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MARTA CARDIN – LEYLA OZBEK ORFEO E DIONISO: NUOVE INDAGINI SU UN FRAMMENTO MITOGRAFICO TRASCURATO (PSI VII 850) FIRENZE LEO S. OLSCHKI EDITORE MMXI Estratto dal volume: STUDI E TESTI PER IL CORPUS DEI PAPIRI FILOSOFICI GRECI E LATINI 16 PAPIRI FILOSOFICI MISCELLANEA DI STUDI VI

Orfeo e Dioniso: nuove indagini su un frammento mitografico trascurato (PSI VII 850)

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MARTA CARDIN – LEYLA OZBEK

ORFEO E DIONISO:

NUOVE INDAGINI SU UN FRAMMENTO

MITOGRAFICO TRASCURATO

(PSI VII 850)

F I R E N Z E

L E O S. O L S C H K I E D I T O R EMMXI

Estratto dal volume:

STUDI E TESTIPER IL CORPUS DEI PAPIRI

FILOSOFICI GRECI E LATINI16

PAPIRI FILOSOFICI

MISCELLANEA DI STUDI

VI

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MARTA CARDIN - LeyLA OzBek

ORFeO e DIONISO: NUOVe INDAGINI SU UN FRAMMeNTO MITOGRAFICO TRASCURATO

(PSI VII 850)*

I. IL MANUFATTO e IL SUO CONTeNUTO

Frammento di un foglio di codice papiraceo (6,2×7,2 cm; MP3

2462; LDAB 5018; CPP 180; TURNeR, Typology, 398) di prove-nienza ignota1 con scrittura conservata in ambo i lati, vergata daun’unica mano con una grafia libraria (interlinea 0,4 cm; margine

* Sebbene il lavoro sia stato svolto in ogni fase e per ogni suo aspetto da entrambele autrici, nello specifico a Marta Cardin si attribuisce la stesura delle sezioni III, A(Commento ad A) e IV (Il papiro e la tradizione sul mito), mentre a Leyla Ozbek lastesura delle sezioni I (Il manufatto e il suo contenuto), II (Testo) e III, B (Commentoa B). Un sentito ringraziamento va ai partecipanti ai Seminari di Ricerca di FilologiaGreca e di Papirologia della Scuola Normale Superiore di Pisa, e a tutti coloro chehanno voluto comunicare miglioramenti e utili osservazioni, in particolare al prof. GlennW. Most per gli acuti suggerimenti, alla dott.ssa Maria Serena Funghi per la disponi-bilità e scrupolosità con cui ha seguito ogni stadio della ricerca e al prof. Rosario Pin-taudi per la generosità con cui ha messo a disposizione la strumentazione della Bi-blioteca Medicea Laurenziana di Firenze per la riedizione del papiro.

1 Nella breve descrizione del papiro dell’ed.pr. non si dice se la pagina di codiceprovenga da campagne di scavo oppure se si tratti di un acquisto. Ancora più vago èVitelli nell’introduzione al volume (Papiri Greci e Latini, VII, Firenze, Ariani 1925, V-VI), il quale segnala la provenienza solo di alcuni papiri, mentre per la maggior partedegli altri (tra cui il nostro) non indica se derivino dai fondi degli scavi (a el-Ashmû-nein, conclusi nel 1909, oppure a el-Bahnasa, cinque campagne dal 1910 al 1914 finoalla pubblicazione di PSI VII; per queste indicazioni cronologiche, vd. Cinquant’annidi papirologia in Italia. Carteggi Breccia - Comparetti - Norsa - Vitelli, a cura di D.MOReLLI - R. PINTAUDI, Napoli, Bibliopolis 1983, 867), dagli acquisti contemporaneia questi scavi oppure dagli acquisti più recenti operati da Capovilla. Quest’ultimo, du-rante la pausa degli scavi che si situa dal febbraio 1914 al dicembre 1927 (vd. ivi, p.27), procurava infatti in egitto papiri di acquisto antiquario, frustuli che consentono,insieme ai ‘fondi di magazzino’, la pubblicazione di PSI VII nel 1925. Dei papiri ac-quistati e spediti da Capovilla si parla nelle lettere tra Vitelli e Norsa sicuramente giàdal 1923 (vd. in part. n.i 122, 124-125 Morelli - Pintaudi; più incerta invece l’allusionea PSI VII nella lettera n° 120), e il volume è dato in corso di stampa nella lettera da-tata 27.12.1923 di Vitelli a Breccia (n° 128 Morelli - Pintaudi).

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laterale esterno/interno conservato 2,8 cm) databile al III secolopieno, se non all’inizio del IV (vd. meglio infra). Il testo è statopubblicato da Coppola nel volume VII dei PSI, edizione ripresa conminime modifiche da Bernabé, PEG II, 1 (Fr. 310).2 Si tratta pro-babilmente, come messo in luce da parte degli studi precedenti, diun brano mitografico di argomento orfico, con probabili citazionipoetiche attribuite a Orfeo stesso, riguardante il mito dello sparag-mos di Dioniso bambino a opera dei Titani. Considerata l’esiguitàdegli studi in merito, tutti basati sulla prima edizione del testo, siimpone una nuova indagine sul papiro sia dal punto di vista papi-rologico e codicologico (aspetti questi ultimi mai considerati in pre-cedenza), sia da quello testuale e mitografico. Il presente studio sipropone quindi un riesame del manoscritto con l’aiuto della stru-mentazione moderna, una conseguente nuova edizione del testo concommento, una discussione dettagliata sulla natura del brano (nonindagata approfonditamente in precedenza) e una contestualizza-zione della testimonianza nell’ambito della mitologia orfica in rela-zione alle altre fonti conservate.

Lo specchio di scrittura sulle due pagine è mutilo sicuramentenella parte inferiore, mentre è possibile che si conservi una por-zione del margine superiore, dal momento che lo spazio bianco aldi sopra del r. 1 da entrambi i lati eccede di 0,3 cm la sua normalemisura di un’interlinea (il primo rigo inizia in entrambe le paginealla stessa altezza). La pagina conserva nel lato perfibrale (A) l’ini-zio dei righi di scrittura con due diplai nel margine sinistro, men-tre nel lato transfibrale (B) la fine dei righi di scrittura con il mar-gine destro. Se si considera in B 3 gaivh"≥ come parte di una citazionepoetica (vd. infra ad loc.), o quest’ultima è inferiore all’estensionedi un verso (ipotesi più plausibile) oppure, se si tratta di un versointero, dato il successivo fi|, dobbiamo pensare che il verso fosseripartito su più righi (e, di conseguenza, o la dimensione della pa-

2 Il testo di Bernabé è riprodotto da J. HORDeRN, Notes on the orphic papyrus fromGurôb (P. Gurôb 1; Pack2 2464), zPe 129 (2000), 131-140: 140 (senza riesame). Sul pa-piro, vd. anche M. HeRReRO De JáUReGUI, Orphism and christianity in late antiquity,Berlin, de Gruyter («Sozomena. Studies in the recovery of ancient texts», 7) 2010 (trad.ingl. aggiornata di Tradición órfica y cristianismo antiguo, Madrid, Trotta 2007), 55, ecfr. A. köRTe, Literarische Texte mit Ausschluß der christlichen, APF 8 (1927), 251-272: 270 n° 698; M.L. WeST, The Orphic poems, Oxford, Clarendon Press 1983, 156 n.51; A.I. JIMéNez SAN CRISTóBAL, El ritual y los ritos órficos, in Orfeo y la tradiciónórfica. Un reencuentro (A. Bernabé - F. Casadesús eds.), I, Madrid, Akal 2008, 731-770: 740 n. 70.

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gina è notevolmente ridotta oppure il testo è ripartito su due co-lonne).3

Il foglio non presenta fori di rilegatura né segni visibili di pie-gatura, elemento quest’ultimo che rende incerta la posizione reci-proca di A e B. Quindi, se il margine conservato è quello interno,o il frammento del foglio, parte di un bifolio, è stato strappato incorrispondenza della piegatura, o i segni di piegatura non sono piùvisibili in seguito al restauro del papiro e al suo inserimento sottovetro (eventualità in ogni caso meno probabile, dal momento cheall’esame del papiro al microscopio non si è individuata alcuna le-sione significativa delle fibre); in questo caso, recto papirologicocorrisponderebbe a recto codicologico, con successione A – B. Inalternativa, il margine costituisce il lato esterno del foglio, con in-versione di corrispondenza tra recto papirologico e recto codicolo-gico (successione B – A).4 A e B saranno pertanto editati separata-mente, a differenza dell’ed.pr. in cui la numerazione dei righi ècontinua nonostante entrambi non conservino il margine inferiore;è tuttavia possibile proporre un’ipotesi di posizionamento reciprocodi A e B basandosi soprattutto su indizi testuali e sul diverso an-damento narrativo delle due parti, per cui vd. infra.

La parte di testo conservata comprende per entrambi i lati 11 ri-ghi di scrittura, per un massimo di 10 lettere per B e di 12 per A.

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3 I codici a due colonne su papiro non sono molto frequenti (una relativa maggiorefrequenza si situa nei secoli II e III d.C.): vd. e.G. TURNeR, The typology of the earlycodex, Philadelphia, University of Pennsylvania Press 1977 («Haney Foundation se-ries», 18), 35-37; G. CAVALLO, Codice e storia dei testi greci antichi. Qualche rifles-sione sulla fase primitiva del fenomeno, in Les débuts du codex. Actes de la journée d’é-tudes organisée à Paris les 3 et 4 juillet 1985 (A. Blanchard éd.), Turnhout, Brepols1989 («Bibliologia», 9), 169-180. Se fossero presenti due colonne per pagina, i brani po-trebbero non essere affiancati; in ogni caso, l’ipotesi della suddivisione del testo in duecolonne pare poco probabile. In merito all’impaginazione del manufatto, si tenga pre-sente il parallelo paleografico sotto menzionato (vd. n. 6) di P.Oxy. XV 1778 + P.Heid.inv. G 1013, codice papiraceo che secondo la probabile ricostruzione di D. HAGeDORN,Ein neues Fragment zu P.Oxy. XV 1778 (Aristides, Apologie), zPe 131 (2000), 40-44:41, riportava il testo a piena pagina, con uno specchio di scrittura di ca. 16/17 cm dialtezza e 7 cm di larghezza (per un totale di 32 righi per facciata).

4 Sul posizionamento e la fascicolazione di fogli di papiro per la creazione di co-dici vd. W. SCHUBART, Das Buch bei den Griechen und Römern, Berlin-Leipzig, deGruyter 19212 (1907), 113-117; F. keNyON, Books and readers in ancient Greece andRome, Oxford, Clarendon Press 19512 (1932), 101-108; TURNeR, Typology, cit., 55-71.Se si prende come riferimento il catalogo realizzato da Turner, per i codici papiraceicon testo in prosa databili tra il III e il IV sec. d.C., per i quali si può ricostruire conbuon grado di probabilità la dimensione dello specchio di scrittura e quella totale dellapagina, si nota la presenza di un margine superiore ai 3 cm nella maggior parte dei casi.

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La scrittura è una libraria di modulo abbastanza grande (h. 0,3 cm)con asse inclinato verso destra (in modo più accentuato in B), conuna grafia sostanzialmente di stile severo. Il bilineo è rotto in altosolo da f, in basso da r (che presenta occhiello rotondo abbastanzaaccentuato), u, f; pur nella sostanziale sobrietà dello stile, lo scribasi caratterizza per l’uso di apici ornamentali nel diagonale ascen-dente di k, nella parte bassa del verticale di f, su entrambi i diago-nali di u e sull’orizzontale di t (a sinistra verso il basso, a destraverso l’alto). Nonostante gli elementi principali della scrittura sianodi stile severo, compaiono tuttavia alcuni aspetti che rimandano acaratteristiche proprie della maiuscola biblica – in particolare la pre-senza del chiaroscuro, indice già di un diverso modo di impugna-tura e incidenza del calamo sulla pagina, e il tratteggio di alcunelettere ‘segnale’ come f – e che indurrebbero piuttosto a definire lagrafia uno stile severo ‘avanzato’, identificabile in scritture che vannodal III al IV sec. d.C. Un parallelo per la grafia di PSI 850, segna-lato da Degni,5 è offerto da P.Oxy. XXXIV 2699 (MP3 0104.1; LDAB0279), Ap. Rhod. III 1-35, datato variamente tra il III e il IV sec.d.C.6 Questi elementi spingerebbero quindi a collocare cronologi-camente il papiro nel pieno III secolo (vd. Degni), se non all’iniziodel IV, nonostante la maggior parte degli studiosi, dall’editor prin-ceps a quelli più recenti, mantengano una datazione a cavallo tra ilII e il III sec. d.C.7

5 P. DeGNI, Scheda di PSI VII 850, in Papiri letterari della Biblioteca Medicea Lau-renziana (a cura di e. Crisci) CD-ROM, Cassino, Università degli Studi 2002, ora di -sponibile anche in rete all’indirizzo http://www. accademiafiorentina. it/ paplett/scheda. asp?id=171.

6 L’unico a propendere per una datazione a inizio III sec. d.C. è P. kINGSTON,P.Oxy. 2699. Argon. iii 1-35, in P.Oxy. XXXIV (1968), 71 (ed.pr.); e.G. TURNeR, Greekmanuscripts of the ancient world (= GMAW), London, BICS Suppl. 46, 19872 (1971),88 e G. CAVALLO, La scrittura greca e latina dei papiri. Una introduzione, Pisa-Roma,Serra 2008, 115 collocano invece il papiro nel IV sec. d.C. Al P.Oxy. si possono ag-giungere, come esempi di grafie analoghe testimoniate tra il III e il IV sec. d.C., BkTII, 53-54 (MP3 1424; LDAB 3813; CPF I 1*** Plato, 96T), compendio a Pl. Lg. VIII832e-837d, datato al III sec. d.C.; P.Oxy. XV 1778 + P.Heid. inv. G 1013 (LDAB 0338),Aristid. Apol. V 5 e VI 1, datato al IV sec.; P.Beatty 11 (LDAB 3161; G. CAVALLO -H. MAeHLeR, Greek bookhands of the early Byzantine period, London, BICS Suppl.47, 1987, n° 2b), LXX, Ec., del III-IV sec. d.C. in R. SeIDeR, Paläographie der grie-chischen Papyri, II, Literarische Papyri, Stuttgart, Hiersemann 1970, 149-150, mentreper Cavallo - Maehler, 10, dell’inizio del IV sec. d.C.

7 Ancora HeRReRO De JáUReGUI, Orphism, cit., 55 ritiene il papiro del II-III sec.d.C.; nella propria trattazione delle testimonianze orfiche nell’egitto di età imperiale,che prende l’avvio dal testo di Clemente Alessandrino, ne discute infatti affiancandoloa quest’ultimo e a un’altra testimonianza papiracea di questo periodo (P.Stras. inv. G1313 [MP3 1936; LDAB 5446]).

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In merito alla correttezza dello scriba, è da segnalare in B 1 l’e-spunzione (da parte della prima mano) di almeno le ultime due let-tere del rigo – sporgenti in maniera anomala nel margine e vergatecon una grafia leggermente più piccola e discendente – tramite l’ap-posizione di punti sopra di esse. In almeno un caso iota mutum èomesso (A 7). Sono presenti inoltre nel margine di A (rr. 3, 5) duediplai ascrivibili alla prima mano. Considerata la mise en page ab-bastanza spaziosa, con margini e interlinea ampi e lettere di modulopiuttosto grande, la presenza di segni marginali e la scelta della ti-pologia libraria del codice, ci troviamo di fronte a un testo di buonafattura, probabilmente di consultazione e di buona diffusione.

Da quanto emerge dal testo si può delineare il seguente quadrodi interpretazione. Il papiro conserva un brano in prosa, come sivedrà legato non direttamente al rito ma di stampo mitografico (in-fra, § IV), con probabili citazioni poetiche da componimenti orfici(citazioni avvalorate anche dalla presenza delle diplai a margine, percui vd. commento ad locc.): possibile introduzione a una citazionepoetica sembra A 3, che conserva la menzione di Orfeo seguita daou{tw/ou{tw" (vd. anche A 3-4 e[so]|ptron e A 5 divsko"), e citazionipoetiche potrebbero essere la sequenza di B 3 (in parte o per in-tero), preceduta dalla menzione di Orfeo in B 2, e forse B 8 Zhnov"≥.Il mito narrato sembra chiaramente quello, di indubbia e dibattutaimportanza nell’ambito dell’orfismo,8 dello sparagmos di Dioniso,citato in A 7. Considerate le possibili integrazioni ai vari righi e leinterpretazioni delle lettere conservate, paiono comparire nella nar-

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8 In merito alle fonti del mito orfico di Dioniso-zagreo, all’antichità e alla simbo-licità delle sue singole parti, e al suo valore rituale, cfr. (spesso con opinioni discor-danti tra loro) O. keRN, Orphicorum fragmenta, Berlin, Weidmann 1922, 230-231; J.SCHMIDT, Zagreus, in Ausführliches Lexikon der griechischen und römischen Mytholo-gie (W.H. Roscher Hrsg.), VI, Leipzig, Teubner 1924-1937, 532-538; A.J. FeSTUGIèRe,Les mystères de Dionysos, RBl 44 (1935), 192-211, 366-396 = Études de religion grec-que et hellénistique, Paris, Vrin 1972, 13-65 (le pp. 64-65 contengono Clément d’Ale-xandrie, Protreptique, II 14, 2); W. FAUTH, RE IX.A2 (1967), s.v. Zagreus, 2221-2283;WeST, Orphic poems, cit., 152-175; L. BRISSON, Orphée et l’Orphisme à l’époque im-périale. Témoignages et interprétations philosophiques, de Plutarque à Jamblique, inANRW, II 36.4, Berlin-New york, de Gruyter 1990, 2867-2931: 2893-2897; P. eLLIN-GeR, La légende nationale phocidienne. Artémis, les situations extrêmes et les récits deguerre d’anéantissement, Athènes, école française d’Athènes - Paris, de Boccard 1993(BCH, suppl. 27); R. eDMONDS, Tearing apart the Zagreus myth: a few disparaging re-marks on Orphism and original sin, CA 18 (1999), 35-73; C. CALAMe, Qu’est-ce quiest orphique dans les Orphica? Une mise au point introductive, RHR 219 (2000), 385-400; A. BeRNABé, La toile de Pénélope: a-t-il existé un mythe orphique sur Dionysos etles Titans?, RHR 219 (2002), 401-433; ID., PEG II 1, 50-51; ID., El mito órfico de Dio-niso y los Titanes, in Orfeo y la tradición órfica, cit., 591-607.

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razione, per rimandare solo agli indizi testuali più certi, riferimentiai paignia utilizzati dai Titani per ingannare il giovane dio – vd., inmerito allo specchio, A 3-6 – e al momento della cottura dei restidel dio smembrato a opera dei Titani (vd. B 5 aj≥n≥q≥rakivwn e B 7h[sqi≥on, e forse anche B 4 ]o≥qevsqai). Possibili allusioni a particolarisecondari della vicenda, oltre a riferimenti più precisi a specifichefonti, saranno discussi più diffusamente ad locum.

Da un’analisi più dettagliata del testo di A e B, si possono no-tare delle differenze nella costruzione narrativa dei due brani con-servati, differenze che possono anche permettere un’ipotesi in me-rito al reciproco posizionamento delle due sezioni. B sembra infattiessere, a parte la possibile citazione al r. 3, di natura eminentementenarrativa: si noti p. es. l’accelerazione nel racconto della vicendapresente nella sezione dei rr. 4-9, che non sembra più contenere ci-tazioni (o eventuali digressioni), quanto invece esclusivamente il rac-conto dei momenti successivi allo sparagmos (cottura dei resti diDioniso, ‘banchetto’ dei Titani fino alla possibile citazione di zeus,e quindi della loro punizione). A questo si aggiunga il possibile ri-ferimento nel r. 10 a una mhcanhv, probabilmente quella a opera diera o dei Titani, che situandosi in questo punto rappresenterebbequindi una chiusa narrativa forte, ritornando all’inizio della vicendaallo scopo di portare la narrazione verso la sua conclusione. Piùcomplessa la natura di A, che però può essere meglio compresa sesi mette il suo testo in relazione con quello di B. A contiene infattialmeno una citazione poetica al r. 3, oltre a un lungo riferimento aun elemento che si pone all’inizio del mito dello sparagmos qui nar-rato, precedente allo smembramento di Dioniso, ossia a uno dei pai-gnia utilizzati dai Titani per ingannare il dio: dalla fine del r. 3 atutto il r. 6 (compreso forse anche il r. 7) il testo sembra infatti ruo-tare intorno allo specchio che i Titani pongono davanti al dio bam-bino (probabilmente anche con l’inserimento di designazioni tras-late o sinonimiche, vd. commento ad locc.); la narrazione in questipunti pare quindi rallentare, per soffermarsi su un particolare chesi pone all’inizio della vicenda mitica.

In conclusione, ci si trova di fronte una parte di testo (A) in cuisi descrivono eventi precedenti al momento dello sparagmos, conun’attenzione particolare alla citazione di brani di materiale orficoe alla discussione di eventuali simboli o materiali citati, e a una partedi testo (B) che contiene riferimenti alla vicenda mitica successivaallo sparagmos, narrati con un taglio diverso da A, ossia con unamaggiore concentrazione sulla narrazione degli eventi rispetto allacitazione di brani o alla divagazione su particolari citati, e tramite

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quella che si può definire un’accelerazione narrativa fino alla chiusadel r. 10, che rimanda all’inizio della vicenda allo scopo di chiuderela narrazione. Di conseguenza, la successione diacronica degli av-venimenti contenuti nei due brani e il loro diverso taglio narrativospingono a collocare i testi nella successione A – B, la cui sequenzacosì ricostruita rispecchierebbe anche da vicino – elemento non se-condario – l’andamento del modo di descrivere il mito dello spa-ragmos presente nelle fonti di epoca avvicinabile a quella del no-stro papiro (in merito, vd. infra, § IV).

II. IL TeSTO

A →_ _ _ ?

1 e≥≥[2 kat≥a≥çkeu≥a≥[3 > feuço≥utw≥[ 4 ptronu≥p[5 > kaidiçkoçdia[6 toudekatop≥[7 dionuçwant≥[8 g≥ ≥ ≥p≥ou≥ ≥ ≥[9 ≥[ ≥] ≥parat[10 ±2?]w≥purt[11 ]fobouç≥[

– – –

B↓_ _ _?

1 ]dia·çp≥‚2 ] ≥[ ≥] ≥orfeuç3 ]uç≥gaihç≥fi4 ]o≥qeçqaiti5 ]a≥≥n≥q≥rakiwn6 ]moiçarpa7 ]goçhçqi≥on8 ]zhnoç≥p≥e

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9 ]keleuon≥ 10 ]hcanai≥ ≥e≥11 ]apaçp[

_ _ _

A 2 u≥ visibile solo la parte sinistra del calice 3 o≥ meno bene a≥ 6 p≥[tratto verticale, possibile g≥ 7 t≥[ fuori lacuna parte sinistra del tratto orizzon-tale della lettera 8 g≥ ≥ ≥ traccia arcuata, forse w≥ ≥ ≥[ tracce arcuate, la prima nellaparte alta del rigo 11 ç≥ traccia arcuata: lettera tonda, probabile ç≥, meno bene e≥

B 1 almeno le ultime due lettere espunte p≥ meno probabile t≥ 2 ] ≥[ trac-cia nella parte bassa del bilineo: possibile lettera triangolare (a≥, d≥?) 5 ]a≥≥n≥ let-tere evanide q≥ lettera tonda con visibile traccia orizzontale: q≥, da non escludereanche e≥ 8 ç≥p≥ in lacuna parte superiore di ç e sinistra di p 10 ≥e≥ traccia nellaparte alta del bilineo

A →_ _ _ ?

1 e≥[2 kat≥a≥skeu≥a≥[ ∆Or-3 > feu;" o≥u{tw≥[ e[so- 4 ptron uJ≥p[5 > kai; divsko" dia[6 toude katop≥[7 Dionuvsw/ ant≥[8 g≥ ≥ ≥p≥ou≥ ≥ ≥[9 ≥[ ≥] ≥parat[10 ±2?]w≥ pu'r t[11 ]fobouç≥[

_ _ _

B↓_ _ _ ?

1 ]dia2 ] ≥[ ≥] ≥∆Orfeu;"3 ]u"≥ gaivh"≥ fi4 ]o≥qevsqai ti5 ] aj≥ ≥n≥q≥rakivwn6 ]moi" aJrpa7 ]go" h[sqi≥on

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8 ]zhnoç≥p≥e9 ]keleuon≥ 10 m]hcanai≥ ≥e≥11 ]apa" p[

_ _ _

A 1 k[ Coppola 2-3 suppl. Coppola, rec. Bernabé 3 o≥u{tw≥[ vel o≥u{tw≥[" :autw≥[ Coppola (aujtw'/[ Bernabé); sed cf. transcr. 3-4 kato]|ptron? Coppola(kavto]|ptron Bernabé) 4 u≥m[ Coppola (uJ≥m[ Bernabé) : u{≥m[nei Herrero (sed cf.transcr.) 6 tou de Coppola (tou' de; Bernabé) katop≥[trou? Coppola (katovp≥[trouBernabé) : an katop≥[trivzw et simm.? 11 fobou ≥[ Coppola (fovbou ≥[ Bernabé)

B 1 ]d[ ≥]açti (diaçti potius quam draçti) Coppola (sed cf. transcr.) 3 dist.Coppola (]u"≥ gaivh"≥ fi- Bernabé) 4 ap]oqesqai vel up]oqesqai Coppola 5fort. etiam aj≥n≥q≥rakiw'n : ] ≥ ≥ ≥ ≥rakiwn (fort. Qra/kivwn) Coppola : ] ≥ ≥ ≥rakivwn (meira-kivwn vel alia) Bernabé (sed cf. transcr.) 6 fort. w[]moi" aJrpav|[zonte" Bernabé 7dist. Coppola (]go" h[sqi≥on Bernabé) 8 ]zhn ≥ ≥e≥ Coppola 9 fort. ] keleuvon≥|t-(an ej]kevleuon≥?) 10 suppl. Coppola (m]hcanai≥[ ≥]e), rec. Bernabé 11 ]apa"≥p[ ≥ ≥ ≥] Coppola

III. COMMeNTO

A →2 kat≥a≥skeu≥a≥[ La sequenza di lettere è interpretabile come una

forma del verbo kataskeuavzw o di un sostantivo o aggettivo deri-vato (p. es. kataskeuvasma, kataskeuasthv", kataskeuastikov"), chepotrebbe riferirsi alla preparazione dell’inganno ai danni di Dioniso(vd. B 10 m]hcanai≥) o alla costruzione stessa dei tokens che servi-ranno allo scopo (p. es. lo specchio e i vari giocattoli potrebbero es-sere definiti kataskeuavsmata, con il valore di ‘that which are pre-pared or made’, ‘works of art’, LSJ s.v., cfr. Plb. IV 18.8 detto disuppellettili; sui tokens/symbola legati a questo mito, vd. infra, § IV).

2-3 ∆Or]|feu;" L’inizio della sequenza al r. 3 è identificabilecome la parte finale di un sostantivo maschile nominativo (-feu").Coppola, seguito da Bernabé, integra ∆Or]|feu;" sulla base di B 2,dove il nome è leggibile per esteso. Questa interpretazione sembrala più probabile, dato il contesto, che pare rimandare a una narra-zione del mito orfico dell’uccisione di Dioniso da parte dei Titanicome è trasmesso da varie fonti.9

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9 Analogamente, il contesto e il nome di Orfeo in B 2 portano a escludere altre in-tegrazioni (come tro]feuv", riferimento a una figura connessa a Dioniso infante, oppuresuggra]feuv", inteso come fonte mitografica).

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3 o≥u{tw≥[ Nella seconda parte del rigo le tracce iniziali fanno pre-ferire la lettura o≥utw≥ a quella finora invalsa autw≥ (vd. nota paleo-grafica), elemento che rende probabile la presenza dell’avverbioou{tw/ou{tw". Unito al nome di Orfeo, il termine si adatterebbe be-nissimo al contesto come introduzione della testimonianza orfica(forse sostanziata da una citazione testuale) sul mito narrato: cfr. p.es. eudem. fr. 150.15 Wehrli tou'to ga;r ou{tw" ojnomavzei kai; oJ ∆Or-feu;" ejn tai'" õÔRayw/divai" (= Orph. fr. 20 [I] B.); Lyd. Mens. II 11.33kai; mavrtu" ∆Orfeu;" levgwn ou{tw" (= Orph. fr. 700 [I] B.). L’ipotesidella presenza di una citazione o almeno di un passo notevole inquesto punto sarebbe oltretutto avvalorata dalla diple posta qui amargine.10

3-4 e[so]|ptron Coppola (seguito da Bernabé) integra kavto]|ptron,intendendo uno dei paignia utilizzati dai Titani, aizzati da era, perdistrarre Dioniso bambino e attirarlo in trappola. La presenza diun riferimento esplicito allo specchio in questo punto è probabile,dal momento che si tratta di un elemento centrale sia nelle narra-zioni letterarie di questo mito sia nella pratica rituale a quest’ul-timo connessa (infra, § IV). Il termine integrato da Coppola tutta-via non sembra il più appropriato come riferimento allo specchioin quanto simbolo orfico, dal momento che, come sottolineato daTortorelli Ghidini,11 il termine connotato da questo punto di vista,che compare nelle testimonianze sia letterarie sia rituali, è e[soptron:vd. P.Gur. 1, I 30 (= Orph. fr. 578.30 B.; testimonia l’hapax ma-schile e[soptro"); Clem. Al. Protr. II 17.2 (= Orph. test. 588 [I] B.);Procl. In Ti. I 142.24, 336.29, II 80.19 Diehl (= Orph. fr. 309 [III,IV, V] B.); Dam. In Phd. I 129, p. 81 Westerink (= Orph. fr. 309[II] B.).12 Il termine kavtoptron, più generico, ricorre invece in brani

10 Il significato della diple non è univoco, ma è senz’altro attestato un suo utilizzoper segnalare citazioni in papiri di età imperiale, un uso che perdura nei manoscrittimedioevali. Vd. TURNeR, GMAW, 15 n. 76; k. MCNAMee, Sigla and select marginaliain Greek literary papyri, Bruxelles, Fondation égyptologique Reine élisabeth 1992(«Papyrologica Bruxellensia», 26), 16 con n. 41, 32-34 (Tab. 2C); C. WILDBeRG, Sim-plicius und das Zitat. Zur Überlieferung des Anführungszeichens, in Symbolae Beroli-nenses, Festschrift D. Harlfinger (F. Berger et al. Hrsgg.), Amsterdam, Hakkert 1993,187-199: 191-193.

11 M. TORTOReLLI GHIDINI, Un mito orfico in Plotino (Enn. IV 3, 12), PP 30 (1975),356-360: 356 n. 1, 359.

12 ei[soptron è symbolon dei misteri dionisiaci in Lyd. Mens. IV 51.30. P.Gur. 1 ri-porta «a curious mixture of invocations and prayers and what appear to be instructionsfor a ritual based around the death (and rebirth?) of the infant Dionysus» (HORDeRN,Notes, cit., 131; vd. anche infra n. 38) e al rituale si riferisce anche Clemente, che sem-

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che riferiscono questo mito in modo più mediato rispetto agli altripiù direttamente connessi con pratiche e testi orfici, come Nonn.D. VI 169 (= Orph. vest. 308 B.); Harp. s.v. eujoi' saboi', p. 117 kea-ney (= Orph. fr. 309 [IX] B.); Plot. IV 3.12 (= Orph. fr. 309 [I] B.),il quale nella propria interpretazione allegorica dello specchio diDioniso sembra riprendere il lessico platonico piuttosto che rife-rirsi a testi orfici.13 Date la probabile menzione di Orfeo nel rigoprecedente e la presenza dell’avverbio ou{tw/ou{tw" e della diple, èverosimile che e[soptron sia parte di una citazione testuale da uncomponimento orfico.14

4 u≥Jp[ Dalla nuova analisi del papiro al microscopio appare chiara,prima della lacuna, la presenza di un p, contro la lettura m dell’ed.pr.:è da rigettare pertanto la proposta di integrazione u≥{m[nei (sic, im-perativo?) di Herrero,15 mentre è sicura la presenza di una preposi-zione, uJpov o uJpevr, in forma autonoma o come prefisso di parolacomposta. Il termine in questione non sarà necessariamente partedella citazione. Potrà avere come prefisso uJpo- nel valore di ‘sotto’(uJpotivqhmi?, oggetto lo specchio) o in quello derivato di ‘segreta-mente’, ‘con l’inganno’ (uJpoduvw?, soggetto i Titani in Clem. Al. Protr.II 17.2 [= Orph. fr. 306 (I) app., test. 588 (I) B.]; uJpolambavnw?; vd.DELG s.v. uJpov); oppure uJper- con il significato di ‘sopra’ (uJperevcw?,soggetto i Titani, vd. Orph. fr. 312 B.) o di ‘eccessivamente’ (vd. ri-ferito ai Titani Orph. fr. 301 B. uJpevrbion h\tor e[conte" ed euph. fr.14 van Groningen ≈ fr. 13 P. [= Orph. vest. 36 B.] uJperfivaloi).

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brerebbe derivare le proprie conoscenze da un trattato pagano dipendente a sua voltada testi orfici (vd. infra, § IV); dalle Rapsodie e da un’esegesi platonica che su di essesi basava paiono dipendere invece Proclo e Damascio (che non casualmente solo in que-sti passi si servono del termine e[soptron): vd. su questo punto BeRNABé, El mito ór-fico, cit., 592-594, 598 e ID., Teogonías órficas, in Orfeo y la tradición órfica, cit., 291-324: 293, 310-312.

13 Vd. TORTOReLLI GHIDINI, Un mito orfico, cit., 359. 14 Se è presente un riferimento diretto a un testo orfico, e[soptron sembra di gran

lunga preferibile anche rispetto a sinonimi quali divoptron (solo in Alc. 333.1 Lobel) ede[noptron (p. es. eu. Hec. 925; Or. 1112). Solo e[soptron è indicizzato da Bernabé inPEG, II 3, 284. Considerato il contesto, che sembra rimandare a uno specchio (A 5-6)connesso a Dioniso (A 7) in una narrazione orfica (A 3), si deve scartare l’integrazionepur calzante skh']|ptron, lo scettro del potere cosmico ottenuto dal dio quando zeus lopone sul proprio trono: vd. Procl. In Cra. 55.5 Pasquali; Jul. Firm. Mat. De err. VI 2(= Orph. fr. 299 [I, VIII] B.) e in generale Orph. frr. 296-300, 307 (II) B.; Nonn. D.VI 166-167 con D. GIGLI PICCARDI, Zagreo Semele Dioniso: morte e rinascita nelle Dio-nisiache di Nonno, in Studi di filologia e tradizione greca in memoria di Aristide Co-lonna (a cura di F. Benedetti - S. Grandolini), I, Napoli, edizioni Scientifiche Italiane2003, 359-380: 363-364.

15 HeRReRO De JáUReGUI, Orphism, cit., 55 n. 61.

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5 divsko" Il termine indica il ‘disco’ e, per traslato, qualsiasi en-tità di forma circolare (vd. LSJ s.v.). La presenza di un’altra diplea margine del rigo, verosimile indizio di una nuova citazione, in-duce a ritenerla parola significativa, proveniente da un testo orfico(si consideri il caso nominativo in cui il termine compare). Nessunparallelo tuttavia è offerto da quanto della letteratura orfica si èconservato. Che si tratti di un disco in senso proprio sembra im-probabile, perché, in base alle testimonianze pervenute (sia lettera-rie sia di natura rituale), gli elenchi dei giocattoli offerti dai Titania Dioniso non annoverano dischi (vd. infra, § IV).16 è verosimileche ‘disco’ sia qui una designazione traslata, proprio per questo de-gna di citazione. In poesia tra gli usi metaforici che potrebbero tro-vare riscontro nel contesto si segnala in particolare, come eviden-zia Bernabé, l’impiego in luogo di ‘specchio’ attestato in AP VI18.5-6 (Jul. Aegypt.),17 per cui si confronti anche il coevo ‘disco aguisa di specchio’ di Agath. Hist. V 8.4 (divskon me;n gavr tina ej-sovptrou divkhn ejskeuasmevnon). Nonostante l’occorrenza sia unica etarda, le possibili integrazioni in A 4 e 6 – entrambe riferite allo‘specchio’ e segnali di un soffermarsi dell’autore su questo partico-lare del mito – portano a preferire questo significato.18

16 Non si tiene conto in questa sede dei dischi fittili decorati di probabile impiegorituale rinvenuti in Magna Grecia dal momento che non sembrano collegabili al mito diDioniso e i Titani, e in generale la loro connessione a rituali orfici è argomento dibat-tuto (vd. a questo proposito L. FALCONe, Il disco fittile della collezione Astarita al Mu-seo Gregoriano Etrusco in Vaticano. Tra suggestioni interpretative ed ipotesi funzionali,BMMP 28 [2010], in corso di stampa, con discussione della bibliografia precedente).

17 Vd. BeRNABé, PEG II 1, 253 app. Cfr. anche HeRReRO De JáUReGUI, Orphism,cit., 55 n. 62; JIMéNez SAN CRISTóBAL, El ritual, cit., 740 n. 70.

18 divsko" come ‘specchio’ è forse presente anche in Aët. II 24.1, 568 Mansfeld - Ru-nia (= Thal. 11 A 17a D-k), all’interno di una frase problematica dal punto di vista te-stuale e interpretativo (vd. J. MANSFeLD - D.T. RUNIA, Aëtiana. The method and in-tellectual context of a doxographer, II, The compendium, Leiden-Boston, Brill 2009, 566con n. 422). Un secondo uso poetico traslato del termine, attestato a propria volta nellapoesia tarda, fa riferimento al ‘sole’ (Nonn. D. XL 371, 390; Orac. Sib. I 217; XIV 89).La forma a disco del sole e della luna è sottolineata nelle descrizioni astronomiche an-tiche; le prime attestazioni sono in Plutarco e Aezio, che riportano le discussioni pre-socratiche sui due corpi celesti: cfr. p. es. Plu. Quaest. Rom. 288d (= emp. 31 A 60 D-k); Aët. II 24.9, 569 Mansfeld - Runia (= Xenoph. 21 A 41a D-k); sul termine divsko",vd. J.L. LIGHTFOOT, The Sibylline oracles, Oxford, OUP 2007, 400-401. Per quanto al-cuni materiali di matrice orfica sembrino identificare sincretisticamente Dioniso con ilsole e il suo fuoco (vd. Orph. frr. 60; 492; 528-545 B. con Bernabé ad locc. e WeST,Orphic poems, cit., 206, 253; A. BeRNABé - A.I. JIMéNez SAN CRISTóBAL, Instructionsfor the netherworld. The orphic gold tablets, Leiden-Boston, Brill 2008 [«Religions inthe Graeco-Roman world», 162], 137-150), una citazione del ‘disco’ del sole appare dif-ficilmente inseribile nel contesto di una narrazione del mito orfico di Dioniso e i Titani.

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6 ]toude katop≥[ La suddivisione più perspicua distingue unasequenza toude – interpretabile come successione di un segmentoiniziale tou (desinenza finale di un termine del rigo precedente oarticolo genitivo singolare) seguito dalla particella dev oppure comegenitivo del pronome dimostrativo (tou'de) – e un termine inizianteper katop-.19 Le due alternative di integrazione più interessanti perquest’ultimo sono offerte da kavtoptron, ‘specchio’, in parallelismocon A 3-4 – così Coppola e Bernabé – e dal verbo derivato ka-toptrivzw, ‘show as in a mirror or by reflection’, mediale ‘lookinto a mirror’ (LSJ s.v.). Nel primo caso, vi sarebbe una ripresadel termine ‘orfico’ citato in A 3-4, nella veste linguistica menoconnotata (vd. supra); nel secondo, un riferimento o al funziona-mento, in generale, del paignion o al riflesso di Dioniso stesso odei Titani nello specchio subito prima dello sparagmos (cfr. p. es.Plot. IV 3.12; Dam. In Phd. I 129, p. 81 Westerink; Procl. In Ti.II 80.19 Diehl [= Orph. fr. 309 (I-II, IV) B.]; Nonn. D. VI 169-173 [= Orph. vest. 308 (I) e fr. 309 (VIII) B.]).20 In questo punto,quindi, dopo la probabile citazione di termini o brani orfici, l’au-tore riprende la parola, spiegando il testo orfico o proseguendo lanarrazione, concentrandosi in ogni caso sullo specchio (e i suoieffetti).

7 Dionuvsw/ è questa menzione del dio Dioniso, unita alla cita-zione di Orfeo come fonte poetica (A 3-4; B 2), a spingere forte-mente verso l’ipotesi che il testo tratti del mito orfico di Dioniso edel suo sparagmos a opera dei Titani.21

ant≥[ Se si tratta di ajntiv, anche come prefisso in composizione,la preposizione potrebbe esprimere in questo contesto la relazionetra Dioniso e lo specchio, tra il dio e la sua immagine riflessa (p.es. in un verbo come ajntikaqivsthmi, mettere lo specchio di frontea Dioniso?, oppure negli attributi ajntiprovswpo", ‘facing’, o ajntiv-

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19 La suddivisione kat∆ ojp≥[- con elisione sembra offrire minore spazio di interpre-tazione.

20 Dato il contesto, pare troppo anticipata l’integrazione katop≥[tavw, ‘roast or bakethoroughly’ (LSJ s.v.), riferita alla cottura dei resti di Dioniso (in questo caso su spiedi,vd. infra).

21 Sulle connessioni tra Dioniso e Orfeo vd. più di recente A.I. JIMéNez SAN CRI-STóBAL, Orfismo y Dionisismo, in Orfeo y la tradición órfica, cit., 697-727: 698-703; F.JOURDAN, Orphée et les chrétiens. La réception du mythe d’Orphée dans la littératurechrétienne grecque des cinq premiers siècles, I, Orphée, du repoussoir au préfigurateurdu Christ. Réécriture d’un mythe à des fins protreptiques chez Clément d’Alexandrie,Paris, Les Belles Lettres 2010, 199-202.

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tupo", ‘echoed, reflected’, ‘corresponding’, sostantivato ‘image’, LSJs.vv. – per quest’ultimo vd. Nonn. D. VI 173 [= Orph. fr. 309 (VIII)B.] ajntituvpw/ … katovptrw/).

10 ]w≥ pu'r t[ La sequenza, che permette solo questa suddivisionedelle lettere, conserva un riferimento al ‘fuoco’, in un caso diretto.In relazione alla vicenda mitica di Dioniso e i Titani, due fuochicompaiono: quello apprestato per la cottura dei resti di Dioniso,come testimoniato da euforione (fr. 14 van Groningen ≈ fr. 13 P.[= Orph. vest. 36 B.]), e quello del fulmine di zeus, che inceneri-sce i malfattori per punirli (vd. Clem. Al. Protr. II 18.2; Arnob.Adv. nat. V 19 [= Orph. fr. 318 (I, VII) B.]; le altre testimonianzeraccolte in Orph. fr. 318 B.; Nonn. D. VI 206-208, dove zeus ful-mina la madre dei Titani).22 Considerata la presenza della tratta-zione di questa seconda parte del mito in B, potremmo trovarci difronte a un riferimento anticipato – più probabilmente al fuoco dicottura, data l’importanza di questo elemento – oppure a una ri-presa lenta della narrazione. In alternativa si potrebbe ipotizzareuna pausa narrativa: una divagazione mitica (p. es. relativa al dioDioniso) oppure una parentesi esegetica sul significato dello spec-chio e del mito di Dioniso e i Titani; nell’impossibilità di definireil contenuto di A 8-9, è difficile identificare per certo il ruolo diquesta menzione del fuoco, elemento dalle implicazioni mitiche, fi-losofiche e rituali amplissime.23

22 La prima interpretazione è preferita da Bernabé (vd. app.), mentre la secondada JIMéNez SAN CRISTóBAL, Orfismo, cit., 737-738, che cita il frammento come te-stimonianza del valore del fuoco nei riti orfici. La menzione del fuoco nel PSI è ac-costata dalla studiosa a una iscrizione di Perinto (Orph. fr. 661 B., II sec. d.C.) in cuiè descritto un rito che prevede la mescolanza di fuoco, sangue e cenere per evocarela nascita degli uomini dalla morte dei Titani (cfr. anche BeRNABé, El mito órfico, cit.,598).

23 Molte sono le ipotesi formulabili riguardo al significato di questo riferimento alfuoco: p. es. il fuoco del fulmine di zeus rivolto contro Semele, da cui nasce Dioniso(detto purivsporo", Orph. H. XL 1; LII 2; Opp. C. 4.304; purigenhv", Strab. XIII 4.11:vd. Inni orfici, a cura di G. RICCIARDeLLI, Milano, Mondadori 2000, 411); il fuoco,come lo specchio, usato in pratiche divinatorie (piromanzia e catoptromanzia); il fuococome elemento primigenio (cfr. Orph. frr. 31.5; 243.8; 619.2 B. e P.Derv. IX 5; sul va-lore di questo elemento nel papiro di Derveni, vd. The Derveni papyrus, T. kOURe-MeNOS, G.M. PARáSSOGLOU, k. TSANTSANOGLOU eds., Firenze, Olschki 2006 [«STCPF»,13], 177-182; G.W. MOST, The fire next time. Cosmology, allegoresis, and salvation inthe Derveni papyrus, JHS 117, 1997, 117-135: 131-134); il fuoco del sole identificatocon Dioniso (vd. supra n. 18). Sull’importanza del fuoco di cottura in relazione al sa-crificio e al mito dello sparagmos di Dioniso vd. infra nn. 28, 33. Sui diversi tipi di ese-gesi del mito dello sparagmos di Dioniso vd. J. PéPIN, Plotin et le miroir de Dionysos(Enn. IV, 3 [27], 12, 1-2), RIPh 24 (1970), 304-320.

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11 ]fobouç≥[ Accusativo plurale o genitivo singolare di fovbo"(seguito da un termine cominciante con s), ovvero di un attributocon prefisso caduto in lacuna (del tipo p. es. di a[fobo" o di e[mfobo",‘terrible’, ‘in fear’, ‘terrified’, LSJ s.v.). All’interno della vicendadello sparagmos di Dioniso, un riferimento a un sentimento di ti-more procurato o provato potrebbe essere spiegabile in relazione alrapporto tra i Titani e Dioniso o più probabilmente a quello trazeus e i Titani, che per timore della vendetta cuociono e mangianoi resti di Dioniso (come in Jul. Firm. Mat. De err. VI 3 [= Orph.fr. 313 (III) B.]) oppure che, al limite, privi proprio di questo ti-more si avventano sul giovane dio per ucciderlo.24

B↓1 ]dia Almeno le ultime due lettere del rigo sono espunte dallo

scriba tramite l’apposizione di un punto sopra ciascuna di esse (vd.supra, § I): è possibile quindi che la sequenza, vergata con un mo-dulo più piccolo, con andamento decisamente discendente (quasi in-vadendo il bilineo del rigo sottostante) e già finita fuori area, fossestata espunta e riscritta nel rigo successivo. Tra le integrazioni pos-sibili si segnalano diaspavw o diasparavssw (et simm.), con chiaroriferimento allo smembramento del corpo di Dioniso (vd. per ilprimo Clem. Al. Protr. II 17.2 [= Orph. fr. 306 (I) app. B.]; per ilsecondo Ps.-Nonn. In Greg. Orat. in Iulian. V 30 [= Orph. fr. 302(I) B.]). Da non escludere anche la presenza di un finale di parolain -dia", seguito da p-, oppure un riferimento a zeus (Di'a | sp-),personaggio centrale nel mito di Dioniso e i Titani.

2 ∆Orfeuv" Citazione del poeta Orfeo (vd. A 3), autore che paredi riferimento per il compilatore nella trattazione del mito dellosparagmos di Dioniso e da cui forse, secondo l’uso del genere, ilnostro citava anche direttamente parti di testo. In merito al rap-porto di questo punto con A 3, il fatto che qui compaia il nome diOrfeo spinge a favore dell’ipotesi che la fine di A conservi una pausanello svolgimento temporale della narrazione (a favore di un’anti-cipazione o di una digressione), il quale viene poi ripreso in B at-traverso una nuova menzione del poeta di riferimento per il com-pilatore.

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24 Se si ipotizza che pu'r in A 10 si trovi all’interno di una divagazione, a questo iltimore qui menzionato potrebbe essere, se pure con difficoltà, collegato: per una pos-sibile riconduzione dei due elementi a un unico contesto vd. MOST, The fire, cit.

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3 ]u"≥ gaivh"≥ fi Da entrambe le possibili divisioni della sequenzadi lettere conservate (]u"≥ gaivh"≥ fi-, oppure la molto meno proba-bile ]u"≥ gaivh s≥fi-, con nominativo in -h presente solo in poetitardi, vd. LSJ s.v.), emerge la presenza del termine gai'a, doppiodi gh' di uso spiccatamente poetico (vd. DELG s.v.; forse la terrasu cui zeus invia il fulmine per punire i Titani oppure la terra cheaccoglie i resti di Dioniso sepolto).25 Ci si potrebbe quindi tro-vare, come già sottolineato da Coppola, di fronte alla citazione di-retta di un brano poetico attribuito a Orfeo (vd. B 2). Data la pre-senza di un sicuro ‘a capo’, come già rilevato (vd. supra § I), siipotizza o che il verso fosse intero e quindi ripartito su più righi,oppure, come è più probabile, che la citazione contenesse pocheparole, forse proprio le tre qui almeno in parte conservate, o unnesso terminante con gaivh".26

Per quanto riguarda la terminazione -]u"≥, tra le altre possibilitàsi può citare l’ipotesi che si tratti di un nuovo riferimento a zeus,soluzione più probabile considerato quanto detto supra in merito agai'a, oppure con minore probabilità a Orfeo (la menzione in B 2parrebbe escludere una ripetizione ravvicinata), o a zagreo (sebbenein A 7 il dio fosse indicato con il nome di Dioniso). Le due letterepotrebbero tuttavia anche appartenere a una desinenza di accusa-tivo plurale di un termine poetico parte della citazione (p. es. muvco]u"≥,forse a indicare i recessi della terra?), rendendo possibile quindi chetutti e tre i termini facciano parte della citazione poetica che si èqui ipotizzata.

Anche per le ultime due lettere della sequenza conservata, non-ostante le varie possibilità che lasciano aperte, si possono tuttaviaproporre delle ipotesi di integrazione legate in particolare ai ter-mini precedenti, nel caso in cui tutta la sequenza conservi una ci-tazione poetica. In questo caso, si può supporre per esempio chequesto punto trasmetta una parte dell’aggettivo fivlo" (et simm.),forse a identificare poeticamente i Titani, figli proprio di Gea (perquesta discendenza cfr. Hes. Th. 129 sgg. e in part. 207-210, in cuisi indica col nome di Titani i figli di Urano e Gea e si espone an-che la supposta derivazione del nome di queste divinità da titaivnw),27

25 Da non escludere la possibilità che si tratti, come testimonia Arnobio (Adv. nat.V 19), di un riferimento alla discesa dall’Olimpo da parte di zeus, attirato dal profumodel ‘banchetto sacrificale’ a opera dei Titani.

26 Il termine gai'a al genitivo singolare si trova posizionato nell’esametro di prefe-renza a cavallo tra il secondo e il terzo metron oppure a fine di verso: vd. LfgrE s.v.

27 Sulle etimologie, antiche e moderne, del nome dei Titani, cfr. fra gli altri la sin-tesi di e. WüST, RE VI.A2 (1937), s.v. Titanes, 1491-1508: 1491-1493.

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p. es. tramite un’espressione come gaivh"≥ (forse qui da scrivere maiu-scolo?) fiv|la tevkna, o simili.

4 ]o≥qevsqai ti Coppola segnala come integrazioni possibili le dueforme aoristiche ajp]o≥qevsqai e uJp]o≥qevsqai. La prima, meno atte-stata, nel valore di ‘deporre’ ben si accorderebbe al mito orfico diDioniso con riferimento probabilmente, considerate le possibili in-tegrazioni in B 5-7, alla deposizione dei resti del dio nel calderoneo sullo spiedo per la loro cottura,28 oppure alla sepoltura dei restidel dio da parte di Apollo: il verbo ricorre con questo significato ein questo contesto in Tzetz. Ad Lyc. 208, p. 98 Scheer (= Orph.vest. 36 B.), in riferimento alla trattazione da parte di Callimaco (fr.643 Pf.) e di euforione (fr. 14 van Groningen ≈ fr. 13 P. [= Orph.vest. 36 B.]) di questa parte della vicenda. Il secondo verbo potrebbeanch’esso ben rientrare nel contesto di questo punto della narra-zione se lo si considera per esempio nel suo significato principaledi ‘place under’ (LSJ s.v.): con questo valore, infatti, il verbo oc-corre fin dall’epoca classica anche riferito alle braci o alla legna diun fuoco (cfr. p. es., in diatesi attiva, Telecl. fr. 41.2 k-A e anche,in seguito, schol. Ar. Pax 1026b). Considerato il contesto di que-sto punto della narrazione, in cui ci si sta concentrando sulla cot-tura dei resti di Dioniso, è possibile quindi la presenza di questoverbo, con allusione probabilmente al porre il carbone, la legna ole braci ardenti sotto il calderone o gli spiedi su cui è cotto il dio(p. es. con soggetto le braci stesse, che compaiono forse al geni-tivo in B 5).

5 aj≥n≥q≥rakivwn La nuova analisi del papiro consente di scartarel’ipotesi di integrazione meirakivwn di Bernabé (appoggiata anche daHerrero),29 dal momento che non coincide con le tracce conservate.Per quanto riguarda la traccia precedente a r, si tratta di una let-tera tonda di modulo stretto in centro, quasi sicuramente q (vd. notapaleografica), lettura che permetterebbe l’interpretazione Qra/kivwnproposta ipoteticamente da Coppola.30 La nuova identificazione delle

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28 Sul dibattito antico (e moderno) in merito alle modalità di cottura dei resti diDioniso e sul valore rituale del banchetto dei Titani (che nella successione bollitura-arrostimento si configura come una sorta di ‘sacrificio a rovescio’), cfr. FAUTH, Za-greus, cit., 2247-2248; M. DeTIeNNe, Dionysos mis à mort, ou le bouilli rôti, ASNSP 4(1974), 1193-1234 ≈ Dionysos orphique et le bouilli rôti, in ID., Dionysos mis à mort,Paris, Gallimard 1977, 161-217; WeST, Orphic poems, cit., 160-161; Le religioni dei mi-steri, I, Eleusi, Dionisismo, Orfismo, a cura di P. SCARPI, Milano, Mondadori 2002, 643(ad Clem. Al. Protr. II 17.2-18.2).

29 HeRReRO De JáUReGUI, Orphism, cit., 55 n. 62.30 Ed.pr., 158 («parola non fuori di luogo in un testo dove si tratta di Orpheus e

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due lettere precedenti, tuttavia, offre ora un’allettante lettura dellasequenza, ossia aj≥n≥q≥rakivwn, probabile genitivo plurale di ajnqravkion,diminutivo di a[nqrax, nel significato più plausibile di ‘carbone’, cherimanderebbe di nuovo alla cottura del dio (cfr. AP XI 319.1; Poll.VII 110.5, II 83 Bethe), oppure a indicare un particolare mineralecon cui venivano fabbricati gli specchi (forse quello di Dioniso?) ocon il valore di ‘braciere’.31

6 ]moi" aJrpa La seconda parte della sequenza di lettere conservaquasi sicuramente una forma di aJrpavzw o di un termine corradi-cale (p. es. aJrpaghv). La proposta di integrazione di Bernabé, w[]moi"aJrpav|[zonte", risulterebbe problematica dal momento che è difficileda inserire una menzione del rapimento forzato del dio a quest’al-tezza della storia. Anche l’ipotesi di interpretazione di Herrero,32

che mal traduce l’integrazione di Bernabé ritenendo che si stia al-ludendo a carni crude (lo studioso infatti nella n. 79 alla paginascrive correttamente w[moi" ma intende wjmoi'"), mal si adatta alla nar-razione della vicenda, che chiaramente allude alla cottura delle carni(come si trova in tutte le fonti del mito), perché pertiene piuttostoal contesto rituale.33 Indipendentemente dall’integrazione del primotermine,34 è interessante tuttavia l’ipotesi che la forma di aJrpavzw odi un corradicale qui presente si riferisca all’azione dei Titani. Inun sacrificio ‘non ortodosso’ ma anzi rovesciato come questo, essipotrebbero infatti benissimo ‘afferrare’ senza nessuna forma di ri-spetto il proprio pezzo di carne cotta per divorarlo. In questo senso,aJrpavzw occorre tra l’altro nel resoconto di una delle versioni della

Dionysos»). L’editore per errore omette nella propria lettura lo iota mutum, che tut-tavia non creerebbe problema, dal momento che almeno in un’altra occasione è sicura-mente tralasciato dallo scriba (A 7).

31 Molto meno probabile che il termine sia un genitivo plurale del femminile ajnqra -kiav, ‘burning charcoal’ (LSJ s.v.), da intendere quindi come le braci sulle quali è po-sto a cottura Dioniso – il termine, essendo un collettivo (vd. DELG s.v. a[nqrax), è ra-ramente attestato al plurale (cfr. Gal. De comp. med. XII 634.12-13 kühn; Hsch. e 6447,II 212 Latte) – oppure del raro maschile ajnqrakiva", ‘burnt to a cinder’ (LSJ s.v.; cfr.Luc. Icar. 13), in questo caso riferibile o ai resti delle carni del dio, oppure ai corpi in-ceneriti dei Titani puniti da zeus.

32 HeRReRO De JáUReGUI, Orphism, cit., 55.33 Vd. DeTIeNNe, Dionysos orphique, cit., 171: «le mythe orphique de Dionysos ne

fait aucune allusion à l’omophagie, ni au manger cru du dionysisme. [...] l’histoire deDionysos et des Titans se situe sans ambiguïté du côté du cuit et de l’activité culinaire»(cfr. anche JIMéNez SAN CRISTóBAL, Orfismo y Dionisismo, cit., 715).

34 Tra l’altro, mentre a livello grammaticale l’interpretazione di Bernabé ‘prenden-dolo per le spalle’ non creerebbe problemi, lo stesso non si può dire per quella di Her-rero, dal momento che wjmoi'" non può essere l’oggetto diretto di aJrpavzw, che prevedesolo l’accusativo (vd. LSJ s.v.).

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morte di Neottolemo a Delfi, in schol. Pi. N. VII 62a, a sottolineareproprio l’azione non ortodossa dei Delfi, i quali, secondo una loroparticolare usanza, mentre l’eroe sta compiendo il sacrificio, sonodetti aJrpavzein ta; quvmata, non rispettando le norme della distribu-zione delle carni (vd. anche, nel resoconto della stessa vicenda, ildiarpavzonta" sempre riferito ai Delfi in schol. eu. Or. 1654).35

Una valida alternativa di lettura, considerato sempre il puntodella narrazione in cui probabilmente si è giunti, è che qui ci si stiariferendo all’azione di Atena che, durante il banchetto dei Titani,sottrae (bisognerebbe in questo caso attribuire al verbo un valoretraslato meno violento di quello che il suo significato primo com-porta, vd. LSJ e DELG s.v.) il cuore di Dioniso per consentire inseguito la rinascita del dio (vd. Procl. In Ti. II 145.18 Diehl; InPrm. 808.25 Cousin [= I 219 Steel]; In Cra. 109.19 Pasquali; Jul.Firm. Mat. De err. VI 3, 5; schol. Lyc. 355; Clem. Al. Protr. II 18.1;schol. Hom. Il. I 200 [= Orph. frr. 314 (I-V), 315 (I-IV) B., sull’e-timologia di Pallav" dal cuore palpitante (pallomevnh) di Dioniso]).

7 h[sqi≥on Chiaro riferimento all’azione dei Titani che si cibanodei resti di Dioniso (Plu. De esu carn. I 7 [996c]; Olymp. In Phd.I 3; Jul. Firm. Mat. De err. VI 3 [= Orph. fr. 313 (I-III) B.]). L’usodell’imperfetto, tempo eminentemente narrativo, segnala la presenzadi un racconto del mito (vd. anche forse B 9); la forma dal valoredurativo si inserirebbe bene in questo caso nel contesto in relazioneal possibile contenuto di B 6.

8 ]zhnoç≥p≥e La sequenza si presta a diverse suddivisioni. L’ipo-tesi più allettante è individuare la forma del genitivo Zhnov", che po-trebbe ben inserirsi nel contesto (vd. il possibile riferimento a zeusin B 1 e in generale il ruolo del dio in questo mito): trattandosidella forma poetica del genitivo (vd. DELG s.v.), potremmo quitrovarci di fronte a un’altra citazione di un brano in poesia attri-buito a Orfeo. Un’alternativa è leggere il primo segmento indivi-duabile della sequenza, zhn, come finale di un termine in parte inlacuna oppure come forma compiuta, ossia l’infinito di zavw (un ri-

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35 In questa versione della vicenda (tra tutte l’unica a non attribuire colpe a Neot-tolemo ma a renderlo anzi un ‘eroico difensore’ della norma), la morte dell’eroe derivaproprio dalla disputa sulla distribuzione delle carni: cfr., oltre agli scolî succitati, Pi.N. VII 42 con The works of Pindar, ed. R.L. FARNeLL, II, London, Macmillan 1932,295 e G.W. MOST, The measures of praise. Structure and function in Pindar’s SecondPythian and Seventh Nemean odes, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1985 («Hypo -mnemata», 83), 152-182 (in merito alla sezione di versi della settima Nemea riguardanteNeottolemo, e al diverso trattamento che Pindaro offre della morte dell’eroe rispettoal Peana VI).

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ferimento a Dioniso che torna a vivere, grazie al cuore salvato daAtena? vd. forse B 6). Per la parte finale della sequenza sono quindipossibili due principali interpretazioni: se si accetta il riferimento azeus, necessariamente si avrà, diviso tra due righi, un termine ini-ziante con pe-, mentre se si isola la sequenza zhn, è possibile ipo-tizzare la presenza del relativo o{" seguito da un termine iniziantecon pe-.

9 ]keleuon≥ è possibile interpretare la sequenza come una formaparticipiale presente divisa tra due righi, del tipo ]keleuon≥|t-, chepotrebbe essere senza difficoltà riferita a zeus (probabilmente ci-tato al rigo precedente, vd. B 8). Un’alternativa meno probabile èinvece ipotizzare un imperfetto di keleuvw (leggendo quindi ej]kev -leuon≥): un problema per questa interpretazione è rappresentato dallepossibili persone del verbo, dal momento che si dovrebbe trattaredi una terza plurale – di difficile spiegazione, dato che il soggettopiù plausibile in questo punto della narrazione è zeus, che ordinala ricomposizione del corpo di Dioniso (vd. Clem. Al. Protr. II 18.2;Procl. In Ti. II 198.10 Diehl [= Orph. fr. 322 (I, IV) B.]; Jul. Firm.Mat. De. err. VI 4 [= Orph. fr. 325 B.]) – oppure di una prima sin-golare (difficilmente spiegabile con l’inserimento nella narrazionedi un discorso diretto per bocca di zeus, dal momento che il temposarebbe comunque narrativo). In entrambi i casi, sembra comunqueprobabile la presenza in questo punto di un momento narrativo delmito: vd. B 7 e B 10 (ma la parte narrativa sembrerebbe cominciarealmeno da B 5; narrazione forse intervallata da una citazione te-stuale? vd. B 8), il che avallerebbe la tesi, per la seconda parte diB, di un’accelerazione della parte narrativa, a chiudere il racconto(in merito, vd. B 10 e supra, § I).

10 m]hcanai≥ ≥e≥ La prima parte della sequenza è interpretabilesoltanto come una forma derivante da mhcanhv: probabile che si trattidi un nominativo o di un dativo plurale del suddetto sostantivo(ipotesi già prospettata da Coppola), riferito quindi plausibilmenteall’azione iniziale di era o dei Titani.36 Se si accetta questa inter-pretazione, ci si troverebbe quindi alla fine di B di fronte a unachiusa narrativa forte, che riporta il lettore all’inizio della vicendamitica forse proprio allo scopo di chiudere il racconto, andamentonarrativo tra l’altro sovrapponibile in toto a quello delle fonti sul

36 Decisamente meno probabile una forma dell’aggettivo ajmhvcano", in questo casofemminile (sempre nominativo o dativo plurale), oppure neutro in uno dei casi direttidel plurale (quindi nella suddivisione ajm]hcana i≥ ≥e≥).

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mito dionisiaco all’incirca coeve al nostro papiro (vd. infra, § IV),e che spinge verso la collocazione di B, che ha carattere più narra-tivo, come successivo ad A (vd. supra, § I).

11 ]apa" p[ Coppola divide la sequenza in ]apa" p[, interpre-tando quindi la prima parte come finale di parola in lacuna (p. es.pantod]apav", accusativo femminile di pantodapov"). Come alterna-tiva si può invece mantenere questa divisione interpretando però ilprimo termine come a{pa", oppure ipotizzare ancora la presenza del-l’aggettivo pantodapov", ma questa volta al neutro plurale pantoda-pav, seguito da un termine cominciante per sp- (p. es. una forma diun verbo appartenente alla sfera religiosa e rituale come spevndw).37

IV. IL PAPIRO e LA TRADIzIONe SUL MITO

Oltre alle fonti cristiane di età imperiale, come i trattati apolo-getici di Clemente Alessandrino, Arnobio e Firmico, su cui ci sof-fermeremo in seguito, che riportano la stessa vicenda mitica, PSI850 è stato messo in relazione anche con un papiro del III sec. a.C.che conserva frammenti di rituale orfico, P.Gurob 1 (MP3 2464;LDAB 6920 [= Orph. fr. 578 B.]), creando possibili fraintendimentiper l’esatta identificazione della natura del testo in esso conservato.38

L’accostamento è dovuto al fatto che negli ultimi righi di P.Gur. 1è contenuto un elenco degli oggetti sacri impiegati nei misteri conallusione ai paignia di Dioniso (I 29-30 ]wnoç romboç açtragaloi |]h eçoptroç). Tuttavia la natura dei testi non sembra sovrapponi-bile,39 dal momento che dal punto di vista tipologico e cronologico

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37 Molto meno convincente è l’interpretazione ] ajp∆ ajsp[-, che nella sua integra-zione più probabile ajp∆ ajsp[ivdoç risulterebbe poco legata al contesto.

38 Vd. HeRReRO De JáUReGUI, Orphism, cit., 54-57 e ID., Las fuentes de Clem. Alex.,Protr. II 12-22: un tratado sobre los misterios y una teogonía órfica, emérita 75 (2007),19-50: 41 n. 47. Cfr. anche HORDeRN, Notes, cit., 140. In merito a P.Gur. 1, al suo con-tenuto e al suo valore rituale, cfr. anche J.G. SMyLy, P.Gurôb 1. Ritual of the myster -ies, in P.Gurob (1921), 1-10 (ed.pr.); keRN, Orphicorum fragmenta, 101-104 (fr. 31);M. TIeRNey, A new ritual of the orphic mysteries, CQ 16 (1922), 77-87; A. OLIVIeRI,Rituale di misteri recentemente scoperto, AAN 8 (1924), 273-305; O. SCHüTz, Zwei or-phische Liturgien, RhM 87 (1938), 241-267; FAUTH, Zagreus, cit., 2257-2260; A.I. JI-MéNez SAN CRISTóBAL, Los libros del ritual órfico, eClás 121 (2002), 109-123; eAD.,El ritual, cit., 746-749; JOURDAN, Orphée, cit., 207-208 (e n. 248).

39 Pace HeRReRO De JáUReGUI, Orphism, cit., 54-57, che riconosce l’esistenza di unlivello solo letterario di trasmissione della mitologia orfica, ma che tuttavia quando siriferisce a PSI 850 lo fa sempre in relazione a P.Gur. 1 e al rito connesso (p. 55), con-siderandoli una «ritual reactualization of the Titanic myth» (p. 357 n. 105): nulla di ciòche rimane nel PSI mostra che «the author’s intention was to interpret or transmit a

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sono nettamente distanti: il primo, del III sec. a.C., rappresenta unvero e proprio supporto del rituale; il secondo, invece, date le suecaratteristiche, va avvicinato piuttosto alle varie rielaborazioni mi-tografiche e letterarie sul tema, che mostrano forti analogie e rap-presentano prodotti dello stesso periodo cronologico. Il contenutodel PSI spinge infatti quasi esclusivamente in questa direzione: nonsi tratta di un testo funzionale al rito, ma più plausibilmente, comegli studiosi hanno in parte già messo in luce, di un brano mitogra-fico, che aveva presente e si serviva di testi orfici.

Le principali opere di raffronto per l’interpretazione dei parti-colari del mito testimoniato da PSI 850 sono rappresentate dai trat-tati apologetici di età imperiale che descrivono i misteri pagani, inparticolare il Protrettico di Clemente Alessandrino. L’opera con-tiene la prima trattazione estesa a noi conservata del mito di Dio-niso e i Titani e rappresenta la pietra di paragone migliore per l’a-nalisi e la contestualizzazione dei segmenti di mito in parte ricostruibilinel testo del nostro papiro. Nel corso della disamina dei misteri pa-gani che compie nel secondo libro (II 12-23.1), Clemente, allo scopodi esplicitarne l’inumanità, si sofferma sulle teletai di Dioniso, de-scrivendone alcuni particolari e sottolineandone la voluta mimeti-cità con il crudele mito dello sparagmos del dio come trattato dalpoeta Orfeo. In particolare, Clemente (II 17.2-18.2) narra di comei Titani si fossero introdotti nelle stanze in cui Dioniso giocava e,ingannandolo con alcuni giochi (paidariwvdesin ajquvrmasin), lo aves-sero fatto a pezzi. A questo punto l’autore si sofferma sulla naturadi questi paignia, citando due versi attribuiti a Orfeo: kw'no" kai;rJovmbo" kai; paivgnia kampesivguia, / mh'lav te cruvsea kala; par∆ ÔE-sperivdwn ligufwvnwn (II 17.2 [= Orph. fr. 306 B.]).40 A questi dueversi, l’autore sente la necessità di aggiungere una parafrasi perso-nale che però non risulta del tutto sovrapponibile alla citazione (aj-stravgalo", sfai'ra, strovbilo", mh'la, rJovmbo", e[soptron, povko", II

rite linked to this episode» (p. 55) e che questo testo sia una prova diretta della pre-senza di rituali orfici nell’egitto di età imperiale. La nuova datazione del papiro portaoltretutto a riconsiderare la sua posizione rispetto a Clemente e all’altra testimonianzapapiracea citata da Herrero (vd. supra nn. 6-7). Anche HORDeRN, Notes, cit., 140, ac-costa il PSI a P.Gur. 1 menzionandolo tra i paralleli di un uso rituale dello specchio,ma rileva tuttavia l’incertezza sull’esatta natura del testo in esso trasmesso.

40 In questa sezione del Protrettico sui misteri pagani, Clemente cita altri versi dapoemi orfici in II 20.3 (= Orph. fr. 395 [I] B.), sui quali vd. F. GRAF, Eleusis und dieorphische Dichtung Athens in vorhellenistischer Zeit, Berlin-New york, de Gruyter1974, 165-166, 194-199.

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18.1 [= Orph. test. 588 (I) B.]).41 Gli stessi oggetti si trovano ripe-tuti anche in Arnobio (Adv. nat. V 19 speculum turbines, volubilesrotulas et teretis pilas et virginibus aurea sumpta ab Hesperidibusmala [= Orph. fr. 306 app. (II), test. 588 (II) B.]), pressoché coevoal nostro papiro (sul cui legame con quest’ultimo, con Clemente econ le fonti in parte collegabili al Protrettico vd. infra). La naturadei singoli paignia e il motivo per cui citazione e parafrasi di Cle-mente non coincidono sono controversi e variamente discussi;42 im-porta qui sottolineare la presenza dello specchio (messo non a casoin prima posizione da Arnobio), che sembra avere un ruolo cen-trale in PSI 850 (vd. A 4-6). Questo paignion è infatti sempre men-zionato negli elenchi estesi delle fonti (da Clemente solo nella para-frasi) oppure rappresenta l’unico gioco citato nei resoconti piùsintetici (Jul. Firm. Mat. De err. VI 2 et crepundis ac speculo adfa-bre facto animos ita pueriles inlexit [= Orph. fr. 309 (VII) B.]; Nonn.D. VI 173 ajntituvpw/ novqon ei\do" ojpipeuv onta katovptrw/ [= Orph.vest. 308 (I) B.]; per e[soptron/kavtoptron vd. commento ad A 3-4),oltre a essere di norma l’unico oggetto raffigurato nelle testimo-nianze iconografiche;43 è, infine, sullo specchio che fa perno la let-

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41 Vd. O. LeVANIOUk, The toys of Dionysos, HSPh 103 (2007), 165-202, che os-serva: «Clement of Alexandria is the source of two more lists, one of Dionysos’ toysin myth, the other of the corresponding symbola». Per ognuno dei misteri trattati, Cle-mente fa seguire a una prima sezione sui miti (a volte con citazioni testuali) l’esposi-zione del rito a essi connesso; su questa struttura, vd. C. RIeDWeG, Mysterientermino-logie bei Platon, Philon und Klemes von Alexandrien, Berlin, de Gruyter 1987, 117-118.

42 In merito alle proposte di identificazione dei singoli giochi e al loro valore nelmito e nel rito, cfr. FAUTH, Zagreus, cit. 2259 e 2272-2274; WeST, Orphic poems, cit.,154-159; BeRNABé, PEG, II 1, 249-250; N. THeODOSSIeV, Cult clay figurines in ancientThrace: archeological evidence for the existence of Thracian Orphism, kernos 9 (1996),219-226; M. TORTOReLLI GHIDINI, I giocattoli di Dioniso tra mito e rituale, in Tra Or-feo e Pitagora. Origini e incontri di culture nell’antichità. Atti dei seminari napoletani1996-1998 (a cura di M. Tortorelli Ghidini et al.), Napoli, Bibliopolis 2000, 255-263, ein parte eAD., Un mito orfico, cit., 357; LeVANIOUk, The toys, cit. (in part. pp. 165-166n. 3, dove ribadisce, contra Tortorelli Ghedini, l’originaria pertinenza dei giochi al mitodi Dioniso e i Titani); JOURDAN, Orphée, cit., 205-207. Sul significato dell’espressionepaivgnia kampesivguia, V. MACCHIORO, Zagreus. Studi sull’orfismo, Bari, Laterza 1920[«Biblioteca di cultura moderna», 100], 105-110, seguito da e. RAPISARDA, Clementefonte di Arnobio, Torino, SeI 1939, 45-47, la riferisce, contro l’opinione del resto de-gli studiosi (che preferiscono pensare a bambole snodabili), a un oggetto che fa piegarele membra, ossia a uno specchio concavo: Clemente inserirebbe per questo la menzionedello specchio nella propria parafrasi.

43 Vd. LIMC VIII 1 (1997), s.v. Zagreus, n.i 2, frammento di tessuto dipinto (Pa-rigi, Louvre, da Antinoe, tardoantico); 3, pisside di avorio (Bologna, Mus. Civ. Pal.693, tardoantica); 4, rilievo in terracotta (Londra, BMD 534, di età augustea). In me-rito, cfr. e. SIMON, Zagreus. Über orphische Motive in Campanareliefs, in Hommagesà Albert Grenier (M. Renard éd.), Bruxelles-Berchem, Latomus 1962 («Collection La-

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tura neoplatonica di questo mito tanto importante per l’orfismo.44

Non è quindi anomala l’attenzione dimostrata dall’estensore del no-stro testo nei confronti di questo particolare del mito, né strano cheproprio su questo punto egli potesse soffermarsi in A, per poi ri-prendere con più celerità la narrazione in B. Dopo il doppio elencodei paignia, Clemente prosegue ricordando il furto del cuore di Dio-niso, che Atena sottrae ai Titani (vd. una possibile interpretazione diB 6). Questi, dopo aver fatto a pezzi il bambino, ne cuociono le carniprima facendole bollire e poi infilzandole su spiedi (vd. B 4-7); si ma-nifesta zeus (vd. forse in particolare B 8), che li fulmina e consegnai resti di Dioniso ad Apollo, ordinando di seppellirli (vd. B 9).

Dall’analisi condotta sul papiro sono evidenti le corrispondenzecon la vicenda come è testimoniata da Clemente, e in parte in ma-niera concorde da Arnobio e Firmico:45 data la compresenza di trat-tazioni del mito in autori cristiani nel periodo che va dal II al IVsec. d.C., e considerata la stretta interrelazione di questi testi e delleloro fonti, è lecito tentare di proporre delle ipotesi in merito al pos-sibile inserimento del PSI all’interno di questo quadro di rapporti,spesso complessi e mediati. Gli studi condotti di recente sul Pro-trettico di Clemente, opera che è supposta essere in parte alla basedi tutte le trattazioni (estese e antologiche) successive, da un latohanno delineato il particolare trattamento dell’orfismo da parte del-l’autore in chiave apologetica cristiana,46 dall’altro hanno appro-

tomus», 58), 1418-1427. Nei primi due casi è era a reggere lo specchio, come in Jul.Firm. Mat. De err. VI 2 (= Orph. fr. 309 [VII] B.), forse per simboleggiare il suo man-dato nella vicenda, mentre nel terzo il paignion è retto da un Titano. A questi si ag-giunga THeODOSSIeV, Cult clay, cit., 220-221, appliqué d’argento (tesoro di Letnitsa,IV sec. a.C.) in cui appare Dioniso-zagreo con in mano lo specchio (testimonianza diparticolare importanza per l’antichità).

44 Cfr. FAUTH, Zagreus, cit., 2274-2275; PéPIN, Plotin, cit.; A. TAGLIAPIeTRA, Lametafora dello specchio. Lineamenti per una storia simbolica, Milano, Feltrinelli 1991,20-22; BeRNABé, El mito órfico, cit., 592-594.

45 Oltre al comune riferimento ai paignia impiegati dai Titani per distrarre Dioniso,riassunti da Firmico tramite l’allusione a generali crepundia, nei due apologeti succes-sivi, in parte legati a Clemente (vd. infra), è presente la stessa sequenza narrativa. Siparla della cottura del dio (Firmico specifica in diverse modalità), del pasto dei Titani,del manifestarsi di zeus (in Arnobio attratto dal profumo del banchetto) e della puni-zione dei Titani (tramite l’incenerimento a opera del fulmine di zeus e la reclusionenel Tartaro per Arnobio, tramite diversi supplizi non specificati per Firmico; vd. BeR-NABé, El mito órfico, cit., 593 n. 14). Atena è invece presente solo in Firmico, mentreArnobio conclude il proprio resoconto con la punizione del misfatto. Vd. Arnob. Adv.nat. V 19 (= Orph. frr. 312 [III]; 318 [VII] B.); Jul. Firm. Mat. De err. VI 3-4 (= Orph.frr. 313 [III]; 314 [IV]; 318 [V]; 325 B.).

46 Vd. JOURDAN, Orphée, cit., che tratta della ricezione dell’Orfismo nell’opera di

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fondito il tema della sua fonte, che è stata identificata da Riedwege Herrero de Jáuregui in un trattato pagano non conservato sui mi-steri, basato a propria volta su un componimento orfico, una Teo-gonia, che i due studiosi datano approssimativamente al III sec.a.C.47 Senza entrare nel merito della questione, basti qui per la no-stra analisi postulare l’accesso da parte di Clemente a testi che dis-cutevano di miti e riti orfici e attingevano a materiale poetico le-gato al nome di Orfeo (senza escludere per questo la conoscenzadiretta da parte dell’apologeta di testi orfici). Considerata la pro-babile nuova collocazione cronologica del PSI, per un suo inqua-dramento nelle testimonianze del mito dionisiaco assumono un’im-portanza fondamentale le trattazioni di III e IV secolo di Arnobioe Firmico Materno e la loro reciproca posizione nel quadro gene-rale delle testimonianze. Prescindendo dal disaccordo degli studiosisulle relazioni più o meno dirette e univoche tra i singoli autori,48

quello che qui interessa è l’esistenza (sia diretta sia mutuata) di unaforma di dipendenza da parte di Arnobio e Firmico da Clemente eda parte di Firmico da Arnobio. A ciò va accostata senza dubbio lapresenza per i due autori più recenti di riprese da altri testi che di -scutevano dei miti e dei riti pagani da una prospettiva sia laica (comeper esempio testi di impostazione evemeristica noti a Firmico), siadi stampo apologetico (in questo caso probabilmente non solo trat-

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Clemente, in part. pp. 195-211. Cfr. anche J.-M. ROeSSLI, Convergence et divergencedans l’interprétation du mythe d’Orphée. De Clément d’Alexandrie à Eusèbe de Césa-rée, RHR 219 (2002), 503-513.

47 L’analisi dei due studiosi abbraccia la sezione del libro II del Protrettico dedicataall’esposizione dei misteri pagani (II 12-23.1), individuata come parte a sé stante basatasu un’unica fonte. Vd. RIeDWeG, Mysterienterminologie, cit., 117-120, che parla, per lasuddetta fonte dotta, di una «im Mythischen stark orphisch geprägte Mysterienab-handlung» composta da un autore ateniese in età ellenistica (a questo periodo riman-derebbero l’ordinamento alfabetico degli dei trattati, la menzione di Apollodoro diAtene e la citazione di versi orfici, per cui cfr. anche II 20-21.1). Vd. anche HeRReRO

De JáUReGUI, Orphism, cit., 147-159 e ID., Las fuentes de Clem. Alex., cit., che pro-pone due nomi di possibili autori (Arignote e Apollonio di Letopolis). Sull’identifica-zione dell’autore del trattato intermedio nonché sulla natura diretta del rapporto traquesto e il supposto poema orfico alla base, sarebbe necessaria tuttavia maggiore cau-tela, dal momento che, per esempio, Herrero postula una discendenza diretta tra l’i-potetica Teogonia e il trattato sui misteri, entrambi non conservati, basandosi solamentesulla presenza di citazioni poetiche in Clemente.

48 Oltre a HeRReRO De JáUReGUI, Tradición órfica e Las fuentes de Clem. Alex.,citt., cfr., per il rapporto tra Clemente, Arnobio e Firmico, RAPISARDA, Clemente, cit.;Firmicus Maternus. L’erreur des religions païennes, éd. R. TURCAN, Paris, Les BellesLettres 1982, 49-52 e F. MORA, Arnobio e i culti di mistero. Analisi storico-religiosa delV libro dell’Adversus nationes, Roma, L’erma di Bretschneider 1994 (in part. pp. 156-162).

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MARTA CARDIN - LeyLA OzBek

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tati veri e propri, come il Protrettico clementino, ma anche reper-tori di argomenti utili all’apologetica cristiana). Le testimonianze diArnobio e Firmico evidenziano dunque la circolazione in ambitocristiano di testi che trattavano dei miti e dei misteri pagani, forsein questo periodo già nella forma, come nota Herrero, di antologieo repertori che potessero essere finalizzati a una critica apologeticadella religione pagana.49

Gli aspetti codicologici del PSI qui analizzato, i quali spingonoverso l’ipotesi che si tratti di un testo di consultazione e di buonadiffusione (vd. supra, § I), la sua probabile datazione e il suo con-tenuto permettono di sostenere con buon grado di probabilità unasua collocazione tra i testi (trattati mitografici conchiusi oppure re-pertori di vicende mitiche antiche) che circolavano nello stesso pe-riodo di attività di questi due polemisti cristiani, testi di stamposemplicemente erudito oppure, con forse minore probabilità, già diambito apologetico, da cui autori simili avrebbero potuto trarre utiliargomenti per le proprie trattazioni contro la mitologia e la reli-gione pagana.

49 In merito, si veda anche lo schema di HeRReRO De JáUReGUI, Las fuentes deClem. Alex., cit., 50 (e Orphism, cit., 159).

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