, Roma 14 (1936-XIV), pp.
303-316. Cito soltanto in nota, per la loro marginalita, alcune frasi da Cornelio Di Marzio,
“Il concetto romano nell’ordinamento delle professioni”, Roma 14 (1936-XIV), pp.
397-416:
di Giglioli (divenuto nel frattempo ordinario a La Sapienza), ‘‘L’arte
di Roma e l’arte dell’Oriente nell’Antichita’’ (Costantinopoli eretta
sul modello di Roma; la chiesa di Santa Sofia come sintesi di Oriente
e Occidente; Giustiniano emana in latino il Corpus juris, che e un
compendio di leggi romane; la civilta di Costantinopoli era pretta-
mente romana), Munoz, ‘‘L’arte di Roma e l’arte dell’Oriente nel
periodo paleo-cristiano e medievale’’ (discussione del problema ‘‘O-
rient oder Rom?’’; carrellata di opere medievali per asserire che nella
maggior parte dei casi non sono bizantine, che le opere bizantine si
distinguono facilmente dalle altre, che e meglio dire Oriente e Roma
piuttosto che Oriente o Roma per la formazione dell’arte bizantina
medievale – una soluzione gia nota –, che anche nel Duecento gli
influssi bizantini sono limitati ad alcune opere, che non si puo
parlare di bizantino per Duccio e Cavallini, che dei crocifissi toscani
non ce ne e uno che possa essere definito bizantino – rispetto ai suoi
scritti anteguerra pro-Bisanzio, anteriori agli incarichi ufficiali avuti
sotto il fascismo, Munoz appare uno dei casi piu palesi di apostasia,
oltre che di entusiasmo mussoliniano, come espresso nel libro Roma
di Mussolini del 1935 e nella rivista L’Urbe, da lui diretta dal 1936,
che vantava nel fascicolo inaugurale foto e dedica di Mussolini e
articolo di apertura scritto da Bottai34
–; infine ‘‘in ogni modo e da
compiacersi che il nostro amato Presidente abbia voluto porre questo
problema a base del nostro congresso’’), Galassi Paluzzi, ‘‘Per l’orga-
nizzazione metodica e per l’incremento degli studi riguardanti i
rapporti intercorsi nei secoli tra Roma e l’Oriente’’ (’’il nostro atteg-
giamento [verso gli studi sui rapporti tra Roma e l’Oriente] puo
riassumersi nella formula «Roma e l’Oriente» e non gia in quella che
antiscientificamente si e voluta creare di «Roma o l’Oriente»’’, che e
una formula antiromana dettata da ‘‘astiosi e partigiani apriorismi’’
che vuole negare a Roma il contributo dato all’umanita)35
.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“Non bisogna pensare che la storia di Roma, come Impero, finisca in quel famoso anno
in cui Romolo Augustolo scomparve. C’e, dopo, Giustiniano e tutto l’Impero bizantino.
Nelle nostre scuole, quando si studia l’Impero bizantino, si bada solo alle lotte degli
Iconoclasti e a quelle contro i Macedoni [sic]; mentre che tutto l’Impero bizantino e di
religione cristiana, spesso cattolica [sic], e di legislazione completamente romana. L’arte
bizantina e un’arte che deriva strettamente dai Romani”. Seguono critiche a Strzygowski; il
destino aveva voluto che le corporazioni bizantine istituite da Leone il Saggio [cioe il Libro
del Prefetto] corrispondessero non come terminologia, ne come attribuzioni, ma almeno
significativamente come numero (ventidue) alle ventidue corporazioni fasciste. Per quanto
possa apparire incredibile le analogie numeriche tra corporazioni bizantine e fasciste sono
riproposte tre anni dopo Di Marzio da A. P. Torri, “Corporazioni romane e corporazioni
bizantine”, Roma 17 (1939-XVII), p. 255: “Le corporazioni bizantine elencate nel «Libro
del Prefetto» sono ventidue – per strana coincidenza anche le corporazioni fasciste sono
ventidue”.
e. Soffici, Vasari moderno
‘‘[Soffici] Vasari moderno (...) interventista intervenuto(...), e certo l’artista, il maestro, cui si deve il rinnovamentodelle arti e della loro comprensione in Italia’’.
La Nazione, 1 marzo 1933-XI, p. 5
Ardengo Soffici e l’artista che piu incarno gli ideali artistici del
fascismo, o almeno di una delle sue anime, per tutto il ventennio.
Soffici fu il maestro e il precursore, il piu mussoliniano dei pittori
italiani, di cui la stampa fascista lodo la ‘‘dirittura di mente vigile, la
forza di carattere’’; oltre a proporre basi teoriche e decaloghi di
principi per l’arte fascista, ispirati alla pittura toscana, come un
Vasari della storiografia artistica contemporanea, Soffici fu l’artista
militante, l’interventista intervenuto; aveva aderito al fascismo fin dal
1918, scriveva sul giornale di Mussolini, Il Popolo d’Italia, ed aveva
ricevuto il Premio Mussolini dell’Accademia d’Italia. I suoi dipinti
erano esempio di naturalezza che Soffici oppone all’artificio ed all’ar-
bitrio. Fu il campione della rinascita della pittura italiana ed esem-
pio, con la toscanita della sua pittura, di ‘‘quella fedelta espressiva
che per intenderci con una frase d’obbligo, e chiamata italiana’’;
‘‘l’esperienze parigine di Soffici, come le esperienze di Carra, sono
una riconquista di elementi italiani, nell’orbita del gusto «europeo»’’;
dopo gli anni in cui la salvezza per l’arte pareva venire dalla Francia
‘‘venne la guerra a mettere un fermo nell’ordine temporale allo
sbandamento’’ e Soffici ritrovo nelle sue radici contadine toscane la
via alla pittura; ‘‘Don Chisciotte in Toscana’’ che combatte ‘‘contro i
mulini paesani che macinano farina forestiera’’, mostrando ‘‘un se-
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
36Le citazioni sono tratte da L. Dami, “Il pittore Ardengo Soffici”, Dedalo 1 (1920), pp.
209, 212, G. Cioli, “Carra, Soffici e la rinascita della pittura italiana”, Il Giornale d’Italia, 6
febbraio 1930, p. 3, e “Ardengo Soffici. Vasari moderno”, La Nazione, 1 marzo 1935-XI, p. 5.
vero impegno di fedelta alla razza in cui affiorano antichi motivi
etruschi e mediterranei’’36
.
In Periplo dell’arte Soffici lamento il progressivo decadere dell’Eu-
ropa verso l’imbarbarimento ‘‘balcanico’’, elevo per dovere d’artista
e di cittadino un ‘‘richiamo all’ordine, all’ordine italiano’’, ed attacco
il primitivismo in arte, rappresentato da ‘‘le pitture tombali egiziane,
le miniature persiane, i pannelli cinesi e giapponesi, le grandi compo-
sizioni dei bizantini’’, composizioni emancipate dal realismo, nelle
quali si usano campi di colore uniformi delimitati da linee’’, con
‘‘esaltazione cromatica, musicalita, liricita’’:
‘‘il primitivismo (...) e nella totalita delle sue manifestazioni piu carat-teristiche, arte orientale, nata nel piu profondo oriente, continuatanell’oriente piu prossimo a noi, e importata nel nostro occidente soloin un periodo di decadenza, di transizione, di travaglio e lotta fra duemondi – il barbaro e il latino – quale fu l’alto medioevo.’’
Il primitivismo e ‘‘mera ornamentazione, ‘‘strumento di fasto, di
superstizione e di magia sepolcrale’’, ‘‘specchio di misticismo e di
simbologia teologica’’. Il primitivismo e di origine orientale ed oppo-
sto alla pittura italiana: ‘‘la pittura occidentale (ed in ispecie quella
italiana) comincia dove quello finisce, ed anzi ha origine proprio
dalla sua negazione.’’.
Quanto al colore, al quale e dedicato un capitolo a se, solo con il
crollo del mondo antico
‘‘l’esuberanza e la smaglianza coloristica fu introdotta dall’Orientebacchico nella decadente Bisanzio, e di qui nel nostro Occidentetravagliato dalla barbarie e deromanizzato dal Cristianesimo.’’.
Seguendo Vasari, Soffici pensava che Cimabue avesse dato i
primi lumi alla pittura:
‘‘la sua originalita ed italianita consistono in qualcosa che e in perfettocontrasto, ed anzi in opposizione, con le caratteristiche dell’arte bizan-tina e dei suoi maestri.’’.
Dopo Cimabue, Giotto lascio ‘‘le formule ieratiche e lo stilismo
fantastico della pittura bizantina’’: ‘‘il realismo, la plasticita, la verita,
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
naturale, l’oggettivismo inteso in senso latino e classico, ecco quello
che Giotto introdusse d’un colpo nella pittura’’; questi sono ‘‘i valori
dello spirito della nostra stirpe’’. Contadino d’origine, radicato nella
nostra razza millenaria, Giotto si riallaccia ‘‘per disopra la barbarie
occidentale’’ alla civilta greco-latina sommersa: ‘‘rigetta il bizantini-
smo e la sua barbarica pompa’’, restaura lo spirito e le forme
dell’antichita autoctona. Gli artisti che si richiamano ai primitivi
‘‘barattano l’anima e la tradizione occidentale per l’orientale’’, coo-
perano
‘‘a quello smantellamento dell’unita ideale europea, che e in atto dacirca un secolo e che rappresenta il delitto storico della nostra epoca.Ma se questa cosa e ammissibile per taluni popoli bastardi, inammissi-bilissima e, certo, e persino mostruosa per gli artisti italiani.’’.
Soffici getto cosı le basi ideologiche e storiche dei valori che
avrebbero dovuto perseguire gli artisti contemporanei per perpetuare
i valori della razza italiana di fronte all’imbastardimento di altri
popoli stranieri (in prima fila, chiaramente, i Francesi): antiprimitivi-
smo e antiorientalismo (soprattutto antibizantinismo, per via del
ruolo e delle responsabilita rivestite da Bisanzio nei confronti del-
l’arte occidentale), ritorno alla pittura contadina di Giotto (anche
questa come linguaggio latino che rigetta il bizantinismo), naturali-
smo e plasticismo opposti a ornamentazione, misticismo, ecc.
Ancora nel 1943 i valori reazionari della pittura di Soffici furono
additati come esemplari in un articolo firmato da Aniceto Del Massa
pubblicato sulla rivista Domus; sullo stesso numero della rivista
apparve anche, in contrapposizione, un panegirico dell’arte bizantina
come fonte dell’arte moderna francese sul quale si tornera piu avanti
(vedi Capitolo 9, paragrafo a). Nell’articolo (fig. 63) la toscanita
della pittura di Soffici e descritta come ispirata da schiettezza, spon-
taneita, rigetto delle ‘‘componenti ibride a tipo intellettualistico’’ che
fanno da surrogati dell’originalita; lode ai macchiaioli italiani che non
hanno da invidiare nulla agli impressionisti francesi nonostante certa
critica ‘‘sopraffina e miope’’ (probabilmente si allude tra gli altri
all’antipatriottico Lionello Venturi); fedelta al reale, ‘‘fedelta agli
spiriti e alle forme della tradizione italiana (intesa in senso vivo e non
libresco); in una parola: classicismo’’:
‘‘Niente di piu falso della fama di reazionario che gli hanno creatoalcuni settatori di un modernismo non soltanto internazionalizzantenel senso piu meschino, ma devirilizzato e straccione. A ridurre le
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
37A. Del Massa, “Ardengo Soffici”, Domus n 184 (aprile 1943-XXI), pp. 189-191; la
citazione nel testo e da pp. 190-191. Il panegirico dell’arte bizantina e nell’articolo di R.
Giolli, “Espressionismo dei bizantini”, pp. 182-188. Su questi due articoli vedi M. Bernabo,
“L’arte bizantina e la critica in Italia tra le due guerre mondiali”, Romische Historische
Mitteilungen 41 (1999), pp. 42-44.38
A. Del Massa, “Ardengo Soffici”, Domus n 184, aprile 1943-XXI, pp. 189-191. Del
Massa era un critico nazionalista che, ad esempio, aveva scritto su La Nazione del 24 aprile
1937 un articolo dal titolo “Giotto e l’eta nuova” in cui lodava la classicita del pittore.
anarchie artistiche che mandano in estasi gli snobs aderenti a tutte leavanguardie, ai loro equivalenti morali, apparirebbe chiaro il sudi-ciume che si nasconde sotto i belletti, il marcio che si occulta sotto leapparenze piu seducenti’’
37.
Tra i quadri di Soffici riprodotti nell’articolo e Cucina toscana, un
piccolo poema con odor casalingo, ‘‘un altro buon pezzo di pittura,
(...) il povero contadino che ritorna alla terra dalla trincea con l’unica
ricchezza costituita dalla sua mantellina grigioverde al tempo in cui si
sfogava la canaglieria disfattista e bolscevica’’38
.
f. Cezanne italiano, Matisse bizantino: plasticismocontro colorismo
‘‘Siamo nella provincia italiana: un pittore (Costetti)consiglia un altro di disegnare, come fa lui da qualchetempo, con la sinistra, perche il segno venga piu incerto, ildisegno meno convenzionale e meno puro, creando errori,«si avvicini di piu ai primitivi».(...) La storiella del disegno fatto con la sinistra da ragione alcafonismo critico di Ugo Ojetti. Ma perche in Italia nessunocapisce o, meglio, vuol capire, che le cosiddette‘deformazioni’, il ‘primitivismo’, ecc. dell’arte modernaeuropea nascono da uno dei piu profondi tormenti spirituali,da una delle piu sofferte esperienze umane che la storiaregistri (...)? E mai possibile che in Italia tutto cio sia statospento dal conformismo tridentino perpetuatore, fino adoggi, dei languori alla Guido Reni e degli idilli alla Palizzi esoffocato dalle imbecillita che si seguitano a dire, e adessocon marchio ufficiale, sulla ‘tradizione’, sulla ‘stirpe’,ripetendo fino all’ottusita un repertorio dannunziano, delquale le nostre classi dirigenti non hanno ancora avvertito illezzo di cafone sudato, profumato di acqua di Colonia ed’incenso?’’Ranuccio Bianchi Bandinelli, Dal diario di un borghese, p. 31(febbraio 1929).
Mentre Cezanne fu sempre elogiato in Italia per i valori plastici della
sua pittura, Matisse, i Fauves, Van Gogh, Picasso, e quasi tutti i
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
39A. Soffici, “Bilancio dell’arte francese contemporanea”, Rete mediterranea 1, n 3
(settembre 1920), pp. 261-272; 1, n 4 (dicembre 1920), pp. 364-371; i giudizi riportati nel
testo sono alle pp. 272, 364, 368, 268.
pittori dell’avanguardia europea furono invece oggetto di denigra-
zione. I giudizi piu articolati sui pittori dell’avanguardia furono dati
su Cezanne e Matisse. La faziosita antifrancese porto a liquidare gli
altri pittori novecenteschi con ottusita di giudizio quasi incredibile:
di Van Gogh, ‘‘pittore mediocre’’, Soffici, in un ‘‘Bilancio dell’arte
francese contemporanea’’ del 1920 apparso sulla sua rivista Rete
mediterranea, profetizzo che sarebbe restato, ‘‘forse, tra i fenomeni
interessanti della decadenza artistica; ma la storia non lo mettera mai
neanche alla coda di qualche gruppo di veri maestri moderni. E, se
ce lo mettera, avra torto’’; Gauguin gli parve invece ‘‘il piu spiace-
vole equivoco’’, e Matisse ‘‘un delizioso, elegante decoratore’’ come
’’Benozzo Gozzoli rispetto a Giotto e a Michelangiolo’’, rimanendo
infine incerto su Picasso. Al contrario, Soffici ammira Cezanne e il
suo essere erede della ‘‘maschia solidita e succosita della pittura di
Poussin, di Courbet, di Millet, di Daumier e di Chardin, e che, con
termine generico ma abbastanza significativo, e percio comodo, si e
detta italiana’’39
. Le ottusita di Soffici furono condivise da altri;
Francesco Arcangeli si distinse per inadeguatezza critica e presun-
zione: Van Gogh, Gauguin e Picasso ‘‘non sono grandi pittori’’; per
fortuna, continua, oltre a lui stesso anche altri (cioe un tale Piero
Torriano) avanzano
‘‘dubbi assai fondati sulla portata dell’opera di Gauguin; ma, che iosappia, nessuno ha colto l’occasione per segnalare l’inconsistenza arti-stica di Van Gogh. (...) Egli resta il primo e maggiore responsabile deifenomeni di questo momento: la piu tenace, la piu dannosa radicemalata della giovane pittura italiana’’
I quadri di Van Gogh sono ‘‘incroci pressoche mostruosi tra
naturalismo e fantasia’’:
Chi buttasse all’aria il piumaggio di un volatile spennato otterebbe,all’incirca, l’effetto del ‘Boschetto dei cipressi’ del 1889. (...) Varra lapena, ancora, di infierire sul ‘Caffe ad Arles’, in alcune parti non piucommovente delle paglie intrecciate d’una seggiola?La sincerita piu alta, quella dell’opera, Van Gogh l’ebbe in misuratroppo scarsa per essere annoverato fra i grandi’’.
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
40F. Arcangeli, “Della giovane pittura italiana e di una sua radice malata”, Proporzioni 1
(1943), pp. 85-98; citazioni dalle pp. 94, 96-98.41
F. Arcangeli, “L’alfabeto di Van Gogh”, Paragone 3, n 29 (maggio 1952), pp. 21-51;
“Picasso, ‘voce recitante’“, Paragone 4, n 47 (novembre 1953), pp. 45-77. Longhi, maestro
di Arcangeli, nel 1954 giudico invece Matisse genio unico come Picasso in “Matisse”,
L’Europeo 14 novembre 1954.42
G. Severini, Ragionamenti sulle arti figurative (Milano, 1936, 2a edizione aumentata,
1942), il brano riportato e a p. 215.
Lo stesso andrebbe detto per Gauguin e Picasso:
‘‘Un’altra volta, per la penna mia o di altri, dovra pur essere vuotato ilsacco anche su di lui [Picasso]. (...) nient’altro che il piu rapidoconiatore di cifre e di mode che per ora abbia veduto il nostro secolo.Un artigiano metafisico; un simulatore di genio’’
40.
Dopo la conclusione della guerra, Arcangeli torno davvero a
vuotare il sacco su Van Gogh in Paragone (la rivista di Longhi) del
1952 e su Picasso, ‘‘voce recitante’’, in Paragone del 1953, con
osservazioni che non vale la pena riportare nel testo, ma compiendo
un voltafaccia suggerito dalla mutata situazione dopo la disfatta del
fascismo: Van Gogh fu allora elogiato, mentre su Picasso rimase
‘‘una grave insoddisfazione, ancor piu che estetica, morale’’ (che
significa: sarebbe bravo, ma e comunista)41
. Anche se altri critici
espressero simili denigrazioni verso i pittori dell’avanguardia, le
opere di Cezanne e Matisse furono quelle piu problematiche e
meditate, come detto sopra. Severini giudicava Matisse artista di
tradizione bizantina, forse il piu grande pittore del suo tempo:
‘‘(...) il suo costante sforzo di mantenersi in unione di spirito e di‘mezzi’ con una lontana tradizione (che potrebbe essere quella diBisanzio) e la sua ‘qualita’ profonda francese, fanno di lui forse il piugrande pittore del nostro tempo, senza dubbio il piu ricco di sanoinsegnamento’’
42.
Quello che si detestava nell’arte bizantina come antiitaliano (o lo
si apprezzava) era soprattutto la sua astrazione, il suo cromatismo, il
suo antiplasticismo, che appaiono simili nelle opere di Matisse. I
critici nazionalistici giudicarono questi valori negativi; positivi, in-
vece, erano in primo luogo plasticismo e naturalismo. Le caratteristi-
che negative dell’arte orientale sono, per Soffici, luminosita, linee
soavi, calligrafiche e melodiose, vaporosita elegante, finezza, eleganza
di tratti, ricchezza cromatica; le caratteristiche positive in arte sono
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
43A. Soffici, “Cubismo e oltre”, Lacerba 1 (1913), pp. 10-11, 18-19, 30-32, specialmente
pp. 10 e 18. C. Carra, “Da Cezanne a noi futuristi”, Lacerba 1 (1913), pp. 99-101,
specialmente p. 100.44
M. Tinti, “Italianismo di Cezanne”, Pinacotheca 1 (1928-1929), p. 349. M. G[rassini]
Sarfatti, Storia della pittura moderna (Collezione “Prisma”, diretta da M. Sarfatti. Roma,
1930-VIII), citazioni da pp. 28, 31-32. Sull’apprezzamento di Cezanne in Italia: Longhi,
“L’Impressionismo e il gusto degli Italiani”, prefazione a J. Rewald, Storia dell’Impressioni-
smo (Firenze, 1949), pp. v-xxix.45
U. Ojetti, “Lettera a Lionello Venturi”, Pegaso 1/2 (1929), pp. 728-732. L. Venturi,
“Risposta a Ugo Ojetti”, L’arte 33, n. s. 1 (1930), pp. 93-97. Per Lionello Venturi vedi al
capitolo 8.
all’opposto sodezza di corpi e oggetti, peso, chiaroscuro, tragicita.
Per Carra, i Bizantini si limitarono al concetto di pure zone cromati-
che entro forme geometriche43
. Le caratteristiche positive in arte
sono realizzate da Cezanne, del quale si rivendica – necessariamente
– una genealogia italiana; la Sarfatti ne ufficializzo la italianita,
definendolo ‘‘un francese del Sud, di sangue semi-italiano (il nonno,
emigrando, aveva mutato in «Cezanne» il nome del suo paese d’ori-
gine, Cesena) inspirato dalle voci ataviche e dagli aspetti della sua
Provenza ellenica e romana’’. La stessa Sarfatti decreto l’italianita
anche di Picasso: ‘‘pittore dalla ascendenza latina curiosamente ve-
nata: Pablo Picasso, nato in Spagna di famiglia italiana e cresciuto a
Parigi’’, cosı da poter concludere che i migliori rappresentanti della
pittura moderna erano l’italo-francese Cezanne e l’italo-spagnolo
Picasso. Se non il cognome di Cezanne, comunque, la plasticita delle
figure, l’architettonicita e concretezza dei volumi, le espressioni eroi-
che e severe dei personaggi, venne fatta risalire all’Italia e alla grande
tradizione di Giotto Masaccio e Michelangelo. Cezanne e, insomma,
l’erede di Giotto e della migliore (piu plastica) pittura italiana; la
discussione su di lui va di pari passo in quegli anni con quella su
Giotto stesso. Cezanne, inoltre, fu detto cattolico di fede, non
panteista, ateo o materialista come gli impressionisti44
.
La polemica di stampa contro Toesca e Venturi sul Giornale
d’Italia su arte italiana e arte francese ed orientale, si svolse contem-
poranea ad una discussione sull’arte contemporanea tra Lionello
Venturi e Ugo Ojetti45
. Fu quest’ultimo ad aprirla con una ‘‘Lettera a
Lionello Venturi’’ pubblicata sulla rivista da lui diretta, Pegaso, nel
fascicolo del 1929. Ojetti, che aveva in mente gli interventi di
Venturi sull’arte contemporanea, tra i quali Pretesti di critica, uscito
nello stesso 1929, e Il gusto dei primitivi, uscito nel 1926 – riporto le
lodi di Venturi per Cezanne e la sua affermazione che, invece,
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
46U. Ojetti, Bello e brutto (Milano, 1930).
47U. Ojetti, “Lettera a Lionello Venturi”, Pegaso 1/2 (1929), pp. 728-732, citazioni dalle
pp. 728 e 731; L. Venturi, “Risposta a Ugo Ojetti”, L’arte 33, n. s. 1 (1930), pp. 93-97,
citazioni dalle pp. 94-95 e 97. Di Venturi vedi inoltre: “Paesaggio e figura. Un problema
della mostra del Novecento”, Il secolo, 2 marzo 1926; Pretesti di critica (Milano, 1929); “Per
una critica dell’arte contemporanea”, Solaria 7, n 3 (marzo 1932), pp. 36-40.
‘‘cubismo e futurismo non hanno prodotto un’opera d’arte’’; Ven-
turi, inoltre, si sarebbe lamentato che ‘‘noi [italiani] non ci si sia
francamente messi alla scuola dei francesi, cioe degli Impressionisti
francesi; e che in Italia non vi sieno «ne l’interesse ne l’ammirazione
per l’arte francese, a causa dell’orgoglio che noi sentiamo per la
nostra grande arte passata»’’. Ojetti, a cui piacciono le masse definite
e i contorni netti di Cezanne, prosegue:
‘‘Io invece sono convinto che l’Impressionismo francese e oggi lapeggiore delle scuole cui un pittore italiano possa attendere; (...) cheCezanne e (...) non un impressionista ma il primo e saldo oppositoredell’Impressionismo di Monet, di Renoir, di Pizzarro, di Sisley, e dellostesso Manet (...).‘‘Il mondo degli Impressionisti e un mondo tutto aria e luce, senzapeso e il mondo dell’accidentale; il mondo invece della pittura italianae un mondo fatto di volume e di peso, di piani definiti e di ritmiequilibrati.’’.
Ojetti espresse piu ampiamente le sue idee sull’arte in Bello e
brutto del 193046
. Venturi ebbe facile gioco a citare alcuni tra i piu
ascoltati critici contemporanei (tra cui Roger Fry) per demolire l’idea
di Ojetti delle masse definite e dei contorni netti di Cezanne: nei suoi
quadri manca il disegno, mancanza che lo stesso artista persegue.
L’errore di Ojetti era, secondo Venturi, di carattere generale: Ojetti
pone volume e peso come concetti eterni (quindi come arte) e l’aria
e la luce come caratteri accidentali (quindi come non arte), concetti
che corrispondono alla opposizione stigmatizzata ne Il gusto dei primi-
tivi tra costruzione dei Greci e Romani (arte) e decorazione dei
Bizantini (non arte). Dunque:
‘‘Ci sono due modi di essere buoni italiani: l’uno e di parlar bene ditutte le cose nostre e male di tutte le cose straniere; l’altro e diassimilare tutto quello che si puo delle cose straniere per diveniremigliori di prima e migliori degli altri. Preferisco il secondo’’
47.
Nel frattempo Venturi si era rifugiato in Francia.
1Per le opere della manifattura Chini nel fiorentino vedi D. Salvadori Guidi, Guida alla
scoperta delle opere d’arte del ‘900 nella Provincia di Firenze (Firenze [1999?]) e S. Guerrini, I
Chini all’Antella. Opere di Dario, Galileo, Leto, Tito Chini e Manifattura Fornaci di San
Lorenzo nel Cimitero monumentale della Confraternita di Misericordia ([Firenze,] 2001). Sul
mosaico di D’Achiardi: C. Cecchelli, “Un mosaico”, Roma 3 (1925), pp. 23-24.
7
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO:
PIETRO TOESCA
Mentre sul piano pubblico della retorica e delle grandi manifesta-
zioni la grande maggioranza degli storici dell’arte proclamavano il
loro sostegno alla politica culturale del regime, alcune personalita
espressero la loro opposizione nei loro scritti. Tra gli storici dell’arte i
piu coraggiosi a rifiutare compromessi e acquiscenza furono Toesca,
Berenson e Lionello Venturi. Sul piano della ricerca scientifica que-
sta opposizione si manifesto appunto nel negare a Roma la suprema-
zia artistica sull’Oriente nel Medioevo e sulla Francia nell’eta con-
temporanea. E necessario, in questo capitolo e nel successivo,
addentrarsi quindi in dettaglio nel contenuto dei loro scritti.
Dopo la prima guerra mondiale, con il periodo del ritorno all’or-
dine e l’avvento del fascismo, l’arte bizantina passo i suoi giorni piu
neri in Italia, relegata a modello di spiritualita artistica quasi solo per
edifici religiosi, privati e marginali: la manifattura Chini di Borgo San
Lorenzo realizzo mosaici in stile bizantino nei cimiteri nei dintorni di
Firenze; in Romagna, per le cappelle religiose divennero di moda
decorazioni nello stile dei mosaici di Ravenna; in Terra Santa, Pietro
D’Achiardi fornı disegni per il mosaico pavimentale con vasi e tralci
ispirati alle composizioni paleocristiane per la basilica del Tabor (fig.
64)1. Dalla crescente adesione e a volte entusiastica adulazione verso
il fascismo restarono indenni pochi critici d’arte; di essi Pietro
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
2La definizione di Toesca e dall’annuncio della morte apparso negli Atti della Accademia
Nazionale dei Lincei 359 (1962), ser. 8, Rendiconti. Classe di Scienze Morali, Storiche e
Filologiche, 17, fasc. 3-4 (marzo-aprile 1962), p. 186.3
Vedi il Capitolo 6, paragrafo c.
Toesca, ‘‘uomo tanto modesto nella vita quanto eminente negli
studi, devoto e pur originale continuatore dell’opera di Adolfo Ven-
turi’’, fu quello che ricoprı le cariche di maggior prestigio e detenne
la massima autorevolezza (fig. 65)2. Toesca fu coerente assertore del
primato dell’arte bizantina sull’arte occidentale nel medioevo. La sua
autorevolezza e la sua assenza dalle polemiche artistiche del tempo lo
resero difficilmente attaccabile da parte dei critici nazionalisti. Ebbe
un atteggiamento riservato verso la societa artistica del tempo e non
si espose in polemiche pubbliche, nonostante le cariche indubbia-
mente prestigiose che ricopriva. L’orientalismo dei suoi studi sul
medioevo dovette essere sopportato a malapena dai fascisti piu
integralisti e fu attaccato allusivamente o garbatamente (salvo l’epi-
sodio del Giornale d’Italia) in piu occasioni dai vari piaggiatori acca-
demici del potere3, per i quali la sua visione orientalistica di Bisanzio,
che giudicava il modello dell’arte medievale dell’occidente, fu sentita
come uno svilimento delle radici romane dell’arte europea.
a. Pietro Toesca
Scolaro di Adolfo Venturi a Roma, Toesca insegno Storia dell’Arte
Medievale e Moderna all’Universita di Torino da dove passo a
Firenze; poi, dal 1926, ricoprı la cattedra di Storia dell’Arte Medie-
vale all’Universita di Roma e dal 1931 tenne anche quella di Storia
dell’Arte del Rinascimento e Moderna. Dal 1929 successe a Ugo
Ojetti nella direzione della sezione Storia dell’Arte dell’Enciclopedia
Italiana. Con lui si formo la parte piu autorevole degli storici dell’arte
italiana che tennero campo negli anni del fascismo e del dopoguerra
e che saranno coinvolti nelle polemiche su Bisanzio e Roma. Lionello
Venturi e Roberto Longhi furono tra i primi suoi studenti torinesi;
Emilio Cecchi e Paolo D’Ancona parteciparono alla discussione su
Giotto e i primitivi; Geza De Francovich e Giulio Carlo Argan,
scolaro quest’ultimo di Lionello Venturi, lavorarono con lui all’Uni-
versita di Roma ed all’Enciclopedia Italiana. Oltre che dai suoi scritti,
molte informazioni sulle idee di Toesca, soprattutto in merito a
questioni storico-artistiche, ai rapporti con colleghi e scolari e all’as-
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO: PIETRO TOESCA
4Una biografia di Paribeni e stata scritta da Gugliemo De Angelis D’Ossat negli Studi in
onore di Aristide Calderini e Roberto Paribeni (Milano, 1956), 1, pp. lxiii-lxvi.
servimento della critica alle mode del tempo ed alla ideologia del
fascismo, sono contenute nel suo fitto epistolario: solo quello con
Bernard Berenson, suo ‘‘socio’’ in arte, consta di oltre 300 lettere
dagli anni Venti alla fine degli anni Cinquanta.
Toesca e indignato dalla immoralita e dalla poverta critica della
generazione piu giovane di storici dell’arte. Non apprezza Croce:
‘‘S’Ella – scrive a Berenson – deplora lo stato degli studi tra noi, che
dovrei dire io che sono per forza a contatto di gomiti con questa
gente? Il Croce di certo ha guastato i cervelli’’; tantomeno, chi ha
abbracciato il fascismo, come Gentile, il ‘‘piccolo satrapo’’, o Cor-
rado Ricci e Roberto Paribeni, gli ‘‘eunuchi dell’arte’’, come li
definisce in una lettera a Berenson del 25 maggio 1931, nella quale
fa invece le lodi di Lionello Venturi, incontrato esule a Parigi,
‘‘mirabile’’ davvero nella sua infaticabilita:
‘‘Ed io ebbi a dirglielo pubblicamente quando gli presentai in quellaultima lezione un ricordo dei suoi vecchi scolari: e lo dissi con tantomaggior calore poiche erano presenti gli eunuchi dell’arte, Ricci eParibeni. Di quest’ultimo dovro poi dirle lungamente’’
4.
E convinto della mediocrita della critica italiana patriottica del
periodo fascista:
‘‘Ora se l’imparzialita corrispondesse a indifferenza non ci sarebbenello studio dell’arte un difetto peggiore; ma per me essa dovrebbeessere quella serenita che lascia scoprire anche le cose lontane, eimpreviste: ed e una qualita invidiabile, che si fa sempre piu rara, tranoi specialmente per un malinteso patriottismo. Bisognerebbe a questoproposito vedere il numero di ottobre [1930] della ‘‘revue’’ ‘‘Formes’’con un articolo ‘‘Ex Roma lux’’ [di Waldemar George] in mezzo amolti altri della mediocrita culturale italiana e forestiera.’’
Spesso e ‘‘disgustato’’ dalle manovre che si svolgono alle sue
spalle. Per il Premio Mussolini, al quale pensava di partecipare con Il
Medioevo rinuncia a ‘‘muovere un dito o spendere una parola: altri-
menti ci rimetterei ancora qualcosa’’. Di una voce di una sua promo-
zione alla Accademia d’Italia nel 1932 lamenta l’origine calunniosa e
malevola e l’atmosfera di sospetti, simile a quella di uno che si trovi
tra ‘‘banditi in una boscaglia’’:
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
5La bibliografia su Toesca, raccolta dalla moglie Elena Berti, e pubblicata nel fascicolo di
necrologio di E. Lavagnino, Pietro Toesca (Atti dell’Accademia Nazionale di San Luca, n. s.,
Note commemorative di accademici defunti, 3. Roma, 1962). Su Toesca vedi: E. Castel-
nuovo, “Introduzione”, in Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia, pp. xxiii-lv; G.
Romano, “Pietro Toesca a Torino”, Ricerche di Storia dell’arte n 59, 1996, pp. 5-16 (alla
nota 1 p. 12 bibliografia su Toesca); id., Storie dell’arte. Toesca, Longhi, Wittkower, Previtali
(Roma, 1998); M. Aldi, “Pietro Toesca: tra cultura tardo-positivista e simbolismo. Dagli
interessi letterari alla storia dell’arte”, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di
Lettere e Filosofia, ser. 4, 2/1 (1997), pp. 145-191. Le lettere di Toesca a Berenson sono
conservate nella Biblioteca Berenson di Villa I Tatti, Settignano (Firenze); le notizie ed i
brani riportati nel testo sono in lettere datate 17.1.1928, 7.11.1928, 16. 1.1929, 3.4.1929,
26.6.1929, 29.12.1930, 4.2.1931, 19.2.1931, 25.5.1931, 8.5. 1931, 16.11.1931,
10.3.1932, 22.7.1934, 16.10.1934, 11.3.1935, 4.8.1935, 8.9. 1935, 10.11.1935, 2.9.1937,
29.1.1938, 17.10.1938, 1.11.1939, 25.3.1945, 12.5.1945, 11.8.1945, 30.7.1945, 8.4.1946,
7.6.1946, 19.12.1947, 26.9.1949, 26.11.1949. Quanto a Bottai e Longhi, va ricordato che
Bottai volle come collaboratori al ministero alcuni tra i migliori critici d’arte del momento,
anche se non devotamente allineati sulle posizioni del fascismo, oltre a Longhi, Cesare
Brandi e Giulio Carlo Argan: A. J. De Grand, Bottai e la cultura fascista (Bari, 1978), p. 263.
‘‘La nostra [casa] avrebbe dovuto essere devastata da una specie ditifone di calunnie, d’insinuazioni e di malvagita scatenatosi in questigiorni contro di me quando si seppe che qualcuno pensava alla miacandidatura all’Accad. reale. Io l’ignoravo: me ne porto iersera unaventata l’amico Farinelli portandomi una delle tante insidiose lettereanonime ricevute da lui e dai suoi colleghi nei giorni scorsi. E giapassata una notte; ci ho dormito sopra: e non ci penso piu. Ma quellalettera avrebbe potuto portare l’intestazione della Direz. Gen. delle B.Arti [cioe di Paribeni]. Intanto, com’e naturale, di me non si e parlato:e i pochi amici non hanno potuto far nulla. Ojetti di certo Le sara largodi particolari al suo ritorno. Ma qui e peggio che stare tra i banditi inuna boscaglia!’’
La figura di Toesca e stata finora studiata solo per gli anni della
formazione e del primo insegnamento a Torino. Un suo apprezza-
mento benevolo dei due focosi scolari Longhi e Lionello Venturi e
dato per scontato nelle rievocazioni di Toesca e, soprattutto, nelle
rievocazioni degli anni giovanili di Longhi fatte dagli scolari di
quest’ultimo; questa agiografia longhiana con ricostruzioni idilliache
dei rapporti Longhi-Toesca (ed anche Longhi-Berenson) e smentita
dall’epistolario di Toesca, almeno per tutto il periodo del fascismo.
Di Longhi Toesca non critica il suo contributo storico, ma ha in
fastidio i suoi modi arrivistici: il rinnegare i vecchi maestri per
opportunita di carriera, l’essere diventato ‘‘la ninfa Egeria’’ del mini-
stro Bottai, avere una presenza accentratrice nella rivista Le arti, una
creatura di Bottai5. Per la cattedra vacante di Storia dell’Arte del
Rinascimento di Roma, per la quale era stato posto dal governo
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO: PIETRO TOESCA
6Le citazioni sono da lettere di Toesca a Berenson conservate nella Biblioteca Berenson
di Villa I Tatti e datate 21.2.1928, 28.8.1928, 14.10.1928, 20.12.1928, 22.1.1930,
27.1.1931, 26.4.1931, 17.8.1931, 23.8.1933, 26.1.1934, 2.8.1936, 17.11.1937, 22.7.1947,
19.2.1948, 7.6.1948, 25.2.1949, 12.12.1949, 13.5.1950.
fascista un veto alla candidatura di Lionello Venturi per via, fu detto,
dei rapporti di quest’ultimo con l’industriale antifascista Gualino,
piuttosto che esporla alle ambizioni di Longhi, Munoz o Colasanti,
Toesca preferisce passarvi lui stesso ricoprendo per incarico la sua
vecchia cattedra di Storia dell’Arte Medievale. Solo dopo la fine della
seconda guerra mondiale Toesca accetta le avances di Longhi per un
riavvicinamento. Ma anche di Lionello Venturi Toesca e poco soddi-
sfatto, nonostante abbia sostenuto ‘‘il figlio di Adolfo’’ per la catte-
dra romana. Toesca ha un giudizio negativo anche verso tutti quegli
studiosi emersi dopo la liberazione e di poco valore ai suoi occhi,
soprattutto Ragghianti; apprezza dichiaratamente solo due giovani
studiosi: Giulio Carlo Argan, che gli pare ‘‘un giovane intelligente, di
tempra assai diversa dagli altri ragghianti («fama mia ti raccomando –
al somier che va ragghiando» Jacopone), ma e stato guastato dalle
influenze lionellesche, a Torino, che ora si vanno dissolvendo’’; e
‘‘l’amico’’ Ranuccio Bianchi Bandinelli, del quale dice di avere
‘‘molta fiducia in lui, sperando che non lo abbia guastato la condire-
zione di «La critica d’arte» con il famigerato Ragghianti’’ (che poi
fara ‘‘sloggiare’’ Bianchi Bandinelli dalle stanze al Ministero con
disappunto di Toesca).
b. Toesca orientalista
Lo spirito filobizantino di Toesca salta subito agli occhi nei suoi
scritti e nell’epistolario con Berenson, che condivideva con lui l’inte-
resse per Bisanzio. Toesca mette a parte Berenson di letture, mostre,
congressi e restauri che toccano Bisanzio6. Consiglia Berenson di
vedere i manoscritti bizantini miniati della biblioteca delle Missioni
Urbane a Genova; desidera leggere La miniature byzantine di Eber-
solt; parla della Pittura bizantina di Muratov; non trova alcuni dei
manoscritti miniati visti ad Atene nel catalogo di Paul Buberl; rac-
conta dei codici bizantini portati dall’Asia Minore e in particolare da
Smirne da profughi greci ed esposti al Musee des Arts Decoratifs di
Parigi; menziona l’evangeliario bizantino della Biblioteca Palatina di
Parma (cod. 5) le cui foto ha rifiutato ‘‘al caro Lazarev’’; parla di un
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
volume dello Strzygowski sull’arte in Asia (probabilmente Asiens
bildende Kunst in Stichproben del 1930); e entusiasta della mostra di
fotografie della Grande Moschea di Damasco allestita a Ravenna e di
cio che quei mosaici provano per le influenze orientali sull’arte
occidentale; e disgustato dal volume Roma o Bisanzio? ‘‘di un certo
Galassi’’ che ha l’imprimatur della Libreria dello Stato; racconta di
essere salito sulle impalcature di Santa Maria Maggiore a vedere i
mosaici; visita la mostra di arte bizantina a Parigi nel 1931; e colpito
dalla bellezza dei manoscritti armeni di San Lazzaro a Venezia (‘‘dei
capolavori’’, ‘‘tra le cose piu belle della maniera aulica bizantina’’); si
lamenta dei ‘‘pessimi restauri’’ fatti dal Ricci nel duomo di Torcello;
non e convinto che il rapporto sui restauri dei mosaici di Santa Sofia
di Costantinopoli contenga delle novita; chiede a Berenson, che e a
Sarajevo, di procurargli fotografie di affreschi bizantini; si preoccupa
dei lavori di restauro nella chiesa di San Vitale e nel mausoleo di
Galla Placidia di Ravenna; segue appassionatamente la scoperta degli
affreschi di Castelseprio che a prima vista gli ricordano Mistra, ma
sono senz’altro piu antichi, forse del VI-VII secolo, e costantinopoli-
tani tranne il Cristo che e di altra tradizione; menziona un incontro
con Andre Grabar a Roma per il congresso bizantino nel 1948 al
quale non potra partecipare; richiede e poi riceve il libro di Otto
Demus Byzantine Mosaics Decoration del 1948 (‘‘abbastanza interes-
sante’’); compra Les peintures de l’Evangeliaire de Sinope di Grabar; si
emoziona nello sfogliare pagina per pagina l’Evangeliario di Rossano
(‘‘dove sara stato immaginato, con tanta raffinatezza, questo capola-
voro? ’’, un giudizio simile a quello del suo maestro Adolfo Venturi);
legge la monografia di Weitzmann su Castelseprio, ma non ne
condivide le tesi (‘‘per me punto persuasivo’’).
L’interesse per Bisanzio fu trasmesso a Toesca da Adolfo Ven-
turi. Su L’arte, diretta appunto da Venturi, dove appaiono in quegli
stessi anni altri articoli su Bisanzio, Toesca scrisse nel 1906 un
articolo dal titolo ‘‘Cimeli bizantini’’, nel quale sono discussi un
calamaio metallico sbalzato con figure di divinita pagane nel Tesoro
del Santo a Padova (fig. 66), che l’epigrafe alla base dice donato a un
certo Leone scriba e che Toesca data al IX-X secolo, e una cassetta
eburnea ad Anagni con scene mitologiche, che Venturi vorrebbe del
IV-V secolo, mentre Toesca propone una data molto distante, il XIII
secolo. Caso singolare tra gli storici dell’arte italiani del suo tempo,
Toesca utilizza insieme analisi tecnica, lettura stilistica e studio
paleografico dell’iscrizione greca; agli sbalzi del calamaio, inoltre,
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO: PIETRO TOESCA
7P. Toesca, “Cimeli bizantini”, L’Arte 9 (1906), pp. 35-44.
collega stilisticamente miniature bizantine in manoscritti quasi sco-
nosciuti a quel tempo (i Cinegetica di pseudo-Oppiano alla Marciana
di Venezia, ad esempio). I riferimenti bibliografici sono aggiornati
sulle pubblicazioni recenti di Kondakov, Schlumberger, Tikkanen. Il
giudizio sul ruolo di Bisanzio nel medioevo, col quale Toesca chiude
l’articolo, e apologetico:
‘‘Coscientemente, e non per vano gioco di decoratore, l’artefice ri-trasse immagini classiche intorno al calamaio di uno di quei calligrafibizantini ormai oscuri, ma per sempre benemeriti, trasmettitori a noidel pensiero e della bellezza antica.’’
7.
Ancora prima di ‘‘Cimeli bizantini’’, Toesca aveva mostrato di
recepire quanto la bizantinistica estera stava costruendo in quegli
anni ed aveva espresso la sua inclinazione per una interpretazione
orientalistica dell’arte medievale italiana in un lungo lavoro del 1902
sugli affreschi medievali di Anagni (figg. 67-68). Qui, Toesca intro-
duce nuovamente manoscritti miniati bizantini per confronto (il
Dioscoride di Vienna, l’Evangeliario di Rabbula della Laurenziana, il
Cosma Indicopleuste della Vaticana). Tra la bibliografia citata com-
paiono i lavori di Strzygowski. Toesca si lamenta che fino ad allora si
e voluto ‘‘adunare in poche linee la storia dell’arte di tutto un impero
che dall’Asia Minore giungeva sino all’Italia’’ e si sono volute met-
tere insieme nel giudizio ‘‘opere create a dilettare gli ozi dei porfiro-
geniti e iconi riprodotte a soddisfare la folla dei credenti’’. Proce-
dendo parallelo alla tesi di Krumbacher dei tre tipi della letteratura
bizantina – ‘‘una produzione per dotti che sognavano antiche bellez-
ze’’, ‘‘una letteratura popolare (...) la quale non risentiva che di
lontano l’influenza di tanti studi’’, ed infine ‘‘il parlare volgare [che]
andava sempre piu diversificandosi e diventando estraneo alla lingua
fittizia delle persone piu colte’’ –, Toesca propone tre diversi maestri
per gli affreschi della cripta di Anagni: un Frater Romanus di Su-
biaco, il piu colto dei tre, che e forse un bizantino (avrebbe latiniz-
zato il nome greco Romanos), che probabilmente copio le sue pitture
da un manoscritto miniato e lavoro anche in altri monumenti laziali,
tra i quali il Sacro Speco di Subiaco; il ‘Pittore delle Traslazioni’, che
usa una ‘‘tecnica’’ bizantina, ma con alcuni caratteri che lo fanno
supporre un artista campano, bizantineggiante, che opero alla corte
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
8P. Toesca, “Gli affreschi nella Cattedrale di Anagni”, Le Gallerie Nazionali Italiane.
Notizie e documenti 5 (1902), pp. 116-187, citazioni sono da pp. 151, 155, 157.9
Una bella e giusta definizione de Il Medioevo e stata data da Carlo Bertelli in “Traccia
allo studio delle fondazioni medievali dell’arte italiana”, in Storia dell’arte italiana, parte II,
Dal Medioevo al Novecento, vol. 1, Dal Medioevo al Quattrocento (Torino, 1983), p. 13:
“All’estrema soggettivita della storiografia risorgimentale, la storiografia del Novecento ha
opposto un mondo di certezze, costruito su analogie stilistiche evidenti e su documenti
esterni accertati. La mappa di questo mondo di verita e Il Medioevo di Pietro Toesca,
grande e inarrivabile monumento che un uomo solo e solitario, attraverso l’esame diretto di
ognuno degli infiniti oggetti commentati, ha dato alla propria patria, scavalcando in uno
sforzo senza eguali ritardi pluridecennali di studi e di istituzioni. Se, a distanza di decenni e
malgrado correzioni di molti particolari, Il Medioevo resta il punto di riferimento piu sicuro,
un quadro generale di valutazioni sostanzialmente intatto, e perche non sono stati messi in
discussione, se non in maniera arbitraria – per esempio, nel trasferimento da noi della
polemica strzygowskiana su Oriente e Occidente – i fondamenti stessi della storia dell’arte
come scienza di fatti verificabili.”.10
Toesca, Il Medioevo. A nota 3 pp. 1021-1022, Toesca elenca una quarantina di
manoscritti miniati bizantini: 3 della maniera classicheggiante (tra cui il Salterio Vat. gr.
381, il Giobbe Marciano gr. 540 [538]), 27 della maniera propriamente bizantina su fondo
classico (tra cui la Catena sui Profeti, plut. 5.9, e l’Ottateuco plut. 5.38 della Laurenziana; i
due Ottateuchi vaticani, Vat. gr. 746 e Vat. gr. 747; l’evangeliario Urb. gr. 2; il Menologio
di Basilio II, Vat. gr. 1613, ed il Salterio di Basilio II, Marc. gr. 18; l’evangeliario di Parma,
Palat. 5); 8 della maniera tormentata (tra cui il Giovanni Climaco Vat. gr. 394, gli
evangeliari vaticani Vat. gr. 1156, Vat. gr. 1158 e Vat. gr. 1208, le Vite dei Padri del deserto
Vat. lat. 375); 3 della maniera popolare (l’Ambrosiano D 67 sup., il Vat. gr. 1754, il
Marciano cl. I, XXII).
di Federico II; il ‘Pittore ornatista’, il piu debole del gruppo, che
tento invano di animare i suoi modelli bizantini e che doveva essere
un pittore attivo a Roma o Subiaco8.
c. Il Medioevo bizantino: le origini dell’artecristiana ed i mosaici di Ravenna
Il Medioevo di Toesca, che uscı in dispense tra il 1913 e il 1924 (figg.
69-74), contiene un articolato giudizio su Bisanzio basato su di un
corpus di monumenti ben piu ampio di quello fatto conoscere dalla
Storia dell’arte italiana di Adolfo Venturi, i cui tre volumi sull’arte
paleocristiana e medioevale erano usciti tra il 1901 e il 19049.
Rispetto a Venturi, Toesca include un alto numero di manoscritti
miniati bizantini suddividendoli tra un esiguo gruppo della ‘‘maniera
classicheggiante’’ (fig. 70), un secondo gruppo, il piu numeroso,
della ‘‘maniera propriamente bizantina su fondo classico’’, un terzo
gruppo della ‘‘maniera volgente a modi sempre piu tormentati’’, e un
quarto della ‘‘maniera dalle forme piu popolari e trasandate’’10
. Il
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO: PIETRO TOESCA
11W. R. von Hartel e F. Wickhoff, Die Wiener Genesis (Prag – Wien – Leipzig, 1895); A.
Riegl, Spatromische Kunstindustrie (Wien, 1927), traduzione italiana Arte tardoromana, a cura
di L. Collobi Ragghianti (Torino,1959), spec. pp. 73 sgg.
giudizio di Toesca sull’arte bizantina non era sempre entusiastico,
ma era vicino a quello di Berenson e filobizantino senza ambiguita
nei tre punti caldi della polemica sul primato di Roma o di Bisanzio e
l’Oriente che si svolgera negli anni Venti e Trenta in Italia: le origini
dell’arte cristiana, l’arte dell’alto medioevo in Italia, la pittura del
Duecento e le origini artistiche di Giotto.
Per le origini dell’arte cristiana Toesca respinge la visione del-
l’arte antica a primato romano espressa dai due caposcuola viennesi
Franz Wickhoff e Alois Riegl. In Die Wiener Genesis del 1895,
Wickhoff aveva proposto l’idea di un’arte romana che estende la sua
area di influenza in tutto il mondo antico e dalla quale nacque l’arte
cristiana; Alois Riegl, invece, analizzando in Spatromische Kunstindu-
strie del 1927 la scultura del periodo tardoromano ed in particolare i
rilievi dell’arco di Costantino, vi aveva visto non una decadenza, ma
la ricerca di effetti coloristici intesi a dare una impressione di superfi-
cie ottica ai rilievi, piuttosto che di superficie tattile come nel periodo
classico, preludendo cosı all’arte medievale11
. Toesca propose una
versione moderata della interpretazione orientalista di Strzygowski,
piu volte citato nelle note, di un’arte romana dipendente dall’arte
dell’Oriente ellenistico, una idea che fu uno dei bersagli polemici dei
critici italiani schierati con il fascismo. Il Medioevo inizia cosı con la
dichiarazione esplicita che nella trasformazione dell’arte nel periodo
delle origini cristiane, le regioni orientali ebbero ‘‘un’azione assai piu
viva e preponderante’’ che le occidentali; Asia Minore, Egitto e Siria
‘‘ebbero parte prevalente nell’elaborazione di un’arte nuova, prepara-
rono i procedimenti tecnici, le tendenze stilistiche, l’iconografia al-
l’arte bizantina, che doveva svolgersi, e predominare dovunque essa
fu nota, durante tutto il Medioevo’’. Fino al IX secolo le regioni
orientali ebbero quindi il primato nella formazione e nello svolgi-
mento dello stile e della iconografia cristiane. Distinguendosi da
Strzygowski, Toesca affermo tuttavia che Bisanzio ed i centri artistici
piu orientali dell’impero, come i conventi della Mesopotamia dove a
quel tempo si credeva realizzato l’Evangeliario di Rabbula, furono
largamente influenzati dalle tradizioni ellenistiche di Egitto ed Asia
Minore; l’azione dell’arte orientale, anteriore e diversa da quella
ellenistica, non sarebbe invece determinabile con uguale chiarezza:
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
12Toesca, Il Medioevo, pp. 14, 156-157, 159-162 e figg. 91-92.
13Ivi, pp. 181-198.
14Toesca, S. Vitale, p. 20.
da essa probabilmente derivarono alcuni dei caratteri principali del-
l’arte bizantina che la differenziano da quella ellenistica, come ‘‘la
tendenza a figurazioni trascendenti della realta’’, ‘‘la semplificazione
del tutto convenzionale di molti modi di espressione’’, ‘‘la predile-
zione di composizioni simmetriche’’, ‘‘la fredda severita ieratica delle
rappresentazioni tanto lontana dall’umano realismo dell’arte classi-
ca’’. Come esempi, Toesca porto l’Evangeliario di Rabbula e l’Evan-
geliario di Rossano12
.
Toesca fu parimenti perentorio sulla paternita bizantina dei mo-
saici di Ravenna, relativamente ai quali focalizzo le differenze stilisti-
che tra opere di secoli differenti. I mosaici di Galla Placidia non
trascendono ne nell’astratto ne nel convenzionale, il paesaggio ha un
sentimento pittoresco che proviene dall’arte classica; il colorito e
impressionistico. A Sant’Apollinare Nuovo i soggetti narrativi la-
sciano il campo a figurazioni ideali: nella teoria di martiri sulla parete
destra della navata la realta e immiserita, le forme sono prive di vita,
povere, senza rilievo, struttura e movimenti, ed il colore impressioni-
stico e scomparso; nella teoria delle vergini, di qualita molto piu alta,
sulla parete sinistra, le figure hanno caratteri personali e sono variate
con finezza; qui si procede verso l’ascetismo allontanandosi dalla
realta. Quanto a San Vitale, i mosaici di Giustiniano e Teodora non
hanno carattere naturalistico, come quelli di Sant’Apollinare Nuovo,
ma decorativo; il colorito non e impressionistico ed i ricordi classici
si sono attenuati13
.
Toesca individuo nei mosaici di San Vitale l’affermazione del
primato di Bisanzio su Roma: in un secolo in cui andava risolvendosi
l’unita di cultura e arte del Mediterraneo a favore dell’Oriente, questi
mosaici
‘‘piuttosto che lo scadimento di concezioni e forme antiche dell’arte, illoro vivace tramutarsi nelle nuove che nella pittura bizantina matura-rono sempre piu, delle quali non i due mosaici di Giustiniano eTeodora, ma gli altri [a San Vitale stessa] rivelano la grandezzamonumentale, il senso del colore e gia il formarsi di certe stilizzazionipoi lungamente mantenute.’’
14.
Cosı, per Toesca, lo stile bizantino che dominera il medioevo e
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO: PIETRO TOESCA
15G. Bendinelli, Compendio di storia dell’arte dal Quattrocento ai tempi nostri (Milano –
Roma – Napoli, 1926), citazioni da p. 54 e pp. 51-52.
quello che mantiene la plasticita e il naturalismo dell’antichita e li
proporra come modelli agli artisti del medioevo occidentale. L’indi-
pendenza e determinatezza del giudizio di Toesca sulle qualita dei
mosaici di San Vitale risalta al confronto con le interpretazioni date
nei manuali italiani di storia dell’arte in uso negli anni Venti e
Trenta. Nel piu diffuso tra questi, il Compendio di storia dell’arte di
Goffredo Bendinelli, professore di archeologia all’Universita di To-
rino, sono annotati difetti, bizzarie, stucchevolezze dei mosaici giudi-
cati secondo i criteri classici della verosimiglianza. Le teorie dei santi
danno a Bendinelli ‘‘una impressione di monotonia che sostanzial-
mente si riceve dalla ripetizione stucchevole, gia annunziatasi in
monumenti precedenti, di schemi figurativi, in cui gli aspetti della
realta sono ridotti a geometriche combinazioni di linee’’; se si vo-
gliono riconoscere in questo le impronte di un’arte nuova, detta
bizantina (qui e probabilmente una polemica con Toesca), quest’arte
si presenta ‘‘priva di vitalita e di avvenire, incapace di lottare con i
residui della grande arte classica’’; insomma, siamo di fronte all’ul-
timo capitolo della gloriosa arte antica piuttosto che al preludio di
un’arte nuova, che si sarebbe ‘‘cristallizzata e fossilizzata al suo
primo apparire’’. Negata, di fatto, l’esistenza di un’arte bizantina,
Bendinelli liquida anche i mosaici dei cortei imperiali di San Vitale,
dove le figure sono semplicemente disegnate da incompetenti, inebe-
tite e con gli occhi sbarrati, fantasmi sospesi a mezz’aria che si
pestano i piedi:
‘‘contro alle piu elementari leggi prospettiche e naturali, le figure sonodisegnate esattamente tutte di fronte e sopra un medesimo piano, privedi espressione in quei volti dagli occhi sbarrati e prive affatto di rilievonel contorno piatto delle membra e delle vesti, prive di reale consi-stenza nella mancanza pressoche completa delle ombre. Sembranoquasi fantasmi sospesi a mezz’aria, poiche l’artista ha collocato unosull’altro i piedi delle figure, come per insufficienza di spazio.’’
15.
Questi commenti di Bendinelli, che possono oggi far sorridere,
erano condivisi dagli storici dell’arte con idee piu conservatrici o
accademiche. Luigi Serra, ad esempio, ripete giudizi negativi del
repertorio ottocentesco sulla pompa orientale nei mosaici di Ra-
venna, dove il lusso bizantino avrebbe corrotto l’arte romana, sottoli-
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
16L. Serra, Storia dell’arte italiana, 1 (Milano, 1924), p. 94.
17R. Longhi, “Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura veneziana”, L’Arte 17
(1914), pp. 198-221, 241-256 (ristampato in R. L., Scritti giovanili. 1912 – 1922 [Firenze,
1961], pp. 61-106).
neando la insensibilita e mancanza di espressioni e di affetti delle
figure bizantine e l’’aspetto mostruoso e terrificante della divinita nei
mosaici di Ravenna:
‘‘[A Ravenna] Nel secolo VI le grandiose forme romane si decompon-gono a contatto del lusso e della rigidita jeratica delle figurazionibizantine, spoglie di ogni grazia corporea, insensibili ad ogni espres-sione di affetti. Per esprimere appieno l’essenza del divino se nerinnega ogni carattere umano, lo si rende terrificante e quasi mo-struoso, lo si avvolge in una spettacolosa ricchezza intesa con alti spiritiornamentali. Nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, in sostituzionede’ musaici del tempo di Teodorico, si dispiega un ciclo in cui leultime manifestazioni musive improntate di classicita si accompagnanoalle prime espressioni dell’’abbagliante decorativa pompa orientale.’’.
‘‘Abbagliante pompa orientale’’ e una delle frasi fatte che veni-
vano usate per l’arte bizantina in questi anni; la terribilita della
divinita, invece, non si capisce dove sia a Ravenna: e possibile che
Serra forse confonda le immagini divine dei mosaici ravennati con i
pantocratori delle chiese siciliane16
.
Le conclusioni della discussione di Toesca sui mosaici di Ra-
venna ne Il Medioevo furono che essi sono tutti bizantini, dai piu
antichi del Mausoleo di Galla Placidia del secolo V, che erano
comunemente collegati all’arte romana o dati di scuola ravennate,
fino a quelli del secolo VI di San Vitale, che erano collegati a
Costantinopoli. La schematizzazione vigente nella critica del primo
Novecento e del periodo fascista intendeva bizantino come astratto e
incorporeo e romano come plastico; Longhi, ad esempio, pur allievo
di Toesca, scrive senza animosita, nel 1914, dei mosaici di San Vitale
come capolavoro del colorismo bizantino, con figure su di un solo
piano, senza forma ne spazio, da contrapporre allo stile plastico dei
mosaici romani17
. Non solo i due pannelli imperiali di San Vitale
sono bizantini e gli altri occidentali, ma, al contrario, Toesca dichiara
che ‘‘non si puo concludere che soltanto quei due mosaici apparten-
gano all’’orbita dell’arte orientale e bizantina, tutti gli altri invece ad
una tradizione classicheggiante, nostra, in contrasto con quell’arte’’.
Le differenze tra i mosaici di Ravenna, che pure sono grandi, non
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO: PIETRO TOESCA
18Toesca, Il Medioevo, pp. 193-199.
19Toesca, Il Medioevo, pp. 394-401.
permettono di rintracciare lo svolgimento di una tradizione locale,
ma riflettono tendenze diverse nell’arte bizantina; questi mosaici
mostrano una continua importazione di forme artistiche dall’esterno
e sono dovuti ad artisti venuti da Costantinopoli o educati all’arte
orientale18
.
d. Il Medioevo bizantino: dai mosaici romani a Giotto
La pittura bizantina e stata cosı multiforme da accogliere insieme la
tradizione del naturalismo ellenistico e forme del tutto opposte.
Come a Ravenna, anche negli affreschi di Santa Maria Antiqua a
Roma, la varieta di maniere che si susseguono cronologicamente va
collegata alle tendenze di stile che l’arte bizantina accolse in se –
anche se alcune di quelle pitture furono opera di artisti romani. Una
scuola artistica romana con proprie caratteristiche unitarie fiorira
solamente nel secolo IX e realizzera i mosaici dei Santi Nereo ed
Achilleo, Santa Maria in Domnica, Santa Prassede (fig. 71), Santa
Cecilia, San Marco. Anche in questo caso, pero, non si tratto di un
rinnovamento dell’arte paragonabile a quanto avvenne contempora-
neamente nella pittura carolingia, ma di una variante secondaria
della pittura medievale, una imitazione del tutto superficiale di forme
piu antiche: questi artisti di scuola romana appiattirono il modellato,
tolsero al colorito ogni valore plastico, ridussero l’arte a intenti di
decorazione. La stessa definizione di stile, insomma, che altri critici
usavano per le opere d’arte bizantina, Toesca usa per l’arte romana
altomedievale: l’arte di Roma come negazione della tradizione pla-
stica antica che Bisanzio conservo e che quei critici attribuivano
propagandisticamente a Roma19
.
La capacita dell’arte bizantina di mantenere e rinnovare la classi-
cita nella sua arte ed il suo primato sull’arte occidentale sono temi
ripetuti ne Il Medioevo per i monumenti piu discussi e qualitativa-
mente piu alti, come le figure a stucco del tempietto di Santa Maria
in Valle a Cividale. La pittura dei secoli XI e XII in Italia e giudicata
da Toesca ‘‘aliena quasi in tutto ai concetti ornamentali d’oltralpe’’ e
‘‘piu intimamente consona ai bizantini’’; le Bibbie romane del secolo
XI e XII, come la Bibbia di Perugia (fig. 72), hanno iconografia e
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
20Toesca, Il Medioevo, pp. 918-919, 927-928, 989. Sulle Bibbie romane vedi anche P.
Toesca, “Miniature romane dei secoli XI e XII. Bibbie miniate”, Rivista del R. Istituto di
Archeologia e Storia dell’Arte 1 (1919), pp. 69-96.21
Toesca, Il Medioevo, pp. 969-1005.22
Vedi il Capitolo 11.
manierismi stilistici bizantini; le pitture murali del periodo ‘‘si pos-
sono classificare, piu ordinatamente che con altri criteri, secondo il
vario grado dell’influsso bizantino’’, che cresce con l’inoltrarsi nel
secolo XII; in Toscana l’azione bizantina fu profonda e crescente e
variata piu che altrove per molteplicita di temperamento20
. Una
lettura simile da Toesca per il Duecento in Toscana (figg. 73-74),
dove ‘‘opero a fondo il fattore bizantino’’ in tutti i centri artistici e la
cui ‘‘azione crescente fu accompagnata da un crescente potere degli
artisti nostri, prima nel comprenderlo e modificarlo, poi in proprie
individualita, liberandosene’’; l’influsso bizantino ebbe la massima
intensita nel periodo che precedette Giotto, ‘‘quasi fosse necessario
elevarsi a possedere le forme bizantine (come un Cimabue, Duccio,
Torriti e Cavallini) prima di sorpassarle per una pittura tutta no-
stra’’:
‘‘Altri, troppo impazienti di questa – scrive polemicamente Toesca –,non riconosce appieno quel fatto, e si trattiene a osservare tra noi idivari dello stile bizantino e le tradizioni locali. Ma quell’influsso, giaavviato e perenne nei secoli anteriori, si puo accertare in modo oggetti-vo.’’
21.
La posizione di Toesca non muto negli anni seguenti, sia nelle
voci da lui redatte per l’Enciclopedia italiana, sia nella monografia su
Giotto del 1941, sia infine nel volume Il Trecento del 195122
.
8
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
(BERENSON, LIONELLO VENTURI),
GLI ALLINEATI, I MANUALI
Berenson intervenne solo una volta negli anni Venti nella discussione
su Bisanzio e l’Italia con posizioni vicine a quelle di Toesca. Citta-
dino americano, Berenson resto defilato rispetto allo scontro sulla
romanita dell’arte medievale; tuttavia, per la sua autorevolezza inter-
nazionale, la sua raccolta di opere d’arte e la sua biblioteca di Villa I
Tatti a Settignano, sulle colline nei dintorni di Firenze, che fu punto
di riferimento per le ricerche per molti storici dell’arte, soprattutto
quelli non allineati con i facinorosi romanisti, Berenson risulto una
seconda spina nel fianco, accanto a Toesca, per i critici nazionalisti;
con la dichiarazione di guerra tra Italia e Stati Uniti i suoi nemici
fiorentini richiesero inutilmente il suo arresto come spia e la confisca
di Villa I Tatti e degli altri suoi beni.
Lionello Venturi fu il critico filofrancese e filobizantino piu esposto
negli anni del fascismo, perche in prima linea nella fondazione dei fasci
torinesi e per via del prestigio del padre, Adolfo; fu anche il piu coin-
volto nelle polemiche figurative in corso, soprattutto a motivo della sua
idea del primato dell’arte francese contemporanea su quella italiana, e
per questo fu ripetutamente attaccato da futuristi, nazionalisti e fascisti
sulla stampa, sulle riviste d’arte e durante le sue lezioni universitarie,
un copione gia sperimentato con altri accademici oppositori della dit-
tatura, intimiditi e percossi insieme ai loro studenti dai manganellatori
del Partito Nazionale Fascista. La perdita della cattedra universitaria
per il rifiuto al giuramento richiesto nel 1931 ai docenti universitari di
formare cittadini “devoti alla patria e al Regime Fascista” e l’emigra-
zione dall’Italia furono l’esito della sua apostasia del fascismo.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
1Le notizie riportate sulla vita di Berenson sono tratte dalle biografia scritta dalla sua
segretaria Nicky Mariano, Forty Years with Berenson, con una introduzione di K. Clark
(New York, 1966); altre notizie in E. Samuels, con la collaborazione di J. N. Samuels,
Bernard Berenson. The Making of a Legend (Cambridge, Mass. – London, 1987).2
K. Weitzmann, Sailing with Byzantium from Europe to America. The memoirs of an art
historian (Munchen, 1994), p. 237:
“This was the only time I would meet Berenson, who impressed me with his acquain-
tance with my writings, though they hardly touched his special fields of interests. He
graciously invited me to visit him at I Tatti, but I never had the chance to accept this
tempting offer.”.
Sergio Bettini fu il primo studioso italiano a fornire un panorama
complessivo dell’arte bizantina; a differenza di Berenson e Venturi
dette brutta prova di coerenza e morale scientifica: aderı alla retorica
romanista del regime e scredito l’immagine di Bisanzio come centro
artistico.
a. Bernard Berenson, filobizantino
Berenson e conosciuto principalmente come storico dell’arte del
Rinascimento fiorentino (fig. 75). Negli anni Venti, discutendo due
tavole con immagini della Madonna da Costantinopoli, Berenson
dichiaro che la pittura bizantina non faceva parte del suo mestiere e
ne parlava solamente sulla base della intuizione derivata dalla sua
esperienza pluridecennale con l’arte: “negli studi medievali sono un
neofita”1. La sua formazione internazionale fece di Berenson, tutta-
via, un grande estimatore dell’arte dei primitivi, dell’arte bizantina e
russa e dell’arte dell’estremo Oriente. Weitzmann, nelle sue memo-
rie, ricorda lo stupore per le sue conoscenze bibliografiche su Bisan-
zio, quando i due si conobbero durante una visita in anteprima alla
Mostra Storica Nazionale della Miniatura2. Anche i viaggi di Berenson
testimoniano l’interesse per l’Oriente: nell’autunno del 1928 passo
un lungo periodo a Costantinopoli, si sposto poi nell’Anatolia e
quindi ando a Salonicco a vedere chiese e mosaici bizantini (rimase
entusiasta del Cristo di Hosios David); nel 1936 visito Sarajevo e le
chiese ed i monasteri serbi (tra i quali Pec, Decani, Mileseva,
Studenica); nel 1937 visito i monumenti bizantini nelle isole egee
occupate dall’Italia (tra le quali Rodi e Cipro). Piu volte, nelle lettere
di Toesca, Berenson si mostra appassionato di opere bizantine; nel
1928, in preparazione del viaggio in Turchia, cerco di procurarsi con
l’aiuto di Toesca un permesso per visitare la Biblioteca del Serraglio
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
3B. Berenson, Valutazioni 1945 – 1956, a cura di A. Loria (Milano, 1957), citazioni da
pp. 102-103, 100-101.4
P. P. Muratov, La pittura russa antica (Praga – Roma, 1925); id., La pittura bizantina
(Roma, 1928); V. Lazarev, Istoriia vizantiiskoi zhivopisi, 2 voll. (Moskva, 1947-1948;
seconda edizione 1986) , traduzione italiana Storia della pittura bizantina (Torino, 1967).
a Costantinopoli e vedere l’Ottateuco miniato lı conservato, cosa che
finalmente gli riuscı; cosı Berenson rievoco la visita anni dopo:
“(...) il piu famoso di tutti gli harem, quello annesso al Yildiz Kiosk, lavecchia residenza dei sultani a Costantinopoli. Anelavo di vedere unoctateuco bizantino custodito nella sua biblioteca ... Alla fine il Soprin-tendente alle Belle Arti si scomodo di persona di mostrarmi il prezio-sissimo libro, sı, ma anche a garantirsi che nessuno dei meravigliosicodici islamici e tanto meno alcuni tizianeschi ritratti di antichi sultanimi venissero fatti vedere.”.
Anche la visione dell’Evangeliario di Rossano fu per Berenson,
cosı come per Toesca, un sogno raggiunto; Berenson si reco a
Rossano Calabro in macchina, superando grandi difficolta di sposta-
mento da Cosenza a quello che era, secondo i suoi accompagnatori,
un “covo di briganti”:
“Un codice che io ho per anni desiderato di aver sott’occhio e il«Codex Purpureus Rossanensis». Insieme col frammentario «CodexSinopensis» di Parigi va posto tra le piu belle e rivelatrici produzionidella tarda arte antica, non ancor bizantina. Ne eistono riproduzioniabbastanza buone, e vero, la mia biblioteca le possiede.”
3.
L’immagine di Berenson come dedito esclusivamente al Rinasci-
mento e un limite tracciato postumo che non da conto dell’orizzonte
geografico e cronologico degli interessi da lui coltivati in vita. La sua
raccolta di libri, fotografie e opere d’arte del medio ed estremo
Oriente rappresento un caso senza confronti in Italia agli inizi del
secolo. Nella sua corrispondenza, un buon numero di lettere arrivano
da bizantinisti. Oltre a Toesca, con il quale scambiava informazioni
con frequenza, gli scrivono il francese Gustave Schlumberger, gli
italiani Bettini e De Francovich, gli americani Ernest T. De Wald e
Charles R. Morey, i russi Mikhail Alpatov, Pavlov Muratov e Viktor
Lazarev, che gli chiese aiuto nella ricerca di un editore per la sua
Storia della pittura bizantina, pronta dal 1925 e ferma presso la
Pantheon dal 1932 (sara poi stampata in russo in due volumi nel
1947-1948)4.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
5R. Longhi, “Giudizio sul Duecento”, Proporzioni 2 (1948). Il giudizio di Ojetti e tratto
da una lettera a Berenson datata 10.8.1921. Una ricostruzione piu rosea dei rapporti
Berenson – Longhi e data in F. Bellini, “Una passione giovanile di Roberto Longhi:
Bernard Berenson”, in L’arte di scrivere sull’arte. Roberto Longhi nella cultura del nostro tempo,
a cura di G. Previtali (Roma, 1982), pp. 9-26. Longhi aveva dato giudizi entusiastici su
Berenson: R. Longhi, Recensione a B. Berenson, The Study and Criticism of Italian Art
(London, 1916), L’Arte 1917, p. 297.
Americano, antifascista ed ebreo, Berenson non ebbe vita facile
durante il fascismo. Anche con i critici italiani i rapporti furono tesi
ed alterni; Longhi, ad esempio, che Berenson non sopportava (come
si legge nella corrispondenza tra Berenson e Toesca) e che pure
tradusse The Italian Painters of the Renaissance di Berenson (“una
famosa, anzi famigerata traduzione”, come fu definita da Ojetti),
doveva avere proprio Berenson in mente quando ironizzo nel “Giudi-
zio sul Duecento” sulla “estrema squisitezza del miliardario che non
fara mancare alla propria raccolta una Madonna dei Berlinghieri o
del Rubliev, un Crocefisso romanico spoletino o uno scortecciato
antependio di Catalogna” ed imputo la provocazione di “spasimi
artificiali” per quelle pitture a “certi studiosi da transatlantico di
lusso”5. La riconciliazione tra Longhi e Berenson avvenne solo in eta
avanzata, con i ripensamenti di Longhi dopo il crollo del fascismo.
Come Toesca, Berenson non nutrı alcuna simpatia per il regime; le
velleita italiane di superpotenza e le pretese di ingrandimenti territo-
riali gli erano odiose. Dopo il colpo di stato fascista divennero tesi i
suoi rapporti con gli intellettuali sostenitori del regime e questi lo
evitarono (anche Ojetti, dopo le sviolinature degli anni precedenti,
non si fece piu vedere ai Tatti). Ospitando il rappresentante della
Banca Morgan venuto a negoziare un prestito all’Italia, Berenson
fece del suo meglio per metterlo in contatto con antifascisti e convin-
cerlo a non finanziare Mussolini. Amici di Berenson furono Gaetano
Salvemini, al quale consiglio di lasciare l’Italia (Salvemini, poi, fuggı
effettivamente all’estero), e Giovanni Amendola (che fu ucciso dai
fascisti nel 1926); Bianchi Bandinelli fu suo compagno di viaggio e
corrispondente. Con la dichiarazione di guerra italiana agli Stati
Uniti arrivarono minacce di requisizione di Villa I Tatti e manifesta-
zioni di fascisti fiorentini che reclamavano l’arresto di Berenson
come spia americana.
L’ingresso di Berenson nella polemica bizantina avvenne nel
1920, quando Ojetti lo invito a mandare un suo scritto per Dedalo, la
rivista da lui diretta. Berenson consegno un testo inglese (“un gran
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
6B. Berenson, “Due dipinti del decimosecondo secolo venuti da Costantinopoli”, Dedalo
2 (1921-1922), pp. 285-304; ristampato in inglese come “Two Twelfth-Century Paintings
from Constantinople”, in B. B., Studies in Medieval Paintings (New Haven, 1930), pp. 1-16.
La citazione di Ojetti e da una sua lettera a Berenson del 15.8.1921; dalle lettere di Ojetti
risulta che piu volte furono discussi problemi sorti nella traduzione italiana di alcune
espressioni inglesi del testo di Berenson.
bell’articolo,” – gli scrisse Ojetti – “esempio d’equilibrio perfetto tra
la sensibilita e la logica, tra la dottrina e il gusto”); tradotto in
italiano in modo pedestre, il testo apparve sulla seconda annata di
Dedalo (1921-1922) con il titolo goffo e cacofonico “Due dipinti del
decimosecondo secolo venuti da Costantinopoli”6. Nell’articolo Be-
renson discusse due tavole con la Madonna col Bambino allora in
possesso dei collezionisti americani Otto Kahn e Carl Hamilton di
New York, passate poi entrambe alla National Gallery di Washing-
ton (figg. 76-77); Berenson giudico costantinopolitane le tavole e le
dato non piu tardi dell’anno 1200 (entrambe le Madonne sono ora
datate alla seconda meta del XIII secolo).
L’articolo su Dedalo comincia proclamando il primato di Bisanzio
per tutto il Medioevo: “fino all’anno 1200, la pittura in tutta Europa
fu costantinopolitana, come negli ultimi cent’anni, in cifra tonda, e
stata parigina”. Gli studiosi di arte medievale, scrive Berenson, dopo
aver reagito alla tradizione vasariana per la quale tutto prima di
Giotto era bizantino, sono ora tornati a pensare che Vasari avesse
ragione: i molti tentativi fatti per provare che l’arte medievale deriva
da fonti indigene – italiane, nordiche o altro – hanno provato sola-
mente che queste energie provinciali riuscirono a impedire la diffu-
sione della autorita e delle maniere della capitale Costantinopoli.
L’arte bizantina non e unitaria ed il termine “bizantino” e ormai
insoddisfacente allo stato delle conoscenze: nel mondo orientale si
distinguono, oggi, provincia da provincia, epoca da epoca. Una
difficolta enorme per gli studiosi e data dal fatto che di Bisanzio e
sopravvissuto molto poco ed in cattive condizioni; e come se tutti i
quadri francesi dell’Ottocento fossero scomparsi e dovessimo accon-
tentarci delle imitazioni; fanno eccezione le due Madonne newyor-
kesi che sono rare testimonianze di altissima qualita dell’arte della
capitale bizantina:
“Immaginate che tutti i quadri dipinti da francesi a Parigi fosseroscomparsi e che noi per tentar d’indovinare i loro caratteri nonavessimo niente di meglio che le tele superstiti di imitatori (pernominare i piu famosi), come Sargent o Zorn o Libermann o Sickert o
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
7Le citazioni sono dalle pp. 285, 286, 292-293, 304.
Mancini o Sorolla. Che rivelazione sarebbe scoprire un capolavoro diManet o di Degas! Una rivelazione altrettanto grande sarebbe, perl’arte medievale, se oggi venisse in luce qualche capolavoro realmenteeseguito in Costantinopoli.”
La sentenza era doppiamente irritante per la critica italiana,
perche dava per indubbia la preminenza degli artisti orientali su
qualunque occidentale nel Medioevo; e perche ricordava il dominio
artistico francese nell’arte moderna, che critici e pittori italiani cerca-
vano di demolire in quegli anni. Berenson, dunque, presenta le due
Madonne come opera di uno stesso artista di Costantinopoli, ne
descrive la innegabile qualita estetica, superiore senza confronti a
quella delle opere contemporanee dell’Occidente; nelle Madonne
non e “nessun punto in cui voi possiate dire, come spesso vi capita
davanti a pitture occidentali prima di Giotto: Vedo quel che l’artista
intende dire, ma mi fa pensare che egli non riesca a dirlo meglio”. E
poco piu avanti:
“Niente prima di Giotto, conosco in Italia di paragonabile alla bellezzadi forma e di colore e alla perfetta tecnica di questo pittore.Sarebbe assurdo tentare di confrontargli qualunque artista italiano,anche Cimabue e Duccio, lasciando da parte Margaritone, Guido, iBerlinghieri, Giunta e Coppo. La loro capacita del disegno e, comelinea, troppo meno ferma, meno rapida, e meno sicura; e, per laminore efficacia della tecnica pittorica, il loro colore appare, al con-fronto, o sporco o superficiale o sbiadito.”
In conclusione, nella scuola alla quale appartiene il maestro che
dipinse le due Madonne troviamo gli antenati di Cavallini e di
Giotto. Se intendeva provocare i fanatici della supremazia dell’arte
italiana, Berenson era senz’altro riuscito nell’intento7.
Berenson aveva scritto una sola volta in precedenza di opere di
un periodo cosı alto (e non vi ritornera piu sopra), quando sull’an-
nata 1919-1920 di Art in America discusse tre pannelli raffiguranti
Cristo, San Pietro e San Giovanni nella collezione Hamilton, per i
quali alla attribuzione originaria a Margaritone d’Arezzo sostituı
quella, in seguito anch’essa contestata, a Cimabue (i tre pannelli, che
facevano parte di un polittico comprendente anche un San Giovanni
Battista e una Sant’Orsola, sono passati poi nella collezione Duveen
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
8B. Berenson, “A Newly Discovered Cimabue”, Art in America 8 (1919-1920), pp.
251-271; ristampato in B. B., Studies in Medieval Paintings, pp. 17-31.9
B. Berenson, Aestethics, Ethics and History in the Arts of Visual Representation (London,
1948); poi ristampato come Aesthetics and History (London, 19553); traduzione italiana
Estetica, etica e storia nelle arti della rappresentazione visiva (Firenze, 1948); id., L’arco di
Costantino o della decadenza della forma (Milano – Firenze, 1952); edizione inglese The Arch
of Constantine or the Decline of Form (London, 1954).
di New York)8. Berenson esamino la possibilita di attribuzione a
pittori romani, che pero escluse: non rimanevano cosı che la Toscana
o Bisanzio (“‘the Byzantine question’”); esclusa anche quest’ultima,
l’autore dei pannelli non poteva essere quindi che un pittore cosı
bizantineggiante come Cimabue. La datazione proposta per i pan-
nelli fu il 1272 circa.
Nonostante la sua passione per l’Oriente cristiano, posto come
modello del Medioevo occidentale, e la sua attenzione verso i libri di
Strzygowski, Berenson non fu mai, tuttavia, strzygowskiano. Anzi.
Nel 1941 Berenson porto a conclusione Estetica, etica e storia nelle arti
della rappresentazione visiva, uno scritto la cui pubblicazione fu ri-
mandata per la dichiarazione di guerra italiana agli Stati Uniti (ap-
parve nel 1948) e che era stato inteso come introduzione a L’arco di
Costantino (apparso nel 1952)9; Berenson riprende qui da Strzygow-
ski l’idea di un’area culturale eccezionalmente fertile nel Medio
Oriente del IV-VI secolo costituita dal triangolo geografico delle
regioni di Edessa e Nisibi, citta entrambe sedi di universita. Dopo
questo periodo d’oro intervengono per Berenson le “follie metafisi-
che” del governo bizantino, che antepose la teologia alla politica:
“sfondano sassanidi, arabi, selgiuchidi e ottomani”. Un’arte propria-
mente medievale non comincia prima di Giustiniano: mentre a
Occidente le soldatesche barbare ridussero la civilta a uno stadio
troppo basso perche le arti visive potessero prosperare, Costantino-
poli, grazie alla corte ed alla Chiesa, conservo un tono di vita che
altrove scomparve ed influenzo l’arte dell’Occidente fino al tardo
Duecento. Seguono le lodi della tecnica ingegneristica delle chiese di
Santa Sofia, Sant’Irene, Santi Sergio e Bacco e San Vitale, alla quale
non e confrontabile quella della Cappella Palatina di Aquisgrana e
degli altri edifici occidentali. Berenson ama Bisanzio come continua-
trice della civilta antica, idea che risale ai primordi ottocenteschi
della bizantinistica, ha la sua prosecuzione tra gli studiosi russi ed e
egemone tra gli americani: Costantinopoli attrae artigiani da Antio-
chia, Alessandria, Damasco, Efeso, Tralles, cosı come Parigi attrae
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
10Vedi Capitolo 5 paragrafo c.
11Vedi Capitolo 12 paragrafo a.
12P. D’Ancona, Les primitifs italiens du XI
eau XIII
esiecle (Paris, 1935), prefazione pp.
9-10; sui rapporti tra arte italiana ed arte bizantina vedi soprattutto il Capitolo 1, pp. 11-39.
Per Sironi vedi Capitolo 9 paragrafo a.
artisti da tutto il mondo. L’arte dell’impero d’Oriente andrebbe
allora chiamata “arte ellenistica medievale”, piuttosto che “arte bi-
zantina”, un termine pieno di pregiudizi:
“D’altra parte, se si lasciasse fare a me, abolirei la parola «bizantina» ela sostituirei con «ellenistico medievale» per designare l’arte del mondodi lingua greca, almeno fino alla presa di Costantinopoli da parte deibarbari di razza latina.”.
Quanto al panorientalismo ariano di Strzygowski, il giudizio di
Berenson e gia stato riportato10
. L’ultima volta che Berenson inter-
venne sull’arte bizantina fu in un articolo su due colonne in terza
pagina del Corriere della Sera, nel settembre del 1954, dal titolo “San
Marco Tempio e Museo Bizantino”11
.
b. Lionello Venturi, anticlassico
Poche persone sembrano essere state legate a Toesca negli anni del
fascismo e averne condiviso la visione controcorrente dell’arte me-
dievale. Dei suoi allievi, Paolo D’Ancona seguı Toesca nel libro sui
primitivi italiani dall’XI al XIII secolo, pubblicato in francese a
Parigi nel 1935, dove D’Ancona affermo la necessita di rimuovere gli
ostacoli al riconoscimento del valore dell’arte bizantina e dei primi-
tivi, dovuti al predominio della dottrina di fede classica e realista
vasariana, e lodo la nuova base estetica data all’arte medievale da
Lionello Venturi con Il gusto dei primitivi. Anche Emilio Cecchi fu
sostanzialmente con Toesca e Venturi su Giotto (“bizantino – tosca-
no”) nella monografia del 1937; e Mario Sironi, uno degli artisti piu
attivi a favore del fascismo, fece dell’arte bizantina lo stelo da cui
fiorirono Giotto e l’arte del Trecento italiano in “Racemi d’oro” del
193512
.
Lionello Venturi, figlio di Adolfo, fu una delle bestie nere dei
fascisti, attaccato alla pari dell’austriaco Strzygowski. Nel 1930, Il
Giornale d’Italia pubblico una serie di articoli contro quelli che
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
13Vedi Capitolo 6 paragrafo c.
considerava i denigratori antipatriottici dell’arte italiana: Toesca,
Strzygowski e, appunto, Venturi (fig. 78)13
. Partito volontario per il
fronte nella prima guerra mondiale, Venturi divenne, tornato dalla
guerra, uno dei fondatori dei fasci di Torino. Figura nell’elenco dei
partecipanti al Convegno per la Cultura Fascista del 1925; aderı al
Manifesto degli intellettuali fascisti (Cecchi invece aderı al manifesto
degli intellettuali antifascisti di Croce). Venturi si avvicino in seguito
a Riccardo Gualino, l’industriale antifascista della SNIA – Viscosa.
Probabilmente a seguito dell’assassinio di Matteotti nel 1925 e della
successiva sterzata dittatoriale data dal regime fascista dal 1926 ed
influenzato dalle posizioni prese da Croce, Venturi passo tra gli
antifascisti. A Torino, il 28 novembre 1925, un gruppo di futuristi,
tra i quali Fillia (pseudonimo di Luigi Colombo), attacco Venturi
verbalmente durante una sua lezione universitaria alla Pinacoteca e
venne alle mani con i custodi: il motivo, secondo i futuristi, che
erano fascisti, era il rifiuto opposto da Venturi a una studentessa
nella sua pretesa di sostenere un esame con programma sul futuri-
smo italiano. Cosı La Stampa di Torino riferı l’evento nella cronaca
cittadina del 29 novembre:
“Ieri mattina un piccolo gruppo di pittori futuristi ha fatto una dimo-strazione di protesta contro il prof. Lionello Venturi, nelle sale stessedella Pinacoteca, al termine della sua lezione. Il prof. Lionello Venturiha rifiutato ad una studentessa un argomento d’esame sopra l’artefuturista (...). La discussione si accaloro rapidamente, data la presenzadi un grande numero di studenti e genero ben presto in una vivacecolluttazione tra i futuristi ed i custodi accorsi. Il pittore Fillia, che inun primo tempo era stato trattenuto per ribellione alla forza pubblica,e stato in seguito rilasciato.”.
Il giorno successivo, 30 novembre, ancora la cronaca cittadina de
La Stampa, che aveva deplorato l’atto dei futuristi, ospito una lettera
di Venturi che si concludeva dicendo “altri puo credere che basti
studiare la pittura futurista per imparare la storia dell’arte. Io non lo
credo. E la mia opinione vale almeno quella degli altri”. Infine, il
primo dicembre apparve una replica di Fillia, con il succo della
polemica futuristi-Venturi:
“Noi crediamo che si debba anche studiare la pittura futurista perconoscere la storia dell’arte. Quest’incompetenza e in poca armonia
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
14I brani riportati nel testo sono dalle pagine della cronaca cittadina de La Stampa dei
giorni 29 novembre, 30 novembre e 1 dicembre 1929.15
L. Venturi, “Polemica con Ugo Ojetti sul «gusto francese»”, L’arte 33, n.s. 1 (1930), pp.
93-97. Ojetti scrisse a Venturi una lettera aperta pubblicata sulla rivista Pegaso del 1929 alla
quale Venturi rispose su L’Arte del 1930. Su questi punti vedi Capitolo 11 paragrafo a e
Capitolo 6 paragrafi f e c.16
A. Dragone, “Lionello Venturi a Torino: Gualino e i «Sei»”, in Da Cezanne all’Arte
Astratta. Omaggio a Lionello Venturi, Verona, Galleria Comunale d’Arte Moderna, Palazzo
Forti, marzo – aprile 1992; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, giugno – settembre
1992, catalogo della mostra (Milano, 1992), pp. 88-94. Su Casorati e Gobetti: P. Gobetti,
“Un artista moderno: Felice Casorati”, L’ordine nuovo 19 giugno 1921 e Il popolo romano 19
giugno 1921, ristampato in Per Gobetti. Politica arte cultura a Torino 1918 / 1926 (Firenze,
1976), pp. 85-89 e in Opere complete di Piero Gobetti, vol. 2, Scritti storici, 1969, pp. 627-631;
P. Gobetti, Felice Casorati pittore (Torino [1923]), ristampato in Per Gobetti, pp. 90-104 e in
Opere complete di Piero Gobetti, vol. 2, pp. 634-647; vedi inoltre L. Carluccio, “Gobetti e
Casorati”, in Per Gobetti, pp. 105-113; A. Dragone, “Gobetti critico d’arte”, ivi, pp. 121-134.
L. Venturi, “Il pittore Felice Casorati”, Dedalo 4 (1923-1924), pp. 238-261.
con la sua carica di professore. Inoltro con piena responsabilita l’ac-cusa di incompetenza perche Lionello Venturi, durante l’incidente, si eespresso in termini ben diversi da quelli ora adottati a sua difesa. Eglisostenne che impediva un argomento di esami sull’arte futurista per-che non vi era ancora in merito sufficiente possibilita di preparazionecritica. Non abbiamo dunque colpa alcuna se Lionello Venturi ignorale infinite e importanti pubblicazioni nazionali ed estere sul futurismoitaliano. Egli, in ogni modo accettando argomenti di esame su pittoriviventi e moderni, ma non futuristi (e sui quali vi sono molto menopossibilita di preparazione critica), contraddice le proprie parole.”
14.
Venturi, dunque, negava valore al futurismo ed invece, secondo
Fillia, accettava di far sostenere esami su altre correnti contemporanee
(presumibilmente francesi). Nello stesso tempo il conservatore Ojetti
accusava Venturi di tenere lezione sui pittori francesi e non sugli
italiani e di non capire che Cezanne, il pittore francese piu amato ed
inattaccabile, era tornato al gusto plastico della pittura italiana (Ojetti,
comunque, riteneva solo Venturi e Toesca affidabili come storici
dell’arte in Italia)15
. Venturi era sostenitore del Gruppo dei Sei, i
pittori torinesi antifascisti allievi di Felice Casorati, vicino anche lui a
Gualino e che Piero Gobetti aveva sostenuto in piu scritti16
. Dopo il
processo sommario a Gualino voluto dal regime con la scusa del
fallimento della SNIA – Viscosa nel 1931, che si concluse con la
condanna a cinque anni di confino a Lipari, Venturi rifiuto di firmare
l’adesione al fascismo richiesta dal regime ai docenti universitari
(solamente in dodici scelsero di non giurare) e lascio la cattedra di
Torino, emigrando prima in Francia, dove gia era fuggito il figlio
Franco, aderente a “Giustizia e Liberta”, poi negli Stati Uniti; qui,
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
17Per queste notizie vedi G. C. Argan, “Le polemiche di Venturi”, Studi Piemontesi 1, n 1
(1972), pp. 118-124; id., “L’impegno politico per la liberta della cultura”, in Da Cezanne
all’Arte Astratta, pp. 11-12; H. Goetz, Der freie Geist und seine Widersacher (Frankfurt am
Main, 1993), traduzione italiana Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista
(Milano, 2000), pp. 155-166, con bibliografia alla nota 536 p. 166; G. Boatti, Preferirei di no.
La storia dei dodici professori che si opposero a Mussolini (Torino, 2001), pp. 153-171; ed inoltre,
S. Lodovici [Samek Ludovici], Storici, teorici e critici delle arti figurative (1800 – 1940) (Roma,
1946). La corrispondenza di Lionello Venturi con Berenson e conservata a Villa I Tatti. Sulla
storia della cattedra romana vedi al Capitolo 7 paragrafo a.18
Secondo Giovanni Previtali, “Roberto Longhi, profilo biografico”, in L’arte di scrivere
sull’arte, pp. 141-170, Il gusto dei primitivi rappresento per Longhi una sintesi di tutti gli
idola polemici della sua gioventu: rozzo contenutismo, misticismo estetico, snobismo
primitivistico (pp. 160-161). R. Longhi, “L’Impressionismo e il gusto degli Italiani”,
prefazione a J. Rewald, Storia dell’Impressionismo (Firenze, 1949), pp. v-xxix. Sul libro di
Venturi vedi anche il giudizio contemporaneo di Pittaluga, “Arte e studi in Italia nel ‘900”,
pp. 460-461.
con Salvemini (che aveva lasciato gia anni prima la cattedra di Storia
Moderna all’Universita di Firenze, denunziando la mancanza di
dignita e “la servile adulazione del partito dominante” che il fascismo
voleva imporre ai docenti), Cantarella e altri, fondo l’organizzazione
antifascista Mazzini Society. Negli Stati Uniti, tuttavia, ebbe grosse
difficolta a trovare una posizione, come risulta dalle sue lettere con
richieste di aiuto a Berenson, finendo poi ad insegnare alla Johns
Hopkins University di Baltimora. Infine, nel 1945, subito dopo la
liberazione, torno in Italia dove insegno all’Universita di Roma17
.
Lionello Venturi fu spesso in rotta con Longhi: Il gusto dei
primitivi (1926) sembro a quest’ultimo una raccolta di errori metodo-
logici nella lettura delle opere d’arte medievali, tra i quali il peso dato
da Venturi alla spiritualita, alla religione ed alla interpretazione del
Medioevo come trionfo dello stato mistico. Longhi, nella introdu-
zione alla Storia dell’impressionismo di John Rewald, che uscı in
traduzione italiana nel 1949, con un titolo, “L’Impressionismo e il
gusto degli Italiani”, che richiamava quello del libro di Venturi,
accuso “Venturi junior nel suo libro di principı sul Gusto dei primitivi,
fondato sulla speciosa unificazione dei fatti artistici piu varı sotto
l’impresa di un eterno primitivismo che ha qui sapore di mistica
rivelazione”, di aver confuso insieme macchiaioli e impressionisti e di
aver inserito Fattori tra gli ultimi18
. Venturi fu anche consulente di
Gualino negli acquisti per la sua collezione; nel catalogo di questa,
del 1926, da lui curato, figuravano una Madonna di Cimabue (fig.
79), una Madonna attribuita a Guido da Siena, una tavola con
quattro santi di arte toscana del Duecento, una Ascensione di
Giotto, oggetti di oreficeria medievale dalla collezione Stroganov,
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
19L. Venturi, La Collezione Gualino (Torino – Roma, 1926); M. M. Lamberti, “Riccardo
Gualino: una collezione e molti progetti”, Ricerche di storia dell’arte 12 (1980), pp. 5-18.20
L. Venturi, “Per una critica dell’arte contemporanea”, Solaria 7, n 3 (marzo 1932), pp.
36-40, citazione nel testo da pp. 37-39.
oggetti di arte cinese e giapponese, una placchetta di un dittico
d’avorio bizantino raffigurante Cristo (fig. 80) e un cofanetto d’avo-
rio italo-bizantino anch’esso dalla collezione Stroganov, oltre a qua-
dri di impressionisti francesi. Con il fallimento di Gualino la colle-
zione fu presa in pegno e confiscata e poi venduta; fu rimessa
insieme solo in parte dopo la guerra. Longhi era invece consulente
dell’altra notissima collezione privata di Alessandro Contini Bona-
cossi, il nobile fiorentino grande sostenitore del fascismo19
.
Nel 1932, in un commento alla prima Quadriennale di Roma
organizzata a suo parere per contrastare la tendenza impressionistica
in arte, Lionello Venturi sostenne, come poi Sironi, che la tradizione
artistica italiana ha vari aspetti, da Wiligelmo a Michelangelo, non e
solo classicita (una affermazione gia fatta da Croce); l’arte classica
antica non e romana: il contributo romano all’arte antica fu, in
reaalta, anticlassico e impressionistico; gli artisti italiani hanno preso
da greci, bizantini, borgognoni, fiamminghi, ecc.20
:
“La Quadriennale romana e stata indetta come una affermazionevittoriosa della tradizione italiana nell’arte e per opporsi al gustoimpressionistico d’origine estera, come esempio del nuovo freno intel-lettuale nell’arte, per correggere il libero abbandono alla sensibilita ealla fantasia. (...)L’uomo della strada chiede a questo punto: di grazia che cosa e latradizione italiana? (...)La tradizione italiana e cosı ricca e complessa che comprende in se igusti piu opposti; e pero nessuno ha il diritto di esaurire la tradizioneitaliana. Si pensi a Viligelmo e a Giovanni Pisano, a Cimabue e aSimone Martini, a Paolo Uccello e a Donato, a Pollaiuolo e a Tinto-retto, a Tiepolo e a Guardi, perfino ai piu profondi capolavori diMichelangelo e di Tiziano: e difficile comprenderli sotto lo schema diarte classica nel suo significato consueto. Che se poi classico vuolsignificare arte perfetta, si puo fare a meno di citarlo, per evitare gliequivoci.”.
Il plasticismo come motivo costitutivo e ideale dell’arte italiana
era stato gia preso di mira da Venturi nel 1926 in un articolo
intitolato “Paesaggio e figura. Un problema della mostra del Nove-
cento”, pubblicato sul quotidiano Il Secolo il 2 marzo (cioe due
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
21L. Venturi, “Paesaggio e figura. Un problema della mostra del Novecento”, Il secolo, 2
marzo 1926, ristampato in L. V., Pretesti di critica (Milano, 1929), pp. 191-196, citazioni nel
testo da p. 194.
settimane dopo che Il Popolo d’Italia aveva pubblicato il discorso di
Mussolini sulla riscossa artistica italiana provata dalla Mostra del
Novecento di Milano ed Il Tevere aveva incensato i nuovi artisti
italiani che tornavano al classicismo. Venturi giudica il plasticismo
solo come una strada dell’arte italiana che viene imposta come la
migliore e l’unica dal dopoguerra:
“(...) la moda trionfante si basa sul volume, sul rilievo e sulla terzadimensione. E una strada non migliore ne peggiore di tante altre; ma ipittori che vi camminano sopra devono credere appieno che essa e lamigliore, perfettissima e unica, divina piu che umana, capace di ogniprodigio. Cosı hanno creduto gli artisti italiani di dopo la guerra, perl’interpretazione classica sopraggiunta (...).”.
Questa strada del classicismo, tra l’altro, lascia irrisolto il pro-
blema della raffigurazione del paesaggio; questa si origina col senti-
mento cristiano della natura che e specchio del valore infinito di Dio;
il mosaico absidale di Sant’Apollinare in Classe rappresenta allora la
“prima, meravigliosa e perfetta pagina paesistica” in arte (fig. 81):
“L’origine dell’arte del paesaggio si deve dunque rintracciare semplice-mente nel sentimento cristiano, nella necessita cristiana d’intendere ilvalore infinito di Dio. E a chi obiettasse che, quando la pittura dipaesaggio si e diffusa, il cristianesimo esisteva da molto tempo ed eraanzi invecchiato, risponderei che tale innegabile contingenza non im-pedisce che la prima meravigliosa e perfetta pagina paesistica risalga alVI secolo: e se non ci credete, andate a vederla in S. Apollinare inClasse presso Ravenna.”
21.
Nello stesso 1926 uscı Il gusto dei primitivi, il lavoro metodologi-
camente piu complesso e piu criticato di Venturi, un libro che si rifa
ampiamente a Croce, il quale, tuttavia, se aveva apprezzato il primo
Venturi degli anni Dieci (dove – dice Croce –si era “avvicinato alla
schietta forma di critica che veniamo definendo”), aveva poi preso le
distanze dal metodo di Venturi (che si era lasciato “allettare, come
egli stesso dichiara, dai concetti del Berenson e del Longhi”) e da Il
gusto dei primitivi. Questo libro costituı una summa del pensiero di
Venturi su medioevo e classicita, anche qui considerata come uno
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
22L. Venturi, Il gusto dei primitivi (Bologna, 1926; ristampa Torino, 1972, con prefazione
di Giulio Carlo Argan); la descrizione di Santa Sofia di Costantinopoli e le citazioni nel
testo sono alle pp. 39-40, 7, 9, 10, 34-35 della ristampa. Sul significato de Il gusto dei
primitivi e sulla accoglienza datagli dalla critica italiana vedi l’introduzione di Argan alla
seconda edizione del libro e brani, note e bibliografia raccolti in P. Barocchi, Storia moderna
dell’arte in Italia. Manifesti polemiche documenti, vol. 3/1, Dal Novecento ai dibattiti sulla figura
e sul monumentale 1925 – 1945 (Torino, 1990), pp. 37-59. Il commento di Croce e in La
critica e la storia delle arti figurative. Questioni di metodo (Bari, 1934), pp. 183-187; Croce
parla delle teorie e delle opere di Venturi in varie altre parti del libro: pp. 17-18, 29-34,
139-146, 169-172. Per una critica alla individuazione di un cambiamento di gusto come
causa della rottura nella tradizione artistica dell’ellenismo e della nascita della nuova
tradizione formale del medioevo, vedi R. Bianchi Bandinelli, “L’archeologia come scienza
storica”, Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e
filologiche. Rendiconti delle adunanze solenni 8, fasc. 9 (1973), ristampato in R. B. B.
Introduzione all’archeologia classica come storia dell’arte antica, a cura di L. Franchi dell’Orto
(Bari, 1976), p. xviii.
stadio dell’arte, non la perfezione (“se si crede che greci e romani
abbiano raggiunta «la» perfezione dell’arte, anzi che «una» loro perfe-
zione, si disconosce il valore della personalita in arte”). Venturi
oppone l’antichita come trionfo della ragione al medioevo come
trionfo dello stato mistico. L’arte e “colloquio tra l’uomo e Dio” e
c’e analogia tra creazione artistica e processo mistico. L’affermazione
su Santa Sofia di Costantinopoli di Procopio di Cesarea (qui “Dio
non e lontano”) e la descrizione di Paolo Silenziario dei colori e delle
luci, nei quali consiste la divinita che si sente presente nella chiesa,
sono brani apologetici sull’arte bizantina. Venturi mise due sole
riproduzioni etichettate come opere bizantine: il mosaico absidale di
Sant’Apollinare in Classe (fig. 81), che aveva usato come esempio di
pittura di paesaggio cristiana, e il mosaico absidale della Vergine
orante nella chiesa di Murano22
. Le sue affermazioni contro il gusto
corrente romano nell’arte antica e nell’arte moderna furono davvero
coraggiose. Venturi pose in antitesi, senza prendere appunto posi-
zione a favore dei valori romani, i valori artistici della classicita con
quelli bizantini (costruzione contro decorazione, forma contro colo-
re); per lui si doveva rinunciare a “Roma madre” per “Parigi amica”,
al classicismo romano per la pittura moderna francese anticlassica,
alla costruzione e alla forma degli artisti greci per la decorazione e il
colore degli artisti bizantini. La nostra cultura e satura di cultura
greco-romana; di qui il classico storico della civilta antica sentito
come classico filosofico universale: se l’arte antica e perfetta, si
spinge alla imitazione e si mortifica la creativita; nasce il ragazzino
che veste da soldato romano, che e alla pari dell’artista che copia
marmi antichi.
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
23I programmi per l’esame di maturita secondo la Legge Gentile sono pubblicati sul
Supplemento della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n 267 del 14 novembre 1923,
“Approvazione degli orari e dei programmi per le Regie scuole medie”; i brani riportati dalle
Avvertenze per l’esame di maturita del Liceo Classico sono alle pp. 14-15. Cf. M. Cagnetta,
“Le letture controllate”, in Lo spazio letterario di Roma antica (Roma, 1991), 4, pp. 399-427,
spec. pp. 406 sgg. L’intervento di Adolfo Venturi per l’inserimento della storia dell’arte
come materia d’insegnamento e riferito da L. Grassi, “Insegnamento di Storia dell’Arte nei
c. Programmi scolastici ed altri studiosi allineati
L’interpretazione data da Toesca dell’arte bizantina e del suo in-
flusso sull’arte medievale dell’occidente era troppo orientalistica e
non si ritrova in altri lavori su Bisanzio pubblicati in Italia. D’An-
cona, che dette una lettura dei rapporti tra Bisanzio e l’Italia derivata
da Toesca, pubblico in Francia. L’interpretazione di regime dell’arte
bizantina e sostanzialmente quella di Galassi apparsa per i tipi della
Libreria dello Stato. Nel programma di storia dell’arte del liceo
classico secondo la riforma Gentile del 1923, il cui insegnamento
Adolfo Venturi era riuscito faticosamente a rendere obbligatorio,
tutta l’arte dell’altomedioevo e l’arte bizantina si riducevano a capi-
toli del periodo paleocristiano: “L’influenza bizantina e i suoi carat-
teri – Monumenti ravennati dei secoli V e VI – Le pitture delle
catacombe – I mosaici a Roma e a Ravenna nei secoli V e VI”. Dopo
i mosaici di Roma e Ravenna era un salto di circa 400 anni di storia
artistica ed il programma riprendeva dal periodo romanico con i
“Caratteri della scultura romanica in Italia – Il fantastico e geniale
senso plastico-decorativo – I Cosmati – Le porte di bronzo – Mosaici
nell’Italia meridionale e in Sicilia – Jacopo Torriti – Pietro Cavallini
– Cimabue – Duccio”, per poi passare al gotico. Nelle avvertenze
premesse ai programmi d’esame del liceo classico si istruivano i
docenti a riferirsi ai cenni di storia dell’estetica dati per il programma
di italiano; l’approccio alle opere d’arte doveva essere formale, lo
scolaro doveva conoscere la storia del gusto delle varie epoche, senza
preoccuparsi di altro che non fosse il valore estetico delle opere:
“le opere d’arte devono essere guardate con animo sgombro da ognipreoccupazione che non sia quella del valore estetico, del valoreumano dell’opera stessa.”“(...) Gli scopi che si propone l’insegnamento della storia dell’artesono la conoscenza delle grandi civilta artistiche e il raffinamento dellaconoscenza estetica. L’esaminatore si accertera quindi se lo scolaro haconoscenza della storia del gusto comune agli artisti (architetti, scul-tori, pittori, tessitori, vetrai, miniatori, incisori) d’una data epoca(...).”
23.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
Licei”, in Atti del Primo Convegno Internazionale per le arti figurative, Firenze, Studio Italiano
di Storia dell’Arte, Palazzo Strozzi, 20-26 giugno 1948 (Firenze, 1948), pp. 201-203.24
U. Ojetti e L. Dami, Atlante di storia dell’arte italiana, 1, Dalle origini dell’arte cristiana
alla fine del Trecento (Milano – Roma [1925]), citazione da p. 17. L’opposizione tra senso
della forma e dello spazio (plasticismo) dell’arte classica, romana, e senso del colore
(colorismo) dell’arte bizantina e accettata come distintiva dell’antichita e di Bisanzio in
storici dell’arte ben piu avveduti come Longhi e da lui risolta a favore del primo: il
colorismo dei Bizantini a San Vitale (che pero e qualita apprezzata: “capolavoro di stile
puramente coloristico”) fu “puro tappeto”; a superare questo stadio rudimentale fondendo
colore e forma servirono i senesi, mentre fu Paolo Uccello che raggiunse il “sintetismo
prospettico di forma e colore”: R. Longhi, “Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura
veneziana”, L’Arte 17 (1914), p. 199: “La larghezza di un grande riposo coloristico era stata
raggiunta una volta dai bizantini del VI secolo, a San Vitale. (...) Il colorismo bizantino
negli esempi di San Vitale aveva raggiunto un delizioso accostamento di superficie late di
colore, ma cio era avvenuto a tutto detrimento del senso per la forma e per lo spazio: era il
colorismo piu genuino ma anche piu rudimentale: il puro tappeto’’.
E p. 201: “Paolo Uccello giungeva di nuovo all’intarsio che nel colore equivale al tappeto;
ma non era piu il tappeto bizantino stesso [steso?] su forme incorporee e superficiali, ma il
tappeto che zonava di colore le superfici di forme vieppiu lontane riportate a galla dalla
prospettiva. Era per la prima volta, per quanto segmentato, frammentato e toppato il
sincretismo prospettico di forma-colore.”.
Osservazioni simili sul colore nell’arte bizantina si trovano nelle dispense del corso del
1914, raccolte e pubblicate col titolo Breve ma veridica storia della pittura italiana (Firenze,
1980), pp. 16-17: “Vi esorto a considerare come capolavoro di stile puramente coloristico i
musaici di San Vitale a Ravenna: dove l’artista bizantino, mirabilmente noncurante della
convenzione plastica, ha immaginato Giustiniano e i suoi cortigiani, Teodora e le sue dame,
come semplici accostamenti di late stole rettangolari fasciate largamente di croci, placcate di
borchie e di gemme, sovra un sol piano’’. E inoltre, pp. 42-44, San Vitale rappresenta “lo
stile coloristico puro”, “un mondo artistico affatto nuovo ed opposto al precedente”, cioe lo
stile plastico dei mosaici romani, che si vede anche nel Buon Pastore di Galla Placidia; “lo
spazio e abolito, o almeno e uno spazio a due dimensioni”, i corpi “non sono forma ma
fantasma appiattito e superficiale”.25
S. Bettini, “Padova e l’arte cristiana d’Oriente”, Atti del Reale Istituto Veneto di scienze,
lettere ed arti. Parte seconda (scienze morali e lettere) 96 (1936-1937), pp. 203-297.
Nei manuali scolastici di storia dell’arte l’arte bizantina fu de-
scritta nei termini galassiani: l’Atlante di storia dell’arte italiana di Ugo
Ojetti e Luigi Dami – entrambi sostenitori dell’arte italiana alla
Soffici – usa per l’arte bizantina i luoghi comuni di rinunzia alle
forme plastiche e realistiche, forme appiattite contro le superfici,
senso del colore astratto, figure assorte, gesti fissi; ma, pure, con il
riconoscimento che “con le supreme e raffinate armonie delle sue
linee e delle sue zone di colore essa ha toccato, per certi lati, uno dei
culmini della pittura”24
.
Bettini si era occupato inizialmente di Jacopo Bassano, di arte
moderna, di Giusto de’ Menabuoi e arte veneta del Trecento; poi, a
seguito degli incarichi a Creta per l’Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti, era passato alla pittura cretese-veneziana e ai rap-
porti tra Padova, Romagna e Bisanzio25
. Con i volumi su pittura e
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
26Vedi Capitolo 9 paragrafo d. Nel 1936, in “Padova e l’arte cristiana d’Oriente”, da cui
e presa la citazione riportata nel testo tra parentesi, Bettini cerco di tenersi in equilibrio tra
Bisanzio e Roma quanto al problema del primato della due citta nelle origini dell’arte
cristiana (p. 213):
“Concludendo: un fatto allo stato attuale delle ricerche appare, secondo me, certo, a chi
non abbia la visione viziata da preconcetti: ed e questo. I procedimenti costruttivi esaminati
scultura bizantine usciti negli anni 1937, 1939 e 1944, fornı la prima
storia generale di quell’arte, che arriva fino al periodo paleologo e
comprende anche l’arte russa, greca, serba e cretese, scritta da un
italiano e aggiornata sui risultati della bizantistica internazionale del
periodo. Pavel Muratov nel 1925 e 1928 e Wolfang Fritz Volbach
nel 1935 avevano gia pubblicato in italiano storie generali, rispettiva-
mente, della pittura bizantina e russa e dell’arte bizantina. All’arte
bizantina, “opposta per senso alla classica” – una banalita che Bettini
avrebbe potuto evitare –, viene riconosciuto un primato nel raggiun-
gimento di una “nuova, perfetta unita di costruzione e decorazione”,
fondata “non sopra un’obiettiva rappresentazione di spazio, ma so-
pra una radicale negazione dello spazio obiettivamente rappresenta-
to”.
Scrivendo a Berenson nel 1942, quando era Direttore del Museo
Civico di Padova, Bettini confesso di sentirsi isolato in Italia nei suoi
studi sull’arte bizantina, “da noi in genere negletta”, mentre altrove
essa e coltivata in ambienti “troppo a fondo ammalati del morbo
strzygowskiano”, e di aver trovato “aderenze mentali” solo a Vienna
in Julius von Schlosser:
“tanto piu che, come sapete, quest’argomento [dell’arte bizantina] eda noi in genere negletto; e percio io finora ho dovuto lavorarepiuttosto in solitudine – senza trovare vera comprensione in quegliambienti che, come Voi giustamente dite, sono troppo a fondo amma-lati del morbo strzygowskiano. Aderenze mentali trovai soltanto allascuola di Vienna, e sopra tutto nell’amico e mai abbastanza compiantoGiulio Schlosser.”.
Bettini, che gia nei primi lavori su Bisanzio aveva considerato
l’arte bizantina con occhio romanista (“non bisogna dimenticare che,
dicendo Oriente, si dice una parte dell’Impero di Roma”), negli
scritti piu tardi si scaglio contro l’originalita dell’arte bizantina,
facendo dei suoi piu noti conseguimenti nella archittetura e nel
mosaico (ad esempio, lo stile coloristico dei mosaici ravennati del
tempo di Giustiniano) solo una derivazione da Roma e da altri centri
dell’Italia tardoantica26
. Passata la guerra, nuovamente con Beren-
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
dianzi [relativi alla impostazione di una cupola su una base quadrangolare] si trovano in
tutti i paesi del tardo Impero romano (...). Il senso obbiettivo della giustizia storica deve
tuttavia far riconoscere anche a noi che furono Oriente e Bisanzio ad appropriarsi di essi
con piena coscienza, a svilupparli dando loro un significato tecnicamente ed esteticamente
pieno, a sfuttarne fino alle ultime conseguenze l’importanza nella risoluzione del problema
d’impostare la cupola su base quadrangolare, soluzione che poi trasmisero all’Occidente.
Bisogna rendere giustizia all’Oriente; ma non bisogna dimenticare che, dicendo Oriente, si
dice una parte dell’Impero di Roma.”.27
S. Bettini, La pittura di icone cretese-veneziana e i madonneri (Padova, 1933-XI); La
pittura bizantina, 1 (Firenze, 1937), da cui, a p. 7, le citazioni; 2, I mosaici, 2 voll. (Firenze,
1939-XVII); Pittura delle origini cristiane (Novara, 1942-XX); La scultura bizantina, 2 voll.
(Firenze, 1944). P. P. Muratov, La pittura russa antica (Praga – Roma, 1925) e La pittura
bizantina (Roma, 1928); W. F. Volbach, L’arte bizantina nel Medioevo (Biblioteca Apostolica
Vaticana, Museo Sacro. Guida 1. Roma, 1935). Le lettere di Bettini a Berenson sono
conservate presso la Biblioteca Berenson di Villa I Tatti, Settignano, Firenze; le citazioni
sono prese da due lettere del 10 dicembre 1942, del 21 gennaio e del 26 maggio 1948.
Notizie su Bettini sono ricavate dal necrologio scritto da Giovanni Mariacher ed apparso su
Archivio veneto 130 (1988), pp. 169-171. Cf. E. Bordignon Favero, Sergio Bettini. Docenza
universitaria e attivita museale (Loreggia, PD, 1997).
son, nel 1948, Bettini si lamento che l’Italia non avesse istituti
specializzati di ricerca sull’arte bizantina, all’estero sostenuta invece
da “fiorenti e ben avviati” istituti specializzati universitari, soprat-
tutto americani:
“E davvero vergognoso che, mentre tutte le Universita straniere, e leamericane in particolare, hanno istituti fiorenti e ben avviati per lostudio dell’arte bizantina (...), solo in Italia, cioe nel paese che do-vrebbe avere maggiore interesse a questo studio, non se ne sia ancoracapita l’importanza, anzi la necessita. (...) in questo campo da noi chivuol lavorare fa tutto da se.”.
L’istituzione della cattedra padovana di Archeologia Cristiana
alla Facolta di Lettere di Padova gli aveva tuttavia permesso di
rimanere a Padova per mettere su una biblioteca specializzata sul-
l’arte bizantina. La non avvenuta nascita di una bizantinistica ita-
liana, comunque, non era attribuibile certamente solo alla mancanza
di fiorenti finanze disponibili27
.
1Vedi L. Malvano [-Bechelloni], Fascismo e politica dell’immagine (Torino, 1988), Capi-
tolo 4, pp. 175-195.
9
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA
DELLE ARTI
Oltre a Toesca, Berenson e Lionello Venturi, in Italia ci fu una parte
filofrancese e filobizantina, che contava tra i suoi personalita del
regime (Sarfatti) e artisti (Sironi, De Chirico, Severini) aderenti o
vicini al fascismo. Questa parte ebbe il suo trionfo intorno alla meta
degli anni Trenta, con la fortuna riscossa dal muralismo, la cui
estetica era vicina piuttosto a Bisanzio che a Roma, e con l’effimero
riavvicinamento tra Italia e Francia sancita dagli accordi del 7 gen-
naio 1935 siglati come argine alle mire hitleriane su Austria e
Oriente. Anche l’impresa dell’Enciclopedia italiana, nelle voci artisti-
che del Medioevo, non rispecchio affatto alcun nazionalismo romani-
sta e antiorientalista. La mostra della romanita e la mostra giottesca
agli Uffizi, entrambe aperte nel 1937, furono invece due decisivi
punti a favore degli antibizantini. Sepolto il riavvicinamento alla
Francia, anche la primavera bizantina prodotta dal muralismo e
spazzata via. Archeologia e storia dell’arte si adattarono alla retorica
imperiale, soprattutto dopo lo scoppio della guerra contro l’Etiopia,
le sanzioni internazionali che seguirono e la proclamazione dell’Im-
pero dopo la vittoria italiana.
L’arte italiana andava difesa da positivismo, materialismo, cubi-
smo, surrealismo, espressionismo, ebraismo internazionale; e la ro-
manita delle sue radici andava potata della asserita componente
bizantina. Il crollo di serieta nell’approccio a Bisanzio negli studi
della seconda meta degli anni Trenta e impressionante1.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
a. L’ala filobizantina del regime
Il piu grande patrocinatore dell’ala esterofila, in arte, del regime fu
probabilmente Bottai, che sotto il fascismo ricoprı alcune delle piu
alte cariche politiche e governative (Ministro delle Corporazioni,
Governatore di Roma e Ministro dell’Educazione Nazionale), oltre
ad essere professore ordinario all’Universita di Pisa dal 1930. Le sue
aperture moderniste non mitigarono il suo zelo nella proscrizione dei
docenti ebrei dalle universita italiane nel 1938. Bottai tento nel 1939
di tenere insieme razzismo in arte, pluralita di tradizioni artistiche
italiane, ostilita verso la cultura artistica francese moderna e classici-
smo come unica vera tradizione italiana (come sosteneva Ojetti):
“Il postulato piu recente della dottrina fascista e, come e noto, quellodi razza” [che implica] “tutte le definizioni che, con progressivachiarezza, dal Comune all’Impero, la civilta italiana ha dato dellaforma politica della societa (...).Il placido fiume dell’estetica e stato deviato in mille rigagnoli a irrigareorticelli privati; si e inaridito e non corre piu al mare, mediterraneo,della politica fascista; mentre dal cielo pieno di nembi altri vedevanoscendere minacciosi sulle ordinate culture dell’arte italiana gli apocalit-tici cavalieri del cubismo, del surrealismo, dell’espressionismo, dell’e-braismo internazionali. (...)Attaccarsi alla tradizione per definire il contenuto artistico del com-plesso raz[z]iale italiano era, certo, il consiglio piu a buon mercato.Non il piu giusto. (...) e assurdo tipizzare la tradizione, circoscriverla adeterminate categorie formali. Quando si dice che la tradizione arti-stica italiana e quella classica, si e solo parzialmente nel vero. AncheGiotto, Donatello, Masaccio, Michelangelo e Caravaggio, con centoaltri, appartengono alla nostra esperienza storica, cioe compongono equalificano la tradizione.”.
Che l’arte classica si incroci a un certo punto con la potenza
politica nel primo impero romano, concluse Bottai, non giustifica che
quella situazione zenitale sia la stella polare buona per tutte le rotte
artistiche. La dichiarazione aveva la massima autorevolezza, rico-
prendo Bottai in quel periodo, dal 1936 al 1943, la carica di Ministro
dell’Educazione Nazionale. Ojetti pubblico nel 1942 In Italia, l’arte ha
da essere italiana?, nella cui prefazione sostenne che doti dell’arte
italiana sono la romanita, la continuita, l’umanita (il termine romanita
era stato preferito a classicita per escludere l’arte greca); Bottai rispose
a Ojetti nello stesso 1942, presentando su Le arti (Rassegna bimestrale
d’arte antica e moderna a cura della Direzione Generale delle Arti, che
aveva cominciato a uscire nel 1938) la nuova legge sulle arti figurative,
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
2Di Bottai vedi: “Modernita e tradizione nell’arte italiana d’oggi”, Le arti 1
(1938-1939-XVII), pp. 230-234, dalle cui pp. 230-231 sono le citazioni; Politica fascista delle
arti (Roma, 1940-XVIII); “Fronte dell’arte”, Primato 2, n 4, (15 febbraio 1941-XIX), pp. 3-5;
“Presenza della cultura”, Primato 2, n 24 (15 dicembre 1941-XX), pp. 1-2; “La legge sulle arti
figurative”, Le arti 4 (1942-XX), pp. 243-249. U. Ojetti, In Italia, l’arte ha da essere italiana?
(Milano – Verona, 1942), pp. 14-15:
“Diciamo romanita e non classicita perche questa seconda parola comprende l’arte greca e
il suo soprumano idealismo nel cui fulgore abbagliante si rifugiano i deformatori (...) del
vero.”. La risposta di Bottai fu (“La legge sulle arti figurative”, p. 245) : “Quando, dopo
vent’anni di rivoluzione ne univoca ne equivoca, si sente chiedere se l’arte in Italia abbia da
essere italiana, non e piu il caso di discutere sul piano teorico e di ripetere per la centesima
volta che non soltanto e l’Italia a far l’arte italiana, ma anche l’arte italiana a fare l’Italia: e che,
insomma, a voler storicamente pensare bisogna risalire dai fatti all’idea e non dall’idea
discendere all’esame pregiudicato dei fatti. (...) Ma le tendenze? In linea di principio
potremmo rispondere che una politica, la quale facesse propria l’una o l’altra tendenza,
sarebbe una politica di opzione e non di giudizio. (...) Tutte le tendenze hanno lo stesso
limitato valore: ne alcuna di esse puo, piu degnamente dell’altre, rappresentare lo Stato.”.3
Usciti su La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 12, n 3 (marzo 1934), pp. 27-34 (“Arte
ignorata”), 13, n 3 (marzo 1935), pp. 33-41 (“Racemi d’oro”), 14, n 2 (febbraio 1936), pp.
39-47 (“Antellami”). Le citazioni da “Arte ignorata” sono a p. 34 e p. 32 rispettivamente.
che lo Stato non poteva scegliere come sua propria arte ufficiale tra una
tendenza artistica e l’altra2. Le posizioni di Bottai erano vicine a quelle
per le quali si era battuto Sironi descrivendo le varie tradizioni dell’arte
italiana testimoniate nei monumenti della penisola in una serie di
articoli su La rivista illustrata del “Popolo d’Italia”, tra i quali: “Arte
ignorata”, “Racemi d’oro” e “Antellami”, pubblicati tra il 1934 e il
1936. In “Arte ignorata”, che e illustrato con dettagli di affreschi di
Giotto a Padova, Sironi pose come “maestri giganteschi della nostra
arte maggiore” le opere di Pompei, Ravenna, Assisi, Padova, Firenze,
avvicinandosi in questo punto a quanto sosteneva Lionello Venturi.
“Dobbiamo credere che quest’arte sia sorpassata e valga solo per
snobistiche contemplazioni? [l’accusa di snobismo, come gia visto, era
gettata ripetutamente contro gli esterofili, ad esempio da Longhi].
Dobbiamo compiangerla perche ignora il fotografismo della pittura
moderna, e il «trompe l’oeil» dell’impressionismo? Impariamo a cono-
scerla. E facile sbirciare una pittura primitiva e dichiararla fuori
concorso per i tempi moderni”3. Ancora su “Arte ignorata”,poche
pagine prima, Sironi aveva scritto:
“Lasceremo noi latini dalle maschere d’oro, dall’anima apollinea che irussi, i soli bolscevichi tentino audaci commenti scultorei e pittoricialla loro rivoluzione? Ci lasceremo imporre una fredda bardaturaprotestante e internazionale che teme dell’arte, il calore aperto dellavita, il tumulto, il colore, l’ornato, per crearci una veste snobistica,
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
corretta e triste sotto le lucidature banali ed eleganti, i cristalli gelidi, imuri clinici, lo sfarzo feroce del lusso elementare? Il salotto dell’Otto-cento e la critica razionalista! Due sfere che minacciano di toccarsi nelfilesteismo comodo e confortevole, nell’odio per l’arte, per il suo sole,per la sua musica, per la sua anima.”.
Un’altra citazione da Sironi, che conviene riportare per esteso,
riguarda nuovamente la sua posizione vicina a Bottai sulla moltepli-
cita di componenti che costituiscono la tradizione artistica italiana
(comprese le opere del periodo “che si dice bizantino”) e sulla
necessita di difendere l’arte etrusca e quella romana dalla soggezione
all’arte greca e dalle mode francesi; e presa dal commento alla III
Quadriennale romana del 1939 e fu pubblicata anch’essa su La
Rivista illustrata del “Popolo d’Italia”:
“(...) il neotradizionalismo, la volonta cioe di ritrovare nel nostrogrande passato le sorgenti stesse di un nuovo vastissimo sperare nonper via di imitazioni e di plagio, ma per una comprensione che erastata abilmente addormentata dal prevalere dell’arte e del movimentoartistico d’oltralpe. Le mode francesi si arrestano infatti ai confinidell’arte italiana. Si fermano a Teotocopulos [El Greco], mentrel’entusiasmo del principio dell’ottocento per gli italiani, sparisce e sidissolve senza lasciar traccia (...). Si vede oggi che la conoscenza delnostro passato, oltre i noti cliche del turismo, ha ancora moltissimastrada da fare. Rimettere in onore la scultura romana ed etrusca,liberandole dal fantasma di una soggezione alla Grecia, riaffermare lagrandezza dei mosaicisti italiani del periodo che si dice bizantino, mache fu anche una grande e essenziale affermazione del genio italiano,rivedere le posizioni dell’arte romanica, genialissima e completa affer-mazione dopo i romani (...), tutte queste tappe, che sono necessarieperche l’arte italiana si riveli nella sua vera grandezza e nella suaimmensa estensione, sono in parte gia percorse.”.
“Racemi d’oro” e lo scritto piu elogiativo dell’arte bizantina
apparso in Italia negli anni Trenta (fig. 82-83). Le riproduzioni che
lo accompagnano sono dettagli dei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo
e San Vitale a Ravenna e delle chiese veneziane di Torcello e San
Marco. Sironi ha cura di attaccare le regole imposte dalla critica
accademica, nazionalista, che pregiudicano l’apprezzamento della
bellezza di queste opere bizantine. Il loro valore e in elementi che
Soffici ed i critici nazionalisti avevano messo all’indice; quella bizan-
tina e un’arte che “sdegna le calligrafie realistiche che si vanno
sostenendo indispensabili alla nostra pittura contemporanea”. Sironi
ammira audacia e splendore degli accostamenti coloristici, cromati-
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
smo, ermetismo, inaccessibilita, grandezza misteriosa ed ardua ele-
mentarita del mosaico bizantino, “cosı al di la delle buone regole
veristiche ottocentesche, cosı antica, e quindi per i nostri fabbricanti
di calcomanie, arbitraria”. In quei mosaici e corruzione e decadenti-
smo, ma anche eternita. E dall’arte bizantina che dipende tutta la
pittura moderna: Cezanne, i divisionisti, Van Gogh, Seurat, fino alla
musica e la linea ritmica di Kandinsky. I Bizantini, diversi dai Latini,
sono gli elementi modernisti dell’arte antica, una sentenza che suona
eretica per quei tempi:
“Si rimane stupefatti a contemplare l’audacia, lo splendore degli acco-stamenti coloristici [dei mosaici bizantini].La maggior parte dei visitatori si sente piu imtimidita che rispettosa,piu sbalordita che ammirata ed esaltata, piu oppressa che confidentesotto ai catini smaglianti. E cosı difficile, questa lontana meraviglia,cosı ermetica e inaccessibile nella sua ardua elementarita, cosı al di ladelle buone regole veristiche ottocentesche, cosı antica, e quindi per inostri fabbricanti di calcomanie, arbitraria, e «per quei tempi»!.La splendente creazione del mosaico bizantino ebbe le sue premessenell’arte ellenistica e romana, ma fu espressione non solo di un mondoorientale contrapposto all’occidentalismo di Roma [riferimento a Strzy-gowski], ma pure di una nuova epoca colma di vita e di movimento.”.
E pure eretico l’accostamento di Cezanne ai Bizantini, la cui
pittura, in quanto plastica, la si sarebbe aspettata piuttosto contrap-
posta alla bizantina; ma a Sironi lo sforzo di allineare tessere di vetro
in mosaici faceva pensare a Cezanne che impiegava giorni e giorni a
ripassare una pennellata.
In precedenza, anche la Sarfatti aveva espresso il suo amore per
l’arte bizantina tentando l’italianizzazione di un altro pittore, El
Greco, all’apice della sua fortuna critica gia da tempo, ma in quegli
anni particolarmente amato per la sua espressivita anche in Italia,
soprattutto da Scipione e Osvaldo Licini. Sarfatti scrisse di El Greco
sul primo numero de La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia”, del
gennaio 1925, un articolo intitolato “Spagna mistica” (fig. 84). Le
figure di El Greco, “lunghe, allampanate sono figure di mosaico
bizantino, per le volte delle chiese nello sfondo d’oro sopra l’altare”:
“Il piu celebre dei suoi quadri, L’inumazione del conte d’Orgaz, enettamente diviso in due parti, come i mosaici nelle lunghe nicchiebizantine, senza fuoco centrale unico. I colori del Greco sono colori dimosaico bizantino, brillanti, vitrei, gemmati, opalescenti e iridati,come le tessere di prezioso smaltato vetro; senza calore e tono.”
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
4B. Bandini, “El Greco e l’arte italiana contemporanea: 1930 – 1950”, in El Greco of
Crete. ΠρακτικÀ τïυ διεθνïà επιστεηµïνικïà συνεδρÝïυ πïυ ïργανñθηκε µε αæïρµÜ τα 450
øρÞνια απÞ τη γÛννησε τïυ úωγρÀæïυ. ΗρÀκλειï 1-5 ΣεπτεµâρÝïυ 1990 / Proceedings of the
International Symposium held on the occasion of the 450th anniversary of the artist’s birth,
Iraklion, Crete, 1-5 September 1990, a cura di N. Hadjinicolaou ([Iraklion] 1995), pp.
499-505. Una mostra di pittori spagnoli nella Collezione Contini – Bonacossi, con molte
tele di El Greco fu aperta nel 1930; alla redazione del catalogo partecipo anche Longhi che
era consulente prediletto del collezionista e amante dell’arte di El Greco: Gli antichi pittori
spagnoli della Collezione Contini – Bonacossi, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna a
Valle Giulia, maggio – luglio 1930, catalogo della mostra, a cura di R. Longhi e A. C.
Mayer (Milano-Roma, 1930-VIII). M. G[rassini] Sarfatti, “Spagna mistica. Dal Monsal-
vato a Toledo”, La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 1, n 1 (gennaio 1925), pp. 45-49; le
citazioni riportate nel testo sono da p. 48. Sulla Sarfatti vedi: Da Boccioni a Sironi: il mondo
di Margherita Sarfatti, Brescia, Palazzo Martinengo, 13 luglio – 12 ottobre 1997, catalogo
della mostra, a cura di E. Pontiggia (Milano, 1997).5
R. Giolli, Felice Casorati (Milano, 1925); cf. L. Venturi, “Il pittore Felice Casorati”,
Dedalo 4 (1923-1924), pp. 238-261. A Giolli e dedicato il volume Arte italiana del nostro
tempo, a cura di S. Cairola (Bergamo, 1946), che ha la dedica: “Raffaello Giolli che, artista e
critico, difese e sostenne apertamente l’arte italiana contemporanea come un movimento
rivoluzionario della cultura, nella storia di quella rivoluzione sociale per la quale sacrifico la
vita.” Le notizie su Giolli sono raccolte in R. Giolli, L’architettura razionale, a cura di C. De
Seta (Bari, 1972), prefazione pp. xi-lxvii.
El Greco e un “mosaicista bizantino in ritardo, che si innamoro
della figlia del mosaico bizantino, la pittura veneziana”, dunque
semiitaliano. A parte il giudizio della Sarfatti, un bizantinista avvici-
nerebbe senz’altro El Greco all’ultima fase dell’arte bizantina, l’arte
del periodo paleologo, che ne lei ne quasi nessuno in quel momento
in Italia sembra conoscere4.
Nel 1943, nel fascicolo di Domus contenente l’elogio di Soffici
pittore toscano, fu pubblicato “Espressionismo dei bizantini” (figg.
85-86), un articolo di Raffello Giolli, un critico che in precedenza
aveva usato parole di lode per il pittore antifascista Felice Casorati,
sulla scia di quanto scriveva Lionello Venturi. Giolli dopo aver
partecipato a molte discussioni sull’architettura a l’arte negli anni
Trenta con scritti su Casabella, Domus e altre riviste, passo all’antifa-
scismo; fu arrestato una prima volta, poi, liberato, continuo a scri-
vere per riviste clandestine della resistenza milanese; arrestato nuova-
mente e torturato dai fascisti a San Vittore, fu spedito al campo di
concentramento di Mauthausen dove si ammalo di polmonite ed
insieme ad altri prigionieri malati fu finito dai nazisti col gas nel
gennaio 19455. Mentre l’articolo su Soffici di Del Massa riassumeva
vent’anni di apprezzamento del pittore da parte dell’ala piu conserva-
trice della critica fascista, l’articolo di elogio verso l’arte bizantina
riassumeva i motivi del favore verso Bisanzio e l’arte moderna fran-
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
6R. Giolli, “Espressionismo dei bizantini”, Domus n 184 (aprile 1943-XXI), pp.
182-188. Sul quadro La signora Matisse in madras rosso di Matisse vedi Kostenevich, “Un
cese dell’ala piu esterofila. L’articolo sembra quasi una diretta conti-
nuazione di “Racemi d’oro” di Sironi. Giolli l’aprı con tre riprodu-
zioni di quadri di pittori francesi accompagnate da didascalie:
- Cristo e la folla di Georges Rouault, con la didascalia: “Ad
abbandonare ogni plasticismo ottocentesco l’espressionismo e stato
anche persuaso dalla meditazione dei bizantini: come in questo
«Cristo e la folla» di G. Rouault”;
- un modello per arazzo di Rouault, con la didascalia: “Un altro
evidente ricordo bizantino: un modello per arazzo di Rouault”;
- Mme Matisse: madras rouge di Matisse, del 1907, che era stato
esposto al Salon d’Automne del 1907 (ora Merion, Pennsylvania,
The Barnes Foundation): un dettaglio delle mani incrociate della
donna, con la didascalia “Particolare di un ritratto di Matisse del
1907; qui il fauve ha gia abbandonato la terza dimensione”.
In accordo con Sironi, Giolli provo a convincere i lettori che
Bisanzio aveva ispirato Rouault, Matisse e Kandinsky. Per confronto,
mise foto di dettagli degli smalti della Pala d’Oro di Venezia in modo
da mostrare figure dal contorno mosso, espressive, fornendo una
immagine inconsueta rispetto a quelle trasmesse dai manuali di storia
dell’arte tipo Bendinelli, dove Bisanzio era santi su fondi oro, gesti
ripetuti nella “inevitabile cadenza gregoriana”, “vita imperturbabile
in un paradiso ritmato” (due allusioni ai mosaici della navata di
Sant’Apollinare Nuovo), “immagini scorporate” di un’arte “immo-
ta”, un mondo “incantato e disumanato”. Grazie all’impressionismo
francese, per Giolli questa immgine di Bisanzio era stata riletta al
Salon del 1906 dai Fauves Matisse, Rouault e Vlaminck, “scambiati
da selvaggi dall’istinto belluino”, ed era stata tradotta in espressioni-
smo moderno, in “colorazioni splendenti oltre ogni inquietudine
plastica”, in un “mondo a due dimensioni” dove “la linea, non piu
descrittiva, tornava ad avere il suo liberato linguaggio di ritmo” e
dove “il colore si frange in placche immobili, estatiche, allusive”: “la
piattaforma bizantina d’una pittura senza peso era appunto la piatta-
forma necessaria all’estrema mobilita del brivido espressionista”.
Una lettura senz’altro innovativa: guardati da vicino, corpi e volti
delle figure a smalto della Pala d’Oro rivelano “pupille inquiete”,
“angelicita morbose”, asimmetrie, arabeschi, ritmi astratti, “un
espressionismo gia teso alla allucinazione”6.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
dialogo lungo mezzo secolo”, p. 44 e nota 50 p. 77. La discussione sull’articolo di Giolli
riprende quanto espresso in Bernabo, “L’arte bizantina e la critica in Italia”, p. 43.7
G. Severini, “La peinture murale. Son esthetique et son moyens”, in Nova et vetera
(Freiburg, 1927), ristampato in G. Severini, Ecrits sur l’art (Paris, 1987), pp. 184-191,
citazione nel testo da p. 184. Il giudizio di Guttuso e dalla critica alla XXII Biennale di
Venezia: “Pittori italiani alla XXII Biennale”, Le arti 2 (1939-1940-XVIII), pp. 366-370.8
G. Severini, “Lettera a «Quadrante»: Sul mosaico come modo di espressione e di
tecnica”, Quadrante 1 n 2 (1933), p. 31.
b. Severini, il muralismo ed i mosaici bizantini
Gino Severini (il piu bizantino degli artisti italiani secondo Guttuso)
scrisse nel 1927 di preferire Ravenna alla Cappella Sistina, perche la
pittura murale deve far corpo con l’architettura, non deve impiegare
la prospettiva, ne simulare il rilievo:
“J’estime donc qu’entre la chapelle Sistine ou les eglises italiennes desXVIe et XVIIe siecles, dont les fausses perspectives enlevent lesplafonds, et les eglises de Ravenne, il y a interet a preferer, commeexample et comme base, l’esprit des celles-ci. Cet art ornamental estvraiment le plus pur et le plus grandiose que je connaisse.”
7.
Severini amava i mosaici bizantini anche perche vi vedeva uniti
maestria tecnica e valori poetici e metafisici:
“l’umilta operaia che non esclude affatto il dono di poesia e trascen-denza, come si vede appunto chiaramente negli anonimi mosaicisti diRavenna, del Battistero di Venezia, o del Duomo di Torcello.”
8.
Argomentazioni contrarie alla prospettiva e al rilievo nella pittura
murale sono riproposte nel Capitolo XII dei Ragionamenti sulle arti
figurative che Severini pubblico nel 1936 (figg. 87-88). I confronti tra
mosaici bizantini ed arte moderna sono uno dei motivi guida del
libro; Severini accosto Cezanne, usato come garanzia inoppugnabile
di qualita artistica, ai mosaici di Ravenna – un’idea singolare per
quei tempi –, riproducendo uno di seguito all’altro la testa dell’arci-
vescovo Massimiano del corteo di Giustiniano a San Vitale (con la
didascalia: “Come tutti i volti dei mosaici ravennati, questo esempio,
malgrado le degradazioni del tempo e del restauratore, mostra il
modo largamente pittorico e costruttivo caro a Cezanne”) e l’autori-
tratto di Cezanne ora alla Tate Gallery di Londra (con la didascalia:
“E questa testa di Cezanne potrebbe essere un mosaico di Raven-
na’’); ed inserı Matisse nella tradizione di Bisanzio (“costante sforzo
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
9G. Severini, Ragionamenti sulle arti figurative (Milano, 1936; seconda edizione aumen-
tata 1942); il Capitolo XII, “Pittura murale: sua estetica e suoi mezzi”, e alle pp. 77-93; su
Cezanne vedi il Capitolo XX, “Cezanne”, pp. 197-213 e il commento alla tav. xxiii; su
Matisse vedi il Capitolo XXI, “Henri Matisse”, pp. 215-217; le citazioni nel testo sono alle
pp. 277-278, 281. Valutazioni simili sulla pittura murale, ma meno favorevoli su Bisanzio,
sono ripetute in G. Severini, Discussione sulla relazione di Gustavo Giovannoni, “I rapporti
tra l’architettura e le arti della pittura e della scultura nei vari periodi dell’arte italiana”, in
Reale Accademia d’Italia, Fondazione Alessandro Volta, Atti dei Convegni, 6, Convegno di
Arti. 25-31 ottobre 1936-XIV. Tema: Rapporti dell’architettura con le arti figurative (Roma,
1937-XV), pp. 37-38. Una scelta dai numerosi testi di Severini sul mosaico e in bibliografia.
di mantenersi in unione di spirito e di ‘mezzi’ con una tradizione che
potrebbe essere quella di Bisanzio”) – un luogo comune, ormai,
come abbiamo visto. Aggiunse che il migliore modo di rappresentare
il volume pittoricamente e
“quello dei mosaicisti dal IV al VI secolo, i quali risolvono il problemacol colore, e cioe con contrasti audaci e sapientissimi. (...) Peroanch’essi non disdegnano di ricorrere talvolta ad una descrizione delvolume per mezzo di un cerchio o arco di cerchio (...). Secondo me, equesta l’epoca nella quale l’arte pittorica esprime una piu grande unitaontologica.Il secondo modo [di rappresentare il volume pittoricamente] e quellopiu lineare, piu astratto, adottato dai Bizantini, che domandano laforza espressiva all’idea religiosa, al contenuto, piu che ad una potenzapropriamente pittorica. Per i Bizantini le linee che racchiudono leforme, prima di ‘rappresentare’ le cose, sono ‘segni’, invece dopo diloro, e gradatamente, le linee sono prima ‘rappresentazione’ e poi‘segno’.(...) Non succede spesso ai Bizantini di raccontare avvenimenti estorie, ma se li raccontano, lo fanno in modo cosı anti-descrittivo, conuna elevatezza e perfezione di ‘mezzi’ cosı propriamente integra chenon sara mai piu ritrovata.”.
Come esempi, Severini mise tavole commentate dei mosaici
dell’abside di Sant’Apollinare in Classe – del quale aveva discusso
Venturi ne Il gusto dei primitivi –, di San Vitale (la testa dell’arcive-
scovo Massimiano), di Sant’Apollinare Nuovo (la Madonna tra an-
geli), dell’abside di Santa Pudenziana a Roma, di volte barocche e
delle pitture delle chiese elvetiche che Severini stesso era stato
chiamato a dipingere dal 1924: la chiesa parrocchiale di Semsales e
la chiesa di Notre Dame di Valentin (Lausanne). Nel 1933, Severini
scrisse poi una lettera sul mosaico pubblicata sulla rivista Quadrante
contenente lodi della trascendenza dei mosaici di Ravenna, Torcello,
San Marco9.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
10”Pittura murale scultura e decorazione alla Quinta Triennale”, in La Quinta Triennale
di Milano, numero speciale de La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 11 (agosto 1933 –
XI), citazione da p. 25.11
M. Sironi, “Pittura murale”, Il Popolo d’Italia 1 gennaio 1932, ristampato su L’arca 3,
n 1 (aprile 1932) e su Domus 5, n 1 (gennaio 1932), pp. 248-249 (con presentazione di Gio
Ponti). Sulla Triennale vedi il fascicolo monografico La Quinta Triennale di Milano de La
Rivista illustrata del “Popolo d’Italia”; L. Vitali, “Le pitture murali alla Triennale”, Domus n
66 (giugno 1933), pp. 286-291. La definizione del mosaico come arte italianissima e da
“L’arte del mosaico alla Triennale”, Domus n 65 (maggio 1933), pp. 228-229; sulla stessa
rivista, alle figg. a pp. 228 e 229, sono riprodotti i murali esposti alla Triennale. Sul
muralismo: 1935. Gli artisti nell’Universita e la questione della pittura murale. Universita degli
Studi di Roma «La Sapienza», [Roma,] Palazzo del Rettorato, 28 giugno – 31 ottobre 1985,
Catalogo della mostra, a cura di S. Lux e E. Coen (Roma, 1985); Avanguardia, tradizione,
ideologia: itinerario attraverso un ventennio di dibattito sulla pittura plastica murale, a cura di S.
Negli anni Trenta la fortuna di Bisanzio fu legata a quella del
muralismo, che ebbe il suo manifesto nell’articolo di Sironi “Pittura
murale” del 1932 e la sua consacrazione alla V Mostra Triennale
delle Arti Decorative di Milano del 1933:
“La «pittura murale», che orna l’interno del «Palazzo dell’arte», intendereagire contro le prevalenti tendenze della costruzione «razionalista»; laquale, ormai ridotta senza volto e carattere, si e irrigidita, senzapossibilita di ulteriori sviluppi, in un punto morto. La «pittura murale»vuol umanizzare, riscaldare le squallide mura utilitarie della correntematerialista derivata dal positivismo del nord e tende a riallacciare learti figurative italiane alla nostra decorativa tradizione latina.Ma la parola «decorazione», durante il basso ottocento, stava adindicare un’arte superficiale tutt’al piu abile e virtuosa. I suoi svolazzifloreali, le sue leziosita ed esteriorita ornative avevano cosı fatto dege-nerare una delle nostre maggiori espressioni. Ora la Triennale intenderiportare la decorazione murale all’altezza della grande arte umana chein passato ha dato fantasia e spiritualita ai nudi e grandi spazi dellepareti costruttive.”
10.
Il muralismo in pittura e in mosaico, “tecnica italianissima”,
domino l’esposizione milanese, alla cui presidenza erano Gio Ponti e
lo stesso Sironi. Tra le pitture murali Massimo Campigli espose “Le
madri, le contadine, le lavoratrici”, Carlo Carra “L’Italia romana”
(fig. 89), Achille Funi “Giochi atletici italiani” (fig. 90), Sironi “Il
lavoro” (fig. 91); tra i mosaici Leonora Fini espose “Cavalcata di
amazzoni” su cartone di Funi (rimasto in situ), Severini una natura
morta con maschera tragica ispirata ai mosaici pompeiani e “Le
arti”, un mosaico (anch’esso ancora in situ) eseguito su suo disegno
dalla bottega Salviati di Murano che fu inserito come riquadro
centrale de “La cultura italiana” di Giorgio De Chirico (fig. 92)11
.
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
Lux (Roma, 1990); A. Monferini, “Mario Sironi e Margherita Sarfatti. Alle origini della
pittura murale”, in Mario Sironi 1885 – 1961, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 9
dicembre 1993 – 27 febbraio 1994, Catalogo della mostra (Milano, 1993), pp. 66-71; Muri
ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930-1950, Milano, Museo della Permanente,
16 ottobre 1999 – 3 gennaio 2000, catalogo della mostra (Milano, 1999).12
M. Sironi, “IIA
Quadriennale d’Arte Nazionale”, La Rivista illustrata del “Popolo
d’Italia”, 13, n 2 (febbraio 1935), pp. 31-39. V. Guzzi, “La XX Biennale di Venezia”,
Nuova Antologia 71, n 4 (1936-XIV), pp. 65-73. Sulla XXII Biennale: Guttuso, “Pittori
italiani alla XXII Biennale”, pp. 366-370. “Il Palazzo di Giustizia di Milano. Architetto
Marcello Piacentini / Der Mailander Justitzpalast”. Architettura. Rassegna di architettura, 1,
gennaio-febbraio 1942-XX, p. 42.
Nel 1935 Severini espose “Natura morta” alla II Quadriennale
d’Arte Nazionale di Roma, presentata da Sironi su La Rivista illu-
strata del “Popolo d’Italia” (fig. 93); l’anno seguente, 1936, Severini
espose altri mosaici alla XX Biennale di Venezia, che furono attac-
cati per la “oggettiva, fotografica rappresentazione del vero”, per
“l’intellettualistico amore per le decorazioni bizantine”. Altre opere
filobizantine di Severini furono esposte alla XXII Biennale del 1940,
ma non piacquero a Renato Guttuso, che noto che Severini s’era
fatto piu chiuso nella sua torre d’avorio; le sue premesse andrebbero
dai bizantini a Van Gogh. Nella stessa Biennale furono esposte opere
di Carra, il piu elogiato nel commento di Guttuso, tra cui Ragazzi al
mare (“mirabile equilibrio del piccolo poema pittorico”), e due
donne a mosaico di Campigli (fig. 94). Carra fu anche autore de
“L’imperatore Giustiniano che libera uno schiavo” nel Palazzo di
Giustizia di Milano, dell’architetto Marcello Piacentini, una opera
realizzata a seguito della legge del due per cento, che imponeva la
destinazione di tale quota dell’importo previsto per il progetto di
edifici pubbliche allo loro ornamentazione artistica (quanto al tema
del murale, Giustiniano ed il suo codice di leggi erano stati definiti
ufficialmente come appartenenti alla civilta romana)12
.
Anche Campigli fu dichiarato bizantino per il ritmo dei suoi
affreschi nell’atrio del Liviano a Padova (fig. 95). Sul fascicolo del
1939-1940 de Le Arti, la rivista di Bottai il cui gruppo di redazione
era guidato da Longhi, lo storico dell’arte Rodolfo Pallucchini critico
l’aspetto decorativo delle grandi composizioni padovane di Campigli
(le scene della erezione della colonna, dei costruttori, degli studenti,
degli eroi antichi sepolti, degli archeologi) in quanto mancanti di
dramma (sentenzio: Campigli non e Carra), ma vi vide, retorica-
mente, “l’antichita classica, o meglio la coscienza della romanita,
[che] nutre la vita e la civilta del nostro tempo. Su di essa si
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
1 3R. Pallucchini, “Affreschi padovani di Massimo Campigli”, Le arti 2
(1939-1940-XVIII), pp. 346-350, citazioni da pp. 346-347 e 348. A proposito di Longhi
direttore redazionale de Le Arti, Toesca scrisse a Berenson il 17 ottobre del 1938: “Siamo in
piena fissazione di unita delle arti, e temo che la nuova rivista “Le Arti” ne esca molto
confusa e pletorica. Il gruppo di redazione e guidato dal Longhi; e s’intende che il Consiglio
direttivo del quale faccio parte, non ha funzione che nominale.”. La frase sulla unita delle
arti si riferisce a dibattiti in corso a meta degli anni Trenta, suscitati da esposizioni come la
Triennale di arti decorative e applicate all’industria di Milano, sulla quale vedi, tra gli altri, il
commento di M. G[rassini] Sarfatti, “Onesta delle arti applicate”, La Stampa 4 luglio
1936-XIV, p. 3, e, della stessa, “Arti decorative, ovvero: L’oggetto corre dietro alla propria
ombra”, Nuova Antologia 71, n 4 (1936-XIV), pp. 57-64.
innalzano i valori della civilta contemporanea”. Continuita della
civilta romana in quella moderna e attuale; esaltazione di simboli di
vita, di virtu eroica, di studio e di lavoro: continuita espressa nel
racconto di Campigli, pittore nutrito di un umanesimo non tanto
classico quanto mediterraneo:
“(...) trasposizione di un mondo d’immagini arcaiche, generalizzatenell’esasperazione di motivi ripetuti, in un ritmo il quale assume lostesso compito che gia aveva avuto per i bizantini (...). Cio non vuoldire che la personalita del Campigli non abbia i suoi limiti: certo il suoatteggiamento dinnanzi al problema figurativo manca di dramma,rimane cioe essenzialmente decorativo [bizantino?]. Ma saremmo in-giusti chiedendo a Campigli cio che e di Carra: poiche si rischierebbedi fraintenderlo in pieno.”
13.
Alla VI Triennale di Milano, nello stesso 1936, fu esposto il
mosaico di Sironi “Italia costruttrice”, eseguito da Salviati, che fu
chiamato anche “Il lavoro fascista” e trovo poi sede nell’allora
Palazzo de Il Popolo d’Italia a Milano (fig. 96). Il mosaico e una
allegoria del regime, dove la personificazione seduta dell’Italia e
attorniata dalle personificazioni del lavoro, della famiglia (Adamo ed
Eva), del governo e dell’impero. Cosı fu presentata ne La rivista
illustrata del “Popolo d’Italia”:
“[Sironi e] artista veramente «nostro», del nostro tempo, esprimentenelle sue figurazioni il travaglio costruttivo di una generazione in unacompostezza rude e arcaica e dalla quale si disserrano le spirali delsogno e l’ansito avvampante delle conquiste. Questa «Nuova Italiacostruttrice» piu che ai grandi modelli bizantini del mosaico, smagliantie policromi, s’accosta a quelli nudi e drammatici del primo Cristiane-simo, di cui si ha un esempio classico nel «Catino absidale di SantaPudenziana» in Roma. Quella del mosaico e un’arte annunziatrice dicivilta, e Sironi interpreta la nostra come forse pochi artisti hannosaputo fare.”.
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
14F. F., “L’arte della nuova Italia alla Sesta Triennale”, La Rivista illustrata del “Popolo
d’Italia” 14, n 6 (giugno 1936), pp. 37-45, citazione da p. 38. M. G[rassini] Sarfatti, “Arti
decorative”, citazioni da pp. 62 e 64. La Sarfatti parlo negli stessi termini entusiastici del
mosaico di Sironi in “Onesta delle arti applicate”, p. 3. Sul mosaico di Sironi, nell’odierno
Palazzo dei Giornali in piazza Cavour a Milano, vedi Racemi d’oro: il mosaico di Sironi nel
Palazzo dell’Informazione, a cura di E. Braun (s. l., 1992).15
Sironi aveva parlato in maniera apparentemente provocatoria dell’adesione di Casorati
alle esposizioni artistiche fasciste in “IIA
Quadriennale d’Arte Nazionale”, pp. 31-39.
Dell’opera di Sironi scrisse entusiasta anche la Sarfatti avvicinan-
dolo ai mosaici del mausoleo di Galla Placidia (oltre che alle Tombe
Medicee di Michelangelo e all’Incendio di Borgo di Raffello nelle
Stanze Vaticane): “Il lavoro fascista di Sironi” e “colossale e stu-
pendo, allucinante e robusto”, eseguito in “modo solenne e sempli-
ce”, con “nostalgia di fondi d’oro bizantini tradotti in bruni e
d’intonazione dorata”. La Sarfatti invece attacco il mosaico di Caso-
rati “Maternita”, perche imitazione della pittura “nelle tinte e nelle
prospettive” (fig. 97):
“Il mosaico non puo, non deve aspirare alla creazione della terzadimensione di profondita e di spazio; deve avere valori di tappezzeria edi superficie piana. (...) [I mosaici di Tiziano e di Tintoretto a SanMarco a Venezia] sono antimusivi e brutti; mancano anch’essi alrispetto della natura; percio appaiono insinceri, superficiali e persinogoffi a furia di scioltezza, accanto agli ieratici bizantini, i quali sape-vano disporre le composizioni con apparente arcaismo, ma con so-stanza sapiente, frontalmente e in primo piano, abolendo gli effetti dilontananza e di movimento.”
14.
Il lavoro di Casorati non era dunque riuscito, un giudizio influen-
zato verosimilmente dal passato antifascista del pittore15
.
Quanto ai riferimenti a Galla Placidia, la lettura della Sarfatti e
dilettantesca: i mosaici di Casorati piuttosto che quelli di Sironi
sembrano ispirati dall’impressionismo del pastore di Galla Placidia; a
Sironi interessano modelli musivi con figure piu plastiche, con ombre
e contrasti cromatici piu forti. In generale, l’ispirazione di tutte
queste opere murali non furono il pannello di Teodora a San Vitale,
la teoria delle Vergini nella navata di Sant’Apollinare Nuovo o il
mosaico absidale di Sant’Apollinare in Classe; piuttosto, il plastici-
smo e la monumentalita delle figure della pittura murale degli anni
Trenta imita i mosaici pregiustinianei ravennati e romani. E interes-
sante osservare che l’asserzione dei valori cromatici e decorativi, che,
secondo la Sarfatti, il mosaico deve avere a differenza dei valori
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
16Vedi Capitolo 11, paragrafo c.
17Mostra della Rivoluzione Fascista. I˚ Decennale della Marcia su Roma, Roma, Palazzo
della Quadriennale 1932, a cura di D. Alfieri e L. Freddi (Bergamo, 1933). Mostra augustea
della Romanita (Bimillenario della nascita di Augusto), 23 settembre 1937-XV – 23 settembre
1938-XVI, catalogo della mostra (Roma, 1937); M. Pallottino, “La Mostra Augustea della
Romanita”, Capitolium. Rassegna mensile del Governatorato 12 (1937-XV), pp. 519-528; A.
M. Liberati Silverio, “La Mostra Augustea della Romanita”, in Roma Capitale 1870 – 1911.
Dalla mostra al museo. Dalla Mostra archeologica del 1911 al Museo della Civilta Romana,
Roma, Museo della Civilta Romana, giugno – dicembre 1983, catalogo della mostra, pp.
77-80; E. Braun, “Political Rhetoric and Poetic Irony: The Uses of Classicism in the Art of
Fascist Italy”, in On Classic Ground. Picasso, Leger, De Chirico and the New Classicism 1910 –
1930, London, Tate Gallery, 6 giugno – 2 settembre 1990, catalogo della mostra, pp.
345-354; G. Pisani Sartorio, “La Mostra Augustea della Romanita (1937-1938), il Palazzo
delle Esposizioni e l’ideologia della romanita”, in Il Palazzo delle Esposizioni. Urbanistica e
architettura. L’esposizione inaugurale del 1883. Le acquisizioni pubbliche. Le attivita espositive,
Roma, Palazzo delle Esposizioni, 12 dicembre 1990 – 14 gennaio 1991, catalogo della
mostra; G. Bandelli, “Le lettere mirate”, in Lo spazio letterario di Roma antica (Roma, 1991),
4, pp. 361-397.
plastici e naturalistici propri di altre forme d’arte, e in sintonia con il
testo della voce “Musaico” scritta da Toesca per il volume 34
dell’Enciclopedia Italiana, appena pubblicato (1934)16
.
c. La Mostra Augustea della Romanita
L’esaltazione della romanita propagandata dal regime ebbe il suo
apogeo nella Mostra Augustea della Romanita, esposizione celebrativa
del bimillenario della nascita di Augusto, che fu aperta a Roma nel
1937, contemporaneamente alla Mostra giottesca degli Uffizi, e che
tenne dietro alla Mostra della Rivoluzione Fascista, allestita a Roma
nel Palazzo della Quadriennale nel 1932, decennale della marcia su
Roma17
. La mostra augustea (figg. 98-99) fu il terzo bimillenario
celebrato negli anni Trenta: nel 1930 era stata la volta di Virgilio, nel
1935 di Orazio. Massimo Pallottino vi vide “il sentimento della
continuita e della grandezza della nostra stirpe”; una mostra che,
attraverso la documentazione della grandezza della Roma antica,
della Roma dell’antico impero e di quella Roma “onde Cristo e
romano”, arrivava alla sua continuatrice, l’Italia del nuovo impero; lo
spirito ed il programma della mostra erano quelli “compendiati nelle
parole del Duce: «Fate che le glorie del passato siano superate dalle
glorie dell’avvenire»”. Giulio Quirino Giglioli, uno degli oratori al
Convegno per la Cultura Fascista di Bologna e il presidente dell’Isti-
tuto di Studi Romani, lesse il discorso di apertura, nel quale per
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
prima cosa ringrazio il duce che aveva “ordinato” di allestire la
mostra in onore di Augusto; ad essa si era atteso “con il massimo
rigore scientifico e ardore fascista”. Per merito del Duce era stato
raccolto “tutto il piu insigne patrimonio di memorie d’arte e di storia
a noi giunto col tempo Romano”, cosa che “non poteva farsi che in
Roma e dall’Italia Fascista”. La mostra proponeva duecento plastici,
piu di tremila calchi di opere, fotografie, piante, iscrizioni, che
provavano come “fin nelle piu lontane regioni del mondo allora
conosciuto” giungesse il “benefico impulso di Roma, come tutto
l’Occidente e il Settentrione europeo debbano a lei l’origine del loro
viver civile”. Le sale erano dedicate alla storia dell’impero romano,
alle “ferree legioni”, alla “Marina dominatrice del «mare nostrum»”,
al diritto, agli edifici pubblici e privati, alle opere di bonifica e di
igiene, all’artigianato, al commercio, alle lettere, scienze, arti, scuola,
istituzioni giovanili, opere assistenziali (il confronto col presente
dell’impero fascista e delle sue opere e evidente). Sessanta sezioni in
tutto. Poi l’oratore aggiunse:
“Due sezioni voglio ancora ricordare: una e quella della Chiesa Cri-stiana studiata nei primi cinque secoli, quando a Roma ebbe il suggellodella sua universalita; l’altra e quella che ricorda il tramandarsi dell’i-dea imperiale romana attraverso gli spiriti magni, fino alla risurrezionedell’Italia come Nazione unita e indipendente e alla risurrezione, dopoquindici secoli, dell’impero stesso di Roma, per opera Vostra, o Du-ce.”.
Le azioni del Duce, “civis romanus”, vanno spontaneamente e
inevitabilmente riavvicinate a quelle dei piu grandi Romani: la stessa
sua regione natale, la Romagna, come testimonia il nome, conserva
“piu di altre inalterati il sangue e lo spirito” dei Romani.
Nella presentazione nel catalogo, Giglioli (che si attribuisce il
merito di aver proposto al Duce l’idea della mostra) riprende dalla
orazione al Duce la definizione degli scopi e dei confini della mostra
e ne specifica i limiti cronologici, definendo l’arco di tempo della
civilta romana nella visione del fascismo:
“La Mostra ha pertanto il nome di Augustea: essa e pero anche dellaRomanita, di tutta la Romanita, dalle umili origini leggendarie del-l’VIII secolo av. Cr., fino alla codificazione del diritto romano eall’affermazione della Chiesa trionfante come erede spirituale di Roma,nella prima meta del VI secolo di nostra era.”.
Nella introduzione alla sala XXV, poi, “Cristianesimo e Roma-
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
18Vedi Capitolo 11, paragrafo e.
nita finiscono, nel tramonto dell’Impero, per costituire un elemento
solo di resistenza contro la pressione dei barbari”. Sulla parete di
fondo della sala era disegnata una carta dell’Impero, “sulla quale una
croce getta un fascio di vivida luce”. Nella sala erano esposte ripro-
duzioni e fotografie di opere dal IV al VI secolo: sarcofagi e iscrizioni
da piu parti dell’Impero, una scena graffita al Museo di Algeri con
una riproduzione del Ponte Milvio portata in trionfo degli inizi del
IV secolo, un ritratto di papa Silvestro, la basilica ed il monastero di
Tebessa, altre basiliche e battisteri cristiani, una donna orante, ri-
tratti di Sant’Ambrogio e Sant’Agostino, un plastico della basilica di
San Salvatore a Spoleto, rilievi di sarcofago con il Passaggio del Mar
Rosso e l’Arca di Noe, il mosaico della basilica di Teodoro ad
Aquileia, “trenta denari” d’argento dalla Palestina, pissidi eburnee e
argenterie con scene cristiane, le lipsanoteche di Brescia e di Pola.
Sulla balaustra della sala era data, a lettere in rilievo, la traduzione
dell’Editto di Milano, che “chiude l’era delle persecuzioni e inaugura
quella della pace tra la Chiesa e l’Impero – 13 giugno 313 d. Cr.”.
La successiva e ultima sala XXVI era dedicata alla immortalita
dell’idea di Roma ed alla rinascita dell’impero nell’Italia fascista e
mostrava, tra l’altro, tre archi di trionfo: quello di Costantino, quello
dell’architetto e accademico d’Italia Marcello Piacentini a Bolzano
(“il primo dell’Italia risorta”), quello dell’Ara dei Fileni in Cirenaica,
dell’architetto F. Di Fausto, “ricordante il trionfale viaggio del Duce
in Libia e l’inaugurazione della strada litoranea, opera di romana
grandezza”. Concludono il catalogo i testi delle iscrizioni inneggianti
alla gloria dell’Italia (da Dante in poi) e al Duce, con molte citazioni
da D’Annunzio e tra di esse “Arma la prora e salpa verso il mondo”,
il celebre verso de La Nave. Con il discorso di Giglioli, la mostra
augustea sanziono ufficialmente il prolungamento della civita romana
al VI secolo, recuperando Ravenna e Giustiniano all’Italia (senz’al-
tro, non c’era interesse nel recupero della bizantina Teodora). Que-
sto recupero era stato posto da Giorgio Pasquali come fulcro della
sua voce “Letteratura bizantina” nella Enciclopedia Italiana18
– Gi-
glioli sembra riprendere piu concetti da Pasquali – e la sua ufficializ-
zazione si riflette sugli studi bizantini contemporanei.
La retorica romanista e colonialista del regime si propago ad
archeologi e storici dell’arte e da questi fu sostenuta. Gli antichisti
furono in prima fila nell’applaudire la politica coloniale del fascismo
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
19Le considerazioni sono di Mariella Cagnetta, della quale vedi il gia citato “Appunti su
guerra coloniale e ideologia imperiale «romana»”, in Antichisti e impero fascista (Bari, 1979),
specialmente pp. 9-11, e “Il mito di Augusto e la ‘rivoluzione’ fascista”,in Matrici culturali
del fascismo (Bari, 1977), pp. 153-184. Inoltre di Luciano Canfora: “Classicismo e fasci-
smo”, in ivi, pp. 85-111, Ideologie del classicismo (Torino, 1980) e Le vie del classicismo (Bari,
1989), qui specialmente i Capitoli 14 e 15, “Cultura classica e «usurpazione moderna»” e
“Sul posto del classicismo tra le matrici culturali del fascismo”, pp. 237-252 e 253-277
rispettivamente. R. Visser, “Fascist Doctrine and the Cult of the Romanita”, Journal of
Contemporary History 27 (1992), pp. 5-22; i contributi nel volume Fascist Visions. Art and
Ideology in France and Italy, a cura di M. Affron e M. Antliff (Princeton, N.J., 1997).20
Roma “Onde Cristo e romano”. Conferenze radiotrasmesse tenute nell’Anno Accademico
1936-XIV dei Corsi Superiori di Studi Romani (Roma, 1937).
e ne diventarono portavoce qualificati; la componente romana di-
venne l’anima ideale dell’Italia fascista19
. Con la vittoria nella guerra
etiopica e la proclamazione del ritorno all’impero fatta dal Duce dal
balcone di Palazzo Venezia, il 9 maggio del 1936, retorica e simboli
imperiali di Roma pervasero ideologia e propaganda. La compenetra-
zione tra fascismo, tradizione romana e tradizione cattolica, che era
stata soggetto di una delle sale della mostra della romanita, fu
ribadita l’anno successivo della mostra, 1937, in una serie di confe-
renze radiotrasmesse dell’Istituto di Studi Romani dal titolo Roma
“Onde Cristo e romano”, con interventi di vari cardinali (tra i quali
Eugenio Pacelli, poi papa Pio XII) e del solito Galassi Paluzzi20
.
Anche la pubblicita si adeguo alla proclamazione dell’impero: statue
di Augusto e Traiano, da foto riprese dai servizi della Rivista illustrata
del “Popolo d’Italia” per la Mostra della Romanita, garantivano quali
“tessuti dell’impero” fibre sintetiche autarchiche della SNIA Viscosa,
la fabbrica gia di Gualino, in occasione della XVIII Fiera Campiona-
ria di Milano dell’aprile 1937 (fig. 100); sullo sfondo di una imma-
gine di Traiano ed una di un gruppo di soldati italiani la Banca
Commerciale Italiana (fig. 101) faceva stampare le parole del suo
presidente inneggianti all’impresa di Etiopia con l’esercito e le cami-
cie nere marcianti al comando del Capo a ripulire da predoni e
mercanti di schiavi l’incorreggibile Etiopia, nella quale ora, con
l’alloro della vittoria intrecciato alla corona imperiale, e tutto un
fervore di cantieri e nuove strade; un senatore ed una giovinetta
pubblcizzavano la Montecatini; un soldato romano le Aziende Car-
boni Italiane; la FIAT, al servizio della patria in armi in Africa
orientale, faceva vedere il passaggio della nuova “1500” sotto l’arco
trionfale della Sirte (l’arco dei Fileni) della litoranea libica, appena
inaugurata. Alla presenza di Mussolini si giravano le riprese del film
Scipione l’Africano di Carmine Gallone. Contemporaneamente, La
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
21”La Fiera di Milano”, La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 15 n 4 (aprile 1937), pp.
79-105; le pubblicita dei tessuti della SNIA Viscosa alle pp. 102 e 104. Tra gli articoli
imperiali pubblicati sulla medesima rivista vedi, ad esempio, S. Aurigemma, “Romanita di
Velleia”, 15 n 2, febbraio 1937, pp. 33-41; e C. Pertile, “Orme di Roma nell’Egeo italiano”,
15, n 1, gennaio 1937, pp. 31-35; il fascicolo speciale su Italia imperiale e del marzo 1937.22
Come, del resto, Cronache bizantine di letteratura e di arte, quindicinale dell’Universita
di Napoli, direttore R. De Gerardis, che comincio ad uscire a Napoli nel 1907.23
Studı bizantini (Pubblicazioni dell’ “Istituto per l’Europa Orientale” in Roma. Istituto
di Studi Bizantini e Neoellenici); nei pochi volumi pubblicati vedi A. Munoz, “Studi di arte
bizantina in Italia”, Studi bizantini, ser. 2, 5 (1924), pp. 207-216; inoltre: A. Giannini, “Gli
studi bizantini a Roma”, in Istituto di Studi Romani, Atti del IV Congresso Nazionale di Studi
Romani, vol. 1, pp. 361-364. C. M. De Vecchi di Val Cismon, Bonifica fascista della cultura
(Milano, 1937), pp. 126-127. Contemporaneamente al congresso, la Biblioteca Vaticana
allestı una mostra di manoscritti e documenti bizantini: Catalogo della mostra di manoscritti e
documenti bizantini disposta dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Archivio Segreto in
rivista illustrata del “Popolo d’Italia” si riempiva di articoli di archeolo-
gia dai titoli e dal contenuto imperiali, accompagnati dai rilievi
dell’Ara Pacis, da statue di Germanico, Livia e altri personaggi della
casa Giulio-Claudia, e di servizi sulla Mostra Augustea della Roma-
nita e sulla riapertura della Mostra del Fascismo per il decennale
della Marcia su Roma; ed infine stampava un fascicolo speciale Italia
imperiale21
.
d. La colonizzazione romanista dell’Adriaticoe della Sicilia
Nel 1936 si svolse a Roma il quinto Congresso Internazionale di
Studi Bizantini, organizzato dall’Istituto per l’Europa Orientale che
pubblicava la rivista Studi bizantini dal 1924, oltre a Studi albanesi,
Studi baltici, Studi romeni, Ricerche slavistiche. L’Istituto non ebbe vita
facile: prefazioni in testa ai suoi volumi bizantini menzionano diffi-
colta economiche; la rivista Studi bizantini di fatto non decollo mai22
.
Il quadrumviro e ministro dell’Educazione Nazionale Cesare Maria
De Vecchi, nel discorso inaugurale del Congresso del 1936 (che fu
pubblicato insieme ad altri suoi testi nel volume Bonifica fascista della
cultura), cerco uno spazio di sopravvivenza per Bisanzio nell’onda
vincitrice della romanita imperiale, giocando a suo favore alcune
carte romane: l’appellativo di ‘Nuova Roma’ dato alla nuova capitale
inaugurata da Costantino, la definizione di Bisanzio come erede di
Roma, “lo spirito romano che rivive nella romanita universale di
Giustiniano che eterna nei documenti sapienti del diritto la sapienza
millenaria dell’antica patria”23
. Nello stesso anno della mostra della
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
occasione del V Congresso Internazionale di Studi bizantini, Roma, 20-26 settembre 1936
(Citta del Vaticano, 1936).24
Vedi Capitolo 11, paragrafo b.25
S. Bettini, “Rapporti tra l’arte bizantina e l’arte italiana prima di Giotto”, in Istituto
Nazionale per le relazioni culturali con l’estero, Italia e Grecia. Saggio su le due civilta e i loro
rapporti attraverso i secoli (Firenze, 1939), pp. 273-295, citazioni nel testo da pp. 276-277,
280, 288, 291.26
Queste sentenze di Bettini sono state sottolineate da P. Lemerle, “L’archeologie
paleochretienne en Italie. Milano et Castelseprio, «Orient ou Rome», Byzantion 22 (1952),
pp. 203-204, che da una bibliografia degli scritti di Bettini a nota 2 p. 203.
romanita, dopo la romanizzazione di Giustiniano e Ravenna, nel
volume 35 della Enciclopedia Italiana Venezia e definita figlia di
Ravenna e di radice romana anch’essa24
. Della romanita dei mosaici
di Ravenna, di Parenzo e di Venezia si disse convinto anche Bettini
nel 1939, che scrisse con ardore romanista contro il panbizantinismo
dell’arte medievale, del quale Toesca era il campione. Era necessario,
proclamo Bettini, rivedere sotto nuova luce il problema delle in-
fluenze bizantine in Italia: un nuovo studio farebbe probabilmente
limitare alquanto la loro portata. Oltre a queste sorprendenti affer-
mazioni antitoeschiane e antibizantine, Bettini vide a Bisanzio
“risolvere la rappresentazione artistica sopra una superficie sempremeno spaziale e invece (...) sempre piu cromatica. Quella superficieaspaziale cromatica che sara, con estrema evidenza, il fondamentoassoluto di tutta l’arte del Medioevo”
25
soprattutto a Bisanzio. Il cromatismo bizantino e opposto alla spazia-
lita romana. In altri studi degli anni Quaranta Bettini proclamo che
la ceramica bizantina e di origine ravennate, che l’architettura cri-
stiana non e nata in Oriente, ma a Roma, che gli edifici a volte e
cupole nelle regioni orientali sono d’importazione romana, che gli
edifici di Giustiniano a Costantinopoli sono occidentali, che il cro-
matismo dei mosaici giustinianei di Ravenna si era originato a Mi-
lano e Ravenna. Perche Bettini, che pure aveva gia scritto i suoi
compendi dell’arte bizantina, desse triste prova di serieta di studioso
svendendo Bisanzio per Roma negli anni della retorica imperiale
mussoliniana, potremmo forse ricostruirlo, se fosse negli interessi di
questo libro26
.
L’appartenenza di Ravenna a Roma e la superiorita dell’arte
romana a confronto della intontita, compassata e fredda arte bizan-
tina, fase finale del classicismo, e anche il pensiero di Pericle Ducati,
nel volume della Storia di Roma dell’Istituto di Studi Romani L’arte
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
27P. Ducati, L’arte in Roma dalle origini al sec. VIII (Istituto di Studi Romani. Storia di
Roma, vol. 26. Bologna, 1938-XVII), citazioni nel testo dalle pp. 390, 401.28
G. Fiocco, “L’architettura esarcale di Aquileia”, Aquileia nostra 11 (1940), coll. 3-18; la
citazione nel testo e da col. 3. Nell’articolo Fiocco contestava la definizione di “arte esarcale
deuterobizantina” data da Giuseppe Gerola (I monumenti di Ravenna bizantina [Milano, s.
in Roma dalle origini al sec. VIII, pubblicato nel 1938: il Medioevo e
“letargo della romanita”, il bizantinismo e antitesi del classicismo; in
esso al carattere plastico si sostituisce la piattezza delle forme. Men-
tre a Roma la vigoria non e mai annullata
“in Bisanzio essa vigoria da luogo ad un intontimento espressivo nellapompa dell’oro e dei colori e tutto acquista un carattere di superbadecorazione, e le formule plastiche divengono formule decorative eornamentali, preannunciando infine quanto si designa col nome diarabesco.”.
Il bizantinismo, che pure e evidente a Roma, Ravenna e Parenzo,
non annulla interamente, tuttavia, la tradizione romana: magnanime-
mente, consente Ducati, continuano a sopravvivere “tracce sempre
piu pallide del tramontato mondo romano” a San Vitale a Ravenna,
dove, nei mosaici romani del presbiterio, e vigoria e movimento, ma,
si badi, nei mosaici della tribuna e “raffinata compostezza” e “solen-
nita fredda”: una contrapposizione tra l’elemento romano-barbarico
non ancora spento e l’elemento “curiale-bizantino” (lo sposalizio tra
romano e barbarico, che non sappiamo dove scorgere a San Vitale, e
frutto, probabilmente, della nuova politica di allineamento tra Roma
e Berlino). Insomma, per il trionfo del bizantinismo fu decisiva la
conquista di Roma da parte di Totila e la distruzione e strage che ne
seguı: “l’anno 546 segna uno degli ultimi crolli di Roma imperiale,
ma e nel tempo stesso il punto di partenza per un rinnovato ardore
nella affermazione della Roma papale”27
.
Nel 1940, Giuseppe Fiocco, in un articolo su Aquileia nostra,
replico alla definizione coniata da Giuseppe Gerola di “arte esarcale
deuterobizantina” (nella discussione entro poi anche Mario Salmi),
sentenziando che non poteva essere avvenuta una seconda fioritura
dell’arte bizantina nella romana Ravenna; la citta
“rimase sempre nell’ambito della tarda antichita romana, anche sottola dominazione bizantina sino alla meta dell’VIII secolo. La criticasostituisce la romanita del basso impero, che aveva fatto di Ravenna lasua capitale, alla bizantinita; le incursioni di Bisanzio vanno restrintenei limiti di un episodio, non di un predominio.”
28.
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
d.]); Fiocco ritorno sull’argomento in “A proposito di arte esarcale”, Le arti 3
(1940-1941-XIX), pp. 373-375. Il primo articolo di Fiocco fu contestato da Salmi in una
recensione (Recensione a Giuseppe Fiocco, “L’architettura esarcale di Aquileia”, Aquileia
nostra 11, 1940, coll. 3-18, Palladio 5 [1941-XIX], pp. 94-95), alla quale Fiocco replico
(Replica a Mario Salmi, Le arti 4 [1941-1942-XX], pp. 46-47); una messa a punto
accomodante di Salmi fu pubblicata accanto alla replica di Fiocco (“A proposito di arte
«esarcale»”, Le arti 4 [1941-1942-XX], pp. 45-46).29
L. Coletti, I primitivi, 1 (Novara, 1941-XX), citazione da p. vi.
“Di arte deuterobizantina si dovra, se mai, far parola per Costan-
tinopoli e per i Balcani, non gia per Ravenna e per l’Esarcato”:
Venezia e la nuova Ravenna, proprio come Ravenna era stata la
nuova Roma. Aquileia, poi, ebbe una sua rivista di studi patrii,
appunto la gia citata Aquileia nostra, del cui consiglio facevano parte
Gentile e Paribeni. Nel programma presentato sul primo numero
della rivista del gennaio 1930, la citta era definita “romana e patriar-
cale”, popolata di uomini che hanno lavorato e lavorano con purita
di cuore per il proprio paese, posta sotto le ali d’Italia della cui
tradizione e parte (definizioni che ricordano la Aquileia de La nave di
D’Annunzio), con un suo museo italianamente rinnovato e con una
basilica riconsacrata alla pieta degli avi.
Per ultimo, Luigi Coletti tento la riconquista, sulla base delle
polverose idee antistrzygowskiane, anche dei manoscritti miniati bi-
zantini normalmente attribuiti alla Siria: “cosa c’e di piu romano,
nella radice, dell’Evangeliario siriaco di Rabula, o di quelli greci di
Sinope o Rossano?”. L’arte paleocristiana, non quella orientale e la
fonte dell’arte italica, la quale e lontana
“dalle allucinazioni che in una sorta di surrealismo tentano di svinco-lare l’espressione figurativa da ogni servitu semantica, facendo delcolore e della linea allegorie di stati d’animo.”
29.
La critica d’arte cedeva alla retorica del regime, cadendo in deliri
panromanisti e antibizantini e partorendo frasi, come questa di
Coletti, di nessun significato.
Curiosamente, i mosaici siciliani sfuggono alla colonizzazione
romanista fino agli anni Quaranta. Restano marginali nelle discus-
sioni su Italia e Bisanzio, come se viaggi e studi nella lontana Sicilia
non fossero agevoli o non fossero inclusi nel curriculum del critico
d’arte. I piu antichi studi monografici su di essi sono di Roberto
Salvini, il primo dei quali, sui mosaici di Monreale, uscı sul volume
de Le arti del 1941 – 1942. Salvini introdusse i mosaici monrealesi
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
30R. Salvini, “I mosaici del Duomo di Monreale”, Le arti 4 (1941-1942-XX), pp.
311-321. Piu tardi, Salvini scrisse “I mosaici della Cappella Palatina”, preparato per la
Rivista del Regio Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte 9 (1943) e mai apparso per
l’interruzione del periodico durante la guerra e negli anni immediatamente successivi.
Infine, dopo la guerra, Salvini pubblico Mosaici medievali in Sicilia (Firenze, 1949).
come capolavori sconosciuti, nonostante fossero citati in tutti i ma-
nuali (stranieri) di arte bizantina, “a meno che non si voglia gabellare
per conoscenza di essi la consueta sommaria descrizione dell’organi-
smo iconografico e la loro quasi adiaforica attribuzione al mondo
bizantino”. I cicli musivi di Monreale, Palermo e Cefalu sono consi-
derati rappresentanti della pittura bizantina del XII secolo; ma “in
tempi recentissimi la critica ha mostrato che non si puo parlare di
pittura bizantina per Monreale” e Bettini ha recisamente affermato
che i mosaici monrealesi sono opera di mosaicisti veneziani “facendo
piazza pulita e della tradizionale opinione della bizantinita dei mo-
saici monrealesi e dell’ozioso problema della partecipazione al lavoro
di elementi locali”. Mentre nemmeno nei mosaici di Palermo si puo
riconoscere uno stile schiettamente bizantino, quelli di Monreale
vanno inseriti decisamente nella storia della pittura romanica del-
l’Occidente30
.
e. Epiloghi razzisti
Nell’intervento del 1939 contro Ojetti e quella che lui considerava la
tradizione artistica italiana, Bottai respinse il riferimento alla tradi-
zione come criterio per definire il contenuto artistico del complesso
razziale italiano. La menzione da parte del Ministro dell’Educazione
Nazionale di un’arte della razza italiana e connessa con la dichiara-
zione del Gran Consiglio fascista del 6 ottobre 1938 sul “migliora-
mento qualitativo e quantitativo della razza italiana, miglioramento
che potrebbe essere gravemente compromesso, con conseguenze
politiche incalcolabili da incroci e imbastardimenti”; il Gran Consi-
glio stabilı quindi norme antiebraiche che furono trasformate in legge
con i decreti regii del 15 e 17 novembre; la conseguente espulsione
dei docenti ebrei dall’universita avvenne con decreto di Bottai del 30
novembre 1938. I riflessi della politica razziale sulla critica d’arte in
Italia sono ben evidenti negli ultimi anni del fascismo: l’attribuzione
alla sola Germania hitleriana di un razzismo in arte e un’illusione o
un travisamento smentiti dalla lettura dei martellanti articoli antise-
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
31G. Volpe, “Su la soglia del nuovo Impero mediterraneo”, Le arti 2 (1940-XVIII), pp.
293-298.
miti su Quadrivio, Il Tevere e Difesa della razza e degli scritti di
Telesio Interlandi, Giuseppe Pensabene e loro colleghi negli anni
intorno al 1938.
Anche se gli sviluppi della politica razzista in arte non possono
essere seguiti qui, alcuni riflessi coinvolsero la valutazione dell’arte
bizantina e devono essere accennati anche sommariamente. Molte
pagine di Soffici sui Francesi avevano anticipato dagli anni Venti il
razzismo in arte; dopo le leggi razziali, Gioacchino Volpe – lo storico
che in Parlamento denigro Salvemini che aveva denunziato come il
fascismo negava la liberta di insegnamento ed era poi fuggito all’e-
stero – affermo che i Bizantini non appartenevano alla razza ariana,
come i semiti di Cartagine, ma facevano parte dei semiasiatici in-
sieme ad Arabi e Turchi31
. La rivista Quadrivio ospito i discorsi di
Hitler sull’arte degenerata e trentotto articoli a sostegno del razzismo
e dell’antisemitismo tra gennaio e ottobre scritti da Pensabene e da
un secondo autore che si firmo sempre con le sole iniziali G. H. La
serie era intitolata “La composizione razzista del popolo italiano” ed
al capitolo VI su “Il Marxismo e i Preasiatici” (uscito sul fascicolo
del 21 febbraio 1937) si riporta la “verita profonda” di Hein, che
Roma fu “consumata dal veleno ebraico”; i Bizantini sono qui invece
“preasiatici” (che come caratteristica sono diabolici, demogoghi,
bravi in politica e nel commercio, ipocriti, plutocrati):
“Tutta la lenta gradazione da Roma a Costantinopoli, dai Consoli agliEsarchi, dal Senato alla burocrazia bizantina non fu che l’aspettoesterno d’un fatto sostanziale: il passaggio della ricchezza, della cul-tura, del potere religioso e politico, da una razza all’altra. I Preasiaticisi sostituirono lentamente ai Mediterranei. Questa sostituzione sotter-ranea ed astuta, era cominciata dapprima nei culti e nelle idee: poi finı,com’era inevitabile, nelle persone. Anatolici ed Armeni sedettero suquel seggio ch’era stato occupato da principio dai Flavii e dai Giulii.”.
Con le invasioni barbariche, “i Preasiatici e gli Orientali riflui-
rono da Roma, invasa da tempo, a Bisanzio, Antiochia e altre citta
dell’Oriente: lato benefico di tanti mali.” Con la riscossa delle popo-
lazioni romane il plasticismo, supremo valore nell’arte, soppianto il
gusto bizantino:
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
32I brani nel testo sono presi da Quadrivio 5, n 17 (21 febbraio 1937-XV) e 5, n 19 (7
marzo 1937-XV), p. 2.33
G. Dell’Isola, “Storia senza astrazioni”, La difesa della razza 3, n 19, 5 agosto XVIII
[1940], pp. 33-35.34
Difesa della razza, 1 n 2 (20 agosto XVI [1938]), pp. 32 e 33.
“Non fu certamente un caso che l’autonomia politica riconquistatadopo il Mille, dalle popolazioni romane delle citta, portasse allascomparsa del gusto bizantino, e al ritorno del senso plastico dellapittura, perduto otto secoli prima, per la prevalenza che avevano presonelle alte gerarchie dell’Impero, gli uomini originari del Caucaso.”.
La pittura giottesca fu il prodotto di una rivoluzione di razza:
“L’affermarsi di Giotto e della sua tendenza, oltre che un fatto arti-stico, fu l’indice di un fatto politico, e d’una grande rivoluzione dirazza.”
32.
Su Difesa della razza del 5 agosto 1940, un tale Dell’Isola si
scaglio minacciosamente contro la dipendenza dei mosaici ravennati
e siciliani dalla Siria e da Bisanzio, “di cui abbiamo sentito discorrere
assai spesso i nostri”33
. Opere d’arte sono utilizzate come esempi
figurativi per sostenere tesi razzistiche; Difesa della razza, nel fasci-
colo del 20 agosto 1938, pubblico affrontati su due pagine una testa
nel Palazzo dei Conservatori ed il cosiddetto Colosso di Barletta
(oggi ritenuto una statua dell’imperatore Marciano fatta a Costanti-
nopoli tra il 450 e il 457), ponendo sotto il ritratto romano la
didascalia “La nobile e chiara fisionomia di un console romano” e
sotto la statua bizantina “L’ottuso volto dell’Imperatore Valentiniano
I, di oscura famiglia della Pannonia” (fig. 102)34
f. Folklore bizantino
La presenza italiana nelle isole del Dodecaneso e nelle altre isole
dell’Egeo che furono occupate militarmente nel maggio 1912, poi
assegnate all’Italia col trattato di Sevres nel 1920, dette impulso agli
studi italiani di documenti archeologici e artistici bizantini, soprat-
tutto a Rodi e Patmo, sotto la direzione della Missione Archeologica
esistente dal 1914: “I lavori compiuti dall’Italia sono di tale grandio-
sita e importanza da far pensare a opera di piu decenni. (...) I
monumenti sono stati studiati e restaurati con tutta cura; a Rodi
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
35L. V. Bertarelli, Possedimenti e Colonie. Isole Egee, Tripolitania, Cirenaica,Eritrea, Somalia
(Guida d’Italia del Touring Club Italiano. Milano, 1929-VII); la citazione nel testo e da p.
33; altre notizie generali a p. 49. G. Jacopi, “Le miniature dei codici di Patmo”, Clara
Rhodos 6-7 (1932-1933), pp. 573-591; id., Patmo, Coo e le minori isole italiane dell’Egeo
(Bergamo, 1938-XVI). Le corrispondenze su La rivista illustrata del “Popolo d’Italia”,
firmate S. B., una sigla che non sono stato in grado di sciogliere, sono, in ordine
cronologico: “Progetto d’inutile saccheggio”, 16 n 3 (marzo 1934), pp. 65-67; “«Megalis
ecclisias»”, 12, n 10 (ottobre 1934), pp. 78-81; “Dove entrarono gli Ottomani”, 13, n 4
(aprile 1935), pp. 42-47; “Sopravvivenze bizantine”, 14, n 2 (febbraio 1936), pp. 29-31;
“Sceker bayram”, 16, n 1 (febbraio 1938), pp. 71-73.
sono stati fondati un importantissimo Museo Archeologico e un
pregevole Museo Etnografico e un Istituto Storico Archeologico, e a
Coo un locale Museo Archeologico, mentre tanto a Rodi che a Coo
continuano con ogni attivita gli scavi archeologici” (cosı il volume
Possedimenti e Colonie del Touring Club Italiano del 1929). La rivista
Clara Rhodos pubblico descrizioni e riproduzioni di pitture, ricami,
paramenti e altri oggetti artistici del Monastero di San Giovanni
Teologo a Patmo; soprattutto, ad opera di Giulio Jacopi, furono
descritti i manoscritti miniati della biblioteca, tra i quali la Catena su
Giobbe, cod. 171, uno dei manoscritti miniati bizantini piu antichi
pervenutici, rimasto fino ad allora pressoche sconosciuto, della quale
furono riprodotte tutte le miniature, alcune in tavole a colori. Lo
stesso Jacopi curo nel 1938 il volume Patmo, Coo e le minori isole
italiane dell’Egeo di taglio etnografico, con ritratti di donne in costumi
tradizionali e pose ‘bizantine’ (figg. 103-104). Tra il 1934 e il 1938,
La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” pubblico una serie di corri-
spondenze che descrivevano curiosita etnografiche ed esotiche di
Istanbul, monumenti bizantini da visitare (Santa Sofia trasformata in
museo, Sant’Irene, le mura per le quali esisteva un progetto di
demolizione, San Salvatore in Chora), ed aberrazioni della locale
comunita greca (il baciamano al cadavere del patriarca ortodosso e la
zuffa tra i sostenitori di due patriarchi antagonisti)35
.
10
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
Anche per l’opera di Giotto e soprattutto per le sue origini artistiche
si ripete la contrapposizione tra i due fronti antagonisti dei romanisti,
che videro riemergere nel pittore la tradizione italiana dopo il buio
del Medioevo, e dei filobizantini che videro in lui l’erede di una
tradizione dominata da Bisanzio. L’apice della fortuna critica di
Giotto arrivo nel 1937, in occasione della mostra giottesca di Fi-
renze. Tra la fioritura di recensioni alla mostra e di pubblicazioni su
Giotto, Longhi scrisse il suo celebre “Giudizio sul Duecento”, che
rappresento una sorta di manifesto contro l’arte bizantina, una con-
danna senza attenuanti (e senza scienza) che fu presa come modello
interpretativo da numerosi dei suoi allievi.
a. Prima del 1937
“[la veduta di Arezzo negli affreschi di Assisi] potrebbeessere il vangelo di un pittore cubista.”
P. Toesca, “Gioventu di Giotto”, 1942, p. 30
Il giudizio dato da Toesca nel 1942 di Giotto come precursore dei
pittori cubisti non fu sua invenzione. Fin dagli anni Dieci, insieme a
Masaccio, Paolo Uccello e altri primitivi e preraffaelliti, Giotto fu la
musa ispiratrice del cosiddetto ‘ritorno all’ordine’ ed alla ‘tradizione
italiana’. Tutti amano Michelangelo e Raffaello nelle aule della
accademie, scrisse Carra su La voce nel 1916, ed ignorano la bellezza
costruttiva dell’Adamo ed Eva del Carmine e dell’Adamo di Paolo
Uccello a Santa Maria Novella. Di Giotto, Carra lodo l’unita co-
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
1C. Carra, “Parlata su Giotto”, La voce 8 (1916), pp. 162-174, citazione nel testo da p.
168. Alcuni critici contemporanei misero mettere in guardia da una interpretazione cubista
di Giotto: M. Marangoni, Giotto. La Cappella degli Scrovegni (Bergamo, 1937-XVI), p. 3; V.
Mariani, Giotto (Roma, XVI [1937]), pp. 9-11.2
C. Carra, Giotto (Roma, 1924), citazioni nel testo da pp. 22 e 23. Sul San Francesco di
Pescia: C. Carra, “Il San Francesco di Berlinghieri a Pescia”, L’Ambrosiano 26 luglio 1933.3
C. Carra, “Difesa della mia generazione”, [1930] ristampato in C. Carra, Segreto
professionale, a cura di M. Carra (Firenze, 1962), p. 86. U. Ojetti, Bello e brutto (Milano,
1930).
struttiva, la realta, la concretezza della forma, i valori puri della sua
arte, “ossatura cubista” dei dipinti che prende come insiemi plastici:
“Oggi si parla di costruzione di valori puri (...). In Giotto, io, ammirol’ossatura cubista dei suoi dipinti che io prendo come insiemi plastici.Le teologie le abbandono ai metafisici”
1.
Nuovamente nel 1924, Carra elogio di Giotto valori opposti a
quelli bizantini, come il dolore concentrato, cosı lontano da quello
egoistico e barbarico dei bizantini:
“In quelle pitture [scilicet: gli affreschi a Padova] non si manifestanopiu i segni della caparbieta, rozzezza e durezza bizantine. Ma le formecorporee rivelano tuttavia la resistenza tenace che i lineamenti e i segniopposero prima di piegarsi all’espressione della pieta. Il dolore [negliartisti pregiotteschi] si chiude e si concentra nelle regioni dello spirito,senza trascendere nella maniaca violenza dei bizantini, radicati nell’e-goismo indurito e nella barbarie, ma ancora non acquista quel valoredi sostanziosa realta e di umanita che ritroviamo nelle opere di Giot-to.”.
La pittura bizantina avrebbe avuto un peso crescente in Italia nel
Duecento; Carra tolse pero dal suo alveo i piu bei dipinti toscani del
periodo, tra i quali la tavola di San Francesco a Pescia. Per allonta-
nare ancor piu Giotto da Bisanzio, Carra insistette che “nella pittura
bizantina non si scorge neppure l’ombra dell’osservazione diretta
della realta, mentre Giotto proprio da questa ricava la materia della
sua arte”. Sembrava assurdo a Carra che “critici occhialuti senza
paura del ridicolo” avessero potuto sostenere che Giotto dovesse
molto a Cavallini, “uno dei tanti mediocri artisti romani”; casomai la
verita inversa e che Cavallini si provo ad imitare Giotto2. Infine, nel
1930, Carra uso Giotto contro l’idea di bello che Ojetti aveva
provato a imporre in Bello e brutto uscito quell’anno: se l’anatomia e
la prospettiva sono le basi dell’arte, si dica che Giotto e inferiore a un
qualunque cinquecentista3.
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
4C. Gamba, Giotto (L’arte per tutti, Istituto Italiano L.U.C.E., Roma, 1930), special-
mente p. 4: “Giotto crea un tipo d’arte nuova e originale e italiana perche fuori dalla
tradizione bizantina e dall’influenza gotica.”. “Ardengo Soffici. Vasari moderno”, p. 5. M.
G[rassini] Sarfatti, Storia della pittura moderna (Collezione “Prisma”, diretta da M. S. Roma,
1930-VIII), p. 14.5
A. Soffici, “Romanita della pittura italiana”, L’illustrazione del medico, n 26 (marzo
1936), pp. 27-30, citazioni nel testo da pp. 29-30.6
M. Salmi, “I mosaici del «Bel San Giovanni» e la pittura del secolo XIII a Firenze”,
Dedalo 11 (1930-1931), pp. 543-570.
Giotto e il campione della pittura italiana, nuova e originale, che
nasce portandosi fuori dalla tradizione bizantina: quest’idea di Va-
sari, alla quale aderı Carra, fu fatta propria da vari critici, come
scrisse anche Berenson in “Due dipinti del decimosecondo secolo
venuti da Costantinopoli” nel 1920-1921, da Carlo Gamba a Soffici,
il “Vasari moderno”. La Sarfatti fu su questa linea interpretativa
nella sua Storia della pittura moderna del 19304. Soffici, in “Romanita
della pittura italiana”, insiste che l’Oriente “ripudia l’imitazione, odia
la attuale rappresentazione di qualunque oggetto in natura, e lo
spirito imitativo dell’Occidente” (Soffici dice di citare qui Oscar
Wilde), e che – riprendendo Vasari – l’arte italiana nasce dalla
reazione al manierismo e al convenzionalismo orientale (bizantino),
dallo studio della natura fondato sulla realta plastica e poetica del
mondo; Cimabue e Giotto ad Assisi si ricollegano e si ispirano cosı
alla romanita passando sopra ai secoli barbari ed aberranti. Concluse
Soffici bellicosamente, additando i non pochi nemici dell’Italia arti-
stica:
“(...) ripudiare lo spirito animatore della civilta romana e latina del-l’Occidente europeo (...). Chi lo fa e nostro nemico. Tragicamentecurioso e pero che non pochi italiani si trovino, anche oggi, nelnumero di costoro.”
5.
Altri critici si astennero da schierarsi su Giotto con l’uno o l’altro
partito; Salmi cito di passaggio il bizantinismo degli artisti dei mo-
saici del Battistero fiorentino di San Giovanni6. Sul fronte opposto,
filobizantino, quello dei nemici della patria secondo Soffici, figurano
anche questa volta Toesca e Lionello Venturi. Quest’ultimo, nella
“Introduzione all’arte di Giotto”, uscito su L’arte del 1919 e poi
ristampato in Pretesti di critica nel 1929, osservo che il maggior
problema di Giotto era stato adattare e subordinare il colore alla
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
7L. Venturi, “Introduzione all’arte di Giotto”, L’arte 22 (1919), pp. 49-56 (ristampato in
L. V., Pretesti di critica [Milano, 1929]), citazione nel testo da p. 53.8
P. Toesca, Storia dell’arte italiana, vol. 2, Il Trecento, (Torino, 1951), pp. 442, 455, 444.
Vedi inoltre P. Toesca, La pittura fiorentina del Trecento (Verona, 1929).
forma, essendo il colore la maggior gloria e la qualita centrale della
civilta artistica bizantina che egli andava distruggendo7.
Le pagine su Giotto negli scritti di Toesca (Il Medioevo, del 1927,
La pittura fiorentina del Trecento del 1929, le voci redatte per la
Enciclopedia Italiana, specialmente “Giotto” sul volume 17 del 1933,
Giotto del 1941, “Gioventu di Giotto” del 1942 e Il Trecento del
1951), definirono implacabilmente il Duecento italiano come un
periodo dominato dall’arte bizantina, dalla quale derivano, emanci-
pandosene, sia i pittori romani – Cavallini, Torriti e gli altri –, sia i
pittori toscani – Duccio, Cimabue e, appunto, Giotto. Quest’ultimo
prese la modellazione delle sue figure non dalla pittura gotica, ma
dalla bizantina o bizantineggiante; dipinse capolavori che “sorgono
da un complesso storico nel quale occupano, come il poema di
Dante, il nodo principale tra l’antico e il moderno”; nel formarsi,
Giotto dovette rimuovere le convenzioni pittoriche del periodo pre-
cedente, derivando dalla pittura bizantineggiante, ma recandovi
grandi variazioni per giungere a un risultato del tutto nuovo. Tutti i
pittori del tempo di Giotto vengono considerati da Toesca nell’orbita
bizantineggiante, chi “in umili modi popolari” e chi “tentando sfere
piu alte”; mentre Cimabue traeva dagli esemplari bizantini “l’accento
piu appassionato e la nobilta classica”, Giotto, che riprese da Bisan-
zio l’utilizzazione delle lumeggiature, ebbe da smuovere in gioventu
“il cumulo delle tradizioni bizantineggianti, grave di esperienze seco-
lari, imponente per altezza di concetti”8.
In “Gioventu di Giotto” del 1942, Toesca lascia in sospeso il
problema della paternita degli affreschi di Assisi (e qui che la veduta
di Roma di Cimabue gli pare fatta di profili ritagliati, mentre la
veduta di Arezzo di Giotto potrebbe essere il vangelo di un pittore
cubista) (fig. 105). Giotto, drammaturgo e bizantineggiante, viene
fuori da una tradizione senza salti: Cavallini, Maestro di Isacco,
affreschi delle storie di San Francesco ad Assisi:
“E palese che il pittore [delle storie di San Francesco] non conoscevaaffatto, ne s’immaginava, il tormento critico degli artisti odierni sulvalore del «contenuto» e su quello della forma pura: nella sua artecontenuto e forma sono una sola cosa, fusi insieme nell’atto creativo
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
9P. Toesca, “Gioventu di Giotto”, Civilta. Rivista trimestrale della Esposizione Universale di
Roma, gennaio 1942-XX, pp. 29-50.10
I giudizi di Toesca su Giotto sono dalla voce “Giotto” della Enciclopedia Italiana, vol.
17 (1933), p. 212, e da Giotto (I Grandi Italiani. Collana di biografie diretta da Luigi
Federzoni, 18. Torino, 1941-XIX), pp. 13, 41, 49; vedi inoltre, su Giotto, La pittura
fiorentina del Trecento (Verona, 1929), pp. 5-40. La lettera di Toesca a Berenson e
conservata nella Biblioteca Berenson, Villa I Tatti, Settignano (Firenze).11
La lettera di Toesca a Berenson e del 7 giugno 1937 ed e conservata nella Biblioteca
Berenson, Villa I Tatti, Settignano (Firenze).
che alla figura e alle azioni del Santo da la grave e potente umanitach’e la sola conveniente al modo di vedere del pittore, cioe alla suaforma, grave, raccolta, di potente rilievo.Sia Giotto, o non lo sia, il pittore della Vita di S. Francesco e maestrograndissimo. A riguardare nella pittura italiana tra il Dugento e ilTrecento il suo posto non puo essere che tra la vecchia manierabizantineggiante, di Cimabue e dei suoi compagni, della quale mantienequalche ricordo, e la nuova che Giotto tenne nell’Arena di Padova.”
9.
A Toesca, inoltre, non piace affatto il giudizio di Carra; scrive a
Berenson nel 1945:
“Un editore milanese ha ora pubblicato un fascicolo di tricomie dellaCappella degli Scrovegni con 10 pagine di Carra – che non si sapreb-bero immaginare piu sciocche.”
10.
b. La mostra giottesca del 1937
Nel 1937, fu allestita a Firenze alla Galleria degli Uffizi una esposi-
zione celebrativa del sesto centenario della morte di Giotto, che
rimase aperta da aprile ad ottobre. Le opere elencate nel catalogo
erano 316, in stragrande maggioranza pitture, con l’aggiunta di un
piccolo gruppo di sculture e di oggetti di arte minore (figg. 106-109),
e ripartite per scuole locali: mentre per il Trecento figuravano solo
dipinti della scuola di Giotto, gli esempi duecenteschi erano ripartiti
come scuola lucchese, pisana, senese, aretina, umbra, giuntesca,
fiorentina, e quest’ultima era suddivisa in scuole dei singoli artisti.
Sembra che la mostra avesse poco successo di pubblico; scrivendo a
Berenson, Toesca la disse “deserta a tutte le ore”11
. Il catalogo del
1937 riportava solo notizie schematiche sulle opere senza commenti
(autore, titolo, luogo di conservazione, dimensioni, due parole sulla
attribuzione e da chi era stata fatta); in apertura dichiarava che la
mostra era una rassegna della pittura toscana prima di Giotto,
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
12Mostra giottesca, Palazzo degli Uffizi, aprile – ottobre 1937-XV, catalogo della mostra
(Citta di Firenze, onoranze a Giotto nel VI centenario della morte. Bergamo, 1937); Pittura
italiana del Duecento e Trecento. Catalogo della mostra giottesca di Firenze del 1937, a cura di G.
Sinibaldi e G. Brunetti (Firenze, 1943), citazione da p. 7; i dipinti citati sono riprodotti alle
figg. 13 e 14.
comprendente sia maestri della corrente nella quale Giotto si formo,
sia maestri delle correnti bizantineggianti alle quali Giotto reagı:
“Questa mostra e fatta per celebrare Giotto e l’arte sua; ed e fatta inun momento in cui maggiormente fervono gli studi sulle scuole to-scane del sec. XIII e sulla giottesca nella sua piu larga espansione.Onde questa mostra vuole essere una adeguata rassegna della pitturatoscana prima di Giotto, e offrire anzitutto i capolavori dei maestrilucchesi pisani senesi aretini umbri fiorentini, rappresentanti tanto lacorrente artistica nella quale, attraverso Cimabue, Giotto si formo,quanto le correnti bisantineggianti, a cui Giotto reagı (...).”.
Una seconda edizione del catalogo, molto arricchito di pagine e
di dettagli fotografici delle opere, uscı nel 1943 a cura di Giulia
Sinibaldi e Giulia Brunetti; questa volta le schede discutevano lunga-
mente la fortuna critica delle opere e le attribuzioni avanzate dagli
studiosi. La lettura della pittura duecentesca presentata dalla mostra
abbraccio la tesi dell’interpretazione di Giotto come antibizantino;
nel gruppo dei precursori di Giotto mise, tra gli altri, Giunta Pisano
del Crocifisso di San Domenico di Bologna (fig. 106); nel gruppo dei
bizantineggianti Enrico di Tedice del Crocifisso di San Martino di
Pisa (fig. 107). Non sono negati e sono discussi con competenza gli
elementi bizantini nei dipinti duecenteschi: allo stile di Berlinghiero
Berlinghieri (Crocifisso della Pinacoteca di Lucca, n 2 del catalogo),
ad esempio, si da il nome di romanico per via del suo carattere
plastico e coloristico, ma il suo colore costruttivo e ispirato da una
raffinata conoscenza dell’arte bizantina, nella quale, pero, la linea e
la forma sono piu mobili e ritmiche12
.
Indipendentemente dall’insuccesso o meno di pubblico, la mo-
stra degli Uffizi suscito un fiume di saggi e commenti su Giotto e la
sua italianita. Ancora prima della apertura, la rivista Quadrivio, una
delle piu squallide riviste del fascismo, bandı un “referendum” tra gli
artisti contemporanei dal titolo “Giotto 1937: Omaggio al Padre
della pittura italiana”; si chiedeva di rispondere alla domanda “Come
vedono Giotto, a sei secoli dalla sua morte i pittori che vivono e
lavorano nel 1937?”. Risposero Severini (“Giotto 1937”, 31 gen-
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
13A Giotto, numero speciale della Illustrazione toscana, 15, n 4 (aprile 1937): M. Salmi,
“Giotto pittore”, pp. 1-21; R. Salvini, “Giotto architetto”, pp. 33-35; O. H. Giglioli, “La
mostra giottesca in Firenze”, pp. 36-42. “Giotto 1937. Come vedono Giotto, a sei secoli dalla
sua morte, i pittori che vivono e lavorano nel 1937? ... Omaggio al Padre della pittura
italiana”, in Quadrivio, gennaio-febbraio 1937-XV: G. Severini, “Giotto 1937”, 31 gennaio,
p. 1; M. Tozzi, “Il piu vivo di tutti i pittori”, 7 febbraio, p. 1; C. Socrate, “W Giotto ma
abbasso il Giottismo”, 14 febbraio, p. 1. A. Del Massa, “Giotto e l’eta nuova”, La Nazione, 24
aprile 1937, p. 3.14
M. Salmi, “La mostra giottesca”, Emporium 43 (1937-XV), p. 349. L. Coletti, “La
Mostra Giottesca”, Bollettino d’arte, ser. 3, 31 (1937-XV), pp. 49-72, citazioni nel testo da
pp. 49 e 55.
naio), Mario Tozzi (“Il piu vivo di tutti i pittori”, 7 febbraio), Carlo
Socrate (“W Giotto, ma abbasso il Giottismo”, 14 febbraio). L’Illu-
strazione toscana pubblico in aprile un numero speciale “A Giotto”, al
quale contribuirono Salmi (“Giotto pittore”), il giovane Salvini
(“Giotto architetto”) e Odoardo H. Giglioli (“La mostra giottesca in
Firenze”). Quanto alla stampa quotidiana, La Nazione pubblico un
articolo di Del Massa che definiva la classicita una forza vitale e
risorgente in Giotto, corrispondente al concetto di Giotto imitatore
della natura tramandato dalla critica d’arte antica13
.
Recensioni della mostra furono scritte da Salmi e da Coletti.
Quest’ultimo, con accenti patriottici e propagandistici, parlo di affol-
lamenti del pubblico nelle sale, esalto il maschio e popolano Giotto
(in contrasto, come simbolo di Bisanzio in quel periodo potrebbe
essere presa Teodora, femmina e cortigiana) e si scaglio contro l’idea
che “questa nostra terra non debba essere stata altro che il campo
delle contrastanti ondate d’oltralpe e d’oltre mare”; vale a dire,
iconografia, schemi morfologici e vocabolario di quest’arte di Giotto
sono “bizantini, carolingi, ottoniani, francesi e tedeschi”, ma “lo
spirito di quest’arte”, “la poetica di questa gente” e cosa tutta diversa
“una schiettezza maschia e popolana, una serieta che impegna nellaespressione artistica tutta integra la personalita umana.”
14.
Piu spazio dedico a Giotto l’immancabile Ojetti nella prolusione
in Palazzo Vecchio per la mostra giottesca; narrativo e poetico, Ojetti
inaspettatamente non nego il primato di Bisanzio nel Duecento:
“Anche dopo la meta del dugento la pittura bizantina solenne eimpassibile, dai gesti e dagli attributi regolati su canoni fissi, dallerigide pieghe a ventaglio lineate d’oro, continuo a tenere il campo. Lasua tecnica smaltata e lucente aggiungeva anche alle Madonne un che
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
15U. Ojetti, Giotto. Discorso letto il 27 aprile 1937-XV a Firenze in Palazzo Vecchio ...
(Reale Accademia d’Italia. Celebrazioni e Commemorazioni, 23. Roma, 1937-XV), ristam-
pato in Nuova Antologia 72 (1937-XV), pp. 137-145, citazione nel testo da p. 138.16
E. Cecchi, Giotto (Collezione Valori Plastici. Milano, 1937-XV). P. Toesca, “Giotto
pittore e San Francesco”, Frate Francesco 10 (1937-XV), p. 145. M. Salmi, “Le origini
dell’arte di Giotto”, Rivista d’arte 19 (1937-XV), pp. 193-220. R. Salvini, Giotto. Bibliografia
(Roma, 1938-XVII); Salvini aveva gia pubblicato “Medioevo e Rinascimento nell’arte di
Giotto”, Civilta moderna 7 (1935-XIII), pp. 3-17. S. Bettini, “Rapporti tra l’arte bizantina e
l’arte italiana prima di Giotto”, in Istituto Nazionale per le relazioni culturali con l’estero,
Italia e Grecia. Saggio su le due civilta e i loro rapporti attraverso i secoli (Firenze, 1939-XVIII),
pp. 273-295.17
Croce, La critica e la storia delle arti figurative, p. 8. Sul libro di Croce e Longhi vedi L.
Grassi, “Benedetto Croce e la critica d’arte”, Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e
Storia dell’Arte, n. s., 1 (1952), pp. 328-335.
di metallico e di gemmato che agli occhi della folla ne aumentava ilpregio, il prestigio e la maesta.”
15.
Sempre nel 1937 uscirono una monografia di Cecchi di ascen-
denze toeschiane (Giotto di formazione bizantino-toscana, con i
profeti di Assisi che mostrano la piu drammatica aderenza al bizanti-
nismo di Cimabue), un articolo di Toesca su San Francesco inter-
pretato da Giotto e dai pittori bizantineggianti, un articolo di Salmi
sulle origini di Giotto. L’anno successivo, Salvini pubblico la biblio-
grafia su Giotto e nel 1939 Bettini scrisse “Rapporti tra l’arte
bizantina e l’arte italiana prima di Giotto”16
.
c. Il “Giudizio” antibizantino di Longhi
Inviso ai non allineati con il regime, in primis Toesca e Berenson,
l’uno suo maestro a Roma, l’altro suo maestro ideale, per via delle
sue compromissioni con il gruppo di Bottai e le sue riviste, Longhi fu
lo scrittore che piu influenzo la critica artistica italiana degli anni
Trenta. Cosı Croce ne riconobbe il fascino nel 1934:
“(...) gli scritti finora dati in luce dai nuovi critici e storici, dei qualiricordero tra i piu recenti e audaci il Longhi, che per le sue molteconoscenze di arte, e soprattutto per essere uno scrittore (per dirla allatedesca) temperamentvoll, esercita una notevole efficacia sui recentistudı italiani di storia dell’arte.”
17.
E Toesca, piu tardi, nel 1945, in una lettera a Berenson uso per
Longhi espressioni simili a quelle di Croce:
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
18Lettera di Toesca a Berenson del 30 luglio 1945, conservata nella Biblioteca Berenson,
Villa I Tatti, Settignano (Firenze).19
R. Longhi, “Giudizio sul Duecento”, Proporzioni 2 (1948), pp. 5-54 (“Giudizio sul
Duecento 1939”, pp. 5-22; Corollario 1947, pp. 23-29; Note, pp. 30-54).20
Vedi Capitolo 11, paragrafo e.
“mi son trovato costretto a rileggere lo scritto del Longhi su Masaccio eMasolino, petulante e ingegnoso, ma inzuppato anche di falsita, e.g.:rapporti di Giovanni da Milano con Masolino; Giusto Menabuoi inLombardia ecc. Pure, bisogna riconoscere che Longhi ha per i giovani laqualita di un seduttore: e non soltanto per i giovani se si pensa che il bar-bogio Coletti e giunto a paragonare il Redentore di Tivoli al «bolero» diRavel.”
18.
Longhi scrisse un esteso commento alla Mostra giottesca degli
Uffizi, che abbraccia tutta la pittura duecentesca italiana, dal titolo
“Giudizio sul Duecento”, il quale venne pubblicato, con la data 1939,
solo nel 1948 su Proporzioni con un Corollario datato quest’ultimo
194719
. Longhi appose accanto al titolo la dedica, riferita all’anno di
pubblicazione, “Al mio maestro Pietro Toesca per il suo 70˚ anno e per
il termine del Suo insegnamento”. Forse influenzato dalle sentenze
antibizantine di Pasquali, Longhi nel “Giudizio” e nel Corollario
mostro per Bisanzio una repulsione generale come se l’arte bizantina
fosse il demone che assomma in se tutti i valori da lui ritenuti negativi
nell’arte. Longhi definı Pasquali, che era annoiato da Bisanzio20
, “vero
studioso”; ai bizantinisti, invece, furono appiccicate definizioni nega-
tive e ironiche, cosı che il Corollario appare non un pezzo di critica
d’arte, ma una dichiarazione di fede, uno sfogo acido contro tutti di chi
vede rientrare in campo i suoi avversari di un tempo: Duthuit e un
estetista decadente, il suo apprezzamento di Bisanzio e un manifesto
dell’automatismo surrealistico; Diehl, Dalton e Millet sono solenni
eruditi; per Schlumberger e Prichard crea l’espressione “misticismo
prichardiano”; Bettini viene attaccato ed anche di Toesca non e
passato sotto silenzio il suo amore per il Salterio di Parigi; per De
Chirico parla di “similarte” e di “origine levantina delle contraffazioni
tecniche” della sua pittura; i pochi soggetti dei quadri dei pittori
moderni – natura morta astratta, chitarrista, ecc. – gli sembrano frutto
di un annebbiamento linguistico comune con il Duecento.
La valutazione negativa di Longhi su Bisanzio era gia apparsa in
“Viatico per la mostra veneziana dei cinque secoli”, del 1946:
“Che il primo letto della cultura dei trecentisti veneti sia l’arte conge-lata e autocratica del tardo bizantinismo, non par dubbio. Deferentis-
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
21R. Longhi, “Viatico per la mostra veneziana dei cinque secoli”, La Rassegna d’Italia 1 n
1 (gennaio 1946), pp. 66-81; 1 n 4 (aprile 1946), pp. 32-49; le citazioni sono dalla prima
parte, p. 66. Per buona parte questo paragrafo sul “Giudizio” di Longhi ripete quanto
scritto in Bernabo, “L’arte bizantina e la critica in Italia”, pp. 58-60.
simi al pregio delle piu lussuose materie adoperabili, tecnologi perfetti,artigiani aristocratici che sembrano lavorare i loro dipinti in tartaruga,pelle di ramarro e oro, difettano di tenerezza come difettano dienergia. Poco umani, consegnano all’arte locale una severita di con-trolli tecnici che non sara, moralmente, dimenticata, ma che nonpotrebbe da sola stabilire una tradizione sensibile di valori poetici.”
L’espressione “poco umani” sembra riadattata dalla definizione
“forma di governo disumana” riferita da Pasquali a Bisanzio in
“Medioevo bizantino”; il richiamo ai valori poetici fa gruppo con
molte altre espressioni crociane usate nel “Giudizio” e soprattutto
nel Corollario. Poco oltre in “Viatico”, Longhi aggiunge un collega-
mento ironico tra aspirazioni imperiali di Mussolini e studi italiani su
Bisanzio e Venezia, che e la prima frecciata di Longhi sulla critica
d’arte al servizio del fascismo, dal quale Longhi sembra prendere ora
le distanze (“Viatico” esce dopo la caduta del fascismo):
“Piuttosto che farne [dei trecentisti veneti] soltanto i fondatori dellascuola cretese-veneziana (e anche questo e stato fatto quando piacevadimostrare che Venezia con la pittura, sia pur meccanica e nulla, dei‘madonneri’, aveva mantenuto per secoli, poco meno che da Minossea Mussolini, l’impero culturale dell’oriente mediterraneo), meglio avvi-sare quando, fra le peripezie di un ornato quasi mussulmano, unfianco insolitamente greve, una manica squadrata a piombo, oppureun’intrecciatura piu fluida dei ritmi, dimostrino, in codesti artisti, undesiderio di trarre dall’arnia dorata e polverosa del bizantinismo unasmelatura, se non d’italiano vero, almeno di franco-veneto.”
21.
Il “Giudizio” fu pubblicato due anni dopo il “Viatico”. Il punto
di partenza fu la dichiarazione d’intenti del catalogo della mostra
giottesca che separava in due correnti la pittura duecentesca, la
corrente in cui si formo Giotto attraverso Cimabue e la corrente
bizantineggiante; esisterebbe, dunque, un gruppo di opere che gli
studiosi mettono tra i capolavori ed esiste un percorso storico della
pittura che porta a Giotto. Longhi, quindi, va alla ricerca dei capola-
vori promessi tra le opere esposte in mostra palesando il suo giudizio
estetico. Il colorito prontuario longhiano del “Giudizio” di espres-
sioni demolitorie sulla pittura bizantina e bizantineggiante ha fatto da
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
22Le citazioni nel testo dal “Giudizio sul Duecento” sono dalle pp. 10, 6, 6-7, 24, 29, 7.
modello di prosa a studiosi piu recenti: “sottigliezze neoattiche” per
il Crocifisso del Museo Civico di Pisa; “bacata squisitezza” per il
Crocifisso del Museo di Villa Guinigi di Lucca; “fuorviate acutezze
dell’artigianato di fonte palatina orientale” e gesti di manichino
classico per il San Francesco della chiesa di San Francesco di Pisa;
“grammatica metallizzata, ora classicista, ora geroglificamente deco-
rativa”, “aridi gherigli delle luci incassulate”, “riflessi mimici del
sentimento [che] si scompongono come in lettere di un alfabeto
congelato, in cifre di un abbaco meccanico” per i Berlinghieri ed il
San Francesco di Pescia di Bonaventura in particolare; “invasori
artigiani «greci» o addirittura «balcanici» e «greco-asiatici»”, “bizanti-
nismo congelato e testuale”, “plasticita meccanizzata dell’accademi-
smo orientale”, “bizantineggiarsi con aliossi di un sentimento nume-
rato in un’indifferenza quasi fachirica”, “«burocratica» sintassi
orientale”, “bizantinismi esanimi”, “pedanteria bizantina”, “Ma-
donne costantinopolitane sott’aceto” per altre opere. Principale ad-
debito alla pittura bizantina e avere “sterilizzato” la pittura italiana,
estraniandola dal contemporaneo risveglio della scultura e della ar-
chitettura duecentesca, con il “maleficio” della sua diffusione in
Italia; la scultura lombarda ed emiliana parlava gia da tempo un
buon volgare: a distanza di un secolo dall’Antelami, il Battistero di
Parma e decorato da un “balcanico” che non stabilisce alcun ac-
cordo di fantasia con l’architettura e la scultura dell’edificio. Il
maggior pittore del Duecento e per Longhi il pittore della cripta di
Anagni “molto bene gia apprezzato dal Toesca”, nonostante la spie-
gazione esclusivamente orientale data da quest’ultimo. Il “Giudizio”
e, insomma, una valutazione complessiva del Duecento avversa a
quella di Toesca del primato in Italia della pittura bizantina, dalla
quale Giotto avrebbe preso la modellazione delle sue figure.
Compito dello storico dell’arte, secondo Longhi, e potare dal
tronco italiano questo ramo bizantino della pittura duecentesca:
“Se questa e pittura fatta da italiani vorra dire che parecchi dei nostris’erano «balcanizzati» a un bel segno; se l’opera e di un immigrato, ilgiudizio non cambia: sempre un inserto alieno e sforzato nel corpodell’arte nostra.Il compito dello storico e percio di potare dal tronco italiano questoramo, non perche alieno, ma perche arrivato secco e senza capacitad’innesto.”
22.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
23Cf. Barocchi, Storia, 3/1, p. 390 nota 8. I commenti di Longhi andrebbero messi a
confronto con quanto pensava un altro crociano, Bianchi Bandinelli, protagonista della
questione bizantina nel secondo dopoguerra: “Oggi una decorazione lineare e indubbia-
mente piu sentita di un rabesco a fogliami o di una grottesca piena di figure (...). La ricerca
di una semplicita primitiva, che porta spesso a imitare l’analfabetismo artistico dei selvaggi,
non e dunque una artificiosita snobistica, ma il modo piu facile di seguire una profonda
aspirazione del nostro tempo verso la semplicita e la schiettezza.”. Il brano e da R. Bianchi
Bandinelli, Dal diario di un borghese e altri scritti (Verona, 1948), p. 19, ed e datato 5 maggio
1921.
Longhi ha in mente critici suoi avversari quando fa ironia sugli
studi su Bisanzio ed i primitivi:
“l’ammirazione si avvolge nel manto dell’incomprensibilita e si pro-fuma di quel misticismo estetico che non puo che aborrire dallespiegazioni nette. E un fatto che oggi l’estrema squisitezza del miliar-dario sara nel non far mancare alla propria raccolta una Madonna deiBerlinghieri o del Rubliev, un Crocefisso romanico spoletino o unoscortecciato antependio di Catalogna; e piu l’opera somigliera a unavecchia zattera ai rinforzi di metallo rugginoso, piu terra del relitto,altro che esoterico; e meglio sara. Che alla provocazione di codestispasimi artificiali abbiano collaborato negli ultimi tempi certi studiosida transatlantico di lusso, non ci meraviglia.”.
Come detto altrove, l’allusione allo snobismo di critici e collezio-
nisti potrebbe riguardare Berenson, Venturi e Gualino23
.
C’e poi, per Longhi
“(...) l’altra forma di confusione che accomuna nelle chiacchiere delgran mondo i dugentisti e le forme streme del decadentismo pittoricodell’ultimo trentennio: nessun dubbio che, da Bloomsbury a Montpar-nasse, Enrico di Tedice e Matisse, Coppo di Marcovaldo e Rouault,gli antependia catalani e Picasso si pronunzino d’un fiato. La ragionedi questa curiosa combutta sta probabilmente nell’annebbiamentolinguistico comune ai due periodi; nel loro analogo uso di un gergoconvenzionale; nella stessa incapacita di risalire per forza di entusia-smo etimologico al seme espressivo di una forma; nella loro analogapoverta iconografica. Non e forse vero che il restringersi di queimoderni ai pochi motivi della natura morta astratta, del chitarrista, delritmo d’oggetti, e straordinariamente simile, anche per fissita quasiidoleggiata e, poco manca, di pretesa acheropitica, alla insistenza delDuecento sui tre o cinque tipi di Madonna, o di Cristo vivo o morto?”.
Nessuna riproduzione di dipinti bizantini accompagna il “Giudi-
zio” di Longhi; nel Corollario, invece, Longhi pubblica la foto di una
icona in una collezione privata fiorentina, per mostrare come il
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
24Per il commento al “Giudizio” di Longhi vedi Capitolo 12, paragrafo b. Nel “Giudi-
zio” e nel Corollario Longhi ha anche alcune sortite prive di senso sull’arte bizantina:
Margaritone d’Arezzo, ad esempio, avrebbe ripreso dagli “antichissimi modelli copto-
siriaci” (S. Bettini, “Studi recenti sull’arte bizantina”, La critica d’arte, ser. 3, 8
[1949-1950], p. 147).
rianimarsi dell’arte bizantina, che lui vi vede, sia avvenuto “in collu-
sione con lo spirito dell’Occidente italiano”; il Cristo e il San France-
sco nell’icona dipenderebbero dalla pittura riminese. L’icona fu di-
pinta probabilmente in una delle zone di Bisanzio limitrofe
all’Occidente e dell’arte bizantina rappresenta solo una delle maniere
provinciali24
.
Con espressioni che hanno per matrice l’estetica di Croce (“l’i-
dealismo in cui tutti crescemmo”), nel Corollario Longhi definı l’arte
bizantina come “disvalore” e “similarte”, ovvero “il paradigma piu
illustre di produzione «similare» che pero all’arte non appartiene”;
una similarte inferiore come valore artistico alla pittura delle caverne,
fomentata dall’arte islamica e la cui produzione fu “tutto limite”,
“illimitatamente asservita”:
“Quanto piu libero il pittore delle caverne preistoriche assediato daibisonti che li dipinge tuttavia senza che noi possiamo intendere loscopo (magico? rituale?) della sua attivita, in confronto al pittorebizantino che, erede di una tecnica impeccabile, la costringe nelpolmone meccanico delle prescrizioni dell’ortodossia, applicandolecome un automa che non puo sgarrare!”.
Le icone veneto-cretesi sono “tonnellate di cadaveri congelati da
non valere il legno su cui pure furono dipinti”. I manoscritti bizantini
sono “facsimili”, le miniature sono “poco meno di una riproduzione
fotomeccanica” di originali; aggiunge poi che la ripetizione iconogra-
fica e segno di mancanza di liberta e che gli iconografi non sono che
dei compilatori di “tabelle di concordanza” che trovano pascolo
abbondante in secoli di decadenza:
“(...) e impossibile negare che l’irretimento iconografico [della Ma-donne e dei Cristi duecenteschi bizantineggianti] non sara mai segnodi quella autonomia fantastica che e buona premessa d’ogni epocaliberamente operante. Ma che i puri iconografi abbian trovato nelDuecento pascolo cosı abbondante per le loro tabelle di concordanzasignifica qualcos’altro in piu: che cioe all’irretimento tematico va delpari un irretimento tecnico, che e un’altra prova di insufficienzaespressiva.”.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
Quanto alla Pala d’Oro di San Marco a Venezia, la ricchezza del
materiale fa sorgere a Longhi “una diffidenza di principio”: “il critico
d’arte non e un esperto di preziosi” e la Pala d’Oro ha un valore
venale, ma non un valore artistico. El Greco, “convertitosi all’Occi-
dente”, “uno dei piu grandi poeti della pittura occidentale”, e l’unico
a essere salvato da Longhi (giudizi che demoliscono l’interpretazione
di El Greco come figlio di Bisanzio data dalla Sarfatti nel 1925). Il
motivo di tanto veleno di Longhi verso Bisanzio resta ancora oscuro.
Forse il rientro in Italia dopo la guerra dell’odiato rivale Lionello
Venturi, amante dell’arte bizantina, e una spiegazione. La sua lettura
ostentatamente crociana delle opere d’arte va invece interpretata
come candidatura a porsi sotto le bandiere ideologiche del filosofo,
cosı come fece la quasi totalita degli storici dell’arte italiani dopo la
sconfitta del fascismo.
11
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
Per le voci artistiche l’Enciclopedia Italiana non fu allineata con la
riscossa nazionalistica del fascismo. La direzione di Pietro Toesca
delle voci artistiche medievali ne fece anzi un punto dolente per i
romanisti e la pubblicazione sull’arte piu indipendente di quegli anni.
Le voci sull’arte medievale dettero a Bisanzio il primato sull’Occi-
dente latino e le voci sui pittori duecenteschi non accettarono l’idea
dell’antitesi Giotto-Bisanzio. La maggior parte di queste voci sono
firmate da Toesca stesso. Nei volumi dell’Enciclopedia usciti dopo la
meta degli anni Trenta trovo spazio la retorica romanista del regime.
a. Ojetti alla direzione della Sezione Arte
Come anticipato da Gentile al convegno per la cultura fascista del
1925, una delle imprese culturali su cui si impegnarono di piu il
fascismo e Gentile in prima persona fu la realizzazione della Enciclo-
pedia Italiana, la cui prima edizione fu pubblicata in trentasei volumi
tra il 1929 ed il 1936. Tentativi anteriori fatti da Gentile di pubbli-
care una enciclopedia nazionale erano falliti; solo con l’intervento
dell’industriale tessile e conte Giovanni Treccani degli Alfieri (fig.
110), uno dei personaggi di maggior spicco partecipanti al Convegno
per la Cultura Fascista di Bologna, fu disponibile il capitale necessa-
rio all’impresa. Nel 1923 Treccani sottopose a Mussolini, capo del
governo, il progetto per l’enciclopedia, ma Mussolini spinse Treccani
a utilizzare la somma messa da parte, con una cospicua aggiunta, per
l’acquisto della Bibbia di Borso d’Este, che costo cinque milioni di
lire. L’inizio dei lavori per l’Enciclopedia fu di conseguenza ritardato.
L’atto costitutivo dell’Istituto Treccani per l’Enciclopedia Italiana e
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
1Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, 36 volumi (Roma: Istituto Giovanni
Treccani, poi Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani,
1929-1936); Appendice I, 4 volumi (Roma, 1938). Appendice II 1938 / 1948, 2 volumi
(Roma, 1948-1949). Appendice III 1950 / 1961, 2 volumi (Roma, 1961). Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento (Milano [1939-XVII]). Per la campagna sul
Giornale d’Italia vedi Capitolo 6, paragrafo c.
le presentazioni ufficiali dei volumi dell’Enciclopedia furono poi pub-
blicati, insieme con foto dedicatorie al camerata Treccani di Musso-
lini, Guglielmo Marconi, Gabriele D’Annunzio – che era stato desi-
gnato come presidente dell’Istituto Treccani, ma morı prima di
assumere la carica – e altri gerarchi fascisti, nel volume Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, che Treccani invio come
omaggio agli abbonati sottoscrittori della Enciclopedia (fig. 111).
L’atto costitutivo del 1925 prevedeva trentadue volumi, quattro in
meno rispetto a quelli poi pubblicati, ed il completamento dell’opera
nel 1936, data che fu rispettata. Suo modello furono l’autorevole e
antica Encyclopædia Britannica inglese (la prima edizione di questa e
del 1768-1781), con le sue voci a carattere di saggio monografico
che si intendeva riprendere solo per alcune voci della Enciclopedia, ed
il piu recente Dictionnaire Larousse francese (la prima edizione e del
1864); e lecito immaginare che quest’ultimo fosse anche l’antagoni-
sta diretto dell’Enciclopedia.
Gentile tenne la direzione scientifica fin dall’atto costitutivo del
1925; fu affiancato per i compiti editoriali da Calogero Tumminelli.
Al comitato tecnico, come direttori di sezioni connesse in qualche
maniera con Bisanzio, parteciparono Alessandro Della Seta e Ro-
berto Paribeni (archeologia), Gustavo Giovannoni (architettura), Sil-
vio Giuseppe Mercati (letteratura bizantina e neoellenica), Tammaro
De Marinis (libro e manoscritto), Ugo Ojetti e Pietro Toesca (arte
medievale e moderna), Arduino Colasanti (arte contemporanea).
Nella redazione, alla storia dell’arte fu preposto dal 1928 Geza De
Francovich, che firmo anche una parte della voce “Armeni” e che da
comparsa divenne uno dei primi attori delle discussioni postbelliche
sull’arte bizantina. Della Seta e Giovannoni sono due degli studiosi
opposti per il loro spirito nazionalistico a Toesca nella campagna di
stampa del Giornale d’Italia del 1930; Paribeni e l’archeologo fascista
che Toesca riteneva ordisse trame contro di lui dalla sua posizione
governativa alla direzione delle belle arti1.
Direttore iniziale della Sezione Arte, fino al dicembre 1928, cioe
fino a quando ancora non era stato pubblicato alcun volume, fu Ugo
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
2Le minute delle lettere di Ojetti a Gentile e le lettere di Gentile ad Ojetti citate nel testo
sono conservate presso la Biblioteca Nazionale di Firenze (manoscritti da ordinare 250,
cartella “Partecipazione alla vita pubblica” 3, 19 II). Tra le difficolta incontrate fu,
nell’aprile del 1926, il divieto papale rivolto ai prelati cattolici di firmare articoli per
l’Enciclopedia. In data 5 aprile 1926 Ojetti esterna a Gentile le sue preoccupazioni per
“l’attacco, diremo, vaticano all’Enciclopedia” pubblicato sulla stampa; due note de L’osser-
vatore romano e del Corriere della Sera davano infatti notizia del veto papale e della futura
pubblicazione della Enciclopedia cattolica; Ojetti suggerisce a Gentile di parlarne col Ponte-
fice. Il 15 aprile Gentile risponde che “l’incidente col Vaticano” poteva considerarsi chiuso:
“I prelati che si erano personalmente impegnati a collaborare, e che intendono infatti
collaborare, hanno insistito presso il Pontefice perche li sciogliesse dall’obbligo, che io non
potevo accettare, di non firmare. E il pontefice, malgrado la sua ostinatezza, ha finito con
l’arrendersi all’evidenza delle ragioni che gli erano addotte.”. Su questo episodio vedi M.
Bernabo e R. Tarasconi, “L’epistolario Gentile-Ojetti ed un attacco vaticano all’Enciclopedia
Italiana”, Quaderni di storia 53 (gennaio-giugno 2001), pp. 155-167. Tra le voci redatte da
Ojetti e, ad esempio, “Appiani, Andrea”, in E. I., vol. 3 (1929), pp. 757-759.
Ojetti, al quale venne dato il merito di aver preparato gli elenchi di
tutte le voci e i materiali sull’arte dei primi volumi. Ojetti comincio
compilando l’elenco provvisorio di tutte le voci artistiche dell’Enciclo-
pedia e quello definitivo per le lettere A-C, si adopero per reperire i
collaboratori, superando insieme a Gentile un gran numero di diffi-
colta incontrate e redasse anche alcune voci di artisti minori2. A
marzo del 1928 Ojetti scrisse a Gentile inviandogli un elenco di
artisti stranieri da inserire nell’Enciclopedia, gli chiese se inserire l’arte
in Abissinia sotto l’Etiopia, gli comunico i nomi dei redattori di varie
voci sull’arte orientale e aggiunse che aveva sperato di convincere
Lionello Venturi ad assumersi la direzione della Sezione Arte per
l’Asia, ma non vi era riuscito (Venturi era gia stato incaricato della
voce Antonello da Messina):
“Speravo di convincere Lionello Venturi che in questi ultimi anno hamolto studiato l’arte dell’Estremo Oriente ad assumersi la direzionedella Sezione d’arte per l’Asia. Ma non sono riuscito nel mio intento.Egli sta lavorando per noi alla voce Antonello da Messina, non so se tel’ho scritto. Ora ti chiedo di sollevarmi da questo peso e di affidare adaltri la direzione della Sezione d’arte per l’Asia e anche per l’Africa,meno, s’intende, nell’Africa l’arte musulmana dall’Egitto al Marocco.E necessario, si capisce, rispettare i nostri impegni con egregi scienziaticome Victor Goloubeff per l’arte in Birmania, nel Cambodge, nelSiam, nella Malesia; col Sarre per l’Arte Persiana; col Binyon per l’arteCinese e l’arte Giapponese.L’arte in Abissinia va sotto Etiopia?”.
Nel luglio del 1928 appaiono nella corrispondenza i primi dissa-
pori tra Ojetti e Gentile su scelta dei collaboratori e stesura delle
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
voci. Gentile, il 7 luglio 1928, scrive giudicando troppo povero,
spropositato e breve l’articolo “Arte figurativa” di Eva Tea e chie-
dendo a Ojetti di affidare gli articoli di carattere generale a studiosi
sicuri; chiede anche di ritoccare o meglio sostituire l’articolo di
Giulio Chiarugi sull’anatomia nell’arte. Il giorno successivo Ojetti
risponde di rimandargli indietro gli articoli in questione, ricordando
a Gentile che in Italia, comunque, gli unici storici dell’arte affidabili
sono Toesca e Lionello Venturi, curiosamente i meno allineati tra gli
storici dell’arte del momento:
“Ma quando tu mi consigli «di affidare questi articoli di caratteregenerale a studiosi sicuri e che conoscano a fondo l’argomento», tuimmagini che in Italia ne esistano tanti da poter scegliere e che ioabbia, al solito, trascurato di farlo. Tra gli insegnanti universitari diStoria dell’Arte non v’e da fidarsi, in argomenti generali, che diLionello Venturi e di Pietro Toesca. Ora il mio carteggio e qui aprovarti la mia fatica per convincere L. Venturi a scrivere di Antonello(e ho dovuto rimandargli due volte il ms. che era troppo breve e, comedire?, distratto) e per convincere P. Toesca ad accettare le biografie diGiotto, Masaccio e Michelangelo.Per indurre Mario Salmi e Giuseppe Fiocco, tra i piu giovani e valentidi questi insegnanti, a far le poche voci dell’A e del B che avevo loroassegnato ho lottato fino a ieri; e il Fiocco aveva finito, senza scrupoli,a tradurre per Bellotto il Thieme e Becker. La voce e stata rifatta dalTarchiani e da me. Posso continuare per dieci pagine gli esempi.Hai tu nomi da proporre? Dammeli o scrivi loro direttamente eavvertimi. Restituiro io i mss.”.
Ojetti difende poi calorosamente Chiarugi e ricorda a Gentile di
avere solo per le lettere A e B 550 e 800 voci rispettivamente, “che
non e un’inezia”: si sforza “lavorando talvolta per voialtri otto o dieci
ore al giorno”, avvedendosi della “fiacchezza, svogliatezza e spesso
incapacita dei collaboratori”. Allora, conclude, se Gentile ha dubbi
non esiti: “mi sembra inevitabile la conclusione cui ero giunto,
s’intende, per altre ragioni: sostituirmi”.
Gentile, il 9 luglio, rassicuro Ojetti, gli espresse il suo rammarico
per l’impressione data, con “assoluta innocenza”, con la sua ultima
lettera e lo prego di continuare nell’incarico all’Enciclopedia:
“Quello che non potrei in alcun modo ammettere, e che essi potesserocomunque dar motivo alle tue dimissioni; sulle quali spero bene chenon vorrai insistere. Intendo che la fatica, che ti e stata addossata, etroppo grande; intendo che i fastidi che noi ti diamo, per necessita,
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
3R. Longhi, “Marcantonio Andreucci”, in E. I., vol. 3 (1929), p. 215, e “Giovanni
Baglioni”, in E. I., vol. 5 (1930), pp. 851-853.
colla nostra quotidiana corrispondenza, vanno oltre il limite del tolle-rabile; ma ci sara modo d’intendersi.”.
Il 13 luglio Gentile riprese il problema dei collaboratori e pro-
pone di sostituire alla Tea (“che mi ha, ti dico la verita fatto cascare
le braccia”) Longhi (“Potrei pregarlo io stesso, che ricevo non di
rado preghiere sue”). Longhi potrebbe anche entrare per “Anatomia
nell’arte”; la voce “Anatomia artistica” fu poi redatta da Chiarugi,
mentre Longhi ebbe l’incarico per due artisti secondari, Marcantonio
Andreucci e Giovanni Baglione, ben poco a confronto dell’odiato
Lionello Venturi che scrisse, prima dell’esilio, la voce Antonello da
Messina e la parte “Il concetto di arte figurativa” della voce “Arte”3.
Quanto al peso del lavoro, Gentile suggerı a Ojetti di ridurre la sua
direzione a solo una parte della Sezione Arte (Ojetti propose un
incarico a Emilio Cecchi per la revisone dei testi, in data 9 dicem-
bre). Il 10 ed il 21 dicembre Gentile rinnovo il rammarico per il
troppo peso sulle spalle di Ojetti (le sezioni arte e archeologia erano
rimaste indietro nei tempi di consegna del materiale) e insiste per la
condivisione del peso tra Ojetti ed una seconda persona, che non
puo essere pero, purtroppo, Lionello Venturi che si e gia fatto
“troppo pregare per l’articoletto sulle “Arti figurative” (un diploma-
tico rifiuto, presumibilmente, a ulteriori coinvolgimenti di Venturi
nella Enciclopedia); Gentile propose Colasanti. Lamentele sui colla-
boratori (soprattutto De Francovich) e sullo sperpero di denaro per
le illustrazioni, proposte di dimissioni, suggerimenti per condirettori
di sezione da affiancare a Ojetti (Colasanti) sono riportati in un gran
numero di lettere dell’epistolario Gentile-Ojetti del 1928-1929.
Nel gennaio del 1929 avvenne l’incidente definitivo tra Gentile e
Ojetti, o, forse, meglio sarebbe dire, il fatto che Ojetti prese come
scusa per ritirarsi dall’impresa dell’Enciclopedia. Il 3 gennaio Gentile
si lamento di due pagine in Pegaso, una rivista diretta da Ojetti,
“la prima insolente nel modo piu intollerabile, e la seconda scema finoall’inverosimile. Possibile che tu mi stampi di queste sciocchezze?”
Ojetti rispose il 4 gennaio difendendo le pagine in questione e
ritenendosi offeso dal tono e linguaggio inammissibili di Gentile e
della sua voluta e insolente dimenticanza di quanto lui aveva scritto
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
4Sul rapporto tra Gentile e Ojetti nell’impresa dell’Enciclopedia vedi Bernabo e Tara-
sconi, “L’epistolario Gentile-Ojetti”, pp. 155-167.
altrove sullo stesso fascicolo della rivista; concluse rassegnando le
dimissioni da direttore di sezione della Enciclopedia e lamentandosi
delle ingiurie subdolamente insinuate a lui da parte dei dirigenti della
Enciclopedia e della “impossibilita in Italia di noi scrittori liberi di
collaborare con la cosı detta scienza ufficiale”. Gentile provo a
ricucire i rapporti il 5 gennaio, ma Ojetti si mostro intransigente
nuovamente il 6; inutili anche gli interventi epistolari di Treccani. Il
9 gennaio Gentile rinuncia a convincere Ojetti e prende atto delle
sue dimissioni4.
b. L’incarico a Toesca
Ad Ojetti subentrarono, dunque, Toesca e Colasanti, dividendosi i
compiti rispettivamente per l’arte medievale e moderna e per l’arte
contemporanea e valendosi a loro volta di collaboratori, come, ad
esempio, per tutte le voci sull’arte veneta. Il coinvolgimento nella
impresa dell’Enciclopedia Italiana non fu cercato da Toesca, nono-
stante Ojetti lo dicesse molto indaffarato a lavorare per le voci:
“Non mi meraviglio della tesi grottesca di Ojetti: lui, e Gamba, e glialtri rinnegherebbero la luce del sole, tanto sono cuciti insieme con ilpiccolo satrapo. Mi meraviglio, invece, che Ojetti creda ch’io sia moltooccupato per l’Enciclopedia Treccani! Per accontentarlo, mi assunsitre voci soltanto – Giotto, Masaccio, Michelangiolo (...).”.
Ma nel 1929 Toesca fu messo nelle condizioni di non poter
rifiutare di succedere al dimissionario Ojetti nella direzione della
Sezione Arte Medievale e Moderna della Enciclopedia dopo l’inci-
dente degli articoli su Pegaso. Scrive a Berenson il 16 gennaio di
quell’anno:
“La terza novita (e non piacevole) l’ho avuta iersera. Mi e stato offertocon molta insistenza e con larghezze ... economiche di sostituireappunto Ojetti nel dirigere la sezione di storia dell’arte medioevale emoderna nella Enciclopedia Treccani. Ho accettato soltanto quandoson stato certo che Ojetti s’era ormai dimesso in modo irrevocabile.Forse Ojetti potra credere ch’io abbia, in qualche modo, desiderato disostituirlo: invece (ed io prego Lei di dirglielo) ho veduto con grande
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
5I brani riportati nel testo sono da due lettere di Toesca a Berenson del 17 gennaio del
1928 e del 16 gennaio 1929, conservate entrambe nella Biblioteca Berenson di Villa I Tatti,
Settignano (Firenze).6
Su De Sanctis, gli antichisti, il fascismo e l’Enciclopedia Italiana vedi Cagnetta,
Antichisti e impero fascista; ead., Antichita classiche nell’Enciclopedia Italiana (Roma, 1990).7
P. Toesca, “Cavallini, Pietro”, vol. 9 (1931), pp. 546-547; “Cimabue”, vol. 10 (1931),
pp. 245-246; “Civate”, vol. 10 (1931), p. 509; “Duccio di Buoninsegna”, vol. 13 (11932),
pp. 245-247; “Guido da Siena”, vol. 18 (1933), pp. 255-256; “Giotto”, vol. 17 (1933), pp.
211-219; “Giunta Capitini detto Pisano”, vol. 17 (1933), p. 331; “Iconografia. Arte
medievale e moderna”, vol. 18 (1933), pp. 699-700; “Musaico”, vol. 24 (1934), pp. 80-85;
“Nicola Pisano”, vol. 24 (1934), pp. 784-786; “Normanna. Arte”, vol. 24 (1934), p. 932;
“Romanica. Arte”, vol. 30 (1936), pp. 41-55; “Sant’Angelo in Formis”, vol. 30 (1936), p.
774; “San Vincenzo al Volturno”, vol. 30 (1936), pp. 803-804; “Wiligelmo”, vol. 35
(1937), p. 749. La voce “Torriti, Jacopo”, vol. 34 (1937), p. 71 e anonima. Cf. G.
Ragionieri, “Pietro Toesca nell’Enciclopedia Italiana”, Prospettiva nn 57-60 (aprile 1989 –
ottobre 1990), pp. 485-488, dove, in appendice, e riportato un elenco delle voci scritte da
Toesca per l’Enciclopedia.
affanno il suo ritiro poiche mi poneva nella inevitabile necessita dinegare la mia opera, creandomi percio delle ostilita, oppure di conce-derla, ponendomi sulle spalle un duro peso che soltanto le spallequadrate di Ojetti potevano sostenere. Intanto io ho diminuito il pesochiedendo che sia assegnato a Colasanti – un disoccupato [Colasantiera in pensione] – tutta la parte contemporanea, dal 1850 in poi. Ilmotivo delle dimissioni di Ojetti e stato un contrasto personale conl’on. Gentile dopo la pubblicazione del primo numero di “Pegaso”,dove Papini non aveva risparmiato il Gentile mentre un altro collabo-ratore aveva riportato qualcosa che non favoriva l’“Enciclopedia”. Iosuppongo che Ojetti cosı avveduto, abbia proprio procurato di avereun’occasione per quel contrasto e per togliersi di dosso il peso – chepurtroppo ricadra su di me.”
5.
Toesca fu cosı cooptato da Gentile alla direzione di una delle
sezioni della Enciclopedia Italiana, pur non essendo studioso organico
al fascismo e non amando satrapi e studiosi organici al fascismo; una
vicenda parallela a quella dell’antichista Gaetano De Sanctis, diret-
tore della Sezione Antichita Classiche e dal 1947 direttore scientifico
dell’Enciclopedia, che fu tra i pochissimi che rifiutarono il giuramento
di fedelta al fascismo e persero la cattedra universitaria, e che pure
resto direttore di sezione nell’Enciclopedia6. Toesca si sobbarco molte
impegnative voci: alcune voci generali come “Iconografia” e, in
parte, “Musaico”, tutte le voci piu significative per la esposizione dei
caratteri dell’alto Medioevo (“Civate”, “Normanna. Arte”, “Roma-
nica. Arte”, “Sant’Angelo in Formis”, “San Vincenzo al Volturno”,
“Wiligelmo”), del Duecento e del Trecento (“Cavallini”, “Cima-
bue”, “Duccio di Buoninsegna”, “Giotto”, “Giunta Capitini detto
Pisano”, “Guido da Siena”, “Nicola Pisano”)7, le voci di alcuni dei
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
8Vedi le lettere di Ojetti a Gentile del 9 giugno 1928.
9O, se fosse stata disponibile ad accettare, aggiunse per lusinga, a Nicky Mariano, la
segretaria di Berenson. Le lettere di Toesca a Berenson sono del 3 aprile e del 26 giugno del
1929 e sono conservate nella Biblioteca Berenson di Villa I Tatti, Settignano (Firenze).10
E. I., vol. 1 (1929), pp. xi-xv.
maggiori artisti del Rinascimento (Masaccio, Masolino, Michelan-
gelo, Piero della Francesca, Antonio e Piero del Pollaiolo), e la stessa
voce Rinascimento. Affidata la sezione Arte contemporanea a Cola-
santi e tenuta per se Arte medievale e moderna, Toesca fu comun-
que in difficolta a reperire esperti italiani per le voci orientali,
soprattutto per le regioni ed epoche musulmane, per l’Egitto cri-
stiano e la Palestina (pure Ojetti era stato in difficolta per voci
extraeuropee, come “Africana, Arte”, per la quale aveva contattato
Carl Einstein, lo studioso bersagliato nel 1930 in uno degli articoli
de Il Giornale d’Italia, che poi non redasse la voce8: per quest’ultime,
come scrisse a Berenson, aveva pensato di ricorrere ai padri domeni-
cani di Gerusalemme9.
c. Il debole spirito romanista dell’Enciclopedia Italiana
Nella dichiarazione d’intenti e di metodo contenuta nella prefazione
al primo volume, l’opera e definita “una enciclopedia italiana, tutta
italiana, nata dalla stessa scienza e dalla stessa letteratura nostra,
originale insomma e da potersi paragonare a quelle che dal secolo
XVIII in poi hanno avute le altre grandi nazioni di Europa e di
America”. Il merito dell’impresa e attribuito alla rinascita nazionale
esplosa col fascismo:
“Il clima che ha reso possibile un’opera come questa, alla quale nonparve in passato possibile in Italia pensare, e il nuovo spirito esplosocon l’avvento del Fascismo, che scosse idee e sentimenti e accese unapassione inestinguibile di rinnovamento e di affermazione della po-tenza dell’Italia nel mondo.”
10.
La riforma della scuola, gentiliana, prosegue la prefazione, va
vista come impresa nazionale parallela. Per la scelta dei collaboratori
si e ricorso agli studiosi italiani salvo casi particolari. Le voci rispec-
chieranno “un ragionevole eclettismo e una scrupolosa imparzialita”.
Questa “concordia discors”, “discorde concordia”, implica “nessuna
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
11G. Volpe, “L’«Enciclopedia Italiana» e compiuta”, Nuova Antologia, ser. 8, n 394
(1937-XVI), pp. 5-18.12
Volpe trasferı nella cultura la politica razziale del fascismo: nel suo “Su la soglia del
nuovo Impero mediterraneo”, apparso in Le arti 2 (1940-XVIII), pp. 293-298, inneggio alla
grandezza di Roma antica, che aveva dato unita spirituale e politica alle genti del Mediterra-
neo, e degli Italiani che avevano conservato a quello il carattere di mare europeo contro “i
semiti di Cartagine, i semiasiatici di Bisanzio, gli Arabi e Turchi d’Asia e d’Africa” (citazioni
da p. 293).
intolleranza, nessuna ombrosa angustia di menti”; le voci avranno
una “esposizione obiettiva e pacata”. Nelle avvertenze e norme
redazionali ai collaboratori si dichiara che “sono bandite dall’Enci-
clopedia le polemiche”; Treccani piu volte ribadı in atti formali che
la politica e bandita dall’Enciclopedia.
Nel 1937, su Nuova Antologia lo storico Gioacchino Volpe,
direttore della Sezione Storia Medievale e Moderna e uno degli
intellettuali fascisti che parteciparono al convegno di Bologna e che
dopo le leggi razziali caccera i Bizantini dal gruppo dei popoli di
razza ariana, scrisse del compimento dell’Enciclopedia Italiana, soste-
nendo l’italianita per nove decimi dell’impresa: solo pochi studiosi
stranieri erano stati chiamati a collaborarvi “pur non togliendole
nulla della sua italianita”, affermazione non vera per i primi volumi
le cui voci artistiche erano state decise da Ojetti; tra gli stranieri
Volpe cita Charles Diehl “maestro di fatto di arte bizantina”, Julius
von Schlosser e Fritz Volbach, l’autore della voce arte copta. Non e,
dice Volpe, l’enciclopedia del fascismo; ogni voce non e coordinata e
subordinata a una determinata filosofia. Tra i contributi di cui tutti
parlerebbero con lode, curiosamente Volpe mette “Letteratura bizan-
tina” di Giorgio Pasquali della voce “Bizantina, Civilta”; cita poi
come opera di italiani anche “Storia dell’impero bizantino” della
stessa voce, firmata da Angelo Pernice docente a Firenze11
. Questa
dichiarazione di panitalianita della Enciclopedia non calza in realta per
le voci artistiche orientali, per l’archeologia e le arti figurative: lo
stesso accento posto da Volpe nella citazione di esse come italiane
lascia sospettosi. Va aggiunto che la voce “Arte. Il concetto di arte
figurativa” nel volume 4 e dell’eretico Lionello Venturi, ma, va
notato, il volume fu pubblicato nel 1929 prima della fuga di Venturi
in Francia12
.
Toesca non fu toccato dalla retorica imperiale degli anni Trenta
e non romanizzo le voci dell’Enciclopedia di arte medievale e mo-
derna, ne ricorse a studiosi italiani e di fede fascista, come avrebbero
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
13Sulla retorica romana e gli studiosi vedi M. Cagnetta, “Appunti su guerra coloniale e
ideologia imperiale romana”, in Matrici culturali del fascismo, pp. 185-207, specialmente pp.
202-204.
voluto suoi colleghi, l’allineato Paribeni o Volpe, ad esempio13
. In
linea di massima, le voci di Toesca ripetono tesi sue gia note:
l’affermazione del primato di Bisanzio nella produzione artistica
medievale non e attenuata nell’Enciclopedia rispetto a Il Medioevo del
1927. Questo infastidı gli ortodossi romanisti: lo storico dell’arte
Federico Hermanin nella parte “Roma. Roma medievale. Arti figura-
tive”, nel volume 29 del 1936, inserı una sorprendente premessa che
sembra un proclama contro Il Medioevo; Hermanin dichiara infatti
che l’arte medievale di Roma e filiazione naturale dell’arte classica
romana, ribadendo il concetto in due frasi quasi consecutive, e di
essa conserva le qualita pittoriche impressionistiche anche in quei
periodi, come l’VIII secolo, che Toesca dichiarava piu bizantini:
“L’arte medievale a Roma si distingue da quella delle altre cittaitaliane per essere una diretta e spontanea filiazione dell’arte romana,uno svolgimento naturale delle forme che questa aveva acquistatedurante i primi secoli cristiani; e tale fenomeno si palesa specialmentenella pittura, che e la vera e grande arte di Roma durante il Medioevo.In essa per molto tempo resta viva la maniera impressionistica, che fuil carattere piu chiaro della pittura delle catacombe, figlia diretta diquella classica, rinnovata nello spirito, ma uguale ad essa nelle forme.Da quest’arte profondamente cristiana nasce la pittura medievaleromana e cosı gli affreschi del tempo di Giovanni VII (705-707) sicollegano strettamente alla pittura cemeteriale e attraverso questa allapittura classica romana, e non diversi sono quelli del tempo dei suoisuccessori.”.
A questo punto Hermanin avverte i lettori delle divergenze inter-
pretative tra lui e altri critici, in primis, cioe, il direttore della Sezione
Arte Medievale dell’Enciclopedia; la gravita del fatto o il desiderio di
rendere pubblica la propria fede ideologica giustificava evidente-
mente l’eccezione al bando alle polemiche che le norme redazionali
per i collaboratori prescrivevano:
“E giusto nondimeno avvertire che una parte della critica vede levicende della pittura a Roma in continue e complesse relazioni con lapittura bizantina e dell’Oriente cristiano, pur ammettendo che qui lacontinuata attivita abbia sviluppato tradizioni proprie, risorgenti piuforti nei periodi di piu alta originalita. Gli affreschi del tempo di
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
14F. Hermanin, “Roma. Roma medievale. Arti figurative”, in E. I., vol. 29 (1936), pp.
774-777; citazioni nel testo da p. 774; id., L’arte in Roma dal sec. VIII al XIV (Istituto di
Studi Romani. Storia di Roma, vol. 27. Bologna, 1945), pp. 177-178:
“[dalle pitture delle catacombe a Cavallini abbiamo a Roma monumenti] che dettero ai
nostri maestri la forza per resistere, spesso vittoriosamente, all’invasione artistica bizantina
da prima e a quella barbarica in seguito e per gettare le basi di quella nuova arte italiana,
che e gloria immortale della nostra patria.”.
Giovanni VII in Santa Maria Antiqua, secondo alcuni [scilicet: Toe-sca], mostrerebbero forte l’influsso delle forme bizantine piu classi-cheggianti: e cosı i musaici di S. Agnese fuori le Mura, di S. Lorenzofuori le Mura, ecc.”.
Nonostante la disfatta fascista, nel volume su Roma medievale
della Storia di Roma pubblicata dall’Istituto di Studi Romani, uscito
nel 1945, Hermanin non demorse sulle lodi ai pittori medievali
romani che continuavano eroicamente la tradizione classica contro
bizantini e barbari, base “di quella nuova arte italiana, che e gloria
immortale della nostra patria”14
.
Scorrono invece piane, con “esposizione obiettiva e pacata”
come richiesto ai collaboratori nella prefazione nel primo volume
dell’Enciclopedia, non faziose e affidate in buona parte a stranieri le
voci “Armeni” (Giorgio Rosi, De Francovich e altri), “Arte” (Gen-
tile, Lionello Venturi, Emanuel Loewy e Julius von Schlosser dell’U-
niversita di Vienna, con l’ultimo che discute ampiamente dell’este-
tica e dell’arte bizantine), “Athos” (Georges A. Sotiriou), “Bibbia”
(De Marinis e Louis Brehier su codici miniati e Bibbia nell’arte),
“Bizantina, Civilta” (che sara discussa oltre) “Cezanne” (Jean Ala-
zard) , “Colore”, con panegirico del colore nell’arte bizantina (Carlo
Alberto Petrucci), “Copti” (Volbach per l’arte), “Costantinopoli”
(Diehl), “Dura-Europo” (Rene Mouterde di Beirut, che pero non
parla dei nuovi ritrovamenti che sono descritti e discussi nell’Appen-
dice del 1938 da Michael Rostovzev, allora alla Yale University di
New Haven), “Ebrei” (senza parte sull’arte), “Edessa” (Guillaume
De Jerphanion, Giorgio Levi Della Vida), “Kiev” (Miron Malkiel-
Jirmounski), “Matisse”, pittore che si ispira all’arte orientale e cerca
di restaurare “selvaggiamente” la grande tradizione classica francese
(Andree R. Schneider), “Mesopotamia”, con citazione dei ritrova-
menti di Dura-Europo ed esaltazione della grande missione della
potenza romana di avvicinare e propagare civilta diverse e gettare le
basi della civilta moderna (Pietro Romanelli), “Miniatura” (Paolo
D’Ancona ed Ernst Kuhnel direttore dei musei di Stato di Berlino, il
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
15G. De Francovich, “Armeni. Pittura e scultura” e G. Rosi, “Armeni. Architettura”,
vol. 4 (1929), pp. 435-440 e pp. 440-443; G. Gentile, “Arte”, L. Venturi, “Arte. Il concetto
di arte”, E. Loewy, “Arte. L’arte greco-romana”, J. von Schlosser, “Arte. L’arte medievale e
moderna”, vol. 4 (1929), pp. 631-633, 633-634, 639-643, 643-660; G. A. Sotiriou,
“Athos”, vol. 5 (1930), pp. 204-205; L. Brehier, “Bibbia. La Bibbia nell’arte” e T. De
Marinis, “Bibbia. Codici ed edizioni”, vol. 6 (1930), pp. 919-922 e 922-925; J. Alazard,
““Cezanne”, vol. 9 (1931), p. 910; C. A. Petrucci, “Colore”, vol. 10 (1931), p. 882; F.
Volbach, “Copti. Arte copta”, vol. 11 (1931), pp. 335-339; C. Diehl, “Costantinopoli. I
monumenti”, vol. 11 (1931), pp. 616-620; R. Mouterde, “Dura-Europo”, vol. 13 (1932),
p. 290; G. De Jerphanion e G. Levi Della Vida, “Edessa”, vol. 13 (1932), p. 457; M.
Malkiel-Jirmounski, “Kiev. Monumenti”, vol. 20 (1933), p. 195; A. R. Schneider, “Matis-
se”, vol. 22 (1934), pp. 569-570; P. Romanelli, “Mesopotamia”, vol. 22 (1934), pp.
937-938; P. D’Ancona, “Miniatura. La miniatura nei codici” e E. Kuhnel, “Miniatura. La
miniatura nell’arte islamica”, vol. 23 (1934), pp. 363-371, 374-376; C. Cecchelli e P.
Toesca, “Musaico”, vol. 24 (1934), pp. 76-80 (Cecchelli, “Il musaico nell’arte antica”, pp.
76-80; Toesca, “Il musaico nell’arte medievale e moderna”, pp. 80-85); M. Malkiel-
Jirmounski, “Novgorod”, vol. 25 (1935), pp. 1-2; M. Guidi, “Oriente cristiano”, vol. 25
(1935), pp. 550-552; E. Kuhnel, “Persia. Arte”, vol. 26 (1935), pp. 834-839; M. Malkiel-
Jirmounski, “Russia. Arte”, vol. 30 (1936), pp. 314-319; G. De Jerphanion, “Siria”, vol. 31
(1936), pp. 903-906; V. Mole, “Studenica”, vol. 32 (1936), p. 889; C. Cecchelli, “Cata-
combe. Arte”, vol. 9 (1931), pp. 399-400.
quale ultimo e autore di tutte le voci di arte islamica), “Musaico”
(Carlo Cecchelli, Toesca), “Novgorod” (Malkiel-Jirmounsky), “O-
riente cristiano” (Michelangelo Guidi), “Persia” (Kuhnel), “Russia.
Arte”, con la parte antica che sottolinea i rapporti con Bisanzio
(Malkiel-Jirmounski), “Siria”, con appendice su Dura-Europo (De
Jerphanion), “Studenica”, con elementi bizantini e occidentali in-
sieme (Vojeslav Mole). Invece, per “Catacombe. Arte”, Cecchelli
cita due volte con reverenza Toesca, ma non rinuncia a una desueta
dichiarazione ottocentesca e antistrzygowskiana che nell’arte della
catacombe “si deve ricercare la radice dell’arte bizantina”15
.
A meta degli anni Trenta, nel clima della Mostra Augustea della
Romanita che affermo l’appartenenza di Giustiniano e di Ravenna
alla tradizione romana, il tono di alcune voci si fece nazionalistico e
la politica entro apertamente nelle pagine artistiche della Enciclope-
dia, nonostante le dichiarazioni contenute nella prefazione del 1929.
I centri artistici adriatici vengono riconquistati alla storia patria, cosı
come avviene in altre pubblicazioni di questi ultimi anni del fasci-
smo. Le voci “Aquileia”, “Parenzo” e “Ravenna”, rispettivamente
nei volumi 3 del 1929, 26 e 28 del 1935, contengono esposizioni
descrittive dei monumenti, con una vena filobizantina probabilmente
campanilistica: ad Aquileia gli affreschi nella cripta della basilica si
dice ripetano vivamente i modi bizantini, a Parenzo capitelli, stucchi
e mosaici “riflettono l’agile fantasia decorativa dell’Oriente, piena di
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
16G. Brusin, “Aquileia. Monumenti artistici”, in E. I., vol. 3 (1929), pp. 803-804; F.
Forlati, “Parenzo. Monumenti”, in E. I., vol. 26 (1935), p. 324.
slancio e di colore”16
. Nella voce “Venezia”, invece, contenuta nel
volume 35 pubblicato nel 1937 l’arte altomedievale veneziana viene
romanizzata da Gino Fogolari, il cui testo cosı comincia:
“Venezia non nacque bizantina come si ripete generalmente, mabizantina diventa quando piu da povera diventa ricca e potente. Comeil Tribuno delle isole dipende da Bisanzio non direttamente, maattraverso l’Esarca, cosı anche in arte Venezia dipende da Ravenna,almeno fino al secolo XI, con quel tanto e non piu di bizantino cheattraverso quest’ultima e comune a tutta l’architettura dell’Alto Adria-tico, da Parenzo ad Aquileia e a Grado.”.
Seguono le prove archeologiche:
“L’altare a mensa su colonne, scoperto nella basilica di Torcello, e dicarattere piuttosto romano che orientale. All’infuori dei mosaici pavi-mentali, che si credono del secolo IX, nessuna rivelazione bizantinahanno dato gli scavi a S. Zaccaria, vantata fondazione imperiale diLeone X l’Armeno; e la primitiva S. Marco dei Partecipazio, compiutanell’832, finita di decorare nell’883, risulta, dalle fondazioni rimaste,in tutto simile alla chiesa di Pomposa, sorta in quei tempi su esempiravennati (...).”.
L’immaginario de La nave col tribuno di romano-veneto Marco
Gratico, che prima e sedotto da Basiliola, poi si libera di lei e del suo
partito filobizantino, a vent’anni di distanza e ancora parte delle
fantasie fasciste. L’arte bizantina appare come un’arte da popoli
ricchi e decadenti, l’arte sana e quella italica. Se per le arti figurative
i dogi si rivolgono a maestri bizantini, per l’architettura quello che di
antico rimane a Sant’Eufemia della Giudecca, a San Giovanni De-
collato e a San Giacometto di Rialto dimostra che poco dipende da
Bisanzio nei primi secoli. Anche per San Marco, per la quale c’e la
tradizione antica di maestri e disegni bizantini impiegati per ripro-
durre la chiesa costantinopolitana dei SS. Apostoli, “bisogna inda-
gare l’essenza architettonica, prescindendo dai rivestimenti marmo-
rei, dai musaici, da tutta l’immensa pompa orientale bizantina”. Il
“sagacissimo odierno proto della Basilica Luigi Marangoni afferma
che la struttura e romanica”; i Bizantini non potevano ispirare la
novita e la bellezza della chiesa, che debbono venire necessariamente
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
17S. Muratori, “Ravenna. Monumenti e arti”, vol. 28 (1935), pp. 870-874; G. Fogolari,
“Venezia. Arti figurative”, vol. 35 (1937), pp. 60-67, citazioni nel testo da p. 60.
dall’antichita e in particolare dall’epoca di Costantino: lo schema di
San Marco e cosı nuovo anche rispetto alla architettura latina che
“solamente l’esempio dell’antichita poteva ispirarlo. Non chiese edifi-cate dal sec. X all’XI a Costantinopoli e nell’Ellade, che pur con lecinque cupole hanno tutt’altro carattere; ma opere costantiniane egiustinianee di tanti secoli prima e di tanta gloria, servirono all’archi-tetto di S. Marco d’incitamento per raggiungere coi suoi mezzi quellaperfezione architettonica. Certo, se non avesse dominato l’Oriente,Venezia non avrebbe S. Marco.”
17.
Della voce “Roma”, che e del 1936, si e detto sopra a proposito
della opposizione ideologica dichiarata dal romanista Hermanin
verso il suo direttore di sezione orientalista, Toesca. Va aggiunto, che
anche per la scultura del IV e V secolo a Roma, all’irrigidimento
dell’ideale umano nel dogma e nel protocollo, che sono mostrati dai
volti della statuaria bizantina e alla successiva trasformazione della
figura umana in icona, sono contrapposti lo spirito e il libero volere
dell’uomo di Roma e dell’ambiente italico, che ancora apparira nei
mosaici di Ravenna; inaspettatamente, questa parte della voce e
firmata da Bianchi Bandinelli (forse bisogna pensare a un ritocco del
testo da parte della redazione o del direttore di sezione Paribeni):
“(...) nel ritratto si puo trovare ancora una volta un rivivere dellecaratteristiche romane. Se infatti il classicismo costantiniano e lesopraggiunte influenze orientali hanno definitivamente portato a unirrigidirsi dei corpi, rendendoli inorganici, lignei, scarsi di ritmo econcepiti con funzione essenzialmente decorativa (il che fu sempre inogni tempo l’effetto precipuo dell’influsso orientale), ancora una voltatorna questa rigidita a dissolversi almeno nei volti, per darci una serieben individuata di ritratti. (...) Abbiamo qui veri precedenti di quelbizantinismo che trasformera la figura umana in icone, la formacorporea in geometria, secondo un preciso ideale morale ed estetico(...). [Dopo il 476] abbiamo ancora esempi di ritratti i quali, puravendo assunto in parte il geometrismo canonico di Bisanzio, riman-gono piu ricchi di modellato e di elementi espressivi individualistici. Ementre in Oriente l’ideale umano andava sempre piu irrigidendosi eugualmente andava irrigidendosi nel dogma e nel protocollo lo spiritoe il libero volere dell’uomo, da Roma e dall’ambiente italico partivasempre qualche scintilla di individualita, che si manifesta appuntonell’arte sotto forma di espressione caratteristica e di colorismo e
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
18R. Bianchi Bandinelli, “Roma. Arti figurative. Da Teodosio alla fine dell’Impero
d’Occidente (476 d. C.)”, vol. 29 (1936), pp. 729-745, citazione e da p. 744.
cooperera a produrre i meravigliosi ritratti musivi di Ravenna, che inmezzo a tante reminiscenze classiche fioriranno sulla rigidita bizantinadei corpi geometrizzati.”
18.
d. “Iconografia”, “Musaico”: due voci metodologiche
In due voci, “Iconografia” e “Musaico”, Toesca e determinato a
fornire un testo controcorrente rispetto alla interpretazione di moda.
Sull’approccio iconografico alle opere d’arte medievali e moderne il
suo giudizio positivo e senza titubanze; l’iconografia e parte inte-
grante degli studi che considerano l’opera d’arte in ogni aspetto e
soprattutto nell’interezza del suo stile (Toesca stesso aveva dato
interpretazioni iconografiche di opere d’arte nei suoi lavori); un
procedimento d’indagine legittimo e necessario, perche introduce a
conoscere i fattori spirituali della concezione artistica non avvertiti in
altra maniera:
“Questi studi iconografici non si identificano con quelli che conside-rano le opere d’arte in ogni aspetto e soprattutto nell’interezza del lorostile; ne sono tuttavia parte integrante. Essi hanno un oggetto partico-lare – i modi e gli elementi figurativi derivati da tradizioni – che isolanonelle opere d’arte, considerandole analiticamente: procedimento legit-timo d’indagine, a cui non si possono negare nemmeno i prodottid’arte, e necessario perche esso introduce a conoscere fattori spirituali,altrimenti inavvertiti, della concezione artistica.
Le ripetizioni di schemi iconografici prestabiliti implicano una
tradizione iconografica che viene trasmessa e rispettata dagli artisti
medievali ed anche rinascimentali, non solamente in prodotti artistici
meccanici, privi di ispirazione viva, ma perfino in altissime creazioni
come gli affreschi di Giotto a Padova (ad esempio nella scena della
Resurrezione di Lazzaro), nella Sant’Anna di Leonardo e nella Pieta
vaticana di Michelangelo:
“A chi, osservando in codesto modo parziale, ricerchi nelle opered’arte certi tratti generici nel rappresentare le immagini (composizionegenerale delle figure, gesti e loro espressione; particolarita di vestiario,di sfondi, ecc.) si presenta ovvio un fatto importante: quando unsoggetto ricorra di frequente nell’arte, le sue rappresentazioni, se pur
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
di tempi, di luoghi, di artisti diversi, mostrano somiglianze e ripeti-zioni, ora limitate ad alcune parti, ora piu vaste, spesso cosı estese dadimostrare l’accettazione di uno schema iconografico prestabilito. Nequesto si vede soltanto in quei prodotti inferiori d’arte dove si po-trebbe spiegare come ripetizione meccanica, fuori d’ogni ispirazioneviva; si verifica perfino in altissime creazioni: per esempio gli affreschidi Giotto a Padova (p. es.: Resurrezione di Lazzaro, il cui schemaiconografico e gia in una miniatura del secolo VI nel codice purpureodi Rossano); nella S. Anna di Leonardo, con una sovrapposizione difigure gia usata da un secolo; nella Pieta vaticana di Michelangelo, cheha precedenti di composizione fin dal Trecento.Da cio si potrebbe dedurre che a nulla giovino gli studı iconografici neldefinire il carattere e il valore delle opere d’arte, anzi che essi loavversino, tutte eguagliandole in somiglianze di soggetto e di trattigenerici; e per contrario, col porre in evidenza cio che vi e di tradizio-nale nelle opere d’arte, quegli studı fanno risaltare quanto esse hannodi piu individuale, in altre parti a cui gli artisti stessi, ideandole,intesero assai piu che all’invenzione iconografica.In questa, per diversi motivi gli artisti non rifuggirono da quelleripetizioni, e spesso si adattarono a vere tradizioni iconografiche.Motivo non raro furono la scarsa facolta o l’inerzia dell’immaginare,favorite dall’uso frequente delle copie e di serbar memoria di composi-zioni e di particolari d’opere d’arte in taccuini di disegni. Ma unmotivo assai piu forte, e d’arte, fu che i soggetti ripetutamente e alungo trattati, dopo essere giunti, anche attraverso una lenta elabora-zione, a comporsi in un insieme estremamente chiaro, o soddisfacente,o decifrabile subito da tutti, furon poi mantenuti appunto percio inquelle loro compiute linee iconografiche (...).”
Risultato “non trascurabile” degli studi iconografici e il decifra-
mento dei soggetti, che, se puo apparire indifferente alla piu pura
contemplazione dei valori piu profondi e universali dei capolavori,
porta a uno dei risultati piu notevoli nello studio delle opere d’arte:
trovare tra opere e cultura del tempo relazioni altrimenti sconosciute,
dalle quali l’opera e spiegata ed acquista nuovo valore per la storia
del pensiero:
Risultato non trascurabile degli studı iconografici e spesso il sicurodeciframento dei soggetti, anche se possa essere indifferente alla piupura contemplazione dei capolavori, intenta a cio ch’essi hanno di piuprofondo e universale. Quel deciframento puo condurre l’iconografia auno dei suoi risultati piu notevoli: a ritrovare tra le opere d’arte e lacultura del loro tempo relazioni altrimenti non sospettate, o non beneaccertate, dalle quali l’opera d’arte e chiarita e acquista nuovo valoreper la storia del pensiero (...).”.
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
19I brani riportati nel testo sono dal vol. 18, del 1933, della E. I., pp. 699-700.
20Vedi Capitolo 8, paragrafo b.
Asserzioni esemplari, coraggiose e solitarie in Italia, molto attente
a procurare risposte inoppugnabili a critiche aspettate, niente affatto
scontate nel clima antigermanico e crociano del tempo, che scaval-
cano qualche decennio, dagli inizi del secolo al secondo dopoguerra,
di ostilita e sufficienza in Italia verso i contributi iconografici alla
storia dell’arte: la ostilita nei confronti delle metodologie connesse
con la filologia germanica, e in particolare contro gli iconografi, il cui
campo di interesse e il contenuto, non la forma dell’arte, era stata
mostrata da intellettuali nazionalisti come Ojetti e storici dell’arte,
come Longhi, seppure allievo di Toesca, che aveva proposto di
depennare gli iconografi dalla categoria degli storici dell’arte19
.
Nella voce “Musaico” Toesca afferma il valore non normativo
della classicita in arte. Il mosaico e la forma con cui il Medioevo
meglio espresse i concetti religiosi in uno stile sempre piu “purifi-
cato” da quanto restava della classicita, intento ora ad astrazioni e
simboli:
“Ma l’arte cristiana del Medioevo, e fino dal sec. IV al VI, diede nuovisviluppi al musaico murale, formandone la piu insigne veste dellechiese soprattutto nelle absidi, in cui essa doveva adombrare in formapiu schietta le nuove credenze sotto specie di visibile rivelazione. Peresprimere i nuovi concetti religiosi l’arte trovo allora uno stile semprepiu purificato dai residui della classicita, intento ognora piu ad astra-zioni e simboli (...).”.
La specifica citazione dei mosaici absidali e parallelo alla defini-
zione di Lionello Venturi del mosaico absidale di Sant’Apollinare in
Classe come “prima, meravigliosa e perfetta pagina paesistica” in
arte20
. Il messaggio trasmesso al lettore dal concetto di purificazione
dall’arte classica, che conferisce pari valore artistico alla astrazione e
simbolismo del Medioevo ed al naturalismo della classicita, era una
eresia nell’Italia quegli anni.
Nelle opere musive il Medioevo raggiunse la maggiore altezza,
rispettando la natura del materiale impiegato nei mosaici, traendone
cosı effetti di trascendente semplificazione della forma. Nel mosaico
bizantino di Sant’Apollinare in Classe sono pienamente sviluppati gli
intenti dell’arte medievale; ogni riflesso classico vi perde vigore e vi si
vedono le concezioni piu nuove in una forma simbolica che da al
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
21Vedi Capitolo 9, paragrafo b.
22Le citazioni sono dal volume 24 del 1934, pp. 80 e 81.
mosaico l’aspetto di prezioso tappeto: le “schematiche semplifica-
zioni” ed i “moltiplicati splendori cromatici (...) affascinano l’occhio
e liberano dal sensibile la fantasia”. Infine, un’opera musiva e riuscita
quando tende a effetti decorativi e cromatici ed evita di simulare con
il plasticismo ed il naturalismo delle figure i modi di affreschi e
dipinti a olio. Toesca sembra tener conto del dibattito sul muralismo
– il manifesto sul muralismo di Sironi e del 1932 –21
, quando esprime
il suo giudizio sulle caratteristiche che debbano avere, per essere
considerati riusciti, i mosaici antichi e, appunto, quelli moderni:
“Questa [scilicet: la tecnica musivaria], scindendo il colorito in staccateunita cromatiche, doveva favorire il semplificare la forma plastica, iltrasporla in modi lineari, il prevalere delle schematizzazioni decorativesugl’intenti di rappresentazione naturalistica. E per vero, senza volerelimitare nessuna possibilita all’arte e alla tecnica dinnanzi ai numerosimonumenti dell’arte musivaria del Medioevo e moderna, bisognariconoscere che le opere in cui essa raggiunse una propria maggiorealtezza sono quelle in cui piu rispetto la natura del proprio materialepittorico senza forzarne la capacita di fusione cromatica, anzi valendosiappunto del frazionamento del colore nelle tessere, della loro diversainclinazione sulla superficie muraria e del conseguente vario rifrangersidella luce nella materia vitrea, per trarne suoi particolari effetti dileggerezza, di vibrazione, di trascendente semplificazione della forma.Le pareti a musaico degli altari della basilica Vaticana, condottelevigatamente con innumerevoli gradazioni di tinte per simulare esostituire dipinti a olio o affreschi, sono monumento d’ingrata laborio-sita; i musaici del sec. IX nelle basiliche romane, apparentemente rozzientro i loro limiti di veste decorativa, sono invece improntati a sottilesenso d’arte.”
22.
e. Le voci altomedievali e duecentesche
Nelle voci altomedievali, Toesca ripropose l’interpretazione filobi-
zantina del Medioevo. Gli stucchi di Civate sono “finemente bizanti-
neggianti” e i pittori degli affreschi si rivolgono ai modi bizantini; a
Sant’Angelo in Formis, gli affreschi sul portale sono da attribuire a
pittore bizantino o a qualche immediato discepolo degli artisti bizan-
tini chiamati a Montecassino dall’abate Desiderio, gli affreschi con le
storie degli eremiti sono forse di un pittore bizantineggiante del
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
23La citazione su Giotto e presa dal volume 17 del 1933, p. 212.
secolo XIII, gli affreschi dell’interno derivano dall’arte bizantina
modifcata con accenti propri nel colore e nelle espressioni. Per il
Duecento, Cimabue “osserva la maniera bizantina nella composi-
zione, nella fattura pittorica e nell’effetto totale”, possiede a fondo le
formule bizantine, modifica, “ma non altera lo stile bizantino intera-
mente posseduto” e ne ricrea la grandezza e l’attrazione religiosa; la
pittura romana del Duecento e sempre piu penetrata di influssi
bizantini, Cavallini e Torriti scelgono dalla pittura bizantina le forme
piu classicheggianti; Giunta accetta “i canoni idealistici della pittura
bizantina, che allora esprimeva una sua tensione patetica” in modi
astratti e convenzionali; Duccio riesce a intendere con nuova fre-
schezza i modi piu eletti dell’arte bizantina ed i suoi colori rammen-
tano la gamma delle miniature bizantine piu delicate, liberata dalle
lumeggiature frastagliate; e anche Giotto, che pure piega le formule
bizantineggianti a esprimere il suo senso plastico,
“a guardare intorno, non dalla pittura gotica, che attenuava all’estremoo sopprimeva ogni valore plastico, e nemmeno dalla scultura – troppodiversa nei suoi mezzi – poteva avere avviamento, ma sı dalla pitturabizantina, o bizantineggiante, che insisteva nella modellazione, anchese mediante formule.”
23.
f. La voce romanista “Bizantina, Civilta” ed il
“Medioevo bizantino” di Pasquali
L’affidamento delle parti della voce “Bizantina, Civilta” cadde, dun-
que, sotto il periodo di direzione di Ojetti. Scrivendo a Gentile il 20
ottobre del 1925 della parte “Arte bizantina”, Ojetti dice di non
avere, come Gentile, una grande stima di Diehl; l’ideale redattore
della parte sarebbe stato per lui Dalton, che, per ragioni di anzianita,
aveva pero rifiutato nonostante calorosi inviti. Quanto a Millet, un
altro dei nomi fatti, non era riuscito a vederlo a Parigi. Dunque, a
Diehl aveva raccomandato di scrivere solo di arte bizantina fuori
d’Italia e di
“non seguire la moda recente che forma l’arte bizantina quasi solosugli stampi orientali, perche sarebbe strano che proprio l’EnciclopediaItaliana accettasse questa diminuzione della incontrastabile origineromana dell’architettura bizantina.”.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
Diehl aveva accettato le due condizioni poste da Ojetti. La data
prevista per la conclusione del lavoro della voce era il 1926, ma non
fu rispettata. Il 21 novembre 1927 Ojetti informo Gentile che l’archi-
tettura bizantina era rientrata nella parte “Arte” di Diehl, dopo una
prima idea di affidarla a Ugo Monneret de Villard, sul quale fu
messo un veto da Giovannoni in quanto “ultra-strzygowskiano”; per
“Arte bizantina” era previsto Munoz che dava fiducia in quanto
ormai convertito al romanesimo; in ogni caso, rammenta Giovan-
noni, teniamo conto che “noi romanisti affermiamo derivata dall’Im-
pero” e non dall’Oriente l’architettura bizantina:
“A Milano il Tumminelli purtroppo non m’ha mostrato i contrattipreparati dal Giovannoni per l’architettura armena con lo Zurabian,per l’architettura bizantina con il Monneret de Villard. Io darei alloZurabian tutta l’arte armena [redatta poi, con la direzione di Toesca,da De Francovich]. Se siamo d’accordo, fagli mandare pure il con-tratto. Ma prima ti prego di meditare questo passo d’una lettera che ilGiovannoni mi scriveva il 25 d’ottobre:«Per la Enciclopedia trovo che il nome di Munoz come titolare del-l’arte bizantina puo andar molto bene, se egli esca dal torpore per cuioggi conclude poco o nulla. Non certo la coltura gli manca, e quantoalle tendenze orientalistiche parmi che recentemente le abbia moltoattenuate per rivolgersi al romanesimo.Ma sara il caso di trattare anche l’Architettura? I monumenti bizantinisono, piu ancora dei romani, organismi costruttivi ideati con grandesapienza statica e frutto di una grande tradizione tecnica (che noiromanisti affermiamo derivata dall’Impero), su cui si e sovrapposta laricchissima decorazione, come un arazzo. Tutto un primo capitolodeve quindi essere tecnico, come ad es. sono stati tecnici gli studi delloChoisy, del Rivoira, dello Zurabian pilota dello Strzygowski. Perquesta parte dunque Munoz non e a posto.Con chi sostituirlo? Proprio non saprei tanto sono indietro questi studitra noi. Il Monneret de Villard lo potrebbe se avesse la testa a posto enon fosse ultra-strzygowskiano (bella parola!). Forse meglio ricorrere aqualche giovanotto serio e colto, come ad esempio il Reggiori, chelavori un po’ di ricompilazione.».”.
Ojetti, dunque, escluse lo Zurabian, perche piu ostinato dello
Strzygowski nel vedere nell’architettura romanica e bizantina una
derivazione da quella armena,
“invece che dall’architettura nostra, cioe romana. E proprio noi dob-biamo lasciarglielo dire nell’Enciclopedia Italiana?”.
Giovannoni, da parte sua, ebbe comunque a recriminare ancora
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
24Discorso inaugurale in Atti del I˚ Congresso Nazionale di Storia dell’Architettura, [Firenze,
Palazzo Vecchio] 29-31 ottobre 1936-XV (Firenze, 1938-XVI), p. ix.25
La lettera di Ojetti a Gentile e conservata alla Biblioteca Nazionale di Firenze come le
precedenti dell’epistolario Gentile-Ojetti.26
”Bizantina, civilta”, in E. I., vol. 7 (1930), pp. 120-167: A. Pernice, “Storia dell’im-
pero bizantino”, pp. 120-141; G. Ferrari, “Diritto”, pp. 141-148; G. Pasquali, “Letteratu-
ra”, pp. 148-154; C. Diehl, “Arte”, pp. 154-165; E. Wellesz, “Musica”, pp. 165-167. M.
Aubert, “Carolingia, Arte”, vol. 9 (1931), pp. 119-121; G. Farina, “Egitto. Arte”, vol. 13
(1932), pp. 565-570; G. Giovannoni e R. Bianchi Bandinelli, “Roma. Roma Antica.
Architettura classica, Architettura cristiana, Arti figurative”, vol. 29 (1936), pp. 714-745.27
E. Wellesz, Byzantinische Musik (Leipzig, 1927); “Lo stato attuale delle ricerche nel
nel 1938 sulla lesa romanita di alcuni autori di voci: Schlosser
afferma, “purtroppo nella Enciclopedia Italiana, che la cupola di S.
Maria del Fiore e di derivazione orientale”24
.
Ojetti propose di tornare a una sua proposta del 1925 e di
assegnare l’arte bizantina fuori d’Italia a Diehl, “che e ancora tra i
piu moderati nel favorire la tesi anti-romana dello Strzygowski e che
ho gia ‘ammonito’” al riguardo, e l’arte bizantina in Italia al Munoz;
e poi vedere se aggiungere architettura bizantina come tecnica co-
struttiva dandola allo stesso Giovannoni25
.
Conclusa la purga antiorientalista di Ojetti-Gentile, la voce “Bi-
zantina, civilta” apparve alla fine suddivisa in cinque parti, redatte da
tre studiosi italiani e due stranieri: Angelo Pernice, libero docente
della Universita di Firenze e autore di altre voci bizantine per
l’Enciclopedia, scrisse “Storia dell’impero bizantino”; Giannino Fer-
rari, rettore della Universita di Padova, “Diritto”; Giorgio Pasquali,
professore all’Universita di Firenze, “Letteratura”; Charles Diehl,
“Arte”; Egon Wellesz, storico della musica e compositore viennese,
“Musica”. La voce “Bizantina, Civilta” occupa quasi cinquanta pa-
gine del settimo volume del 1930, un’estensione che e testimonianza
di una insolita preoccupazione. Delle cinquanta pagine dodici sono
dedicate all’arte; a confronto, “Arte carolingia”, nel volume 9, ne
occupa tre, “Egitto. Arte”, nel volume 13, ne occupa sei, “Roma.
Arte” (dalle origini alla tardoantichita), nel volume 29, ne occupa
trentadue, “Roma. Roma medievale. Arti figurative”, nello stesso
volume 29, ne occupa quattro26
. I due studiosi stranieri erano ben
autorevoli: l’anziano Diehl era ormai un decano degli storici dell’arte
bizantina; Wellesz, invece, era conosciuto come studioso di storia del
canto, dell’innografia, delle sacre rappresentazioni e, soprattutto,
della musica bizantina; su quest’ultima aveva pubblicato nel 1927 un
manuale in tedesco; nel 1936, Wellesz partecipo con un contributo
sulla musica al V Congresso di Studi Bizantini di Roma27
.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
campo della musica bizantina”, Estratto dal V Congresso Internazionale di Studi Bizantini,
Roma, 20-26 settembre 1936, Studi bizantini e neoellenici 6 (1936) (Roma, 1939).
Diehl comincia la sua parte dichiarando l’arte bizantina mal
compresa e giudicata; “organismo vivo”, l’arte bizantina e stata
giudicata come continuazione e decadenza dell’arte romana fino a
cinquant’anni prima e come arte immobile e statica nel tempo:
“L’arte bizantina – che forse converrebbe chiamare arte cristianad’Oriente – e stata per lungo tempo mal compresa e mal giudicata.Fino a cinquant’anni fa’ era considerata spesso come continuazione edecadenza dell’arte romana classica; soprattutto, era rappresentatacome un’arte immobile, incapace di progressi e di cambiamenti, e chesi sarebbe limitata, per secoli, a ripetere servilmente le formule e i temicreati nel sec. VI da qualche artista di genio. Oggi sull’arte bizantina cisono idee piu esatte e piu giuste.”.
Diehl assegno all’arte bizantina una precoce data di nascita nel
IV secolo e propose un periodo di formazione dal IV al VI secolo:
per questo periodo “per lungo tempo e stata attribuita a Roma una
influenza preponderante e quasi esclusiva; ma oggi, senza voler
negare assolutamente questa influenza, molti inclinano, dopo gli
studı dello Strzygowski, nel risolvere la questione delle origini del-
l’arte bizantina nell’Oriente” (quell’inciso del non negare assoluta-
mente l’influenza romana non si sa se pensarlo una concessione alla
direzione dell’Enciclopedia o una inserzione spuria). Diehl accetto
pero la tesi di Ainalov e altri di tradizioni dell’antichita classica
ancora vive nelle metropoli del Mediterraneo orientale. Segue una
prima eta d’oro con Giustiniano, poi un periodo di crisi con la lotta
iconoclastica, una seconda eta d’oro, “forse la piu brillante che abbia
mai avuta la storia bizantina”, dal X al XII secolo, nella quale
diviene “l’arte regolatrice d’Europa”; infine, una ultima rinascenza
con i Paleologi dal XIV al XVI secolo. Diehl fornı anche un pano-
rama della miniatura bizantina, in questo ampiamente indebitato con
la divisione, che era stata data da Ainalov e poi da Millet, Morey e
Friend Jr, tra arte alessandrina, “tutta penetrata di spirito antico”, e
“tradizione orientale, piu realistica, piu drammatica e anche piu
infatuata dell’ornamentazione elegante e ricca”. Anche nella icono-
grafia degli episodi del Vangelo si vedono contrapposte la tradizione
alessandrina e quella antiochena. Toesca stesso, sembra aver parteci-
pato alla scelta delle illustrazioni, alcune anche a colori, per la parte
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
28Citazioni da p. 154.
29C. Cecchelli, “Bizantina, civilta. Arte”, in E. I. Appendice I (1938), pp. 281-284; vedi
Capitolo 11, paragrafo a.30
Sui contributi di Pasquali alla Enciclopedia Italiana vedi Cagnetta, Antichita classiche
nell’Enciclopedia Italiana, Capitolo II, “Pasquali, i filologi e il ‘vestito di Arlecchino’, pp.
29-89, e p. 70 sulla voce “Bizantina, Civilta”.
sull’arte: tra di esse sono una raffinata serie di architetture poco
conosciute (Arta, Dafnı, San Luca in Focide, Meteora, Mistra,
Salonicco, Stilo, il Palazzo di Costantino Porfirogenito e le mura di
Costantinopoli: quasi tutte queste foto sono dalle Staatliche Bild-
stelle di Berlino), inevitabili dettagli dei mosaici ravennati di Teo-
dora (Teodora e figure del seguito) e Giustiniano (solo figure del
seguito), i mosaici di Monreale e Dafnı, un buon gruppo di minia-
ture (la Bibbia Regin. gr. 1, le Omelie di Giacomo Coccinobafo, il
Cosma Indicopleuste ed il Menologio di Basilio II della Biblioteca
Vaticana; la Genesi di Vienna), oggetti di oreficeria dal tesoro di San
Marco e avori, tra i quali ultimi sono due riproduzioni del calamaio
del tesoro del Duomo di Padova che Toesca aveva analizzato in
“Cimeli bizantini” del 190628
.
L’arte bizantina fu la sola parte della voce “Bizantina, civilta” ad
avere un aggiornamento nella Appendice I del 1938 dell’Enciclopedia
Italiana, la cui stesura fu affidata a Cecchelli che si era convertito da
denigratore della civilta bizantina, ai tempi del Primo Convegno
Nazionale di Studi romani del 1929, a suo studioso. Cecchelli si
limito nell’aggiornamento a citare l’approfondito esame che le nuove
scoperte di opere bizantine in quegli anni imponevano per l’arte del
tardo impero, cosı da obbligare a riconsiderare con piu organici e
documentati orientamenti il problema formativo dell’arte bizantina29
.
La parte storica di Ferrari sulla civilta bizantina e una trattazione
“obiettiva e pacata”, che parte dalla inaugurazione della nuova Roma
nel 330 e si conclude con la conquista ottomana nel 1453. La parte
letteraria di Pasquali e invece polemica30
. In una premessa nella
quale divaga dal suo tema dando un giudizio complessivo su Bisanzio
e specialmente sulla sua forma politica (che sarebbe spettato piutto-
sto alla parte storica di Ferrari), Pasquali rifiuto l’idea che la storia
bizantina cominci con la fondazione di Costantinopoli (come scrive
Diehl nel suo pezzo sull’arte) e rivendico alla latinita i secoli IV-VI,
facendo di Giustiniano l’ultimo sovrano della romanita; Pasquali
anticipo di qualche anno con questa posizione quanto fu stabilito
dalla Mostra della Romanita del 1937:
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“Si suol chiamare bizantino quel periodo della letteratura greca che siestende dall’ascesa al trono di Giustiniano (527 d.C.) alla caduta diCostantinopoli in mano dei Turchi Osmanli.”.
Il termine di letteratura alessandrina, al posto di letteratura
bizantina, che e usato da alcuni, sembra a Pasquali inadeguato:
“mentre durante il periodo ellenistico riescono a mantenersi in vita e
a esercitare forte influsso centri di cultura indipendenti da Alessan-
dria”, tra i quali, sottolinea Pasquali (polemicamente), “da un certo
punto in poi anche e principalmente Roma”, durante l’era bizantina
tutta la vita culturale gravita verso Costantinopoli e la corte impe-
riale. Se il limite cronologico inferiore della civilta bizantina e indi-
cato senza esitazione nel 1453, il limite superiore e invece dubbio.
Krumbacher lo pose all’eta di Costantino, una idea “teoricamente
legittima”. Eppure il secolo IV e dominio indiscusso della filologia
classica, gli spiriti classici sono ancora rigogliosi, la letteratura e
congiunta con quella del passato con continuita e buona parte dei
letterati sono pagani. “Al tempo di Costantino lo stato e ancora
puramente romano; la lingua della stato e la latina”. Il confine tra
l’antichita e l’epoca bizantina e posto all’anno 529, che segna la
vittoria del Cristianesimo con la decisione di Giustiniano di chiudere
le scuole ateniesi dei filosofi,
“stabilendo cioe che la sola scienza riconosciuta dallo stato e quellacristiana e che scienza non cristiana non puo essere tollerata. Quest’av-venimento segna per davvero un rivolgimento di tempi, ed e quindisingolarmente atto a essere considerato come un confine tra due eta.”.
L’opera piu grandiosa di Giustiniano, pero, il Corpus e in latino
ed accoglie e codifica tutto il diritto romano precedente. Romani
sono stati sempre gli imperatori che lo precedettero: solo dopo
Giustiniano gli imperatori saranno tutti greci o orientali grecizzati e
l’elemento greco cresce “con rapidita di valanga” nella legislazione
posteriore al Corpus.
Cominciano ora le note di disprezzo per la decadenza di Bisan-
zio, regno di un dominio assoluto monarchico dove il sovrano non e
piu princeps, ma basileus, con il popolo “sempre piu rigorosamente
escluso da ogni partecipazione alla vita statale, ridotto sempre piu
alla merce degl’impiegati, i quali sono essi stessi alla merce dei
superiori, cioe della corte”; dominio assoluto di un unico e potere
preponderante di coloro che gli stanno vicino, elementi che ricor-
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
dano gli imperi orientali: velate critiche e allusioni alla Roma musso-
liniana? Certamente, le lodi di Gioacchino Volpe del pezzo di Pa-
squali allontanano questa possibilita. Quanto alla Chiesa, quella
bizantina discute per secoli e secoli sulla natura umana e divina di
Cristo e resta impantanata in controversie che in Occidente erano
state superate; il monachesimo e fatto di monaci contemplativi e
intriganti che niente hanno a che spartire con i monaci e frati attivi e
popolari dell’Occidente:
“la Chiesa greca chiama se stessa «ortodossa»; ma questo nome di cuiessa va superba, non e, chi ben guardi, se non un testimonium pauperta-tis. (...) La devozione greca rimane rivolta verso il di la, rimanemeramente contemplativa; mentre gia i benedettini, i soli monacidell’Occidente, operano per l’agricoltura e per la cultura; mentre inuovi ordini non piu di monaci ma di frati, i domenicani e i france-scani, si rimescolano al popolo da cui sono usciti, operando e benefi-cando, il monachesimo greco cerca di guadagnarsi la vita eterna conl’ascesi e la preghiera, alle quali viene attribuito un potere quasimagico. I monaci bizantini sono stati spesso fior d’intriganti (... ).”.
Da queste considerazioni scaturiscono il giudizio di inferiorita
sulla civilta bizantina ed una domanda di fondo: “Merita ora questa
civilta rigida e arcaistica, questa civilta, diciamo pure inferiore, che
uno si affatichi a studiarla?” Pasquali decide che vale la fatica in
quanto la civilta bizantina e madre di tutte le civilta dell’Europa
orientale; essa ha invece solo
“venato leggermente di colori greci l’umanesimo, in origine tuttolatino, degl’Italiani, che era allora gia a buon punto; e ha specialmente,trasportandoli tra noi, salvato dalla distruzione i testi classici dei greci,rendendo cosı possibile il nuovo umanesimo, questo sı, veramentegreco, che incomincia col principio del sec. XIX e da alla cultura diquesto secolo la sua impronta.”.
Corollario della penetrazione della cultura bizantina nella Europa
orientale e il fatto che le civilta slave e dei Balcani sono erette su base
bizantina, cosa che spiega l’abisso tra Russia e Occidente, “che il
bolscevismo ha in questo ultimi anni scavato ancor piu profondo”.
Quanto alla letteratura bizantina – ora Pasquali viene alla esposi-
zione letteraria che sarebbe stata propriamente il suo tema –, non
vale la pena studiarla come “complesso di valori estetici, o come
espressione, documento di una cultura”, “nonostante le proteste
isolate di qualche bizantinista piu appassionato che giudizioso”. La
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
31Citazioni nel testo da pp. 148-150.
32M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (Milano – Roma, 1930;
seconda edizione accresciuta, Torino, 1942). F. Flora, “La «Cronaca Bizantina»”, Pegaso 2
(1930-VIII), pp. 681-698. A. Sommaruga, Cronaca Bizantina (1881-1885). Note e ricordi
(Milano – Verona, 1941).
letteratura bizantina manca di elementi personali, lirici, e rivolta
verso il passato: se vi e penetrato qualche cosa di moderno, cio e
avvenuto “contro le intenzioni dell’autore, un felice errore”31
.
Nel 1941, Pasquali pubblico su Civilta moderna un lungo articolo
intitolato “Medioevo bizantino”, che rievoca i tempi ‘bizantini’ di
fine Ottocento e la visione di Bisanzio come lussuria, fasto e crudelta
messa in scena da La nave dannunziana. Pasquali si giovo di letture
di testi da poco pubblicati, come La carne, la morte e il diavolo nella
letteratura romantica di Mario Praz, del 1930, dell’articolo di France-
sco Flora sulla Cronaca Bizantina, anch’esso del 1930, e, forse, del
libro di memorie di Sommaruga del medesimo anno 1941 del suo
articolo32
. In “Medioevo bizantino” Pasquali non muto il giudizio su
Bisanzio dato nella Enciclopedia Italiana, anche se lo espresse in
maniera piu narrativa e blanda, mitigata anche dalla constatazione
del sorgere in quegli anni di cattedre e centri di studio bizantini in
molte nazioni. La letteratura bizantina e detta da Pasquali “fra le piu
noiose del mondo”, sentenza divenuta celebre: ogni volta che noi
leggiamo uno scrittore bizantino, vi sentiamo “qualcosa di stantio”.
Lo studio di Bisanzio, che ebbe come madre la politica di espansione
dei paesi europei verso Oriente, ebbe come compare di battesimo il
positivismo, che nega il concetto di valore, che per Pasquali) Bisan-
zio non possiede. Il solo periodo della letteratura bizantina che
costituisce una eccezione e il XII secolo, l’eta dei Comneni (e in
particolare il periodo del regno di Manuele II), che rappresentano
proprio la dinastia di imperatori bizantini piu occidentalizzata. Bisan-
zio fu citta orientale, salvata nel giudizio di Pasquali solo per la
missione storica, “assolta prodigiosamente”, di baluardo militare per
l’Europa dall’assalto dall’Oriente di Persia e Islam; la sua forma di
governo “disumana” era la sola possibile in una fortezza assediata:
“A Bisanzio, almeno da Giustiniano in qua il cittadino e sostituito dalsuddito, il quale verso il sovrano e i suoi rappresentanti, i magistrati,ha soltanto il dovere dell’ubbidienza e non ha nessun diritto, cosı comegli stessi magistrati, onnipotenti di fronte al popolo, sono meri stru-menti della mano dell’autocrate. Questi a suo arbitrio sceglie i finidella propria politica e determina i mezzi per raggiungerli.
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
33Pasquali introdusse anche considerazioni di critica figurativa: cito il Salterio di Parigi
come un prodotto del Monastero di Studio, confondendo questo manoscritto con i salteri a
illustrazioni marginali che erano stati effettivamente considerati collegati da piu studiosi allo
Studio, e lo ritenne “un tentativo di arte realistica”, “un fatto che rimane isolato”: giudizi
privi di competenza. G. Pasquali, “Medioevo bizantino”, Civilta moderna 13 (1941-XX),
pp. 289-320; ristampato in G. P., Stravaganze quarte e supreme (Venezia, 1951), pp. 93-129,
citazioni da pp. 99, 101, 104-105, 123-124.
Una tale forma di governo e disumana, ma e la sola possibile in unafortezza assediata da tutti i lati.
Riferimenti all’attualita del 1941? La discussione su Bisanzio fa,
comunque, con Pasquali un tonfo all’indietro, almeno al tempo della
formazione accademica del filologo: gli studiosi francesi sostenitori
della civilta bizantina della seconda meta dell’Ottocento avrebbero
legittimamente domandato quale sistema democratico e umano
avesse in mente Pasquali per l’altomedioevo occidentale da porre
come modello di democrazia e umanesimo non raggiunto dalla
civilta bizantina da lui giudicata cosı negativamente33
.
1F. Pertile, “Le opere d’arte in assetto di guerra”, La Rivista illustrata del “Popolo
d’Italia” 21, n 11 (novembre 1942), pp. 70-77. Cinquanta monumenti italiani danneggiati
dalla guerra, a cura di E. Lavagnino, prefazioni di B. Croce, C. R. Morey, R. Bianchi
Bandinelli (Roma, 1947).
12
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
“(...) tanti altri, veramente colpevoli di piaggeria, divolgare procacciantismo, ora tornano a vita, e rientranoall’Universita”Pietro Toesca, da una lettera a Bernard Berensondatata 11 novembre 1945
“Pasquali aveva avuto, in passato, delle debolezze;infantili debolezze, che, senza dubbio, non gli feceroonore. Ma che il suo non fosse vero fascismo, lo hadimostrato meglio di tutto il fatto che oggi egli eratenuto in disparte dagli organismi ufficiali delle scuoleitaliane, dove tutti i mestatori e corruttori di ieri sonoritornati ai loro posti.”Ranuccio Bianchi Bandinelli, Necrologio di GiorgioPasquali, 1952, p. 566.
Con l’avvicinarsi della guerra in Italia ed il pericolo di bombarda-
menti si comincio a mettere al riparo le opere d’arte trasportabili e a
ridurre in assetto di guerra, proteggendoli con impacchettature di
sacchetti di sabbia, i monumenti. A Roma, Monreale, Ravenna,
Venezia colonne romane e mosaici medievali sparirono ricoperti
dalle protezioni (figg. 112-113). Nessuno dei piu celebri monumenti
bizantini subı danni particolarmente gravi1. Con la caduta del Fasci-
smo, la Liberazione e gli alleati in Italia cesso la denigrazione della
Francia. Cesso anche la retorica romanista che aveva viziato la
discussione su Bisanzio, salvo alcune appendici che i nostalgici ali-
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
2C. Malaparte, La pelle. Storia e racconto (Roma – Milano, 1949), pp. 59-60.
3La frase di Bianchi Bandinelli, da “A che cosa serve la storia dell’arte antica”, pp.
10-11, del 1945, e riportata per esteso in epigrafe al Capitolo 6, paragrafo d. La frase su
Pasquali, messa in epigrafe al presente capitolo, continua, concludendo il necrologio, cosı:
“E che la stampa borghese quasi non ha preso nota della sua morte, e, se mai, ha posto in
evidenza le esteriori singolarita, non le qualita sostanziali che erano nella sua persona.”.
mentarono. Le dichiarazioni di appartenenza alla civilta occidentale
dei monumenti bizantini in Italia non comparvero piu nelle pubblica-
zioni postbelliche e furono annullate nei nuovi studi. Gli scrittori
continuarono a usare figure bizantine come stereotipi di donne
italiane; cosı fece Malaparte ne La pelle del 1949 descrivendo una
ragazza napoletana nell’episodio de “La vergine di Napoli”, come
aveva fatto Gadda nell’Adalgisa del 1944 paragonando a quello di
Teodora l’atteggiamento delle aristocratiche milanesi:
“Sedeva con le gambe penzoloni dal letto, e fumava assorta, in silen-zio, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il viso raccolto fra lemani. Pareva giovanissima, ma gli occhi aveva antichi, e un po’ sfatti.Era pettinata con quell’arte barocca delle capere dei quartieri popolari,inspirata all’acconciatura delle Madonne napoletane del diciassette-simo secolo: i neri capelli, crespi e lucidi, gonfi di crine, di nastri, eimbottiti di stoppa, si alzavano a guisa di castello, quasi reggesse sullafronte un’alta mitra nera. Qualcosa di bizantino era nel suo visopallido, stretto e lungo, il cui pallore traspariva sotto lo spesso strato dibelletto, e bizantino era il taglio dei grandi occhi obliqui e nerissiminella fronte alta e piatta. Ma le labbra carnose, ingrandite da unviolento sfregio di rossetto, mettevano un che di sensuale e d’insolentenella delicata tristezza d’icona del viso.”
2.
Mentre alcuni artisti e critici, come Giolli, sostenitore del valore
dell’arte bizantina, si schierarono con l’antifascismo e persero la vita
per questa scelta, rimasero invece ai loro posti, come si lamento
appunto Toesca, persone che si erano fatte portavoce delle stupidag-
gini nazionaliste del fascismo e che avevano denigrato Bisanzio per
politica, colludendo moralmente con un regime infame colpevole di
tanti lutti anche tra i loro colleghi; si ritesse la vecchia trama, scrisse
Bianchi Bandinelli, solo con qualche colore diverso3. Parallelamente,
per quanto riguarda la nostra narrazione, restarono in piedi due
questioni sull’arte bizantina; la prima derivava dalle affermazioni
autorevoli di Pasquali e Longhi: l’arte bizantina e arte o no e vale la
pena di studiarla? La seconda riguardava gli strumenti di indagine:
gli studi iconografici con le loro “tabelle di concordanza” hanno
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
4Le frasi di Toesca sono da lettere a Berenson del 25 marzo 1945, del 19 dicembre 1947
e del 26 settembre e 26 novembre 1949, conservate nella Biblioteca Berenson, Villa I Tatti,
Settignano (Firenze). La conferenza di Venturi all’Universita di Firenze fu pubblicata su Il
Mondo del 5 maggio 1945, col titolo “Le origini della pittura contemporanea” e con una
premessa nella quale si riportava il saluto di Calamandrei.
validita o l’unico approccio valido e quello stilistico indicato da
Croce, l’intuizione estetica prediletta da quasi tutti gli storici del-
l’arte?
Frattanto, Lionello Venturi torno dall’esilio, lesse conferenze a
Firenze (salutato dal rettore Piero Calamandrei come esule che
ritorna finalmente in patria) ed ando ad insegnare a “La Sapienza”,
appoggiato da Toesca, che cosı si giustifico con Berenson: “Ne si
meravigli di questo! Devo pensare alla mia successione per il 1947, e
preferisco lasciarla a L. V. [Lionello Venturi] che a R. L. [Roberto
Longhi]”. Venturi succedette cosı a Toesca; poi, quando Venturi
passo a Storia dell’Arte Moderna, De Francovich succedette a Ven-
turi (anche Toesca lo preferı a Coletti e altri). In seguito, anche
Salmi entro a “La Sapienza”, con l’appoggio di Venturi, nonostante
che Toesca gli preferisse Longhi “come antidoto al cosidetto ‘me-
todo’ di L. Venturi” e “per la troppo evidente superiorita del Longhi,
e la sua virtuale capacita di trattare del Medioevo, fin qui da lui poco
studiato”; tuttavia, Salmi, prosegue Toesca, ha vinto, ma la presenza
di Longhi, rimasto a Firenze, avrebbe giovato molto agli studenti per
il suo metodo che essi avrebbero messo a confronto con quello di
Venturi4.
Sfidano l’autarchia accademica italiana il ritorno di metodologie
d’indagine nate dalla archeologia e dalla filologia germaniche e riela-
borate soprattutto nelle universita americane, dove molti studiosi
antinazisti si erano rifugiati.
a. La restituzione a Bisanzio delle conquiste romaniste
Van Gogh, Cezanne, Matisse e Picasso, dopo le sciocchezze di
giudizio prebelliche loro indirizzate, furono riabilitati dalla critica
italiana; da non grandi pittori, dannosi, inconsistenti, mostruosi,
simulatori, come li aveva definiti l’Arcangeli fascista, divennero mae-
stri geniali per l’Arcangeli postbellico, salvo il problema morale con
Picasso che era comunista, come gia citato. Di Matisse in particolare
si parlo, finalmente, come di un genio che amava Bisanzio, citando
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
5Longhi, “Matisse”. Vedi Capitolo 6, paragrafo f.
6A. Pertusi, “Bizantina, civilta”, in E. I. Appendice II 1938 / 1948 (1948), pp. 414-415. S.
Bettini, “Bizantina arte”, in Enciclopedia Cattolica, vol. 2 (Citta del Vaticano, 1949), coll.
1685-1696; la voce su Bisanzio, oltre ad arte, comprende nello stesso volume della
Enciclopedia cattolica: “Bizantina letteratura” di Martino Jugie (coll. 1696-1699), “Bizantina
liturgia” di Placido de Meester, “Bizantina musica” di Giuseppe Ferrari (coll. 1704-1709),
“Bizantino, diritto canonico” di Acacio Coussa (coll. 1709-1712). P. Verzone, V. Lazarev,
D. Talbot-Rice, “Bizantino”, in Enciclopedia Universale dell’Arte, vol. 2 (Venezia – Roma,
1958), coll. 623-712. “Bizantina, arte”, in Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale, vol.
2 (Roma, 1959), pp. 108-114.
benignamente anche il malfamato Duthuit5. Quanto alla Enciclopedia
Italiana, gia nella Prima Appendice del 1938 la voce “Bizantina
civilta” era stata aggiornata per la sola sezione arte da Cecchelli che
premette che “il piu approfondito esame che da pochi anni si va
facendo dell’arte del tardo impero (secoli III-IV) obbliga a vedere
sotto nuove luci il problema formativo dell’arte bizantina. Vi sono
anche varie scoperte che concorrono a questi piu organici e docu-
mentati orientamenti”. Tra i nuovi studi e scoperte Cecchelli men-
ziono i lavori di De Jerphanion sulle chiese rupestri della Cappado-
cia, i restauri dei mosaici di Santa Sofia di Whittemore, i mosaici di
San Salvatore in Chora, Dafnı e Hosios Lucas, i lavori di Demus e
Monneret de Villard, la nuova edizione della Genesi di Vienna, i libri
di Ebersolt e Weitzmann sulla miniatura bizantina. Nella Seconda
Appendice, poi, uscita nel 1948 con Gaetano De Sanctis nuovo
direttore della Enciclopedia, alla voce “Bizantina, Civilta” Agostino
Pertusi fornı un repertorio di aggiornamenti bibliografici dichiarando
che l’evoluzione della civilta bizantina era stata in quegli anni
(1930-1947) oggetto di studio “intenso e proficuo” e che erano ora
disponibili delle sintesi per arte e musica. Bettini, unico italiano che
si occupava principalmente di arte bizantina, scrisse la voce “Bizan-
tina, Arte” per l’Enciclopedia cattolica, nel 1949. Nonostante il nuovo
fervore di studi, nella Enciclopedia Universale dell’Arte la voce “Bizan-
tino”, del 1958, fu redatta da due stranieri, Viktor Lazarev e David
Talbot Rice, e da un solo italiano, Paolo Verzone, mentre la voce
“Bizantina, Arte” nella Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale,
del 1959, diretta da Bianchi Bandinelli, fu compilata dalla redazio-
ne6. I monumenti bizantini dell’Adriatico, annessi a Roma dalla
storiografia fascista, vennero restituiti a Bisanzio.
Passata la retorica nazionalistica che aveva dichiarato San Marco
opera di cultura completamente italiana, Berenson, nel 1954, scrisse
per Il Corriere della Sera “San Marco Tempio e Museo Bizantino”,
affermando l’integrale bizantinita del monumento:
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
7B. Berenson, “San Marco Tempio e Museo Bizantino”, Corriere della Sera, 2 settembre
1954, p. 3.8
Vedi Capitolo 9, paragrafo d.9
O. Demus, The Mosaics of Norman Sicily (London, 1949); Die Mosaiken von San Marco
in Venedig, 1100-1300 (Baden bei Wien, 1935); Byzantine Mosaics Decoration. Aspects of
Monumental Art in Byzantium (London, 1948). E. Kitzinger, “The Mosaics of the Cappella
Palatina in Palermo: An Essay on the Choice and Arrangement of Subjects”, The Art
Bulletin 31 (1949), pp. 269-292; su Monreale Kitzinger pubblico poi la monografia I mosaici
di Monreale (Palermo, 1960). R. Salvini, Mosaici medievali in Sicilia, citazioni da pp. 10 e
71-77.
“Nelle opere di Storia dell’Arte e in attendibili [l’aggettivo originaleinglese e “serious”] libri di guida si parla di San Marco di Veneziacome di un edificio a caratteri prevalentemente bizantini, e non po-trebbe essere altrimenti. Tuttavia non saprei stabilire in quale misura ilpubblico colto, il pubblico cui sono destinati i seguenti paragrafi, abbiapreso cognizione di cio”.
San Marco e “il piu tipico, il piu completo e godibile edifizio
bizantino che ancora esista”, al cui confronto Santa Sofia di Costan-
tinopoli e “angosciosamente vuota”, un freddo museo “abbandonato
da Dio”. All’interno di San Marco “non v’e colonna, capitello,
rivestimento, pulpito, figura che non sia bizantina o, in rari casi,
bizantineggiante”. La Pala d’oro, che Longhi nel suo “Giudizio sul
Duecento” aveva disdegnato in quanto opera di valore venale, ma
non opera d’arte, e per Berenson la piu ricca e splendida opera di
smalto e la piu alta e raffinata illustrazione che in tale genere ci abbia
tramandato l’arte bizantina, di gran lunga superiore a tutti gli altri
smalti medievali7.
Sui mosaici siciliani uscirono nel 1949 il libro del bizantinista
austriaco Demus e un articolo di Ernst Kitzinger. Tra gli studiosi
italiani, Salvini, lodando piu volte i lavori di Bettini su Bisanzio, in
Mosaici medievali in Sicilia del 1949 mitigo l’appartenenza di quei
mosaici all’Occidente e la loro realizzazione da parte di maestranze
locali da lui sostenuta anni addietro8; alla civilta romanica lascio i
mosaici di Monreale, ma considero la Martorana, Cefalu e la Cap-
pella Palatina dominati dall’arte bizantina “nelle sue molteplici for-
me”; sarebbe quindi erroneo il diffuso concetto “alimentato da
meschino campanilismo” di uno “svolgimento del mosaico siciliano
da uno stile prettamente bizantino verso una maniera sempre piu
italo-bizantina o magari addirittura siculo-bizantina, ossia in sostanza
verso uno stile fortemente colorato di occidentalismo”9.
Toesca riconfermo la sua convinzione della paternita bizantina
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
10F. Di Pietro, La Cappella Palatina di Palermo. I mosaici (Milano, 1954), nota 26 pp.
66-67: i veloci cambiamenti di opinione contro i quali protesta l’autore per lo piu
riguardano la datazione dei mosaici.11
P. Toesca, La Cappella Palatina di Palermo. I mosaici (Milano, 1955), citazioni da pp.
22 e 23.
dei mosaici della Cappella Palatina nella introduzione ad una pubbli-
cazione con gran numero di riproduzioni del 1955. La monografia
era gia stata pubblicata in edizione fuori commercio l’anno prece-
dente con introduzione di Filippo Di Pietro, che lamentava espressa-
mente come certi scrittori avessero cambiato velocemente opinioni
sui mosaici siciliani10
. Per Toesca, le differenze stilistiche all’interno
dei mosaici o in rapporto agli altri mosaici siciliani del periodo, che
potrebbero far supporre maestranze di estrazione diversa, si ritrovano
ugualmente nella miniatura bizantina:
“(...) che l’opera e non soltanto da principio, sia stata condotta damaestri bizantini non sembra dubbio: e dimostrato dalla presenza difondamentali qualita stilistiche; ne questa e contraddetta dalla varietadi fattura, d’interpretazione e anche di iconografia nei mosaici stessi, oin rispetto degli altri mosaici di Palermo di Cefalu di Monreale,mentre varieta anche maggiori si ritrovano nelle miniature bizantine.”.
Questi maestri dovevano provenire dai centri artistici bizantini
piu attivi, “non certamente da Roma”, i cui mosaici hanno maniere
diverse anche se bizantineggianti, e “nemmeno da Venezia, dove non
si trova alcun mosaici che abbia con i mosaici siciliani piu che le
affinita derivate dal ceppo comune” bizantino. La frase finale della
monografia e una dichiarazione di bizantinita dei mosaici e di gran-
dezza dell’arte bizantina:
“nei mosaici della Cappella Palatina quella varieta di maniere che vi sitrova, profondamente concordi nel loro essere, non sembra che ildiramarsi, nell’opera di diversi maestri, della grande Arte bizantina.”
11.
b. Il giudizio italiano su Longhi
Nel dopoguerra Salvini scrisse anche “Coralita dell’arte bizantina”
per Il Mondo, nel 1946, e “Apologia di Bisanzio” per La Rassegna
d’Italia, nel 1948, scritti che sono i migliori e piu documentati
tentativi di interpretazione di Bisanzio di quel decennio in Italia; in
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
12R. Salvini, “Coralita dell’arte bizantina”, Il Mondo, n 19, 5 gennaio 1946, p. 10;
“Apologia di Bisanzio”, La Rassegna d’Italia 3 (1948), pp. 1132-1141, citazioni da pp.
1132, 1133, 1135-1136.13
S. Bettini, “Studi recenti sull’arte bizantina”, La critica d’arte, ser. 3, 8 (1949-1950),
pp. 135-147, citazioni dalle pp. 146-147; “Gli studi sull’arte bizantina”, in Universita degli
Studi di Pisa, Istituto di Storia dell’Arte Medievale e Moderna, Atti del Seminario di Storia
dell’Arte, Pisa – Viareggio, 1-15 luglio 1953 (Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa.
essi Salvini difese l’arte bizantina dai pregiudizi sul suo valore
espressi a chiare lettere da Longhi e Pasquali. Di fronte alla scomu-
nica pronunciata per secoli dalla storiografia umanistica, si trattava di
demolire per Salvini due capisaldi critici su Bisanzio: quello della
mancanza di immaginazione degli artisti e quello della tradizione
classica presa come metro su cui giudicare il valore dell’arte bizan-
tina (Salvini cita Italienische Forschungen di Carl Friedrich von Rum-
hor, del 1827-1830, poi Byron, Duthuit, Rice e Berenson); dal
secondo discendeva che solo i periodi di rinascita classica a Bisanzio
erano apprezzati:
“Si trattava [per quei critici] di condurre una battaglia su due fronti;sia contro la tradizionale negazione d’ogni capacita artistica al pittorebizantino – gia assurto ad esponente dell’indigenza immaginativa edella carenza e della barbarie artistica dell’«oscuro» Medioevo –, siacontro l’apprezzamento di maniera e gli attestati d’obbligo che l’ar-cheologia bizantina era avvezza ormai a rilasciare (...) a tutto cio cheapparisse resurrezione – o magari riesumazione – dell’ellenismo.”.
Salvini e uno dei pochi studiosi italiani che si scaglia apertamente
contro il “Giudizio” di Longhi su Bisanzio: “un critico della misura
di Roberto Longhi” propone oggi “di fare «retroso calle» postulando
poco meno che un ritorno alle posizioni totalmente negative della
critica degli umanisti”; per Longhi l’arte bizantina finisce con il
trionfo dell’iconoclastia, alla proibizione seguendo la prescrizione
delle ricette; di qui, l’arte bizantina e per lui similarte, in perfetta
analogia, conclude Salvini, con il giudizio di Pasquali sulla letteratura
artificiosa e pedantesca di Bisanzio12
.
Bettini, piu volte citato da Salvini come autorita nel campo
dell’arte bizantina, scrisse nel 1949-1950 e poi nel 1953 due reso-
conti sugli studi bizantini in Italia. Nel secondo lodo in particolare
l’attivita dei centri di ricerca su Bisanzio negli Stati Uniti, il Dumbar-
ton Oaks Center for Byzantine Studies e il Department of Art and
Archaeology della Princeton University: “in ogni paese ci si occupa
di arte bizantina piu che in Italia”13
. L’attenzione del primo reso-
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
Classe di Lettere e Filosofia, 1-2 [1954]), pp. 13-32. Su Bisanzio e la pittura romagnola
Bettini aveva letto un intervento dal titolo “Il rinnovamento dell’iconografia bizantina nel
suo ultimo periodo, anche per influenza della pittura romagnola” alla Decade Bizantina di
Ravenna, 27 aprile – 8 maggio 1937: A. A. Bernardy, “Studi bizantini a Ravenna nei Corsi
dell’Istituto Interuniversitario Italiano dal 1932 al 1937”, in Atti del V Congresso Internazio-
nale di Studi Bizantini, p. 21.14
Atti del Primo Convegno Internazionale per le arti figurative, Firenze, Studio Italiano di
Storia dell’Arte, Palazzo Strozzi, 20-26 giugno 1948 (Firenze, 1948), che contengono, fra
gli altri contributi: C. Savonuzzi, “Roberto Longhi critico d’arte”, pp. 25-29; P. Meller,
“Iconologia e critica d’arte”, pp. 29-32; W. Weidle, “Critique d’art et histoire de l’art”, pp.
conto, invece, era andata in buona parte a ribattere il “Giudizio” di
Longhi e quello di Pasquali; Bettini sembra comunque molto timo-
roso, a differenza di Salvini, ad attaccare Longhi:
“Qualche esagerazione [nel giudicare l’arte bizantina similarte] nonmanca in queste parole: se dovessimo prenderle alla lettera, dovremmoconcludere che la civilta bizantina non ebbe addirittura arte (come delresto, dicesi, non ebbe vera poesia). (...)Il prof. Longhi declassa quest’opera famosa [scilicet: i mosaici di SanSalvatore in Chora] a favore d’una tavola con una crocefissione deri-vata dai giotteschi romagnoli [scilicet: il Cristo e San Francesco dellacollezione privata fiorentina], forse per il tramite di maestro PaoloVeneziano: opera la cui provincialita e occidentalita, probabilmentedalmatica, e attestata se non altro dalla scritta in caratteri cirilliani (chetradisce quindi l’ambiente slavo) ancora in buona parte leggibile sulbraccio trasversale della croce.”.
Bettini, che si era occupato molti anni prima degli influssi roma-
gnoli sull’arte bizantina, invita cortesemente Longhi a fare un viaggio
a San Salvatore in Chora per vedere la bellezza di quei mosaici. Poi
una sviolinata inaspettata verso Longhi: la sua critica e geniale ed
esemplare per gli studiosi della generazione di Bettini, che prosegue
ricordando gli studiosi che non si sono lasciati offuscare ne dai miti
di Strzygowski, ne da quello “russo-princetoniano” (sic!) ed attac-
cando Duthuit, il fine delle cui pubblicazioni sull’arte orientale
sarebbe rivalutare l’aspetto economico della sua collezione di opere
copte (un argomento che Bettini avrebbe fatto meglio a lasciar
perdere). Bettini e il solo bizantinista a dedicare tanta benevola
attenzione alla critica di Longhi, non certamente, comunque, il solo
storico dell’arte: al Primo Convegno Internazionale per le Arti Figu-
rative tenuto a Firenze nel 1948 con organizzazione di Ragghianti,
dove fu reso omaggio all’opera di Berenson, due sezioni furono
dedicate a problemi di estetica e metodologia e Longhi emerse in
esse come il critico piu di grido del momento14
.
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
32-34; G. Nicco Fasola, “Precisazione sulla critica d’arte attuale”, pp. 40-43; M. L.
Gengaro, “Metodo per una storia dell’arte”, pp. 45-48. Su Longhi vedi anche O. Morisani,
“Gli studi di storia dell’arte in Italia”, in Universita degli Studi di Pisa, Istituto di Storia
dell’Arte Medievale e Moderna, Atti del Seminario di Storia dell’Arte, Pisa – Viareggio, 1-15
luglio 1953 (Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia 1-2
[1954]), pp. 82-85; e, piu in generale, su Longhi e la questione del Duecento italiano: P. J.
Nordhagen, “Roberto Longhi (1890-1970) and His Method”, Konsthistorisk Tidsckrift 68/2
(1999), pp. 99-116; id., “Byzantium and the Duecento: Remarks on a Story with No End”,
in Kairos. Studies in Art History and Literature in Honour of Professor Gunilla Ükerstrom-
Hougen, a cura di E. Piltz e P. Üstrom (Jousered, 1998), pp. 66-77; una valutazione
distaccata sul “Giudizio sul Duecento” e in G. Castelnuovo, “Mille vie della pittura
italiana”, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, a cura di E. C. (Milano, 1986), vol.
1, pp. 8-9.15
G. Contini, “Sul metodo di Roberto Longhi”, Belfagor 4 (1949), pp. 205-210, citazioni
da pp. 205-206 e 207; vedi inoltre: Roberto Longhi. Discorso commemorativo pronunciato dal
Linceo Gianfranco Contini nella Seduta ordinaria del 13 gennaio 1973 (Roma, 1973).
c. Contini e Garrison su Longhi
A parte la confusione generata da Salvini che attacco Longhi e lodo
Bettini e da Bettini che lodo Longhi, due altre recensioni al “Giudi-
zio” vanno riferite: quella di Gianfranco Contini del 1949, che fu la
piu acuta e apologetica, e quella di Edward B. Garrison, che fu la piu
aspra. Contini elenco quattro punti del “Giudizio” che avevano
sconvolto teorie precedenti:
- “il blocco della pittura bizantina, almeno consecutiva alla di-
sputa iconoclastica, sottratto alla poesia e devoluto alla non-poesia”;
- “le infrazioni italiane alla giurisdizione costantinopolitana ricon-
dotte a cultura antica”;
- l’antitesi Firenze – Siena con Duccio derivato da Cimabue;
- “l’ipostasi di Siena (cioe proprio della Bisanzio in partibus)”
radicalmente eliminata “con la soggezione dei suoi inizi al fiorentino,
prigioniero di Montaperti, Coppo di Marcovaldo”.
Posizioni rivoluzionarie nei confronti del “corredo di erudizione
che si allestisce nei ginnası”. Alla domanda perche Longhi non
capisca l’arte bizantina, Contini trovo la risposta piu calzante nel
metodo stesso di Longhi, crociano, che e inapplicabile all’arte bizan-
tina:
“Se Longhi repelle la cultura bizantina non sara perche non le puoapplicare (e nessuno potrebbe) quella misurazione serrata dello «spa-zio» storico che durante tutta la sua carriera provoca i leggendarigiudizı del tipo: questa e cultura del 1280, o del 1520, o del 1610? Larisposta potra essere solo affermativa, sulla giustificazione che quellacultura si pone fuori della storia.”
15.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
16E. B. Garrison, Italian Romanesque Panel Painting. An Illustrated Index (Firenze, 1949);
il testo originale della prefazione dice (p. 1):
“The present Illustrated Index of Italian Romanesque Panel Painting has been compiled
with the conviction that, at our present stage of knowledge, progress toward a correct
history of painting in Italy will best be served through concentration upon the elementary
problems of attribution and dating (. ..). The spate of attribution, historical inductions and
aesthetic judgement has been unending. But it is obvious that many of the attributions have
been mere play with the scarse material, and that many of the inductions have been, from
the very standpoint of logic, weak, since the instances from which they derived have been so
few. And to attempt an aesthetic evaluation of a painter without knowing precisely which
painting are his is a patent inanity.”.
Longhi aveva posto in dubbio la validita degli studi iconografici,
cioe sul contenuto, come metodo di indagine sulle opere d’arte, alla
pari degli studi sullo stile, cioe sulla forma. Garrison, verso i cui studi
era indirizzata l’espressione “tabelle di concordanza” del “Giudizio”,
fu ben deciso nel collegare le chiusure metodologiche di Longhi al
nazionalismo fascista. Scolaro di Richard Offner e un ammiratore di
Toesca, Garrison stava allora lavorando a Italian Romanesque Panel
Painting, uscito nel 1949, un inventario di 705 dipinti romanici
formato da succinte schede, con una essenziale proposta di datazione
senza discussione critica, ciascuna delle quali corredata di una foto-
grafia di pochi centimetri quadrati di dimensione, certamente utile ai
fini della catalogazione completa propostasi da Garrison, ma inutiliz-
zabile ai fini di una lettura formale delle opere presentate. L’ondata
di piena delle attribuzioni, delle induzioni storiche, che dall’analisi di
una singola opera risalivano a giudizi generali, e dei giudizi estetici
era stata senza fine; e chiaro, premette Garrison al suo libro, che
molte delle attribuzioni erano state un mero giocare con lo scarso
materiale disponibile; e tentare una valutazione estetica di un pittore
senza conoscere precisamente quali pitture siano sue e patente inani-
ta16
. Pochi anni piu tardi, attaccando Longhi in “The Role of Criti-
cism in the Historiography of Painting” uscito nel 1950-1951, Garri-
son sostenne che il danno maggiore alla critica storica era stato fatto
dalla critica idealistica: Croce vuole determinare se un oggetto A e
un’opera d’arte, se ha valore estetico lo e, se no, non lo e; Longhi
attacca il filologismo in maniera crociana; entrambi dimenticano
fatica e risultati degli studi filologici (come quelli del suo maestro
Offner ed i suoi). Conseguenza di quell’approccio idealistico sono
l’inconsistenza, gli sbagli clamorosi e le attribuzioni cosı cattive (“so
bad”) fatti su Cimabue e altri artisti dalla critica italiana e soprattutto
da Longhi, il piu volatile di tutti, il quale, dopo aver sparato contro i
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
17E. B. Garrison, “The Role of Criticism in the Historiography of Painting”, College Art
Journal 10 (1950-1951), pp. 110-120, citazioni da pp. 110, 112 nota 15, 115, 117, 119.
collezionisti miliardari, con le sue attribuzioni di opere mediocri
rende loro oggettivamente un servizio:
“This inconsistency is not alone in this most volatile of all writers.After railing against the «collezionisti miliardari», he proceeds by hisexaltory attributions of several mediocre works to render the mostobject servitude to them.”.
I critici alla Longhi debbono rifarsi necessariamente ai lavori dei
filologi. Le esortazioni di Croce a considerare l’artista, ma a non
perdere tempo in attribuzioni, hanno condotto i critici idealisti a
scrivere contro pittori dei quali hanno solo una vaga idea di quali
opere siano effettivamente da attribuire loro. Tutta questa scuola di
critica idealistica e oggi in stato caotico: il concetto di pura esteticita
di Croce e vuoto di contenuto come quello di dovere morale di
Kant; e mera espressione di gusti personali. I bizzarri, personali
criteri di giudizio applicati da Longhi nella sua diatriba contro il
Duecento ne sono esempio eccellente. Poi, Garrison punto il dito
sulle collusioni di Longhi con il fascismo: il “Giudizio” va inteso
riferendolo al razzismo autarchico-idealista che prevaleva in politica
nel 1939, l’anno nel quale fu scritto; esso prova che anche nella
critica d’arte era penetrato qualcosa di razzistico; dato che in questa
critica, nonostante Longhi protesti esplicitamente il contrario, la
principale obiezione all’arte bizantina e proprio il suo bizantinismo,
al quale Longhi da gli epiteti piu scurrili:
“It attests that something similar had penetrated even unto the sanctaof art history, for its chief critical objection to Byzantine artisticexpression in Italy is, I believe, in spite of his explicit protest to thecontrary, its very Byzantinism, to which he affixes all manner ofscurrilous epithets.”.
Cosı, Longhi aveva trionfato in Italia grazie alla capacita di
incantare propria dei suoi scritti (“the genius and eloquence of the
judge may enchant us”); la critica di Longhi prefigura una “Dark
Age”, e una triste testimonianza delle qualita della storia e della
critica dei nostri tempi17
.
Punto sul vivo, Longhi dette a Garrison una acida e risentita
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
18R. Longhi, “Prima Cimabue, poi Duccio”, Paragone 2, n 23 (novembre 1951), pp.
8-13, citazioni da pp. 11-12.
risposta, quasi immediata, in “Prima Cimabue, poi Duccio” del
1951:
“[Garrison] nega al mio metodo, perche (a sua detta) crociano eidealistico, la facolta di raggiungere risultati effettivi di «storia descrit-tiva» (...); (...) da parte mia, non neghero mai che anche con quel suo‘metodo del sagomaio’ non possano ritrovarsi nuovi maestri o almenonuovi artigiani del peso di un pittore di Montajone o di quello diCastellare. Ad ognuno i suoi.”.
E spiega come allusione politica al presente il suo attacco a
Bisanzio nel “Giudizio”: l’arte bizantina, cioe, come paradigma anti-
mussoliniano di un’arte che si lascia asservire a un regime totalitario:
“Ma, ripeto, non e per tanto poco che occorre far cenno di codestostoriografo ‘descrittivo’. Egli merita ben altra citazione per un diversopunto del suo saggio, quello dove intende spiegare agli americani ilsignificato, per nessuno incondito, della mia cosiddetta ‘stroncatura’dell’arte bizantina tarda. Qualcuno forse ha in mente che quel mioattacco recava un giudizio, inevitablmente anche etico-politico sul casostoricamente piu illustre di un’arte che si lascia vessare e totalmenteasservire dai dettami di un regime totalitario, cosı da ridursi in breve amero automatismo tecnico. (...)Che dire? la mia difesa di un’arte che sappia conquistarsi e conservarsiil margine necessario di liberta creativa, la mia esaltazione, pertanto,della grande cultura d’occidente in confronto al ‘polmone meccanico’del tardo artigianato orientale, e, nello stesso tempo, il riconoscimentoche i maggiori dugentisti italiani amarono semmai di rifarsi diretta-mente dai tempi in cui l’oriente artistico era stato di lievito anche perRoma, diviene, poco manca, l’espressione di un mio odio personalecontro le razze del Mediterraneo orientale. E perche non addiritturaun parallelo fiancheggiante dell’impresa di Mussolini contro la Grecia.Ora, e pur vero, noi contiamo in Italia, nel nostro campo di studı, sutaluni ipocriti, parecchi sopraccio, molti sufficienti, o sgonfiori, odulcamara, o venditori di fumo, ecc.; ma, neppure fra di essi, ci e maiavvenuto di dover scansare un simile spurgo di luridume morale. E ciconforta, almeno, che non si tratti di un esempio italiano.”
18.
Longhi giustifico cosı i suoi giudizi antibizantini e rivelo accenti
critici verso il regime contenuti nei suoi scritti, dei quali, comunque,
ne Toesca ne altri oppositori del regime si erano accorti. Anche in
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
19R. Longhi, “Le arti”, in Romanita e Germanesimo, pp. 209-239; “Omaggio a Benedetto
Croce”, Paragone 3, n 35 (novembre 1952), pp. 3-9, specialmente p. 5, dove Longhi
afferma di aver respinto “tutti i conati di estetiche a fondamento climaterico, ambientale e,
soprattutto, razzistico (si noti che cio avveniva in un volume quasi ufficioso di fiancheggia-
mento dell’‘Asse’)” L. Venturi, “Gli studi di storia dell’arte medievale e moderna”, in
Cinquant’anni di vita intellettuale italiana 1896-1946. Scritti in onore di Benedetto Croce per il
suo ottantesimo anniversario, a cura di C. Antoni e R. Mattioli (Napoli, 1950), vol. 2, pp.
175-189.20
R. Longhi, “Omaggio a Pietro Toesca” e “Un ignoto corrispondente del Lanzi sulla
Galleria di Pommersfelden”, Proporzioni 3 (1950), pp. v-ix e 216-230 rispettivamente; G.
Matthiae, “Tradizione e reazione nei mosaici romani dei secc. VI e VII”, pp. 10-15; E.
Kitzinger, “On the Portrait of Roger II in the Martorana in Palermo”, pp. 30-35.21
Longhi, “Omaggio a Pietro Toesca” citazione da p. IX.
“Omaggio a Benedetto Croce”, uscito l’anno seguente (1952) su
Paragone, Longhi vanto la critica verso l’ideologia fascista, scoppiata
soprattutto dopo le leggi razziali, che era contenuta nel suo saggio
pubblicato in Romanita e Germanesimo e cito come testimone a suo
favore proprio Croce, che questa critica avrebbe recepito e apprezza-
to19
. Longhi, comunque, cerco il riavvicinamento sia a Toesca, per
primo (a lui dedico, oltre al “Giudizio”, l’intero terzo volume del
1950 di Proporzioni, una delle riviste dirette da Longhi, per l’occa-
sione del ritiro di Toesca dall’insegnamento e per i cinquant’anni dal
suo primo scritto pubblicato a stampa), sia, piu tardi, a Berenson,
con la mediazione di Toesca, sia infine a Croce, dopo la morte, con
l’“Omaggio” del 1952. Agli scritti per Croce, del 1950, era stato
pero invitato a contribuire, come storico dell’arte, Lionello Venturi e
non Longhi. In Proporzioni Longhi raccolse una trentina di saggi per
Toesca, tra gli autori dei quali, oltre che lui stesso, compaiono
medievalisti (Gugliemo Matthiae), bizantinisti (Kitzinger) e storici
dell’arte rinascimentale e moderna20
. Nell’introduzione di omaggio al
maestro, Longhi rimarco l’atteggiamento di Toesca di tranquilla di-
gnita, mai di acquiescenza verso il fascismo:
“E, perche si parla qui di anni difficili, non e da tacere che al Suosentire schiettamente italiano, perche inteso in accezione altamenteculturale e non di vano nazionalismo, fu sempre congiunto un atteg-giamento di tranquilla dignita, mai di acquiescenza. Piace cosı ricor-dare, fra i tanti casi, che si deve alle Sue dichiarazioni autorevolissimese pote frustrarsi il desiderio «fascistico» di spedire all’estero la «Pieta»palestrinese di Michelangelo, oggi a Firenze.Questo, in breve, l’uomo, il conoscitore e lo storico al quale, dopo iltermine della Sua lunga attivita d’insegnante, e a cinquant’anni precisidal Suo primo scritto a stampa, si rende omaggio con questo volu-me.”
21.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
22I brani di Toesca riportati sono da tre lettere a Berenson, datate 8 aprile 1946, 26
settembre 1949 e 26 novembre 1949, conservate nella Biblioteca Berenson, Villa I Tatti,
Settignano (Firenze).
Toesca aveva scritto a Berenson: i giovani vogliono seppellire gli
anziani loro maestri, salvo qualche resipiscenza quando invecchiano
anche loro; “cosı e avvenuto a me, giorni fa, quando ho ricevuto una
affettuosissima lettera da Roberto Longhi (ma perche? e c’e da
fidarsene?)”. Toesca perdono Longhi ed invito Berenson a un riavvi-
cinamento:
“Di quest’ultimo [scilicet: Longhi] io non Le scrissi mai, sapendo chel’argomento Le era molesto; ma intanto anche per Longhi gli annisono passati e alla acerbita ha fatto seguito – mi sembra – una certaequanimita: e a me egli si e riaccostato, e io molte cose ingrate gli hoperdonato.”“Ne ella si meravigli della mia parzialita per il Longhi. Gli anni sonopassati, e molti: anche il Longhi ha perduto la sua acerbita; dopo moltiscrezi e dispetti, si e riavvicinato anche a me; ne io posso dimenticareche lo ebbi primo tra i miei studenti. E a questo proposito, perche nonsi dovrebbe ora, il Longhi, riavvicinare anche a B. B.? So ch’egli, puravendone colpa, non sa darsi ragione delle relazioni punto cordiali incui si trova con Lei: ed io mi auguro ch’egli trovi modo di riavvicinarsianche a Lei.”
22.
Anche se la valutazione data nel “Giudizio” su Bisanzio risulto
opposta a quella data da Toesca, a dispetto dei tentativi che scolari
di Longhi fecero poi per smussare i contrasti, quel testo costituı il piu
incisivo ed influente scritto di uno studioso italiano sull’arte del
Duecento e sull’arte bizantina di quegli anni e fu preso come deca-
logo dagli scolari di Longhi e da altri studiosi che a lui si avvicina-
rono. Ferdinando Bologna, in La pittura italiana delle origini del 1962,
demolı con espressioni longhiane l’apprezzamento per i primitivi di
Lionello Venturi, unico critico italiano che Bologna si dilunga a
screditare, e la “filologia descrittiva” di Garrison:
“Abbiamo avuto cosı, recentemente, da un lato un «corpus» di pitturemedievali italiane, quello del Garrison, che e a suo modo un «master-piece» di filologia distaccatamente descrittiva, un capolavoro di indiffe-renza per altro che non sia pura classificazione sulla scia dell’insegna-mento di Richard Offner; dall’altro, invece, un puro elogio mistico,quello di Lionello Venturi, che, mosso dal folle amore per un principiopoco circostanziato, anzi addirittura astratto, di partecipazione inte-
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
23F. Bologna, La pittura italiana delle origini (Roma, 1962), citazioni da pp. 6-7, 55-56.
24C. Brandi, Duccio (Firenze, 1951), citazione da p. 7. C. Volpe, “Preistoria di Duccio”,
Paragone 5, n 49 (gennaio 1954), pp. 4-22, citazione da p. 8.
grale all’ora corrente, ha finito col rifugiarsi in un esoterismo ambiguoe profondamente antistorico, di vecchia marca ruskiniana.”.
Vide poi la luce il “Giudizio sul Duecento”, che fece giustizia di
questi errori metodologici. Piu volte Bologna trova il modo di rivol-
gere elogi a Toesca. De Francovich e invece introdotto da Bologna
per le intuizioni sul presunto monopolio siriaco sull’arte medievale:
Bologna fa cosı risalire a influssi siriaci quanto di espressionistico
incontra nell’arte dell’Occidente, come gli affreschi di Santa Sofia a
Benevento o di San Vincenzo al Volturno. Viceversa, ripetendo
Longhi, Bologna dichiara la sua fede sulla nullita del valore dell’arte
bizantina posticonoclastica, coniando per essa espressioni senza spes-
sore: “intima sterilita”, “aulicita vuota e formalmente rituale”, “arti-
ficiale disumanizzazione che caratterizza si puo dire per intero la
produzionedi questa particolare orbita della civilta medievale”.
Come era nelle premesse – ed il lettore non avrebbe certamente
dubitato –:
“la posizione piu feconda e certamente quella assunta ripetutamenteda Longhi tra il 1937 e il 1947.”
23.
Sul fascicolo Arte del 1954 di Paragone, la rivista diretta da
Longhi, Carlo Volpe nego poi il “retroterra comune” di natura
bizantina di Cimabue e Duccio. Al contrario, Cesare Brandi, che
non aveva da accattivarsi Longhi, echeggiando la definizione di
Berenson “fino all’anno 1200 la pittura in tutta Europa fu costanti-
nopolitana”, comincio la sua monografia su Duccio del 1951 dichia-
rando che “fino a tutta la meta del Duecento la pittura in Europa fu
pittura bizantina”24
.
d. Bianchi Bandinelli ed i Princetoniani
Giuseppe Bovini sulla Rivista di archeologia cristiana del 1947-1948 e
Cecchelli su Doxa del 1951 recensirono Illustrations in Roll and Codex,
un libro di metodologia sulla illustrazione dei testi nell’antichita e nel
medioevo, scritto da Weitzmann, lo studioso tedesco che durante il
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
25K. Weitzmann, Illustrations in Roll and Codex. A Study of the Origin and Method of Text
Illustration (Princeton, N.J., 1947). G. Bovini, Recensione a Kurt Weitzmann, Illustrations in
Roll and Codex. A Study of the Origin and Method of Text Illustration (Princeton, N.J.:
Princeton University Press, 1947), Rivista di Archeologia Cristiana 23-24 (1947-1948), pp.
389-392. C. Cecchelli, “Archeologia ed arte cristiana dell’antichita e dell’alto medioevo”,
Doxa 4 (1951), pp. 5-10. La discussione su Weitzmann e Bianchi Bandinelli in questo
paragrafo ricalca quanto da me gia scritto nella “Introduzione al testo” in K. Weitzmann,
Le illustrazioni nei rotoli e nei codici. Studio della origine e del metodo della illustrazione dei testi
(Scritti di Kurt Weitzmann, 1: Illustrations in Roll and Codex. A Study of the Origin and Method
of Text Illustration), a cura di M. B. (Firenze, 1983), pp. i-xlii. Su Bianchi Bandinelli vedi
Ranuccio Bianchi Bandinelli e il suo mondo, [Roma] Universita degli Studi “La Sapienza”,
Museo dell’Arte Classica, 5 dicembre 2000 – 20 febbraio 2001, catalogo della mostra, a
cura di M. Barbanera (Bari, 2000).26
Su questi punti, vedi M. Bernabo, “Lo studio dell’illustrazione dei manoscritti greci del
Vecchio Testamento ca. 1820-1990”, Medioevo e Rinascimento 9, n. s. 6 (1995), pp. 278
sgg.27
In particolare, Cecchelli non accetto la ricostruzione dell’aspetto dell’archetipo della
Genesi di Vienna proposta da Weitzmann, introdusse una classificazione di schemi illustra-
nazismo si era rifugiato a Princeton su invito di Morey25
. La metodo-
logia del libro di Weitzmann, riconosciuto come la base per gli studi
di storia dell’illustrazione dei testi medievali, bizantini e occidentali,
codificava la tradizione dell’archeologia e della filologia germaniche a
cavallo del 1900 e l’enorme lavoro sulla nascita e sviluppo della
illustrazione cristiana che veniva svolto a Princeton da Morey, Friend
Jr e lo stesso Weitzmann per il Corpus of the Illustrations in the
Manuscripts of the Septuagint, varato negli anni Venti, e per l’Index
of Christian Art, fondato nel 191726
. Bovini riassunse il libro di
Weitzmann sottolineando come il lavoro fosse “una indagine sui vari
metodi e principi che possa permettere in seguito di scrivere una
storia sistematica della miniatura”; in realta, Bovini non concepiva il
lavoro di Weitzmann, che aveva gia dedicato e dedichera in seguito
gran parte dei suoi oltre sessanta anni di ricerca alla miniatura, come
una storia sistematica della miniatura, dato che la sua era una storia
iconografica e non stilistica. Cecchelli sollevo riserve sulla “costru-
zione dottissima e ammirevole” di Weitzmann e in particolare sulla
sua ricostruzione della storia della illustrazione dei testi; l’arte cri-
stiana non e un “mediocre ricalco dell’arte classica” – idea che
Cecchelli attribuisce erroneamente a Weitzmann –, “ma veramente
una creazione che si avvale di parecchie scaturigini” – cioe, per
Cecchelli, ellenismo, romanita, Oriente – “per esprimere una idea
nuova. E c’e un segno distintivo assolutamente suo di cui gli storici
dell’arte non si sono mai accorti: la composizione di due storie
umane, quella del popolo ebraico e quella del popolo nuovo uscito
dalle acque del Battesimo”27
.
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
tivi per i dipinti della sinagoga di Dura Europos e infine anche una classificazione – di
scarso spessore – delle illustrazioni di rotoli e codici suddividendole in decorazioni episodi-
che marginali, decorazioni episodiche centrali, narrazioni continue, composizioni di piu
episodi in uno o due ordini sovrapposti, grandi scene di soggetto unico.28
R. Bianchi Bandinelli, “Schemi iconografici della miniature dell’Iliade Ambrosiana”,
Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche.
Rendiconti, ser. 8, 6 (1951), pp. 421-453; “Continuita ellenistica nella pittura di eta medio-
e tardo-romana”, Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte, n. s., 2 (1953),
pp. 77-161; “Recensione e ricostruzione del codice dell’Iliade Ambrosiana”, Atti della
Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Rendiconti, ser. 8,
8 (1953), pp. 466-484; Hellenistic-Byzantine Miniatures of the Iliad (Ilias Ambrosiana) (Olten,
1955).29
La lettera e conservata nella Biblioteca Berenson, Villa I Tatti, Settignano (Firenze).
Diverso fu l’atteggiamento di alcuni archeologi e soprattutto di
Bianchi Bandinelli verso gli studi di Weitzmann e del gruppo di
Princeton. Il confronto tra gli approcci metodologici dei due studiosi
avvenne sulle miniature dell’Iliade Ambrosiana, le malridotte pitture
sui fogli superstiti del codice F. 205 inf. della Biblioteca Ambrosiana
di Milano. Nel 1955 Bianchi Bandinelli pubblico Hellenistic-
Byzantine Miniatures of the Iliad (Ilias Ambrosiana). Il libro era stato
preceduto dalla pubblicazione del facsimile dell’Iliade Ambrosiana
nel 1953 e da tre saggi in italiano di Bianchi Bandinelli che, in
versione inglese, costituirono altrettante sezioni del libro del 1955,
cioe “Schemi iconografici della miniature dell’Iliade Ambrosiana”
(1951), “Continuita ellenistica nella pittura di eta medio- e tardo-
romana” (1953) , “Recensione e ricostruzione del codice dell’Iliade
Ambrosiana” (1953)28
. Scrivendo il 21 gennaio 1955 a Berenson,
Toesca giudico “interessante” il lavoro di Bianchi Bandinelli sull’I-
liade Ambrosiana – Bianchi Bandinelli era uno dei pochi studiosi
stimati da Toesca per la sua serieta e capacita – e commento:
“Sembra che, mutato il momento politico, ora la pittura ‘romana’ vadaritornando ‘ellenistico-romana’ come diceva il nostro povero G. E.Rizzo. Ma bisognera attendere ancora.”
29.
Toesca, d’altra parte, si era gia espresso, quanto alla storia della
illustrazione dei testi, alla copiatura dei cicli miniati da un modello a
una nuova edizione e a metodologia di studio, a favore di un
approccio simile a quello dei princetoniani (o degli archeologi e
storici dell’arte medievale di formazione germanica) nella voce “Ico-
nografia” dell’Enciclopedia Italiana e ne Il Medioevo:
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
30Toesca, Il Medioevo, p. 297.
31R. Bianchi Bandinelli, “Virgilio Vaticano 3225 e Iliade Ambrosiana”, Nederlands
Kunsthistorisch Jaarboek 5 (1954), pp. 225-240; “Discussione sull’Iliade Ambrosiana”, in
Seminario di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana dell’Universita di Roma, Studi
miscellanei, 1 (Roma, 1961), pp. 1-9; “Conclusioni sull’origine e la composizione dell’Iliade
Ambrosiana”, Dialoghi di archeologia 7 (1973), pp. 86-96. K. Weitzmann, Recensione a R.
Bianchi Bandinelli, Hellenistic-Byzantine Miniatures of the Iliad (Ilias Ambrosiana), Olten: Urs
Graf-Verlag, 1955”, Gnomon 29 (1957), pp. 606-616. C. Bertelli e V. Bartoletti, Recen-
sione a R. Bianchi Bandinelli, Hellenistic-Byzantine Miniatures of the Iliad (Ilias Ambrosiana),
Olten-Lausanne, Urs Graf-Verlag, 1951, La parola del passato 12 (1957), pp. 459-474
(Bertelli, pp. 459-472; Bartoletti, pp. 472-474).
“(...) sebbene finora non sia noto alcun libro miniato, classico, cherisalga oltre il secolo IV d.C., e da credere che in molti codici piurecenti le miniature ripetono quelle di esemplari ellenistici: poichementre i calligrafi trascrivevano da codici antichi i testi classici, eraovvio che i miniatori esemplassero sulle miniature di quelli le loroillustrazioni, seguendo il procedimento di ripetizione di tipi iconogra-fici, comune ad ogni periodo dell’arte, normale nell’eta classica. Anzi,le miniature di alcuni testi classici persino nel Medioevo inoltratoripeterono quelle di codici di eta assai remota, quantunque con altera-zioni, cagionate dal divario dello stile o anche di false interpretazionidei particolari dei loro modelli.”
30.
Valutazioni che potrebbero figurare in scritti di Weitzmann. Di
Bianchi Bandinelli, oltre agli articoli poi tradotti in inglese come
capitoli del libro sull’Iliade Ambrosiana, apparvero un articolo su
Iliade Ambrosiana e Virgilio Vaticano (cod. Vat lat. 3225), “Discus-
sione sull’Iliade Ambrosiana”(1961) e “Conclusioni sull’origine e la
composizione dell’Iliade Ambrosiana” (1973). Nel 1957 Weitzmann e
Carlo Bertelli pubblicarono le loro recensioni a Hellenistic-Byzantine
Miniatures of the Iliad31
.
In precedenza Bianchi Bandinelli si era occupato degli ultimi
secoli dell’arte romana, ma a spingerlo verso l’illustrazione dei testi e
in particolare verso problemi metodologici dell’origine e la trasmis-
sione dei cicli illustrativi dei testi dovette essere stato quasi certa-
mente l’incontro con i princetoniani Morey e Teodoro (Doro) Levi.
Le metodologie sbarcate in Italia dopo la liberazione dovettero appa-
rirgli come uno strumento di emancipazione da Croce, del quale
Bianchi Bandinelli riconobbe il ruolo di faro morale negli anni del
fascismo, ma del quale nello stesso tempo capı anche la apparte-
nenza al passato:
“L’unica luce che in questi anni ha sorretto e guidato gli intellettualiitaliani, e specialmente i cultori di scienze morali, non e partita
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
32Il riconoscimento di Bianchi Bandinelli a Croce, ben noto, apparve in “A che serve la
storia dell’arte antica?”, la prolusione tenuta nel riassumere la cattedra di Archeologia e
Storia dell’Arte Antica all’Universita di Firenze, il 13 novembre 1944, e poi pubblicata su
Societa 1, nn 1-2, (gennaio-giugno 1945), p. 11.33
C. R. Morey, “Il Rinascimento bizantino”, in Atti del Primo Convegno Internazionale per
le arti figurative, pp. 90-100. D. Levi, Antioch Mosaics Pavements (Princeton, N.J., 1947).
dall’Universita: e stata quella della parola e del pensiero di BenedettoCroce. Noi tutti gli siano debitori, se non abbiamo disperato e se nonabbiamo abbandonato il nostro posto: questo debito non possiamodimenticarlo. Ma anche quello del Croce e stato, in certo modo e pernecessita di circostanza, un monopolio, un assolutismo intellettuale.Oggi che siamo usciti da quel carcere, nel quale la sua era la sola luceche polarizzava i nostri sguardi, essa ci e apparsa meno intensa, menoviva. Noi la vediamo ancora brillare nel fondo dell’oscurita dalla qualeuscimmo; ma intorno a noi la vita e il sole son tornati a fremere conrinnovata potenza e il grande vecchio non sta piu dinanzi a noi comeuna meta o un faro. Se lo scorgiamo ancora, con uno sguardo diaffetto, e quando ci rivolgiamo indietro.”
32.
Morey aveva riassunto la sua interpretazione delle origini del-
l’arte bizantina, della continuita dell’arte ellenistica in essa e della
Rinascenza Macedone in un intervento al Convegno Internazionale
per le Arti Figurative di Firenze del 1948. Levi, dopo l’esonero dalla
cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte Classica a Cagliari in
seguito al decreto di proscrizione razziale di Bottai, era stato fatto
venire su raccomandazione di Morey all’Institute for Advanced
Study di Princeton, come era avvenuto con lo stesso Weitzmann, ed
era stato poi invitato da Morey a scrivere uno studio generale sui
mosaici portati alla luce ad Antiochia negli anni Trenta, che apparve
nel 194733
.
Come anticipato sopra, Morey aveva raccolto a Princeton, in-
sieme a Weitzmann e Friend Jr, una vastissima collezione di mate-
riale fotografico sui manoscritti bizantini e sull’arte cristiana fino
all’anno 1400. A differenza delle raccolte fotografiche d’arte in Italia
basate sulla storia stilistica, arrangiate cioe per periodi, scuole e
singoli artisti, l’Index di Morey, che nel 1942 possedeva circa 50.000
fotografie, per le quali erano state redatte 261.000 schede, e un
catalogo iconografico, arrangiato secondo il soggetto dell’opera
d’arte, che segue come ordine, dove possibile, la successione degli
eventi come narrati nei libri biblici, indipendentemente da luogo,
data e materiale di esecuzione. Il Corpus of the Illustrations in the
Manuscript of the Septuagint, l’altro progetto di Morey sui mano-
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
34Le notizie sull’Index si trovano in H. Woodruff, The Index of Christian Art, con una
prefazione di C. R. Morey (Princeton, 1942). L’attivita di Morey e in generale la fortuna di
Bisanzio negli Stati Uniti furono discussi da Weitzmann nel 1947 in “Byzantine Art and
Scholarship in America”.35
Vedi, ad esempio, Cinquanta monumenti italiani danneggiati dalla guerra.
scritti, era una serie di volumi che voleva fornire un repertorio
iconografico dalle illustrazioni nei manoscritti biblici (nell’idea origi-
naria doveva avere per oggetto sia i manoscritti dell’Antico Testa-
mento sia quelli del Nuovo Testamento, greci e latini), anche questo
non basato su criteri di raggruppamento per stile in periodi o scuole;
ciascuno dei volumi previsti doveva fornire la riproduzione completa
di un libro o gruppo di libri biblici: Genesi, Ottateuco, Libri Storici,
Salmi e Odi, Profeti, Giobbe e Libri Sapienzali34
.
A dispetto delle opposte ideologie (l’uno funzionario d’amba-
sciata americano, l’altro dirigente comunista), ci furono tra Morey e
Bianchi Bandinelli grande stima e collaborazione. Bianchi Bandinelli
celebro l’attivita in Italia e le ricerche di Morey nel necrologio dopo
la morte avvenuta nel 1955. Finita la guerra, Bianchi Bandinelli fu
nominato Direttore Generale delle Antichita e Belle Arti ed ebbe cosı
piu occasioni di lavorare con Morey che era presidente del Comitato
Americano per il Restauro dei Monumenti Italiani35
Morey, inoltre,
aveva ricoperto per sette anni la carica di addetto culturale presso
l’ambasciata statunitense in una situazione, scrive Bianchi Bandinelli
nel necrologio,
“per la quale occorreva molto tatto, molta umanita ed un sensoequilibrato per giudicare uomini e cose in un paese, l’Italia, sconvoltoda una crisi politica profonda, e che anelava, nella appena riconqui-stata liberta civile ad aggiornare la propria cultura dopo anni diisolamento e di controllo autoritario, ma anche a riprendere unapropria autonoma via di ricerca e di progresso.”.
Morey si era adoperato anche per far riconoscere all’Italia il
diritto di restituzione delle opere d’arte trafugate. Riassumendo il
contributo scientifico di Morey, Bianchi Bandinelli rammento anche
la vicenda del conflitto ideologico del ventennio trascorso imperniato
su Orient oder Rom:
“il suo campo preferito fu l’indagine sul trapasso tra arte ellenistica earte medievale bizantina: un campo nel quale egli ha contribuito asradicare vecchi pregiudizi (come quello che separava in due discipline
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
36R. Bianchi Bandinelli, “Charles Rufus Morey”, in Atti della Accademia Nazionale dei
Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Appendice. Necrologi di soci defunti nel
decennio dicembre 1945 – dicembre 1955, fasc. 1 (Roma, 1956), citazioni da pp. 52, 53-54.37
U. Monneret de Villard, Le pitture musulmane al soffitto della Cappella Palatina di
Palermo (Roma, 1950).
distinte l’arte tardoromana pagana e l’arte paleocristiana). (...) La suadivisione in due correnti, neo-attica e alessandrina, dell’arte ellenistico-tardoromana potra apparire troppo schematica e forse i due terminipotranno apparire piuttosto dei simbolici termini tecnici, che delle vereentita storiche. Cio non toglie nulla alla utilita che hanno avuto ehanno tuttora per articolare e condurre innanzi la ricerca in un campocosı pieno di incertezze e cosı tenacemente ostruito da tesi precon-cette, incrostatesi attorno all’antistorica polemica “Oriente o Roma”che non avrebbe dovuto sorgere se il metodo di una concreta indaginestorica fosse stato piu adeguatamente usato dagli studiosi d’arte.”
36.
Alle iniziative menzionate da Bianchi Bandinelli, andrebbe ag-
giunto il supporto a pubblicazioni su soggetti d’arte orientale; fu
Morey che raccolse i fondi, provenienti per lo piu da universita
americane (tra le quali la sua stessa universita di Princeton), per la
monografia di Monneret de Villard su Le pitture musulmane al soffitto
della Cappella Palatina di Palermo, del 1950. Nella prefazione Monne-
ret de Villard lamento la scarsita di sussidi librari per lo studio
dell’archeologia e della storia dell’arte orientale di cui disponevano le
biblioteche italiane; ringraziamenti, oltre a Morey, furono rivolti a
Toesca, presidente dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia
dell’Arte, per il patrocinio del lavoro presso l’editore, la Libreria
dello Stato37
.
13
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
“In Italia non ho potuto vedere che tali minacce siano
effettivamente evidenti, e quel paese mi sembra meno
nervoso del nostro di fronte alla minaccia comunista
(...). Davvero, riguardo a Croce, e se un significato piu
gioviale potesse essere accordato alla parola ‘minaccia’,
si potrebbe includere lui nei fattori che condizionano e,
in un certo senso, pongono limiti alla produzione di
scritti italiani nel campo della storia dell’arte al tempo
presente.”
C. R. Morey, “Art and the History of Art in Italy”,
1950, pp. 219-220.
Negli anni Trenta e subito dopo la seconda guerra mondiale, una
serie eccezionale di scoperte e restauri di opere d’arte tardoantiche,
bizantine ed altomedievali costrinsero gli storici dell’arte italiani a
misurarsi con l’arte bizantina su nuovi terreni di studio. Tra le opere
entrate nella discussione, la cui presenza divenne poi abituale nei
manuali di storia dell’arte, sono gli affreschi di Castelseprio, i mo-
saici di Antiochia, di Piazza Armerina, di Santa Sofia e del Gran
Palazzo degli imperatori a Costantinopoli, le icone ed i mosaici del
monastero di Santa Caterina al Sinai, i dipinti della sinagoga di Dura
Europos, i piatti d’argento dell’Hermitage: questi ritrovamenti, molti
dei quali, come i mosaici del Gran Palazzo ed i piatti d’argento, sono
opere che mostrano una persistenza dello stile ellenistico ancora
almeno nel VII secolo, distolsero l’attenzione dal problema delle
origini orientali dell’arte bizantina e la trasferirono sulla tradizione
ellenistica nell’arte bizantina e in particolare sul ruolo avuto da
Costantinopoli come centro artistico e come custode della cultura
antica; suscitarono, inoltre, il problema della genesi dell’iconografia
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
1Alcuni dei ritrovamente qui citati sono discussi piu avanti in questo capitolo; per gli
altri vedi: L. Matzulewitsch, Byzantinische Antike. Studien auf Grund der Silbergefasse der
Ermitage (Archaologische Mitteilungen aus Russischen Sammlungen, 2. Berlin – Leipzig,
1929); i resoconti dei lavori a Santa Sofia di Thomas Whittemore furono pubblicati da
Oxford University Press nel 1933, 1936 e 1942 ( The Mosaics of Haghia Sophia at Istanbul.
First Preliminary Report. The Mosaics of the Nartex; Second Preliminary Report. The Mosaics of
the Southern Vestibule; Third Preliminary Report. The Imperial Portraits of the South Gallery);
per i mosaici del Gran Palazzo: The Great Palace of the Byzantine Emperors, Being a First
Report on Excavations Carried out in Istanbul on Behalf of the Walker Trust (The University of
St. Andrews) 1935-1938 (Oxford – London, 1947); The Great Palace of the Byzantine
Emperors. First Report, a cura di G. Brett, W. S. Macaulay e R. B. K. Stevenson (Oxford,
1947); Second Report, a cura di D. T. Rice (Edinburgh, 1958); sulla sinagoga di Dura
Europos: C. H Kraeling, “The Synagogue,” in The Excavations at Dura-Europos. Preliminary
Report of the Sixth Season of Work. October 1932 – March 1933, a cura di M. I. Rostovtzeff, A.
R. Bellingen, C. Hopkins, C. B. Welles (New Haven, 1936), pp. 337-383, e C. Kraeling,
The Synagogue (The Excavations at Dura-Europos. Final Report, a cura di A. R. Bellinger, F.
E. Brown, A. Perkins e C. B. Welles, Vol. 8/1. New Haven, 1956).
cristiana e del suo debito verso la iconografia ebraica1. In Italia, il
vecchio problema delle origini orientali dell’arte bizantina ebbe una
fortuna tardiva ed effimera negli anni Cinquanta nella interpreta-
zione pansiriaca dell’arte bizantina e occidentale sostenuta da De
Francovich, mentre il problema della esistenza di un’arte figurativa
ebraica e del contributo dato da questa alla nascente arte cristiana –
un problema di iconografia piuttosto che di stile – fu ignorato dagli
studiosi. Al fervore di studi che questi nuovi materiali provocarono
va aggiunta la fioritura di ricerche sui manoscritti miniati, favorita
dalla mostra sulla miniatura italiana di Palazzo Venezia del
1953-1954 e dalla pubblicazione dei facsimile dell’Iliade Ambrosiana
e dell’Evangeliario di Rabbula della Laurenziana. La metodologia,
stilistica o iconografica, con cui affrontare le opere d’arte, ora che
erano finita l’autarchia fascista e i deliri panromanisti, emerse come
problema primario; la discussione, da opposizione politica di princi-
pio tra romanisti filoregime ed orientalisti afascisti, rientro nei confini
di un confronto interno alla disciplina e si sposto sui temi specifici
delle opere d’arte medievale.
a. Il pericolo crociano
In La critica e la storia delle arti figurative del 1934, dove aveva
esaminato le tendenze della critica d’arte contemporanea, discutendo
in dettaglio scritti di Soffici, Longhi, Berenson e soprattutto Lionello
Venturi, Croce aveva cosı riassunto la sua lettura delle opere d’arte
figurativa:
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
2Croce, La critica e la storia delle arti figurative, p. 8.
3L’appello di Croce, scritto a Sorrento il 15 dicembre 1944, fu pubblicato col titolo
“Considerazioni sul problema morale del tempo nostro”, in Quaderni della “Critica” 1,
marzo 1945, pp. 1-15.4
La frase e una parafrasi dalla prefazione alla edizione italiana del libro di Frederick
Antal, Florentine Painting and Its Social Background, pubblicata da Einaudi nel 1960 col
titolo La pittura fiorentina ed il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento (p.
xxii).
“nella pittura e nelle arti figurative bisogna cercare, gustare e intenderesolo cio che e veramente artistico, solo la forma estetica, e non gia lamateria variamente interessante che nella forma e stata risoluta eoltrepassata. Donde la polemica contro le interpretazioni filosofiche esimboliche e storiche della pittura, e contro quelle passionali edoratorie. Chi innanzi a una pittura ripensa ai concetti adombrati,ricorda la storia commemorata (...) non e giunto ancora ad accoglierein se la pittura in quanto pittura, ossia in quanto arte”
2.
Gran parte degli studiosi del dopoguerra si ritrovarono intorno
all’appello per la rinascita morale italiana e contro il marxismo,
comunismo ecc. scritto da Croce a Sorrento nel 19443. Tra gli storici
dell’arte l’adesione fu quasi plebiscitaria. Frederick Antal, nell’edi-
zione italiana de La pittura fiorentina ed il suo ambiente sociale nel
Trecento e nel primo Quattrocento del 1960, di fronte a quella che lui
definı la tirannia dell’approccio esclusivamente formalistico all’arte
vigente tra gli studiosi italiani, dedico quasi integralmente la prefa-
zione a difendersi dalle aspettate critiche e incomprensioni che
avrebbe incontrato in Italia il suo lavoro che “cercava di spiegare
l’arte di un periodo, ed i diversi stili di essa, in stretta connessione
con la storia, il pensiero, il gusto di quello stesso periodo”:
“Non credo infatti che la storia dell’arte debba eternamente soggia-cere, sia pure inconsciamente, alla tirannia, tuttora cosı forte dellaconcezione dell’arte per l’arte: una concezione, com’e noto, che fuelaborata piu di un secolo fa’ da un gruppo di poeti e romanticifrancesi e che isola l’arte dalle idee del tempo, esaltandone i valorimeramente formali (o, come si usava dire, assoluti ed eterni).”
4.
Il contendere tra gli storici dell’arte italiani postbellici sembra
quasi sia stato su a chi doveva spettare il ruolo di autentico tradut-
tore del pensiero di Croce nella critica d’arte; e, parallelamente, su
chi dovesse essere considerato il vero erede di Toesca tra le progenie
antagoniste dei suoi primi discepoli, Longhi e Lionello Venturi. In
questa lotta per una autorevolezza, un peso ed anche il primato tra
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
5L. Venturi, “Gli studi di storia dell’arte medievale e moderna”, in Cinquant’anni di vita
intellettuale italiana 1896-1946. Scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo
anniversario, a cura di C. Antoni e R. Mattioli (Napoli, 1950), vol. 2, pp. 175-189; id.,
“Croce e la storia dell’arte”, Commentari 4 (1953), pp. 3-6. C. L. Ragghianti, Profilo della
critica d’arte in Italia (Firenze, 1942) e L’arte e la critica. Connessioni e problemi: discorso
estetico (Firenze, 1951). L. Grassi, “Benedetto Croce e la critica d’arte”, Rivista dell’Istituto
Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, n. s., 1 (1952), pp. 328-335; id., “Dommatismo di
un ‘discorso estetico’”, Paragone n 21 (settembre 1951), pp. 56-64. Nelle sezioni IA e IB
degli Atti del Primo Convegno Internazionale per le arti figurative sono pubblicati interventi
degli italiani C. Savonuzzi (“Roberto Longhi critico d’arte”, pp. 25-29), G. Nicco Fasola
(“Precisazione sulla critica d’arte attuale”, pp. 40-43), M. L. Gengaro (Metodo per una
storia dell’arte”, pp. 45-48), L. Grassi (“Insegnamento della storia dell’arte nei Licei”, pp.
201-203. R. Salvini, “Coralita dell’arte bizantina” e “Arte e socialismo”, Il Mondo n 23 (2
marzo 1946), p. 8. Saggi di altri autori sono discussi piu avanti in questo stesso capitolo.
gli storici dell’arte, sembra non conti che Croce e Toesca, nel
ventennio mussoliniano, fossero stati schierati su una trincea diversa
da quella di molti loro neoseguaci e contendenti di ora.
Longhi dette la sua adesione ideale a Croce nel Corollario al
“Giudizio sul Duecento” del 1947; ugualmente fecero Lionello Ven-
turi nel contributo per gli scritti in onore di Croce del 1950 e nel
panegirico del filosofo su Commentari del 1953; De Francovich nei
suoi scritti sull’arte siriaca del 1951; Salmi nei suoi scritti sulla
miniatura; De Capitan d’Arzago discutendo degli affreschi di Castel-
seprio nel 1948; Ragghianti in Profilo della critica d’arte in Italia (che
scrisse mentre si trovava nel carcere delle Murate di Firenze nel
maggio-giugno del 1942) e in L’arte e la critica del 1951; Luigi Grassi
recensendo quest’ultimo libro di Ragghianti; buona parte degli ora-
tori delle sezioni introduttive su estetica e metodologia del “Primo
Convegno Internazionale per le arti figurative” tenuto a Firenze, a
Palazzo Strozzi, dal 20 al 26 giugno 1948, e presieduto da Rag-
ghianti; Salvini, in parte, nella sua difesa dei valori spirituali ed
estetici dell’arte bizantina e nella affermazione dell’autonomia del-
l’arte dai totalitarismi politici, ecc.5. Anche chi era stato ampiamente
compromesso col fascismo ed era stato quindi apertamente o implici-
tamente avverso a Croce nell’anteguerra, aderı ora al partito cro-
ciano. Galassi, che aveva licenziato il suo manuale antistrzygow-
skiano Roma o Bisanzio nel 1929-1930, fu un esempio di conversione
senza rossori dallo spirito romanista del fascismo al crocianesimo;
nella premessa alla seconda edizione del libro del 1953, che ebbe un
secondo volume di aggiornamenti sui nuovi ritrovamenti artistici dal
sottotitolo Il congedo classico e l’arte nell’alto Medio Evo, Galassi di-
chiaro la sua fede nella ricerca della bellezza delle opere d’arte, fine
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
6G. Galassi, Roma o Bisanzio, vol. 2, Il congedo classico e l’arte nell’alto Medio Evo (Roma,
1953), p. vi.7
G. De Francovich, “I mosaici del bema della chiesa della Dormizione a Nicea (Consi-
derazioni sul problema: Costantinopoli, Ravenna, Roma)”, in Scritti di Storia dell’Arte in
onore di Lionello Venturi, con premessa di M. Salmi (Roma, 1956), pp. 173-197.
supremo della critica, parafrasando Croce e pontificando senza auto-
revolezza sulla sterilita delle ricerche filologiche sul loro significato:
“mi sono tuttavia sforzato di non dimenticare che il mio campo distudio era e resta quello dell’arte, convinto che tutte le investigazionicosı dette «filologiche» siano destinate a rimanere sterili nel dominiostorico-artistico, se mai non trovino lo sbocco naturale nel riconosci-mento della bellezza, fine supremo della critica.”
6.
Le interpretazioni di singole opere proposte da Galassi nel libro,
come gli influssi dell’arte dell’India sui mosaici del Sinai o il ruolo
preminente di Alessandria sull’arte del VI secolo – interpretazioni
prive di spessore o desuete –, furono irrise da De Francovich, che
proveniva dalla scuola di Toesca e Lionello Venturi ed era probabil-
mente memore del passato filofascista e antitoeschiano di Galassi;
anche le critiche di De Francovich erano basate su letture delle opere
esclusivamente stilistiche7.
La scelta crociana di tanti studiosi avvenne in contrasto alle
lezioni metodologiche di Adolfo Venturi e di Toesca e proprio da
parte della generazione che stava succedendo alla Sapienza alle
cattedre ricoperte dai due fondatori della storia dell’arte italiana, loro
maestri. In pochi cercarono strade nuove, distanti dalla ricerca esclu-
siva della forma estetica e della sua evoluzione indicata dalla critica
crociana. Il caso piu famoso, Bianchi Bandinelli, uscı dalle file degli
archeologi. Cosı, nel 1955, Bianchi Bandinelli liquido la questione
“Oriente o Roma”, rifiutando di vedere la storia dell’arte come storia
di contatti e influssi artistici e riportandola ai termini marxisti (Bian-
chi Bandinelli era divenuto comunista) di emergenza di una nuova
classe sociale dominante nella tarda antichita:
“Resterebbero forse, da dire alcune parole sulla dibattuta questione«Oriente-Roma», la quale sembra che ancora costituisca il filo condut-tore per molti studiosi intenti a decidere se la trasformazione dell’arteantica fu dovuta in prevalenza agli elementi orientali penetrati in essa,oppure se essa si maturo per sviluppo di elementi tipicamente romani.La questione e, come ho detto, essenzialmente una questione malposta. Essa presume che lo svolgimento dell’arte avvenga solo per
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
8R. Bianchi Bandinelli, “La crisi artistica della fine del mondo antico”, Societa 1 (1952),
pp. 427 sgg., citazioni da pp. 452-454.
contatti o per influenze di una civilta artistica sull’altra, di un artistasull’altro. Tre quarti delle monografie artistiche che si sono scritte eche si scrivono non hanno altro scopo alla loro ricerca che di stabiliretali influenze. Senza contare che influenze e imprestiti formali avven-gono solo quando un determinato problema, che nell’imprestito trovaun modo piu facile alla sua soluzione, e gia nato (...); se siamod’accordo che il mutamento della forma artistica e del suo contenuto estrettamente legato alle vicende della societa della quale e espressione,una questione come quella Oriente-Roma non ha motivo di esistere.(...) Quello che diviene primario e fondamentale e rendersi conto delleforze che agitano e trasformano la societa e che si esprimono in unlinguaggio nuovo. Non sono tanto i contatti delle scuole artisticheorientali, che valgono, quanto la situazione dell’impero romano e lasua profonda trasformazione strutturale, a determinare la crisi e latrasformazione. Elementi tradizionali ellenistici agiscono accanto aelementi «nazionali» romani (...); concezioni mistiche, filosofiche ereligiose di provenienza orientale trovano terreno favorevole e gettanonuove radici in occidente, motivi ornamentali e forme strutturaliorientali penetrano nella cultura artistica romana. (...) ma l’elementodeterminante in seno alla crisi resta il rivolgimento sociale, il giungereal potere di una classe nuova, che si accentra sui coloni e sui soldati, eche non e sostanzialmente diversa in occidente e in oriente.”.
In Occidente si ha il fenomeno stilistico della tarda antichita che
rompe la tradizione classica; in Oriente continua con piu coerenza lo
svolgimento dal naturalismo ellenistico al raffinato formalismo bizan-
tino senza l’impatto di correnti popolari. Dunque, la questione
“Oriente o Roma”, che deriva da una lettura esclusivamente formale
dello svolgimento artistico, diviene irrilevante per interpretare la
nascita dell’arte postclassica:
“Dobbiamo pertanto scartare anche la questione «Oriente o Roma»come irrilevante alla comprensione e determinazione del processostorico che abbiamo qui cercato di delineare, cosı come abbiamodovuto scartare le soluzioni puramente formalistiche, ancora correntinella storiografia artistica.”
8.
Piu che “ancora correnti”, come diceva Bianchi Bandinelli, le
soluzioni formalistiche erano ben vitali e divennero egemoniche nella
storia dell’arte. Qualunque valutazione sia data dell’estetica crociana,
l’idea del primato dello stile sul contenuto e estranea al mondo
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
bizantino, essendo casomai lo stile usato dagli artisti una scelta
dipendente dal contenuto da raffigurare o dai modelli da riprodurre.
A Bisanzio, preoccupazione dei pittori era il soggetto, che doveva
seguire la tradizione antica stabilita dai padri della Chiesa, mentre il
pittore era libero soltanto nella pratica dell’arte; in breve, per princi-
pio l’interesse primario dei committenti di opere d’arte e degli artisti
bizantini (ma anche di quelli del medioevo occidentale) era il conte-
nuto delle opere; i problemi dello stile con cui rappresentare il
contenuto venivano dopo. La ricerca dei modi propri e originali
dell’arte, degli elementi formali, della creativita, di geni artistici nel
mondo bizantino nella quale si affannavano storici dell’arte italiani
era destinata a finire in vicoli ciechi.
L’estetica crociana rappresento uno dei maggiori pregiudizi alla
comprensione in Italia dell’arte bizantina. Garrison, come visto al
capitolo precedente, attribuı proprio alla vuotezza di contenuto del-
l’estetica di Croce l’incapacita interpretativa dell’arte bizantina che
Longhi aveva mostrato nel “Giudizio”: il nostro interesse e la storia e
la filologia; Croce puo sentenziare che bisogna considerare l’artista e
lasciar perdere le attribuzioni, ma senza le indagini filologiche delle
opere d’arte le valutazioni dei critici idealistici non potrebbero aver
luogo.
Anche Morey, decano degli storici dell’arte medievale americani,
imputava amichevolmente all’estetica di Croce le angustie della cri-
tica d’arte italiana. Il brano di Morey messo in epigrafe a questo
capitolo e tratto da una conferenza dello storico dell’arte di Prince-
ton letta a un convegno negli Stati Uniti, la quale rappresenta una
lucida spiegazione, non partigiana, dei nuovi percorsi della critica
artistica italiana, data da un testimone esterno, non certo marxista,
che aveva una esperienza privilegiata di anni di servizio come attache
culturale americano nell’Italia della ricostruzione postbellica. Morey
era stato invitato a spiegare a un pubblico americano quali fossero “i
problemi, le minacce e le possibilita nel campo internazionale della
storia dell’arte” e, avendo confessato di conoscere bene solamente la
situazione italiana, aveva dedicato il suo intervento unicamente a
questa. In Italia, dunque, non si respirava nervosismo di fronte alla
minaccia comunista, sebbene essa fosse molto piu specifica e ovvia
che negli Stati Uniti. L’atteggiamento generale al riguardo poteva
essere illustrato dal caso di Bianchi Bandinelli, descritto come un
aristocratico senese che aveva abbandonato il titolo di conte e aveva
trasformato le sue tenute in una cooperativa agricola per confermare
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
la sua fede comunista, ricevendo cosı l’appellativo di “Conte Rosso”.
“Professor Bianchi Bandinelli, well known over here for his writings inthe ancient field, and especially for his recent book on the Historicityof Ancient Art. He is a Sienese aristocrat, quite the last person thatone would expect to see in Communist ranks, but he dropped his titleof count and converted his estate into a cooperative farm to confirmhis complete adhesion to the Communist faith, acquiring in the pro-cess the soubriquet of «Red Count».”.
Seguono poi le lodi della tolleranza politica del governo italiano:
il governo italiano non ha in realta tolleranza con il comunismo, ma
ha nozioni antiche sulla distinzione tra professione politica e profes-
sione accademica; grazie a cio, Bianchi Bandinelli mantiene ancora il
suo posto di professore all’Universita di Firenze. Quindi la constata-
zione che Croce e la minaccia piu grande per i buoni rapporti tra
storici dell’arte italiani e americani, la persona che con il suo influsso
condiziona in senso negativo i rapporti tra le due scuole di studi:
“Indeed as regards Croce, and if a more genial meaning be accordedto the word «threat», one might include him in the factors conditioningand restricting, in a certain sense, Italian writing in the field ofart-history at the present time.”.
Quasi ogni scrittore d’arte italiano si sente obbligato a identifi-
carsi come scolaro di Croce o, se e anticrociano, si sente obbligato a
giustificare la sua posizione non ortodossa. Il risultato e l’enfasi che
gli scrittori italiani pongono sull’atto creativo in arte secondo le
teorie di Croce e una corrispondente tendenza a minimizzare l’im-
portanza di contenuto, ambiente ed evoluzione storica. Questo atteg-
giamento nella critica d’arte e definito propriamente italiano dagli
Italiani, in contrasto con la disposizione americana a cercare nel
materiale e nelle condizioni storiche i fattori determinanti della
creazione artistica. Come conseguenza e difficile trovare nei giovani
studiosi italiani i successori di Adolfo Venturi e Pietro Toesca:
“Nearly every Italian who writes on art seems to feel himself in thenecessity of identifying himself as a pupil of Croce, or, if he is to anyextent anti-Croceian, he seems to feel the obligation of justifying firstof all his unorthodox position. In any case, the results is a prevalentemphasis in Italian writing on the creative act in the work of art inaccordance with Croce’s theory that therein lies the essential artisticfact, and a corresponding tendency to minimize the importance of
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
9C. R. Morey, “Art and the History of Art in Italy”, College Art Journal 10 (1950-1951),
pp. 219-222, citazioni da pp. 219-220.10
A. Grabar, Les miniatures du Gregoire de Nazianze de l’Ambrosienne (Ambrosianus 49-50),
vol. 1, Album (Paris, 1943) ; il previsto secondo volume di commentario non e mai uscito.
K. Weitzmann, The Joshua Roll. A Work of the Macedonian Renaissance (Princeton, 1948).11
Mostra Storica Nazionale della Miniatura, Palazzo di Venezia, Roma [novembre 1953 –
luglio 1954], catalogo, a cura di G. Muzzioli (Firenze, 1953). La premessa di Salmi e alle
pp. xii-xvii ed il brano riportato nel testo e a p. xii. Su Salmi, vedi: Mario Salmi storico
dell’arte e umanista, Atti della giornata di studio, Roma, Palazzo Corsini, 30 novembre 1990
(Spoleto, 1991), ed in particolare sulla mostra di Palazzo Venezia e le sue finalita riflesse
nelle scelte espositive: M. G. Ciardi Dupre Dal Poggetto, “Il contributo di Mario Salmi alla
storia della miniatura: la Mostra Storica Nazionale della Miniatura”, pp. 45-64.
content, environment and historical evolution. In fact I have heard thisattitude defined by Italians as the characteristic Italian approach toart-criticism, in contrast to the «American» disposition to seek inmaterial and historical conditions the determinants of artistic creation.As a consequence, the History of Art as we conceive it, is likely toprosper better here than in Italy. It is difficult to find among theyounger Italian scholars the successors of Adolfo Venturi and PietroToesca.”
9.
b. La Mostra Storica Nazionale della Miniatura
Rispetto alla situazione dell’anteguerra l’interesse verso la miniatura
era ingigantito; con la ripresa della circolazione in Italia degli studiosi
stranieri dei paesi alleati gli anni Quaranta videro la pubblicazione di
nuovi studi e riproduzioni complete di manoscritti miniati conservati
in biblioteche italiane: Grabar, ad esempio, riprodusse il Gregorio
Nazianzeno della Biblioteca Ambrosiana di Milano, Weitzmann il
Rotulo di Giosue della Vaticana10
. L’evento maggiore fu certamente
l’apertura a Palazzo Venezia a Roma, dal novembre 1953 al luglio
1954, della Mostra Storica Nazionale della Miniatura, organizzata da
Salmi, che puo essere presa come inizio degli studi sulla miniatura in
Italia. Come scopo della mostra Salmi pose, nella premessa al cata-
logo,
“promuovere e potenziare gli studi di storia della miniatura, nonattraverso indagini contenutistiche ed erudite come si fece in passato,o non solo attraverso queste, bensı soprattutto mediante approfondi-menti storico-artistici volti a porre in evidenza i valori dello stile epertanto le personalita di primo piano che attesero alla decorazione dellibro, a somiglianza di quanto si e fatto e si fa per la pittura ma non si efatto ne si fa abbastanza per la miniatura.”
11.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
12La lettera, datata 29 dicembre 1953, e conservata nella Biblioteca Berenson, Villa I
Tatti, Settignano (Firenze).13
Tra questi l’Evangeliario siriaco di Rabbula, la raccolta ippocratica cod. plut. 74.7, i
Vangeli cod. plut. 6.23, i Vangeli cod. 6.28 ed il Cosma Indicopleuste cod. plut. 9.28 della
Biblioteca Laurenziana di Firenze; il frammento copto-sahidico di Giobbe (allora datato al
V secolo) ed il Dioscoride di Napoli; i Vangeli della Biblioteca Palatina di Parma, cod. 5;
l’Evangeliario purpureo di Rossano Calabro; il codice dei Profeti di Torino; la Catena su
Giobbe, il Salterio di Basilio II ed i Cinegetica di pseudo-Oppiano della Biblioteca Marciana
di Venezia.14
L’art byzantin art europeen, Athenes, Palais du Zappeion, 1964, catalogo della mostra
(Neuvieme Exposition sous l’egide du Conseil de l’Europe. Athenes, 1964). Le espressioni
dal catalogo della mostra di Palazzo Venezia si leggono nelle schede per i nn 10 a p. 10, 25
a p. 18, 27 a p. 19.
Crocianamente, Salmi spinse la ricerca sulla miniatura verso lo
stile, piuttosto che verso il contenuto iconografico. Toesca com-
mento scrivendo a Berenson nel dicembre del 1953:
“Il Salmi si propone di «potenziare» (vocabolo mussolinino) gli studisulla miniatura e di volgerli dalle ricerche «contenutistiche» alle inda-gini stilistiche, ignorando che da quasi un secolo gli studi sui codiciminiati (dal Wickhoff all’Haseloff all’Hermann ecc.) sono stati uno deirami piu vivi, fruttuosi e ammirevoli della storia dell’arte. Non si trattadi «potenziare» o di dar nuovi indirizzi ma di augurare che il seguitonon disdica il passato!”
12.
La mostra del 1953-1954 raccolse tanti dei tesori delle bibliote-
che italiane (furono esposti 748 manoscritti) nel tentativo di mo-
strare le connessioni della miniatura italiana sia con l’arte degli altri
paesi d’Europa, sia con quella dell’Oriente. Tra i manoscritti, una
trentina i manoscritti di area bizantina dal VI al XV secolo13
. Le
schede del catalogo, redatte da un paleografo, Giovanni Muzzioli,
riprendevano frasi in uso nella bizantinistica di fine Ottocento ed
inizi Novecento, con scarsa professionalita e con l’aggiunta di qual-
che definizione inventata ad hoc, come “stile bizantino del cosid-
detto secondo periodo aureo”, “corrente aulica della miniatura bi-
zantina del secolo XIV”, “arte tardo-bizantina adriatica del secolo
XV”. Dopo la mostra parigina del 1931, era comunque la prima
volta che un cosı grande numero di preziosi manoscritti bizantini
veniva presentato al pubblico; in questo l’esposizione fu eguagliata
solo da quella di Parigi Byzance et la France medievale del 1958-1959
e da quella di Atene del 1964 Art byzantin art europeen14
. In Italia, la
mostra di Palazzo Venezia aveva avuto come predecessori la mostra
degli Acquisti e Doni delle Biblioteche Italiane (Roma, 1934), la
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
15L’elenco di queste mostre e fornito da Carlo Bertelli nella recensione alla mostra di
Palazzo Venezia (“La mostra della miniatura”, Societa 10 [1954], nota 4 p. 297). A questo
elenco va aggiunta la mostra di manoscritti bizantini del 1936 alla Vaticana: Catalogo della
mostra di manoscritti e documenti bizantini disposta dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e
dall’Archivio Segreto in occasione del V Congresso Internazionale di Studi bizantini, Roma, 20-26
settembre 1936.16
R. Frattarolo, “La mostra della miniatura a Palazzo Venezia”, Bollettino d’arte, ser. 4,
39 (1954), pp. 341-347. A. A. [I. Toesca], “La Mostra storica nazionale della miniatura”,
Paragone n 51 (marzo 1954), pp. 32-38. Bertelli, “La mostra della miniatura”, pp. 296-303.
I. Toesca, “La mostra della miniatura a Palazzo Venezia”, Arte veneta 7 (1953), pp.
192-194; ead., “L’exposition de Rome”, Scriptorium 8 (1954), pp. 318-322; ead., “Miniatu-
res at the Palazzo Venezia”, The Burlington Magazine 96 (1954), pp. 22-23.
mostra della biblioteca di Lorenzo il Magnifico (Firenze, 1949), la
mostra di codici miniati del Rinascimento della Biblioteca Trivul-
ziana (Milano, 1952), la mostra dei codici del SS. Salvatore dell’A-
croterio, appartenenti alla Biblioteca Universitaria di Messina (Mes-
sina, aprile 1953), la mostra della Biblioteca Malatestiana (Cesena,
1953)15
.
Sul Bollettino d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione uscı
una recesione encomiastica della mostra, definita rara e imponente,
che solo la sapienza e la pazienza di Salmi avevano potuto allestire,
accompagnata da un catalogo “sontuoso e severo”, “magnifico sag-
gio” di ricerche e studi (l’autore della recensione si dichiara uno degli
allestitori della mostra). Il recensore-allestitore negava una specificita
metodologica alle indagini sulla miniatura rispetto a quella sulla
pittura; ripetuto che scopo della mostra era promuovere e potenziare
gli studi sulla miniatura, attribuiva a questi valore “solo se fondati su
basi storico-estetiche” ed arrivava retorico ed entusiasta alla conclu-
sione, metodologicamente per noi sconsolante: “quante, in verita, di
queste miniature, non parrebbero proiettate su uno schermo, grandi
tavole o affreschi di gran taglio? ”. In tutte le altre recensioni, pur
apparse su riviste di tendenze ben diverse, come, ad esempio, Para-
gone di Longhi e Societa di Bianchi Bandinelli, la mostra fu giudicata
un fiasco16
. I difetti principali imputati agli ideatori riguardarono la
scelta dei pezzi esposti – che rendevano la mostra una lacunosa
esposizione di tesori delle biblioteche italiane, incapace di fornire un
percorso storico della miniatura –, l’equivocita della attribuzione di
un carattere “nazionale” alla mostra, l’assenza di alcune biblioteche
nazionali e di tutte quelle estere tra i prestatori dei manoscritti, la
preminenza data all’arte di alcune regioni, come la Toscana, e le
lacune negli esempi di altre, come il Veneto. Infine, fu criticata
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
l’assenza di didascalie e pannelli esplicativi cosı che l’obiettivo di far
nascere nel pubblico l’interesse per la miniatura era fallito.
Soprattutto furono le scelte metodologiche ad apparire inade-
guate e ignare della strada percorsa dalla studi all’estero sulla minia-
tura. La dichiarazione iniziale sui valori dello stile e contro le inda-
gini contenutistiche fu bersagliata per la sua faciloneria e
presunzione: tra gli studiosi ignorati dai curatori della mostra si
elencarono Wickhoff, Schlosser, Dvorak, Laborde, Durrien, Winkler,
Hermann, Goldschmidt, Swarzenski, A. Venturi, P. D’Ancona, Ger-
stinger, Buchthal, Pacht. Le ricerche di questi studiosi – scrisse il
recensore di Paragone – erano state condotte con metodo di lavoro
tanto esatto e comprensivo da trovare difficilmente riscontro altrove
e non erano liquidabili con la semplicistica definizione di indagini
contenutistiche che il catalogo dava ad esse; lı si erano unite in
maniera assolutamente esemplare ricerca stilistica e filologica, cosı da
produrre una storiografia eccezionalmente attuale, includente un’in-
dagine vasta e complessa sui problemi della cultura nel senso piu
lato, senza la quale la sola indagine stilistica poteva risultare priva di
base, puramente formale. La mostra cercava cosı le personalita di
primo piano dell’arte della miniatura, piuttosto che il valore delle
relazioni tra immagine, testo e cultura di una societa.
La recensione di Carlo Bertelli apparsa su Societa si aprı con
l’affermazione che la mostra rischiava di non offrire neppure ele-
menti di giudizio, dato che ne apparivano confusi scopo, criteri e
consistenza: mancavano le ragioni di una esibizione cosı grandiosa e
costosa in patria, della quale sia il pubblico medio sia gli studiosi non
potevano ricevere vantaggi. Le schede del catalogo suggerivano una
subordinazione gerarchica della miniatura alla pittura e alla scultura,
con la prima che era considerata come una pittura in piccole dimen-
sioni capace nei casi piu felici di raggiungere la sorella maggiore.
Anche Bertelli lamentava la mancanza di bibliografia aggiornata e
soprattutto che non si tenesse conto degli studi iconografici e filolo-
gici condotti a Princeton da Weitzmann e Friend Jr; l’affermazione,
fatta nella premessa del catalogo da Salmi, sulla necessita del poten-
ziamento degli studi sulla miniatura in Italia non attraverso le inda-
gini contenutistiche ed erudite, ma attraverso le indagini formali e
“dichiarazione perentoria e troppo limitatrice, nella sua pretesa di
innovazione, di una tradizione di studi altissima”:
“Ora, a parte la considerazione, che pure e indicativa, che questi criteri«formali» – meglio diremmo formalistici – non sono serviti ad evitare
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
errori gravi, ne hanno risparmiato la presentazione di un buon numerodi opere di qualita assai bassa, e di qualcuna di non provata autenti-cita, essi si rivelano inadeguati ad uno studio serio della miniatura,poiche non ne considerano i caratteri peculiari.”.
La miniatura non aveva necessita di rendersi intelligibile a un
pubblico indeterminato, cosı da mantenere in se un sempre maggiore
retaggio di cultura rispetto alla pittura monumentale, contribuendo
alla trasmissione per tutto il Medioevo di moduli e iconografie
classiche. La storia della miniatura non e dunque storia del libro
bello:
“Per tali ragioni la storia della miniatura, come non sempre coincidecon la storia della pittura, cosı non si presenta quale storia del «librobello» o dell’ «amore» per esso, ammesso che cio possa mai divenireargomento di storia, ma come concreta ricerca di storia della cultura.”.
Stile, personalita artistiche e tradizioni di cultura e di ambiente
possono essere separate solo astrattamente nella miniatura:
“Cosı e stato possibile, per il Weitzmann, dimostrare che il miniatorebizantino si comportava dinanzi alla tradizione pittorica manoscrittanon diversamente dal sapiente bibliotecario, collazionando, emen-dando e ricercando i lineamenti del prototitpo originario; al Friend eriuscito, dall’analisi stilistica e iconografica dei ritratti degli evangelistie del loro inquadramento architettonico, non solo di precisare l’attivitadi diversi scriptoria, ma anche di stabilire alcuni anelli della tradizionedei Vangeli, per altra via irreperibili.”.
c. L’entrata ed uscita di scena della Siria
Alla mostra del 1953 Salmi fece seguire nel 1955 la Storia della
miniatura italiana. Salmi stesso ricordo che dalla mostra romana era
venuta l’idea della pubblicazione del facsimile dell’Evangeliario di
Rabbula, un codice datato al 586 ed eseguito nel Convento di San
Giovanni di Zagba, a quel tempo erroneamente localizzata in Meso-
potamia, che apparve nel 1959 con commentari di Giuseppe Furlani
(sul manoscritto in generale), Cecchelli (sui particolari iconografici
delle miniature) e Salmi (sullo stile). Cecchelli confermo la sua
conversione da disprezzatore giovanile della civilta bizantina, nei
convegni dell’Istituto di Studi Romani, a suo studioso; la sua analisi
iconografica, pero, si limita a puntigliose notazioni prive di fonda-
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
17The Rabbula Gospels. Facsimile Edition of the Miniatures of the Syriac Manuscript Plut. I,
56 in the Medicaean-Laurentian Library / Evangeliarii Syriaci, vulgo Rabbulae, in Bibliotheca
Medicea-Laurentiana (Plut. I,56) (Olten – Lausanne, 1959): G. Furlani, “The Manuscript
of Rabbula”, pp. 8-21; C. Cecchelli, “The Iconography of the Laurentiana Syriac Gospels”,
pp. 23-82; M. Salmi, “Problems of Style”, pp. 83-89.18
G. De Francovich, “L’arte siriaca e il suo influsso sulla pittura medievale nell’Oriente e
nell’Occidente”, Commentari 2 (1951), pp. 3-16, 75-92, 143-152. La bibliografia e un
profilo dell’opera di De Francovich si trovano in G. De F., Persia, Siria, Bisanzio nel
Medioevo artistico europeo (Napoli, 1984), a cura di V. Pace, pp. xi-xiii e xv-xvii.
menti metodologici generali. Salmi si concentro sulla distinzione tra
piu mani delle miniature, individuando quattro miniatori all’opera,
rappresentanti di due correnti stilistiche differenti, una piu elleni-
stica, l’altra piu astratta17
.
L’exploit dell’arte siriaca negli studi italiani era comunque gia
avvenuto nel 1951, per opera di De Francovich, che era stato
redattore all’Enciclopedia italiana alla fine degli anni Venti, poi stu-
dioso di scultura romanica, ed aveva pubblicato nel 1951 un lungo
saggio in tre parti “L’arte siriaca e il suo influsso sulla pittura
medievale nell’Oriente e nell’Occidente” in Commentari, la rivista
diretta da Venturi e Salmi18
. De Francovich fece della Siria il luogo
di origine e di diffusione per secoli di una corrente espressionistica di
origine microasiatica in seno all’arte ellenistica che sarebbe stata
determinante per Bisanzio e l’Occidente medievale (figg. 114-115).
Scrittore “temperamentvoll” di piglio longhiano, De Francovich era
insoddisfatto dei lavori princetoniani sui mosaici di Antiochia; man-
cava, a suo dire, una trattazione della storia stilistica dell’arte della
metropoli siriana. Cosı comincia il suo saggio in Commentari:
“I problemi cui accennero rapidamente in questo studio sull’artesiriaca mi si sono affacciati durante la lenta e laboriosa stesura di unlavoro sulle origini dell’arte medioevale, sull’arte cioe di quell’oscuro ecomplesso periodo che si estende dalla fine del sec. III e principio delIV fino all’epoca carolingia. Sono forzatamente accenni brevi e succintiche condensano in una forma assai sommaria i risultati cui credo diessere giunto nei riguardi della fisionomia artistica della Siria paleocri-stiana, che riveste, assieme a Costantinopoli, un’importanza fonda-mentale sia per lo svolgimento dell’arte paleocristiana in genere cheper le ulteriori vicende della pittura medioevale nell’Oriente e nell’Oc-cidente.”.
Anche De Francovich era convinto che l’approccio corretto alle
opere d’arte fosse unicamente quello stilistico; di fatto, i suoi scritti
oscillano tra presunzione e insulti verso ogni voce discorde dalla sua;
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
da un punto di vista metodologico, comunque, sono un tentativo di
applicare l’estetica crociana alle opere d’arte dei primi secoli del
Cristianesimo in Oriente. Negli scritti in onore di Lionello Venturi,
del 1956, discutendo dei perduti mosaici nel bema della chiesa della
Dormizione a Nicea, De Francovich fisso la diversita di valore che
separa l’elemento stilistico nelle opere d’arte dagli aspetti esterni
iconografici, paleografici e storici; nella mancanza del riconosci-
mento del diverso valore di questi approcci stava il principale difetto
delle trattazioni sull’arte paleocristiana e bizantina:
“Ma la storia dei mosaici absidali della chiesa della Dormizione diNicea, oltre a rivelare la veramente incomprensibile trascuranza daparte degli studiosi di una delle piu importanti testimonianze dellacivilta pittorica bizantina dell’epoca paleocristiana, mette pure in ri-lievo il principale difetto di cui soffre buona parte delle trattazionid’arte di questo periodo: la mancanza cioe di un metodo che pongal’accento principale sull’elemento stilistico dell’opera d’arte anzichesugli aspetti esterni di essa quali l’iconografia, la paleografia e viadicendo. Il lettore avra infatti osservato che tutti gli studiosi, adeccezione del Delbruck, che si sono pronunciati contro o in favoredella tesi dello Schmit, sono ricorsi esclusivamente a considerazioni dicarattere iconografico, paleografico ed anche storico, che sono servite,a secondo dei casi, a confermare o ad escludere la data del secolo VI,assegnata dallo Schmit agli angeli della chiesa della Koimesis di Nicea,dimostrando in tal modo ad evidenza la scarsa attendibilita di siffattiragionamenti.Eppure e evidentissimo, a mio avviso, che l’impronta stilistica di questimosaici preclude perentoriamente la loro datazione ai secoli VIII-IX,sostenuta dal Wulff e dalla stragrande maggioranza degli studiosi.”.
Anche per i mosaici di Antiochia, la critica, in particolare in
questo caso Morey e Levi, aveva mancato di definire tendenze e
“gusto” (un termine che viene probabilmente da Lionello Venturi,
che insegnava a Roma come De Francovich) degli artisti antiocheni.
Andava colmata la lacuna dell’indagine stilistica dei mosaici, che non
era interessata ai due princetoniani, Morey e Levi, almeno nei
termini in cui De Francovich la intendeva. Per lui peculiare dello
stile della scuola antiochena era la “plasticita salda e forte dei corpi
contraddistinti da proporzioni massicce, atticciate ed avvolti in ampi
e grevi paludamenti”. Questa variante antiochena dell’arte ellenistica
perdurerebbe fino ad almeno il VI secolo, come provato dalle minia-
ture nel codice dei Vangeli syr. 33 della Biblioteca Nazionale di
Parigi e, soprattutto, in alcune delle miniature dell’Evangeliario di
Rabbula:
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
“Pure le miniature principali dell’evangeliario del monaco Rabula dellaLaurenziana di Firenze, redatto nel 586 nel monastero di San Gio-vanni di Zagba in Mesopotamia, sono eseguite in un linguaggio figura-tivo tutto impregnato di suggestioni classicheggianti che si riflettononel muoversi e gestire delle figure, nel loro panneggiare, nella vigorosaplasticita dei corpi, nella ricerca, sia pur sporadica, di profonditaspaziali, nel fluido illusionismo pittorico delle miniature a piena pagi-na.”.
E, comunque, l’altra corrente siriaca, quella espressionistica, il
principale interesse di De Francovich; ad essa sono legate le minia-
ture del codice di Rabbula dallo stile piu innovativo:
“in altre miniature – e sono la maggioranza – si nota un intensodinamismo di movimenti che efficacemente si esprime, ad esempio,nella scena dell’Ascensione nel rapido accorrere dei due angeli verso ilCristo entro la mandorla sollevata da cherubini, nell’agitato gesticolaredegli apostoli, nel contorno, tormentato da risentite sporgenze e rien-tranze, delle figure.”.
Lo “spirito fortemente drammatico” ed il “veemente espressioni-
smo” di questa corrente artistica hanno la loro origine in Asia
Minore, nel mosso ed appassionato pathos espressivo affermatosi in
quelle zone gia con l’altare di Pergamo, nel vivace colorismo chiaro-
scurale dei rilievi dei sarcofagi di Sidamara e della scultura di Afrodi-
sia e di Efeso; poi, nel IV-VI secolo questa corrente artistica si
diffonde in Siria e diventa la caratteristica distintiva dell’arte siriaca,
come confermato da una serie di oggetti di argenteria rinvenuti nella
Siria settentrionale e dispersi in vari musei (specialmente le patene
d’argento di Stuma e di Riha del VI-VII secolo ed il cosiddetto calice
di Antiochia) e dai principali codici assegnati a quell’area, come la
Bibbia siriaca di Parigi (Bibliotheque Nationale, cod. syr. 341), il
Rossanense, il Sinopense, la Genesi di Vienna.
L’esame stilistico degli oggetti sicuramente della capitale Costan-
tinopoli porta invece a indicare due correnti caratteristiche dell’arte
della capitale bizantina – De Francovich esamina la miniatura dedi-
catoria con Anicia Juliana e altre miniature nel Dioscoride di Vienna,
i rilievi della base dell’obelisco di Teodosio a Costantinopoli ed altre
opere: la corrente classica ellenistica che si mostra particolarmente
viva proprio nelle miniature del Dioscoride viennese, nella “maniera
pittorica schiettamente impressionistica dai colori chiari, brillanti,
pastosi”, e “il fattore astratto trascendentale di origine orientale”,
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
19De Francovich, “L’arte siriaca e il suo influsso”, citazioni nel testo da pp. 3 e 6-7. In “I
mosaici del bema della chiesa della Dormizione a Nicea”, p. 20 nota 39, De Francovich
dice che “il problema dell’arte alessandrina sara da me esaminato piu a fondo nel mio
saggio: L’arte iranica e l’origine del linguaggio figurativo bizantino e medievale, di prossima
pubblicazione nella Rivista dell’Istituto naz. d’archeologia e storia dell’arte.”.
visibile nell’oro degli sfondi, “che abolisce ogni accenno a uno spazio
realistico, sı che le figure sembrano librate nell’aria”, come nella
miniatura dedicatoria dello stesso codice. Anche altre opere costanti-
nopolitane presentano lo stesso contrasto tra elementi classico-
naturalistici ed elementi astratto-orientali, i quali ultimi derivano
dallo stile solenne e ieratico di origine orientale gia visto nel tempio
delle divinita palmirene di Dura Europos. Dunque, da elementi
attinti al mondo ellenistico di Alessandria, alla civilta orientale-
iranica e alla tradizione figurativa dell’Asia Minore sorge l’arte di
Costantinopoli, il cui gusto precipuo sarebbe da cercarsi nella “eurit-
mia che permea e pervade le opere piu schiettamente costantinopoli-
tane dell’epoca paleocristiana e che rimarra anche in seguito una
delle principali caratteristiche degli artisti bizantini”. De Francovich
tento cosı una sintesi delle idee orientaliste di Strzygowski (sulle
orme dell’austriaco, annuncio un articolo o un libro in cui promette
di dimostrare la decisiva influenza dell’arte iranica sull’arte copta) e
della idea dell’origine dell’arte bizantina dai centri ellenistici orientali
proposta da Ainalov e ripresa dal biasimato Morey.
De Francovich attacco focosamente nei suoi scritti studiosi in
disaccordo con lui sia quanto a letture stilistiche sia quanto a ap-
procci metodologici: Morey, Levi, Rice, Diehl e l’italiano Bettini
finiscono all’indice19
. Le espressioni di De Francovich sono frequen-
temente invettive polemiche, al limite dell’ingiuria, nei confronti di
altri studiosi quasi tutti giudicati incompetenti. Bettini, che fu tra i
suoi principali bersagli, rispondendo a De Francovich l’anno succes-
sivo in “Di San Marco e di altre cose” fece un elenco degli studiosi
dileggiati da De Francovich (a cui diede l’epiteto di “oracolo romano
in cose bizantine, orientali e meridionali”) nell’articolo in Commen-
tari: Brehier, Buberl, Buchthal, Dalton, Heisenberg, Morey, Norden-
falk, Rice, Swarzenski, Whittemore, Weigand, Weitzmann, Wulff tra
gli stranieri, cioe quasi tutta la bizantinistica, con la significativa
eccezione di Strzygowski; Bottari, Doro Levi, Fiocco, Morisani,
Ortolani, Salvini tra gli italiani. La polemica tra i due studiosi
decadde nelle offese tout court: Bettini stilo anche una lista di
stupidaggini scritte da De Francovich (la colonna invece che l’obeli-
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
20S. Bettini, “Di San Marco e di altre cose”, Arte veneta 6 (1952), pp. 196-208. G. De
Francovich, “Della Siria e di altre cose”, Commentari 4 (1953), pp. 318-334.21
L. Venturi, “Si propone una tregua”, Commentari 5 (1954), p. 167.
sco di Teodosio, ad esempio), definı De Francovich uno studentello
appena laureato che ha bisogno per le sue tesi “di appoggi autorevoli:
l’ha detto il babbo!”; sottolineo il livore morale di essere etichettato
da lui tra i romanisti (accusa che irritava Bettini per la sua coda di
paglia nella questione); colpito nel segno, De Francovich replico in
“Della Siria e di altre cose” apparso nello stesso 1953, un articolo in
cui premetteva varie offese iniziali a Bettini, riconduceva a suo favore
una citazione da Weitzmann che Bettini aveva riadattato troncandola
a bella posta, riportava le recensioni ai libri di Bettini uscite all’estero
che davano al padovano dell’incompetente, si difendeva dall’accusa
che lui conoscesse la Storia della pittura bizantina di Lazarev solo da
riassunti apparsi su riviste tedesche ammettendo che – Bettini aveva
ragione – lui non conosceva il libro di Lazarev perche uscito nel
1951, cioe dopo il suo articolo su Commentari (una bugia, perche il
libro di Lazarev era uscito nel 1947-1948), e via dicendo su questo
tono20
. La polemica tra i due e cosı velenosa e piena di falsita
reciproche che non vale la pena di essere seguita oltre. Va detto che
il clima tra gli storici dell’arte in quegli anni era segnato da feroci e
rozze accuse. Lionello Venturi, di fronte a quello che la rivista Il
Mondo aveva definito cannibalismo critico, aprı il fascicolo di luglio-
settembre 1954 di Commentari con un corsivo in cui denunciava
l’impossibilita di proseguire nelle accuse reciproche tra storici del-
l’arte di essere imbroglioni, meretrici, falsari, truffatori, al quale pose
il grande titolo cubitale in mezzo alla pagina, a mo’ di manifesto
murale “Si propone una tregua”21
:
SI PROPONE UNA TREGUA
Alcuni colleghi stanno polemizzando tra loro con ferocia e si rinfac-ciano non solo di essere incompetenti ma persino imbroglioni, mere-trici, falsari, truffatori.L’atmosfera di questa nostra aiuola e diventata irrespirabile. Il Mondoci accusa di essere cannibali, e non abbiamo nemmeno piu la forza diprotestare.Si propone una tregua di un anno. Naturalmente le discussioni sui fattie sulle idee debbono continuare. Ma se per un anno si mettessero daparte gl’insulti personali, l’animo piu calmo e il cervello schiaritopolemizzerebbero in un modo piu decente.
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
22Per altri studi di De Francovich sull’arte orientale vedi in bibliografia. Chi scrive ha
sottolineato piu volte l’importanza della cristianita di Siria nella formazione della cultura
figurativa bizantina, ma, a differenza di De Francovich, l’ha ritrovata nel campo della
formazione dell’iconografia biblica: vedi, tra gli altri, M. Bernabo, “Miniatura bizantina e
letteratura siriaca: la ricostruzione di un ciclo di miniature con una storia vicina alla Caverna
dei Tesori”, Studi Medievali, ser. 3, 34 (1993), pp. 717-737, e le pagine sul ruolo delle fonti
siriache nella formazione del ciclo degli Ottateuchi bizantini in K. Weitzmann e M.
Bernabo, con la collaborazione di R. Tarasconi, The Byzantine Octateuchs (Princeton, N.J.,
1999), pp. 317-318.23
G. De Francovich, “Osservazioni sull’altare di Ratchis a Cividale e sui rapporti tra
Occidente e Oriente nei secc. VII e VIII d.C.”, in Scritti di storia dell’arte in onore di Mario
Salmi, (Roma, 1961), vol. 1, pp. 173-236, citazioni da pp. 201 e 204. Anche la differenzia-
zione comune nella critica fascista tra arte romana plastica e arte bizantina ritorna nella
affermazione della struttura plastica e dei valori lineari dell’arte romana che reagisce alla
sensibilita cromatica e all’euritmia che contraddistinguono in sommo grado l’arte di
Costantinopoli (De Francovich, “I mosaici del bema della chiesa della Dormizione a
Nicea”, pp. 20-21). Altrove (ivi, p. 13), De Francovich definisce l’arte bizantina dopo il VI
secolo come caratterizzata da “un sempre piu accentuato processo di astrazione, basato sul
graduale prevalere del sistema lineare stilizzato”, una definizione che non corrisponde
all’arte bizantina di quel periodo. M. Mundell Mango, “Where was Beth Zagba?”, in
Okeanos. Essays presented to Ihor Sevcenko on his Sixtieth Birthday by his Collegues and
LIONELLO VENTURI
De Francovich ribadı con fervore le sue tesi sull’espressionismo
siriaco e sul suo ruolo determinante nella formazine dell’arte bizan-
tina e altomedievale dell’Occidente in vari articoli posteriori; e deter-
mino una ‘corrente pansiriaca’ all’interno degli studiosi italiani del-
l’arte medievale alla quale aderirono suoi allievi e collaboratori.22
Come Strzygowski, De Francovich cerco sempre piu in Oriente
l’origine delle correnti artistiche del Medioevo ed anche lui finı con
l’attribuire importanza nella trasmissione di modi artistici alle regioni
del Mediterraneo occidentale (in particolare la Spagna visigotica e
l’Italia longobarda) all’arte armeno-georgiana, discendente da quella
siro-mesopotamica, dove il retaggio classico era stato, secondo De
Francovich, sopraffatto dagli stilemi iranici dei Parti e dei Sasanidi;
un’area dove “dovettero incrociarsi e coesistere contemporanea-
mente, nei secoli VII e VIII, forme e stili di diversa origine –
siro-palestinese, ellenistica, persiana, bizantina”. L’idea di De Fran-
covich ricalca quella di Strzygowski dell’altopiano iranico come cro-
giolo dove sarebbero stati assorbiti e rielaborati gli influssi asiatici e
poi ritrasmessi al mondo ellenistico.
Le idee di De Francovich sulla Siria antica non sono considerate
dagli archeologi, i quali hanno una visione dell’arte della Siria omo-
genea a quella degli altri centri ellenistici del Mediterraneo orienta-
le23
. Anche l’insistenza sul determinante ruolo dell’espressionismo
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
Students, a cura di C. Mango e O. Pritsak (Harvard Ukrainian Studies 7 [1983]), pp.
405-430; ead., Silver from Early Byzantium. The Kaper Koraon and Later Treasures (Balti-
more, 1986). Per una confutazione generale delle tesi di De Francovich e in particolare del
ruolo della Siria nello sviluppo dell’arte altomedievale italiana vedi P. J. Nordhagen,
“Italo-Byzantine Wall Painting of the Early Middle Ages: An 80-Year Old Enigma in
Scholarship”, in Bisanzio, Roma e l’Italia nell’Alto Medioevo, Settimane di Studio del Centro
Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 34, Spoleto, 3-9 aprile 1986 (Spoleto, 1988), pp.
622-623.24
Le due lettere di Bianchi Bandinelli a Berenson sono conservate presso la Biblioteca
Berenson, Villa I Tatti, Settignano (Firenze).25
Weitzmann, Illustrations in Roll and Codex, pp. 123 sgg.
siriaco non ha avuto mai grande eco nella bizantinistica internazio-
nale, indebolita dai rinvenimenti archeologici in Siria e recentemente
dalla localizzazione di San Giovanni di Zagba, il monastero dove fu
realizzato l’Evangeliario di Rabbula, che e uno dei caposaldi delle
tesi di De Francovich, non lontano da Antiochia e da Apamea invece
che in Mesopotamia come creduto negli anni Cinquanta.
d. L’Iliade Ambrosiana come problema metodologico
Come raccontato al capitolo precedente, Bianchi Bandinelli (fig.
116) collaboro a Roma con Morey nell’immediato dopoguerra. Bian-
chi Bandinelli ringrazio Morey insieme al prefetto dell’Ambrosiana,
monsignor Giovanni Galbiati, Berenson e, soprattutto, Weitzmann
per suggerimenti e aiuto nel fornirgli fotografie per il suo libro
sull’Iliade Ambrosiana. Lo stesso Bianchi Bandinelli riferı a Berenson,
in una lettera del 6 gennaio 1946, di star lavorando con Morey e con
Levi, mentre e a Roma al Ministero per organizzare gli istituti di
archeologia. Ancora nel 1946, Bianchi Bandinelli scrisse a Berenson
di voler fare un libro sulla Colonna Traiana e aggiunse:
“E poi spero ancora di fare l’edizione facsimile della Ilias Ambrosianaforse con un editore svizzero. I due argomenti, per quanto diversi sonomeno lontani di quanto possa sembrare, perche sono sempre piupersuaso della derivazione degli schemi del rilievo storico romano (eparticolarmente della colonna trajana) dalle illustrazioni pittoricheellenistiche.”
24.
Anche Weitzmann in Illustrations in Roll and Codex del 1947 si
occupo dei rilievi della Colonna Traiana e dei loro rapporti con la
illustrazione dei testi classici, formulando pero ipotesi diverse da
Bianchi Bandinelli25
. Ben piu della maggioranza dei colleghi archeo-
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
26Weitzmann, Sailing with Byzantium from Europe to America, p. 101.
27La lettera e conservata nella Biblioteca Berenson, Villa I Tatti, Settignano (Firenze).
Sul comunismo di Bianchi Bandinelli scrisse Toesca a Berenson il 20 dicembre 1945:
“(...) il povero Bianchi Bandinelli. Il quale, a proposito, qualche tempo fa si lamentava
meco di una certa freddezza di B.B., che da un pezzo non gli scriveva. Sara perche Bianchi
Bandinelli e ... comunista?”.
logi europei Bianchi Bandinelli apprezzo i risultati degli scavi di
Antiochia, come ricorda Weitzmann nelle sue memorie26
. Il libro di
Bianchi Bandinelli sull’Iliade Ambrosiana fu pubblicato nel 1955, in
ritardo rispetto ai tempi di completamento dell’autore, a causa del
veto posto dal cardinale Mercati su Bianchi Bandinelli, in quanto
comunista; questo veto porto anche alla defenestrazione di Galbiati
da prefetto dell’Ambrosiana, come Bianchi Bandinelli stesso rac-
conto scrivendo a Berenson il 15 settembre 1951:
“Caro B.B.,sono molto contento che Lei sia d’accordo con la datazione fine V –inizio VI secolo che io propongo per le miniature dell’Iliade Ambro-siana. (La mia tendenza e sempre piu per la seconda data). Quella deiprecedenti editori al III, e assurda.Ma nella Sua lettera, per la quale La ringrazio molto, mi ha particolar-mente colpito l’accenno a pitture del Nord-Africa. Io ho trovato moltasomiglianza “di famiglia” con frammenti di vasi dipinti trovati aWadi-Sarga da R. Campbell Thomson, databili da monete che vannoda Giustiniano a Maurizio, cioe dal 530 al 602.Queste connessioni con il N. Africa, e altre cose, indicano Costantino-poli come luogo d’origine del codice. Credo di aver trovato sufficientispiegazioni al perche l’unico miniatore si sia ispirato a modelli icono-grafici diversi e di tempi diversi: ci dovevano essere edizioni separatelibro per libro, come per la Bibbia.Dove invece purtroppo, caro B. B., Lei non ha ragione, e quandocrede che il veto di Mercati contro di me non sia di ragione politica: ilCardinal Mercati ha avuto la franchezza (della quale gli sono grato) didirlo personalmente a me in un colloquio concessomi nel luglio scorso;lo ha poi ripetuto all’editore; e l’accordo fatto da Galbiati con me gli esembrato cosı grave, che il povero Galbiati, che si preparava a festeg-giare il proprio giubileo, e stato deposto dalla carica di Prefettodell’Ambrosiana. (Tutto questo, del resto, e in linea con lo spirito di«crociata» del recente messaggio pontificio). Io cerco, per il momento,di salvare il mio lavoro scientifico, che mi interessa molto e che ho,praticamente, gia pronto. Ma politicamente questi Signori Reverendis-simi mi hanno dato in mano delle carte contro di loro, che nonmanchero di usare, se non altro per mio divertimento.Grazie per l’invito a usare la Sua biblioteca anche in Sua assenza.”
27.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
28Bianchi Bandinelli, “Discussione sull’Iliade Ambrosiana”, pp. 1-2. G. Cavallo, “Osser-
vazioni di un paleografo per la data e l’origine dell’Iliade Ambrosiana”, Dialoghi di
archeologia 7 (1973), pp. 70-85.
La discussione sull’Iliade Ambrosiana (figg. 117-118) tocco
aspetti diversi, da quelli interni al manoscritto (datazione e luogo di
origine), a quelli storici generali (la storia della illustrazione dei testi
in eta romana e bizantina), a quelli metodologici (la definizione di
una metodologia con la quale affrontare lo studio dei manoscritti
miniati). Bianchi Bandinelli concluse che il manoscritto va datato
alla fine del V od agli inizi del VI secolo; quanto al luogo di
esecuzione, dopo la proposta di Costantinopoli avanzata nel libro,
Bianchi Bandinelli accetto in seguito quella di Alessandria fatta da
Weitzmann e confermata su base paleografica da Guglielmo Caval-
lo28
.
Bianchi Bandinelli aveva suddiviso le miniature dell’Iliade Am-
brosiana in quattro gruppi principali secondo il loro schema
iconografico-compositivo: un Gruppo A o ‘maniera del rotulo’, con
miniature a schemi compositivi “a figure isolate, quasi tratte una per
una da un repertorio e giustapposte senza intima connessione tra di
loro, e allineate senza alcun accenno a sfondo o ambiente” (che e
quasi la stessa definizione che Weitzmann da per le illustrazioni in
quello che chiama ‘stile del papiro’); un Gruppo B, o ‘maniera del
fregio dipinto o maniera delle grandi pitture e fregi del periodo
ellenistico’, con miniature a composizioni a “carattere piu com-
plesso, spiccatamente ellenistico” derivate da composizioni pittoriche
(fig. 117); un Gruppo C, o ‘maniera della pittura di tradizione
ellenistica in rielaborazione del III secolo in centro del Mediterraneo
orientale’ (probabilmente Alessandria) (fig. 118); un Gruppo D, o
‘maniera dei mosaici della navata di Santa Maria Maggiore a Roma’,
con miniature risalenti a composizioni della fine del IV – inizi del V
secolo. Un sottogruppo CE comprende le miniature dove appare la
prosecuzione bizantina della tradizione ellenistica: dato che le minia-
ture dell’Iliade Ambrosiana stanno ai confini tra l’arte antica e quella
bizantina, la cui arte si costituı a partire dal VI secolo con Giusti-
niano o al piu tardi con Eraclio dal VII secolo, alcune delle sue
miniature sono fuori dell’ellenismo, pur derivandone, ed apparten-
gono ad un mondo artistico diverso che sara quello bizantino.
Bianchi Bandinelli concluse che piu cicli di illustrazioni omeriche
erano confluiti nel codice milanese e che i nuclei piu importanti di
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
29Bianchi Bandinelli, “Continuita ellenistica”, p. 149.
questi cicli si erano originati come pitture, non come illustrazioni di
testi, e vennero in seguito trasferiti nella illustrazione dei libri ome-
rici. Quindi:
“In tesi generale noi sappiamo che nell’eta carolingia e durante tuttal’eta medievale le miniature dei codici sono state un importanteveicolo di diffusione di iconografie e anche di modi artistici, e che daesse dipendono talora anche opere d’arte di grande formato e pitture(questa circostanza ha contribuito a far consistere le ricerche deglispecialisti soprattutto in raccolte iconografiche). Invece per il mondoantico dovremo concludere per il procedimento inverso: le miniature sidimostrano dipendenti iconograficamente dalla grande arte, e solorelativamente tardi esse palesano lo svilupparsi di un gusto artisticoproprio e di regole coloristiche e compositive particolari. (...) Il codiceambrosiano sta, con le sue illustrazioni, a meta strada fra la miniaturache e riduzione e adattamento di pitture e la miniatura autonoma; conprevalenza tuttavia della prima.”
29.
Bianchi Bandinelli piu volte rimarco la sua distanza dalle propo-
ste di Weitzmann. Scrisse nella “Dicussione sull’Iliade Ambrosiana”
del 1961:
“la differenza fondamentale nel modo di considerare i vari problemi,che e stato tenuto dal Weitzmann e da me, e che per il Weitzmann leminiature dell’Iliade Ambrosiana sono considerate esclusivamente uncapitolo di storia della illustrazione del libro, mentre per me sono inprimo luogo un documento della civilta artistica ellenistica e della suacontinuita in epoca cosı tarda, seconda meta del V o inizi del VIsecolo.”.
e nelle “Conclusioni sull’origine e la composizione dell’Iliade Ambro-
siana” del 1973:
“Si potrebbe rafforzare, percio, l’ipotesi che questo codice rappresentouna impresa isolata nella sua completezza, per la quale, come ci siispirava a modelli antichi per le forme della scrittura, si andaronoricercando modelli illustrativi, ma anche pittorici, di eta precedenti.(...) Il valore dell’Iliade Ambrosiana come documento per la storia dellapittura che io avevo cercato di porre in evidenza contro la tendenza avedervi solo un documento per la storia della illustrazione, acquistaimportanza. Viene confermato il processo dal modello pittorico all’illu-strazione nella tarda antichita, mentre poi in eta bizantina si avra il
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
30Bianchi Bandinelli, “Discussione sull’Iliade Ambrosiana”, pp. 3; id., “Conclusioni”,
ristampa p. 176.31
Per le idee di Weitzmann sui manoscritti policiclici vedi Illustrations in Roll and Codex,
pp. 193-199. R. Bianchi Bandinelli, “La composizione del diluvio nella Genesi di Vienna”,
Mitteilungen des Deutsches Archaologischen Instituts. Romische Abteilung 62 (1955), p. 66-77.32
W. Rittel von Hartel e F. Wickhoff, Die Wiener Genesis (Prag – Wien – Leipzig, 1895);
C. R. Morey, “Notes on East Christian Miniatures. Cotton Genesis, Gospel of Etschmiad-
zin, Vienna Genesis, Paris Psalter, Bible of Leo, Vatican Psalter, Joshua Roll, Petropolita-
nus XXI, Paris gr. 510, Menologion of Basil II”, The Art Bulletin 11 (1929), pp. 5-103; H.
Gerstinger, Die Wiener Genesis (Wien, 1931); P. Buberl, “Das Problem der Wiener Gene-
sis”, Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, n. s., 10 (1936), pp. 9-58, e Die
byzantinischen Handschriften, vol. 1, Der Wiener Dioskurides. Die Wiener Genesis, 2 voll.
(Illuminierten Handschriften in Osterreich, 8, 4. Leipzig, 1937-1938).
processo inverso, dall’illustrazione alla pittura o al mosaico. Ed el’abitudine a quest’ordine di derivazioni che rende spesso gli specialistidi miniature meno sensibili ai problemi storico-artistici generali.”
30.
Weitzmann pose varie obiezioni alla proposta di piu cicli di
illustrazioni omeriche come fonti delle miniature del codice mila-
nese; meglio pensare a un modello unico il cui ciclo avesse subito nel
corso dei secoli modifiche della struttura compositiva delle sue illu-
strazioni. Le tesi generali di Weitzmann sulla storia della illustrazione
dei testi in eta classica e medievale sono state confermate da molte
indagini posteriori su cicli miniati, ma non riguardano piu la nostra
narrazione; tuttavia, va detto che la collazione di piu cicli al fine di
produrre un nuovo ciclo miniato per la nuova edizione di un testo in
un codice – l’idea di Bianchi Bandinelli osteggiata da Weitzmann per
l’Iliade Ambrosiana – deve essere presa come metodo diffuso nella
produzione di nuove edizioni di manoscritti miniati – un processo
che e normale nella produzione di nuove edizioni di testi. Weitz-
mann stesso la ammise per molti cicli miniati medievali (i casi di
manoscritti miniati da lui definiti policiclici).
Bianchi Bandinelli sostenne nuovamente l’idea di una fusione in
un unico ciclo di illustrazioni provenienti da cicli diversi per la
Genesi di Vienna (fig. 119), un altro dei piu famosi manoscritti
bizantini, al quale dedico un saggio nel 1955 in molto basato sull’ap-
proccio alle illustrazioni bibliche medievali elaborato da Morey e
Weitzmann31
. La Genesi di Vienna era stato uno dei codici piu
discussi quanto a datazione e luogo di origine sin dalla fine dell’Otto-
cento; ad essa avevano dedicato studi dettagliati Wickhoff (1895),
Morey (1929), Buberl (1936 e 1937-1938) e Hans Gerstinger
(1931)32
. Bianchi Bandinelli si associo alla proposta di Buberl: il
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
33Bianchi Bandinelli accetto le conclusioni degli studiosi di Princeton sulla nascita della
illustrazione narrativa della Bibbia con cicli molto estesi e dettagliati che furono poi
abbreviati in successive edizioni durante il medioevo: anche nell’Iliade Ambrosiana le
miniature che apparivano originatesi in epoca piu antica contengono piu episodi consecu-
tivi.34
La conclusione di un modello monumentale per il Diluvio parve a Bianchi Bandinelli
confermata dal confronto con altre illustrazioni del diluvio o dell’episodio simile dell’attra-
versamento del Mar Rosso nell’arte bizantina, in particolare nei manoscritti delle Omelie di
Gregorio Nazianzeno di Parigi (Biblohteque Nationale, cod. gr. 510) e del Salterio di Parigi
(cod. gr. 139 della medesima biblioteca). Inoltre, per Bianchi Bandinelli, la lettura stilistica
condotta sulle prime due miniature della Genesi di Vienna, che raffigurano il peccato
originale e la cacciata dal Paradiso e sembrano “quadri” piuttosto che “illustrazioni”, fa
ugualmente pensare, come per il diluvio universale, ad un modello antico costituito da un
ciclo di affreschi o di pitture su tavola.
codice di Vienna e una copia eseguita ad Antiochia nell’ultimo
quarto del VI secolo di un codice di eta giustinianea, che a sua volta
risaliva a un codice illustrato del IV secolo. Lo stile del codice, che e
rivolto all’astrazione e nega consapevolmente il rapporto realistico tra
figura e spazio, rappresenta la nuova arte aulica costantinopolitana,
espressione aristocratica della societa cristiana formatasi nella capi-
tale dell’impero d’Oriente. Nel modello del IV secolo, secondo
Bianchi Bandinelli, doveva essere un ciclo di illustrazioni della storia
di Noe, delle quali ci restano solo quattro miniature contenenti sei
scene nella Genesi di Vienna33
; di queste, la scena del diluvio univer-
sale ha una composizione prospettica e uno stile espressionistico che
devono riflettere la composizione grandiosa di una pittura murale del
III secolo elaborata in un qualche centro ellenistico che resta da
individuare34
.
Le relazioni tra pittura e miniatura e tra studiosi della pittura e
studiosi della illustrazione dei testi e dell’iconografia furono i princi-
pali problemi storici e metodologici sui quali l’Iliade Ambrosiana
costrinse Bianchi Bandinelli a prendere posizione contro le tesi dei
princetoniani e in particolare di Weitzmann. Bianchi Bandinelli insi-
ste ripetutamente contro la ricostruzione di Weitzmann dei processi
di trasmissione dei cicli illustrativi da modello a copia, che il filologo
figurativo di Princeton immaginava alla stregua del processo di
copiatura di un testo da un codice a un altro. Molte obiezioni a
Bianchi Bandinelli furono fatte da Bertelli nella sua recensione a
Hellenistic-Byzantine Miniatures of the Iliad. In particolare, Bertelli
respinse due dei capisaldi di Bianchi Bandinelli: il pregiudizio di un
livello qualitativo basso delle illustrazioni nei rotoli e l’idea della
derivazione delle miniature (arte minore) dalle pitture (arte mag-
giore) cosı come posta dall’archeologo:
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
35Bertelli, Recensione a Bianchi Bandinelli, Hellenistic-Byzantine Miniatures of the Iliad,
pp. 463-464; per le critiche a Weitzmann vedi pp. 465-466 e 467 nota 1.36
Sull’arte bizantina Bertelli ritorno recensendo la mostra Byzance et la France medievale.
Manuscrits a peintures du IIe
au XVIe
siecle, Paris, Bibliotheque Nationale [1958-1959],
catalogo della mostra (Paris, 1958): C. Bertelli, “Riflessioni sulla mostra della miniatura
bizantina a Parigi”, Bollettino d’arte 44 (1959), pp. 85-91.
“qualche dubbio potrebbe sorgere sulla attendibilita di una visioneunilaterale della relazione tra pittura parietale e miniatura nell’‘illustra-zione’ omerica. Ritorna qui il presupposto che la miniatura non abbiaraggiunto, se non relativamente tardi, agli inizi del medioevo, livellod’arte, restando in eta ellenistica non soltanto nei limiti di un genereinferiore, il cui livello artistico potrebbe essere tuttavia altissimo, maanche in quelli di una qualita scadente, o al piu artigiana.”.
Bertelli porto gli esempi delle Imagines di Varrone con i ritratti di
uomini illustri e di bibliofili citati da Seneca:
“Insomma non si vedrebbe la ragione di ritenere che libri di cui sifaceva gran conto, e che venivano custoditi in “armaria e citro atqueebore”, non potessero essere illustrati da grandi pittori: in particolarenon mi sentirei di sostenere, con il Bianchi Bandinelli, che finche learti ‘fiorirono’ la miniatura, come “lesser artistic manifestation”, do-vette dipendere dalle arti maggiori, per emanciparsi soltanto con ilvenir meno di quelle e dei “social elements” che le avevano sostenu-te.”
35.
Le tesi di Bianchi Bandinelli sui rapporti tra pittura monumen-
tale e miniatura e sulla storia della illustrazione dei testi classici si
prestano a molteplici e sostanziali obiezioni; di fatto, esse non si
adattano alla storia della illustrazione dei testi e sono state accanto-
nate. Nella recensione a Bianchi Bandinelli, Bertelli espresse critiche
generali anche alle teorie di Weitzmann, perche troppe rigide nel
delineare la storia dell’illustrazione antica atraverso i pochi fram-
menti di rotoli illustrati sopravvissuti36
.
e. I Bizantini a Castelseprio
La scoperta degli affreschi di Santa Maria foris Portas di Castelseprio
avvenne nel 1944 con la rimozione di uno strato d’intonaco quattro-
centesco nell’abside della chiesa. La scoperta seguı un decennio di
ricerche archeologiche condotte sul sito da Gian Piero Bognetti, che,
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
37G. P. Bognetti, G. Chierici e A. De Capitani d’Arzago, Santa Maria di Castelseprio
(Milano, 1948): Bognetti, “S. Maria foris Portas di Castelseprio e la storia religiosa dei
Longobardi”, pp. 11-511; Chierici, “L’architettura di S. Maria di Castelseprio”, pp.
513-535; De Capitani d’Arzago, “Gli affreschi di S. Maria di Castelseprio”, pp. 537-711.38
De Capitani d’Arzago, “Gli affreschi di S. Maria di Castelseprio”, pp. 655-656:
“Ma non chiediamo altro per ora all’iconografia: ad essa torneremo unicamente quando
l’esame stilistico avra condotto ad ipotesi cui il ricorso in sede iconografica potra rafforzare
con una conferma oppure svalutare, non mai negare, con una palese contraddizione: non
mai negare, perche l’elemento stilistico sovrasta quello iconografico. Prescindendo infatti
dall’estrema ed indiscutibile abitudine all’emigrazione insita nella materia iconografica,
osservo che se e ammissibile che l’artista appartenente ad una determinata corrente, mosso
da una o piu ragioni contingenti, abbandoni per una volta o addirittura per un lunga serie
di opere, la sua tradizione iconografica, non e per contro possibile che egli, si mantenga o
non si mantenga fedele a quest’ultima, muti l’arte sua: comunque: in tale teorico caso la sua
con la Fondazione Treccani per la Storia di Milano, pubblico nel
1948 una monografia sulla chiesa (figg. 120-121); qui, Gino Chierici
scrisse il capitolo sull’architettura, Alberto De Capitani d’Arzago
quello sugli affreschi, mentre Bognetti si riservo l’introduzione sto-
rica che occupa la gran parte del libro37
. La qualita degli affreschi e il
loro carattere ancora cosı ellenistico a una data che comunque
doveva essere compresa tra il VI e la prima meta del X secolo (due
termini cronologici forniti dai dati costruttivi della chiesa e dai
graffiti sugli affreschi) costituirono il problema interpretativo prima-
rio sollevato dalla scoperta. De Capitani, deceduto appena prima di
presentare gli affreschi al congresso di studi bizantini di Parigi del
1948, cerco di destreggiarsi nel suo capitolo del libro su Castelseprio
tra l’unicita degli affreschi all’interno del panorama dell’altome-
dioevo italiano e l’ignoranza degli sviluppi dell’arte bizantina nelle
regioni orientali durante i secoli VI-X. De Capitani scelse come
approccio la lettura formale e recito anche lui la sua professione di
fede contro la validita degli studi sul contenuto: gli studi iconografici
possono solamente “rafforzare con una conferma, oppure svalutare,
non mai negare, con una palese contraddizione” quanto emerso
dall’indagine stilistica, “perche l’elemento stilistico sovrasta sempre
quello iconografico”: un artista puo mutare la sua tradizione icono-
grafica, ma, al contrario, non puo mai avvenire che l’artista “muti
l’arte sua”, cioe il suo stile. La scarsa conoscenza nell’Italia del
periodo fascista e dei primi anni del dopoguerra delle vie percorse
dalla ricerca all’estero e la causa probabile di queste debolissime
asserzioni metodologiche: perche lo stile sia al di sopra delle terrene
mutazioni dell’iconografia De Capitani non lo spiego e puo essere
preso solo come dogma, lo stile presumibilmente corrispondendo
all’anima dell’artista38
. Tagliatasi cosı la strada per utilizzare nuove
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
opera non rientrerebbe ai nostri occhi nel clima cui solo storicamente, se mai, appartenne;
ma andrebbe a schierarsi con quelle dell’ambiente cui l’artista avrebbe saputo uniformarsi:
il che del resto, non puo darsi mai. Tale predominio dello stile sull’iconografia intendo poi
come perentorio soprattutto quando, come nel nostro caso, non si tratta di un’opera stanca
uscita dalla mano di un artista fiacco e pedissequo, ma di un’opera fervidamente creata da
chi si dimostra padrone dei propri mezzi e sa esprimere ogni schema come suo riportandoci
comunque non mai ai margini ma nel vivo della sua corrente e della sua scuola.”.39
L’esempio piu celebre di questa tesi alessandrina di Morey erano gli affreschi di Santa
Maria Antiqua. Le idee di Morey sul ruolo di Alessandria come continuatrice della
tradizione artistica dell’ellenismo nel Medioevo non hanno piu seguito. Esse vennero
riassunte in C. R. Morey, Early Christian Art. An Outline of the Evolution of Style and
Iconography in Sculpture and Painting from Antiquity to the Eighth Century (Princeton, 1942)
ed in forma riassuntiva nell’intervento al convegno di storici dell’arte di Firenze del 1948:
“Il Rinascimento bizantino”, in Atti del Primo Convegno Internazionale per le arti figurative,
pp. 90-100. A sostegno di questo panalessandrinismo erano usciti in precedenza: C. R.
Morey, “The Sources of Mediaeval Style”, The Art Bulletin 7 (1924-1925), pp. 35-50; id.,
“Notes on East Christian Miniatures”; M. Avery, “The Alexandrian Style at Santa Maria
Antiqua, Rome”, The Art Bulletin 7 (1924-1925), pp. 131-149.40
Weitzmann aveva da poco pubblicato una monografia sul Rotulo di Giosue dimo-
strando la sua appartenenza all’arte della corte di Costantinopoli del X secolo, appunto,
interpretazioni e strumenti aggiornati di indagine su Bisanzio, De
Capitani cerco di barcamenarsi tra confronti con opere orientali e
con opere in Italia, affogando in citazioni di monumenti sparsi qua e
la nel Mediterraneo orientale; riemerse approdando all’idea di artisti
orientali in fuga dalle invasioni arabe, che si sarebbero rifugiati in
Occidente dando prova qui e altrove della loro arte di tradizione
ellenistica, idea che era stata di Morey39
. In conclusione, De Capitani
suggerı confronti iconografici con la Palestina e stilistici con la Siria;
esclusa Costantinopoli come patria dell’autore delle pitture, questo
sarebbe stato un profugo giunto in Occidente agli inizi del VII
secolo, attivo agli affreschi nello stesso periodo in cui si innalzava la
chiesa, cioe la prima meta di quel secolo.
Le conclusioni di De Capitani non ressero alle prime critiche dei
bizantinisti: i confronti con Siria e Palestina furono dimostrati infon-
dati con facilita dai vari studiosi intervenuti successivamente sugli
affreschi, fossero o no d’accordo con la sua datazione al VII secolo.
Nel 1951 Weitzmann pubblico una monografia sugli affreschi, le
conclusioni della quale furono anticipate da un articolo in italiano
sulla Rassegna Storica del Seprio del 1949-1950. Weitzmann punto
senza tentennamenti al X secolo per la datazione e indico l’autore in
uno dei pittori all’opera nelle miniature dei piu famosi manoscritti
classicheggianti (il Rotulo di Giosue e il Salterio di Parigi) di quel
periodo dell’arte bizantina che lui denomino Rinascenza Macedo-
ne40
. Weitzmann mise a frutto per la datazione tarda degli affreschi le
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
contro una datazione suggerita da una parte della critica, tra cui Morey, al VII secolo, che
fu da allora accantonata: Weitzmann, The Joshua Roll.41
K. Weitzmann, “Gli affreschi di S. Maria di Castelseprio”, Rassegna Storica del Seprio,
fasc. 9-10, 1949-1950, pp. 12-27; The Fresco Cycle of S. Maria di Castelseprio (Princeton,
1951).42
G. P. Bognetti, “Aggiornamenti su Castelseprio”, Rassegna Storica del Seprio, fasc.
9-10, 1949-1950, pp. 28-66. C. Cecchelli, Recensione a K. Weitzmann, The Fresco Cycle of
S. Maria di Castelseprio, Princeton, New Jersey, Princeton University Press, 1951, id. , “Gli
affreschi di S. Maria di Castelseprio”, Rassegna Storica del Seprio, 1949-1950, fasc. IX-X,
pp. 12-27, A. De Capitani d’Arzago, “La scoperta di Castelseprio”, ivi, pp. 5-11, G.
Bognetti, “Aggiornamenti su Castelseprio”, ivi, pp. 28-66, Byzantinische Zeitschrift 45
(1952), pp. 97-104. G. Giacomelli, Recensione a G. P. Bognetti, G. Chierici, A. De
Capitani d’Arzago, Santa Maria di Castelseprio, Milano 1948, Felix Ravenna, ser. 3, fasc. 2
(agosto 1950), pp. 58-76. Il conflitto ideologico Roma – Oriente per il caso di Castelseprio
fu portato allo scoperto fin dal 1952 da P. Lemerle, “L’archeologie paleochretienne en
Italie. Milano et Castelseprio, «Orient ou Rome», Byzantion 22 (1952), pp. 165-206.
sue vastissime conoscenze iconografiche, ma rilevo anche, da una
parte, le loro affinita stilistiche con le miniature bizantine del X
secolo e, dall’altra, le loro differenze con gli affreschi romani di Santa
Maria Antiqua41
.
f. La reazione italiana e l’interventosovietico su Castelseprio
Sullo stesso fascicolo della Rassegna Storica del Seprio nel quale aveva
invitato Weitzmann ad anticipare il contenuto della sua monografia
inglese, Bognetti mise in discussione le conclusioni dello studioso di
Princeton; anche Cecchelli contesto la datazione al X secolo in una
recensione del libro di Weitzmann; altri recensori ricondussero all’I-
talia la paternita degli affreschi, supponendo, per spiegarne l’attacca-
mento alla tradizione pittorica ellenistica, una continuita dell’arte
romana da Roma alle nuove capitali d’Occidente, Milano e Ravenna.
Ancora una volta si riaffaccio l’idea della difesa del ruolo di Roma
nei confronti dell’Oriente nell’arte medievale42
. Anche Toesca, che
aveva scritto un colorito resoconto del suo viaggio a Castelseprio alla
scoperta degli affreschi per Il Nuovo Giornale d’Italia ed era poi
ritornato su di essi con un articolo sul volume de L’Arte del
1948-1951, non accetto, comuque, la datazione di Weitzmann. Nel
resoconto giornalistico Toesca rimase stupefatto dallo stile insolito
degli affreschi, dall’“impasto vigoroso del colore”, dalle vivaci espres-
sioni drammatiche e dall’insolito senso di profondita: in queste
pitture dai richiami pompeiani “ci si smarrisce a cercar confronti fra
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
43P. Toesca, “Castel Seprio. Una nuova pagina della pittura medioevale”, Il Nuovo
Giornale d’Italia, 46, n 188 (10 agosto 1947); “Gli affreschi di Castelseprio”, L’arte 51, n. s.
18, (1948-1951), pp. 12-19. Toesca giudico punto convincenti le conclusioni della mono-
grafia di Weitzmann in una lettera a Berenson gia citata al Capitolo 7, paragrafo b.44
E. Arslan, “La pittura dalla conquista longobarda al Mille”, in Storia di Milano, vol. 2,
Dall’invasione dei barbari all’apogeo del governo vescovile (493-1002) ([Milano] 1954), pp.
631-654, specialmente pp. 638 sgg.
quanto si ricordi di pittura medievale”. Toesca nego richiami alla
miniatura carolingia e ottoniana; la freschezza della fattura gli fece
escludere come raffronti i manoscritti miniati bizantini del X secolo e
lo condusse alla proposta di un artista costantinopolitano del VI o
VII secolo. Su L’Arte, Toesca ripropose gli inizi del VII secolo come
datazione ed un pittore orientale come autore, negando ancora una
volta che il vigore classico degli affreschi potesse essere ricondotto
all’Occidente43
.
Non tutti gli storici dell’arte italiani degli anni Cinquanta furono
in disaccordo con Weitzmann. Edoardo Arslan nella Storia di Milano,
riconoscendo l’autorita ed il peso delle sue argomentazioni, rinuncio
alla sua precedente idea di una datazione degli affreschi al VII secolo
e, nonostante i pronunciamenti di critici italiani e stranieri, accetto le
opinioni “solidissime” di Weitzmann a favore dei contatti con il
Rotulo di Giosue, il Salterio di Parigi e altri manoscritti della Rina-
scenza Macedone: la ricerca di un monumento del VII secolo che si
ricongiungesse stilisticamente agli affreschi di Castelseprio parve ad
Arslan disperata; salomonicamente concluse per un datazione al IX
secolo con qualche dubbio44
. Al solito, il piu brusco degli italiani fu
De Francovich, che, nel suo saggio sull’arte siriaca in Commentari del
1951, in uno dei tanti sconfinamenti dal suo argomento, boccio,
sulla base di argomentazioni di principio contro la metodologia di
Weitzmann, la datazione degli affreschi di Castelseprio al X secolo;
la bocciatura cosı fu espressa:
“Non c’e dunque da meravigliarsi se qualche studioso come il Weitz-mann, intento generalmente a minuziose indagini di marca pretta-mente filologica (i cui risultati peraltro non sono sempre attendibili[...]), abbia assegnato gli affreschi di Castelseprio, per le concordanzemeramente esteriori con le miniature del Salterio di Parigi, del rotulodi Giosue e della cosiddetta Bibbia di Leone nella biblioteca vaticana,ad un artefice costantinopolitano della prima meta del secolo X (...). IlWeitzmann ha qui commesso lo stesso errore di valutazione qualitativaed estetica in cui incorse nei riguardi dell’autore dell’illustrazioni delrotulo di Giosue, non accorgendosi cioe del modesto valore di questo
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
45De Francovich, “L’arte siriaca e il suo influsso”, citazione da p. 6 nota 1.
miniatore e traendo quindi da questa errata premessa conclusioniinaccettabili. ”
45.
Se la discussione su Castelseprio restava aperta, sul Rotulo di
Giosue De Francovich aveva sentenziato senza adeguato sapere. Nel
1953, su Sibrium, Bognetti riuscı a pubblicare in traduzione italiana
un articolo di Viktor Lazarev, del Presidium dell’Accademia delle
Scienze di Mosca, apparso originariamente in russo su Vizantijskij
Vremennik dello stesso anno. L’articolo voleva provare la datazione
alta, al VI-VII secolo, degli affreschi di Castelseprio, ma fu soprat-
tutto una invettiva contro Weitzmann e il suo metodo, come dichia-
rato senza velature nel sottotitolo “Critica alla teoria di Weitzmann
sulla Rinascenza Macedone”. Davvero, il tono fu dogmatico, le
espressioni usate furono offese personali: la scomunica idelogica
sovietica di uno studioso di parte americana nel periodo della guerra
fredda. Lazarev mise in luce l’alta qualita dello stile classico degli
affreschi e li attribuı ad un maestro orientale di passaggio; nel
contempo, il testo di Lazarev si dilungo in ripetitivi attacchi contro la
arbitrarieta e la pedanteria delle ricerche iconografiche di Weitz-
mann, basate su “comparazioni assurde e sforzate”; il suo metodo e
“puramente superficiale e meccanico”, “impoverisce infinitamente il
concetto di iconografia” ed “ha un’aria talmente artificiosa e poco
naturale, da sembrare una caricatura del metodo storico-
comparativo”; la sua datazione al X secolo non solo e inattendibile,
ma “frutto di un’errata interpretazione di tutto il processo di svi-
luppo della pittura bizantina”; “la sua teoria appare campata per
aria, dato che la sua infondatezza storica e subito evidente a ogni
studioso non dominato da preconcetto”; i suoi errori sono grosso-
lani, le sue affermazioni assurde, la sua teoria “alquanto «sui generis»
(per non dire di piu!)”; Weitzmann,
“che vuole a tutti i costi dare i dipinti di Castelseprio al X sec., rifiutacategoricamente la loro affinita con gli affreschi di S. Maria Antiqua.Tuttavia tale affinita non va neppur messa in discussione per chiunqueaffronti questo particolare problema senza preconcetti.”“Non si puo basare un’analisi iconografica solo sulla comparazione dipose e di gesti delle singole figure, esulando dal contenuto ideologicodi questa o di quella scena. Ma questo e quanto fa precisamenteWeitzmann.”.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
46V. Lazarev, “Gli affreschi di Castelseprio (Critica alla teoria di Weitmann sulla
Rinascenza Macedone)”, Sibrium 3 (1957), pp. 85-102; citazioni nel testo da pp. 91, 92,
94, 95, 97, 99 e da nota 8 p. 100.
Lazarev lancio anatemi contro tutta la scuola americana di Prin-
ceton prendendo come esempio le teorie di Weitzmann sul Rotulo di
Giosue come rielaborazione del X secolo di precedenti cicli icono-
grafici prodotta ad hoc nell’ambiente culturale della Rinascenza Ma-
cedone:
“E mai possibile pensare seriamente che il maestro del centro scritto-rio di corte del X sec. abbia seguito effettivamente quella via tortuosa eastrusa, escogitata con tanta leggerezza dalla ardente fantasia delprofessore di Princeton? (...). E chiaro che questa supposizione e unatipica espressione del modo in cui viene effettuato lo studio dell’artemedievale a Princeton, ma essa non regge affatto.”.
Seguono altri esempi dell’assurdita delle conclusioni di Weitz-
mann. Per Lazarev, la causa della straordinaria vitalita della tradi-
zione classica a Costantinopoli, testimoniata dai mosaici del Gran
Palazzo imperiale, dai perduti mosaici di Nicea, dagli affreschi di
Santa Maria Antiqua e di Castelseprio, e nella corrispondenza tra
classicismo in arte e struttura schiavistica della societa, che ancora
permaneva a Bisanzio:
“La causa di cio va ricercata nella lentezza del dissolversi dei rapportischiavistici a Bisanzio. In quel tempo, mentre in Occidente il processodi feudalizzazione si sviluppava abbastanza rapidamente, a Bisanzioesso si arresto per la relativa stabilita delle consuetudini schiavistiche,che Giustiniano in particolare si proponeva di consolidare in ognimodo. In base a vecchi rapporti schiavistici, la vecchia aristocraziasenatoriale conservo per lungo tempo a Bisanzio le sue posizionieconomiche e politiche. (...) In questa atmosfera l’arte classica conti-nuo a trovare i suoi amatori, mentre che in occidente trionfavano gia igusti barbarici. E la famigerata «Rinascenza Macedone», che si costi-tuiva sulla nuova base feudale, non era altro che un debole e nonoriginale riflesso di quella corrente classicheggiante che nel VI-VIIsecolo aveva radici sociali abbastanza salde sul suolo di Costantinopo-li.”
46.
Il tono e gli argomenti di Lazarev, come accademico delle scienze
di Mosca, erano davvero la manifestazione dei riflessi del confronto
postbellico tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Perche sia stato richie-
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
47Le notizie su Lazarev e Weitzmann sono tratte da Weitzmann, Sailing with Byzantium,
pp. 74, 134 e 382. K. Weitzmann, “Sinaiskaya Psaltir’s illyustratsiyami na polyakh”, in
Vyzantiya, Yuzhnye Slavyane i Drevnyaya Rus’, Zapadnava Evropa. Sbornik statei v chest’ N.
V. Lazareva (Mosca, 1973).
sto quell’articolo per la traduzione e perche Lazarev lo abbia scritto e
concesso resta ignoto; ma, affinche non si equivochi, va detto che tra
Lazarev e Weitzmann intercorreva dal 1931 una calorosa amicizia.
Weitzmann, oltre a essere americano, aveva probabilmente la colpa
agli occhi sovietici di aver dato suoi articoli a Seminarium Kondako-
vianum, la rivista di bizantinistica che veniva pubblicata a Praga dal-
l’esule russo Kondakov. Per un articolo apparso su quella rivista,
Leonid Matzulevitch, il bizantinista russo che aveva scritto il famoso
volume Byzantinische Antike sui piatti d’argento dell’Hermitage e
sulla sopravvivenza dell’arte classica a Costantinopoli, era stato eso-
nerato dal suo incarico di direttore del dipartimento bizantino del
museo di Leningrado. Weitzmann contribuı agli scritti in onore di
Lazarev e rimase in buoni rapporti con i suoi scolari anche dopo la
sua morte. Lazarev, in occasione del congresso di bizantinistica di
Istanbul del 1955, aveva ostentatamente evitato Weitzmann, ma nel
1967, al congresso di bizantinistica di Oxford, Lazarev lo avvicino
per invitarlo a farsi vivo a Mosca al suo indirizzo privato, con la
preghiera di evitare di cercarlo alla Accademia delle Scienze del-
l’URSS di cui era appunto membro47
.
1Ad esempio: Bisanzio, Roma e l’Italia nell’Alto Medioevo, Settimane di Studio del Centro
Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 34, Spoleto, 1988).2
Giotto. Bilancio critico di sessant’anni di studi e ricerche, a cura di A. Tartuferi, catalogo
della mostra, Firenze, Galleria dell’Accademia, 3 giugno – 30 settembre 2000 (Firenze,
2000). G. Previtali, “La periodizzazione dell’arte italiana”, in Storia dell’arte italiana, Parte I,
EPILOGO:
STUDI SULL’ARTE BIZANTINA 1960-2000
La valutazione dell’arte bizantina in Italia nella seconda meta del
Novecento richiederebbe una trattazione che esula dai confini di
questo libro. Qui e solamente proposta una scelta di pubblicazioni
apparse dopo il 1960, una semplice scorsa alle quali mostra che
l’interesse per Bisanzio non e fiorito anche in tempi piu vicini.
Nessun saggio generale sull’arte bizantina e stato pubblicato da parte
di uno studioso italiano ed i nuovi approcci metodologici e le nuove
interpretazioni elaborate dalla bizantinistica all’estero sono stati ac-
colti di norma solo passivamente. L’unico tentativo di aggiorna-
mento sistematico appare quello delle Settimane di Studio del Cen-
tro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo di Spoleto, dove in vari anni
sono stati trattati temi comuni ad Occidente latino e Bisanzio; in
grande maggioranza sono stati stranieri i relatori su argomenti bizan-
tini di queste Settimane1. Quanto a Giotto ed al Duecento, la
discussione e proseguita con l’egemonia dei pasticciati termini lon-
ghiani del “Giudizio sul Duecento”; le divergenze tra epigoni di
Longhi e di Toesca sono culminate nelle due antitetiche interpreta-
zioni delle origini dell’arte italiane proposte da Giovanni Previtali e
Carlo Bertelli nella Storia dell’arte italiana pubblicata da Einaudi dal
1979; il primo, portabandiera della idea di una contrapposizione tra
due mondi, latino e occidentale, nei secoli XII e XIII sul territorio
italiano, e della idea del periodo di Giotto come momento iniziale
dell’arte italiana; l’altro, accanito sostenitore dell’esistenza di istitu-
zioni artistiche inconfondibilmente italiane gia in eta altomedievale2.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
Materiali e problemi, Vol. 1, Questioni e metodi (Torino, 1979), pp. 3-95; C. Bertelli, “Traccia
allo studio delle fondazioni medievali dell’arte italiana”, in Storia dell’arte italiana, Parte II,
Dal Medioevo al Novecento, Vol. 1, Dal Medioevo al Quattrocento (Torino, 1983), pp. 3-163.3
O. Demus, The Mosaics of San Marco in Venice, Parte I, The Eleventh and Twelfth
Century, con un contributo di R. M. Kloos, 2 voll.; Parte II, The Thirteenth Century, con un
contributo di K. Weitzmann, 2 voll. (Chicago e London, 1984). E. Kitzinger, The Mosaics
of St. Mary of the Admiral in Palermo, with a Chapter on the Architecture of the Church by
Slobodan Curcic (Washington, D.C., 1990), traduzione italiana, I mosaici di Santa Maria
dell’Ammiraglio a Palermo (Bologna, 1990); I mosaici del periodo normanno in Sicilia, 1, La
Cappella Palatina di Palermo. I mosaici del presbiterio (Palermo, 1992), 2, La Cappella Palatina
di Palermo. I mosaici della navata (Palermo, 1993), 3, Il Duomo di Monreale. I mosaici
dell’abside, della solea e delle cappelle laterali (Palermo, 1994), 4, Il Duomo di Monreale. I
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(Firenze, 1966). J. Beckwith, The Art of Constantinople. An Introduction to Byzantine Art
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bizantina (Torino, 1967). A. Cutler e J. W. Nesbitt, L’arte bizantina e il suo pubblico (Torino,
1986). E. Kitzinger, “Bizantina, arte”, in Enciclopedia dell’arte medievale, vol. 3 (Roma,
1992), pp. 517-534.
L’approccio formalistico, minoritario in campo internazionale
durante il periodo trattato in questo libro, e rimasto tale anche dopo.
Il compendio piu celebre sulla pittura bizantina, la Storia della pittura
bizantina di Lazarev, del quale Einaudi nel 1967 pubblico una
traduzione italiana, l’unica in una lingua occidentale, lamenta nella
premessa che “ancor oggi nello studio della pittura bizantina ci si
limita generalmente all’analisi del contenuto iconografico, trascu-
rando il lato artistico delle opere”. Nel torno di quei medesimi anni
la fortuna delle traduzioni italiane di opere su Bisanzio ha conosciuto
l’apice: nel 1966 Sansoni ha pubblicato L’arte bizantina di David
Talbot Rice, traduzione di Art of the Byzantine Era del 1963; di
nuovo Einaudi e nello stesso anno della Storia di Lazarev, il 1967, ha
pubblicato la traduzione de L’arte di Costantinopoli di John Beckwith.
Piu recentemente, nel 1986, UTET ha pubblicato il compendio
inedito di Anthony Cutler e John W. Nesbitt L’arte bizantina e il suo
pubblico, purtroppo in una versione italiana con grotteschi errori. Dei
grandi cantieri bizantini in Italia, i mosaici di San Marco a Venezia
sono stati interamente pubblicati da Demus, mentre Kitzinger ha
avuto appaltato il corpus dei mosaici siciliani del periodo normanno3.
Anche l’Enciclopedia dell’arte medievale dell’Istituto per l’Enciclo-
pedia Italiana di Treccani, ha affidato singole voci a studiosi italiani;
la voce “Bizantina, arte”, pero, contenuta nel volume terzo uscito nel
1992, e ancora di Kitzinger4. Quest’ultimo e emerso come il bizanti-
EPILOGO
5E. Kitzinger, L’arte bizantina. Correnti stilistiche nell’arte mediterranea dal III al VII secolo
(Milano, 1989), traduzione italiana di Byzantine Art in the Making. Main lines of stylistic
development in Mediterranean art 3rd – 7th century (London, 1977); Il culto delle immagini.
L’arte bizantina dal cristianesimo delle origini all’Iconoclastia (Scandicci, 1992), traduzione
italiana di “The Cult of Images in the Age Before Iconoclasm”, Dumbarton Oaks Papers 8
(1954), pp. 83-150, e “Byzantine Art in the Period Between Justinian and Iconoclasm”, in
Berichte zum XI. Internationalen Byzantinisten-Kongress, Munchen 1958 (Munchen, 1958),
pp. 1-50.6
A lamentarsi della indifferenza verso i maggiori esponenti della bizantinistica iternazio-
nale sono, tra altri, G. Romano, “Per i maestri del Battistero di Parma e della Rocca di
Angera”, Paragone nn 419-423, 1985, p. 11; A. Tartuferi, La pittura a Firenze nel Duecento
(Firenze, 1990), p. 5. A. Giuliano, “L’illustrazione libraria di eta ellenistica e romana e i
suoi riflessi medievali”, in Vedere i classici. L’illustrazione dei testi antichi dall’eta romana al
tardo medioevo, catalogo della mostra, Salone Sistino, Musei Vaticani, 9 ottobre 1996 – 19
aprile 1997, a cura di M. Buonocore (s.l., 1996), pp. 39-50. Tre edizioni di una traduzione
italiana di Illustrations in Roll and Codex di Weitzmann hanno goduto di una discreta
fortuna: Le illustrazioni nei rotoli e nei codici. Studio della origine e del metodo della illustrazione
dei testi, a cura di M. Bernabo (Firenze, 1983, 19852
e 19913).
nista straniero piu corteggiato in Italia; di lui in traduzione italiana
sono apparsi L’arte bizantina. Correnti stilistiche nell’arte mediterranea
dal III al VII secolo nel 1989 e Il culto delle immagini. L’arte bizantina
dal cristianesimo delle origini all’Iconoclastia nel 1992. Questo quasi
monopolio italiano di Kitzinger sull’arte bizantina, esagerato rispetto
al peso goduto dai suoi lavori all’estero, appare dovuto alla facile
digeribilita della lettura formale che lo studioso applica alla produ-
zione artistica a Bisanzio, descrivendola, per i secoli trattati nei due
libri italiani, come sviluppo generale da una maniera naturalistica di
stampo ellenistico a una maniera sempre astratta, tipicamente bizan-
tina: una schematizzazione che molti documenti figurativi bizantini
del periodo invalidano; una analoga schematizzazione che interpre-
tasse tre o quattro secoli dell’arte dell’Occidente come evoluzione
una maniera stilistica al suo opposto non verrebbe nemmeno consi-
derata nella storiografia artistica moderna5. Invece, anche se studiosi
italiani si lamentano della indifferenza verso Belting, Buchthal, De-
mus e Weitzmann, interpretazioni che discutano l’iconografia alla
pari dello stile sono occasionali negli studi italiani del settore. Come
al tempo di Bianchi Bandinelli, a prendere in considerazione stru-
menti specifici di approccio alla illustrazione dei testi sono gli ar-
cheologi, come Antonio Giuliano, ad esempio, dipendendo ampia-
mente da Weitzmann per la sua traccia storica della illustrazione dei
testi classici, ed insieme a questi una frazione non maggioritaria degli
storici della miniatura6. Da parte di paleografi e storici della produ-
zione libraria e venuto il contributo piu originale su Bisanzio, che
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
7Vedi soprattutto i lavori di Guglielmo Cavallo, tra i quali “La cultura italo-greca nella
produzione libraria,” in I Bizantini in Italia (Milano, 1982; 2a edizione, Milano, 1986), pp.
497-614; “Italia bizantina e Occidente latino nell’alto medioevo. Una contrapposizione
irrisolta”, in Bisanzio fuori di Bisanzio, a cura di G. C. (Palermo, 1991), pp. 105-120; “I
fondamenti culturali della trasmissione dei testi antichi a Bisanzio”, in Lo spazio letterario
della Grecia antica, 2, La ricezione e l’attualizzazione del testo, a cura di G. Cambiano, L.
Canfora, D. Lanza (Roma, 1995), pp. 265-306. Allo stesso si deve anche, in parte, la nuova
edizione del facsimile e del commentario dell’Evangeliario di Rossano Calabro: Codex
Purpureus Rossanensis, a cura di G. Cavallo, J. Gribomont, W. C. Loerke (Roma, 1987).
coinvolge anche la produzione artistica, cioe la individuazione di una
produzione di manoscritti italo-greci, alcuni di essi miniati, nelle
zone bizantine dell’Italia meridionale7.
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INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
Accademia d’Italia, 95, 108, 119-120Adam, Paul, Basile et Sophia, 15; Irene
et les Eunuques, 15, 27; Princessesbyzantines, 15
Afrodisia, 256Ainalov, Dimitri V., 73, 210, 257Alarico, 9Alazard, Jean, 199Alessandria (Egitto), 12, 28, 73, 80,
137, 245, 257, 262, 268 nota 39Aletto, 10Alinari, fotografi, 68Alpatov, Mikhail, 133Amalasunta (figlia di Teodorico), 23-24Amato, Domenico, 40Amendola, Giovanni, 134Amida, 81Anagni, cassetta d’avorio, 122Anagni, cattedrale, affreschi, 123, 185Anastasio, 7, 22Andreucci, Marcantonio, 193Anicia Juliana, 256Anna Dalassena, figlia di Isacco Com-
neno, 14Anna Comnena, Alessiade, 14Anrep, Boris, 72Antal, Frederick, 243Antelami, 151, 185Antiochia, 80, 137, 171, 254Antiochia, mosaici, 237, 241, 255, 261,
265Antonello da Messina, 191-192Antonina, moglie di Belisario, 9, 12, 21,
42Apocalisse, la grande meretrice, 33Aquileia, 28, 30, 169Aquileia, basilica di Teodoro, mosaici,
164, 200-201Aquileia nostra, rivista, 168-169
Aquisgrana, Cappella Palatina, 137Ara dei Fileni (Cirenaica), 164-165Arcangeli, Francesco, 112-113, 221Archivio storico dell’arte, 64Argan, Giulio Carlo, 118, 120 nota 5,
121Ariadne, 7Arianna, imperatrice, 28Armeni, 81, 99 nota 21, 122, 171, 190,
199, 208, 259Arslan, Edoardo, 270Arta, 211L’arte, rivista, 64, 177, 270Le arti, rivista, 120, 150, 159, 160 nota
13, 169Art in America, rivista, 136Assisi, chiesa di San Francesco, affre-
schi, 151, 178, 182Ataulfo, re ostrogoto, 26Atene, 12, 121Atene, Palazzo di Zappeion, mostra Art
byzantin art europeen, 250Atene, Piccola Cattedrale, 72Attila, 82Avanti!, giornale, 100
Babele, 90-91Babilonia, 47-48, 90Baglione, Giovanni, 193Baldinucci, Filippo, 57Baldovino, 9Balla, Giacomo, 84Baltimora, Johns Hopkins University,
141Bandini, Angelo Maria, 57Baratta, Angelo, 44-48, 58Barletta, Colosso di Barletta, 172Baronio, Cesare, Annales ecclesiastici, 10Bartlett, W. H., 46 nota 6
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
Basilio I, imperatore, 20Basiliola, 25-26, 29-34, 36, 94, 201Basiola, Mario, 35Bassano, Jacopo, 146Bataille, Georges, 97Beckwith, John, 276Belisario, 7-9, 12Bellori, Giovanni Pietro, 57Bellotto, Bernardo, 192Belting, Hans, 277Bencivenga, Eduardo, 38Bendinelli, Goffredo, 41, 127, 155Benevento, chiesa di Santa Sofia,
affreschi, 233Beregan, Nicolo, Giustino, 7-8Berenson, Bernard, 71, 82, 117,
119-122, 125, 131-138, 141, 143,147, 149, 160 nota 13, 177, 179,186, 194, 196, 221-223, 231-232,242, 250, 260-261
Berlinghieri, 61, 134, 136, 185-186Berlinghieri, Berlinghiero, 180Berlinghieri, Bonaventura, 185Berlino, 8Berlino, Staatliche Bildstelle, 211Bernhardt, Sarah, 11, 13-14, 34 nota
15, 37-38Bertelli, Carlo, 251 nota 15, 252, 265,
275Bettini, Sergio, 74, 132-133, 146-148,
167, 170, 182-183, 222, 225-227,257-258
Bianchi Bandinelli, Ranuccio, 100, 111,121, 134, 186 nota 23, 202, 219-220,222 , 233-239 , 245-248 , 251 ,260-266, 277
Bibbia di Borso d’Este, 189Binyon, Laurence, 191Biseo, Cesare, 47-48Blossier, Maria, 35Boccioni, Umberto, 84, 90Bodrero, Emilio, 94Bognetti, Gian Piero, 266-267, 269,
271Boito, Camillo, 63, 65Bollettino d’arte, rivista, 251Bologna, chiesa di San Domenico, 180Bologna, “Convegno per le istituzioni
fasciste di cultura” (“Convegno per laCultura Fascista”), 92-95, 139, 162,189, 197
Bologna, Ferdinando, 232-233
Bolzano, arco di trionfo, 164Bonifacio VIII, papa, 77Borgia, Nilo, 106Bottai, Giuseppe, 93, 107, 120,
150-152, 159, 170, 182, 237Bottari, Stefano, 257Bovini, Giuseppe, 233-234Brandi, Cesare, 120 nota 5Braque, Georges, 84Brehier, Louis, 74, 199, 257Brescia, Museo Civico, lipsanoteca, 29Brunetti, Giulia, 180Bruto, Marco Giunio, 105Buberl, Paul, 121, 257, 264Buchthal, Hugo, 252, 277Butler, Howard Crosby, 73Byron, George Gordon lord, 225Byzantinische Archiv, rivista, 79Byzantinische Zeitschrift, rivista, 73, 79Byzantion, rivista, 73
Cagliari, Universita, 237Calamandrei, Piero, 221Caldesi, Vincenzo, 19, 57Cambellotti, Duilio, 29, 34Cammarano, Salvatore, 8-9Campbell Thomson, R., 261Campigli, Massimo, 158-160Cantarella, Raffaele, 141Caravaggio, 150Carducci, Giosue, 19-20, 57Carlucci, Leopoldo, 28Carra, Carlo, 84, 90, 91 nota 6, 97,
108, 114, 158-160, 175-177, 179Casabella, rivista, 154Casorati, Felice, 140, 161Castelseprio, 267Castelseprio, chiesa di Santa Maria foris
Portas, affreschi, 122, 241, 244,266-273
Catone, Marco Porcio, il Censore, 105Cavallini, Pietro, 107, 130, 136, 145,
176, 178, 195, 207Cavallo, Guglielmo, 262, 278 nota 7Cecchelli, Carlo, 26, 74, 105-106, 200,
211, 222, 233-234, 253, 269Cecchi, Emilio, 93, 118, 138, 182, 193Cefalu , cattedrale, mosaici, 170,
223-224Ceriani, Anton Maria, 68Cesare, Caio Giulio, 105Cesena, Biblioteca Malatestiana, 251
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
Cezanne, Paul, 72, 84, 92, 111-115,140, 153, 156, 199, 221
Chardin, Jean Baptiste Simeon, 112Chiarugi, Giulio, 192-193Chierici, Gino, 267Chini, Galileo, 25, 35-38, 40, 72, 83,
117Chirtani, Luigi, 62Christus (La sfinge dello Ionio), film, 39Cigna, Gina, 35Cimabue, 57, 60, 68, 77, 109, 130,
136-137, 141-142, 145, 177-180,182, 184, 195, 207, 227-228, 230,233
Cinegetica, vedi: Venezia, BibliotecaNazionale Marciana, cod. Z 479
Cipro, 132Civate, 195, 206Cividale, Santa Maria in Valle, stucchi,
129Civil, Paolo, 35Civilta moderna, rivista, 214Clara Rhodos, rivista, 173Cleopatra, regina d’Egitto, 33, 39Colasanti, Arduino, 63, 82, 102, 121,
190, 193-196Colbert, Jean-Baptiste, 55Coletti, Luigi, 169, 181, 183, 221Commentari, rivista, 244, 254, 257-258,
270Comneni, 214Congresso Nazionale di Studi Romani,
105-106Contini, Gianfranco, 227Contini Bonacossi, Alessandro, 142,
154 nota 4Coo, 173Coppo di Marcovaldo, 136, 186, 227Copti, 187, 199Corra, Bruno, 91Il Corriere della Sera, giornale, 138, 191
nota 2, 222Cosmati, 60, 145Costantinopoli, 9, 12, 20, 43-51, 56,
58, 61, 97 nota 18, 107, 129, 132,136, 138, 167, 169, 177, 199, 202,211-212, 241, 254, 256, 261-262,268, 270, 272
Costantinopoli, chiesa dei SS. Apostoli,201
Costantinopoli, chiesa di Sant’Irene,46, 137, 173
Costantinopoli, chiesa di San Salvatorein Chora, 65, 173, 222, 226
Costantinopoli, chiesa dei Santi Sergioe Bacco (Piccola Santa Sofia), 46,137
Costantinopoli, chiesa di Santa Sofia, 7,12, 14, 44-47, 49, 58, 62-63, 72, 78,122, 137, 144, 173, 222-223, 241
C o s t a n t i n o p o l i , c i s t e r n a d iYere’-Batan-Seray, 47
Costantinopoli, colonna di Arcadio, 49Costantinopoli, colonna di Costantino,
50Costantinopoli, colonna di Teodosio,
58, 257Costantinopoli, Ippodromo, 12, 16, 23,
47, 49; loggia del Cathisma, 14Costantinopoli, monastero di Studius,
46, 215 nota 33Costantinopoli, mura, 211Costantinopoli, obelisco di Teodosio,
base, 46-47, 58, 256-258Costantinopoli, palazzo di Costantino
Porfirogenito, 211Costantinopoli, palazzo degli Impera-
tori, mosaici, 241, 272Costantinopoli, palazzo di Belisario, 46Costantinopoli, Porta Aurea, 50Costantinopoli, Serraglio, 49Courbet, Gustave, 112Creta, 146Critica fascista, rivista, 95Croce, Benedetto, 89, 93, 97, 119, 139,
142-143 , 182 , 221 , 228-231 ,236-237, 241-248
Cronaca di Manasse, vedi: Roma,Biblioteca Apostolica Vaticana, cod.Vat. slav. II
Cronaca bizantina. Periodico letterario —
sociale — artistico, rivista, 19-21, 38,214
cubisti, 84, 115, 175-176Cutler, Anthony, 276
D’Achiardi, Pietro, 66, 102, 106, 117Dafnı (Atene), monastero, 72, 211, 222Dalila, 10Dalton, Ormond M., 74, 80, 183, 207,
257Damasco, 137Damasco, Grande Moschea, mosaici,
122
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
Dami, Luigi, 146D’Ancona, Paolo, 118, 138, 199, 252D’Annunzio, Gabriellino, 38D’Annunzio, Gabriele, 19, 21, 25, 164,
190; La nave, 25, 28-38, 164, 169,201, 214; Trionfo della morte, 39
Dante Alighieri, 104, 164, 178Darcel (direttore della manifattura dei
Gobelins), 14David, Jacques-Louis, 92Daumier, Honore, 92, 112De Amicis, Edmondo, 44, 47-50, 62De Angelis D’Ossat, Guglielmo, 102Debidour, Antonin, 16Decani, 132De Capitani d’Arzago, Alberto, 244,
267-268De Chirico, Giorgio, 149, 158, 183Dedalo, rivista, 134-135De Francovich, Geza, 118, 133, 190,
193, 199, 208, 221, 233, 242,244-245, 254-260, 270
Degas, Edgar, 84, 92, 136De Jerphanion, Guillaume, 199-200,
222Delacroix, Eugene, 9, 24, 92Delbrueck, Richard, 255De Liguoro, Giuseppe, 39Della Seta, Alessandro, 104, 190Dell’Isola, G., 172Del Massa, Aniceto, 110, 154, 181De Marinis, Tammaro, 190, 199Demus, Otto, 122, 222-223, 277Denis, Maurice, 76De Sanctis, Gaetano, 89, 195, 222Desiderio, abate di Montecassino, 206De Vecchi, Cesare Maria, 166De Wald, Ernest T., 133Diaghilev, Sergej, 71Dictionnaire Larousse, 94, 190Diehl, Charles, 12-16, 25, 27, 62,
73-75, 80, 85, 183, 197, 199,207-211, 257
Di Fausto, F., 164Difesa della razza, rivista, 171, 172Dioscoride di Vienna, vedi: Vienna,
Nationalbibliothek, cod. Med. gr. 1Di Pietro, Filippo, 224divisionisti, 153Documents. Doctr ines Arch e o logie
Beaux-arts Ethnographie, rivista, 97Domus, rivista, 110, 154
Donatello, 150Donizetti, Gaetano, Belisario, 8-9, 15Doxa, rivista, 233Dresda, 8Ducati, Pericle, 93, 104, 167-168Duccio di Boninsegna, 60, 68, 107,
130, 136, 145, 178, 195, 207, 227,230, 233
Duquesnel, 11Dura Europos (Siria), sinagoga,
199-200, 235 nota 27, 241, 257Durrien, 252Duthuit, Georges, 74, 76-78, 79 nota
12, 183, 222, 225Dvorak, Max, 252
Ebersolt, Jean, 74-75, 97, 121, 222Edessa, 81, 137, 199Efeso, 80, 137, 256Einstein, Albert, 90Einstein, Carl, 97, 196Elgin and Kincardine, Thomas Bruce
Earl of, 46Encyclopædia Britannica, 72, 190Enciclopedia cattolica, 191 nota 2, 222Enciclopedia dell’arte antica classica e
orientale, 222Enciclopedia dell’arte medievale, 276Encic loped ia I ta l iana (Treccani ,
Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere
ed Arti), 93, 118, 130, 149, 162, 167,178, 189-215, 222, 235, 254
Enciclopedia Universale dell’arte, 222Enrico di Tedice, 180, 186Eraclio, imperatore, 49, 262Erinni, 10Erodiade, 10Etienne d’Auxerre, 77Eudocia, figlia di Belisario, 8-9Eudocia, moglie di Teodosio II,
imperatrice, 14Eusebio di Cesarea, 60Eva, 10Evangeliario di Rabbula o Rabula, vedi:
F i r e n z e , B i b l i o t e c a M e d i c e aLaurenziana, cod. Plut. 1.56
Falena, Ugo, 34Fattori, Giovanni, 141fauves, 77-78, 90, 111, 155Federico II, 124Federico Augusto II di Sassonia, 8
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
Ferrari, Giannino, 209, 211Filadelfia, 8Fillia (Luigi Colombo), 139Fini, Leonora, 158Fiocco, Giuseppe, 66, 168, 192, 257Fiorentino, Italo, Teodora. Romanzo
storico bizantino, 21-23, 26, 38, 40Firenze, 8, 76, 227Firenze, Battistero di San Giovanni,
mosaici, 177F i r e n z e , B i b l i o t e c a M e d i c e a
Laurenz i ana , cod . p lu t . 1 .56(Evangeliario di Rabbula), 58 nota 6,60, 123, 125-126, 169, 242, 250 nota13, 253, 255-256; cod. plut. 5.9(Catena sui Profeti), 57, 124 nota 10;cod. plut. 5.38 (Ottateuco), 124 nota10, 250 nota 13; cod. plut. 6.23(Vangeli), 250 nota 13; cod. 6.28(Vangeli), 250 nota 13; cod. plut.9.28 (Cosma Indicopleuste), 250nota 13; cod. plut. 74.7 (Raccoltaippocratica), 58 nota 6, 250 nota 13
F i r e n z e , B i b l i o t e c a M e d i c e aLaurenziana, mostra della bibliotecadi Lorenzo il Magnifico, 251
Firenze, chiesa di Santa Maria delFiore, cupola,
Firenze, chiesa russa, 73 nota 2Firenze, Congresso Nazionale di Storia
dell’Architettura, 102Firenze, Galleria degli Uffizi, Mostra
giottesca, 149, 162, 175, 179, 183Firenze, Museo Nazionale del Bargello,
dittico d’avorio con l’imperatriceArianna, 28
Firenze, Palazzo Strozzi, ConvegnoInternazionale per le Arti Figurative,226, 244
Firenze, Universita, 221, 237 nota 32Flaubert, Gustave, La tentation de Saint
Antoine, 38Flora, Francesco, 214Focillon, Henri, 81 nota 16Fogolari, Gino, 201Formes, rivista, 119Fradeletto, Antonio, 35Friend, Albert Mathias Jr, 73, 210, 234,
237, 252-253Frusta, 38Fry, Roger, 72, 115Funi, Achille, 158
Furlani, Giuseppe, 253Furse, Alberto D., 50futuristi, 83, 90-91, 115, 139-140Gadda, Carlo Emilio, 25, 220Galassi, Giuseppe, 41, 82, 84, 99, 104,
122, 145-146, 244-245Galassi Paluzzi, Carlo, 101, 103, 105,
107, 165Galbiati, Giovanni, 260-261Galla Placidia, 26Gallone, Carmine, 165Gamba, Carlo, 177, 194Garavaglia, Ferruccio, 29Garrison, Edward B., 227-230, 232,
246Garrucci, Raffaele, 59-60Gauguin, Paul, 84, 112-113Gautier, Theophile, 9, 43-44, 48-49, 56Gelimero, re dei Vandali, 8Genesi Cotton, vedi: Londra, British
Library, cod. Cotton Otho B.viGenesi di Vienna, vedi: Vienna,
Nationalbibliothek, cod. Theol. gr. 1Genova, Biblioteca delle Missioni
Urbane, 121Gentile, Giovanni, 92, 94, 119, 145,
169, 189-195, 199, 207-209George, Waldemar, 119Gerarchia, rivista, 96Gerola, Giuseppe, 168Gerstinger, Hans, 252, 264Gibbon, Edward, 10, 55Giglioli, Giulio Quirino, 92, 94, 107,
162-164Giglioli, Odoardo H., 181Giolli, Raffaello, 154-155, 220Il Giornale d’Italia, giornale, 97-100,
114, 118, 138, 190, 196Giotto, 57, 67, 77, 88, 104-105,
109-110, 112, 114, 130, 136, 141,150-151, 172, 175-182, 184-185,189, 192, 194-195, 203-204, 207,275
Giovanni VII, papa, 198-199Giovanni da Milano, 183Giovanni Pisano, 142Giovannoni, Gustavo, 66, 102, 104,
190, 208-209Giuliano l’Apostata, film, 34Giunta Pisano, 136, 180, 195, 207Giustiniano, 7-14, 17-19, 23, 25, 27,
30, 38, 41-42, 49, 56, 87, 104, 107,
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
137, 147, 164, 166-167, 200,210-212, 214, 261-262, 272
Giustino I, imperatore, 7Giustino II, imperatore, 52Giusto de’ Menabuoi, 146, 183Gnoli, Domenico, 64Gobetti, Piero, 140Goldschmidt, Adolf, 73-74, 252Golubev, Victor, 191Gozzoli, Benozzo, 112Grabar, Andre, 122, 249Grado, 201Graeven, Hans, 65Grasset, Eugene, 37Gray, Giuseppe, 39El Greco, 152-154, 188Gregorio di Tours, 17Grottaferrata, abbazia di San Nilo, 68Gruppo dei Sei (pittori), 140Gualino, Riccardo, 121, 139-142, 165,
186Guardi, Francesco, 142Guazzoni, Enrico, 39Guidi, Michelangelo, 200Guido da Siena, 138, 141, 195
Handel, Georg Friederich, Giustino, 8Haseloff, Arthur, 250Hayez, Francesco, 24Heisenberg, A., 257Herczeg, Ferenc, Bizanc, 15Hermann, H., 250, 252Hermanin, Federico, 66, 198-199, 202Holbein, 9Hosios Lukas (Focide), chiesa, 211, 222Houssaye, Henri, 17Huysmans, Joris-Karl, A rebours, 33
Iliade Ambrosiana, vedi: Milano,Biblioteca Ambrosiana, cod. F. 205inf.
Illustrazione toscana, rivista, 181impressionisti, 115Ingres, Jean-Auguste-Dominique, 24Interlandi, Telesio, 171Irene, moglie di Leone IV, imperatrice,
14, 27Isambert, Francois Andre, 10Istanbul, Biblioteca del Serraglio, cod. 8
(Ottateuco), 133Istanbul, congresso di bizantinistica, 273Istanbul, Museo Archeologico, patena
di Stuma, 256
Jacopi, Giulio, 173
Kandinsky, Vasilij (Wassily), 71-72,153, 155
Kauffmann, C. M., 81Kiev, 199Kitzinger, Ernst, 223, 231, 276-277Klimt, Gustav, 25, 37, 72, 84, 90Kondakov, Nikodim Pavlovich, 56, 62,
73, 123, 273Krumbacher, Karl, 62, 123, 212Kuhnel, Ernst, 199-200
Labarte, Jules, 59Laborde, Leon Emmanuel de, 252Lacerba, rivista, 84Lalique, Rene, 13Lami, Giovanni, 57Lanzi, Luigi, 57Largajolli, Dionigi, 15Lazarev, Viktor, 121, 133, 222, 258,
271-273, 276Legrenzi, Giovanni, 8Leonardo da Vinci, 203-204Leone X l’Armeno, imperatore, 201Leone, scriba, 122Leopardi, Giacomo, 50Le Roux, Hugues, Amants byzantins, 15Lethaby, William Richard, 72Levi, Teodoro (Doro), 236-237, 255,
257, 260Levi Della Vida, Giorgio, 199Licini, Osvaldo, 153Loewy, Emanuel, 199Lombard, Jean, Byzance, 15Londra, 8, 90Londra, British Library, cod. Cotton
Otho B.vi (Genesi Cotton), 60, 63,65, 67
Londra, Covent Garden Theatre, 8Londra, Royal Academy, Exhibition of
Italian Art 1200-1900, 97Londra, Tate Gallery,Longhi, Roberto, 78, 118, 120-121,
128, 134, 141-143, 146 nota 24, 151,154, 175, 182-188, 193, 220-221,223-233, 242-244, 246, 251, 254,275
Lotti, Antonio, Teofane, 8Lucca, Museo Nazionale di Villa Guini-
gi, crocifisso, 185Lucca, Pinacoteca, 180Luciano, Dialoghi delle cortigiane, 11
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
Luigi XIV, re di Francia, 55Lussac, Victor de, Leggenda siracusana
dell’anno 1000, 39
Maestro di Isacco, 178Malaparte, Curzio, 220Malkiel-Jirmounski, Miron, 199-200Malraux, Andre, 97Mancinelli, Luigi, 34Mancini, Antonio, 136Mancini, Giulio, 57Manet, Edouard, 115, 136Manifesto degli intellettuali antifascisti,
93, 139Manifesto degli intellettuali fascisti, 93Manuele II Comneno, imperatore, 214Maometto II, sultano ottomano, 47, 50Marangoni, Luigi, 201Marcantonio e Cleopatra, film, 38Marchionni, Luigi, 9Marco, evangelista, 28, 31, 34Marconi, Guglielmo, 190Marconi, Pirro, 105Margaritone d’Arezzo, 136, 187 nota
24Marinetti, Filippo Tommaso, 90, 93Marmontel, Jean-Francois, Belisaire,
8-9, 15Martini, Simone, 142Masaccio, 105, 114, 150, 175, 183,
102, 194, 196Masolino da Panicale, 183, 196Massenet, Lules-Emile-Frederic, 11Mataloni, 37Matisse, Henri, 77-78, 79 nota 12, 84,
111-113, 155-156, 186, 199, 221M a t z u l e v i t c h ( M a t s u l e v i c h ,
Matzulewitch), Leonid, 273Matteotti, Giacomo, 139Matthiae, Guglielmo, 231Maurer, 8Maurizio, imperatore, 261Mazzini Society, 141Megera, 10Menologio di Basilio II, vedi: Roma,
Biblioteca Apostolica Vaticana, cod.Vat. gr. 1613,
Mercati, Giuseppe Silvio, 74, 190, 261Merion, Pennsylvania, The Barnes
Foundation, 155Messina, Biblioteca Universitaria,
mostra dei codici del SS. Salvatoredell’Acroterio, 251
Meteora, 21Michelangelo Buonarroti, 84, 105, 112,
114, 142, 150, 161, 175, 192, 194,196, 203-204, 231
Michele Paflagonico, imperatore, 20Milano, 93, 167, 269Milano, Cattedrale, 76Milano, Biblioteca Ambrosiana, cod. D
67 sup. (Evangeliario), 124 nota 10;c o d . E 4 9 / 5 0 i n f . ( G r e g o r i oNazianzeno), 249; cod. F 205 inf.(Iliade Ambrosiana), 67-68, 235-236,242, 260-266
Milano, Biblioteca Trivulziana, mostradi codici miniati del Rinascimento,251
Milano, Duomo, reliquiario di SanNazaro, 29
Milano, Fondazione Treccani per laStoria di Milano, 267
Milano, Mostra del Novecento, 95, 143Milano, Musei del Castello Sforzesco,
avorio con San Menas, 33; testafemminile (Teodora?), 84-85
Milano, Palazzo de Il popolo d’Italia(Palazzo dell’Informazione), 160, 161nota 14
Milano, Palazzo di Giustizia, 159Milano, Teatro La Scala, 35Milano, Teatro Manzoni, 18Milano, Triennale di arti decorative e
applicate all’industria, 158, 160Mileseva, 132Millet, Gabriel, 74, 112, 183, 207, 210Mistra, 211Moet et Chandon, 34 nota 15Mole, Vojeslav, 200Il Mondo, rivista, 93, 221 nota 4, 224,
258Monet, Claude, 115Monneret de Villard, Ugo, 208, 222,
239Monreale, cattedrale, mosaici, 169-170,
211, 219, 223-224Montecassino, abbazia, 68, 206Montemezzi, Italo, 35Montesquieu, Charles-Louis de, 13, 17,
55Monza, Duomo, Tesoro, croce di
Agilulfo, 33; croce di Berengario, 33Moreau, Gustave, 33Morelli, Domenico, 24Morey, Charles Rufus, 73, 133, 210,
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
233, 236-239, 241, 247, 255, 257,260, 264, 268
Morisani, Ottavio, 257Morris, William, 72Mosca, Accademia delle Scienze
dell’URSS,Mouterde, Rene, 199Mschatta, 81Mucha, Alphonse, 25, 34 nota 15, 37,
72Munoz, Antonio, 63, 65-66, 68, 74,
107, 121, 208-209Murano, chiesa, abside, mosaico, 144Muratov, Pavel P., 74, 106, 121, 133,
147Mussolini, Benito, 75, 92, 94, 96-97,
1 0 0 , 1 0 7 - 1 0 8 , 1 3 4 , 1 4 3 ,162-164-165, 184, 189-190, 230
Muzzioli, Giovanni, 250
Nadar, Paul, 11Napoli, 8Napoli, Biblioteca Nazionale, cod. 487
o Borgia 25 (Giobbe), 75, 250 nota13; cod. gr. 1 (Dioscoride), 250 nota13
Narsete, 30, 34La nave, film, 38La Nazione, giornale, 94 nota 14, 108,
111 nota 38, 181Nesbitt, John W., 276New York, 8New York, Collezione Duveen, pannelli
con San Giovann i Ba t t i s t a eSant’Orsola, 136-137
New York (gia), Collezione Kahn,Madonna col Bambino: vedi sottoWashington, National Gallery
New York (gia), Collezione Hamilton,Madonna col Bambino: vedi sottoWashington, National Gallery
New York, Notre Dame of Lourdes, 72Nicco, Giusta, 41Nicea, chiesa della Dormizione,
mosaici, 255, 272Nicola Pisano, 195Nietzsche, Friederich Wilhelm, 29Nilo, san, 68Nisibi, 81, 137Nordenfalk, Carl, 257Novgorod, 56, 200Nuova Antologia, rivista, 197
Offner, Richard, 228, 232Ojetti, Ugo, 37, 74, 88-89, 93, 111,
114-115, 118, 120, 134-135, 140,146, 150, 170, 176, 181, 190-197,205, 207-209
Opera Nazionale Balilla, 95Oppo, Cipriano Efisio, 35Orazi, Manuel, 27 Ortolani, Sergio, 257L’osservatore romano, giornale, 191 nota
2Ottone II, imperatore, 8Oxford, congresso di bizantinistica, 273
Padova, 146, 148Padova, Cappella degli Scrovegni,
affreschi, 151, 176, 203-204Padova, chiesa del Santo, tesoro,
calamaio con figure di divinita, 122,211
Padova, atrio del Liviano (Facolta diLettere), 159
Pacht, Otto, 252Paleologi, 210Palermo, Cappella Palatina, mosaici,
170, 223-224Palermo, chiesa di Santa Maria
de l l ’Ammirag l io (Mar torana) ,mosaici, 223
Palizzi, Filippo, 111Pallavicino, Stefano Benedetto, 8Pallucchini, Rodolfo, 159Palmira, 257Panofsky, Erwin, 97Paoli, Evelina, 29Paolo Uccello, 142, 146 nota 24, 175Paolo Silenziario, 144Paolo Veneziano, 226Papini, Roberto, 103Paragone, rivista, 231, 233, 251-252Parenzo, 68, 168, 200-201Parenzo, Basilica Eufrasiana, mosaici,
60, 167Paribeni, Roberto, 75, 97, 119-120,
169, 190, 198, 202Parigi, 13, 88, 90-91, 93, 99 nota 21,
119, 137-138, 144Parigi, Bibliotheque Nationale, 75; cod.
gr. 139 (Salterio di Parigi), 67, 183,215 nota 33, 265 nota 34, 268, 270;cod. gr. 510 (Greogrio Nazianzeno),265 nota 34; cod. suppl. gr. 1286(Vangeli di Sinope o Sinopense), 122,
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
133, 169, 256; cod. syr. 33 (Vangeli),255; cod. syr. 341 (Bibbia), 256
Parigi, Louvre, 75; dittico d’avorio Bar-berini, 58; Musee des Arts Decoratifs(Pavillon de Marsan), 74, 121
Parigi, Mostra Byzance et la France
medievale, 250, 266 nota 36
Parigi, Mostra Exposition internationale
d’art byzantin, 74, 122
Parigi, Salon d’Automne, 71, 155
Parigi, Teatro Porte-Saint-Martin, 11
Parma, Battistero, affreschi, 185
Parma, Biblioteca Palatina, cod. Palat.
5 (Evangeliario), 121, 124 nota 10,
250 nota 13
Partecipazio, 201
Pasadena, St. Andrew, 72
Pasquali, Ernesto Maria, 28
Pasquali , Giorgio, 89, 93, 164,
183-184 , 197 , 209 , 211-214 ,
219-220, 225-226
Pasquin, Antoine-Claude, vedi: Valery
Patmo, 172-173
Patti, Adelina, 35
Pec, 132,
Pegaso, rivista, 114, 193-194
Peirce, Hayford, 74
Pensabene, Giuseppe, 171
Pernice, Angelo, 39, 197, 209
Pertusi, Agostino, 222
Perugia, Biblioteca Comunale Augusta,
cod. L 59 (Bibbia), 129
Pescia, chiesa di San Francesco, tavola
con San Francesco e storie, 176, 185
Petrucci, Carlo Alberto, 199
Philodor, 8
Piacentini, Marcello, 159, 164
Piazza Armerina, Villa Romana,
mosaici, 241
Picasso, Pablo, 84, 111-114, 186, 221
Piccinato, Carlo, 35
Piero della Francesca, 196
Pigna, Giuseppe, 21
Pisa, 184
Pisa, chiesa di San Francesco, 185
Pisa, Museo Nazionale di San Matteo,
180
Pissarro, Camille, 115
Pizzetti, Ildebrando, 29
Polidori, Ettore, 35
Pollaiolo, Antonio del, 142, 196
Pollaiolo, Piero del, 196Pompei, 151, 158, 269Pomposa, 201Ponti, Gio, 36, 158Il Popolo d’Italia, giornale, 94 nota 14,
95, 108, 143Porter, Arthur Kingsley, 80Poussin, Nicolas, 112Praz, Mario, 214Premio Mussolini, 108, 119Previtali, Giovanni, 275Prichard, Matthew Stewart, 72, 78, 183Princeton (New Jersey), Institute for
Advanced Study, 234, 237Princeton (New Jersey), University of
Princeton, Department of Art andArchaeology, 225, 233-234, 239,252, 272
Procopio di Cesarea, 144Procopio di Cesarea, Aneddoti (Storia
segreta), 8, 10-11, 17, 21, 23, 26-28,40, 42
Proporzioni, rivista, 183, 231Psello, Michele, 13-14pseudo-Codino, 51
Quadrante, rivista, 157Quadrivio, rivista, 171, 180
Raffaello Sanzio, 161, 175Ragghianti, Carlo Ludovico, 121, 244Rankabes, Cleone, Herakleios, 15;
Theodora, 15, 24La Rassegna d’Italia, rivista, 224La rassegna storica del Seprio, rivista,
268-269Ratti, Achille (poi papa Pio XI), 68Ravenna, 26, 43, 51, 62-63, 72, 104,
117, 122, 126, 129, 145, 151,156-157, 164, 167-169, 200-202,219, 269
Ravenna, Battistero degli Ariani, 60Ravenna, Battistero Ursiano, 60, 64Ravenna, chiesa di Sant’Apollinare in
Classe, 60; abside, mosaico, 143-144,157, 161, 205
Ravenna, chiesa di Sant’ApollinareNuovo, 60; mosaico con Cristo, 32;mosaico con la Madonna fra angeli,157; mosaici dei martiri e dellevergini, 32, 35-37, 52, 58, 63, 64, 73,126-128, 155, 161
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
Ravenna, chiesa di San Vitale, 51, 53,58, 122, 137, 146, 152, 168; mosaicodi Giustiniano, 58, 60, 126-128, 146nota 24, 156-157; mosaico diTeodora, 9-11, 19, 26, 28, 31, 35-36,39, 41, 52, 60, 72, 126-128, 146 nota24, 161, 211
Ravenna, Mausoleo di Galla Placidia,64, 122; mosaici, 26, 51, 60, 126,128, 161
Rembrandt Harmenszoon van Rijn, 84Renato, Guttuso, 159Reni, Guido, 111Renoir, Pierre-Auguste, 76, 115Repertorium fur Kunstwissenschaft, rivista,
79Rete mediterranea, rivista, 112Rewald, John, 141Ricci, Corrado, 26, 63, 74, 119, 122Rice, David Talbot, 222, 225, 257, 276Ricerche slavistiche, rivista, 166Rico da Candia, 61Ricordi, Tito, 35Riegl, Alois, 125Rinascenza Macedone, 237, 268,
270-272Rivista di archeologia cristiana, rivista,
233La rivista illustrata del “Popolo d’Italia”,
rivista, 72, 151, 152-153, 159-160,165-166, 173
Rivoira, Giovanni Teresio, 63, 208Rodi, 132, 172Rodi, Istituto Storico Archeologico, 173Rodi, Monastero di San Giovanni
Evangelista, Biblioteca, cod. 171(Giobbe), 173
Rodi, Museo Archeologico, 173Rodi, Museo Etnografico, 173Rodin, Auguste, 92Roma, 12, 15-17, 20, 24-25, 29, 39,
43, 59, 62, 66, 76, 80, 82, 88, 99nota 21, 101-105, 107, 118, 144,145, 149, 153, 163-164, 166-168,171, 178, 197-199, 202, 209,211-212, 219, 224
Roma, arco di Costantino, 164; rilievi,125
Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana,cod. Palat. gr. 431 (Rotulo diGiosue), 58 nota 6, 59-60, 65, 67-68,249, 268, 270-272; cod. Regin. gr. 1(Bibbia della Regina Cristina o Bibbia
di Leone Patrizio), 75 nota 5, 211,270; cod. Urb. gr. 2 (Evangeliario),58 nota 6, 68, 124 nota 10; cod. Vat.gr. 333 (Libri di Samuele e dei Re),75 nota 5; cod. Vat . gr . 381(Salterio), 124 nota 10; cod. Vat. gr.394 (Giovanni Climaco), 58 nota 6,67, 124 nota 10; cod. Vat. gr. 666(Eutimio Zigabeno), 58 nota 6; cod.Vat. gr. 699 (Cosma Indicopleuste) ,58 nota 6, 60, 68, 75 nota 5, 123;c o d . V a t . g r . 7 4 6 ( C a t e n asull’Ottateuco), 58 nota 6, 59, 75nota 5, 124 nota 10; cod. Vat. gr. 747(Catena sull’Ottateuco), 75 nota 5,124 nota 10; cod. Vat. gr. 749(Giobbe), 75 nota 5; cod. Vat. gr.755 (Catena sui Profeti), 58 nota 6;cod. Vat. gr. 1156 (Evangeliario), 68,124 nota 10; cod. Vat. gr. 1158(Evangeliario), 124 nota 10; cod. Vat.gr. 1162 (Giacomo Coccinobafo), 58nota 6, 68, 75 nota 5, 211; cod. Vat.gr. 1208 (Evangeliario), 124 nota 10;cod. Vat. gr. 1208 (Menologio diBasilio II), 58 nota 6, 68, 75 nota 5,124 nota 10, 211; cod. Vat. gr. 1754,124 nota 10; cod. Vat. lat. 375 (Vitedei padri del deserto), 124 nota 10;cod . Va t . l a t . 3225 (V i rg i l i oVaticano), 67, 236; cod. Vat. lat.3867 (Virgilio Romano), 67; cod.Vat. slav. II (Cronaca di Manasse),68
Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana,mostra di manoscritti e documentibizantini, 75 nota 5, 251 nota 15
Roma, chiesa di Sant’Agnese fuori leMura, mosaici, 199
Roma, chiesa di Santa Cecilia, mosaici,129
Roma, chiesa di San Lorenzo fuori leMura, mosaici, 199
Roma, chiesa di San Marco, mosaici,129
Roma, chiesa di Santa Maria Antiqua,affreschi, 129, 199, 268 nota 39, 269,271-272
Roma, chiesa di Santa Maria inDomnica, mosaici, 129
Roma, chiesa di Santa Maria Maggiore,mosaici, 122, 262
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
Roma, chiesa dei Santi Nereo eAchilleo, mosaici, 129
Roma, chiesa di San Pietro, Tesoro,croce di Giustino II, 29, 33
Roma, chiesa di Santa Prassede,mosaici, 129
Roma, chiesa di Santa Pudenziana,mosaici, 157, 160
Roma, chiesa di Santa Sabina, 72Roma, Colonna Traiana, 260Roma, Congresso Internazionale di
Studi Bizantini, 122, 166, 209Roma, Convegno Nazionale di Studi
Romani, 211Roma, Galleria d’Arte Moderna (Valle
Giulia), Esposizione Internazionale diBelle Arti, 83
R o m a , I s t i t u t o N a z i o n a l e d iArcheologia e Storia dell’Arte, 239
Roma, Istituto Nazionale di CulturaFascista, 95
Roma, Istituto per l’Europa Orientale,166
Roma, Istituto di Studi Romani, 101,162, 165, 167, 199, 253
Roma, Libreria dello Stato, 99, 104,122, 239
Roma, Mostra Acquisti e Doni delleBiblioteche Italiane, 250
R o m a , M o s t r a A u g u s t e a d e l l aRomanita, 162-166, 200, 211
Roma, Mostra della RivoluzioneFascista, 162, 166
Roma, Palazzo dei Conservatori, testaromana, 172
Roma, Palazzo Venezia, Mostra StoricaNazionale della Miniatura, 132, 242,249-253
Roma, Quadriennale d’Arte Nazionale,142, 152, 159
Roma, Teatro Argentina, 28, 30Roma, Teatro Reale, 35Roma, Universita “La Sapienza”, 221,
245Roma, rivista, 101Romagnoli, Ettore, 93-94Romanelli, Pietro, 199Rosi, Giorgio, 199Rosini, Giovanni, 60Rossanense, vedi: Rossano Calabro,
Evangeliario purpureoRos sano Ca labro , Evange l i a r i o
purpureo, 29, 65, 67-68, 75, 122,126, 133, 169, 204, 250 nota 13,256, 278 nota 7
Rostovzev, Michael, 199Rotulo di Giosu e , vedi : Roma,
Biblioteca Apostolica Vaticana, cod.Palat. gr. 431
Rouault, Georges, 77, 155, 186Rousskie viedomosti, giornale, 79 nota 12Rublev, Andrej, 56, 134, 186Rumhor, Carl Friedrich von, 225Ruskin, John, 43, 56, 76Russolo, Luigi, 84
Saint-Lubin, 8Salgari, Emilio, 25Salmi, Mario, 66, 168, 177, 181, 192,
221, 244, 249-254Salome, 7, 9, 25, 32Salonicco, 132, 211Salonicco, chiesa di Hosios David, 132Sal ter io di Par ig i , vedi : Par ig i ,
Bibliotheque Nationale, cod. gr. 139Salvemini, Gaetano, 134, 141Salviati, bottega di mosaico di Murano,
158Salvini, Roberto, 169, 182, 223-225,
244, 257San Pietroburgo (Leningrado), Museo
dell’Hermitage, piatti d’argentobizantini, 241, 273
San Vincenzo al Volturno, 195, 233Sant’Angelo in Formis, 195, 206Sarajevo, 122, 132Sardou, Victorien, Theodora, 11-16,
18-19, 21, 23, 27-28Sarfatti, Margherita Grassini, 92, 114,
149, 153-154, 161, 177, 188Sargent, John Singer, 135Sarre, Friedrich, 191Sartorio, Giulio Aristide, 20Saxl, Fritz, 97Schlosser, Julius von, 102, 147, 197,
199, 209, 252Schlumberger, Gustave, 62, 123, 133,
183Schmit, Theodor, 255Schneider, Andre R., 199Scipione (Gino Bonichi), 153Scipione Africano, Publio Cornelio,
105Scipione l’Africano, film, 165
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
Sciukin, Sergej, 78Scott, Walter, Count Robert of Paris, 15Il Secolo, giornale, 142Seminarium Kondakovianum, rivista,
273Semsales, chiesa parrocchiale, 157Seroux d’Agincourt, Jean-Baptiste-
Louis-Georges, 9, 58, 60Serra, Luigi, 127Settignano (Firenze), Villa I Tatti, 131,
134Seurat, Georges-Pierre, 153Severini, Gino, 84, 149, 156-159, 180Sforza, Carlo, 29Sibrium, rivista, 271Sickert, Walter Richard, 135Sidamara, 256Siena, 227Sinai, Monastero di Santa Caterina,
245; chiesa, mosaici, 60, 241; icone,241
Sinibaldi, Giulia, 180Sinopense, vedi: Parigi, Bibliotheque
Nationale, cod. suppl. gr. 1286Sironi, Mario, 138, 149, 151-153, 155,
158-161Sisley, Alfred, 115Slataper, Scipio, 83 nota 19Smirne, 96, 121Smirne, Bibl ioteca del la Scuola
Evangelica, 80Smith, Earl Baldwin, 73Societa, rivista, 237 nota 32, 251-252Socrate, Carlo, 181Soffici, Ardengo, 37-38, 83-84, 89-93,
95-96, 108-112, 154, 171, 177, 242S o f i a , m o g l i e d i G i u s t i n o I I ,
imperatrice, 52Sommaruga, Angelo, 19Sotiriou, Georges A., 199Spoleto, Centro Italiano di Studi
sull’Alto Medioevo, 275Spoleto, chiesa di San Salvatore,Springer, Anton Heinrich, 63La Stampa, giornale, 139, 140 nota 14Stilicone, 26Stilo, 211Stroganov (collezione), 141-142Strzygowski, Josef, 71, 76, 79-82, 88,
97-98, 101-102, 104, 106, 108 nota35, 122-123, 125, 137-139, 147,153, 169, 200, 208-210, 238-239,245-246, 257, 259
Studenica, 132, 200Studi albanesi, rivista, 166Studi baltici, rivista, 166Studi bizantini, rivista, 39, 166Studi romeni, rivista, 166Subiaco, 123-124Swarzenski, Georg, 252, 257
Taine, Hyppolite, 10, 52Tea, Eva, 192-193Tedeschi, Paolo, 61Le tentazioni di Sant’Antonio, film, 38Teodora, moglie di Giustiniano I, im-
peratrice, 7-19, 21-28, 31, 35-41-42,85, 94, 164, 181
Teodora, opera lirica, 28Teodora, Imperatrice di Bisanzio, film, 28Teodora , mog l i e d i Teo f i l o I ,
imperatrice, 14Teodorico, re degli Ostrogoti, 128Teofane, 7Teofano, moglie di Romano II,
imperatrice, 14Teofano, moglie di Ottone II, 8Tersicore (Oriente e Occidente), film, 39Il Tevere, giornale, 95, 143, 171Thomas, 13Tiberio I Costantino, imperatore, 9Tiepolo, Giambattista, 142Tikkanen, Johan Jakob, 63, 65, 67, 123Tintoretto, 142Tisifone, 10Toesca, Pietro, 41, 66, 74-75, 81,
97-98, 104, 105 nota 29, 114,117-134, 138-140, 145, 149, 160nota 13, 162, 167, 175, 177-179,182-183 , 185 , 189-190 , 192 ,194-200, 202-206, 208, 210-211,219-221, 223-224, 228, 230-233,235, 239, 243-245, 248-250, 261nota 27, 269-270, 275
Torcello, duomo, 122, 152, 156-157,201
Torino, 139Torino, Biblioteca Nazionale, cod.
B.I.2 (Catena sui Profeti), 250 nota13
Torriti, Jacopo, 130, 145, 178, 195nota 7, 207
Toschi, Giovanni Battista, 60-61Totila, re ostrogoto, 168Touring Club Italiano, 173Tozzi, Mario, 181
INDICE DEI LUOGHI E DEI NOMI
Tralles, 137Treccani degli Alfieri, Giovanni, 93,
189-190, 197Treves, Fratelli, editori, 47Tumminelli, Calogero, 190, 208Tyler, Royall, 74-75, 97
L’Urbe, rivista, 107Ussi, Stefano, 24, 47
Valentin (Losanna), chiesa di NotreDame, 157
Valentiniano I, imperatore, 172Valery (pseudonimo di Antoine-Claude
Pasquin), 9, 51Van Gogh, Vincent, 84, 111-113, 153,
159, 221Varini, Emilia, 29, 30 nota 10Varrone, Imagines, 266Vasari, Giorgio, 56, 108-109, 135, 177Venezia, 28, 37, 43, 56, 58, 72, 167,
169, 184, 201, 219, 224Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana,
cod. gr. 18 (Salterio di Basilio II) , 58nota 6, 124 nota 10, 250 nota 13; cod.gr. 538 (540) (Catena su Giobbe), 124nota 10, 250 nota 13; cl. I, cod. XXII,124 nota 10; cod. Z 479 (Cinegetica),75, 123, 250 nota 13
Venezia, Biennale Internazionaled’Arte, 25, 35-36, 83-84, 159
Venezia, chiesa di Sant’Eufemia allaGiudecca, 201
Venezia, chiesa di San Giacometto diRialto, 201
Venezia, chiesa di San GiovanniDecollato, 201
Venezia, chiesa di San Lazzaro degliArmeni, 122
Venezia, chiesa di San Marco, 49, 53,62, 72, 76, 152, 157, 201-202,222-223, 276; atrio, mosaici, 58 nota6, 63, 65; mosaico con Salome, 9; Palad’Oro, 155, 188, 223; tesoro, 211
Venezia, chiesa di San Zaccaria, 201Venezia, Teatro La Fenice, 8, 28-29Venezia, Teatro San Giovanni Griso-
stomo, 8Venezia, Teatro San Salvatore, 8Venturi, Adolfo, 66-67, 74-75, 118,
122, 124, 131, 245, 248-249, 252Venturi, Franco, 140
Venturi, Lionello, 57 nota 5, 93, 97-98,104 , 110 , 114-115 , 117-121 ,131-132, 138-144, 149, 151, 154,177, 186, 188, 191-193, 197, 199,205, 221, 232, 242-245, 254-255,258
Verzone, Paolo, 222Vienna, 8, 90Vienna, Nationalbibliothek, cod. Med.
gr. 1 (Dioscoride di Vienna), 57, 58nota 6, 67, 123, 256; cod. theol. gr. 1(Genesi di Vienna), 58 nota 6, 60, 67,211, 222, 234 nota 27, 256, 264-265
Virg i l io Vat icano, ved i : Roma,Biblioteca Apostolica Vaticana, cod.Vat. lat. 3225
Vi rg i l i o Romano , ved i : Roma ,Biblioteca Apostolica Vaticana, cod.Vat. lat. 3867
Vizantijskij Vremennik, rivista, 73, 271Vlaminck, Maurice de, 155La voce, rivista, 175Volbach, Fritz, 147, 197, 199Volpe, Carlo, 233Volpe, Gioacchino, 93, 197-198, 213Voltaire (Arouet Francois-Marie), 13
Wadi-Sarga, 261Washington, Cathedral of St. Matthew
the Apostle, 72Washington, Dumbarton Oaks Center
f o r B y z a n t i n e S t u d i e s , 2 2 5 ;Collection, patena di Riha, 256
Washington, Franciscan Monastery, 73nota 2 Washington, National Gallery,Madonna Hamilton, 135; MadonnaKahn, 135
Washington, Haghia Sophia, 72Washington, National Shrine of the
Immaculate Conception, 72Weigand, Edmund, 257Weitzmann, Kurt, 73-74, 122, 132,
222 , 233-237 , 249 , 252-253 ,257-258, 260-266, 268-273, 277
Wellesz, Egon, 209Whittemore, Thomas, B., 78, 222, 242
nota 1, 257Wickhoff, Franz, 73, 80, 105, 125, 250,
252, 264Wilde, Oscar, 177; Salome, 33Wildenstein, Georges, 97Wiligelmo, 142, 195
INDICE DEI NOMI
Winkler, 252
Wostry, Carlo, 72
Wulff, Oskar, 41, 74, 81, 255, 257
Zagba (Siria, gia ritenuta in Mesopo-
tamia), monastero di San Giovanni,253, 256, 260
Zecchin, Vittorio, 72Zoe, figlia di Costantino VIII, 14Zurabian, 208
Nuovo Medioevo Collana diretta da Massimo Oldoni
1. J. Heers, Il clan familiare nel Medioevo 2. P. Delogu, Mito di una città meridionale: Salerno (secc. VIII-XI) 3. V. D�Alessandro, Storiografia e politica nell�Italia normanna 4. Libro de los Engaños..., ed. a c. di E. Vuolo 5. D. Knowles, Thomas Becket 6. Vita e pensiero nell�alto Medioevo, a c. di R. Hoyt 7. M. Oldoni, Gerberto e il suo fantasma. Tecniche della fantasia e della letteratura
nel Medioevo 8. B. Smalley, Storici nel Medioevo 9. Virgilio Marone Grammatico, Epitomi ed Epistole, ed. a c. di G. Polara- L. Caruso10. C. Morris, La scoperta dell�Individuo (1050-1200)11. M. Montanari, L�alimentazione contadina nell�alto Medioevo12. A. P. Kazhdan, La produzione intellettuale a Bisanzio13. G. S. Kirk, Il mito. Significato e funzioni nella cultura antica e nelle culture altre14. G. Vinay, Alto Medioevo latino. Conversazioni e no15. A. Ducellier, Il dramma di Bisanzio16. V. Moleta, Guittone cortese17. J. J. Murphy, La retorica nel Medioevo18. C. Erickson, La visione del Medioevo. Saggi su storia e percezione19. V. Hyatt-J. W. Charles, Il Libro dei demoni20. G. Sergi, Potere e territorio lungo la strada di Francia21. S. Peloso, Medioevo nel sertao22. M. Angold, L�impero bizantino (1025-1204)23. A. A. Settia, Castelli e villaggi nell�Italia padana (secoli X-XIII)24. A. M. Chiavacci Leonardi, �La guerra de la pietate�. Saggio per una interpretazione
dell�Inferno di Dante25. G. de Francovich, Persia, Siria, Bisanzio e il Medioevo artistico europeo26. I. Pagani, La teoria linguistica di Dante27. A. Leone, Profili economici della Campania aragonese28. M. Tangheroni, La città dell�argento. Iglesias dalle origini alla fine del Medioevo29. P. Brezzi, Paesaggi urbani e spirituali dell�uomo medievale30. U. R. Blumenthal, La lotta per le investiture31. G. d�Onofrio, «Fons Scientiae». La dialettica nell�Occidente tardo-antico32. H. Houben, Medioevo monastico meridionale33. W. Berschin, Medioevo greco-latino34. B. Bolton, Lo spirito di riforma nel Medioevo35. A. Cortonesi, Terre e signori nel Lazio medievale36. E. Massa, L�eremo, la Bibbia e il Medioevo37. G. Meloni-A. Dessì Fulgheri, Mondo rurale e Sardegna del XII secolo38. E. Artifoni, Salvemini e il Medioevo. Storici italiani tra Otto- e Novecento39. P. Corrao, Governare un regno. Potere, società e istituzioni in Sicilia fra Trecento e
Quattrocento
40. Mistiche e devote nell�Italia tardomedievale, a c. di D. Bornstein-R. Rusconi41. M. Reuter, Metodi illustrativi nel Medioevo, a c. di P. Guerrini42. G. Fornasari, Medioevo riformato del secolo XI. Pier Damiani e Gregorio VII43. L. De Anna, Il mito del Nord. Tradizioni classiche e medievali44. G. Tabacco, Spiritualità e cultura nel Medioevo45. R. Bordone, Lo specchio di Shalott46. Filippo da Novara, Guerra di Federico II in Oriente (1223-1242), ed. a c. di S.
Melani47. R. Bonfil, Tra due mondi. Cultura ebraica e cultura cristiana nel Medioevo48. D. von der Nahmer, Agiografia altomedievale e uso della Bibbia49. J. Heers, L�esilio, la società, la vita politica nel Medioevo50. M. D�Onofrio, Roma e Aquisgrana51. P. Guerrini, Propaganda politica e profezie figurate nel tardo Medioevo52. H. Houben, Mezzogiorno normanno-svevo53. G. Cherubini, Il lavoro, la taverna, la strada54. G. M. Cantarella, Pasquale II e il suo tempo55. Gregorio di Tours, Storia dei Franchi. I Dieci Libri delle Storie, ed. a c. di M.
Oldoni (2 voll.)56. V. Pace, Arte a Roma nel Medioevo. Committenza, ideologia e cultura figurativa
in monumenti e libri57. F. Bertini, Interpreti medievali di Fedro58. Uomini, libri e immagini. Per una storia del libro illustrato dal tardo Antico al
Medioevo, a c. di L. Speciale59. Cronaca del Templare di Tiro, ed. a c. di L. Minervini60. I. Herklotz, «Sepulcra» e «Monumenta» del Medioevo. Studi sull�arte sepolcrale in
Italia61. S. Pittaluga, La scena interdetta. Teatro e letteratura fra Medioevo e Umanesimo62. A. Barbero, Valle d�Aosta medievale63. I. Mirazita, Trecento siciliano da Corleone a Palermo64. G. Musca, Intorno al Medioevo65. M. Bernabò, Ossessioni bizantine e cultura artistica in Italia. Tra D�Annunzio,
fascismo e dopoguerra66. A. Caffaro, Scrivere in oro. Ricettari medievali d�arte e artigianato (secoli IX-XI)67. M. R. Lo Forte Scirpo, C�era una volta una regina... Due donne per un regno:
Maria d�Aragona e Bianca di Navarra68. Erasmo da Rotterdam, Il Galateo dei ragazzi, a c. di L. Gualdo Rosa69. E. D�Angelo, Storiografi e cronologi latini del Mezzogiorno normanno-svevo70. V. Pace, Arte medievale in Italia meridionale. I: Campania71. G. Piccinni-L. Travaini, Il Libro del pellegrino (Siena, 1382-1446). Affari,
uomini, monete nell�Ospedale di Santa Maria della Scala72. G. Cherubini, Pellegrini, pellegrinaggi, giubileo nel Medioevo73. G. Gandino, Contemplare l�ordine. Intellettuali e potenti dell�alto Medioevo74. S. Fulloni, L�abbazia dimenticata. La SS. Trinità sul Gargano tra Normanni e
Svevi75. N. D�Acunto, L�età dell�obbedienza. Papato, Impero e poteri locali nel secolo XI76. L. Hadda, Nella Tunisia medievale. Architettura e decorazione islamica (IX-XVI
secolo)77. F. de� Maffei, Bisanzio e l�ideologia delle immagini78. G.E. Lessing, Osservazioni sparse sull�epigramma, a c. di S. Carusi79 Basilicata medievale. La cultura, a c. di E. D�Angelo80. N. Borsellino, Paradisi perduti. Paesaggi rinascimentali dell�utopia81. C. Spila, Mostri da salotto. I nani fra Medioevo e Rinascimento
82. G. Sergi, Antidoti all�abuso della storia. Medioevo, medievisti, smentite83. G. Fornasari, Viaggio al centro del Medioevo. Questioni, luoghi e personaggi84. A. Bisanti, La poesia d�amore nei Carmina Burana85. R. Bonfil, Rabbini e comunità ebraiche nell�Italia del Rinascimento86. M. Oldoni, L�ingannevole Medioevo. Nella storia d�Europa culture, �teatri� e
etterature87. F.G. Nuvolone, Il numero e la croce. L�homo novus da Aurillac88. Liber monstrorum. Letterature �teatri� culture simboli ed. a c. di F. Porsia89. T. Saffioti, Il Medioevo dei giullari. Lo spettacolo, il pubblico, i testi90. C. Spila, Animalia tantum. Animali nella letteratura dall�Antichità al Medioevo