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ISBN: 978-88-13-31550-4 IL PARERE DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA SULLA DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA DEL KOSOVO UN’ANALISI CRITICA a cura di Lorenzo Gradoni Enrico Milano 2011

Questa non è una dichiarazione di indipendenza

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ISBN: 978-88-13-31550-4

IL PARERE DELLA CORTEINTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA

SULLA DICHIARAZIONE DIINDIPENDENZA DEL KOSOVO

UN’ANALISI CRITICA

a cura diLorenzo GradoniEnrico Milano

2011

lorEnzo Gradoni

CONCLUSIONI: QUESTA NON È UNA DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA

Il vecchio ministro entrò nel salone dove i due truffa-tori stavano lavorando con i due telai vuoti. « Dio mi protegga! » pensò, e spalancò gli occhi, « non riesco a vedere niente! ». Ma non lo disse.

andErsEn, I vestiti nuovi dell’imperatore

soMMario: 1. Rileggendo il parere. – 2. Una dichiarazione in cerca di autori. – 3. La Corte in difficoltà. – 4. La via d’uscita secondo gli Stati Uniti. – 5. La versione di Cançado. – 6. Trompe l’œil. – 7. Un’innocenza impossibile.

1. rilEGGEndo il ParErE

È colpa dei serbi. Se la Corte internazionale di giustizia ha reso un parere da molti ritenuto deludente è perché i serbi l’hanno costretta, re-digendo il quesito « malamente » oltre che in modo contrario ai loro stessi interessi, sostiene un autore, per il quale la circostanza « resta un mistero »1. Stolti, incompetenti, autolesionisti? O è stata forse la loro la-tente aggressività, come suggerisce un altro autore, a privare la Corte di qualsiasi possibilità di scelta quanto all’esito del procedimento? Dichia-rare illecita (o invalida) la dichiarazione di indipendenza del Kosovo

might have inspired Serbian actors to propagate a reconquista of Kosovo with military means. Against such a spectre, the Court did not have a real choice, if it did not want to place its own legal, moral, and political authority at risk2.

1 christakis, The ICJ Advisory Opinion on Kosovo: Has International Law So-mething to Say about Secession?, in LJIL, 2011, p. 75 (« it remains a mystery why Serbia drafted this question in such a poor manner and in a way that was detrimental to its in-terests »).

2 PEtErs, Does Kosovo Lie in the Lotus-Land of Freedom?, ivi, p. 108.

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Come dire che i giudici hanno risparmiato alla Serbia un altro bom-bardamento. Comunque sia, queste ricostruzioni non convincono. Il fat-to che la Corte appaia più di una volta in seria difficoltà, nell’intessere il ragionamento che la conduce a « certificare » la liceità della dichiarazio-ne di indipendenza, non dovrebbe indurre a sospettare che il governo serbo abbia confezionato un quesito per nulla « spuntato » e anzi scomo-do, compiendo forse la migliore delle mosse diplomatiche possibili, te-nuto conto che la domanda di parere avrebbe dovuto raccogliere il con-senso di una maggioranza sufficiente in seno all’Assemblea generale?3 La Corte « si diverte a trovare cavilli », s’è detto a proposito di alcu-ni passaggi salienti del parere4. L’impressione, però, è che la Corte non si sia affatto divertita nel redigere una motivazione che è un’estenuante serie di « schivate ». D’altronde, considerare meramente lecito un atto paradigmaticamente eversivo – alcuni individui (certo, particolarmente qualificati) dichiarano l’indipendenza di un territorio sul quale le Na-zioni Unite esercitano provvisoriamente un’autorità piena, senza essere da queste autorizzati – sembra una prodigiosa acrobazia, tanto più se si considera che la Corte la esegue senza cercare appoggio in principi abi-litanti di ordine superiore, come quello dell’autodeterminazione dei po-poli5.

Il parere sulla dichiarazione di indipendenza del Kosovo è un sag-gio di destrezza argomentativa. Negli snodi critici la maggioranza sem-bra trovare, se non la « risposta giusta », una soluzione non meno di-fendibile di altre6. A un certo punto, è vero, l’impianto della pronuncia s’incrina: la Corte non riesce a spiegare perché la dichiarazione di indi-pendenza sarebbe « indifferente » dal punto di vista dell’ordinamento vigente in Kosovo alla data critica. Ma c’è di più. Rileggendo il parere si

3 christakis, op. cit., p. 77, prova a formulare il (triplice) quesito che a suo avviso avrebbe meglio servito gli interessi della Serbia: 1) se le Istituzioni provvisorie di autogoverno fossero competenti a dichiarare l’indipendenza del Kosovo; 2) se il Kosovo fosse titolare del diritto all’autodeterminazione e, in caso di risposta affermativa, 3) se potesse esercitarlo tramite secessione. Credo che la Serbia avrebbe rifiutato un simile suggerimento. Nel primo caso la risposta, un ovvio « no », avrebbe indotto la leadership kosovara a dichiarare di aver agito in un’altra veste, dicendo peraltro il vero (cfr. infra, § 2) e vanificando l’iniziativa del governo serbo. Quanto ai quesiti secondo e terzo, è lecito chiedersi se potessero trovare il consenso necessario in seno all’Assemblea generale, per non parlare del rischio che la Corte rispondesse affermativamente!

4 conforti, La risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza e il parere della Corte internazionale di giustizia sul Kosovo, in RDI, 2010, p. 1129.

5 Cfr. supra, il contributo di PErtilE.6 Come nel caso, credo, della definizione del campo d’applicazione del principio

di integrità territoriale (cfr. supra, il contributo di casolari).

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può notare un « dettaglio » così macroscopico da risultare invisibile, co-me la curvatura della superficie terrestre allo sguardo di chi la calca, e che riguarda la qualificazione dell’atto sottoposto al vaglio della Corte: la dichiarazione di indipendenza7. Non parlerei di un difetto, né di col-pe, perché, in effetti, la Corte non poteva dire di vedere ciò che – pre-sumo – vedeva. Costretta? Sì, in un certo senso, ma non dall’incombere di una « reconquista » serba. In un caso del genere, le cause efficienti so-no altre. Comunque sia, il parere ha attratto critiche di tutt’altro genere.

La Corte è stata contestata, anche dall’interno (si avverte indigna-zione nel dissenso espresso da alcuni giudici), per aver riqualificato l’i-dentità degli autori della dichiarazione di indipendenza: secondo la ri-chiesta di parere a pronunciarla sono state le Istituzioni provvisorie di autogoverno create dall’UNMIK8; per la Corte, invece, il fatto è impu-tabile a un ente esponenziale del popolo kosovaro estraneo alla cornice istituzionale costruita sulle fondamenta della risoluzione 1244 (1999)9. La Corte ha ragione. Vediamo perché.

2. una dichiarazionE in cErca di autori

Nessuno contesta alla Corte il potere di sovvertire una qualificazio-ne dei fatti operata dall’organo che sollecita il parere10. Sul punto la giu-

7 Nell’Introduzione al volume, Milano denuncia una sorta di smobilitazione del diritto internazionale dinanzi al caso del Kosovo. In queste conclusioni si segnalerà invece una sorta di cecità dei giudici (inclusi i dissenzienti) rispetto all’« oggetto » del parere, la dichiarazione di indipendenza, una perdita di contatto con i « fatti » ancor prima che con le norme.

8 Parere consultivo del 22 luglio 2010, Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, http://www.icj-cij.org, par. 1: « Is the unilateral declaration of independence by the Provisional Institutions of Self-Government of Kosovo in accordance with international law? ».

9 Ivi, par. 109.10 Sul punto v., in sintesi, diVac öBErG, The Legal Effects of Resolutions of

the UN Security Council and General Assembly in the Jurisprudence of the ICJ, in EJIL, 2005, pp. 890-892. Nemmeno chi si è espresso criticamente sulla riqualificazione ha negato che la Corte avesse il potere di procedervi. Ad es., kohEn, dEl Mar, The Kosovo Advisory Opinion and UNSCR 1244 (1999): A Declaration of ‘Independence from International Law’?, in LJIL, 2011, pp. 116-118, si limitano a sostenere che per sovvertire una qualificazione dei fatti effettuata dall’organo richiedente il parere sono necessari solidi elementi di prova che, nel caso di specie, c’erano ma, a loro avviso, smentivano le conclusioni raggiunte dalla Corte, la quale si sarebbe inopinatamente rifiutata di chiamare « a spade a spade » (ma la questione è più complessa, come subito vedremo). Si esprime dubitativamente, invece, yEE, Notes on the International Court of Justice (Part 4): The Kosovo Advisory Opinion, in Chinese JIL, 2010, p. 771, secondo il quale, « [e]ven assuming the question as reformulated by the Court were a better one, one wonders

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risprudenza è inequivoca11. Quanto ai principi, le determinazioni del ri-chiedente non vincolano la Corte e, se questa intende fornirgli indicazio-ni utili, come deve, è tenuta innanzitutto a correggere le false premesse da cui muove la richiesta12. Non sono pochi, tuttavia, coloro che riten-gono che a sbagliarsi sull’identità degli autori della dichiarazione di in-dipendenza sia stata non l’Assemblea generale ma la Corte13.

Questo il principale argomento dei critici: l’imputazione del fatto a un soggetto agente extra ordinem discenderebbe dall’applicazione di un test di tipo soggettivo, incentrato sull’intenzione di chi ha concorso alla proclamazione dell’indipendenza, mentre la qualificazione avrebbe do-vuto compiersi in base a criteri oggettivi14. Ma poiché qui si tratta di fat-ti istituzionali e non di fatti bruti, l’intenzione, anche e soprattutto quel-la dei dichiaranti, è un ingrediente necessario della loro identità istitu-

whether the [UN General Assembly] is necessarily not entitled to an answer to a not-so-good question ». Si può forse sostenere che l’Assemblea generale avrebbe il diritto di pretendere risposta a un quesito « pessimo », ossia fondato su premesse erronee, solo qualora lo formulasse in termini ipotetici (« Supponendo che la dichiarazione di indipendenza sia imputabile alle Istituzioni provvisorie di autogoverno … »). Ciò non è accaduto nel caso di specie: essendosi l’Assemblea espressa in termini perentori, non si poteva presumere che fosse interessata a chiarirsi le idee su una questione « teorica » e non invece sulla situazione giuridica concreta e quindi rilevante sul piano pratico (cfr. infra, nota 12).

11 Per una ricognizione esaustiva v. supra, il contributo di Bonafè. Cfr. diVac öBErG, The Legal Effects of United Nations Resolutions in the Kosovo Advisory Opinion, in AJIL, 2011, p. 83.

12 Così, in sintesi, diVac öBErG, op. cit. (nota 11), p. 84: « An advisory opinion premised on an incorrect factual basis would at best be of questionable legal assistance to the requesting party ».

13 Limitandomi qui a dar conto del dissenso espresso all’interno della Corte, ricordo che, per il giudice Tomka, a dichiarare l’indipendenza sarebbero state le Istituzioni provvisorie di autogoverno in seduta congiunta, quindi un’istanza non contemplata dal Constitutional Framework ma in qualche modo incardinata nello schema istituzionale da questo definito (parere consultivo del 22 luglio 2010, Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, cit., dichiarazione del Vicepresidente Tomka, par. 16); in senso analogo v. opinione dissenziente del giudice Bennouna, par. 31; secondo Sepúlveda-Amor a esprimersi sarebbe stata l’Assemblea del Kosovo agente « in nome del popolo kosovaro », un richiamo diretto alla volontà popolare che non inciderebbe sull’identità del dichiarante pur spiegando le anomalie riscontrabili nella procedura seguita (opinione separata del giudice Sepúlveda-Amor, par. 32). V. anche l’opinione separata del giudice Koroma, par. 19, che definisce la riqualificazione « judicial sleight-of-hand ».

14 In questo senso v. l’opinione separata del giudice Koroma, par. 5. Per un’adesione (tutt’altro che isolata) a questo punto di vista v. tricot, sandEr, The Broader Consequences of the International Court of Justice’s Advisory Opinion on the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, in Columbia JTL, 2011, p. 360.

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zionale15. L’intenzione è però inaccessibile per via diretta e ricostruibi-le solo a partire dalle tracce « documentali » che lascia: perciò non può considerarsi sufficiente16. Ed è proprio sul piano (obiettivo) dell’analisi documentale che la Corte si è mossa. È vero che la traccia più rilevan-te, ossia il testo della dichiarazione di indipendenza, così come le circo-stanze della sua adozione (anch’esse ampiamente documentate), conten-gono indizi contraddittori: un vero pasticcio! Le tracce che sembrano attestare l’adozione dell’atto da parte dell’Assemblea del Kosovo o delle Istituzioni provvisorie di autogoverno non mancano17; ma non mancano nemmeno gli indizi, forse non altrettanto numerosi ma cospicui, del fat-to che i dichiaranti intendessero agire in qualità di organo costituente18. Se, tuttavia, ci si concentra troppo sui dettagli – per esempio, sottoline-ando che la « dichiarazione di indipendenza » era contemplata nell’or-dine del giorno dell’Assemblea, come se ciò potesse neutralizzare, assie-me ad altre analoghe goffaggini procedurali, quella sorta di « We the People » che apre la dichiarazione – si rischia di perdere di vista il senso complessivo dell’evento. Che è palese: i dichiaranti intendevano rompe-re con l’ordinamento vigente e quindi proporsi come soggetto rivoluzio-

15 Alludo qui alla nota distinzione tra brute e institutional facts elaborata, tra gli altri, da sEarlE, The Construction of Social Reality, Penguin, London, 1996, pp. 27-29. Affinché un fatto istituzionale esista è necessario che una qualche forma di intenzionalità (collettiva o intersoggettiva) intervenga a costituirlo, imputando a un fatto bruto (un essere umano, per esempio) una qualità che esso altrimenti non possiede (per esempio, essere Presidente della Repubblica). Se, in un determinato contesto, un gruppo di persone non intendesse essere (o agire in qualità di) « Assemblea del Kosovo » – o meglio, come si preciserà in seguito nel testo, non esibisse quell’intenzione – non potrebbe considerarsi tale in quel frangente. Se un testo intitolato « dichiarazione di indipendenza » fosse scaturito da un ciclostile impazzito non si sarebbe potuto parlare di una vera e propria dichiarazione di indipendenza e tanto meno vedere nel ciclostile un portavoce del popolo kosovaro.

16 Cfr., per ulteriori indicazioni in questo senso, fitzPatrick, The Self-defeating Nature of Internalism with Respect to Social Facts, in American Journal of Economics and Sociology, 2003, p. 45 ss.

17 Per un ricco inventario v. Written Comments of the Government of the Republic of Serbia, 14 luglio 2009, pp. 21-23.

18 La Corte segnala, tra l’altro, che l’atto è stato firmato in calce da tutte le persone partecipanti alla proclamazione, non è stato trasmesso al Rappresentante speciale del Segretario generale né pubblicato sulla Gazzetta ufficiale delle Istituzioni provvisorie di autogoverno (parere consultivo del 22 luglio 2010, Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, cit., par. 76). Per i motivi che illusterò infra, § 6, l’aggettivo « costituente », se riferito all’organo che ha proclamato l’indipendenza del Kosovo, deve essere preso cum grano salis. Qui è utilizzato per qualificare un ente che intende marcare una rottura rispetto all’ordinamento vigente.

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nario19. Definire il loro gesto « ultra vires » significa sminuire l’accaduto sul piano politico-simbolico, niente di più.

A ciò si potrebbe obiettare – ricavando la soluzione, per analogia, dalla regola sull’attribuzione degli atti ultra vires allo Stato (o all’organiz-zazione internazionale) – che il criterio decisivo, quando occorre stabili-re se l’autore della condotta antigiuridica abbia agito in una determinata veste, non è l’intenzione dell’individuo-organo che ha commesso il fatto bensì « l’apparenza » dell’esercizio di certe funzioni pubbliche20. Ma co-me si determina l’apparenza? Se si guarda al modo in cui soggetti « ter-zi » – la Serbia, vari altri Stati, il Segretario generale delle Nazioni Unite ecc. – hanno descritto l’identità degli autori della dichiarazione di indi-pendenza21, si ha la sensazione che quasi tutti abbiano creduto di vedere all’opera l’Assemblea kosovara o comunque enti riconducibili al quadro istituzionale creato dall’UNMIK22. La Corte si sarebbe dunque sbaglia-

19 Il senso complessivo dell’evento è palese sotto il profilo qui indicato. Altre sue importanti sfaccettature lo sono assai meno: v. infra, §§ 5-7.

20 Così tancrEdi, Il parere della Corte internazionale di giustizia sulla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, in RDI, 2010, pp. 1045-1046.

21 Per inciso: un’analisi focalizzata sull’« apparenza » non implica che si debba considerare determinante il modo in cui i terzi percepiscono il fatto. Anche l’apparenza è un dato obiettivo. Infatti, quando si tratta di stabilire se un individuo-organo abbia agito nell’esercizio delle sue funzioni ai fini dell’eventuale attribuzione del fatto illecito, non ci si chiede come la situazione sia in fatto apparsa ma come sarebbe dovuta apparire date le circostanze del caso.

22 Cfr. tancrEdi, op. cit., pp. 1046-1047; un’impostazione analoga ispira la dichiarazione del Vicepresidente Tomka, par. 12. Se ci si affida ai resoconti degli astanti bisogna tener conto di due problemi: 1) quello della definizione del « pubblico » rilevante; 2) quello della capacità e dell’intenzione dell’autore del resoconto di applicare le regole che dovrebbero presiedere alla qualificazione. Quanto al primo problema, ci si potrebbe chiedere perché rilevi il punto di vista della Serbia, degli Stati Uniti, di Ban Ki-moon ecc., e non, per esempio, quello delle persone che il 17 febbraio 2008 festeggiavano l’indipendenza per le strade di Pristina. È una questione di competenza? Ma in tal caso, quale sarebbe il criterio da applicare per delimitare la cerchia degli esperti? E, anche qualora sia un esperto a esprimersi – e veniamo così al secondo problema – resterebbe da chiedersi se costui o costei intendesse compiere una qualificazione giuridica del fatto e non soltanto usare una certa denominazione (per esempio, « Assemblea del Kosovo ») per comodità se non addirittura… distrattamente. Si consideri, infine, il caso dell’uomo della strada. Un consulente del governo serbo lo avvicina per chiedergli chi, secondo lui, abbia dichiarato l’indipendenza: « È stata forse l’Assemblea del Kosovo? ». « Sì, certo, i nostri rappresentanti! ». « Vuol dire che a occuparsene sono state le Istituzioni provvisorie di autogoverno? ». « Non capisco, sì, forse… ». « Perché in tal caso i suoi rappresentanti avrebbero agito al di fuori delle loro competenze, se ne rende conto? ». « Non proprio… ma questo cosa significa ? ». « … che la dichiarazione è nulla e non avvenuta ». « Ma certo che è avvenuta! ». « Eh no! Secondo diritto… ». « …mi scusi, non afferro il problema ». « Vedo… comunque, tutto dipende da chi ha dichiarato l’indipendenza ». « Allora può dirmi per cortesia chi dovrebbe aver dichiarato l’indipendenza per fare sì che, come

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ta. Tuttavia, quando si tratta di accertare un fatto – un fatto istituziona-le in questo caso – il punto di vista degli astanti è in ultima analisi irrile-vante23. Due esempi possono contribuire a chiarire questo punto.

Qualcuno è eletto Presidente del Kosovo (un fatto istituzionale). Nel preciso istante in cui si conclude la relativa procedura, il mondo in-tero, tranne l’eletto, è colpito da amnesia (circoscritta a quel singolo e-vento). L’eletto rivendica il suo status ma nessuno gli crede, finché qual-cuno non recupera le tracce documentali che attestano senza possibilità di equivoco che il soggetto in questione, anche mentre lo si cacciava dal palazzo presidenziale, quindi a prescindere dal modo in cui gli altri per-

lei dice, la dichiarazione sia, ehm… avvenuta? ». « Beh… un organo rivoluzionario, un’assemblea costituente… ». « Ora capisco! Sì, le cose sono andate proprio così, come lei ha appena detto… ». Cfr. ylikoski, MäkElä, We-attitudes and Social Institutions, in Social Facts and Collective Intentionality (a cura di Meggle), Hänsel, Frankfurt, 2002, p. 464: « It is evident that most people have a very sketchy understanding of the social rules that they follow ». Se li si aiuta a comprendere possono cambiare idea.

23 Preciserò in seguito la portata di questa affermazione (v. infra, nota 30). Qui mi limiterò a illustrarne sommariamente i presupposti teorici. Prendo in parte spunto dall’ontologia dei fatti sociali (e istituzionali) sviluppata, anche in polemica con Searle e con il ruolo che questi attribuisce all’intenzionalità collettiva nella costruzione della realtà sociale (v. supra, nota 15), da fErraris, Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, Laterza, Roma-Bari, 2009, dove si propone, per i fatti sociali, la regola « Oggetto = Atto Iscritto », secondo la quale « [g]li oggetti sociali conseguono dalla registrazione di atti che coinvolgono almeno due persone e che sono caratterizzati dal fatto di essere iscritti su un supporto fisico qualunque, dal marmo ai neuroni » (p. 176). La registrazione (o iscrizione) permette di transitare dalla praxis (l’atto di promettere, per esempio) alla poiesis, cioè alla costituzione di un oggetto (la promessa): « [c]iò che assicura che si abbia una poiesis e non semplicemente una praxis è per l’appunto l’iscrizione e la sua sopravvivenza all’atto su di un qualche supporto » (ivi, p. 185). Si perviene così, ed è questo il punto che più interessa, a ridimensionare il ruolo dell’intenzionalità collettiva: « quell’intenzionalità così oscura e inafferrabile è deposta non nella testa ma nei testi … se davvero il collante della realtà sociale è l’intenzionalità collettiva, cosa ce ne facciamo dei documenti? Dobbiamo semplicemente considerarli dei promemoria delle attribuzioni di ruoli e funzioni che compiamo collettivamente? Non avrebbe senso, perché se questa intenzionalità collettiva fa e disfa a suo piacere … non si vede perché fissarne dei momenti destinati comunque a essere superati » (ivi, p. 170). Tuttavia, come lo a. stesso riconosce, la traccia documentale, il testo, non spiega tutto: « [n]on che le iscrizioni siano onnipotenti: c’è bisogno di una società, ossia di una comunità di persone disposte a riconoscerle come valide e vincolanti e ad agire di conseguenza. È all’interno di una società che un po’ di parole … o una cosa scritta … diventano qualcosa di rilevante, e costruiscono un oggetto sociale » (ivi, p. 263). A un’efficace articolazione tra iscrizione e riconoscimento si può pervenire considerando la realtà sociale come complesso di « artefatti », oggetti inconcepibili senza intenzioni o credenze ma nemmeno in balìa di queste ultime perché dotati di oggettività storica: un cacciavite resta un cacciavite anche in un mondo senza (memoria di) viti; l’architrave di un tempio neolitico resta tale anche se nessuno ormai vi vede altro che un masso adagiato su un prato. La tesi è di roVErsi, The Creative Power of Norms. An Essay on Constitutive Rules and Institutions, Springer, Berlin, 2012 (in corso di pubblicazione).

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cepivano la sua identità, era il Presidente del Kosovo (che gli smemorati gli impedissero di esercitare le sue funzioni è un’altra faccenda).

Un altro esempio: i membri albanesi dell’Assemblea sono tutti soci di un golf club (finanziato dall’Ufficio di rappresentanza degli Stati U-niti a Pristina), il « Newborn », i cui locali erano ancora in allestimento al momento della dichiarazione di indipendenza. Poiché urge adottare il regolamento del club, il presidente propone di sfruttare la sede dell’As-semblea, di seguirne almeno in parte il rito e di affidare ai commessi il compito di redigere un verbale su carta intestata dell’Istituzione, perché è portata di mano, certo, ma anche perché il dettaglio impreziosirà gli annali del club. Chi mai potrebbe credere che è stata l’Assemblea e non un altro ente a occuparsi, tra l’altro, della procedura per la prenotazione della sala del biliardo? Se qualcuno lo credesse, semplicemente si sba-glierebbe. Se lo credessero tutti, l’errore, per quanto corale, resterebbe rilevabile consultando le tracce documentali dell’evento.

Il caso della dichiarazione di indipendenza (e dell’identità dei di-chiaranti) è analogo, nel senso che non richiedeva di stabilire se gli auto-ri materiali dell’atto avessero agito in veste ufficiale o a titolo personale24 – come paradigmaticamente avviene nella casistica rilevante in materia di attribuzione della condotta ultra vires25 – ma in quale veste ufficiale operassero: organo rivoluzionario o istituzioni espressive di una (limita-ta) autonomia locale e comunque completamente soggette all’autorità di ente esterno?26 L’adozione di un atto come la dichiarazione di indipen-denza del 17 febbraio 2008 è, per riprendere la terminologia della Com-missione di diritto internazionale, una condotta « so removed from the scope of their official functions »27, ossia delle prerogative conferite alle Istituzioni provvisorie di autogoverno, che imputarla a queste ultime sa-rebbe poco credibile in mancanza di indizi consistenti e tendenzialmen-te univoci28. Si tratta invece di un atto tipico di enti che intendono creare

24 Cfr. conforti, Diritto internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 20108, p. 18.

25 Cfr. il commento all’art. 7 degli articoli sulla responsabilità degli Stati, in YILC, 2001, vol. II, parte 2, pp. 46-47.

26 Cfr. parere consultivo del 22 luglio 2010, Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, cit., par. 102.

27 YILC, 2001, p. 46, par. 7.28 A questo proposito sono di un certo interesse le precisazioni contenute nel

commento all’art. 8 degli articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali: « The key element for attribution in article 7 on the responsibility of States for internationally wrongful acts is the requirement that the organ or agent acts “in that capacity”. This wording is intended to convey the need for a close link between the ultra

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una nuova realtà ordinamentale29. Comunque sia, nel compiere l’accer-

vires conduct and the organ’s or agent’s functions. … In order to make this point clearer, the present article expressly specifies the requirement that the organ or agent of an international organization “acts in an official capacity and within the overall functions of that organization” » (Report of the International Law Commission on the Work of its Sixty-third Session (2011), in Official Record of the General Assembly, Sixty-sixth Session, Supplement no. 10, A/66/10, p. 92, par. 4). Che è come dire che il manifesto esorbitare dalle funzioni assegnate è un segno importante e forse decisivo dell’assenza di connessione tra organo e fatto. Si noti, per curiosità, che insistendo sulla natura ultra vires della dichiarazione di indipendenza, kohEn, dEl Mar, op. cit., pp. 110, 119-121, finiscono per accreditare la singolare ipotesi secondo cui la Corte avrebbe condonato un golpe tutto interno alle Nazioni Unite (gli a., infatti, sostengono che le Istituzioni provvisorie di autogoverno sono organi sussidiari dell’organizzazione). È interessante notare che un’autorevole dottrina costituzionalistica, muovendo da una prospettiva ovviamente diversa da quella fornita dalla teoria dell’illecito internazionale, perverrebbe anch’essa alla tesi della non imputabilità della dichiarazione di indipendenza alle Istituzioni provvisorie di autogoverno. Cfr. PacE, Potere costituente, rigidità costituzionale, autovincoli legislativi, CEDAM, Padova, 20022, pp. 105-106: « l’iter procedimentale per l’instaurazione del nuovo ordine [può avvenire] nell’apparente legalità (se non altro per facilitare la legittimazione del nuovo). Ciò tuttavia non riesce a nascondere … che l’organo del precedente ordinamento che adotta le decisioni atte ad instaurare il nuovo ordine non trova più nel precedente ordinamento “l’investitura del suo potere, e quindi non agisce (più) come suo organo”, ma come organo provvisorio del nuovo ordine » (la frase citata è di Mortati, La Costituente [1945], in id., Raccolta di scritti, Giuffrè, Milano, 1972, vol. I, p. 121).

29 Ci si è chiesti, a giusto titolo, « da quale strumento normativo gli “eletti” [cioè i membri dell’Assemblea proclamatisi « the democratically-elected leaders of our people » (N.d.A.)] traessero in quel momento, cioè la data critica del 17 febbraio 2008 (e non ex post facto) la loro veste ed autorità se non dal quadro costituzionale? » (tancrEdi, op. cit., p. 1047). Non esistevano all’epoca atti formali istitutivi di un ente esponenziale del popolo kosovaro. Ma ciò non esclude che operassero altri canali di legittimazione, di conferimento dell’autorità. Si può sostenere, infatti, che le Istituzioni provvisorie di autogoverno, o meglio, gli individui-organi eletti o nominati secondo le procedure dettate dal quadro costituzionale creato dall’UNMIK (perlomeno quelli appartenenti alla maggioranza albanese), abbiano da subito (o ben presto) occupato l’intersezione tra due circuiti di legittimazione: uno di carattere formale, definito dal quadro istituzionale e posto sotto la tutela delle Nazioni Unite; l’altro di natura informale, costituito alla base dal « popolo kosovaro » e al vertice da leaders politici indipendentisti, scelti per convenienza mediante il meccanismo elettorale operante sotto l’egida dell’UNMIK ma detentori di un mandato sostanzialmente eversivo dell’ordine (provvisoriamente) costituito, come pure della sovranità (nominale) della Serbia. L’esistenza di questo duplice circuito non è un segreto. Può essere tuttavia interessante menzionarne almeno una traccia. Il 3 febbraio 2003 fu reso noto – e inserito nell’ordine del giorno di una successiva riunione dell’Assemblea (come nel caso della dichiarazione del 2008) – un progetto di dichiarazione di indipendenza nel cui preambolo si ricordano, non le prerogative che il Constitutional Framework conferisce all’Assemblea, ma la lunga lotta per la libertà del popolo kosovaro, il referendum sull’indipendenza del 1991 e la guerra di liberazione condotta dall’UÇK. Sempre nel preambolo si parla della costituzione, « by the vote of citizens », dei « legitimate and legal organs of power in Kosova », frase che sembra attribuire alle elezioni un significato che trascende il limitato orizzonte delle Istituzioni provvisorie di autogoverno. Infine, il dispositivo della dichiarazione

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tamento, alle impressioni di coloro che hanno assistito all’evento si do-vrebbe attribuire rilevanza probatoria solo nella misura in cui non sia di-sponibile traccia documentale diretta dell’atto in questione, il suo « og-getto » costitutivo, per così dire: l’iscrizione della dichiarazione di indi-pendenza30. La Corte ha quindi fatto bene a concentrarsi su quest’ulti-ma, raggiungendo di conseguenza conclusioni che appaiono condivisi-bili. Non lo sono altrettanto le implicazioni che ne ha tratto.

3. la cortE in difficoltà

Sostiene la Corte che gli autori della dichiarazione di indipenden-

è introdotto dalla seguente frase (formulata proprio così): « The Assembly of Kosova declares that: kosoVa, a dEMocratic, indEPEndEnt and soVErEiGn statE of its all citizEns » (Dossier Submitted on Behalf of the Secretary-General Pursuant to Article 65, paragraph 2, of the ICJ Statute, http://www.icj-cij.org, n° 188). La denominazione « Assembly of Kosova » non compare nel regolamento UNMIK che definisce il quadro istituzionale (è noto che, per ovvi motivi, la parola « Kosovo » fu usata in quel documento con estrema parsimonia, facendo un’eccezione per il « President of Kosovo » allo scopo, si può supporre, di distinguerlo dai Presidenti di altri organi). Comunque sia, anche in assenza di un circuito di legittimazione parallelo rispetto a quello gestito dall’UNMIK, e quindi di un ente effettivamente riconosciuto dal popolo kosovaro quale legittimo promotore della causa indipendentista, l’atto compiuto dai (in tal caso) sedicenti « democratically-elected leaders of our people » non sarebbe comunque attribuibile alle Istituzioni provvisorie di autogoverno, mancando l’intenzione di agire in quella veste ed essendo tale carenza sufficientemente attestata dall’atto.

30 Cfr. fErraris, Social Ontology and Documentality, in Approaches to Legal Ontology (a cura di Sartor, Casanovas e Biasotti), Springer, Berlin, 2011, p. 91 (« social objects … depend on social acts, whose inscription constitutes the object »). I resoconti dei soggetti non coinvolti nella « produzione » del fatto istituzionale non sono del tutto irrilevanti, perlomeno sul piano empirico-pragmatico. Immaginiamo che si sia smarrita ogni traccia documentale dell’elezione del Presidente « dimenticato » del nostro primo esempio. Godendo egli di grande considerazione presso la sua comunità (che però non ricorda di averlo eletto Presidente), il Parlamento decide di avviare un’inchiesta e convoca a tal fine vari testimoni. Questi, per quanti sforzi facciano (anch’essi ammirano il grand’uomo e stentano a crederlo pazzo), non ricordano nulla. Gli organi costituzionali competenti decidono, infine, che la Repubblica attende ancora il suo Presidente. La vita del paese deve pur continuare (ed è qui che la « ricerca della verità » imbocca la corsia empirico-pragmatica). Ma il « Presidente » – questo il soprannome che i suoi detrattori gli hanno affibbiato – insiste: lui crede di essere il Presidente. E ha perfettamente ragione (sul piano ontologico) anche se, dopo lo smarrimento delle « carte », il suo punto di vista non può più prevalere (sul piano empirico-pragmatico). Ma egli ha pur sempre a cuore le sorti del suo paese: si fa da parte; e siccome è anche un giurista, per risparmiare ai suoi concittadini il travaglio che conseguirebbe all’eventuale ritrovamento dei documenti che attestano il suo status, propone l’adozione di una nuova disposizione costituzionale ai sensi della quale « la prova di un’elezione presidenziale cui per qualsiasi ragione non è stato dato effetto non fa decadere il Presidente in carica ». La proposta è lasciata cadere perché ormai tutti lo credono pazzo (mentre è solo un giurista).

conclusioni: quEsta non è una dichiarazionE di indiPEndEnza 237

za « acted together in their capacity as representatives of the people of Kosovo outside the framework of the interim administration »31, e che in tale veste intesero adottare « a measure the significance and effects of which would lie outside that order »32. L’atto si sarebbe di conseguenza sottratto al confronto con l’ordinamento vigente in Kosovo al momento della sua emanazione. Questa tesi si espone a una facile critica, espres-sa nel modo più efficace dal giudice Skotnikov: pare che la maggioran-za abbia trascurato la distinzione tra « acting outside [a] legal order and violating it »33.

Il 7 febbraio 2003, il Vice-rappresentante speciale del Segretario ge-nerale, in una lettera al Presidente dell’Assemblea kosovara, consigliò di tener presente che il semplice fatto di discutere, in seno all’Assemblea, l’adozione di un progetto di dichiarazione di indipendenza (reso noto alcuni giorni prima), avrebbe comportato un’infrazione della risoluzio-ne 1244 (1999) e del Constitutional Framework34. È difficile credere che sarebbe rimasto indifferente se, nonostante l’avvertimento, gli indipen-dentisti avessero dato corso all’iniziativa. La Serbia, proprio perciò, rite-neva che la questione dell’identità degli autori della dichiarazione fosse irrilevante: che si qualificassero o meno come « padri costituenti », i re-sponsabili dell’atto sarebbero stati comunque reprensibili secondo l’or-dinamento vigente35. Insomma, l’affermazione della Corte è enigmatica. Come interpretarla?

Si può anzitutto notare che il giudice, dopo aver svolto un discorso « tutto interno alle categorie della responsabilità »36, qui sembra ragio-

31 Parere consultivo del 22 luglio 2010, Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, cit., par. 109.

32 Ivi, par. 105.33 Opinione dissenziente del giudice Skotnikov, par. 15; analogamente: opinione

dissenziente del giudice Bennouna, par. 46: « If such reasoning is followed to the end, it would be enough to become an outlaw, as it were, in order to escape having to comply with the law ».

34 Dossier Submitted on Behalf of the Secretary-General Pursuant to Article 65, paragraph 2, of the ICJ Statute, cit., n° 189.

35 Written Comments of the Government of the Republic of Serbia, cit., p. 26. Così anche l’opinione dissenziente del giudice Bennouna, paragrafi 63-64, e, in dottrina, kohEn, dEl Mar, op. cit., p. 115. Contra: dichiarazione del Vicepresidente Tomka, par. 1: « The “adjustment” [la riqualificazione dell’identità degli autori] was … outcome-determinative ». Questa affermazione, molto citata, può essere ingannevole: la riqualificazione è necessaria per eludere l’ovvia conclusione del carattere ultra vires della dichiarazione (ovvia sul presupposto che a pronunciarla siano state le Istituzioni provvisorie di autogoverno) ma non è affatto sufficiente a giustificare l’esito cui la Corte perviene: quindi, in questo senso, non è « outcome-determinative ».

36 tancrEdi, op. cit., p. 997.

238 lorEnzo Gradoni

nare in termini di validità: si chiede se la dichiarazione di indipendenza è o non è un atto riconducibile all’ordinamento vigente; e la risposta, ov-viamente, è negativa, trattandosi di una « measure the significance and effects of which would lie outside that order »37. Comunque sia, sorpren-de che la Corte, in questo decisivo frangente, abbia apparentemente ta-ciuto sulla dichiarazione in quanto fatto suscettibile di valutazione giu-ridica (ed eventualmente illecito). Come giustificare questa reticenza? Si possono immaginare tre ipotesi di soluzione, nessuna delle quali – dicia-molo subito – è in grado di redimere il parere.

La prima ipotesi prende spunto da un brano che compare in uno degli ultimi paragrafi della motivazione e che, dopo la svolta verso le ca-tegorie proprie del giudizio di validità, giunge inaspettato:

the authors of the declaration of independence were not bound by the fra-mework of powers and responsibilities established to govern the conduct of the Provisional Institutions of Self-Government. Accordingly, the Court finds that the declaration of independence did not violate the Constitutional Fra-mework38.

Qui, evidentemente, la Corte torna a servirsi delle categorie della responsabilità ed esclude la possibilità di ritenere la condotta illecita af-fermando, ex abrupto, che le norme rilevanti concernevano soltanto le I-stituzioni provvisorie di autogoverno ed erano perciò nella fattispecie inapplicabili ratione personae. La Corte nemmeno tenta di giustificare una caratterizzazione tanto restrittiva del campo d’applicazione del qua-dro costituzionale.

La seconda ipotesi consiste nell’estendere, all’intero ordinamento vigente in Kosovo nel momento critico, una considerazione che la Cor-te fa esplicitamente valere solo in rapporto alla risoluzione 1244 (1999), e cioè che questa non precludeva la dichiarazione di indipendenza per-ché l’una e l’altra (« the two instruments ») opererebbero su piani distin-ti, la risoluzione essendo concepita per gestire una situazione transitoria di emergenza, mentre « the declaration of independence is an attempt to determine finally the status of Kosovo »39. Il campo d’applicazione della

37 Parere consultivo del 22 luglio 2010, Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, cit., par. 105. Nello stesso paragrafo compare una frase che rende ancora più evidente lo slittamento dal piano della responsabilità a quello della validità: « The declaration of independence, therefore, was not intended by those who adopted it to take effect within the legal order created for the interim phase, nor was it capable of doing so ».

38 Ivi, par. 121.39 Ivi, par. 114 (corsivo mio).

conclusioni: quEsta non è una dichiarazionE di indiPEndEnza 239

risoluzione sarebbe dunque intrinsecamente limitato ratione materiae e questa sua caratteristica si sarebbe trasmessa all’ordinamento provviso-riamente vigente in Kosovo. Il parere lascia però insoddisfatta una cu-riosità: il tentativo di determinare in via definitiva lo status del Kosovo è riuscito oppure no? Questa interruzione del discorso è fatale: se, infatti, l’iniziativa si è risolta in un fiasco, allora non ha senso dire che la dichia-razione di indipendenza avrebbe in qualche modo « trasceso » il regime transitorio. Quid in caso di successo? Anche in questa ipotesi sarebbe difficile intravedere una via d’uscita: la chiusura della fase emergenziale (non un mero tentativo), ad opera di un soggetto diverso dal Consiglio di sicurezza, non può seriamente ritenersi lecita (o indifferente) dal pun-to di vista della risoluzione 1244 (1999) e del sistema normativo su di es-sa fondato. La Corte, insomma, non chiarisce quale evento o circostan-za abbia indotto un intero sistema normativo a « scansarsi » al cospetto della dichiarazione di indipendenza.

La terza e più radicale ipotesi, che oltretutto è estranea al discor-so svolto dalla Corte, consiste nel concepire la dichiarazione di indipen-denza come punto culminante del processo di formazione di un nuovo Stato: nell’istante in cui l’indipendenza è proclamata, un ordinamento statuale interviene a « estromettere » quello (internazionale) gestito dal-le Nazioni Unite, il quale non oppone resistenza perché, indipendente-mente dalle intenzioni del Consiglio di sicurezza (che per ovvie ragioni non si sono manifestate), non vuole applicarsi a una situazione che non può più dirsi transitoria40. Questa ipotesi non redime la pronuncia per-ché la Corte, sin dall’inizio, ha escluso che la domanda di parere le ri-chiedesse di esprimersi su « whether or not Kosovo has achieved sta-tehood »41. Mi pare tuttavia che la decisione di non occuparsi della que-stione abbia costretto la Corte a confezionare argomenti oscuri e di scar-sa consistenza.

Secondo alcuni era possibile rompere l’impasse con una mossa più scaltra.

40 Cfr. conforti, op. cit. (nota 4), pp. 1130-1131 (sulla possibilità di far valere il mutamento radicale delle circostanze per asserire l’estinzione di alcune parti del regime instaurato dalla risoluzione 1244).

41 Parere consultivo del 22 luglio 2010, Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, cit., par. 51.

240 lorEnzo Gradoni

4. la Via d’uscita sEcondo Gli stati uniti

Volendo evitare ad ogni costo una « collisione » tra l’iniziativa della leadership kosovara e il quadro costituzionale, la Corte non avrebbe po-tuto ritenere quest’ultimo estraneo al diritto internazionale e quindi al-la sua giurisdizione? È sintomatico che gli Stati Uniti, nella loro seconda memoria scritta, abbiano insistito affinché la Corte classificasse il qua-dro costituzionale come diritto interno: « that fact is critical for the pur-poses of this case »!42

La tesi ha trovato sponda all’interno della Corte, in particolare nell’opinione separata del giudice Yusuf. La maggioranza ha tuttavia concluso che il quadro costituzionale, poiché deriva il suo carattere vin-colante dalla risoluzione 1244 (1999) e quindi dal diritto internazionale, « possesses an international legal character »43, sebbene operi « as part of a specific legal order … which is applicable only in Kosovo and the purpose of which is to regulate … matters which would ordinarily be the subject of internal, rather than international, law »44.

L’impostazione della Corte è da preferire a una tesi che « ontolo-gizza » la dicotomia interno/internazionale ignorandone la dimensione funzionale. Secondo Yusuf, tutto dipende dalla « natura » delle rego-

42 Written Comments of the United States of America, 17 luglio 2009, pp. 39-42. L’opinione è condivisa in dottrina da tricot, sandEr, op. cit., pp. 356-357.

43 Parere consultivo del 22 luglio 2010, Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, cit., par. 88.

44 Ivi, par. 89. Il caso non è in termini con quello cui fece da sfondo, negli anni Trenta, la controversia tra Polonia e Città libera di Danzica sulla natura della Costituzione di quest’ultima. La Polonia sosteneva che l’atto avesse natura internazionale o che fosse comunque inclassificabile secondo la dicotomia interno/internazionale e che, dunque, questioni riguardanti l’interpretazione o l’applicazione della Costituzione potessero essere validamente sollevate dinanzi agli organi della Società delle Nazioni: « the guarantee of the Constitution by the League, being subordinated to the respect of the treaty rights of Poland, constitutes an inseparable element of the legal status of Danzig; … this legal status is sui generis; … consequently the ordinary legal distinction between matters of a domestic and of an international character does not hold good in the present case », (parere consultivo del 4 febbraio 1932, Treatment of Polish Nationals and Other Persons of Polish Origin or Speech in the Danzig Territory, in Publications of the Permanent Court of International Justice, Series A/B, no. 44, p. 23). Com’è noto, la Corte fu di diverso avviso: « With regard to Poland, the Danzig Constitution, despite its peculiarities, is and remains the Constitution of a foreign State » (ivi, p. 24). La Costituzione di Danzica, a differenza del Consitutional Framework kosovaro, non fu promulgata da un’organizzazione internazionale, sebbene fosse « garantita » della Società delle Nazioni. A parte ciò, sarebbe stato singolare che la Corte, dopo aver compiuto ogni sforzo per ritenere la richiesta di parere sulla dichiarazione di indipendenza ammissibile e conforme al requisito della propriety (v. supra, il contributo di PaPa), si dichiarasse priva di giurisdizione su un aspetto così significativo del caso.

conclusioni: quEsta non è una dichiarazionE di indiPEndEnza 241

le in questione, natura che, nel caso di atti emanati da amministrazioni territoriali internazionalmente create e gestite, sarebbe icto oculi interna: sul formalismo della « catena di validità », prediletto dalla Corte, do-vrebbe insomma prevalere la constatazione del radicamento territoriale delle norme prese in considerazione45. L’indizio – solo uno – che Yusuf evoca a sostegno della tesi riesce però solo a suscitare dubbi circa la sua fondatezza. L’indizio sarebbe dato dal fatto che il regolamento 1999/24, emanato dall’UNMIK il 12 dicembre 1999, stabilisce che il diritto appli-cabile in Kosovo comprende(va) gli atti adottati dal Rappresentante spe-ciale del Segretario generale e dalle fonti da essi previste, nonché il di-ritto che vigeva nel territorio quando, il 22 marzo 1989, la Serbia revocò al Kosovo lo status di provincia autonoma. Ora, a meno che non si pre-supponga ciò che si deve dimostrare, ossia che gli atti dell’UNMIK han-no natura « domestica », pretendere che un richiamo del diritto interno, come quello contenuto nel regolamento appena citato, renda « interno » il sistema normativo da cui parte il rinvio, è plausibile quanto sostenere che un ordinamento statuale si « internazionalizza » se richiama il dirit-to internazionale46.

La questione deve essere affrontata in un’altra prospettiva, chieden-dosi, in particolare, cosa accade se si considera il «sistema UNMIK» di-ritto interno. Ed è presto detto: negando a quel sistema la qualità di di-ritto internazionale, si esclude la competenza della Corte rispetto a qual-siasi questione vertente sull’interpretazione o sull’applicazione del me-desimo. Ma perché si dovrebbe impedire al Consiglio di sicurezza o all’Assemblea generale di interrogare la Corte, tra l’altro, sulla liceità de-gli atti di un emissario del Segretario generale posto a capo di un’ammi-nistrazione territoriale creata e gestita dalle Nazioni Unite? Per far sì che il « commissario » possa esercitare libero da controlli esterni i conside-revoli poteri conferitigli dalla risoluzione che l’ha insediato? Non vi so-no in realtà ragioni o principi attinenti all’assetto istituzionale delle Na-zioni Unite che possano giustificare, in casi del genere, l’esclusione del

45 Opinione separata del giudice Yusuf, par. 18: « Although they [le Istituzioni provvisorie di autogoverno] act under the authority of international institutions such as the United Nations, the regulations they adopt belong to the domestic legal order of the territory under international administration »; si tratterebbe insomma di « territorially-based legislation … enacted solely and exclusively for the administration of that territory » (ivi, par. 19).

46 Ivi, par. 19: « There are no differences in the legal effects or binding force of the laws existing in Kosovo, irrespective of whether they were issued by UNMIK or by Yugoslavia/Serbia before 1989 ».

242 lorEnzo Gradoni

procedimento consultivo quale strumento di raccordo tra le attività de-gli organi dell’organizzazione. L’argomento di carattere funzionale raf-forza quindi la conclusione che la Corte ha raggiunto fondandosi su con-siderazioni di natura esclusivamente formale.

Si può del resto sostenere che la costituzione di un ordinamento in-terno (ovviamente distinto da quello della Iugoslavia prima, della Serbia poi) richiedesse un’asserzione di sovranità che però, nel caso di specie, non può certo imputarsi alle Nazioni Unite, per quanto vasti e incisivi fossero i poteri conferiti dal Consiglio di sicurezza all’amministrazione internazionale postbellica. Nel parere, la Corte afferma correttamente che, nella fase inauguratasi con l’adozione della risoluzione 1244 (1999), un sistema normativo riconducibile all’ordinamento internazionale « su-perseded the Serbian legal order »47, nel senso che « suspend[ed] tem-porarily Serbia’s exercise of its authority flowing from its continuing so-vereignty over the territory of Kosovo »48.

A questo punto è il caso di chiedersi se un’autentica asserzione di sovranità, idonea a creare un ordinamento interno, sia invece rinvenibi-le nella dichiarazione di indipendenza del 17 febbraio 2008 o, più in ge-nerale, nel processo politico culminante nell’adozione della Costituzio-ne della Repubblica del Kosovo. Abbiamo già ricordato che la Corte si è disinteressata della questione. Ebbene, questo è un aspetto molto signi-ficativo del parere. Per cominciare a intravederne i contorni può essere utile esporsi all’effetto straniante dell’opinione separata firmata dal giu-dice Cançado Trindade.

5. la VErsionE di canÇado

L’opinione separata di Cançado Trindade, molto più lunga del pa-rere, è eccezionale per un altro motivo: contiene un partecipe resocon-to della tragedia del popolo kosovaro, tanto distante per stile e contenu-to dalla sorvegliata analisi della Corte che sarebbe appropriato parlare di un’opinione non separata ma parallela; che però finisce per converge-re con le conclusioni della maggioranza. Cançado rimprovera alla Cor-te di aver seguito « a minimalist approach to the factual background of the question put to it by the General Assembly, concentrating its atten-

47 Parere consultivo del 22 luglio 2010, Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, cit., par. 100.

48 Ivi, par. 98.

conclusioni: quEsta non è una dichiarazionE di indiPEndEnza 243

tion on Kosovo’s declaration of independence »49. Il parere è deluden-te perché limitato a una « “technical” and aseptic examination » della dichiarazione, « making abstraction of the complex and tragic factual background of the grave humanitarian crisis of Kosovo »50. I giudici della Corte (gli altri) sono troppo… umani: « [p]erhaps the Court, like human kind, “cannot bear very much reality” »51. Questo giudizio trascura pe-rò un macroscopico dettaglio (ritenendolo forse estraneo alla « realtà » cui si appella): il parere della Corte non contiene alcuna analisi del con-tenuto della dichiarazione di indipendenza. Naturalmente il testo della dichiarazione è citato (con qualche significativo omissis) ma la disamina « tecnica e asettica » di cui parla Cançado è irreperibile52.

In che senso, dunque, gli altri giudici si sarebbero « concentrati » sulla dichiarazione? La Corte ha consultato il documento solo per cer-carvi conferma dell’identità dei suoi autori, sorvolando su tutto il resto. Ha quindi sostanzialmente ignorato il contenuto dell’atto la cui liceità (o validità) era chiamata a vagliare53. L’unico scampolo di esegesi della dichiarazione si trova paradossalmente nell’opinione separata di Cança-do Trindade54, il quale tuttavia concorda con la Corte che la « dichiara-zione di indipendenza » sub judice è… una dichiarazione di indipenden-za55. Invece no.

6. trompe l’œil

La dichiarazione di indipendenza del 17 febbraio 2008 prefigura le linee essenziali della Costituzione della Repubblica kosovara adottata il 9 aprile ed entrata in vigore il 15 giugno dello stesso anno. Poiché la Co-stituzione « amplifica » alcune cruciali caratteristiche della dichiarazio-ne, mettendole quindi in risalto, conviene premettere una sommaria a-nalisi del testo costituzionale e del processo politico da cui è scaturito.

È il 29 gennaio 2008 e alla Casa della cultura di Kaçanik, nel di-stretto di Uroševac, si svolge un dibattito aperto alla cittadinanza sulla

49 Opinione separata del giudice Cançado Trindade, par. 35.50 Ivi, par. 219 (corsivo nell’originale).51 Ivi, par. 35.52 Cfr. parere consultivo del 22 luglio 2010, Accordance with International Law of

the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, cit., par. 75.53 Cfr. PalMisano, Sul Kosovo la Corte non « rende giustizia » alla richiesta

dell’Assemblea generale, http://www.sidi-isil.org, p. 3.54 Opinione separata del giudice Cançado Trindade, paragrafi 233-235.55 Ivi, par. 227.

244 lorEnzo Gradoni

futura costituzione del Kosovo. Partecipano illustri esponenti delle Isti-tuzioni provvisorie di autogoverno create dalle Nazioni Unite. Si discu-te anche dell’imminente dichiarazione di indipendenza. Interviene un cittadino: « Il Kosovo diventerà un paese assolutamente sovrano? ». Ri-sponde il Vice-primo ministro e portavoce della Commissione costitu-zionale, Ramë Manaj:

Il moderno concetto di sovranità non è più quello di una sovranità assoluta. Anche i paesi con una lunga tradizione statuale, con una lunga esperienza nel-la costruzione dello Stato, non possiedono più il concetto di sovranità assolu-ta. Perché gli sviluppi, i concetti, le idee di integrazione, in qualche modo re-stringono il concetto. Prenda per esempio i ventisette paesi membri dell’Unio-ne europea. Tutti hanno trasferito una parte della loro sovranità a questa unio-ne, per non parlare degli Stati membri della NATO! Il Kosovo sarà un paese sovrano nel moderno significato del concetto di sovranità56.

Sono trascorsi cinque giorni dalla dichiarazione di indipendenza e all’Hotel Illiria di Pristina si tiene un altro incontro sulla Costituzione del Kosovo, sempre con la partecipazione di politici di primissimo pia-no. L’ingombrante tutela dell’UNMIK è ormai alle spalle. Introduce il dibattito Jakup Krasniqi, membro della Commissione costituzionale:

Farò qualche paragone con i documenti che hanno preceduto la Costituzione. Se guardate al documento di Rambuje [sic], non era okay, ma la realtà che ha creato, quella sì, era okay, anche la 1244 non era okay, ma in pratica il risulta-to è stato un altro. Anche se il piano Ahtisaari non sembra okay sulla carta, il risultato sarà okay. Anche la Costituzione potrebbe non sembrare okay, ma io credo che avrà risultati molto buoni57.

Ma di quale Costituzione si sta parlando? La dichiarazione di indipendenza, al paragrafo 4, prometteva la ra-

pida adozione di una costituzione che avrebbe incorporato « all relevant principles of the Ahtisaari Plan », quindi dal contenuto in parte prede-terminato, ma che doveva nondimeno emergere « through a democra-tic and deliberative process »58. Eppure Krasniqi si rivolge al pubblico dell’Hotel Illiria come se la costituzione fosse già pronta e da accetta-re così com’è, anche se non sembra « okay ». Era il 22 febbraio 2008. Il testo costituzionale era stato in effetti reso noto tre giorni prima59, pro-

56 La trascrizione del dibattito, tradotta in inglese, è reperibile nel sito dedicato al processo costituente: http://www.kushtetutakosoves.info (traduzione mia).

57 V. nota precedente.58 Il testo della dichiarazione è in ILM, 2008, p. 461 ss.59 Il ciclo di dibattiti aperti alla cittadinanza è dunque cominciato prima che il

testo costituzionale fosse reso noto (l’incontro al quale è intervenuto Ramë Manaj, di cui

conclusioni: quEsta non è una dichiarazionE di indiPEndEnza 245

prio allo scopo di avviare un processo di consultazione del pubblico de-stinato a concludersi nell’arco di due sole settimane, quindi un po’ asfit-tico ma, racconta Marc Weller, facilitato dalla predisposizione, a cura dell’Ufficio di rappresentanza degli Stati Uniti a Pristina, di un « high-tech Internet-based system of eliciting comments and suggestions from the public »!60

Prima consulente legale della delegazione kosovara da Rambouillet fino alla fallimentare chiusura dei negoziati viennesi sullo status del Ko-sovo, poi coinvolto nella redazione del progetto di costituzione dell’isti-tuenda Repubblica kosovara, Marc Weller ci rivela alcuni interessanti dettagli del processo costituente. Tutto ciò nel quadro di una narrazione da cui traspare amicizia per la causa kosovara (e un pizzico di paternali-smo). Ripercorriamone un breve tratto.

Il dibattito pubblico sul testo costituzionale è stato preceduto da un’opaca fase « preparatoria », avviata ancor prima che fallissero i ne-goziati. Opera in questa fase un « gruppo di lavoro pre-costituzionale », nel quale « tecnici » kosovari siedono a fianco di esperti stranieri. I crite-ri di cooptazione non sono noti; si sa però che gli Stati Uniti hanno svol-to un ruolo chiave durante tutto il processo61. La componente kosovara del gruppo di lavoro ha tentato di impadronirsi dell’iniziativa ma l’esito dei loro sforzi è stato, ricorda Weller, deludente: bozze di qualità scarsa (« low quality ») se non addirittura « rather wild »!62 D’altronde gli e-sperti stranieri erano lì proprio per guidare l’incerta mano dei notabili locali. Comunque sia, il 22 dicembre 2007 al più tardi, quindi due me-si prima della dichiarazione di indipendenza, nella cassaforte dell’Uffi-cio statunitense a Pristina giaceva già – documento riservatissimo – la bozza consolidata, questa sì di « alta qualità », della Costituzione della Repubblica del Kosovo63. Quel testo non subirà significative modifiche, né prima né dopo l’avvio del (breve) processo di consultazione. Weller nota che, ciononostante, il dibattito pubblico non è stato inutile perché ha condotto alla parziale riformulazione dell’obbligo di rispettare i di-

si è detto in precedenza, si è svolto verso la fine del mese di gennaio).60 WEllEr, Contested Statehood. Kosovo’s Struggle for Independence, Oxford

University Press, Oxford, 2009, p. 249.61 « While the US Office asserted very strong guidance over this process,

the Kosovars nevertheless met separately, without the presence of international representatives, in order to plan what they continued to regard as their constitutional process » (ivi, pp. 248-249).

62 Ivi, pp. 246-249.63 Ivi, pp. 248.

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ritti fondamentali in situazioni di emergenza: un’affermazione che, oltre all’involontario effetto ironico, rafforza l’impressione di una costituzio-ne octroyée64. E lo stesso dicasi del « franco » eufemismo con cui l’autore chiude il suo resoconto del processo costituente: « a certain sense of lack of ownership over the process might not be entirely misplaced »65. Ma se Krasniqi si è sentito costretto a prevenire giudizi negativi sulla Costitu-zione (« potrebbe non sembrare okay »), la ragione è di carattere sostan-ziale e non procedurale.

La Costituzione della Repubblica del Kosovo disegna una comples-sa architettura normativa che in qualche misura « nasconde » l’autorità suprema e in definitiva la situa, come vedremo, all’esterno di un ipoteti-co ordinamento interno kosovaro. L’art. 16, par. 1, della Costituzione, in-titolato « supremacy of the Constitution », definisce quest’ultima « the highest legal act of the Republic of Kosovo », specificando che « [l]aws and other legal acts » devono essere ad essa conformi66. Weller osserva che questa clausola è in realtà smentita dalla circostanza che la Costitu-zione stessa attribuisce il primato a un’altra fonte: il Piano Ahtisaari67. Non ha tutti i torti68. L’art. 143 della Costituzione – che compare, si no-ti bene, tra le « disposizioni finali » (cap. XIII) e non tra quelle « transi-torie » (cap. XIV) – stabilisce che tutte le autorità della Repubblica ko-sovara dovranno attenersi alle prescrizioni del Piano Ahtisaari e adope-rarsi in vista della sua piena attuazione. La stessa disposizione enuncia il primato assoluto del Piano in rapporto a qualsiasi altra norma dell’or-dinamento kosovaro, Costituzione (esplicitamente) inclusa. Ci si potreb-be però chiedere, come fa Weller con un pizzico di apprensione, se l’art. 143 non sia soggetto a emendamento ai sensi dell’art. 144 della Costitu-zione69. L’art. 144 sembra porre un solo limite sostanziale al potere di e-mendamento: una modifica della Costituzione può essere approvata so-

64 Ivi, p. 249.65 Ivi, p. 258.66 Il testo della Costituzione reperibile nel sito http://www.kushtetutakosoves.

info.67 « Contrary to Article 16 of the Constitution, the Ahtisaari document is in fact

the highest legal authority in Kosovo » (WEllEr, op. cit., pp. 250-251).68 La contraddizione, forse, è solo apparente: se, come ci invita a fare proprio

l’art. 16, pensiamo la Costituzione come atto della Repubblica (dell’ente dichiarato «  indipendente e sovrano » il 17 febbraio 2008, prima dell’adozione del testo costituzionale), la Costituzione mantiene il suo primato nel perimetro degli atti imputabili alla Repubblica kosovara pur soccombendo, in caso di conflitto, alla « fonte esterna » rappresentata dal Piano Ahtisaari.

69 WEllEr, op. cit., p. 251.

conclusioni: quEsta non è una dichiarazionE di indiPEndEnza 247

lo se, a giudizio della Corte costituzionale, non comporta una diminu-zione del livello di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali garantiti dal cap. II della Costituzione. Tuttavia, poiché l’emendamento è un atto della Repubblica kosovara di rango certamente non superiore alla Costi-tuzione, esso risulterebbe invalido qualora mirasse a revocare il primato del Piano Ahtisaari mediante una modifica dell’art. 143. Ma a chi spette-rebbe accertare tale invalidità? Il potere decisionale non rimarrebbe co-munque entro il circuito delle istituzioni create dalla Costituzione? No, perché l’autorità suprema risulta, per così dire, situata all’esterno non so-lo dal punto di vista normativo (il primato del Piano Ahtisaari) ma an-che in una prospettiva squisitamente istituzionale. L’art. 146, che compa-re tra le « disposizioni transitorie », fa gravare sulle autorità kosovare, in deroga a qualsiasi altra disposizione costituzionale, l’obbligo (incondi-zionato) di attuare le decisioni delle « presenze internazionali » deline-ate nel Piano Ahtisaari – l’International Civilian Representative (ICR), « autorità suprema » in materia civile, e l’International Military Presen-ce (IMP), la NATO in sostanza, che analogamente signoreggia nel cam-po della sicurezza interna ed esterna – privando altresì le autorità dome-stiche di « giurisdizione » in rapporto alle determinazioni assunte da ta-li « presenze ». Ora, ai sensi del piano Ahtisaari, l’ICR – che è designato da (e agisce sotto il controllo di) un International Steering Group (ISG), una compagine di Stati di cui il Kosovo non fa parte70 – possiede tra l’al-

70 L’allegato IX alla Comprehensive Proposal for the Kosovo Status Settlement, S/2007/168/Add.1 (26 marzo 2007), meglio nota come « Piano Ahtisaari », prevede, all’art. 4, par. 1, che l’ICR sia nominato dall’ISG previa consultazione dell’Unione europea. Dell’ISG dovevano fra parte Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, oltre che l’Unione europea, la Commissione europea (rappresentata separatamente) e la NATO. Il 28 febbraio 2008, su invito della neonata Repubblica del Kosovo, un diverso gruppo, formato inizialmente da quindici Stati (senza la Russia, cui invece il Piano Ahtisaari riservava un seggio) si è dapprima costituito come ISG e ha quindi nominato Pieter Feith quale primo ICR (First Meeting of the International Steering Group for Kosovo, 28 febbraio 2008, http://www.ico-kos.org). Il Piano prevedeva altresì che l’ISG sollecitasse l’avallo del Consiglio di sicurezza. Nessuna iniziativa è stata presa in tal senso dato che la Russia ha formalmente protestato contro l’istituzione dell’organismo (Russia Protests Kosovo Steering Group Establishment, in RIA Novosti, 3 marzo 2008, http://en.rian.ru). L’ISG si compone oggi di venticinque Stati (in corsivo sono indicati gli Stati che si sono uniti al gruppo in momenti successivi alla sua costituzione): Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Slovenia, Stati Uniti, Svizzera, Svezia, Turchia, Ungheria. Quanto ai criteri di ammissione al gruppo, l’unica cosa chiara è che il riconoscimento della Repubblica del Kosovo è un requisito necessario ma non sufficiente (cfr. la dichiarazione del portavoce dell’ICO, Andrew McGuffie: New States Join Kosovo’s Supervisory Body, 21 maggio 2008, http://www.balkaninsight.com).

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tro la prerogativa di prendere

corrective measures to remedy, as necessary, any actions taken by the Kosovo authorities that the ICR deems to be a breach of this Settlement [il Piano Ah-tisaari], or seriously undermine the rule of law, or to be otherwise inconsistent with the terms or spirit of this Settlement; such corrective measures may in-clude, but are not limited to, annulment of laws or decisions adopted by Koso-vo authorities71.

L’ICR dunque può porre nel nulla qualsiasi atto delle autorità koso-vare, incluso un emendamento della Costituzione o, perché no, una de-cisione della Corte costituzionale che non tuteli adeguatamente il pri-mato del Piano Ahtisaari.

Ma questo primato non poggia in definitiva sulla Costituzione stes-sa, che recepisce le disposizioni del Piano assegnando loro rango « so-vracostituzionale »? Il legislatore costituente non potrebbe interrompe-re la recezione e con essa la primazia di norme e istituzioni « esterne »? Sì, certo, ma in tal caso non agirebbe più nell’orizzonte dell’ordinamen-to vigente, un ordinamento in cui – è il caso di ripeterlo – una perso-na che agisce su impulso di altri Stati, l’ICR, ha il potere di annullare gli atti di qualsiasi organo costituzionale72. Qualora una simile rottu-ra dell’ordine costituzionale non incontrasse resistenza da parte delle « presenze internazionali », si potrebbe finalmente dire che in Kosovo si è manifestato un soggetto politico in grado di rivendicare ed esercitare il potere costituente, inteso non come potere libero da qualsiasi vincolo

71 Art. 2, par. 1, lett. c), dell’allegato IX (corsivi miei).72 L’ICR è gestore di un potere non solo prevalente ma anche tentacolare, essendo

in linea di principio chiamato a occuparsi anche di questioni minute: l’art. 7 dell’allegato III del Piano Ahtisaari gli affida un’importante funzione in materia di definizione dei curricula scolari e adozione dei libri di testo, attribuendogli il casting vote nella commissione indipendente chiamata a esprimersi nel caso in cui il ministro kosovaro competente sollevi obiezioni sui programmi o libri di testo scelti dal suo omologo serbo e che gli istituti dove si insegna in serbo abbiano deciso di adottare. L’ICR si impone (gli è imposto dall’ISG) un piglio non da dittatore ma da consulente, tutto ragionevolezza, persuasione e rispetto, come si suol dire, della « ownership » del popolo kosovaro (anche nel senso che sia lui che l’ISG appaiono ossessionati dalle privatizzazioni degli enti fornitori di servizi pubblici: cfr., ad es., Twelfth Meeting of the International Steering Group for Kosovo, 8 febbraio 2011, http://www.ico-kos.org, par. 3). Dall’abitudine alla forzatura retorica possono scaturire antifrasi orwelliane. Ecco come, per esempio, l’ICR celebra l’anniversario della dichiarazione di indipendenza: « First of all, let us work for stability, based on the rule of law – the guarantee of safety and security for all of Kosovo’s citizens. A country free from foreign interference » (Address of the ICR Pieter Feith to the Ceremonial Session of the Kosovo Assembly to Mark the First Anniversary of Kosovo’s Independence, 17 febbraio 2009, ivi, p. 4). E se per i kosovari l’anniversario è un momento solenne, l’ICR li invita a spegnere le candeline: « Happy Birthday! » (ivi, p. 6).

conclusioni: quEsta non è una dichiarazionE di indiPEndEnza 249

ma come espressione di un atteggiamento che perlomeno esclude l’obbe-dienza incondizionata a ordini da altri impartiti73. Questo evento non si è ancora prodotto. Quali sono le conseguenze della mancata epifania?

Un autore, scrivendo a proposito del processo « costituente » svolto-si in Kosovo nella prima metà del 2008, si è così espresso:

It is not ‘the people of Kosovo’ which is the pouvoir constituant, nor is it its po-litical and military organization, the KLA. Rather, the true pouvoir constituant is the assemblage of the most powerful Western states, in conjunction with the political and military organizations of Kosovo Albanians74.

Una diagnosi più realistica di molte altre, questa, ma incapace di cogliere il punto essenziale: in Kosovo non si è manifestato alcun po-tere costituente in senso proprio. La collocazione dell’autorità suprema all’esterno dell’ordinamento (nominalmente) statuale non è un dettaglio tutto sommato trascurabile dell’impianto (nominalmente) costituziona-le costruito sulle fondamenta della dichiarazione di indipendenza: è la chiave per comprenderne la natura giuridica.

È il segno che mostra la contraddizione tra denominazione e so-stanza dell’atto, l’incrinatura che scopre nella « Costituzione della Re-pubblica del Kosovo » un imponente trompe l’œil. Non si dà costituzio-ne né creazione di un ordinamento interno senza una pretesa di autono-mia; e senza una costituzione che veicoli tale pretesa non può parlarsi di statualità dal punto di vista del diritto internazionale: se il Kosovo oggi non è uno Stato, non è (solo) perché l’apparato di governo non risponde in fatto al requisito dell’indipendenza, ma innanzitutto perché manca, sul piano strettamente formale, un’autentica pretesa di indipendenza75. In

73 Cfr., in questo volume, il contributo di PalErMo.74 okloPcic, Populus Interruptus: Self-determination, the Independence of

Kosovo, and the Vocabulary of Peoplehood, in LJIL, 2009, p. 693.75 Cfr. craWford, The Creation of States in International Law, Oxford

University Press, Oxford, 20062, p. 61: « statehood is not simply a factual situation. It is a legally circumscribed claim of right, specifically to the competence to govern a certain territory. Whether that claim of right is justified as such depends both on the facts and on whether it is disputed » (corsivo mio). La Costituzione del Kosovo, così come la dichiarazione di indipendenza che l’ha preceduta (v. infra, § 7), è un efficace esempio di contraddizione performativa, un atto linguistico che perde senso a causa della contraddizione tra l’intenzione annunciata dal parlante (voglio essere indipendente, uno Stato ecc., dunque…) e il contenuto dell’atto stesso (… che l’autorità appartenga a un altro!). Considerate le evidenti somiglianze tra la figura dell’ICR e quella dell’Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina, si potrebbe tuttavia pensare che, se si riconosce a quest’ultima la qualità di Stato, lo stesso dovrebbe farsi col Kosovo. Ma i due casi non sono comparabili per almeno tre ragioni. In primo luogo, la Bosnia-Erzegovina era già uno Stato (in guerra) almeno tre anni prima che si insediasse il primo

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altri termini, l’odierno ordinamento « interno » vigente in Kosovo non è « originario », anche se non si può dire che « tragga la sua forza giuridica … dall’ordinamento giuridico … di un altro Stato »76. La Costituzione (assieme all’ordinamento interno che essa apparentemente crea) è, piut-tosto, l’ingannevole appendice di un ordinamento internazionale partico-lare fondato su un altrettanto dissimulato accordo non scritto: un patto intercorso tra la leadership kosovara e gli Stati – anzitutto quelli che han-no provveduto a creare l’ISG e l’International Civilian Office (ICO), la struttura amministrativa al cui vertice e posto l’ICR – che hanno accet-tato la promessa, già formulata nell’ultimo paragrafo della dichiarazione di indipendenza, di rispettare il Piano Ahtisaari77. Non un ordinamento

Alto rappresentante. In secondo luogo, mentre i poteri che quest’ultimo esercita sono in gran parte usurpati (a mio avviso: Gradoni, L’Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in RDI, 2008, pp. 644-647), il Piano Ahtisaari, proprio prendendo spunto dalla « positiva » esperienza bosniaca, conferisce in modo espresso all’ICR quelle stesse prerogative che il suo omologo ha acquisito in modo discutibile. Infine, nell’ambito dell’ordinamento bosniaco è in corso da anni un conflitto a bassa intensità tra l’Alto rappresentante e le istituzioni dello Stato, in particolare la Corte costituzionale, che mostra come l’autorità del primo sia in qualche misura contestata (cfr. ivi, pp. 627, 666-667).

76 conforti, op. cit. (nota 24), p. 17.77 Per maggiori dettagli sulla promessa v. infra, § 7. Gli Stati (e altri soggetti)

che hanno accettato la promessa contenuta nella dichiarazione di indipendenza, tra i quali vanno annoverati tutti i membri dell’ISG (v. supra, nota 70), hanno contratto, in particolare, l’obbligo di gestire la fase di transizione in modo conforme alle prescrizioni contenute nel Piano Ahtisaari. Cfr., in proposito, Guiding Principles Applicable to Unilateral Declarations of States Capable of Creating Legal Obligations, with Commentaries Thereto, in Report of the International Law Commission on the Work of its Fifty-eighth Session (2006), in Official Records of the General Assembly, Sixty-first Session, Supplement no. 10, A/61/10, p. 379, principio-guida n° 9: « No obligation may result for other States from the unilateral declaration of a State. However, the other State or States concerned may incur obligations in relation to such a unilateral declaration to the extent that they clearly accepted such a declaration » (cfr., per una diversa impostazione, MorElli, Nozioni di diritto internazionale, CEDAM, Padova, 19677, p. 289). Nel caso dei soggetti che hanno dato vita all’ISG e di quelli che vi hanno aderito in momenti successivi, l’accettazione, e quindi l’assunzione di determinati obblighi, è chiaramente attestata da fatti concludenti (cfr. ibid.: « [l]’esatta visione del fenomeno non può essere oscurata dal fatto che alla promessa … segua un’accettazione compiuta in forma tacita »). Il risultante accordo non è dunque un patto leonino, se non nel senso che accentra il potere di accertamento nelle mani di uno dei contraenti, sia rispetto ad eventuali violazioni dell’accordo (qui è la supremazia dell’ICR a garantire il monopolio della decisione) sia per quanto concerne la rispondenza ai requisiti che il Kosovo dovrà soddisfare per affrancarsi dalla tutela (su quest’ultimo punto v. infra, nota 79 e testo corrispondente). Si noti, infine, che ai sensi dell’accordo, anche l’adozione della Costituzione è in sostanza un atto « condiviso » tra autorità kosovare e Stati rappresentati dall’ICR. Il Piano Ahtisaari, all’art. 10, par. 4, ricorre infatti alla seguente formula « [t]he Assembly may not formally approve the Constitution until such time as the ICR has certified it as in accordance with the terms of this Settlement » (la « certificazione » è avvenuta il 2 aprile 2008, il giorno

conclusioni: quEsta non è una dichiarazionE di indiPEndEnza 251

interno (statuale), quindi, ma un altro ordinamento internazionale par-ticolare (applicabile in Kosovo e fondato su un patto) si è sovrapposto e in gran parte sostituito a quello gestito dalle Nazioni Unite attraverso l’UNMIK, anche grazie all’atteggiamento passivo assunto dal Segretario generale di fronte al rapido addensarsi di una nuova realtà ordinamenta-le dominata da organismi internazionali estranei al quadro definito dalla risoluzione 1244 (1999)78.

Si potrebbe sostenere che la Corte, essendo chiamata a esprimersi solo sulla dichiarazione di indipendenza, potesse legittimamente omet-tere qualsiasi commento sullo status del Kosovo dopo l’evento rivoluzio-nario del 17 febbraio 2008 e sul comportamento degli Stati che hanno corrisposto al desiderio della leadership kosovara di procedere oltre la fase transitoria gestita dalle Nazioni Unite. Ma è proprio così? Elemen-ti in senso opposto possono ricavarsi dalla lettura del documento che la Corte avrebbe dovuto vagliare e ha invece sostanzialmente ignorato: la dichiarazione di indipendenza.

7. un’innocEnza iMPossiBilE

La Costituzione del Kosovo mantiene una « promessa » contenuta nella dichiarazione di indipendenza. Questa, al pari della Costituzione, è un documento atipico, soprattutto perché si chiude con un atto di in-condizionata sottomissione: « We hereby affirm, clearly, specifically, and irrevocably, that Kosovo shall be legally bound to comply with the pro-visions contained in this Declaration, including, especially, the obliga-tions for it under the Ahtisaari Plan » (par. 12). Il Piano, com’è noto, pre-vedeva di porre il Kosovo sotto la tutela di un articolato complesso di « presenze internazionali » investite di poteri molto estesi – quelli oggi delineati o richiamati dalla Costituzione – e, soprattutto, della suprema prerogativa di decidere la chiusura della fase transitoria79. Per giustificare

stesso in cui la Commissione costituzionale ha completato la redazione del progetto). Quanto detto sin qui presuppone naturalmente che gli autori della dichiarazione di indipendenza possedessero una qualche forma di personalità giuridica internazionale, presumibilmente in quanto legittimi rappresentanti di un popolo. La questione non può essere approfondita in questa sede. V. però infra, nota 85.

78 Sul nuovo assetto delle presenze internazionali in Kosovo v. supra, il contributo di annoni.

79 Con riferimento al mandato dell’ICR, l’art. 5, par. 2, dell’allegato IX del Piano così dispone: « The mandate … shall be terminated when the ISG determines that Kosovo has implemented the terms of this Settlement ». V. anche infra, nota 83.

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questo assetto in termini giuridico-formali la dichiarazione di indipen-denza ricorre alla figura dell’invito (par. 5). Un invito che, non potendo essere revocato dal sovrano territoriale, è atipico come il documento che lo contiene80. Ma se l’atto emanato il 17 febbraio 2008 non è una dichia-razione di indipendenza, cos’è?

Sempre attento a confermare la « genuinità » dell’indipendenza ko-sovara, Marc Weller non nasconde che la dichiarazione fu « drafted in conjunction with, and checked by, key governments » (sulla cui non mi-steriosa identità pudicamente si tace). Ricorda, inoltre, che le formule da includere nel documento furono accuratamente scelte per far sì che il Kosovo si vincolasse al rispetto del piano Ahtisaari nelle more dell’ado-zione di un testo costituzionale a esso conforme. Si decise in particolare di richiamare la nozione giusinternazionalistica di « dichiarazione uni-laterale » per chiarire che l’atto « created legal obligations erga omnes », ossia « legal obligations [of which] all other states … can demand per-formance »81. L’ultimo paragrafo del documento si chiude, infatti, con la seguente frase: « We declare publicly that all states are entitled to rely upon this declaration » (par. 12). È vero che un simile impegno, stando alle conclusioni raggiunte dalla Commissione di diritto internazionale in tema di atti unilaterali, è revocabile a certe condizioni:

A unilateral declaration that has created legal obligations for the State ma-king the declaration cannot be revoked arbitrarily. In assessing whether a re-vocation would be arbitrary, consideration should be given to: (a) Any speci-fic terms of the declaration relating to revocation; (b) The extent to which tho-se to whom the obligations are owed have relied on such obligations; (c) The extent to which there has been a fundamental change of circumstances82.

Si sarà tuttavia notato che i « consiglieri » dei dichiaranti hanno vo-luto cautelarsi contro l’eventualità di una revoca della promessa, sugge-rendo di precisare che quest’ultima era proferita « clearly, specifically, and irrevocably », una sfilza di avverbi – e ce n’è un quarto, « legally »,

80 Secondo i rappresentanti della Repubblica del Kosovo, l’atto di sottomissione contenuto nella dichiarazione di indipendenza è, appunto, un invito, il quale a sua volta altro non è che un « esercizio della propria sovranità » (Written Contribution of the Republic of Kosovo, 17 aprile 2009, pp. 10, 29). È dello stesso avviso, anche se con qualche esitazione, WEllEr, op. cit., p. 250: « Presumably, the source of obligation is the self-limitation of sovereignty offered by Kosovo in its Declaration of Independence ». Ma è possibile esercitare la sovranità, o autolimitarsela, prima di averla acquistata?

81 WEllEr, op. cit., p. 231.82 Guiding Principles Applicable to Unilateral Declarations of States Capable of

Creating Legal Obligations, with Commentaries Thereto, cit., p. 380 (principio-guida n. 10).

conclusioni: quEsta non è una dichiarazionE di indiPEndEnza 253

e un quinto, « especially », riferito al piano Ahtisaari – che rende grot-tesco un atto di sottomissione già stonato rispetto all’intitolazione del documento. La revoca dunque è espressamente esclusa e con essa, for-se, la possibilità di invocare la clausola rebus sic stantibus. Quanto all’af-fidamento dei terzi, esso ha subito assunto dimensioni consistenti – con l’immediata costituzione e dispiegamento delle strutture contemplate dal piano Ahtisaari – e dunque già di per sé ostative, forse, rispetto a possibili iniziative di « emancipazione »83.

La Corte scotomizza questo fondamentale aspetto della dichiarazio-ne di indipendenza. Ne ignora completamente la natura di atto inter-nazionale, di impegno unilateralmente assunto nei confronti di tutti gli Stati84. Ma assunto da chi? Per identificare il titolare della posizione giu-ridica passiva e stabilire quale fosse, di conseguenza, il regime normati-vo applicabile alla medesima, la Corte avrebbe dovuto interrogarsi pre-liminarmente sullo status del Kosovo: un ente sovrano il cui atto di na-scita è rappresentato dalla dichiarazione di indipendenza? Un movimen-to di liberazione nazionale? Un’organizzazione non governativa? Uno Stato fantoccio e quindi, in linea di principio, incapace, a differenza dei suoi « controllori », di fungere da centro di imputazione di obblighi e responsabilità?85 Sappiamo tuttavia che la Corte ha escluso a priori, cioè

83 In precedenza ho sostenuto che l’incontro tra la promessa contenuta nella dichiarazione di indipendenza e l’accettazione della stessa da parte di alcuni Stati hanno condotto alla formazione di un accordo tra i soggetti coinvolti (cfr. supra nota 77 e testo corrispondente), il cui contenuto coincide grossomodo con quello del Piano Ahtisaari (sul rapporto tra promessa e accordo cfr., ancora, MorElli, op. cit., p. 289). Nell’ipotesi in cui le autorità kosovare giustamente ritengano di aver soddisfatto le condizioni poste dal Piano ai fini dell’accesso all’indipendenza (quella vera), scontrandosi però con il diverso avviso dei membri dell’ISG, potrebbe il Kosovo dichiarare legittimamente risolto l’accordo per inadempimento? Non credo, dato che la promessa, e dunque l’accordo stesso, attribuisce all’ISG (e non alle autorità kosovare) il potere di decidere se ricorrono le condizioni per porre fine al regime di dipendenza.

84 La dimensione di atto internazionale della dichiarazione di indipendenza è messa in evidenza da Milano, Declarations of Independence and Territorial Integrity in General International Law: Some Reflections in Light of the Court’s Advisory Opinion, in Questions de droit international autour de l’avis consultatif de la Cour internationale de justice sur le Kosovo (a cura di Arcari e Balmond), Giuffrè, Milano, 2011 (in corso di pubblicazione), spec. § 2, il quale tuttavia trae da ciò conclusioni in parte dissimili, anche perché resta convinto che a pronunciare la dichiarazione siano state le Istituzioni provvisorie di autogoverno.

85 Supponiamo, per un istante, che non si possa sostenere che la dichiarazione di indipendenza racchiuda un atto internazionale perché il dichiarante è sprovvisto di soggettività internazionale (cfr. supra, nota 77 in fine). Ma questa è, appunto, solo un’ipotesi. Di fronte a un atto che è inteso (non solo dai suoi autori), e si presenta oggettivamente, come una promessa afferente all’ordinamento internazionale, ancorché

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senza considerare il contenuto della dichiarazione, di doversi occupare di simili questioni86. Ma c’è di più. La Corte avrebbe dovuto chieder-si se la (singolare) promessa fosse stata validamente pronunciata: espres-sione di una libera volontà di vincolarsi o risultato di pressioni esterne, forse qualificabili come atti di coercizione poiché esercitate da Stati le cui forze armate erano (e sono) presenti in Kosovo?87 E ancora: l’atto e-manato dalla leadership kosovara, che consegna il potere a un gruppo di Stati stranieri, è compatibile con il superiore principio di autodetermi-nazione, ammesso e non concesso – ma questo avrebbe dovuto stabilirlo la Corte – che il popolo kosovaro sia titolare del relativo diritto?

È il caso di sottolineare che questi interrogativi, per quanto possa-no apparire provocatori, scaturiscono da una piana lettura della dichia-razione di indipendenza e ricadono pienamente nel perimetro del que-sito sottoposto alla Corte. Ciò nonostante, evocarli crea, mi pare, un’at-mosfera di irrealtà. Perché?

Perché non è lecito attendersi che la Corte internazionale di giusti-zia getti uno sguardo « innocente » sulla realtà di un caso politicamente insidiosissimo; che faccia come il bambino che, visto l’imperatore nudo in testa al corteo, grida in mezzo alla folla « ma non ha niente indosso! », invece di comportarsi come il ciambellano che, dovendo reggere lo stra-scico di un vestito inesistente, o leggero « come una tela di ragno », finge di raccoglierlo e stringe l’aria, per non far vedere che non vede niente88.

Si provi a immaginare la Corte che, ridefinita l’identità degli auto-ri della dichiarazione di indipendenza, procede a riqualificare anche la natura dell’atto: « ma questa non è una dichiarazione di indipendenza ». Non è credibile. L’esercizio è quindi inutile? No, se induce a riflettere

solo prima facie, la Corte avrebbe dovuto perlomeno discutere se la parte rilevante della dichiarazione dovesse ritenersi inesistente (e quindi senz’altro non conforme al diritto internazionale) per radicale carenza di requisiti soggettivi.

86 Parere consultivo del 22 luglio 2010, Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, cit., par. 51: « The question is narrow and specific; it asks the Court’s opinion on whether or not the declaration of independence is in accordance with international law. It does no task about the legal consequences of that declaration. In particular, it does not ask whether or not Kosovo has achieved statehood ... ».

87 A titolo di curiosità, si può notare che la dichiarazione di indipendenza del 2003 (cfr. supra, nota 29), che non andò a buon fine, non prometteva nulla a nessuno, limitandosi a esprimere un… « belief in NATO » (5° capoverso del preambolo) e a invitare l’organizzazione in vista di una sua « longstanding presence in Kosova » (par. 5), senza però attribuirle la prerogativa di decidere quando andarsene.

88 andErsEn, Fiabe, Mondadori, Milano, 1986, pp. 103-104 (I vestiti nuovi dell’imperatore).

conclusioni: quEsta non è una dichiarazionE di indiPEndEnza 255

sui limiti dell’istituzione chiamata a dire il diritto, sui vincoli che ne de-formano la visuale prima ancora di incidere sullo svolgimento dell’argo-mentazione.