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DI LINGUISTICA E DI SOCIOLINGUISTICA Studi offerti a Norbert Dittmar a cura di Immacolata Tempesta e Massimo Vedovelli BULZONI EDITORE

Multilinguismo nella comunicazione scientifica. Il punto di vista degli archeologi classici statunitensi

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DI LINGUISTICA E DI SOCIOLINGUISTICA

Studi offerti a Norbert Dittmar

a cura di Immacolata Tempesta e Massimo Vedovelli

BULZONI EDITORE

Volume pubblicato con il contributo dell’Università del Salento

Dipartimento di Studi Umanistici e del Monte dei Paschi di Siena.

TUTTI I DIRITTI RISERVATI È vietata la traduzione, la memorizzazione elettronica, la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo,

compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171

della Legge n. 633 del 22/04/1941

ISBN 978-88-7870-899-0

© 2013 by Bulzoni Editore S.r.l. 00185 Roma, via dei Liburni, 14

http://www.bulzoni.it e-mail: [email protected]

Norbert Dittmar (Berlino, gennaio 2013).

INDICE

9 Saluto del Magnifico Rettore dell’Università del Salento (Prof. Ing. Domenico Laforgia)

11 Saluto del Magnifico Rettore dell’Università per Stranieri di Siena (Prof. Massimo Vedovelli)

13 Immacolata Tempesta, Presentazione. Di Linguistica e di Sociolingui-stica

19 Tullio De Mauro (Università Sapienza-Roma), 1946: presagi di muta-menti nella storia linguistica degli italiani

29 Gaetano Berruto (Università di Torino), Punti d’incontro fra socio-linguistica e linguistica formale nello studio della variazione. Consi-derazioni dal punto di vista italo-romanzo

49 Rosanna Sornicola (Università Federico II-Napoli), Abbiamo bisogno di una linguistica delle emozioni?

77 Federico Albano Leoni (Università Sapienza-Roma), Delle parti e del tutto: Jakobson, Husserl e la fonologia

93 Emanuele Banfi (Università degli Studi di Milano-Bicocca), Seman-tizzazione della nozione di ‘città’: un confronto storico-linguistico tra ambienti indo-europeo e cinese

107 Giuliano Bernini (Università di Bergamo), Il plurilinguismo emergente nell’istruzione superiore italiana

117 Marina Chini (Università di Pavia), Scelte di lingua e reti amicali di ragazzi di origine immigrata nel Pavese

149 Patrizia Cordin (Università di Trento), “With our best future in mind”. Lo sviluppo bilingue di bambini con L1 minoritaria

167 Traute Taeschner, Sara Poliani, Sabine Pirchio (Università Sapienza-Roma), Saper narrare a due anni

185 Miriam Voghera (Università di Salerno), Tipi di tipo nel parlato e nello scritto

197 Claudia Caffi (Università di Genova), Stile e temperatura emotiva: il caso del principe Myškin

215 Giovanna Alfonzetti (Università di Catania), Il “vizio dell’esotismo” nel varietà della paleo-televisione

247 Gabriella B. Klein, Sergio Pasquandrea (Università di Perugia), Multi-modalità nella comunicazione interculturale in contesti istituzionali: la mitigazione dei tecnicismi

277 Karl Gerhard Hempel (Università del Salento), Multilinguismo nella comunicazione scientifica. Il punto di vista degli archeologi classici statunitensi

299 Massimo Vedovelli (Università per Stranieri-Siena), Lingua e emigra-zione italiana nel mondo: per uno spazio linguistico italiano globale

323 Immacolata Tempesta (Università del Salento), I registri e la rete. Vaghezza sociolinguistica dell’insulto

335 Immacolata Tempesta (a cura di), Bibliografia di Norbert Dittmar

KARL GERHARD HEMPEL (Università del Salento)

Multilinguismo nella comunicazione scientifica Il punto di vista degli archeologi classici statunitensi

1. INTRODUZIONE

Al giorno d’oggi l’inglese è solitamente considerato come lingua veicolare della comunicazione scientifica internazionale e i motivi della sua posizione domi-nante nel mondo accademico sono spesso stati discussi (p.es. Kaplan, 2001). La ri-cerca sociolinguistica si è concentrata principalmente sulla ricostruzione dello svi-luppo che ha condotto alla situazione attuale (per un’ampia documentazione v. Ammon 1998), sull’analisi degli svantaggi che risultano per i non anglofoni dalla supremazia della lingua inglese e sulle problematiche che ne derivano per la comu-nicazione scientifica (Saracino, 2004; Ammon, Carli, 2007; Ammon, 2012); poca attenzione invece è stata riservata all’esiguo numero di materie che continuano ad essere multilingue.

Un maggior interesse a questa problematica si osserva in area tedescofona, dove il futuro ruolo della lingua madre, già da alcuni decenni, è oggetto di dibattiti accesi che non interessano solo un ristretto pubblico accademico. Il punto centrale della discussione sono le lamentele per l’impatto oramai recessivo del tedesco in di-scipline scientifiche e tecniche che contrasta con la sua persistenza nelle scienze so-ciali e umanistiche (Weinrich, 1986). I linguisti tedeschi frequentemente sottoli-neano il carattere particolare della comunicazione specialistica nelle discipline umanistiche che corrisponde alla loro tipica varietà di paradigmi e al forte radica-mento nelle diverse macroculture; di conseguenza il multilinguismo è considerato spesso come presupposto per una proficua attività di ricerca in quegli ambiti (Ok-saar et al., 1988; Österreicher, 2002). Negli ultimi anni, argomentazioni simili sono state sviluppate occasionalmente anche in Italia e nell’area ispano-americana, dando così prova di una maggiore autostima linguistica (Calaresu et al., 2006; Hornung, 2011; Hamel, 2005). Alcuni studiosi avanzano critiche verso il concetto di una lin-gua franca in generale, esprimendosi a favore di una politica linguistica che rafforzi la posizione delle lingue diverse dall’inglese (Ehlich, 2004; 2006; Thielmann, 2002; Ammon. 2000; 2012).

In tale contesto rivestono un ruolo chiave alcune discipline tradizionalmente multilingue e ‘piccole’, che in tedesco vengono spesso definite come Nischenfächer (‘discipline di nicchia’). Queste comprendono la filologia classica, la teologia, la filosofia e la musicologia, nonché l’egittologia e l’islamistica (Ammon, 2000; Beh-rens et al., 2010). Recentemente è stata condotta una ricerca approfondita sulla si-tuazione linguistica in archeologia classica per quanto riguarda le aree di lingua te-

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desca e italiana (Hempel, 2006; 2011; 2012). Da una ricerca bibliografica e da un sondaggio presso archeologi di università italiane e dell’area tedescofona, emer-gono i seguenti risultati:

˗ In archeologia classica si usano diverse lingue europee (principalmente l’inglese, il tedesco, l’italiano e il francese), soprattutto per le pubblica-zioni. Inoltre ci sono alcune lingue ‘minori’ legate a paesi in cui si svolge molto lavoro di ricerca sul campo (p. es. il greco moderno e lo spagnolo; recentemente si è aggiunto anche il turco).

˗ Tra gli studiosi prevale un concetto di comunicazione specializzata di tipo multilingue. I ricercatori (ma anche gli studenti) sono tenuti a imparare le lingue straniere al fine di raccogliere le informazioni necessarie per i loro studi. L’idea di un’unica lingua accademica viene fermamente respinta dalla quasi totalità degli archeologi interpellati nell’indagine, sia dagli ita-liani che da quelli di lingua tedesca.

˗ Il grado di autostima e le opinioni sul futuro sviluppo della situazione linguistica, tuttavia, variano a seconda del contesto macroculturale. Gli ar-cheologi classici di lingua tedesca mettono in evidenza l’importanza della ricerca e della bibliografia specialistica attuale e storica in tedesco, espri-mendo maggiormente la convinzione che la comunicazione specializzata nella disciplina rimarrà multilingue nel prevedibile futuro, mentre tra gli italiani ci sono molti che temono per le prospettive della propria lingua madre, anche a breve termine.

La situazione generale appare comunque caratterizzata da varie asimmetrie che in qualche maniera contrastano con l’immagine idilliaca della realtà linguistica che a volte viene proposta dai sostenitori del multilinguismo. Innanzitutto è evi-dente che i parlanti delle lingue ‘minori’, per trovare ascolto, spesso sono costretti a passare a una delle ‘quattro grandi’ (inglese, tedesco, francese e italiano), per cui la libertà di scelta della lingua sembra comunque limitata. Inoltre, le barriere linguisti-che in archeologia classica si possono definire tutt’altro che eliminate; il concetto del plurilinguismo si riferisce infatti all’uso attivo della lingua madre e di una certa conoscenza passiva delle altre (di solito solo una capacità di lettura), necessaria ai fini della ricerca e all’uso della bibliografia in lingua. Per di più si nota che anche gli archeologi tedescofoni (che si mostrano particolarmente convinti del multilin-guismo e del valore della propria lingua madre per la comunicazione scientifica) spesso esternano un certo disagio, lamentando una limitata ricezione delle loro pub-blicazioni nelle altre macroculture, a causa di un calo generale delle conoscenze del tedesco all’estero. Per contrastare questa tendenza, molti di loro suggeriscono l’aggiunta alle pubblicazioni di riassunti in inglese e la presentazione parallela dei risultati delle loro ricerche in inglese o semplicemente la pubblicazione di tradu-zioni che dovrebbero garantire la ricezione e l’interesse in tutto il mondo.

MULTILINGUISMO NELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA 279

Sembra quindi sussistere una crescente pressione sui ricercatori delle ‘disci-pline di nicchia’ che sentono, alla stregua dei loro colleghi appartenenti alle disci-pline ‘dure’, una sempre maggiore costrizione a pubblicare in inglese (“publish in English or perish”). I futuri sviluppi dipenderanno dal rapporto tra fattori personali e sociali, quali l’acquisizione di competenze linguistiche che permettono di scrivere testi complessi in inglese, il prestigio e la (percepita) ricezione a livello internazio-nale dei testi redatti in lingue diverse dall’inglese.

In questo contesto, un ruolo cruciale è quello svolto dalla parte anglofona della comunità accademica, a volte apertamente accusata di uno «sciovinismo bibliogra-fico» (Sobrero, 2006, pp. 10-11) che, insieme ad altri fattori, può portare anche a una «skewed accumulation of scientific knowledge» (‘accumulo distorto del sapere scientifico’, Ammon, 2012, p. 342). In questa sede si vuole indagare sul peso attri-buito dagli studiosi statunitensi alla bibliografia non anglofona, raccogliere qualche informazione sulla sua ricezione e cercare di fare qualche ipotesi sulla possibile evoluzione futura. I contributi redatti in lingue diverse dall’inglese hanno un presti-gio paragonabile a quello delle pubblicazioni in inglese, almeno in alcune disci-pline? In che misura i ricercatori anglofoni leggono articoli e libri in altre lingue? Si percepiscono eventuali barriere linguistiche? Sussiste una consapevolezza della realtà multilingue della disciplina e qual è l’atteggiamento mostrato nei confronti del multilinguismo?

2. SITUAZIONE LINGUISTICA E OPINIONI SUL MULTILINGUISMO NELL’ARCHEOLOGIA CLASSICA STATUNITENSE

In questo contributo si presentano i risultati di un sondaggio sull’uso delle lin-gue e sulla percezione della situazione linguistica da parte degli studiosi di archeo-logia classica negli Stati Uniti d’America. L’indagine è stata condotta tra maggio e giugno del 2012; si basa su un questionario composto da 21 domande e inviato via email a circa 160 archeologi classici attualmente impiegati presso università ameri-cane. Solo 35 moduli sono stati riempiti e restituiti, per cui il tasso di risposta è infe-riore a quello che normalmente ci si aspetta da tali indagini (cfr. Hempel, 2011; 2012), ma i risultati forniscono almeno una prima impressione dell’atteggiamento generale verso la situazione linguistica in archeologia classica.

Alcune domande nella prima sezione mirano a raccogliere informazioni sulla persona del partecipante; dalle risposte risulta che 7 degli interpellati provengono originariamente da paesi europei non anglofoni (Germania, Svizzera, Grecia, Italia). Per la presente analisi sono stati presi in considerazione solo i 28 questionari com-pilati dai madrelingua di inglese. Di questi ultimi, 19 sono di sesso maschile, 9 in-vece di sesso femminile, un profilo che dovrebbe corrispondere all’incirca alla di-stribuzione generale dei sessi nella disciplina accademica. Per quanto riguarda l’età, si ricava qualche informazione dall’anno in cui il partecipante ha finito il dottorato di ricerca. La maggior parte è arrivata al titolo negli anni ’70 oppure negli anni ‘80 (rispettivamente 7 e 11 persone; solo una appartiene agli anni ’60), per cui si tratta

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di un campione di studiosi avanzati nella carriera, con una lunga esperienza nella ri-cerca (bibliografica). Di meno sono invece i giovani che hanno finito il loro dotto-rato negli anni ’90 oppure dopo il 2000 (rispettivamente 4 e 5 studiosi). Dato il nu-mero esiguo di partecipanti, non sono state adoperate suddivisioni in sottogruppi.

Il primo blocco, composto da 11 domande (tabella 1, figg. 1-10), mira a de-scrivere la percezione dell’uso delle lingue, mentre nel secondo, con 7 domande (figg. 11-17), si raccolgono informazioni sull’atteggiamento nei confronti del mul-tilinguismo e le prospettive future. Le domande sono state formulate in modo da evitare il diretto riferimento alle qualità personali dei partecipanti (per esempio alle competenze linguistiche), mentre è stata data la possibilità di fornire commenti li-beri (con un esplicito invito a farlo alla fine del modulo); è stato inoltre garantito un trattamento anonimo dei dati.

2.1 L’uso delle lingue e la percezione della situazione linguistica

L’idea di una disciplina multilingue emerge già dalla nostra prima domanda che riguarda le più importanti riviste accademiche (tabella 1). Circa la metà delle risposte (67 di 131) si riferisce a riviste edite a cura di istituzioni appartenenti all’area non anglofona, soprattutto tedesche e francesi, ma anche italiane e greche. Si nota quindi un’evidente tendenza ad attribuire un ruolo più incisivo alle riviste pubblicate dalle istituzioni anglofone, ma per il resto l’immagine appare simile ai risultati dei nostri sondaggi condotti in Italia e nei paesi di lingua tedesca (Hempel, 2011, pp-56-58; 2012, pp. 73-76), sia per il peso attribuito alle varie zone culturali, sia per le singole riviste citate, a dimostrazione di una forte coerenza sociale all’interno della disciplina accademica, anche oltre i confini linguistici.

Per quanto riguarda le lingue degli articoli pubblicati sulle riviste, bisogna considerare che molte di queste accettano, almeno in teoria, articoli in lingue di-verse. Inoltre, la nazionalità dell’istituzione editrice non corrisponde sempre al Paese in cui questa ha la sua sede effettiva (questo è il caso degli istituti di ricerca all’estero). Sulle Römische Mitteilungen dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma, per fare un esempio, è stato pubblicato tra il 2001 e il 2007 un totale di 52 articoli, di cui 25 in tedesco, 21 in italiano e 6 in inglese. Nella maggior parte dei casi (in particolare in area anglofona), la lingua utilizzata negli articoli corrisponde comunque a quella ufficiale della relativa istituzione.

Paese [=nazionalità dell’istituzione

di riferimento] (numero di risposte) Riviste (numero di risposte)

USA (51) AJA (21), JRA (15), Hesperia (11), altre (4) Germania (41) AM (12), JdI (11), RM (10), AA (6), altre (2) Gran Bretagna (16) JHS (6), JRS (4), BSA (4), altre (2) Francia (11) BCH (6), RA (3), MEFRA (2) Italia (7) NSc (3), BollCom (2), altre (2)

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Grecia (4) ArchDelt (2), altre (2) Svizzera (area tedescofona) (1) AntK (1)

Tab. 1: Risposte alla domanda “Which are, in your opinion, the most important scientific journals in Classical Archaeology (not more than 5)?”1

Le domande che seguono (figg. 1-2) riguardano l’uso passivo della lingua nelle università americane e precisamente la bibliografia ritenuta importante da pro-fessori universitari per l’insegnamento e ai fini della ricerca. La maggior parte di questi afferma di chiedere agli studenti di leggere opere in lingue straniere (fig. 1) e le lingue (fig. 2) corrispondono esattamente a quelle richieste dai loro colleghi eu-ropei (Hempel 2011, pp. 58-59; 2012, pp. 77-79): tedesco, francese, italiano, greco moderno, spagnolo e turco, anche se alcuni intervistati sottolineano che queste pos-sono variare a seconda del campo o del tema concreto della ricerca.

Figura 1: Risposte alla domanda “Do you require your students to read archaeological litera-ture in languages other than English (e.g. for their thesis?)”.

Dalle risposte risulta però che si tende – diversamente da quanto avviene nei Paesi europei – a differenziare tra studenti dei corsi triennali e del biennio successivo (in Germania, ad esempio, le lingue straniere sono solitamente richieste per tutti gli studenti). La barriera linguistica è quindi sentita più come un problema, come si evince anche da alcuni commenti dei partecipanti al riguardo:

Rarely; as the majority of my classes are freshmen survey classes (100-level), most of the students do not have a sufficient mastery of foreign languages to allow them to read non-English scholarly papers

1 Le abbreviazioni delle riviste sono quelle raccomandate dall’Istituto Archeologico Germa-

nico, v. http://www.dainst.org/sites/default/files/media/abteilungen/zentrale/redaktion/Richtlini-en/02_liste-abkuerzungen.pdf?ft=23 (10/06/2013).

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Figura 2: Risposte alla domanda “Do you require your students to read archaeological litera-ture in languages other than English (e.g. for their thesis?) -If so, in which languages?”

We (US faculty members) can require (and do require) graduate students to learn for-eign languages. But your survey fails to account for the majority of the students that we teach: undergraduates. Almost none of them knows German, certainly not German and French and Italian. This makes it very difficult to teach a class that incorporates the most important and the latest research. If Classical Archaeology in American is to re-main a vibrant field, we must attract very bright undergraduates. We can only do this by presenting them with the best literature and the most important debates in the field. But this is usually impossible because of the language barrier.

Nel secondo commento è espressa inoltre l’opinione che la qualità della ricerca archeologica e dell’insegnamento in America dipenda in qualche maniera dalla pos-sibilità di recepire opere scientifiche in lingua straniera. Tale quadro si completa prendendo in considerazione le due domande riferite all’uso della lingua per le pub-blicazioni in archeologia classica e alla dinamica degli ultimi decenni (figg. 4-5): pur essendo usato meno di due decenni orsono, il tedesco è visto dagli intervistati come importante quanto l’inglese, seguito dal francese e dall’italiano, mentre al-cune altre lingue (soprattutto lo spagnolo e il turco) appaiono in aumento – un ri-sultato che corrisponde abbastanza bene alle idee riscontrate nel sondaggio presso gli archeologi europei (Hempel, 2011, pp. 60-62; 2012, pp. 80-82).

Alcuni degli intervistati forniscono ulteriori commenti a queste domande che evidenziano ancora una volta la necessità di leggere la bibliografia archeologica in lingua straniera per scopi di ricerca, a seconda della tematica trattata:

It ist not possible to study Roman architecture or sculpture without German as well as English. Many excavation reports are in French or Italian or modern Greek.

MULTILINGUISMO NELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA 283

Figura 3: Risposte alla domanda “Which languages are actually mostly used for publications in Classical Archaeology (in order of importance)?”

Figura 4: Risposte alla domanda “To your knowledge, are there any languages today which were used in literature on Classical Archaeology more or less than 20 years ago? - If so,

which ones?”

[…] there is not one language more important than another, particularly in the subfields. You can’t be a Romanist (as I often am) without Italian; for Archaic Greece, it drops down the list. In my Anglophone world command of French, German, Italian are seen as indispensable

284 KARL GERHARD HEMPEL

[…] If you work (conduct fieldwork or contextually based studies) in Greece or Italy, and since current fieldwork is dominated by local archaeological authorities and universities in those countries, then it is paramount that you read Greek and Italian (most basic reports are in these languages); and then English, French and German for the basic fieldwork of the foreign schools. The most comprehensive handbooks and compendious synthetic and descriptive or synoptic studies are written in German (e.g., sculpture) and French (e.g. architecture); most theoretical approaches and culture histories are in English and so on. […]

La sezione successiva del sondaggio (figg. 5-10) riguarda il punto centrale della nostra ricerca, vale a dire le opinioni sulla ricezione della bibliografia archeo-logica da parte degli studiosi stessi. L’immagine dipinta dai partecipanti a tal propo-sito sembra più ottimista rispetto alle considerazioni fatte sugli studenti e la loro propensione alla lettura in lingua straniera: la maggior parte degli studiosi considera i loro colleghi ben informati sulle pubblicazioni non-inglesi (fig. 5), in quanto leg-gerebbero anche opere intere nelle lingue straniere più importanti (figg. 6-7).

Figura 5: Risposte alla domanda “As far as you know, do US classical archaeologists keep themselves informed about new non-English publications in their field?”

Figura 6: Risposte alla domanda “As far as you know, do US classical archaeologists read non-English books (e.g. entire articles/books)?”

MULTILINGUISMO NELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA 285

Figura 7: Risposte alla domanda “As far as you know, do US classical archaeologists read non-English books (e.g. entire articles/books)? -If so, in which languages?”

Alcuni commenti aggiuntivi forniti dagli intervistati contengono idee simili a quelle che abbiamo visto prima, in particolare si mette in evidenza che un ricerca-tore “serio” debba aggiornarsi utilizzando la bibliografia estera, un’opinione espressa anche dagli studiosi europei, soprattutto da quelli tedeschi (Hempel, 2011, p. 74; 2012, p. 102 ):

always. for any professional and serious archaeologist yes, always if the archaeologist wants to stay abreast good ones always. most not enough. beginning grad students are not as well prepared as in the past

Altri partecipanti invece ci informano del problema particolare che gli studiosi negli Stati Uniti, a causa delle politiche bibliotecarie, a volte hanno difficoltà ad ot-tenere le informazioni necessarie per le loro ricerche:

I think many try to stay abreast, but not all succeed. U.S. university libraries have had their budgets cut severely, and foreign publications are often the first to go. Free access to digital publications would help enormously.

Part of the problem in working in other languages is the cost of the publications – aca-demic libraries are not buying materials as they used to, especially if the work will ‘only’ benefit a couple of researchers at a University, and materials are costly for an in-dividual, even if one can find out about them […]

To some extent American scholars are at the mercy of the buying policies of their uni-versity libraries. Librarians prefer to buy books in English; they don’t mind buying

286 KARL GERHARD HEMPEL

books in French too much because they probably studied French at some point, it is much harder to get them to buy in German and especially Italian. The argument is that the students will not read those books and it makes no sense for the library to buy for only one person (i.e. the person requesting the book). It becomes harder and harder for scholars in US institutions that do not have a dedicated program in archaeology to keep up with non-English publications unless we receive regular circulars from non-English publishers. Non-English publications seem also to be published in shorter runs and to go out of print faster so we often miss getting them when they are available. […]

Le seguenti domande (figg. 8-9) trattano il problema delle barriere linguisti-che, in particolare lo sviluppo delle competenze linguistiche nell’archeologia clas-sica americana nel corso degli ultimi 20 anni. La sensazione generale è che la cono-scenza delle lingue straniere in quel periodo non sia aumentata, ma leggermente diminuita (fig. 8).

Figura 8: Risposte alla domanda “Do you feel the knowledge of research-relevant foreign languages on the part of US archaeologists has increased or decreased during the last 20

years?”2

Per quanto riguarda la tendenza in relazione alle varie lingue, i partecipanti hanno fornito solo poche risposte che pertanto devono essere interpretate con cau-tela (fig. 9). Sembra, tuttavia, che alcuni degli intervistati vedano diminuita la cono-scenza delle lingue tradizionalmente diffuse come tedesco e francese, mentre altre come l’italiano, il greco, lo spagnolo e il russo appaiono in aumento.

La situazione generale delle competenze linguistiche nel mondo accademico degli Stati Uniti è descritta più dettagliatamente nei seguenti commenti che mettono in evidenza alcuni problemi specifici della situazione attuale:

2 Alcuni dei partecipanti hanno fornito risposte diverse riferite a lingue diverse. Per il grafico,

ogni singola risposta è stata conteggiata, per cui il numero totale di risposte supera il numero dei partecipanti al sondaggio.

MULTILINGUISMO NELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA 287

Figura 9: Risposte alla domanda “Do you feel the knowledge of research-relevant foreign languages on the part of US archaeologists has increased or decreased during the last 20

years? -If so, in which ones?”

Figura 10: Risposte alla domanda “As far as you know, non-English publications in US academic practice are considered as more or less important than English ones (e.g. in selec-

tion procedures, evaluations and assessments)?”

Decreased; all languages; with the extensive use of translatable programs such as Google, personal knowledge of foreign languages has been reduced. Now, people are increasingly having their computers translate for them, thus circumventing the need to know the language personally

The absence of serious language training in pre-graduate US education is endangering the postgraduate study of classical archaeology in the US. […] Students do not receive serious language training in middle school, are not required to learn or to develop their language skills in college, and we are under increasing pressure to get graduate students

288 KARL GERHARD HEMPEL

through the Phd [sic] in 6 years. Unless they have somehow bucked the trend and ac-quired languages earlier, in spite of these impediments, it is impossible for them to do a serious degree in Classical Archaeology (with proper language training) in that period of time. In my youth, students were still expected to have some at least passing knowledge of a foreign language to enter or at least to graduate from college. […].

L’ultima domanda di questa sezione (fig. 10) si riferisce al prestigio attribuito alle pubblicazioni non inglesi nel mondo accademico degli Stati Uniti. La maggior parte degli intervistati è dell’avviso che sia impossibile stabilire differenze concrete nella valutazione tra pubblicazioni in inglese e non, sottilineando così il concetto che il prestigio di una pubblicazione non dipende da fattori linguistici.

2.2. Opinioni sull’uso delle lingue e sul multilingualismo

Le prime due domande di questa sezione riguardano opinioni sul carattere pecu-liare della comunicazione specializzata nelle discipline umanistiche, diversa da quella in ambito scientifico, e sulla rilevanza delle caratteristiche linguistiche dei testi specialistici (figg. 11-12). Come abbiamo visto prima, mettere l’accento su aspetti specifici della comunicazione e della scrittura in studi umanistici può essere considerato un tipico atteggiamento dei sostenitori del multilinguismo, e le risposte alle domande dimostrano effettivamente che molti archeologi statunitensi seguono tale tendenza, essendo così in linea con le opinioni espresse nella prima sezione del nostro sondaggio.

Le seguenti domande (figg. 13-14) si riferiscono all’atteggiamento atteso dagli archeologi classici, in particolare di lingua inglese, nei confronti dell’apprendimento e della lettura delle pubblicazioni in lingue straniere. Quasi tutti gli intervistati sono fortemente convinti della necessità di competenze linguistiche (fig. 13), e molti di loro applaudirebbero ai loro colleghi anglofoni se leggessero più pubblicazioni non-inglesi (fig. 14). Anche queste opinioni sembrano corrispondere alla tendenza generale che abbiamo trovato nelle risposte alle domande della prima sezione.

Figura 11: Risposte alla domanda “Do you agree with the following statement? -Specialised communication in humanities is different from that in exact sciences.”

0 5 10 15

strongly disagree

disagree

neither agree nor disagree

agree

strongly agree

MULTILINGUISMO NELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA 289

Figura 12: Risposte alla domanda “Do you agree with the following statement? -The linguistic features

(such as form and style) of scientific publications in humanities are important.”

Figura 13: Risposte alla domanda “Do you agree with the following statement? -Classical archaeologists should know foreign languages, in order to be able to read publications written in languages

other than their mother tongue”.

Figura 14: Risposte alla domanda “Do you agree with the following statement? -English-speaking

classical archaeologists should read more non-English publications.”

0 2 4 6 8 10 12 14

strongly disagree

disagree

neither agree nor disagree

agree

strongly agree

0 5 10 15 20 25 30

strongly disagree

disagree

neither agree nor disagree

agree

strongly agree

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

strongly disagree

disagree

neither agree nor disagree

agree

strongly agree

290 KARL GERHARD HEMPEL

La nostra indagine si conclude con tre domande (figg. 15-17) relative alle opi-nioni sul futuro della comunicazione multilingue in archeologia classica e sugli obiettivi di eventuali politiche linguistiche. È interessante notare come i pareri su un eventuale monolinguismo anglofono nella comunicazione specialistica in archeolo-gia classica siano altamente divise (fig. 15): circa la metà dei partecipanti dichiara di non avere un’opinione precisa. La maggioranza di quelli che esprimono un parere, tuttavia, tende verso una visione monolinguistica, accettando in tal modo l’idea di un uso generalizzato dell’inglese nel futuro.

Figura 15: Risposte alla domanda “Do you agree with the following statement? -In the future English

will be the only language used for scientific communication in Classical Archaeology.”

I pochi ulteriori commenti a questa domanda riflettono tale differenza di opi-nioni, evidenziando che il processo di unificazione linguistica sarà in ogni caso lungo, anche perché incontrerà presumibilmente degli ostacoli:

Having a shared scholarly language makes international research and cooperation much easier. English has begun to play that role across the last thirty years, but it’ll be a long time before it becomes the only important language in the field (perhaps another thirty years).

I doubt it will come to this. In Greece, the move is in the opposite direction, with jour-nal [sic] such as AEMTh taking central place for regional studies.

Un’immagine più uniforme risulta dalle risposte alle domande successive ri-guardanti l’atteggiamento verso l’uso della lingua da parte di studiosi non anglofoni e di eventuali misure di politica linguistica che potrebbero indurre loro a passare all’ inglese (figg. 16-17). Quasi tutti i partecipanti rifiutano l’idea di obbligare i colleghi a usare l’inglese, mentre la stragrande maggioranza respinge anche l’eventuale promozione dell’inglese come lingua accademica attraverso politiche specifiche, per cui l’idea generale appare quella di un passaggio verso l’inglese, che però non dovrebbe essere ulteriormente agevolato.

I numerosi (e talvolta estesi) commenti alle ultime due domande, come pure i commenti finali riferiti all’intero questionario mostrano una serie di argomentazioni

0 5 10 15

strongly disagree

disagree

neither agree nor disagree

agree

strongly agree

MULTILINGUISMO NELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA 291

Figura 16: Risposte alla domanda “Do you agree with the following statement? -Non-English speaking

classical archaeologists should publish the results of their research activities in English.”

Figura 17: Risposte alla domanda “Do you agree with the following statement? -Language policy should

adopt measures to encourage the use of English for scientific communication in Classical Archaeology”.

e motivi discorsuali ricorrenti che possono essere riassunti come segue: (1) una lin-gua veicolare sarebbe utile, ma (2) non politicamente (o eticamente) corretta, per di più (3) non risolverebbe il problema della bibliografia pregressa che comunque deve essere consultata, formatasi nel tempo in quanto l’archeologia classica è stata multilingue dai suoi albori, dando vita a varie tradizioni accademiche che devono essere rispettate. (4) Gli archeologi non anglofoni devono affrontare difficoltà du-rante la scrittura di testi accademici complessi non redatti nella loro lingua madre (correndo anche il rischio di un inglese ‘cattivo’), per cui (5) l’uso dell’inglese come lingua veicolare dovrebbe essere limitata alla comunicazione in congressi in-ternazionali. (6) I giovani studiosi europei, tuttavia, potenzialmente interessati all’accesso al mercato del lavoro accademico degli Stati Uniti potrebbero sentirsi obbligati a produrre pubblicazioni in lingua inglese. Alcuni dei commenti che esprimono tali pensieri sono i seguenti:

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

strongly disagree

disagree

neither agree nor disagree

agree

strongly agree

0 2 4 6 8 10 12

strongly disagree

disagree

neither agree nor disagree

agree

strongly agree

292 KARL GERHARD HEMPEL

While I’d be delighted if everything were written in English (and whereas English is a fairly good scientific language because of both its extensive vocabulary choices and its grammatical specificity), I think it extremely arrogant to force anyone to write in other than her/his native tongue. […].

I still believe that it is important for classical archaeologists to be multi-lingual. Re-quiring English is a form of ‘cultural imperialism’

Scholars should enjoy the freedom to publish in whatever language they wish to pub-lish. This is an element of academic freedom

Obviously it would be more convenient for those of us who use English natively, but practically this cannot work. Not having to read a foreign language would make ar-chaeological work much easier for anyone. But there is no ethical way to argue that one language should be given preference. With all of us being required to read scholarly material in whatever language it appears, all of us face the same challenge. Moreover, even if one could enforce such an exclusion, it would not address the vast body of scholarship in various languages, which one still has to deal with. Thus, little would be gained by decreeing that from now on only one language can be used.

Classical Archaeology has been an international, multi-lingual discipline from its be-ginnings in the 18th c. The field would not benefit from changing this, and even if eve-rything were written in English from now on, students and scholars would still need to read the older publications.

I don’t think your study takes into account the need of scholars to examine old publica-tions. We will always have to learn French, German, Italian, Russian, Greek, etc. to look at the primary data collected in the 19th and 20th centuries. […].

I have had the job of editing submissions in English from scholars for whom English is not the mother tongue. I would have preferred them to have written in their mother tongue! Even if English is used increasingly in academic publishing, reading recent ar-ticles is only a small part of a scholar’s job. He/she should be fluent in German, Italian, and French.

Although it would be most convenient for us (and our students) to have everything published in English, I respect the right of foreign nationals to use their own lan-guage(s)--not least because sophisticated communication in the humanities is difficult enough without the extra burden of doing it in a foreign tongue. If non English speakers want their voices and ideas to be heard, read, disseminated, and discussed, however, as a matter of practicality these languages should be restricted to the four or five listed above. Conferences are another matter.

We have seen at conferences that English is becoming a way for an Italian, French, German, Turkish, Israeli, Greek etc scholars to communicate with one another: having English as a second language helps enormously to share information, across all the lan-guage communities. For the languages not well studied at all internationally for the hu-manities, like Polish or Dutch or Arabic or Hebrew etc, publishing in one of the four major scholarly languages (English, French, German, Italian) is indispensable to make an impact, in any case. […].

MULTILINGUISMO NELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA 293

North America, and to some extent, the UK and Australia, remains a source of graduate training grants and jobs that young scholars from around Euope [sic] and UK wish very much to penetrate to get a good degree, and a job, especially from the countries with the most corrupt and restricted systems for job procural and promotion: for career, being able to speak scholarly English and perhaps even to write in it (or pay a translator) is in-creasingly valuable for the survival of brilliant young people. […].

The US job market, although not great at the moment, may offer more opportunities than the European market, in which case there is pressure on potential European appli-cants to publish in English, both to demonstrate their language skills and to get a careful read from committees reviewing their dossiers (committee members are frequently not in classical archaeology— we are not as specialized here as in Europe). […]

3. CONCLUSIONI

Dalla nostra indagine risulta che l’atteggiamento degli archeologi classici negli Stati Uniti (almeno di quelli che hanno risposto al nostro questionario) verso il multilinguismo presenta caratteristiche sorprendentemente simili a quelle riscon-trate tra gli studiosi europei; simili sono anche le argomentazioni sviluppate a so-stegno delle loro idee. La maggior parte dei partecipanti è convinta che la comuni-cazione specialistica nel campo al momento non può e non deve diventare monolingue per diversi motivi saldamente radicati nella tradizione e nelle peculia-rità della prassi accademica, come ad esempio il frequente riferimento alla lettera-tura specializzata di vecchia data e l’importanza cruciale del lavoro sul campo nei paesi classici, le cui lingue sono utilizzate anche per le pubblicazioni.

Per quanto riguarda il futuro sviluppo del multilinguismo, i pareri tra gli ar-cheologi americani non sono unanimi; ma tale tendenza potrebbe essere dovuta non tanto all’osservazione di quanto succede effettivamente in ambito accademico, ma alla prevalenza di una posizione ideologica che attribuisce all’inglese un ruolo di primo piano in tutti i settori chiave come l’economia, la ricerca scientifica e lo svi-luppo tecnologico. Tale posizione agli occhi di molti, nonostante la situazione lin-guistica particolare di determinate discipline, porterebbe nel futuro ad un inelutta-bile dominio dell’inglese su tutto. Una tendenza simile si osserva anche tra gli studiosi di lingua tedesca e italiana: una maggioranza di questi ultimi esprime forte preoccupazione circa il futuro della lingua madre (Hempel , 2011, pp. 73-75; 2012, pp. 101-104).

Gli archeologi classici negli Stati Uniti, tuttavia, sembrano sentire in maniera più marcata rispetto ai loro colleghi europei alcune barriere comunicative legate al carattere multilinguistico della materia. Nelle loro risposte alle nostre domande sottolineano alcune difficoltà specifiche incontrate nell’insegnamento accademico, in particolare con i laureandi, a causa di una progressiva perdita delle abilità lingui-stiche nell’educazione scolastica negli Stati Uniti. Inoltre, alcuni degli intervistati lamentano ostacoli materiali che impediscono loro di rimanere al passo con i più recenti risultati della ricerca, in quanto le librerie si rifiutano di acquistare opere

294 KARL GERHARD HEMPEL

scritte in lingue accessibili a pochi utenti. Da questo punto di vista, l’archeologia negli Stati Uniti potrebbe, secondo alcuni, correre il rischio di spostarsi verso una posizione periferica rispetto alla ricerca europea, considerata da molti come punto di riferimento. Per evitare questo, a mio parere sarebbero necessarie specifiche po-litiche linguistiche nel mondo accademico americano, atte a migliorare le cono-scenze di lingue straniere e a garantire la presenza della necessaria letteratura scien-tifica nelle biblioteche.

Tornando alla prospettiva non anglofona e al nostro problema iniziale, vale a dire la ricezione della letteratura archeologica redatta in lingue diverse dall’inglese, si lamenta qualche perdita diretta o indiretta di impatto sul mondo accademico degli Stati Uniti, a causa delle barriere linguistiche e dei loro effetti. Nonostante la fede professata nel multilinguismo, appare evidente che la letteratura archeologica in in-glese abbia maggiore probabilità di essere letta sia da ricercatori sia da studenti, an-che se il metodo di indagine qui applicato non è in grado di fornire dati oggettivi circa la concreta considerazione della letteratura non inglese da parte degli archeo-logi statunitensi. La sensibilità degli archeologi non-anglofoni nei confronti di que-sto problema risulta anche dal seguente commento fornito da un ricercatore europeo che attualmente sta lavorando in un’università americana:

Many of my colleagues in the US are indeed fighting hard against the loss of know-ledge of foreign languages among students and, generally, against a endency in the American academia to acknowledge or even establish English as the only academic language. […] And since I am teaching in the US it became very obvious that there are no explicit attempts to establish English as the global academic language in Classical Archaeology, but rather an overall development to privilege English scholarship on reading lists, in bibliographies, in footnotes, in the acquisition policy of libraries, etc., a tendency which is very obviously not based on an assessment of the international im-portance or the amount of scholarly contributions in English, [but] resulting from an in-creasing neglect of consulting international scholarship as well as from the inability to read any foreign languages.

Per far luce sull’effettiva ricezione della bibliografia, sarebbero tuttavia neces-sarie ulteriori ricerche basate sull’analisi delle citazioni, sulla scia di un interessante studio sullo sviluppo dei riferimenti bibliografici presenti in alcune riviste statuni-tensi di filosofia, linguistica, filologia classica e storia (Kellsey, Knievel 2004). Da questa ricerca risulta che l’uso mirato della bibliografia non anglofona da parte de-gli studiosi negli ultimi decenni è sostanzialmente costante, e si può supporre che la tendenza in archeologia classica sarà simile.

Le barriere comunicative all’interno della comunità scientifica potrebbero es-sere parzialmente rimosse garantendo un facile accesso alle informazioni sugli svi-luppi nelle altre macroculture, p.es. con l’utilizzo di specifici rapporti in lingua in-glese sulle ricerche nei Paesi non anglofoni, come è stato recentemente suggerito da Ulrich Ammon (2012, pp. 350-352). Una misura del genere, come altre simili che già sono diffuse in archeologia e nell’antichistica in generale (si pensi p.es. alla pre-

MULTILINGUISMO NELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA 295

senza di riviste con recensioni in inglese come il Bryn Mawr Classical Review, all’aggiunta di abstract in lingua inglese oppure ad occasionali traduzioni), non di-spenserebbe comunque gli utenti dall’acquisizione e dal miglioramento delle loro conoscenze linguistiche.

A mio parere, le caratteristiche strutturali dell’organizzazione della ricerca in-sieme agli atteggiamenti degli studiosi diffusi in diverse macroculture, dànno una certa garanzia che l’archeologia classica possa (almeno a livello di pubblicazioni) rimanere una disciplina multilingue per il futuro prevedibile. Decisiva in tal senso sarà soprattutto la convinzione dei non-anglofoni di voler continuare a utilizzare la propria lingua madre, nonostante qualche possibilità in meno di vedere i propri contribute recepiti nella comunità scientifica. Anche dal punto di vista degli ar-cheologi anglofoni, la responsabilità ultima ricade su chi pubblica e pertanto sceglie anche la lingua, come risulta dal seguente commento di un archeologo statunitense sugli atteggiamenti dei suoi colleghi europei verso l’uso della lingua:

As an American classical archaeologist who has lived and worked in Germany for a number of years, I am acutely aware of the issue you are investigating. In my view, the Germans are complicit in the demise of German as a scholarly language by being overly eager to give papers and publish in English

A questo punto potrebbe essere rassicurante notare come gli archeologi clas-sici, siano questi americani o europei, nonostante qualche difficoltà, siano costanti nel sostenere il multilinguismo.

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