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Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001 Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza 1 Marcello Maneri "Buongiorno, vorremmo parlare con lei del problema della criminalità che aumenta sempre di più" - "Veramente mi sembra un aumento fasullo, sono più che altro i mass media che ne parlano" […] - "Ha ragione. Purtroppo molta gente non vuole parlare con noi per pregiudizio, allora cerchiamo di iniziare con un argomento di attualità che conoscono tutti…". (Conversazione avuta con due testimoni di Geova il 10/2/01 sulla porta di casa). 1. Quale insicurezza? Gli anni novanta potrebbero a buon diritto definirsi come il decennio dell'insicurezza. In Italia come in Europa questo sentimento è al centro di un numero crescente di riflessioni e gli indicatori della sua diffusione abbondano - dalla reazione sociale all'immigrazione all'affermazione generalizzata delle polizze assicurative 2 , dalla crescente presenza di sistemi di allarme e apparati di vigilanza privata ai continui crolli nelle vendite degli alimenti di volta in volta "a rischio". Tutto ciò non dovrebbe sorprendere. Nelle società contemporanee, afferma Beck, "la produzione sociale di ricchezza va di pari passo con la produzione sociale di rischi" (2000:25). In altre parole, lo sviluppo economico si fa sempre più riflessivo: alla nozione di pericolo, proveniente dall'esterno, da cui difendersi, va sostituita quella di rischio, come esito dello stesso manifestarsi della modernità. Anche secondo Bauman (1999) la crescita dell'insicurezza risponde a logiche comprensibili e non troppo dissimili da quelle evidenziate da Beck. Egli distingue tra la mancanza di sicurezza esistenziale (security) - legata al liberismo economico che fa di tutti noi dei potenziali 'esuberati' e comunque dei precari -, la mancanza di sicurezza cognitiva o incertezza (certainty) - connessa alla crescente perdita di intelligibilità del sistema sociale, nel quale è sempre più difficile interpretare sintomi e cause, prevedere esiti favorevoli o sfavorevoli - e la mancanza di sicurezza personale o incolumità (safety), che riguarda "il corpo e le sue estensioni", come i familiari e i beni personali. Queste tre facce dell'insicurezza appaiono inestricabilmente legate, con una tendenza degli attori sociali a riversare sulla terza le ansie dovute alle prime due, impossibili da affrontare sia per gli individui che per istituzioni politiche sempre più limitate nelle sfere di competenza. Nell'ambito di queste riflessioni l'oggetto da spiegare, l'insicurezza, appare così diffuso da non meritare una valutazione della sua reale consistenza empirica, anche perché quanto sia presente l'insicurezza nelle sue varie accezioni, e quale ruolo giochi nell'agire sociale, non è cosa semplice da , (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 1 1 Una precedente versione dell'analisi riportata nel terzo paragrafo, qui rielaborata, è apparsa sui Quaderni di Cittàsicure, 14b, 1998.

Maneri il panico morale

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Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza1

Marcello Maneri

"Buongiorno, vorremmo parlare con lei del problema della criminalità che aumenta sempre di più" - "Veramente mi sembra un aumento fasullo, sono più che altro i mass media che ne parlano" […] - "Ha ragione. Purtroppo molta gente non vuole parlare con noi per pregiudizio, allora cerchiamo di iniziare con un argomento di attualità che conoscono tutti…". (Conversazione avuta con due testimoni di Geova il 10/2/01 sulla porta di casa).

1. Quale insicurezza?

Gli anni novanta potrebbero a buon diritto definirsi come il decennio dell'insicurezza. In Italia come

in Europa questo sentimento è al centro di un numero crescente di riflessioni e gli indicatori della

sua diffusione abbondano - dalla reazione sociale all'immigrazione all'affermazione generalizzata

delle polizze assicurative2, dalla crescente presenza di sistemi di allarme e apparati di vigilanza

privata ai continui crolli nelle vendite degli alimenti di volta in volta "a rischio". Tutto ciò non

dovrebbe sorprendere. Nelle società contemporanee, afferma Beck, "la produzione sociale di

ricchezza va di pari passo con la produzione sociale di rischi" (2000:25). In altre parole, lo sviluppo

economico si fa sempre più riflessivo: alla nozione di pericolo, proveniente dall'esterno, da cui

difendersi, va sostituita quella di rischio, come esito dello stesso manifestarsi della modernità.

Anche secondo Bauman (1999) la crescita dell'insicurezza risponde a logiche comprensibili e non

troppo dissimili da quelle evidenziate da Beck. Egli distingue tra la mancanza di sicurezza

esistenziale (security) - legata al liberismo economico che fa di tutti noi dei potenziali 'esuberati' e

comunque dei precari -, la mancanza di sicurezza cognitiva o incertezza (certainty) - connessa alla

crescente perdita di intelligibilità del sistema sociale, nel quale è sempre più difficile interpretare

sintomi e cause, prevedere esiti favorevoli o sfavorevoli - e la mancanza di sicurezza personale o

incolumità (safety), che riguarda "il corpo e le sue estensioni", come i familiari e i beni personali.

Queste tre facce dell'insicurezza appaiono inestricabilmente legate, con una tendenza degli attori

sociali a riversare sulla terza le ansie dovute alle prime due, impossibili da affrontare sia per gli

individui che per istituzioni politiche sempre più limitate nelle sfere di competenza.

Nell'ambito di queste riflessioni l'oggetto da spiegare, l'insicurezza, appare così diffuso da non

meritare una valutazione della sua reale consistenza empirica, anche perché quanto sia presente

l'insicurezza nelle sue varie accezioni, e quale ruolo giochi nell'agire sociale, non è cosa semplice da

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1 Una precedente versione dell'analisi riportata nel terzo paragrafo, qui rielaborata, è apparsa sui Quaderni di Cittàsicure, 14b, 1998.

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Nota

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determinare. Stimolare gli individui ad esprimersi su un fenomeno sociale comporta sempre il

rischio di produrre e rilevare atteggiamenti e sentimenti volatili e scarsamente radicati. Per questo,

nelle indagini di opinione, le risposte che individuano nella criminalità uno dei problemi più sentiti

vanno considerate con cautela. Più istruttivi possono essere gli andamenti registrati dai vari item nel

tempo. Ma le rilevazioni disponibili in Italia in serie storica vanno raramente abbastanza indietro

negli anni. Quando è però possibile allargare i riferimenti temporali, si possono trovare interessanti

sorprese. Ad esempio, stando alle rilevazioni di un istituto privato di ricerca (GPF) la cui serie inizia

nel 1980, l'insicurezza, in un senso generale, rimane sostanzialmente costante, mentre nell'accezione

che fa riferimento alla criminalità (e quindi all'incolumità), dopo un leggero aumento al principio

degli anni novanta, addirittura diminuisce.3 Anche le rilevazioni del Censis, della Doxa e dell'Istat,

che però si limitano a questo decennio, forniscono risultati pressoché analoghi.4 Dai dati del Censis

si dedurrebbe però che la preoccupazione per la delinquenza comune, insieme a quella per

l'immigrazione, aumenti leggermente in questi ultimi tre anni.5

Se è estremamente difficile scandagliare empiricamente in modo non superficiale il fenomeno

dell'insicurezza, con i suoi dati insufficienti o contraddittori6, più facile è rilevare la sua centralità

nel discorso pubblico. L'insicurezza è diventata il tema dominante nelle campagne elettorali degli

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2 I premi assicurativi pagati dagli italiani sono passati da 56.505 miliardi nel 1991 a 131.693 nel 1999 (fonte: Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici; ho ricalcolato i valori in denaro corrente). 3 Si è confrontata la media delle risposte date nel primo quinquennio degli anni ottanta con quella data nel secondo quinquennio degli anni novanta, sui seguenti item: "Ho l'impressione di essere circondato dai pericoli, di dover stare costantemente sul chi vive"; "Spesso ho paura"; "Di questi tempi uscire la sera diventa sempre più pericoloso"; "Siamo un po' tutti bersagli della malavita". Su questa media non si registrano spostamenti di rilievo. Soffermandosi sulla sola risposta "molto d'accordo", tra l'altro, gli anni novanta appaiono ancor meno insicuri rispetto al decennio precedente. Si passa infatti, per il primo item, da una media del 10% di persone che rispondono "molto d'accordo" nelle rilevazioni che si sono succedute tra il 1980 e il 1985 a una media del 8% tra il 1995 e il 2000; da una media del 11% a una media del 9% per il secondo item (entrambi indicatori di un'insicurezza generica); da una media del 40% a una del 27% per il terzo; da una del 29% a una del 17% per il quarto (questi ultimi due indicatori di insicurezza nel senso di incolumità). 4 Il Censis rende disponibili confronti tra il 1994, il 1997 e il 2000. Le persone che ritengono che la pericolosità della propria zona sia aumentata diminuiscono nell'arco di questi 6 anni (dal 48% al 36%). Con una formulazione leggermente diversa, la Doxa rileva che le persone che avrebbero paura di camminare in qualche luogo pubblico nella propria zona aumentano leggermente dal 1992 al 1999 (dal 33 al 37%), però quelle che affermano che non vi è alcun luogo insicuro rimangono costanti (dal 61 al 60%). Aumenta invece la percentuale di coloro che non si sentono sicuri a casa propria (dall'8 al 15%), pur rimanendo largamente minoritaria. Riguardo alla diffusione della delinquenza, per la Doxa la percezione dell'entità della sua diffusione nella propria zona rimane praticamente invariata dal '92 al '99. Tuttavia se si domanda la percezione della tendenza ("Sempre pensando solo alla zona in cui Lei vive, Lei ritiene che si commettano reati penali e vi sia delinquenza piccola o grande di più o meno di quanta ce ne fosse tre anni fa?") diminuiscono coloro che ritengono che sia aumentata negli ultimi 3 anni (dal 52 al 44%) e aumentano quelli che ritengono che la delinquenza sia diminuita nella propria zona (dal 6 a 9%). Dai dati Istat (rielaborazione in Barbagli, 1999) si deduce che le persone che dichiarano che la zona in cui vivono è "molto" o "abbastanza" a rischio di criminalità rimane costante dal 1993 (31%) al 1998 (31%). 5 La preoccupazione per la delinquenza comune è scelta tra le preoccupazioni principali dal 25% degli intervistati nel 1997 e dal 30% nel 2000 (vedi anche la fine della nota successiva). La preoccupazione per l'immigrazione passa invece dal 27 al 31%. Nel considerare queste percentuali bisogna tenere presente che gli intervistati potevano indicare più risposte. 6 Una ulteriore distinzione andrebbe per esempio operata tra insicurezza in astratto (come, nel caso dell'incolumità, la "paura della criminalità") e in concreto (come il timore di subire personalmente in futuro determinati reati) che risultano, da un'indagine condotta per 5 anni in Emilia-Romagna, differentemente distribuite nella popolazione. Il dato più rilevante è che la paura della criminalità in astratto è sempre molto più diffusa di quella in concreto. Secondo questa indagine entrambe sarebbero comunque aumentate (la prima più della seconda) a partire dal 1998 (cfr. Mosconi, 1999).

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ultimi anni7 e più in generale il frame entro il quale svariati fenomeni sociali sono affrontati nel

dibattito politico (non solo la criminalità e l'immigrazione, ma anche, in molti casi, le politiche

sociali). Anche nel discorso mediatico il riferimento ai concetti di sicurezza e insicurezza è sempre

più insistente. Può essere utile a questo proposito considerare alcuni indicatori. Sul più diffuso

quotidiano nazionale, il Corriere della Sera, il termine "sicurezza" appare, nella titolazione, una

media di 131 volte all'anno tra il 1992 e il 1995, una media di 252 volte tra il 1996 e il 1997 e una

media di 362 volte all'anno tra il 1998 e il 2000. Un andamento simile, anche se un po' meno

accentuato, si riscontra analizzando la sua presenza nel quotidiano "La Stampa".8

Anche la parola "insicurezza" e i suoi derivati ("insicuri/o/a/e") compaiono, nella titolazione, solo 6

volte all'anno, in media, tra il 1992 e il 1996, e invece mediamente 16 volte all'anno tra il 1997 e il

20009. La frequenza d'uso del concetto è dunque fortemente aumentata tra la prima metà e la fine

degli anni novanta. Simili proporzioni si riscontrano nelle titolazioni degli articoli dedicati alla

criminalità, e quindi limitatamente al significato di incolumità, in 15 edizioni locali di testate

pubblicate in Emilia-Romagna. Anche in questo caso il 1998 appare come l'anno di svolta.10

E' soprattutto il mutamento semantico ad essere interessante: mentre dalla metà degli anni ottanta

fino al 199711, sul Corriere della Sera "insicurezza" è sinonimo di pericolosità di strade, edifici,

impianti, oppure di inefficienza di determinate istituzioni, o, ancora, di problemi della sessualità, a

partire dal 1998 l'accezione che fa riferimento all'incolumità personale o dei propri beni, prima

praticamente assente (in tutto 9 occorrenze in 14 anni), diventa improvvisamente la più importante

(è il significato attribuito in un terzo dei casi nel 1998, nella metà nel 1999 - l'anno dell'"emergenza

criminalità" a Milano - e in un quarto nel 2000). Nel caso della Stampa, anche se attraverso una

rilevazione più limitata, la tendenza è la medesima: una sola occorrenza in 6 anni tra il 1992 e il

1997, 4 articoli su 10 invece nel 1998). Su entrambe le testate è quindi proprio alla diffusione di

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7 Anche nella campagna per le elezioni di questa primavera la sicurezza promette di essere il tema più battuto. I manifesti di inaugurazione della campagna elettorale dei candidati dei due principali schieramenti recitano "Più sicurezza per tutti" (Berlusconi) e "La sicurezza è un diritto di tutti. E' mio dovere garantirlo. Certezza della pena; Stop al racket dei clandestini; Giustizia più rapida" (Rutelli). Pur con differenti sfumature (Berlusconi che dispensa un bene prezioso, Rutelli che si impegna personalmente a difendere questo diritto dei cittadini - tra l'altro collegando esplicitamente alla sicurezza il fenomeno dell'immigrazione clandestina) entrambi i leader si propongono, in primo luogo, come fiduciari della sicurezza. 8 Dove "Sicurezza" appare nella titolazione una media di 131 volte tra il 1992 e il 1995, 179 volte nel 1996 e una media di 207 volte tra il 1997 e il 1998. Traggo questi dati dagli archivi elettronici delle due testate. Nel caso della Stampa ho potuto effettuare il computo solo fino al 1998. 9 In questo caso nella Stampa si registra un aumento solo con il 1998, anno in cui si passa da una media di 6 occorrenze ad una di 10). 10 Faccio riferimento ai dati dell'Osservatorio sulla stampa locale del Progetto Cittàsicure della regione Emilia-Romagna, con cui è stata analizzata l'informazione sulla criminalità per tre anni, dal 1 maggio 1996 al 30 aprile 1999. Nelle titolazioni dei 43.086 articoli pubblicati nelle pagine locali dalle 15 testate presenti nelle varie province della regione, i termini "sicurezza", "insicurezza", "sicuri/e", dal primo al terzo anno dell'indagine, terminata a metà del 1999, triplicano quasi la loro presenza percentuale (passando dal 1,1% al 2,8%; il numero non è altissimo - una media di circa 240 all'anno - ma il mutamento di proporzioni è molto significativo, a maggior ragione trattandosi di dati rilevati sull'universo della popolazione esaminata e non su un campione).

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questa accezione che si deve l'aumento della presenza del concetto di insicurezza, di cui si diceva

prima.

Un simile slittamento semantico si è registrato pochi anni prima nell'uso del termine "degrado"

(anch'esso di utilizzo sempre più frequente12). Inteso quasi sempre come "abbandono" di stabili,

luoghi pubblici, parchi e beni artistici, il termine assume, a partire dal 1995-96 e più decisamente

dal 1997 il significato di deterioramento del paesaggio urbano dovuto alla presenza di immigrati,

senza-casa, tossicodipendenti, piccoli criminali, con i disagi e l'insicurezza che questa presenza

comporta (questo è, sul Corriere, il significato del 1% delle occorrenze del termine tra il 1984 e il

1987, del 16% tra il 1988 e il 1991, del 18% tra il 1992 e il 1994, del 29% tra il 1995 e il 1996 e del

53% tra il 1997 e il 2000; sulla Stampa si passa addirittura, con un andamento anticipato di un anno,

dal 5% delle occorrenze del 1992-93, al 22% del 1994-95 fino al 56% nel 1996-98). Anche in

questo caso, è esclusivamente alla diffusione di questa accezione che dobbiamo l'aumento della

frequenza del termine in cifre assolute registrato nel corso degli anni novanta..

Il concetto di "degrado", normalmente associato a quello di sicurezza, comporta un più ampio

significato di disordine sociale: minaccia alla sicurezza ma anche offesa al decoro e al vivere civile,

per la presenza di categorie di persone poco gradite (cfr. Palidda, 1999). In realtà, offesa al decoro e

minaccia alla sicurezza sono visti come sinonimi e gli inviti impliciti o espliciti all'intervento su

questi fenomeni li confondono continuamente, consegnando all'azione di polizia una classe di

comportamenti teoricamente ad essa estranea e ridefinendo in questo modo il confine tra legalità e

illegalità (cfr. Dal Lago, 1999b e Maneri, 1998a).

In sostanza, il quadro della situazione presenta questi elementi: una forte accelerazione, negli ultimi

4-5 anni e soprattutto dal 1998, del discorso pubblico sull’insicurezza (intesa però in un'unica

accezione, quella complementare alla categoria di criminalità); un presunto aumento del senso

generico di insicurezza, peraltro non determinabile empiricamente; un leggero aumento della

preoccupazione per la criminalità, soprattutto comune, nell’ultimo triennio.

A questo punto due linee interpretative sono possibili, anche se non necessariamente alternative. Si

potrebbe affermare, da un lato, che un aumento dell'insicurezza, nei suoi vari significati e

soprattutto nell'ultimo (quello legato alla criminalità), si è comunque verificato, malgrado gli

indicatori empirici, peraltro scarsi, non sembrino registrarlo nel medio e nel lungo periodo. In

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11 Per il Corriere in questo caso ho considerato anche le annate comprese tra il 1984 e il 1991. Non è possibile fare confronti con le annate più recenti sulla frequenza d'uso di un termine (a causa della diversa organizzazione dell'archivio) ma si può analizzare, come in questo caso, l'accezione con la quale è impiegato. 12 Per quanto riguarda l'andamento quantitativo complessivo, "degrado" compare sul Corriere una media di 38 volte all'anno nel 1992-93, solo 17 volte all'anno nel 1994-95, poi di nuovo 38 volte in media nel 1996-97 fino a una media di 53 articoli all'anno tra il 1998 e il 2000.Sulla Stampa si passa da una media di 27 occorrenze all'anno tra il 1992 e il 1995 a una media di 48 tra il 1996 e il 1998. Nei quotidiani pubblicati in Emilia-Romagna prima citati, la parola triplica la propria presenza in tre anni (dallo 0,4% dei titoli

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questa chiave, il discorso pubblico non farebbe altro che riprendere una sensazione diffusa,

manifestatasi in vari modi e legata alle grandi trasformazioni sociali dell'ultimo decennio,

riportando osservazioni, diagnosi, soluzioni al problema della criminalità e del disordine sociale.

Dall'altro lato si può ritenere che l'insicurezza, per gli attori sociali, sia un fenomeno

tendenzialmente sfumato e impalpabile, legato a trasformazioni profonde ma difficile da esprimere

e quindi da rilevare empiricamente, che si manifesta generalmente con le categorie concettuali e

discorsive disponibili sul mercato delle parole. In quest'ottica, la decisa emergenza di un discorso

pubblico sulla criminalità e l'insicurezza non sarebbe il riflesso delle insicurezze della popolazione,

ma semmai la sorgente che fornisce le parole e le categorie per esprimere l'ansia.13

Questa seconda ipotesi sembrerebbe più coerente con gli indicatori empirici sinora considerati:

l'insicurezza rilevata nella popolazione sembra crescere solo leggermente, nel significato di

"incolumità insicura", solo negli ultimi due o tre anni e limitatamente ad alcuni indicatori (per

esempio quelli che fanno riferimento alla criminalità comune e all'immigrazione); inoltre questa

crescita si registra nelle indagini temporalmente prossime all'esplosione del discorso

sull'insicurezza (nel quale gli indicatori analizzati, limitatamente ai significati affini a quello di

incolumità, aumentano invece la loro presenza in modo esponenziale) del quale apparirebbe dunque

un fenomeno derivato. In altre parole, sembra plausibile che l'affermarsi del discorso sicuritario

(certo anche attraverso la raccolta di umori, disagi, problemi espressi da settori della società civile

attivi nella scena pubblica14) possa avere influenzato, propagato, legittimato le categorie attraverso

le quali la sicurezza si esprime, in connessione con l'inevitabile accompagnamento di pratiche

sistematiche di esclusione con cui le istituzioni trasformano il discorso sulla sicurezza nella realtà

della prevenzione dell'insicurezza.15

In questa linea interpretativa le affermazioni di Bauman e Beck non perdono alcuna rilevanza,

aiutandoci invece a comprendere in un senso più generale il discorso sull'insicurezza. La prima

funzione di questo discorso appare così di tipo trasformativo: il "rischio" che caratterizza la

modernità, la perdita di sicurezza esistenziale ("security") e di certezza cognitiva ("certainty")

vengono ritradotte nel discorso pubblico in incolumità ("safety") a rischio (lo abbiamo visto prima

sul solo terreno lessicale), ovvero nell'unico genere di insicurezza, quella minacciata dalla

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tra la metà del 1996 e la metà del 1997 al 1,2% nelle due annate successive - per una media, in queste ultime due annate, di 152 titoli all'anno). 13 Di fatto oggi i media, pensiamo soprattutto alla televisione, sono diventati sempre più l’unico dizionario di cui dispongono molte persone. Cambiando in parte pubblico di riferimento, i mezzi di informazione si sono attrezzati a esercitare una nuova funzione, che per assicurarsi il legame coi lettori mette continuamente in gioco elementi di paura e rassicurazione. Questi elementi provengono spesso dalla dimensione del privato e del locale, tematizzabile soprattutto a partire da spunti di cronaca, mentre si è ridotto un po’ alla volta l’interesse per la dimensione istituzionale, politica e nazionale. 14 Per un'analisi delle attività dei comitati di cittadini vedi Petrillo, 1995. 15 Non mi riferisco qui soltanto ai provvedimenti legislativi e amministrativi, ma anche al funzionamento standard degli apparati del controllo sociale (per alcune analisi vedi Palidda, 1995 e 2000; Quassoli, 1999; Quassoli e Chiodi, 2001; Maneri, 1998).

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criminalità, che un sistema politico con una capacità d'azione precaria e una sfera di competenza

sempre più limitata da centri di decisione sovranazionali può legittimamente pretendere di

affrontare. E' evidente qui anche la seconda funzione: l'impegno di restituire ai cittadini la sicurezza

minacciata dalla criminalità può apparire in questa congiuntura come il terreno privilegiato sul

quale un legame fiduciario in crisi tra rappresentanti e rappresentati può essere rimesso in gioco. Il

discorso sull'insicurezza, del quale il mondo politico è ormai il locutore dominante, si pone come il

tramite, il canale, dell'unione simbolica tra politici e cittadini. Attraverso rimedi altamente

emblematici (di volta in volta il braccialetto elettronico, i freni all'immigrazione, l'aumento degli

organici delle polizie) i primi si prendono cura, come da mandato, dei secondi.

Non è nemmeno necessario che i cittadini presentino realmente i sintomi per i quali si propone la

cura. In questo senso non ha alcuna importanza che aumenti realmente la vittimizzazione, oppure

che ne cresca semplicemente il timore. La "gente" ha già trovato il suo simulacro nei mass media, i

quali dopo aver coltivato per anni una vicinanza simbolica con essa16 ne possono rappresentare la

paura, raccogliendone i messaggi e gli umori (perlomeno nel caso di certe minoranze attive),

riprendendone il linguaggio e le categorie di senso comune.17

Individuare le funzioni di un discorso non significa comunque averne spiegate le cause o, almeno,

le condizioni di manifestazione. Per evitare qualsiasi interpretazione cospirativa di queste

dinamiche è il caso di soffermarsi quindi su alcune delle modalità con le quali, in Italia, nel corso

dell'ultimo decennio il discorso sull'insicurezza si è affermato.

2. Rapsodici panici morali

Il frame dell'insicurezza condensa in Italia due temi così legati tra loro discorsivamente da essere

spesso utilizzati in modo intercambiabile. L'allarme per la criminalità e quello per l'immigrazione

emergono progressivamente nel corso del decennio, hanno una configurazione simile -

identificando un 'loro', portatore di minaccia - e presentano un diverso grado di focalizzazione: il

primo ha come bersaglio una categoria situazionale o contestuale - i devianti -, il secondo una

categoria allo stesso tempo sociale, etnica e giuridica - gli "immigrati extracomunitari". I tre temi,

immigrazione, criminalità, insicurezza (o forse sarebbe più corretto parlare di frame, per la loro

capacità di incorniciare diversamente gli stessi concetti), si pongono per certi versi su uno stesso

continuum che va da un minimo a un massimo di astrazione. L'allarme per l'immigrazione, e in

particolare per i reati che questa comporterebbe, identifica un nemico pubblico definito, visibile,

suscettibile di interventi preventivi o repressivi ad hoc. L'allarme per la criminalità si rivolge ancora

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16 Cfr. Sorrentino (1993). 17 Cfr. Maneri (1998a).

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a un nemico, ma definito situazionalmente o contestualmente e dunque sfuggente e meno

personificabile. L'allarme sull'insicurezza sottintende gli altri due temi, ma perde il riferimento al

nemico e si rivolge, in positivo, al 'noi' da difendere.

E' chiaro che i tre temi si prestano a differenti scopi retorici. Di fatto essi vengono tra loro sostituiti

a seconda della situazione comunicativa e dell'orientamento - più o meno democratico, 'buonista',

'tollerante' - dei locutori. Più indefinito è il nemico, più presentabile il discorso. Il frame

dell'insicurezza appare quindi come un'opzione subordinata, presentandosi più tardi e prestandosi a

usi più 'democratici', privo com'è della figura del nemico.

Se è possibile sostituire senza particolari accorgimenti discorsivi tre temi che in realtà fanno

riferimento a fenomeni per molti aspetti diversi tra loro, è perché il loro continuo accostamento nel

discorso li ha resi intercambiabili.18 "Immigrazione e criminalità" è uno dei tag19 con cui sono

presentati più frequentemente gli articoli nelle cronache locali a partire dai primi anni novanta;

"insicurezza", o "sicurezza", è il frame che sempre più spesso incornicia il discorso sulla criminalità

e sull'immigrazione. Questa serie di accostamenti è facilmente rintracciabile nelle cronache

quotidiane di quasi tutti i giornali e i telegiornali, ma raggiunge un particolare livello di efficacia

quando il sistema mediatico si attiva su eventi che sembrano possedere un carattere di eccezionalità.

Le cronache di questo decennio sono punteggiate da cicliche ondate di allarme mediatico, alcune a

carattere locale e altre, sempre più frequenti, a carattere nazionale: dalla violenza sessuale subita a

Milano da una donna ad opera di tre cittadini rumeni (autunno 1995), agli sbarchi di cittadini

albanesi dopo la crisi delle società finanziarie e i disordini che seguirono nel loro paese (primavera

1997), all'allarme sulle violenze sessuali prima a Bologna e poi a Rimini (primavera e estate 1997),

fino all'"emergenza omicidi" di Milano (inizio 1999) e all'allarme per i pirati della strada stranieri

(inverno 2000-01). Di questo sommario e incompleto elenco colpisce la crescente autonomia del

processo di attivazione degli allarmi dalla realtà. Allarmi in grado di suscitare un'ampia

preoccupazione e sostanziali interventi di prevenzione della criminalità degli immigrati in un caso

in cui nemmeno uno straniero era stato individuato come autore dei delitti (quello degli omicidi di

Milano), oppure di far apparire come una dilagante emergenza nazionale un caso assolutamente

ordinario di omicidio colposo.20

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18 Per una documentazione e una riflessione su questi accostamenti cfr. Maneri, 1998b. Anche Dal Lago (1999a) sottolinea come l'immigrazione appaia nel discorso come una "metafora della devianza sociale". 19 Si intendono per tag quei termini o locuzioni che appaiono 'a bandiera', a fianco di un articolo o di una serie, anche di più giorni, di articoli, con la funzione di rubricarli sotto il tema del momento. 20 Nel caso del cittadino albanese la polemica si concentrò sul lassismo delle istituzioni, evidenziato dalla restituzione della patente all'automobilista incriminato - avvenuta peraltro dopo il regolare periodo di sospensione. Nei giorni seguenti nelle prime notizie dei telegiornali e nelle prime pagine dei giornali apparivano continuamente notizie su persone investite da cittadini stranieri.

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

Queste continue attivazioni mediatiche assumono il carattere di panico morale, ovvero di ondate

emotive nelle quali un episodio o un gruppo di persone viene definito come minaccia per i valori di

una società; i mass media ne presentano la natura in modo stereotipico, commentatori, politici e

altre autorità erigono barricate morali e si pronunciano in diagnosi e rimedi finché l'episodio

scompare o ritorna ad occupare la posizione precedentemente ricoperta nelle preoccupazioni

collettive (Cohen, 1972). I panici morali costituiscono un efficace teatro per la rappresentazione del

legame che unisce politici, agenti del controllo sociale e media da una parte e "gente" dall'altra. In

particolare, i politici vengono legittimati come rappresentanti e - insieme alle istituzioni addette al

controllo sociale - come protettori; i media come portavoce. Le istituzioni della rappresentanza

politica beneficiano più delle altre della costruzione di un "noi" omogeneo, opaco e consensuale.

Trovano così lo strumento ideale per la definizione pragmatica, operativa, della comunità del "noi"

nelle rare occasioni offerte da una società sempre più interdipendente di individuare un folk devil

(come Cohen chiama il nemico pubblico del panico morale), un "loro" speculare, fantasmatico ma

allo stesso tempo tangibile. Perché la costruzione identitaria sia simbolicamente efficace, il "loro"

non deve infatti corrispondere a entità astratte - come potrebbero essere la crescente turbolenza dei

mercati, le minacce alla salute comportate dalle sofisticazioni alimentari ecc. -, ma deve costituire

una minaccia personificata, perlomeno potenzialmente bersaglio di atti di ostilità.

Si comprende qui il ruolo giocato dall'immigrazione, oggetto privilegiato dei panici morali degli

anni novanta. "Sicurezza" diventa il bene comunitario promesso da una ferma vigilanza nei

confronti di un altro tanto più concreto quanto più identificabile in una precisa categoria di persone.

Si potrebbe obiettare che non esiste una figura o un sistema in grado di indirizzare il sistema

mediatico e le istituzioni del controllo sociale per i propri fini. Oppure, similmente, che l'apparato

mediatico non è in grado di creare emergenze e indirizzare i comportamenti delle altre istituzioni in

modo così diretto. Tuttavia i panici morali sono fenomeni complessi, che vedono la

compartecipazione di vari attori, non sempre nella stessa misura. Di volta in volta gruppi di

interesse, i mass media, il potere politico, l'opinione pubblica possono fungere da catalizzatore,21

ma in quasi tutti i casi anche altri attori svolgono un ruolo importante. Nei panici morali di cui

stiamo parlando, come ci si può aspettare nell'epoca delle comunicazioni di massa, un contributo

centrale, anche se non esclusivo, è stato fornito dai mezzi di informazione. Certamente all'inizio del

decennio questi si sono limitati a riprendere, amplificare, legittimare le mobilitazioni che sorgevano

spontaneamente (peraltro con il contributo sempre più determinante di frange del ceto politico

locale) in alcune città del centro-nord (Firenze, 1988; Genova, 1993; Torino, 1993-96; Milano,

1991-5), facendo in modo che esse ottenessero ascolto e si traducessero in provvedimenti

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 8

Ilaria.Q
Evidenziato

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

amministrativi e di polizia. Negli ultimi anni però il ruolo dei mass media si è velocemente

autonomizzato. Non si tratta più - o non solo - di prendere un comitato di alcune decine di persone e

chiamarlo "quartiere", e nemmeno di riprendere manifestazioni di centinaia di persone e parlare di

"città che si ribella" o, ancora, di assemblare rumour e descrizioni colorite e sensazionalistiche dei

mercati illegali per dipingere quadri a tinte fosche di "cittadini assediati in casa" da accompagnare

alla narrazione della loro "rivolta"22. Dalla seconda metà di questo decennio i "cittadini" vengono

soltanto rappresentati e sono i mezzi di informazione, in un'interazione sempre più stretta con il

sistema politico, a produrre questi allarmi secondo meccanismi largamente impersonali. In altre

parole, come vedremo, l'"emergenza" diventa sempre più una pura creazione mediatica, un copione

nel quale una parte è riservata alla scena dei cittadini che protestano.23

Nelle pagine che seguono analizzerò due fenomeni di panico morale avvenuti a pochi mesi di

distanza uno dall'altro, entrambi concentrati su apparenti ondate di violenze sessuali che, pur

presentando analoghi processi di attivazione mediatica, conosceranno esiti diversi. Si potranno in

questo modo evidenziare le logiche di funzionamento del panico morale contemporaneo,

sostanzialmente invarianti rispetto ai dispositivi di costruzione dell'emergenza, ma divergenti in

merito alle conseguenze sull'ordine sociale.

3. "Ma l'emergenza c'è" 24

3.1. Gli avvenimenti25

Bologna. Maggio-Luglio 1997

Il 7 maggio compare con grande evidenza su tutti i quotidiani bolognesi la notizia di una violenza

sessuale commessa da un gruppo di giovani ai danni di una studentessa. Il giorno seguente un’altra

violenza, ancora su una studentessa, ancora da parte di un gruppo di giovani. Si teme che operi in

città una banda di giovani violentatori. Nei giorni precedenti, altri episodi di violenza erano stati

trattati dai giornali, ma con minore enfasi. Dopo l’8 maggio le cronache cittadine sono pervase di

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 9

21 Si veda, per una ragionamento che presenta un'ampia casistica su questo punto, Goode e Ben-Yehuda, 1994. 22 Per un'analisi delle narrazioni delle mobilitazioni di quartiere che appaiono sulla stampa si veda Maneri, 1995. 23 Nell'"emergenza omicidi" di Milano le telecamere si tennero in collegamento diretto per ore con "La città [che] si ribella" (Corriere, 10-1-1999) radunata per protestare contro l'immigrazione (gli autori dell'omicidio erano in realtà italiani) davanti alla tabaccheria in cui lavorava la vittima di uno degli omicidi. Tra i 100-200 partecipanti alla protesta vi era un numero di assessori, consiglieri regionali e comunali, attivisti di forze politiche cittadine perlomeno pari a quello dei "normali cittadini", chiamati ad essere protagonisti dell'informazione per giorni e continuamente sollecitati e stuzzicati dalle domande dei giornalisti. 24 Da un titolo apparso ad agosto a Rimini. 25 L'analisi che segue si basa sugli articoli pubblicati da Repubblica, Mattina (edizione locale de L'Unità) e il Resto del Carlino, tra il 1 Aprile '97 e il 31 Luglio '97, nelle edizioni bolognesi, e gli articoli pubblicati da Corriere, Mattina e Resto del Carlino dal 1

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

notizie sulle indagini e su altri episodi di molestie o di violenze, tentate o commesse. Per alcune

settimane il tema della città violenta monopolizza l’attenzione dei giornali (nei momenti di

maggiore intensità, il numero di articoli pubblicati sul tema si aggira intorno alla ventina al giorno

per le tre testate bolognesi), i quali continuano a pubblicare notizie su nuove violenze, ospitando

dibattiti, commenti di “esperti”, interventi di politici e forze locali. La “reazione della città” culmina

con una manifestazione indetta per il 31 maggio dai collettivi femministi e un incontro promosso

per il 3 giugno dal sindaco, allo scopo di fondare un’associazione di maschi contro le violenze.

Accanto a queste iniziative, si accumulano le proposte che cercano di porre rimedio alla situazione:

l’istituzione della figura del vigile di quartiere, la creazione di uno spazio protetto in cui le donne

possano denunciare le violenze subite, il pattugliamento dei parchi cittadini da parte di uomini

volontari. Il 13 giugno un altro caso di violenza “di gruppo” catalizza l’attenzione dei giornali.

Dopo una settimana di ampia copertura, questa volta l’attenzione scema più velocemente per

ritornare improvvisamente con notizie, approfondimenti e polemiche il 22 luglio, quando dalla

Procura arriva la notizia dell’archiviazione dei 4 episodi più eclatanti. Vi sono contraddizioni e

lacune nelle testimonianze e un caso di ritrattazione.26

Rimini. Agosto 1997

Il 9 agosto è riportata, con grande evidenza e richiami nelle pagine nazionali, la notizie della

violenza subita di notte sulla spiaggia da due ragazze svizzere ad opera di sei individui, “forse

albanesi”. Per una settimana le prime pagine dei giornali locali, ma anche quelle dei giornali

nazionali, riportano una sorta di bollettino di guerra dalla Riviera. Il ritmo delle notizie è serrato, il

loro numero eccezionale, sfiorando i 30 articoli al giorno per le tre testate nel momento di picco.

L’11 agosto si denuncia un tentativo di violenza sul lungomare di Torre Pedrera da parte di un

cittadino marocchino, il 12 un altro tentativo a Misano Adriatico, il 17 un’ultima denuncia di

violenza, questa volta nei confronti di un bagnino che conosceva la vittima.

Nel frattempo, già il 12 agosto, si diffonde la notizia dell'arrivo di 1000 agenti con il compito di

controllare le spiagge della Riviera. Ad affiancarli i “City Angels”, un gruppo di volontari già attivi

a Milano. Il 15 si svolge un vertice tra il Presidente del Consiglio e il Ministro degli Interni. La

polemica sulle proposte avanzate per far fronte all’emergenza è accesa: a dividere le opinioni sono

soprattutto le idee - proposte dal Sindaco ma già discusse in passato - di illuminare le spiagge di

notte e di istituire permessi di soggiorno regionali per gli immigrati non comunitari.

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 10

Luglio '97 al 31 Agosto '97, nelle edizioni riminesi (edizione "Romagna", nel caso di Mattina). I materiali utilizzati nell'analisi sono stati forniti dal Progetto Cittàsicure con la collaborazione della Cisl e del Siulp.

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

3.2 La struttura del panico morale

Gli allarmi per le violenze a Bologna e Rimini presentano una serie di analogie che vale la pena di

sottolineare. In entrambi i casi, prima dell’episodio scatenante, si può individuare una fase di

‘avvertimento’ in cui fatti analoghi raggiungono una certa evidenza nell’informazione. A Bologna,

nei primi 15 giorni di aprile, una serie di casi di molestie e violenze fa la sua comparsa nelle

cronache, ma senza ottenere una posizione di particolare rilievo. Anche a Rimini, prima del 9

agosto, vi erano stati due casi di violenze su prostitute e due su turiste. Ma quali ingredienti

determinano la risonanza ottenuta dalle violenze che hanno fanno scattare l’allarme? A Bologna una

circostanza gioca un ruolo importante: il fatto che la prima violenza venga a conoscenza della

stampa con quasi tre mesi di ritardo, esattamente il giorno precedente della seconda, crea un effetto

di “emergenza” che è più apparente che reale. A Rimini invece sembrerebbe che a destare

sensazione sia il fatto che la violenza si sia consumata in spiaggia e in Agosto, nel luogo e nel

momento simbolo delle vacanze delle famiglie italiane. Ma quali che siano le ragioni dell’impatto

iniziale, sia a Bologna che a Rimini l’andamento della copertura mediatica segue per molti versi lo

stesso schema,27 che possiamo ricostruire partendo dalla natura degli articoli pubblicati oltre che

dal loro andamento quantitativo (in termini di numero di notizie pubblicate, riportato nel Grafico 1,

e di evidenza28 loro assegnata):

• una fase di avvertimento, in cui episodi anche molto gravi ottengono un’attenzione che sembra

rientrare più o meno nella norma (la parte della curva che precede il primo picco);

• una fase di impatto, caratterizzata da un rilievo sproporzionato rispetto alla consueta prassi

giornalistica (il picco principale, sia a Bologna che a Rimini);

• una fase di propagazione, dove una serie di episodi - minori, secondo i criteri di selezione

normalmente in uso e spesso anche secondo i principi di salienza stabilitisi durante l’impatto -

riceve una forte enfatizzazione. Questi episodi sono considerati ulteriori esempi dell'emergenza

in corso e la loro trattazione giornalistica prolunga la mobilitazione emotiva (la parte

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 11

26 L'archiviazione dei casi suscitò molte polemiche. La Procura la motivò con la ritrattazione di una delle vittime, ottenuta dopo intercettazioni telefoniche durante le quali confessava di aver mentito, una perizia scientifica che contraddiceva la versione di una seconda ragazza, le lacune e la vaghezza delle altre denunce. 27 Cohen distingue quattro fasi nel panico morale che chiama "avvertimento", "impatto", "inventario", "reazione". Ne propongo una diversa formulazione che mi sembra più aderente ai processi di attivazione mediatica e più adeguata al loro andamento cronologico. 28 Si è calcolata l’evidenza attraverso un indice additivo, standardizzato e ponderato, che tiene conto, in ordine di importanza, del tipo di pagina, del numero di colonne occupate dal titolo, della posizione nella pagina e della eventuale presenza di una fotografia o un disegno. Si riporta solo il grafico costruito a partire dal numero di notizie, ma quello che si basa sull'evidenza data agli articoli ha lo stesso andamento.

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

discendente della curva, a destra del picco). A questa si accompagna, in parte

sovrapponendosi:

• una fase di reazione, in cui la maggior parte dello spazio è guadagnata dalle iniziative messe in

atto dagli agenti del controllo sociale per far fronte all’emergenza e dalle proposte che vengono

avanzate per affrontare il problema alla radice, attraverso iniziative di prevenzione;

• una fase di latenza, in cui l’attenzione cala riportando l’informazione sul tema ai livelli consueti,

fino a un eventuale nuovo impatto.

Da questo punto di vista, i fenomeni mediatici registrati a Bologna e Rimini sono perfettamente

coincidenti, con la differenza che a Bologna lo schema si ripete due volte, per il presentarsi di un

episodio analogo a quello dell’impatto, ed è seguito da un ultimo picco, non a caso di forma diversa

dagli altri (vedi Grafico 1), che potremmo definire di chiusura, a causa dell’effetto di disinnesco

provocato dall’archiviazione dei 4 casi.

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 12

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

Numero di notizie, grado di enfatizzazione e numero di articoli di proseguimento (quelli nei quali

non è presentato un nuovo fatto-notizia, ma in cui vengono riportati gli sviluppi o i commenti a un

fatto-notizia precedente) seguono un identico andamento, segnalando in modi diversi lo stesso ciclo

di attenzione.

Vediamo ora più a fondo i tratti specifici di queste fasi, i meccanismi che le producono e le loro

conseguenze.29

3.3 Avvertimento

Considerata in se stessa, la fase di avvertimento non mostra caratteristiche particolari: una serie di

episodi, abitualmente trattati dai giornali, fa la sua comparsa nelle pagine della cronaca, ricevendo il

trattamento (selezione, enfatizzazione, scrittura) che viene normalmente riservato a quel genere di

notizie. Ciò che distingue questi episodi dalla norma è il fatto di presentarsi con una particolare

concentrazione nel tempo, oppure con una loro singolare caratterizzazione, in grado di suscitare un

interesse leggermente superiore alla media. A Bologna questo ruolo è giocato in primo luogo da un

episodio di violenza ad opera di “uno sciamano”, il quale avrebbe addormentato la cliente con

l'ausilio di uno speciale veleno e, in secondo luogo, dalla condanna a due anni inflitta a un

ginecologo per atti di libidine commessi sulle sue pazienti. A Rimini spiccano invece 4 casi di

violenza all’inizio della stagione estiva, quando gli occhi sono puntati sulla Riviera.

Ciò che è più interessante della fase di avvertimento è che essa crea, negli addetti dell’informazione

e tra l’opinione pubblica, una sensibilità particolare nei confronti dell’argomento, spingendo le

redazioni a dare spazio alle notizie che possono aggiungere elementi nuovi o esempi ulteriori di

quello che si ritiene essere un tema che interessa i lettori. Si prepara in questo modo un ambiente

favorevole alla fase di impatto.

3.4 Impatto

Si è detto che, sia a Bologna che a Rimini, è possibile individuare un punto preciso, un momento,

nel quale l’allarme mediatico sull’"emergenza stupri” esplode, attraverso l’attenzione improvvisa e

sproporzionata (rispetto ai criteri normalmente in uso) dedicata a un singolo (nel caso di Bologna

duplice) episodio. Si sono elencate delle circostanze favorevoli, in particolare l’accoppiamento

fittizio delle due violenze bolognesi e il teatro dell'accadimento - la spiaggia nel periodo delle

vacanze - nel caso di Rimini. Possiamo aggiungere a queste circostanze ulteriori fattori che hanno

verosimilmente facilitato l’allarme.

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29 Si trascurerà in questa sede l'analisi della fase di latenza, priva di interesse in merito all'argomento di questo lavoro.

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

Innanzitutto, nel caso di Rimini, sono all'opera altri fattori di tipo situazionale. La primavera del ’97

è stata segnata dalla cosiddetta “emergenza albanesi”, durante la quale gli arrivi di profughi

dall’Albania erano stati trattati dai media nazionali e locali come un’“invasione” che poneva seri

problemi di ordine pubblico, creando tra gli operatori dell’informazione una particolare sensibilità

rispetto ai reati e ai problemi connessi con la presenza albanese. Il “forse albanesi” (ma in alcune

cronache verranno riportati come "slavi") con cui i giornali riminesi hanno definito gli ignoti autori

della violenza che ha scatenato la fase di impatto, è probabilmente uno dei fattori che hanno

facilitato l’enfasi data all’allarme (appunto per la particolare sensibilità rispetto alla criminalità

degli albanesi). Si tratta anche di un interessante processo inferenziale: a far definire i violentatori

come "albanesi” è il loro presunto "leggero accento straniero" nonché, a quanto si dice, il fatto che

abbiano dichiarato alle ragazze la loro provenienza. La singolarità del fatto che autori di un reato

grave e premeditato (come dicono le cronache) declinino le proprie generalità alle loro vittime, e

che esse vengano immediatamente considerate attendibili dagli inquirenti – i quali, stando sempre

alle cronache, orientano le indagini verso il mondo dell’immigrazione albanese –, sembra suggerire

una struttura di aspettative condivisa da tutti gli attori coinvolti.30 E' in effetti nei confronti del

mondo dell'immigrazione nel suo complesso che si concentra un misto di preoccupazione e fastidio

in quei giorni: i venditori ambulanti "abusivi" sono il bersaglio delle proteste degli altri ambulanti,

dei commercianti e di alcuni attivisti leghisti che effettuano "ronde" a Cesenatico (3 agosto) e nella

stessa Rimini (8 agosto).

Ma vi è un altro ingrediente circostanziale dell’episodio riminese che lo rende così appetibile per il

mondo dell’informazione, anche se solo in un primo momento: il fatto che si tratti di una violenza

di gruppo, esattamente come di gruppo sono le violenze più eclatanti di Bologna. Si verifica dunque

in questo caso la coincidenza con quello che era stato il tema dominante delle violenze riminesi solo

due mesi prima: quello del “branco”, come venne chiamato anche a Rimini. Più fattori di allarme

particolarmente attivi in quel momento si condensano dunque in questo episodio: una aumentata

sensibilità nei confronti delle violenze sessuali favorita dalla ‘fase di avvertimento’; la criminalità

degli albanesi divenuta tema di primo piano nelle cronache di quella primavera e l'insofferenza di

alcuni rispetto alla presenza di immigrati; le violenze del “branco”.31

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30 Episodi analoghi supportano questo ragionamento. Vari episodi di violenza sessuale commessa da albanesi, poi risultati inventati dalla presunta vittima, vennero riportati dai giornali nella primavera e nell'estate del '97. Il più noto fu quello avvenuto nella provincia di Brescia, in cui una donna raccontò una violenza subita da due "stranieri" - in altre cronache "extracomunitari" - i quali accoltellarono anche il marito. Si seppe poi che l'episodio era stato inventato per coprire un adulterio scoperto dal coniuge, poi accoltellato dall'amante della moglie. Anche in quei giorni i giornali parlarono, come in questo caso, di "albanesi" o di "slavi". 31 Concorrono a far precipitare la situazione anche altri fattori, presenti negli episodi di impatto, che favoriscono sempre una maggiore attenzione dei media. A Rimini l'impatto avviene nel mese di agosto - quando vengono a mancare le notizie, soprattutto di politica, che normalmente riempiono le pagine dei giornali e i notiziari delle televisioni. In generale, gli episodi di Bologna e Rimini presentano degli elementi adatti in qualunque momento a suscitare un’attenzione particolare. Il fatto che gli autori agiscano in gruppo è normalmente un fattore che aumenta lo scalpore suscitato, e dunque la ‘notiziabilità’. E poi tutti quegli aspetti che possono far

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

Vediamo dunque come, nei due giorni che costituiscono il momento di impatto, la notizia è stata

presentata, a Bologna, nei titoli principali dei quotidiani.

Tabella 1. Titoli di apertura della fase di "impatto". Bologna

Carlino Mattina Repubblica 7-5 Nazionale: “Stuprata per strada a

Bologna” Locale: “Stupro di gruppo in zona stadio”

“Stupro di gruppo in via Guidotti” “Va a telefonare, la violentano”

8-5 Nazionale: “Bologna si scopre violenta” Locale: “Donne in balia del branco”

“Tre stupratori bussano alla porta” “Stupro di gruppo a domicilio”

Dopo quanto detto non stupiscono le scelte intraprese dalle tre testate circa i temi a cui dare

maggiore risalto: al di là dell'evento principale – le violenze sessuali – e della sua collocazione –

Bologna – i temi preminenti nelle titolazioni sono la città violenta (“per strada”, “va a telefonare”,

“bussano alla porta”, “a domicilio”, che sottolineano l’irruzione della violenza nella normalità

cittadina e “Bologna si scopre violenta”, assai più esplicito) e il branco (tre volte “di gruppo” e poi

“il branco” e “tre stupratori”). Appare anche, per il momento in secondo piano, un tema che

riceverà maggiore spazio nei giorni successivi: le donne vittimizzate (“donne in balìa” da una parte

e “stuprata” dall'altra, che come forma passiva declinata al femminile prevede la donna quale

soggetto sottinteso e la pone quindi in posizione tematica implicita).32

A Rimini il 9 agosto, nel giorno di impatto, prevalgono quegli elementi che mostrano un'assonanza

con l'emergenza, appena esauritasi, di Bologna. Non è casuale che siano proprio Mattina e il

Carlino, le due testate vendute in diverse edizioni anche a Bologna, a usare subito la parola

"branco", a parlare di vittime, soprattutto in posizioni tematiche implicite ("violentate", "stuprate",

"aggredite") e a sottolineare la collocazione degli episodi in un luogo altamente simbolico, la

spiaggia (che riceve in questa stagione un'attenzione particolare).

apparire la violenza come un evento esterno, che può interrompere la quotidianità e la ‘normalità’ della vita di qualunque donna: il fatto che avvenga per strada e non in famiglia - dove comunque la violenza è socialmente meno condannata e simbolicamente relegata a fasce sociali che non coincidono con il lettore di riferimento del giornale cittadino; il fatto che avvenga nelle strade, nei giardini, negli androni del centro – o nella spiaggia – e non in un casolare, in un viale di periferia, in un campo, in quei luoghi insomma che sono considerati al contempo più pericolosi e di pertinenza di quel mondo marginale rispetto al quale le violenze sono considerate moneta corrente e poco interessante per il giornale e i suoi lettori; infine il fatto che a subirla siano delle giovani ragazze ‘normali’ (turiste e studentesse) e non delle prostitute o senza-casa (che infatti erano state tra le vittime delle violenze della fase di ‘avvertimento’ in entrambe le città, in particolare di quelle violenze che riceveranno l’attenzione più scarsa).

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 15

32 Detto in altre parole, attraverso l'uso della forma passiva si parla della donna anche quando non è nominata. Faccio riferimento al concetto di tema quale è proposto da Halliday, 1967.

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

Tabella 2. Titoli di apertura della fase di "impatto". Rimini

Carlino Mattina Corriere 9-8 Nazionale: “Due ragazze stuprate

dal 'Branco'"” Locale: “Violentate in spiaggia dal branco”

Nazionale: "Stuprate dal branco sulla spiaggia. Due svizzere aggredite a Rimini" Locale: "Il 'branco' si scatena sulla spiaggia. In sei violentano due turiste svizzere

“Violentate in spiaggia”

I temi selezionati lasciano un'impronta che può caratterizzare tutto l'andamento dell'allarme

mediatico (sarà il caso di Bologna) oppure fungere da elemento di innesco di un processo che nel

suo svolgersi si declina attraverso temi diversi, dei quali spesso uno solo è quello dominante (sarà il

caso di Rimini). Quali sono stati questi temi e quali le conseguenze della fase di impatto?

3.5 Propagazione

L’effetto principale di un evento di impatto è quello di avviare un processo di tematizzazione -

ovvero di messa in evidenza di alcuni elementi più o meno direttamente connessi con gli episodi

'notiziati' - che fornisce la chiave di lettura (e interpretazione) del fenomeno nel suo complesso.

Adottando i giornalisti delle varie testate sostanzialmente gli stessi criteri di selezione delle notizie

da pubblicare, è probabile che tutti i giornali diano approssimativamente lo stesso risalto all’evento

di impatto. Nei casi di Bologna e Rimini tutte le testate studiate hanno pubblicato la notizia in prima

pagina nazionale o locale. La percezione da parte delle redazioni della salienza del tema – costruita

spesso sulla base dell’ampiezza della copertura datane dalla concorrenza – della sua attualità e del

grado d’interesse presso il pubblico, viene così ulteriormente rafforzata. A questo punto le consuete

regole di ricerca, selezione e inquadramento delle notizie subiscono un brusco spostamento: faranno

notizia soprattutto quegli episodi che si presentano come ulteriori esempi di un fenomeno che

preoccupa l’opinione pubblica.. Da quel momento: 1) le redazioni ricercheranno attivamente casi di

violenze - commesse o tentate - e molestie; 2) questo genere di casi verrà selezionato più facilmente

per la pubblicazione (di qui la parte alta della curva subito dopo il picco nel Grafico 1) e otterrà

maggiore evidenza rispetto alla norma; 3) infine, tenderanno a essere sottolineati nelle notizie

quegli elementi più consonanti col tema, così come esso è stato definito nella fase di impatto o nei

giorni immediatamente successivi (lo vedremo in seguito). Diventa allora importante, per

comprendere il modo in cui si è sviluppata l’emergenza mediatica sulle violenze sessuali, capire

quali siano i temi principali utilizzati, dal momento che essi orientano in maniera precisa il

successivo lavoro giornalistico e il comportamento degli altri attori coinvolti.

A Bologna, i temi emersi nei giorni di impatto rimarranno sostanzialmente dominanti per l'intero

andamento dell'allarme sulle violenze sessuali. Nella Tabella 3 sono riportate tutte le locuzioni , (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 16

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

tematizzanti - cioè quegli spezzoni di frase che si concentrano, con funzioni generalizzanti, su un

elemento attribuibile agli episodi - comparse nella titolazione a partire dal momento di impatto fino

alla fine del periodo considerato.

Tabella 3. Locuzioni tematizzanti e tag. Bologna (titolazione)33

Locuzioni La paura Processo a Bologna La città insicura Il "branco" L'emergenza Il maschilismo

La paura 6 / La grande paura / Di notte scatta la grande paura / Tra paura e rabbia / Paura a Bologna / Cinque mesi di paura / Terrore / Dilaga la paura / Contro la paura / Città sotto choc Degrado 3 / Processo a Bologna / Non viviamo in una città incivile / Non è più un Eden / Non siamo l'Eden ma siamo diversi / Ombre nell'isola che non c'è / Bologna è cambiata / Addio città civile / Bologna & degrado / Etica da supermercato La città non è insicura 3 / Bologna violenta 2 / Non siamo a New York ma poco ci manca / Riprendiamoci la notte / Off-limits / Per una città più sicura / Arancia Meccanica 5 / Per tre volte in gruppo / "Accuso la società" [per la logica del branco] Emergenza 3 / Allarme violenza / Allarme In ogni uomo un potenziale stupratore / Cultura maschilista / Pretesa di riaffermare una falsa mascolinità / Idea della donna oggetto

Tag Allarme violenza 41 / Violenza30 / Violenza alle donne 13 / Il branco non esiste 8 / La città

brutale 5 / Il fatto 2 / Il terrore di notte 2 / Il terrore di giorno 2 / Sfida al degrado 2 / Donne contro la violenza 2 / La polemica / Caccia al branco / Donne / Incubo violenza

Al contrario di Bologna, a Rimini (vedi Tabella 4) i tre temi individuati nei titoli del primo giorno

(l'impatto) non risultano confermati allargando l'analisi a tutto il periodo considerato. Il tema del

"branco" sparisce quasi subito. Le successive tentate violenze verranno commesse da singoli o da

coppie di uomini, rendendo impropri i primi commenti di routine dedicati alla logica dello stupro di

gruppo. Delle donne vittimizzate non c'è più traccia dal punto di vista tematico. La spiaggia di notte

avrà invece maggiore fortuna, cosa comprensibile riflettendo sulla sua collocazione simbolica (a

Rimini, d'Agosto).

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33 In questa tabella e in tutte quelle seguenti è considerata la titolazione completa a partire dal momento di "impatto" fino al termine della rilevazione. Le locuzioni apparse più di una volta sono seguite da un numero che ne precisa la frequenza.

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

Tabella 4. Locuzioni tematizzanti e tag. Rimini (titolazione)

Locuzioni L'emergenza Gli immigrati Il modello Rimini I problemi per il turismo La "caccia al nero" La spiaggia di notte "La rivolta dei sindaci"

La sesta in pochi giorni 3 / "A Rimini non c'è allarme rosso" 3 / Rimini violenta 2 / Allarme sicurezza 2 / Città allo sbando / Rimini, i giorni della violenza / Emergenza / Emergenza secolare / Ma l'emergenza c'è / Allarme violenza / "Rimini violenta senza esagerare" / Escalation del crimine / Ancora uno stupro / Ennesimo caso / Amplificati dai media / SOS riviera Il problema degli immigrati / "Legge urgente" / Nordafricani e albanesi un problema concreto / Emergenza immigrati / Anche le altre aggressioni sono state fatte da extracomunitari / "La stagione del buonismo è finita" / "Immigrati, sì alla solidarietà no al parassitismo" / Prodi smonta il caso immigrati / "Non sono riminesi, arrivano da fuori" / Immigrati, occorre un controllo / Società multietnica? "Vogliamo più ordine" / Basta extracomunitari / "10.000 sono brave persone, ma quando diventano 10.000.000 sono un cataclisma" Trasgressione: la riviera paga per questa fama 2 / Rimini vetrina dei suoi guai 2 / "Stop al divertimentificio" / Basta con la cultura della rendita / Critico con il "sistema" / Rimini è solo un inganno e gli esclusi si arrabbiano / Orfani di cultura / Il sesso dei poveri Bild attaccco a rimini 3 / A difesa dell'immagine della riviera 3 / Turismo pulcino nero 2 / Agosto blindato / Proteggere le vacanze 2 La rabbia della gente / Monta un clima anti immigrati / La gente vuole giustizia sommaria / Clima incandescente e toni pesanti / Tra i bagnini adesso monta un'ondata di rabbia razzista / Rischia di far scoppiare la caccia al nero / La Riviera si solleva Di notte l'arenile è più che mai insicuro / Finiti i tempi della spiaggia romantica / La lunga striscia di sabbia e paura / Rimini è una trincea / Panico / Di notte pericolo mortale La rivolta dei sindaci

Tag Estate violenta 32 / Estate bollente 31 / Violenze 9 / Emergenza immigrati 3 / Fine stagione 3 /

Riviera violenta 2 / Ferragosto in Riviera 2 / Sempre peggio / Stupro / Incubo in riviera / Rimini / Immigrati

Se si eccettua il tema-contenitore dell'emergenza, analogo a quello bolognese, a Rimini il tema che

avrà maggior fortuna nell'insieme degli articoli considerati, e che produrrà al contempo le

conseguenze più rilevanti, è quello degli immigrati. Si è già detto come vi fossero alcune condizioni

facilitanti; ma per capire come esso si affermi è necessario ripercorrere i primi giorni, cruciali,

dell'allarme.

Innanzitutto gli episodi di cronaca: il giorno precedente a quello d'impatto (la notizia della violenza

in spiaggia sulle due ragazze svizzere, del 9 agosto) era apparsa sui giornali la notizia della violenza

sessuale commessa da "due russi" ai danni di due prostitute. L'11 agosto, due giorni dopo il caso

della violenza in spiaggia, viene riportata la notizia di un tentativo di violenza ancora sulla spiaggia,

a Torre Pedrera, a pochi chilometri da Rimini e ad opera, dicono le cronache, di due "marocchini".

Il giorno seguente un altro tentativo, a Misano Adriatico, questa volta però lontano dalla spiaggia,

sempre da parte di un cittadino marocchino, riconosciuto dalla vittima e arrestato. In realtà, ne

parleremo in seguito, questi non sono gli unici episodi di violenza commessi in quei giorni.

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Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

Tuttavia, opportunamente selezionati e inquadrati, forniscono materiale sufficiente perché si affermi

il tema della "bomba immigrazione".

A fornire indicazioni e spunti per questo inquadramento selettivo non sono però solo le logiche del

lavoro giornalistico. L'11 agosto, quando ancora non si era affacciato il tema dell'immigrazione,

compariva sulla maggior parte delle testate la dichiarazione del sindaco di Rimini, secondo il quale

albanesi e nordafricani "sono un problema concreto", che intende risolvere. Lo stesso giorno in cui

si ha notizia del secondo episodio di tentata violenza, riconducibile alla fase di impatto, una seconda

fonte indica dunque un elemento degno di attenzione - quello degli "extracomunitari" - che verrà

non a caso utilizzato dalla maggior parte delle testate per il titolo dell'intervista stessa. Ma è il 12

Agosto il giorno cruciale. Viene diffusa la notizia di un terzo episodio di violenza ad opera di un

cittadino non comunitario e, parallelamente, si tiene un vertice in Prefettura durante il quale il

Sindaco avanza due vecchie proposte: l'illuminazione notturna delle spiagge e l'istituzione di

permessi di soggiorno regionali, che dovrebbero rendere più facile il controllo dei cittadini non

comunitari. Da Riccione, il sindaco chiede a sua volta espulsioni più facili. Il segretario provinciale

del Pds esprime la stessa richiesta.

Sono quindi le massime autorità politiche e amministrative locali, mentre insistono a scartare

l'ipotesi di una situazione emergenziale, a confermarla con richieste ad hoc e a selezionare

l'obiettivo primario dell'allarme. Dei tre elementi tematici individuati, la spiaggia/Riviera, le

violenze, il mondo dell'immigrazione, è a questo punto l'ultimo a diventare quello dominante, grazie

al ruolo determinante del mondo politico. Con una differenza importante: mentre i primi due temi

sono costitutivi dell'allarme ("le violenze sessuali a Rimini"), definito nella fase di impatto, l'ultimo

è un elemento tematico aggiunto, nel modo appena descritto, a partire da alcuni spunti certamente

concreti ma solo in un secondo tempo.

L'"emergenza" è dunque, in senso stretto, qualificata dagli elementi delle violenze sessuali e della

spiaggia. Questi elementi fungono allo stesso tempo da categorie di descrizione degli episodi

accaduti e da strumenti di catalogazione di nuovi 'eventi' che possono essere inclusi o non inclusi

nell'emergenza. Giocano infatti in queste circostanze due esigenze: quella di definire l'emergenza

stessa, rintracciando elementi che accomunino i vari episodi (di qui la spiaggia, le violenze), e

quella di catalogare le nuove occorrenze, selezionando ed evidenziando in esse ciò che consente di

rubricarle come nuovi esempi dell'emergenza in corso ("di nuovo in spiaggia" ecc.). In generale, in

ogni catalogazione è possibile, anzi probabile, che siano all’opera due meccanismi, alternativi o

complementari: la nuova occorrenza può subire parziali 'accomodamenti', necessari a farla rientrare

nelle categorie esistenti - nel nostro caso, la spiaggia, le violenze – ("effetto di distorsione"); le

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Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

categorie selezionate possono essere modificate ("ridefinizione delle categorie"), soprattutto quando

non può funzionare il primo meccanismo.

Nell'emergenza riminese sono all'opera entrambi i processi descritti. Le violenze, che sono spesso

solo tentate, come negli ultimi due episodi citati, vengono quasi sempre presentate nella titolazione

come se fossero state effettivamente commesse (distorsione dell'occorrenza). A sua volta la spiaggia

diventa presto, nelle cronache, "Rimini" - in modo da includere anche l'episodio dei due russi - e poi

la "Riviera" (ridefinizione delle categorie): si possono così a questo punto ricondurre alla stessa

emergenza episodi accaduti in luoghi diversi - la spiaggia, un casolare - e in località diverse -

Misano si trova quasi nelle Marche.

La categoria degli "extracomunitari", entro la quale si possono riunire violentatori o aspiranti tali di

varie nazionalità, come abbiamo visto entra in gioco molto presto, ma è di natura sostanzialmente

diversa dalle due precedenti (la spiaggia/Rimini/la Riviera e le violenze sessuali). Si è detto che

essa non appartiene in senso stretto all'emergenza – che è definita come "allarme violenze a Rimini"

ed è dunque, in teoria, costitutivamente indifferente alla provenienza dell'autore del reato. Tuttavia

questa categoria raggiunge una salienza tematica così forte da entrare a far parte, in maniera a

questo punto intrinseca, dell'emergenza stessa, svolgendo in definitiva la stessa funzione delle altre

due categorie: quella di mettere a fuoco ciò che 'appartiene' all'emergenza e ciò che non vi

appartiene. Le violenze commesse da italiani o da stranieri comunitari vengono in quei giorni

ignorate o non conteggiate nei bilanci più volte forniti dagli organi di informazione. Il 12 agosto,

quando tutta l'attenzione è puntata sull'episodio di Misano ad opera di un cittadino marocchino,

vengono riportati solo da Mattina (nelle pagine nazionali e con risalto decisamente minore) altri tre

reati sessuali commessi da italiani: uno stupro a Lignano Sabbiadoro, un tentativo di violenza a

Ferrara ai danni di un minore, un altro tentativo a Lido di Pomposa. La stessa Mattina il medesimo

giorno parla nelle pagine nazionali di "sesto episodio in cinque giorni, sempre con degli

extracomunitari come protagonisti", includendo dunque nella conta riminese la tentata violenza di

Misano ed escludendo quelle commesse nello stesso giorno nelle altre tre località. Il 13 agosto il

Carlino, come si fa spesso in questi casi, fa il punto dell'emergenza con uno specchietto intitolato

"L'escalation della violenza", collocato nelle pagine nazionali ma anch'esso dedicato alle sole

violenze commesse da "extracomunitari". Lo stesso giorno il Corriere pubblica una mappa

intitolata "Gli stupri in Riviera", accompagnata da un disegno che ritrae due violentatori, dagli

inconfondibili tratti vestimentari e somatici arabi, in azione. Questa mappa riporta gli stessi episodi

degli altri due elenchi, risalendo però così indietro nei giorni da arrivare a una violenza commessa

un mese prima, il 9 luglio, da tre senegalesi (un episodio che "resta misterioso" secondo la stessa

testata), tralasciando al contrario due violenze assai più certe e recenti (avvenute rispettivamente il

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26 luglio e l'1 agosto) e altrettanto gravi, ma commesse da un italiano l'una e da un cittadino belga

l'altra.

Nel caso di Bologna appaiono analoghi processi di distorsione delle occorrenze (le tentate violenze

sono ad esempio riportate in qualche caso nella titolazione come violenze effettive) e di

ridefinizione delle categorie (il "branco" che sparisce momentaneamente dalle cronache a seguito di

episodi commessi da singoli; la natura dell'allarme, che viene a un certo punto ridefinito in termini

più generici, come "violenza", in mancanza di episodi di vere e proprie violenze carnali). Tuttavia

non si ha un allargamento tematico analogo a quello di Rimini, dove sono gli stessi termini

dell'emergenza ad essere ridefiniti (tanto che saranno gli stessi tag a chiamarla, negli ultimi giorni,

"Emergenza immigrati" o "Immigrati", vedi Tabella 4).

Due rappresentazioni della realtà Prima di passare alla descrizione della fase di reazione abbandoniamo per un momento l'analisi

delle logiche della costruzione dell'emergenza e proviamo a vedere quali rappresentazioni emergano

da questa struttura di attivazione mediatica. Facendo una fotografia del modo in cui sono state

rappresentate le due "emergenze" sulle violenze sessuali di Bologna e Rimini si avrebbero due

immagini composte dagli stessi elementi - il luogo del delitto, l'autore, la vittima, l'atto - ma scattate

secondo differenti prospettive. Consideriamo le volte in cui, in tutti gli articoli analizzati a partire

dall'inizio della fase di "impatto", viene nominato un elemento della violenza all'interno dell'intera

titolazione (Tabella 5).

Tabella 5. Elementi della violenza nominati nella titolazione. Bologna e Rimini (percentuali; tra parentesi i valori assoluti)34

Autori Vittime Reato Luogo Orario Totale Bologna 26,5

(167) 27,1 (171)

31,4 (198)

13,3 (84)

1,7 (11)

100 (631)

Rimini 36,7 (127)

17,9 (62)

21,4 (74)

20,8 (72)

3,2 (11)

100 (346)

Gli autori delle violenze sono, a Rimini, di gran lunga i più citati (rappresentano più di un terzo

degli elementi considerati). Non sono tra l'altro conteggiati in queste tabelle tutti gli articoli non

riferiti alle violenze sessuali, che, soprattutto nei primi giorni della fase di 'propagazione', sono

dedicati in grande quantità al "problema immigrazione" (statistiche sulla criminalità degli

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 2134 Le percentuali sono calcolate sul totale delle parole incluse nella tabella.

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

immigrati, reati commessi da immigrati, discussioni sulla legge sull'immigrazione ecc.). Questi

articoli, per il solo fatto di essere accostati a quelli sulle violenze, contribuiscono in misura

determinante alla tematizzazione delle stesse come effetto dell'immigrazione e alla più generale

sovrapposizione semantica tra quest'ultima e la criminalità. In alcuni casi questa tematizzazione 'per

accostamento' è anche più esplicita. E' il caso, per esempio, di notizie prive di importanza,

pubblicate per il solo fatto di presentare immigrati nel ruolo di autori di reati e di aggiungere quindi

esempi a quello che si ritiene essere 'l'argomento del mese' ("Albanesi rubano frutta", pubblicata sul

Corriere il 19 agosto, con la precisazione, nel testo, "probabilmente albanesi"); oppure di notizie

'sfiziose' del genere fait divèrs, pubblicate o titolate in un certo modo perché comportano un

capovolgimento dei ruoli considerati canonici, confermando però implicitamente e in maniera

automatica i ruoli stessi ("Extracomunitari. Colpo 'alla napoletana'. E Ciro rapinò Mohamed" con

commento finale nel testo che recita "I 'cattivi', almeno questa volta, non sono stati loro", pubblicata

sul Carlino del 15 agosto e, appena sotto, "Principe e Immigrato" che titola così un'intervista fatta al

presidente di un'associazione di "extracomunitari").

Dunque a Rimini, a differenza di Bologna, l'attenzione è concentrata sugli autori delle violenze,

anche negli articoli di puro resoconto dei fatti di cronaca.35 Gli altri elementi visibilmente più

presenti che a Bologna sono il luogo (non casuale, vista la tematizzazione incentrata sulla spiaggia)

e l'orario, che qualificava quella tematizzazione ("la spiaggia di notte"). Le vittime hanno a Rimini

sin dall'inizio solo una funzione di testimonianza: forniscono quei resoconti e quelle impressioni

che servono a movimentare e a rendere più vivida la storia.36 Rispetto a Rimini, a Bologna

l'attenzione è concentrata più spesso sul reato (31,4% contro 21,4%) e sulle vittime (27,1% contro

17,9%).

Sempre al livello del semplice resoconto dei fatti di cronaca, esiste comunque un altro modo di

guardare la realtà privilegiando una visuale oppure l'altra. Nella Tabella 6 sono conteggiate le

diverse forme grammaticali utilizzate per nominare il reato37. Nel caso dei sostantivi ("stupro",

"violenza") l'azione diventa "l'atto del violentare". L'accento è dunque posto sul fenomeno, isolato

da chi l'ha commesso o subìto. La nominalizzazione (la trasformazione appunto di un processo -

un'azione - in uno stato - un sostantivo) è una pratica linguistica molto utilizzata dai giornali,

soprattutto quando questi fanno riferimento a un episodio già raccontato nei giorni precedenti, ma

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35 Se si considerano solo i titoli principali e si calcola la percentuale sul totale del lessico impiegato e non sulle sole parole riportate in tabella, a Rimini gli autori sono nominati quasi il doppio delle volte che a Bologna. 36 Il problema della violenza sulle donne non viene mai considerato in un'ottica di genere, ad esempio come frutto dell'inferiorizzazione femminile, del monopolio maschile della violenza o della cultura maschilista. 37 Anche per il concetto di transitività sottostante a questa analisi faccio riferimento a Halliday, 1967.

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spesso anche nei casi in cui viene riportata una notizia 'fresca' (ad esempio "Stupro di gruppo in via

Guidotti", riportato nella Tabella 1). Sia a Bologna che a Rimini questa è di gran lunga la forma

linguistica più utilizzata per riportare la notizia. Scegliendo di utilizzare un verbo, al contrario, si

orienta l'attenzione sul processo, lasciando inoltre aperta la possibilità di nominare anche la vittima

o l'autore, collegandoli all'azione. A Bologna, tra i verbi utilizzati, è stata fortemente preferita la

forma passiva (stuprate, violentata ecc.), che anche quando non nomina né la vittima né l'autore (ad

es. "Stuprata in pieno centro") pone la donna in posizione tematica implicita.38 Al contrario, quando

viene usato il passivo il riferimento all'autore della violenza è più labile, essendo l'agente (stuprata

da) meno direttamente chiamato in causa oppure omesso.

Opposto è il caso di Rimini. Qui, coerentemente con quanto detto sinora, è stata più spesso preferita

la forma attiva (violentano, stupravano ecc.), che pone l'autore della violenza in posizione di

soggetto grammaticale (eventualmente sottinteso, quando non è esplicitamente nominato). In questi

casi è evidente che è sull'autore che si concentra l'attenzione, anche quando è la vittima ad apparire

attraverso un vocabolo apposito (come "sequestravano e stupravano prostitute", in cui anche se è la

parola "prostitute" ad essere presente, è dell'uomo che si sta parlando). 39

Tabella 6. Forme grammaticali usate nella titolazione per indicare il reato. Bologna e Rimini (percentuali; tra parentesi i valori assoluti)40

Bologna Rimini Sostantivi, nominalizzazioni (stupro, violenza, aggressione ecc.)

Verbi attivi (violentano, seviziano, stupravano, tenta di … ecc.)

Verbi passivi (stuprate, violentata, aggredita ecc.)

Altro (attivi con la vittima in posizione di soggetto, passivi con la vittima in posizione di agente ecc.)

58,1 (115) 13,1 (26)

28,8 (57)

0 0

54,1 (40)

25,7 (19)

12,2 (9) 8,1 (6)

Totale 100 (198)

100 (74)

38 Proprio perché riferisce chiaramente il verbo al suo soggetto (la donna) anche grazie alla declinazione di genere (stuprata). 39 Un'annotazione merita la voce "altro" della Tabella 6. Tutti i casi che ricadono in questa categoria riguardano la notizia dell'ultima violenza riconducibile all'allarme, quella commessa da un bagnino (il quale sostiene che la ragazza fosse consenziente), presentata dai giornali con assai meno enfasi e articoli delle altre e con forme verbali atipiche per le cronache di quei giorni (il passivo riferito all'autore "Denunciato da una quindicenne", "Accusato di violenza" e l'attivo riferito alla vittima "Quindicenne accusa un amico", "Una quindicenne denuncia stupro"). Il motivo di questa anomalia va cercato nella scelta del verbo: denunciare e accusare richiedono un capovolgimento tra vittima e autore (è la vittima che compie l'azione) che, senza voler trarre troppe conclusioni dall'effetto di senso comportato del capovolgimento di per sé (la vittima che apparirebbe, in un certo senso, come autore), segnala un'accortezza nel precisare la possibile differenza tra ciò che è successo e ciò che è stato denunciato. Accortezza non osservata quando i denunciati erano immigrati, e dunque confermavano un tema e una struttura di aspettative su cui lavoravano tutti gli attori in gioco (anche i due arrestati di cittadinanza marocchina respingevano le accuse).

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 2340 E' considerata la titolazione completa a partire dal momento di "impatto" fino al termine della rilevazione.

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

Nelle Tabelle 7 e 8 sono riportati gli appellativi e gli aggettivi impiegati a Bologna e Rimini per

indicare gli autori delle violenze. Come ci si può aspettare per un reato che suscita una forte

riprovazione morale, a Bologna sono molto frequenti i termini che stigmatizzano questi soggetti

("bruto", "maniaco" ecc.), accompagnati da altri (contestuali e generici) che non vi aggiungono

particolari connotazioni.41 Sempre a Bologna, i termini che fanno riferimento al gruppo sono

abbastanza frequenti (gli stessi reati sono stati spesso definiti "di gruppo"), con un abbondante

ricorso a una metafora, quella del "branco", che indica il livello di elaborazione simbolica cui è

stato sottoposto il tema. 42

Tabella 7. Termini impiegati nella titolazione per qualificare gli autori delle violenze. Bologna (valori assoluti) 43

Appellativi N Demonizzato Di ruolo Generico Di gruppo Etnicizzato Relazionale Marginalizzato Occupazionale

Bruto 19 (4) / Maniaco 7 / Aguzzini 3 / Violenti (2) / "no-mostro" / "no-bruto" Stupratori / Violentatore 6 / Aggressore 11 (2) / Molestatore/ Seviziatori / Carnefici / Responsabile 2 / (Presunti responsabili) / Feritore / Accusato / Indagato / Colpevoli Uomini 9 (6) / Giovane 7 / Persone / Ragazzo / Età Branco 8 (3) / In due-tre 3 / Banda 4/ Gang / Gruppo 4 (1) Provenienza 17 / Cittadino-provenienza 1 / Italiani / Connazionale 2 / Extracomunitario / Napoletano Padrone di casa / Amico / Sconosciuto / Collega / Patrigno Tossico / Sbandati 2 / Clochard 2 / Balordo / Tossicodipendente / Ubriaco Operai / Portinaio 2 / Studenti

37

30 25 24

23

5 8 4

Aggettivi

Ubriaco 2 / Dominati dal gruppo / Esseri inqualificabili (1) / "Perbene" (1) / Impuniti / Età / Italiani 2

9

41 Il fatto che la parola "uomini" sia usata 6 volte in senso collettivo potrebbe far pensare a una tematizzazione di genere che si era in parte negata in precedenza. In effetti, sia le donne che gli uomini sono spesso nominati in senso collettivo. Le donne vengono abbondantemente citate per due ragioni: da una parte sono le vittime delle violenze; dall'altra, attraverso i loro collettivi e associazioni, esse esprimono le loro opinioni sui fatti. Gli uomini, al contrario, oltre che essere assai meno nominati, soprattutto in senso collettivo, lo sono solo per il progetto di costituire un'associazione di uomini contro le violenze, di cui i giornali parlano molto, e quindi solo indirettamente, in virtù della decisione di alcuni di loro di occuparsi del problema delle violenze alle donne. Come autori delle violenze gli uomini non esistono (in senso collettivo, e dunque tematizzato), come difensori delle donne sì. 42 Molto utilizzati – malgrado la scarsa importanza che ha avuto il fattore 'etnico' a Bologna - anche gli appellativi che 'etnicizzano' i soggetti. Quella di nominare il soggetto attraverso la propria provenienza, quando questa non coincide col luogo di diffusione del giornale (si dice solo una volta "italiani" e mai "bolognesi") è una prassi giornalistica consolidata, non priva di conseguenze nelle rappresentazioni sociali della devianza. Molto scarse sono invece le parole che insistono sui rapporti intercorrenti tra l'autore e la vittima (relazionali, come "amico" e "patrigno"): malgrado nelle violenze giornalisticamente più 'coperte' si sia indagato nel giro di conoscenze delle vittime, l'elemento della familiarità non è stato assolutamente tematizzato: la violenza che fa notizia sembrerebbe ancora una volta quella commessa da sconosciuti.

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 24

43 Le locuzioni apparse più di una volta sono seguite da un numero che ne precisa la frequenza. Il numero è riportato tra parentesi nei casi in cui la parola sia impiegata per indicare l'intera categoria di soggetti, e non un individuo o gruppo concreto (ad esempio "cosa fare contro i bruti?" e non "Il bruto del Fossolo"). In corsivo classi di termini equivalenti (ad esempio: provenienza comprende i vocaboli "un marocchino", "due albanesi" ecc.; Età "una quindicenne" ecc.). Singolari e plurali sono stati accorpati.

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Tabella 8. Termini impiegati nella titolazione per qualificare gli autori delle violenze. Rimini (valori assoluti)

Appellativi N Etnicizzato Di ruolo Generico Demonizzato Di gruppo Relazionale Marginalizzato Occupazionale

Provenienza 21 / Immigrati (16) / Extracomunitari 2 (9) / Immigrazione (8) / Clandestini (5) / Abusivi (1) / Nero (1) / Nordafricani / Stranieri (1) / Irregolari (1) Aggressore 5 / Violentatori 3 / Imputato 3 / Stupratori 2 / Accusati / Presunto violentatore Giovani 6 / Nome 3 / Uomo / Età Violenti 1 (2) / Criminali (2) / Delinquenti (2) / Bruti / Belve / "No-mostri" / Aguzzini Branco 7 / Gruppo / Gruppetto / In sei Amici 2 / Sconosciuto (1) Balordi (1) / Esclusi (1) Bagnino 2

66 15 11 11 10

3 2 2

Aggettivi

Provenienza 3 / Timidi / Clandestino / Riottosi / Giovane 7

A Rimini dominano naturalmente i termini etnicizzati. Mentre la provenienza ("sei albanesi") è

usata per riferirsi a soggetti precisi, gli altri termini compaiono soprattutto in senso collettivo,

appunto per la forte tematizzazione che ha caratterizzato questo elemento. Potrebbe stupire la

relativa scarsità di termini stigmatizzanti ("violenti", "delinquenti", "belve") rispetto a Bologna. In

un certo senso sono però gli appellativi etnicizzati a svolgere questa funzione: l'individuazione del

"bruto" nella figura dell'extracomunitario ha provocato uno spostamento semantico dal primo al

secondo. La semplice parola "clandestino" suscita a questo punto, attraverso le connotazioni

assunte, gli stessi effetti di altre esplicitamente stigmatizzanti. Non avrebbe senso, altrimenti, un

titolo come quello che segue, in cui gli "ignari studenti" rischiano, per la vicinanza alle "tane dei

clandestini", di finire nelle fauci del lupo cattivo:

Occhiello: Riviera violenta/ Ostelli per giovani accanto alle colonie occupate da sbandati di colore44

Titolo: Camera con vista sull'inferno dei "neri" Catenaccio: Viaggio nelle tane dei clandestini vicini di casa di ignari studenti. Intanto gli extracomunitari temono ritorsioni

3.6 Reazione

Si diceva dunque che nel capoluogo emiliano l'allarme si è affermato come emergenza violenze a

Bologna; ha subito inglobato i temi del "branco" e della "città violenta" e, in un secondo momento,

quello delle "donne vittimizzate", declinato in modi diversi.

A Rimini l'allarme, qualificato come emergenza violenze in spiaggia, si è dapprima allargato

all'intera città - Rimini - (già presente però nella fase di avvertimento) e poi alla Riviera. Il tema

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 2544 Resto del Carlino, 12 Agosto 1997.

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

dell'immigrazione si è sviluppato molto presto e ha caratterizzato profondamente la natura di questa

emergenza.

Si comprenderà da quanto detto sinora come le routine del lavoro giornalistico, in relazione con il

procedere degli eventi e con i comportamenti degli altri attori significativi, siano per molti versi

all'origine di queste tematizzazioni. Tuttavia nel caso di Rimini il tema dell'immigrazione si afferma

con il concorso determinante degli attori politici. Quello giocato dalla "reazione" delle istituzioni,

dei leader politici, di quei settori della società civile che sono più direttamente coinvolti è

effettivamente un ruolo molto importante. Possiamo distinguere, nella fase di "reazione", tre

componenti diverse.

a) Le spiegazioni che cercano di dare un senso a ciò che è accaduto, di rintracciarne cause e implicazioni

b) Le iniziative messe in atto per fronteggiare, 'a caldo', la situazione

c) Le soluzioni proposte per risolvere il problema 'alla radice'

a) Quale che sia il tipo di reazione, una tendenza a conformarsi con il tema, così come esso si è

affermato nelle cronache dei mezzi di informazione, accomuna tutti gli attori. I soggetti chiamati a

dare la propria opinione su quanto sta accadendo - 'esperti della materia', intellettuali, leader politici

e membri delle istituzioni - normalmente devono attenersi al tema fornito dai mezzi di informazione

e difficilmente lo metteranno radicalmente in discussione. Da una parte sono anch'essi influenzati

dalla rappresentazione che del fenomeno hanno fornito i mass media; dall'altra corrono il rischio,

oltre che di trovarsi 'fuori tema', di essere percepiti come impegnati a minimizzare un problema

grave, che suscita ansia nell'opinione pubblica. Ad esempio, nessuno dei soggetti chiamati a

esprimersi mette in discussione la natura emergenziale di quanto accade nelle due città; così come

nessuno si domanda se quello delle violenze sessuali sia davvero un problema della sola città di

Rimini o, al più, della Riviera. Pochissimi, infine, mettono in questione, sempre a Rimini, il nesso

causale tra immigrazione e violenze. Al contrario, tra le diagnosi e le riflessioni pubblicate dai

giornali, spiccano per la loro abbondanza quelle che traggono spunto – riproponendoli - dai temi

imposti dalla trattazione mediatica che abbiamo analizzato. Tanto per citare ancora i due temi della

Riviera e dell'immigrazione, opinionisti di professione o improvvisati, come spesso succede in

questi casi, propongono quel repertorio di luoghi comuni, di idee convenute, che garantisce di

trovare tra i lettori un terreno già dissodato dalla comune immersione mediatica. Rimini che "paga

per la sua fama di luogo della trasgressione"; le violenze come "sesso dei poveri", o "rivolta degli

esclusi", o ancora frutto della "distanza culturale": le idee pre-digerite hanno il dono di superare

qualsiasi problema di decodifica. , (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 26

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

Ma i membri delle istituzioni, oltre ad essere influenzati o chiamati a rispondere al tema, agiscono

anche da "definitori primari" (Hall et al., 1978): con le loro azioni e dichiarazioni definiscono gli

aspetti salienti della questione strutturando il campo del dibattito a venire. A Rimini, chiamando in

causa l'immigrazione, si è offerta l'occasione di dare forma al problema in termini tali da poterlo

trattare tecnocraticamente, con provvedimenti di controllo dal sicuro effetto consensuale: una volta

dichiarata come esterna la categoria dei portatori dell'offesa morale - gli immigrati in quanto tali -

se ne è potuta richiedere l'esclusione dalla comunità - provvedimenti come i permessi di soggiorno

regionali, le espulsioni ecc. A Bologna, al contrario, dove si è ritenuto che i sospetti violentatori

fossero italiani e appartenessero al giro di conoscenze delle vittime, l'individuazione di un nemico

pubblico avrebbe comportato l'esclusione simbolica di una frangia di appartenenti alla comunità,

magari figli degli stessi lettori/elettori cui questa esclusione è offerta in dono.

b) Un discorso per molti versi analogo può essere fatto a proposito delle iniziative messe in atto per

fronteggiare la situazione, veri e propri gesti simbolici che rispondono e allo stesso tempo creano il

mito. Anche in questo caso è a Rimini che si hanno i maggiori effetti di alimentazione dell'allarme

proprio a seguito dei provvedimenti che vorrebbero rispondervi. I mille agenti a "proteggere le

vacanze", le decine di jeep della polizia a pattugliare le spiagge, le perquisizioni a tappeto degli

immigrati presenti nella zona, fanno di chi le dispone o le richiede a gran voce l'eroe popolare della

situazione, rassicurando il pubblico sul fatto che c'è un'autorità forte in grado di rispondere alla

crisi. La principale conseguenza di questo genere di "reazione" è l'effetto di conferma

dell'emergenza, il feedback sulla fase di "propagazione", oltre, ovviamente, all'indurimento delle

condizioni di vita di chi si trova dall'altra parte. Ma l'altra conseguenza è tutta politica, o

istituzionale, come sanno bene i Sindaci che in molte città d'Italia guadagnano autonomia dai

rispettivi schieramenti proprio attraverso la costruzione simbolica di un legame diretto con la

"gente".

c) Coerentemente con quanto emerso sinora, il repertorio delle 'soluzioni' offerte ai cittadini è stato

molto diverso a Rimini e a Bologna. A Bologna l'obiettivo delle 'soluzioni' è stato quello di favorire

la possibilità della denuncia di una violenza – con l'idea dell'assessore alle politiche sociali di una

"zona protetta perché le donne possano raccontare uno stupro" – oppure quello di garantire

maggiore sicurezza alle donne nelle loro uscite serali - su cui puntava la proposta (criticata da

molte) di un cittadino bolognese di istituire un servizio di volontari che accompagnassero le donne

che uscivano da sole. In entrambi i casi le destinatarie delle proposte erano le donne (coerentemente

con una tematizzazione che, se anche non è risultata dominante, è comunque stata più volte

proposta), e il loro bersaglio la violenza nella sua ordinarietà.

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 27

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

A Rimini i vari uomini politici intervenuti si sono invece proposti come imprenditori morali che si

incaricano di segnalare e isolare la devianza attraverso provvedimenti altamente simbolici - rispetto

ai temi con i quali sono state costruite e ‘lette’ le emergenze – ma del tutto slegati dal fenomeno

delle violenze sessuali in quanto tale (che non era evidentemente l'obiettivo dei provvedimenti).

L'"illuminazione" notturna delle spiagge, l'istituzione dei "permessi di soggiorno regionali", le

"espulsioni più facili" rispondevano ai temi della spiaggia di notte e del pericolo immigrazione,

promettendo sicurezza laddove questa, più che essere assente, era rappresentata nella sua

assenza.45 La distanza di questi provvedimenti dalla realtà del problema ha potuto passare perlopiù

inosservata grazie all'abituale accostamento, proposto con particolare frequenza nel corso del 1997,

tra criminalità e immigrazione. Una simile operazione di spostamento della devianza - dagli

interventi sul reato, a quelli, di 'prevenzione', sui suoi autori, per finire con tutti coloro che ne

portano i segni - sarebbe apparsa nell'allarme bolognese decisamente più grottesca (si provi a

immaginare la proposta, che avrebbe potuto scaturire dal tema del "branco", di impedire gli

assembramenti di più di tre persone).46

Vale la pena ripetere che le "soluzioni" proposte dagli attori politici per il panico morale - soluzioni

che coerentemente al suo funzionamento si propongono di cancellare il nemico pubblico, in quanto

portatore della minaccia e archetipicamente fonte di tutti i mali - nello stesso momento in cui

rispondono ai temi mediaticamente stabilitisi, li producono, contribuendo alla loro affermazione,

diffusione, legittimazione. E' a questo proposito impressionante la progressione che si sviluppa a

due soli giorni dall'episodio di impatto e ne sancisce la direzione:

11/8 "Albanesi e nordafricani sono un problema concreto" Sindaco di Rimini

12/8 Galera per gli immigrati che sbagliano Sindaco di Riccione

12/8 "Alt ai pendolari extracee" / "Permesso di soggiorno regionalizzato per gli immigrati"

Sindaco di Rimini

12/8 Espulsioni più facili: "Serve una legge" Segretario provinciale PDS e Sindaco di Riccione

13/8 "Fuori clandestini e violenti" / "Niente indulgenze, approviamo subito la legge che agevola le espulsioni"

Ministro degli Interni

13/8 "Niente più buonismo. Per i clandestini leggi più severe" Sindaco di Riccione

14/8 "La stagione del buonismo è finita" / "Immigrazione regolamentata"

Segretario provinciale PDS

14/8 "Va cambiata la Legge Martelli" Presidente della Regione

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 28

45 In queste situazioni tipicamente i mezzi di informazione mettono in scena tutta una retorica della paura. Ma la rappresentazione è, in molti casi, letterale. Nel caso di Rimini vari quotidiani nazionali mandarono i loro reporter a 'girare' scene di insicurezza: il reportage di una giornalista di Repubblica ad esempio era basato su una sua passeggiata lungo la spiaggia di notte e sulla descrizione delle sue sensazioni di paura di fronte agli immigrati che la popolavano. 46 La trasposizione simbolica della devianza è tipica del panico morale (cfr. Cohen, 1972 e Turner e Surace, 1956).

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

14/8 "I clandestini nei campi di lavoro" / "Diecimila sono brave persone, ma quando diventano dieci milioni sono un cataclisma"

Segretario Lega Nord

15/8 "Legge urgente" Ministro degli Interni e Guardasigilli

15/8 "Mettiamoli sul Monte Bianco, così possiamo contarli bene e farci le granatine alla menta"

Esponente Lega Nord

Queste ripetute richieste di modifica della legge Martelli hanno trovato una risposta con l'immediata

approvazione, già il 14 agosto, in piena crisi, del decreto-legge che prevede nuove regole più

stringenti sulle espulsioni, poi convertito in legge il 19 febbraio dell'anno seguente. E' stridente il

contrasto con gli effetti dell'allarme bolognese, dove l'unica conseguenza registrata è stata, a quanto

dicono le testimonianze di alcuni operatori di polizia, un improvviso aumento delle iscrizioni di

donne a corsi di autodifesa.

4. Conclusioni

Sia la città di Rimini sia quella di Bologna, si è cercato di illustrarlo in queste pagine, sono state al

centro di due episodi di panico morale intorno alle violenze sessuali fortemente mediatizzati e che

presentano una serie di analogie. I meccanismi che hanno portato alla loro affermazione,

l'andamento che hanno seguìto, l'articolazione tra le varie fasi, le modalità del coinvolgimento di

altri attori esterni al sistema informativo presentano somiglianze tali da farli considerare come due

esempi dello stesso fenomeno. Ma le analogie finiscono qui. Mentre a Bologna la violenza sessuale

è stata rappresentata come un fenomeno in cui sono coinvolti una vittima, un'azione, un carnefice,

ed è stata soprattutto considerata come un reato da affrontare per le sue caratteristiche specifiche, a

Rimini gli attori dell'allarme hanno principalmente individuato e messo a tema una categoria di

colpevoli simbolicamente esterna e portatrice di una minaccia per la società: l'immigrazione,

soprattutto clandestina. Questa categoria è stata controllata, esclusa simbolicamente e poi

giuridicamente.

Sul piano del discorso l'allarme riminese ha aggiunto un altro tassello nella riduzione

dell'immigrazione a potenziale devianza. E' un esempio paradigmatico di quel lavoro di

condensazione dei significati dell'insicurezza intorno alla paura della criminalità degli immigrati

svolto dal discorso pubblico, soprattutto nella sua forma di panico morale, negli anni novanta.

Questa attività ideologica si fa però più stringente, profonda, insidiosa, quanto più può nutrirsi di

azioni da parte delle istituzioni. Senza queste azioni non solo l'allarme non raggiungerebbe le

dimensioni che conosciamo (Rimini, e non Bologna, ha occupato le prime pagine dei media

nazionali per diversi giorni) ma il suo vocabolario non avrebbe il potere di presentarsi come verità

pratica, che definisce e spiega i fenomeni sociali nel momento in cui li sottopone a procedure di

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 29

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

esclusione. Dal punto di vista della condensazione dell'insicurezza intorno all'immigrazione gli

imprenditori politici hanno fatto superare al discorso anche la prova di realtà: nel panico morale lo

stato fa qualcosa per la sicurezza perché interviene sulla devianza, interviene sulla devianza perché

limita l'immigrazione e la sua mobilità.

Tra gli ingredienti originari, l'unico elemento che differenzia l'allarme di Rimini da quello di

Bologna è dato dallo statuto sociologico e giuridico dei portatori della minaccia.47Due studiose che

hanno cercato di aggiornare il concetto di panico morale alla realtà della società polifonica

contemporanea, in cui molti attori si organizzano per diffondere il proprio punto di vista con propri

media di nicchia o anche attraverso i media ufficiali, affermano che "non possiamo ignorare le

molte voci che contribuiscono ora al dibattito durante i panici morali. Negli anni novanta gruppi di

interesse e di pressione, lobby, esperti in campagne si mobilitano per intervenire nei panici morali.

[…] Uno degli scopi principali dei gruppi di pressione è l'intervento tempestivo nei più rilevanti

panici morali - in modo da essere in grado di rispondere istantaneamente alla demonizzazione

mediatica dei gruppi che rappresentano, e per fornire informazioni e analisi concepite per

contrastare questa rappresentazione" (Mc Robbie e Thornton, 1995:566).48 Per questo motivo le

due autrici ritengono che non si possa più parlare di una reazione indifferenziata da parte di una

monolitica società. Ma se a disinnescare gli effetti più deleteri di un panico morale sui pedofili, che

finisce per confonderli con gli omosessuali, intervengono a più riprese i vari rappresentanti delle

associazioni omosessuali; se l'associazione degli allevatori provvede a fornire dati, analisi e

rassicurazioni che evitano ai suoi iscritti di essere trattati come untori durante l'ennesimo allarme

"mucca-pazza", gli immigrati, tanto più se "clandestini", non hanno alcun "esperto in campagne"

che parli per loro o, quando anche esiste, questo non viene nemmeno interpellato. A Rimini il punto

di vista degli immigrati, opportunamente selezionato, svolge semmai il compito di legittimare la

rappresentazione del panico morale ("I violenti che sono tra noi vanno allontanati", Mattina, 13/8,

titolo apparso in pieno dibattito sulle espulsioni), rappresentazione che guadagna, da una distinzione

tra immigrato buono (e sottomesso, come in questo caso) e cattivo (dunque clandestino) una sua

ulteriore legittimità.49

, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 30

47 Naturalmente non è indifferente anche la collocazione del primo allarme ad agosto, ma sarebbe del tutto insufficiente a spiegare le differenze tra i casi di Rimini e Bologna. 48 Mia traduzione. 49 Anche se in un ruolo diverso, questo uso del punto di vista dell'immigrato non è dissimile dal modo in cui i media utilizzano normalmente le "opinioni della gente", chiamata nelle interviste volanti in strada o davanti all'edicola a recitare un copione già scritto (non perché dettato dall'intervistatore, ma dal contenuto sostanzialmente determinato dal carattere della domanda, dall'allarme sociale del momento, dalla selezione operata in seguito dalle redazioni). In una recente trasmissione televisiva di carattere satirico un finto giornalista chiedeva a persone intervistate in strada di dichiarare che avrebbero votato per il candidato che in realtà avevano escluso in una prima dichiarazione, motivando la richiesta con esigenze di "par-condicio": gli intervistati trasmessi accettavano l'invito, scegliendo il candidato non gradito, pur di apparire in televisione.

Marcello Maneri, Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza. Rassegna Italiana di Sociologia, 1, 2001

Segnalo un secondo elemento che seleziona l'immigrazione come oggetto privilegiato del panico

morale contemporaneo: il suo enorme potenziale di amplificazione ritorna sotto forma di consenso

agli imprenditori morali che lo alimentano.50 Partecipare a questo coro della sicurezza è infatti

possibile, privo di rischi (e costoso è contrastarlo) solo se il nemico pubblico è escluso o escludibile

- giuridicamente, socialmente, simbolicamente - dalla comunità morale. Diventa poi politicamente

redditizio quando il suo essere esterno, ma allo stesso tempo troppo vicino, ne costituisce per

definizione lo stesso statuto sociologico (è il caso, da sempre, dello straniero51). In questo modo si

può rinsaldare il legame morale, comunitario, tra l'imprenditore politico e il suo elettorato,

producendo una forma di coesione ideologica che usa le parole della nostalgia ("Ragazze, finiti i

tempi della spiaggia romantica", Resto del Carlino, 10 Agosto).

Si può dunque tracciare una linea di demarcazione tra quei panici morali - che scaturiscono attorno

ad alcune manifestazioni della criminalità - in cui la fonte della minaccia, troppo impersonale, o

contestuale, oppure troppo integrata nel tessuto sociale, non si presta alla costruzione di un legame

comunitario (Bologna, i sassi dai cavalcavia ecc.) e quelle situazioni - gli allarmi sull'immigrazione

- in cui è disponibile un nemico pubblico funzionale alla costituzione contrappositiva del "noi". Nei

casi del primo tipo, il sistema politico ha avuto un ruolo secondario e le conseguenze del panico

morale sono state trascurabili, sia da un punto di vista culturale che in senso più concreto. Nei casi

del secondo tipo, questo attore ha giocato una parte di co-protagonista e le conseguenze sono state

sia di tipo culturale, con la stabile sovrapposizione tra i concetti di criminalità, immigrazione

clandestina, sicurezza, sia di tipo politico, fissandosi in provvedimenti di polizia, disposizioni

amministrative, atti legislativi.

Il panico morale appare così come una delle occasioni privilegiate con le quali il ceto politico, o

certi suoi settori, rientra in gioco, governando le fonti oscure della nostra incertezza. E' con questa

"democrazia della sicurezza"52 che la "società del rischio" può tornare ad essere la "società del

pericolo", rinserrando le fila di fronte al nemico.

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, (Panico morale RIS.doc), bat: 81585, 22/01/2007 13.35.00, ver. 28 31

50 Il concetto di "imprenditore morale" (Becker, 1963) non faceva riferimento ai panici morali (il lavoro di Cohen è posteriore) ma indicava la medesima razionalità degli attori in gioco nei processi di etichettamento. 51 Simmel (1908) ha affrontato in un noto saggio questo tema. 52 Così Palidda (1999) descrive la situazione della polizia, che fa ciò che l'opinione pubblica richiede ottenendo in questo modo la collaborazione dei cittadini. La metafora vale pienamente anche per il potere politico.

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