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PARTE SECONDA
Tacito nei testi di Letteratura Latina
dagli anni ’90 del Novecento ad oggi
Introduzione
La seconda parte del presente lavoro ha per oggetto la trattazione di
Tacito e delle sue opere nei testi di Letteratura Latina pubblicati tra gli
anni Novanta del Novecento e il 2013.
I suddetti manuali appaiono del tutto differenti dai testi in uso nelle
scuole nel cinquantennio precedente, perché strutturati secondo le
finalità e gli obiettivi stabiliti dalla Commissione Brocca che, a partire
dal 1990, ha determinato importanti novità nella didattica del Latino.
La più notevole nell’ambito dello studio della Letteratura è la centralità
del testo: per conoscere un autore del mondo classico, sia latino sia
greco, si ritiene necessario e indispensabile partire dalla lettura diretta,
ed anche in traduzione, delle sue opere.
La riflessione sul testo nei suoi molteplici aspetti come punto di
partenza dell’attività didattica consente di perseguire le finalità che
l’insegnamento del Latino deve raggiungere oggi nella scuola
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secondaria di secondo grado, finalità non solo propriamente
linguistiche, ma anche storico - culturali e letterarie.
Studiare il Latino consente l’acquisizione di abilità linguistiche
permanenti, che permettono di padroneggiare l’italiano e tutti i suoi
codici settoriali, nonché un approfondimento consapevole anche di altre
lingue.
Ma studiare il Latino significa anche poter accostarsi ai testi antichi e
attraverso di essi conoscere le radici culturali della nostra civiltà italiana
ed europea, significa aver accesso ad un immenso patrimonio letterario,
quello di Roma antica, per comprendere i meccanismi della
comunicazione che ancora oggi sono alla base della letteratura.
Questa nuova impostazione della didattica ha prodotto manuali di
Letteratura Latina completamente nuovi in cui testi e storia letteraria si
fondono.
Non c’è più divisione tra letteratura e classico: ogni autore è presentato
attraverso i testi che ha prodotto. Ovviamente è compito dell’insegnante
scegliere i brani da proporre agli alunni, in relazione agli obiettivi
didattici da raggiungere.
Nei manuali recenti è possibile realizzare anche percorsi per generi
letterari (ad esempio, l’elegia o la storiografia) in modo da permettere
all’alunno di individuare le caratteristiche proprie di ciascun genere e
riconoscere le differenze tra le varie tipologie testuali.
Altro elemento di novità è la trattazione, in alcuni casi anche molto
estesa, del periodo storico in cui ogni autore è vissuto: ciò aiuta il
discente a comprendere meglio il suo pensiero, inevitabilmente
determinato dall’epoca in cui egli è vissuto.
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In tempi recentissimi, si vanno poi sempre più affermando i testi misti,
testi cioè che, pur restando cartacei, offrono materiale di studio anche
attraverso il web o supporti multimediali.
Attraverso tale via si arriverà fra breve sicuramente ad una ulteriore
trasformazione della didattica del Latino che potrà forse portare alla
completa eliminazione del libro di testo tradizionale.
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2.1 Tacito e l’indagine etnografica
L’excursus a carattere etnografico è un elemento presente in almeno tre
delle opere tacitiane: Agricola, Germania, Historiae.
Si tratta di digressioni su popoli stranieri di cui vengono delineati usi e
costumi e descritti i luoghi geografici in cui essi vivono.
Lo scritto tacitiano maggiormente rappresentativo in tal senso è la
Germania, opera interamente dedicata al popolo barbaro dei Germani.
Non bisogna però sottovalutare altri due excursus ugualmente
significativi: quello sui Britanni contenuto nei capitoli 10 - 17
dell’Agricola, e quello sugli Ebrei, presente nel libro V delle Historiae.
Molti dei manuali più recenti riservano ampio spazio a questo tema,
illustrando le reali intenzioni dello storico sottese alla composizione
degli excursus a carattere etnografico.
Il testo che approfondisce maggiormente questa tematica è, senz’alcun
dubbio, quello curato da Paolo Di Sacco e da Mauro Serio.
In primis, gli autori illustrano, nelle linee generali, le caratteristiche del
genere etnografico:
‹‹L’etnografia è la disciplina che studia la cultura e la vita dei popoli
semplici e illetterati (“barbarici secondo gli antichi greci e latini). In
età antica un interesse etnografico si incontra in maniera più o meno
occasionale nell’ambito di ricerche storiche e geografiche››1.
Successivamente, dopo aver descritto il contenuto delle tre digressioni
sopra citate, gli studiosi offrono un interessante percorso tematico
sull’indagine etnografica condotta dallo storico.
1P. Di Sacco - M. Serio, Il mondo latino, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Milano 2001, vol.
IV, p. 361.
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Riguardo al vero intento di Tacito nella stesura degli excursus geo –
etnografici, essi sostengono che ‹‹le indagini etnografiche condotte
da Tacito sui popoli stranieri che abitavano le “periferie calde”
dell’impero non hanno mai uno scopo puramente scientifico, ma
sempre e comunque etico. In particolare, Tacito ricava dal
confronto con questi popoli interessanti riflessioni sul costume
romano, sulla sua storia, sul ruolo della civiltà di Roma nel mondo e
sul suo imperium››2.
Riportano tre brani.
Nel primo, tratto dall’Agricola, Tacito narra le caratteristiche fisiche dei
Britanni e del territorio in cui essi vivono.
‹‹Tacito mostra caratteri, punti di forza e debolezze della Britannia e
dei suoi abitanti, cercando di trovare una giustificazione anche in
termini economici delle lunghe campagne combattute da Roma
sull’isola››3:
‹‹ Non possiamo dire con esattezza, come è naturale quando
si tratta di genti barbare, se coloro che per primi abitarono la
Britannia furono indigeni o immigrati. Diversi sono gli aspetti
fisici degli abitanti; di qui nasce la varietà delle ipotesi: infatti
gli abitanti della Caledonia hanno i capelli rossi e nella
grandezza delle membra testimoniano la loro origine
germanica; i Siluri, invece, hanno la pelle scura, i capelli
crespi per la maggior parte e, per il fatto che essi occupano
quella zona del paese che sta di fronte alla Spagna,
starebbero a provare che gli antichi Iberi, attraversato il
mare, abbiano occupato quei luoghi... Il suolo fertile produce
messi, fuorché olivi e viti e quegli altri frutti della terra, che
2P. Di Sacco - M. Serio, op. cit., p. 387. 3P. Di Sacco - M. Serio, ibidem.
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possono nascere soltanto in terreni più caldi. La Britannia
produce oro e argento e altri metalli, premio della vittoria.
L’oceano, inoltre produce perle, che sono, tuttavia, di un
colore bruno nerastro... I Britanni sono pronti ad accettare
leve e tasse e ogni altro onere imposto dalla sudditanza,
soltanto a condizione che non si eserciti ingiustizia.››4
(Tac., Agr., 11 - 13)
In coda al brano essi operano un interessante confronto testuale con un
passo del De bello Gallico in cui Cesare fa sul popolo britannico
osservazioni analoghe a quelle di Tacito:
‹‹ Le regioni dell’interno sono ricche di stagno, sulla costa si
trova ferro, ma in piccola quantità; usano rame importato...
Tutti i Britanni si tingono col guado, che produce un colore
turchino, e perciò in battaglia il loro aspetto è ancor più
terrificante: portano i capelli lunghi e si radono in ogni parte
del corpo, a eccezione della testa e del labbro superiore.››5
(Caes., De b. G., V, 12 - 14)
Il secondo passo, tratto ancora una volta dall’Agricola, è il discorso del
principe caledone Calgaco, ‹‹una vera e propria requisitoria contro
l’imperialismo romano, che sembra suonare a tratti come una
condanna dell’intera storia romana››6:
“Priores pugnae, quibus adversus Romanos varia fortuna
certatum est, spem ac subsidium in nostris manibus habebant,
quia nobilissimi totius Britanniae eoque in ipsis penetralibus
siti ne culla serventium litora aspicientes, oculos quoque a
4Tacito, La vita di Agricola, trad. it. di B. Ceva, BUR, Milano 1990, pp. 96 - 103. 5Cesare, La guerra gallica, trad. it. di A. Barabino, Garzanti, Milano 1991. 6P. Di Sacco - M. Serio, ibidem.
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contactu dominationis inviolatos habebamus. Nos terrarum
ac libertatis extremos recessus ipse ac sinus famae in hunc
diem defendit: nunc terminus Britanniae patet, atque omne
ignotum pro magnifico est... Raptores orbi, postquam cuncta
vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples hostis
est, avari, si pauper, ambitiosi.”
(Tac., Agr., 30)
‹‹ Le precedenti battaglie, quando con varia fortuna si lottò
contro i Romani, avevano nelle nostre braccia una speranza
e un aiuto, perché noi, che siamo la stirpe più pura di tutta la
Britannia, e che per ciò abitiamo proprio la regione più
remota, noi che non scorgevamo neppure le spiagge dei
popoli schiavi, avevamo persino lo sguardo libero da ogni
contatto con l’oppressore. Noi che siamo al limite estremo del
mondo e della libertà, fummo, fino ad oggi, difesi dal nostro
nascosto rifugio e dall’oscurità della fama; si sa che tutto ciò
che è sconosciuto è fonte di meraviglia... Rapinatori del
mondo, i Romani, dopo aver tutto devastato, non avendo più
terre da saccheggiare, vanno a frugare anche il mare; avidi
se il nemico è ricco, smaniosi di dominio se è povero.››7
Infine, gli studiosi riportano i capitoli del libro V delle Historiae
dedicati alla storia del popolo ebraico. Tacito, in questo caso, si
sofferma non solo sulle abitudini di vita degli Ebrei, ma anche sulla
religione giudaica che, come osservano i due critici, ‹‹allo storico
romano appare sostanzialmente incomprensibile››:
‹‹Perché il popolo restasse legato a lui in futuro, Mosè
introdusse nuovi riti, opposti a quelli degli altri uomini. Colà
sono empie tutte le cose che da noi sono sacre, e in
7Tacito, op. cit., pp. 138 - 141.
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compenso è lecito presso di loro ciò che per noi è sacrilego.
L’effigie dell’animale (l’asino selvatico), sulle cui indicazioni
avevano posto termine allo smarrimento e alla sete,
consacrarono in un santuario, dopo aver sacrificato un
ariete, quasi in dispregio di Ammone. Viene da essi immolato
anche un bue, perché gli Egiziani venerano Api. Dalla carne
suina si astengono, in memoria del flagello che un tempo li
aveva colpiti, cioè della lebbra, cui quell’animale è
soggetto.››8
(Tac., Hist., V, 4)
Alla Germania è dedicato un apposito percorso tematico in cui sono
presentati i passi che illustrano al meglio le differenze tra i mores
romani e quelli germanici.
Nel capitolo 9 Tacito parla delle caratteristiche della religione
germanica:
“Deorum maxime Mercurium colunt, cui certis diebus
humanis quoque hostiis litare fas habent. Herculem et
Martem concessis animalibus placant... Ceterum nec
cohibere parietibus deos neque in ullam humani oris speciem
adsimulare ex magnitudine caelestium arbitrantur; lucos ac
nemora consecrant, deorumque nominibus appellant
secretum illud quod sola reverential vident.”
(Tac, Germ., 9)
‹‹Sopra tutti gli dei i Germani onorano Mercurio al quale in
giorni determinati è concesso sacrificare anche vittime
umane. Placano Ercole e Marte immolando animali
permessi... Non ritengono, inoltre, conforme alla maestà degli
dei il racchiuderli fra pareti, né il ritrarli in alcuna forma che
ricordi l’immagine umana; consacrano alle divinità boschi e
8Tacito, Storie, trad. it. di A. Arici, Utet, Torino 1976.
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selve e danno nome di dio a quell’essenza misteriosa, che
solo un senso religioso fa loro intuire.››9
Nel capitolo 18 sono descritti i costumi dei Germani in ambito
matrimoniale, cosa che ‹‹offre a Tacito il pretesto per una dura
requisitoria contro il malcostume dilagante a Roma, cui invano le
leggi tentavano di porre un freno››10:
“Dotem non uxor marito, sed uxori maritus offert. Intersunt
parentes et propinqui, ac munera probant, munera non ad
delicias muliebres quaesita nec quibus nova nupta comatur,
sed boves et frenatum equum et scutum cum framea
gladioque. In haec munera uxor accipitur, atque in vicem ipsa
armorum aliquid viro adfert: hoc maximum vinculum, haec
arcana sacra, hos conigales deos arbitrantur.”
(Tac., Germ., 18, 2)
‹‹Presso di loro non è la moglie che porta la dote al marito,
ma questi che l’offre alla moglie; intervengono i genitori e i
parenti che passano in rassegna i doni, che non sono
destinati al compiacimento della donna, né tali da offrire
ornamenti alla nuova sposa, ma sono dei buoi, un cavallo
bardato, uno scudo con lancia e spada. In cambio di questi
doni, si acquista la moglie, che, a sua volta, consegna al
marito qualche arma: in ciò sta per i Germani il contenuto più
profondo del vincolo; questi sono per loro i sacri misteri e le
divinità delle nozze.››11
9Tacito, La Germania, trad. it. di B. Ceva, BUR, Milano 1990, pp. 211 - 213. 10P. Di Sacco - M. Serio, op. cit., p. 412. 11Tacito, op. cit., p. 231.
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In relazione al capitolo 9 della Germania, è opportuno ricordare che
Luciana Caranci Alfano realizza un interessante parallelismo tra Tacito,
Cesare ed Erodoto.
Secondo la studiosa, infatti, analogo è il modo con cui i tre autori
descrivono le abitudini religiose di un popolo barbaro:
‹‹La Germania rimanda, per la corrispondenza quasi letterale fra i
due testi ai capitoli 11 – 28 del VI libro del De Bello Gallico, in cui
Cesare si sofferma, dal punto di vista geografico ed etnografico, sui
Germani con i quali era venuto a contatto. Ma le implicazioni sono
ancora più complesse: infatti l’esempio del luogo comune ai due
testi, deum maxime Mercurium colunt12 e deorum maxime
Mercurium colunt13, richiama un’analoga espressione di Erodoto a
proposito dei Traci (“venerano sopra tutti gli dei Hermes”14)››15.
Anche Giovanni Cipriani offre all’alunno, nel breve paragrafo dedicato
alla Germania, un collegamento tra la digressione etnografica di
matrice tacitiana e quelle composte da altri autori sia greci che latini:
‹‹Descrizioni di popoli e terre straniere, inserite in più ampie opere a
carattere storico o geografico, si potevano trovare in Timeo e in
Posidonio e in alcuni excursus di Sallustio, Cesare e Livio; lo stesso
Tacito aveva inserito nell’Agricola una digressione sulla Britannia››16.
Il critico riferisce la tesi avallata da diversi studiosi secondo cui la
Germania, per le affinità strutturali con l’excursus sui Giudei presente
nelle Historiae, sia stata concepita da Tacito come una digressione da
inserire nella sua prima opera storica:
12Caes., B. G., VI, 17, 1. 13Tac., Germ., 9. 14Herod., V, 7. 15L. Caranci Alfano, Latinum iter, Loffredo, Napoli 2005, vol. III, pp. 97 - 98. 16G. Cipriani, Storia della letteratura latina, Einaudi Scuola, Torino 1999, vol. II, p. 167.
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‹‹Date le affinità strutturali con la digressione sui Giudei presente nelle
Storie, si è pensato a un excursus etnografico sui Germani destinato
all’opera storica, quasi un nucleo originario ampliatosi al punto tale
da costituire un libro autonomo››17.
Paolo Cutolo dà molta importanza alla teoria, propria della cultura greca
e seguita da Tacito, secondo cui ‹‹esiste una relazione necessaria fra
le caratteristiche di un popolo e il territorio in cui esso vive››18.
Questa tesi, secondo lo studioso che è in sintonia con il pensiero del
Marchesi, sembra essere valida anche per la visione che Tacito ha del
popolo ebraico nel V libro delle Historiae.
Tacito, presenta gli Ebrei come un popolo “cupo”, il cui culto religioso,
così diverso dal paganesimo, è empio ed abominevole.
Il Marchesi osserva che ‹‹di questo popolo lugubre è lugubre pure il
territorio: ne deriva l’impressione di un paesaggio maledetto per una
gente maledetta››19.
Nel manuale del Mortarino - Reali - Turazza20 si legge il passo tratto
dalla Germania in cui lo storico sottolinea come la popolazione
germanica sia rimasta uguale a sé stessa perché incontaminata da
miscugli con altre nazioni: le sue caratteristiche fisiche sono dovute al
freddo e alla fame per effetto del clima e della scarsa fertilità della terra:
“Ipse eorum opinionibus accedo, qui Germaniae populos
nullis aliis aliarum nationum conubiis infectos propriam et
sinceram et tantum sui similem gentem extitisse arbitrantur.
Unde habitus quoque corporum, tamquam in tanto hominum
numero, idem omnibus: truces et caerulei oculi, rutilae
17G. Cipriani, ibidem. 18P. Cutolo, Letteratura e civiltà di Roma, Simone, Napoli 2003, vol. III, p. 385. 19C. Marchesi, Tacito, Principato, Milano 1955, pp. 164 - 165. 20M. Mortarino - M. Reali - G. Turazza, Genius loci, Loescher, Torino 2007, vol. III, p. 445.
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comae, magna corpora et tantum ad impetum valida. Laboris
atque operum non eadem patientia, minimeque sitim
aestumque tolerare, frigora atque inediam caelo solove
adsueverunt.”
(Tac., Germ., 4)
‹‹ Io, per mio conto, aderisco all’opinione di coloro che
ritengono le varie tribù della Germania incontaminate da
miscugli con altre nazioni e che siano una razza distinta, pura,
eguale solamente a sé stessa. L’aspetto esterno dei corpi è in
tutti lo stesso, pure in tanta moltitudine di gente: sguardo
severo in occhi cerulei, capelli fulvi, corporature alte, e
vigorose, ma solo all’assalto. Non resistono ai duri travagli, non
reggono al caldo e alla sete; sono invece abituati al freddo
e alla fame per effetto del clima e della scarsa fertilità del
suolo.››21
Sempre in relazione a questo passo Gian Biagio Conte così dice:
‹‹Risale molto addietro l’ipotesi, a nostro giudizio ben fondata ma
bisognosa di alcune precisazioni, che vede nell’opuscolo
l’esaltazione di una civiltà ingenua e primordiale, non ancora
corrotta dai vizi raffinati di una civiltà decadente. In filigrana, la
Germania sembra percorsa da una vena di implicita
contrapposizione dei barbari, ricchi di energie ancora sane e
fresche, ai Romani››22.
Altri autori preferiscono soffermarsi su passi della Germania meno
noti, ma più ricchi di curiosità.
21Tacito, Germania, trad. it. di E. Cetrangolo, Sansoni, Firenze 1979. 22G. B. Conte - E. Pianezzola, Storia e testi della letteratura latina, Le Monnier, Firenze 2001, tomo
D, p. 403.
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Ad esempio, Diotti - Dossi - Signoracci23 riportano il brano in cui Tacito
parla della raccolta dell’ambra da parte degli Esti. E’ un passo che non
deve essere sottovalutato poiché in esso lo storico ancora una volta
evidenzia la differenza che intercorre tra i Germani e i Romani, gli uni
incontaminati, gli altri preda del lusso sfrenato:
“Sed et mare scrutantur, ac soli omnium sucinum, quod ipsi
glesum vocant, inter vada atque in ipso litore legunt. Nec quae
natura, quaeve ratio gignat, ut barbaris, quaesitum
compertumve; diu quin etiam cetera eiectamenta maris
iacebat, donec luxuria nostra dedit nomen. Ipsis in nullo usu;
rude legitur, informe perfertur, pretiumque mirantes
accipiunt.”
(Tac., Germ., 45, 4)
‹‹Esplorano, tuttavia, anche il mare, e soli fra tutti raccolgono
nei bassifondi e sulla stessa spiaggia l’ambra, che essi
chiamano “gleso”. Data la loro barbarie, essi né indagarono
né vennero a conoscere quale sia la natura di tale sostanza
e quale causa la generi; essa, infatti, giaceva da lungo
tempo tra gli altri rifiuti del mare, finché il nostro fasto non ne
fece una cosa pregiata. Essi non se ne servono in alcun
modo: la raccolgono allo stato grezzo, la portano sui mercati
così com’è e, stupefatti, ne ricevono il prezzo.››24
Lina Grossi e Rosa Rossi dedicano alle digressioni etnografiche
tacitiane due sezioni: una dedicata ai Germani, l’altra agli Ebrei.
23A. Diotti - S. Dossi - F. Signoracci, Memora maiorum, Società Editrice Internazionale, Torino
2001, pp. 190 - 191. 24Tacito, La Germania, trad. it. di B. Ceva, BUR, Milano 1990, pp. 288 - 291.
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Riguardo ai primi, le due studiose offrono un interessante confronto tra
la descrizione tacitiana di questo popolo e quella fatta da Plinio il
Vecchio nella Naturalis historia:
“Germanorum genera quinque: Vandali quorum pars
Burgudiones, Varinnae, Charini, Gutones; alterum genus
Inguaeones, quorum pars Cimbri, Teutoni ac Chaucorum
gentes... “
(Plin., Nat. hist., IV, 15)
‹‹I Germani hanno cinque razze: i Vandali, di cui fanno parte
i Burgudioni, Varinni, Carini, Gutoni; segue la razza degli
Ingueoni, comprendente Cimbri e Teutoni, e la tribù dei
Cauci.››25
Ne deriva una distinzione ben precisa: la digressione pliniana ha una
finalità puramente descrittiva, quella tacitiana, invece, mira ad
individuare i punti di forza e i punti di debolezza del popolo barbaro.
Indubbiamente, questi sono gli unici testi in cui è possibile ritrovare il
maggior numero di informazioni ed osservazioni sull’excursus
riservato al popolo ebraico nelle Historiae.
Innanzitutto, le studiose evidenziano l’importanza della testimonianza
di Tacito, fondamentale per comprendere le origini dei rapporti tra
Roma e la Giudea, rapporti che risalgono alla prima metà del II secolo
a. C. :
‹‹La parte più interessante dell’excursus è rappresentata dai capitoli
dedicati all’origine, agli usi e ai costumi della popolazione ebraica
25Plinio il Vecchio, Storia naturale, trad. it. di A. Barchiesi, Einaudi, Torino 1982, vol. I.
80
per il significato che essi assumono nella storia di una questione
antica già ai tempi di Tacito, e per la ricostruzione delle modalità con
cui i Romani si confrontano con un popolo di consolidate tradizioni.
Tale sezione dell’opera offre l’opportunità di capire il difficile
contatto tra mondi separati da una profonda differenza culturale e
religiosa, che diviene il punto di partenza per un problema che si
trascina nei secoli, fino ad assumere i contorni drammatici della
nostra attualità››26.
Viene in seguito riportato il capitolo in cui Tacito parla delle varie
migrazioni effettuate dal popolo ebraico prima di stabilirsi
definitivamente in Palestina:
“Iudaeos Creta insula profugos novissima Libyae insedisse
memorant, qua tempestate Saturnus vi Iovis pulsus cesserit
regnis... Quidam regnante Iside exundantem per Aegyptum
multitudinem ducibus Hierosolymo ac Iuda proximas in terras
exoneratam: plerique Aethiopum prolem, quos rege Cepheo
metus atque odium mutare sedes perpulerit.”
(Tac., Hist., V, 2)
‹‹Narrano che i Giudei, fuggiaschi dall’isola di Creta, si siano
stanziati all’estremo limite della Libia nel tempo in cui Saturno,
cacciato dalla prepotenza di Giove, se ne andò dai suoi
domini... Alcuni dicono che sotto il regno di Iside la
popolazione sovrabbondante in Egitto si sia riversata nelle
terre vicine, sotto la guida di Ierosolimo e di Giuda; i più li
credono discendenza degli Etiopi, che ai tempi del re Cefeo
furono spinti da paura e da odio a mutar sede.››27
26L. Grossi - R. Rossi, Homines atque aevum, Paravia, Torino 2003, p. 317. 27Tacito, Storie, trad. it. di A. Arici, Utet, Torino 1976.
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Secondo le due studiose, infatti, ‹‹l’aspetto più interessante del
capitolo è rappresentato dal fatto che ciascuna ipotesi sull’identità
di questo popolo prevede una lunga fase di migrazione degli Ebrei
da un luogo originario, attraverso territori dove rimane per un periodo
di tempo più o meno lungo, prima di raggiungere la Palestina dove
si stabilisce››28.
28L. Grossi - R. Rossi, Testi, autori, itinerari, contesti della letteratura latina, Paravia, Torino
2000, tomo 2B, p. 365.
82
2.2 Il ritratto
Una delle peculiarità del modus scribendi tacitiano, soprattutto negli
Annales, è l’aver posto al centro della narrazione il personaggio.
Come già aveva opportunamente osservato il Marchesi, infatti, ‹‹negli
Annales prevale la psicologia dell’uno: si profilano grandi e tristi figure
di uomini su uno sfondo inerte e monotono di spettatori››29.
Ne deriva, quindi, una galleria di ritratti di imperatori e cortigiani
finalizzati essenzialmente all’indagine psicologica dalla quale non si
può prescindere per una corretta comprensione dei comportamenti
umani.
I manuali curati dal Mortarino - Reali - Turazza e da Paolo Fedeli
presentano un’analisi esaustiva della ritrattistica tacitiana.
I primi sottolineano come il giudizio di Tacito sui vari imperatori sia
perfettamente analogo alla sua visione negativa del principato:
‹‹Lo storico esprime giudizi differenziati sui vari imperatori, anche se le
parti oggi leggibili della sua opera ci danno immagini per lo più
negative dei governanti di Roma...››30.
Spesso gli bastano poche e lapidarie parole per presentare un
protagonista della storia. La descrizione dell’ “effimero” Galba nelle
Historiae si sintetizza, ad esempio, nella seguente sententia:
“Capax imperii, nisi imperasset.”
(Tac., Hist., I, 49)
‹‹Capace di regger l’impero, se non l’avesse retto.››31
29C. Marchesi, op. cit., p. 211. 30M. Mortarino - M. Reali - G. Turazza, op. cit., p. 435. 31Tacito, Storie, trad. it. di E. Cetrangolo, Sansoni, Firenze 1979.
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Più ricchi di informazioni e di particolari i ritratti dei sovrani della
dinastia giulio - claudia negli Annales:
‹‹Tiberio viene descritto come un tiranno sospettoso e crudele;
Claudio appare succube delle mogli e dei liberti››32.
Il modo in cui Tacito delinea la figura di Nerone viene considerato ‹‹il
capolavoro letterario della sua storiografia. L’imperatore, dopo la
prima positiva fase del suo regno, si configura come una sorta di
“eroe noir”, oscillante tra crudeltà e pazzia››33.
Non vengono trascurati gli exempla virtutis, ossia quegli uomini che
agli occhi di Tacito appaiono come modelli di virtù:
‹‹Le scelte etiche fatte da Seneca, Petronio, Trasea Peto,
Germanico, Corbulone e Agricola forniranno dei modelli di virtù per
i posteri, ma non contribuiranno affatto alla risoluzione dei mali del
loro tempo››34.
Riguardo al ritratto di Petronio, i tre critici non hanno alcun dubbio: la
descrizione tacitiana dell’autore del Satyricon, raffinato esteta ma
anche risoluto uomo politico, appare perfettamente in linea con la sua
reale vita:
‹‹Infatti un uomo dalla vita tanto contraddittoria ben rispecchia
l’ambivalenza di quell’opera, in bilico tra divertimento narrativo e
denuncia morale››35.
Prima di raccontare il suicidio di Petronio, Tacito descrive la sua
personalità ambigua:
32M. Mortarino - M. Reali - G. Turazza, ibidem. 33M. Mortarino - M. Reali - G. Turazza, ibidem. 34M. Mortarino - M. Reali - G. Turazza, op. cit., p. 437. 35M. Mortarino - M. Reali - G. Turazza, op. cit., p. 487.
84
‹‹Egli trascorreva le giornate dormendo, le notti, invece,
dedicava alle opere e ai piaceri, in modo che quella
rinomanza che altri acquistavano con l’attività egli
acquistava con l’ozio indolente... Ciò nonostante, come
proconsole in Bitinia e più tardi console, apparve pieno
d’energia e in tutto all’altezza del suo compito. In seguito, sia
che fosse realmente ripiombato nei vizi o che soltanto si
atteggiasse a uomo vizioso, fu ammesso nel circolo dei pochi
intimi di Nerone, tra i quali divenne arbitro di ogni
raffinatezza...››36
(Tac., Ann., XVI, 18)
Paolo Fedeli si sofferma principalmente sui ritratti di Tiberio, Claudio
e Nerone.
Le caratteristiche principali di Tiberio sono la dissimulatio, la crudeltà
e la superbia:
‹‹Nel giudizio complessivo Tacito si dimostra chiaramente ostile a
Tiberio, del quale, tuttavia, riconosce in talune circostanze l’energia
e la saggezza nell’amministrazione. Tiberio è crudele e dispotico
come Caligola e Nerone, ma sa nascondere la sua vera natura
dietro un falso rispetto per il Senato e un menzognero ossequio nei
confronti della tradizione››37.
Claudio rappresenta, invece, ‹‹il prototipo della debolezza e
dell’inettitudine: lo storico si prende gioco degli interessi letterari del
principe, ma soprattutto non nasconde la sua indignazione perché
egli ha affidato ai liberti il governo dello Stato››38.
Nerone è per Tacito il tiranno per antonomasia:
36Tacito, Annali, trad. it. di B. Ceva, BUR, Milano 1981, p. 785. 37P. Fedeli, Storia letteraria di Roma, Fratelli Ferraro Editori, Napoli 2004, p. 769. 38P. Fedeli, ibidem.
85
‹‹Egli incarna tutti i vizi del tiranno: dall’abiezione morale alla
mancanza di scrupoli, dalla diffidenza all’alterigia, alla follia››39.
Il testo curato da Diotti - Dossi - Signoracci dà rilievo solamente ai
ritratti tacitiani di Tiberio e Nerone, riportando in coda alla trattazione
i relativi brani degli Annales.
In analogia con il pensiero di Ronald Syme40, gli studiosi osservano
come, attraverso le parole dello storico, la natura di Tiberio venga fuori
in modo graduale:
‹‹Quello di Tiberio è un ritratto in fieri: la sua natura emerge a poco a
poco e trova compimento nei due capitoli finali del sesto libro,
quando viene descritta la sua sconcia vecchiaia...››:
‹‹Oramai le forze del corpo abbandonavano Tiberio, ma non
lo abbandonava la dissimulazione: identica rimaneva la
durezza dell’animo. Con i discorsi e l’espressione del viso ben
controllati, talvolta con studiata affabilità, cercava di
nascondere la decadenza, per quanto manifesta...››41
(Tac., Ann., VI, 50)
Nerone, secondo i critici, è rappresentato da Tacito come un tiranno
folle per i seguenti motivi:
‹‹Egli portò alle estreme conseguenze la riduzione del Senato a
semplice assemblea asseverativa; fu esempio di cattiva gestione
dello Stato e di sperpero del denaro pubblico, profuso in spese folli;
infine, si rese promotore di una impostazione autocratica del potere
imperiale, di stampo ellenistico - orientale, che cozzava con la
tradizione romana››42.
39P. Fedeli, op. cit., pp. 769 - 770. 40R. Syme, Tacito, Paideia, Brescia 1967, pp. 412 - 413. 41A. Diotti - S. Dossi - F. Signoracci, op. cit., p. 170. 42A. Diotti - S. Dossi - F. Signoracci, op. cit., p. 171.
86
La riflessione poggia nel seguente passo:
‹‹Frattanto il Senato, quando oramai erano vicini i ludi
quinquennali, offrì all’imperatore la vittoria nella gara di
canto e aggiunse la corona dell’eloquenza, con cui
mascherare la vergognosa esibizione. Ma Nerone, ripetendo
che non c’era bisogno di intrighi o di interventi d’autorità del
Senato e che egli, a pari condizioni con i suoi rivali, avrebbe
conseguito il meritato elogio dalla scrupolosa giustizia dei
giudici, anzitutto recitò sul palco una sua poesia...››43
I manuali curati da Conte - Pianezzola e dalla Garbarino sono
accomunati da una trattazione incentrata soprattutto sulle varie
tipologie del ritratto tacitiano.
Dopo aver constatato come questa tematica, perfezionata dallo storico
negli Annales, fosse già presente nelle Historiae, il Conte e il
Pianezzola individuano almeno due tipi di ritratto tacitiano: quello
indiretto e quello paradossale.
Conforme alla prima tipologia, secondo i due studiosi, è il modo in cui
Tacito dipinge la figura di Tiberio:
‹‹Lo storico non dà il ritratto una volta per tutte, ma fa sì che esso si
delinei progressivamente attraverso una narrazione sottolineata qua
e là da osservazioni e commenti. Il ritratto di Tiberio è dipinto in tutta
la gamma delle gradazioni. Gli piaceva mostrarsi torvo, era
innamorato dell’austerità; oppresso dalla tristitia, improntava la
propria condotta a crudeltà e inclementia››44.
43A. Diotti - S. Dossi - F. Signoracci, ibidem. 44G. B. Conte - E. Pianezzola, op. cit., p. 409.
87
Il ritratto paradossale si realizza per personalità dal carattere
ambivalente. I due critici sostengono che negli Annales l’esempio più
notevole in tal senso è la descrizione tacitiana di Petronio:
‹‹Il fascino del personaggio sta nei suoi aspetti contraddittori:
Petronio si è assicurato con la ignavia la fama che altri conquistano
con infaticabile operosità; ma la mollezza della sua vita contrasta
con l’energia e la competenza dimostrate quando ha ricoperto
importanti cariche pubbliche››45.
Anche nelle Historiae è presente un ritratto di tipo paradossale.
Nel primo libro dell’opera, infatti, Tacito descrive vizi e virtù del
console Licinio Muciano, la cui personalità emerge proprio
dall’accostamento dei contrasti:
“Luxuria industria, comitate adrogantia, malis bonisque
artibus mixtus: nimiae voluptates, cum vacaret; quotiens
expedierat, magnae virtutes. Palam laudares, secreta male
audiebant: sed apud subiectos, apud proximos, apud collegas
varii incelebris potens...”
(Tac., Hist., I, 10)
‹‹Si confondevano in lui la dissipazione e l’operosità, il tratto
cordiale e l’arrogante, ogni buono ed ogni cattivo costume;
nell’ozio, sfrenato gaudente; assunta un’impresa,
valentissimo; lodevole nei suoi gesti esteriori, malfamato
nell’intimo; ma pur sempre influentissimo, per ricchezza di
risorse, sui dipendenti, sui familiari, sui colleghi...››46
45G. B. Conte - E. Pianezzola, ibidem. 46 Tac., Historiae, in Opere, trad. it. di C. Giussani, Einaudi, Torino 1968, pp. 550 - 551.
88
Giovanna Garbarino distingue il ritratto tacitiano in sé, impostato
secondo la maniera sallustiana, da quello che viene redatto a guisa di
epitafio dopo la descrizione della morte del personaggio:
‹‹Il ritratto modellato secondo la maniera sallustina trascura quasi
sempre le caratteristiche fisiche per concentrarsi sulle qualità e sui
difetti morali... Il ritratto, secondo un uso già presente in Livio, può
anche consistere in un epitafio, che segue immediatamente la
descrizione della morte e che comprende i caratteri esteriori
essenziali, un’analisi del carattere, un riepilogo della parte avuta
negli eventi narrati e un giudizio conclusivo››47.
Il manuale curato dal Malaspina et alii è sostanzialmente l’unico testo
a dare un certo rilievo alle figure femminili descritte negli Annales:
‹‹Numerosi ritratti sono dedicati a figure femminili, cui Tacito
conferisce uno spessore e un valore del tutto particolari: le donne, al
pari degli uomini, incarnano vizi e virtù di quella società che lo storico
tanto realisticamente descrive››48.
A tal proposito, sono riportati due brani.
Nel primo, lo storico traccia la figura della “seduttrice” Poppea Sabina,
seconda moglie di Nerone:
“Huic mulieri cuncta alia fuere praeter honestum animum.
Quippe mater eius, aetatis suae feminas pulchritudine
supergressa, gloriam pariter et formam dederat; opes
claritudini generis sufficiebant. Sermo comis nec absurdum
ingenium. Modestiam praeferre et lascivia uti...
47G. Garbarino, Opera, Paravia, Torino 2004, vol. III, p. 425. 48E. Malaspina - P. Pagliani - R. Alosi - A. Buonopane - R. Ampio - A. Balbo, Antico presente,
Petrini, Torino 2006, vol. III, p. 332.
89
Famae numquam pepercit, maritos et adulteros non
distinguens...”
(Tac., Ann., XIII, 45)
‹‹Questa donna ebbe tutte le doti, fuorché quella di un animo
onesto. Da sua madre, che aveva superato in bellezza tutte
le donne dell’età sua, aveva avuto parimenti rinomanza e
fascino; aveva poi ricchezze adeguate alla nobiltà. Il suo
tratto era cordiale e la sua intelligenza non priva di vivacità;
affettava modestia e si dava alle dissolutezze... Non si curò
mai di avere una buona fama, nonché di fare alcuna
distinzione fra mariti ed amanti...››49
Nel secondo, invece, troviamo la descrizione di Epicari, la liberta che
partecipò alla congiura pisoniana contro Nerone:
‹‹Una certa Epicari, informata non si sa in che modo (poiché
prima di allora non si era mai occupata di onorevoli azioni), si
adoperava ad infiammare e a rimbrottare i congiurati; alla
fine, infastidita dalla loro lentezza, trovandosi in Campania
volse i suoi sforzi a sobillare i comandanti della flotta di Miseno
e ad obbligarli col vincolo della complicità...››50
Giusto Monaco, Gaetano De Bernardis e Andrea Sorci pongono al
centro della trattazione della ritrattistica tacitiana una riflessione sulla
simulazione, caratteristica propria di molti personaggi degli Annales
(ad esempio, Tiberio, che da Tacito è considerato il dissimulatore per
eccellenza): ‹‹La simulazione, per cui un personaggio riesce ad
49Tacito, Annali, trad. it. di B. Ceva, BUR, Milano 1981, p. 599. 50E. Malaspina - P. Pagliani - R. Alosi - A. Buonopane - R. Ampio - A. Balbo, op. cit., p. 382.
90
apparire ciò che in realtà non è, è una vera e propria costante
nell’opera tacitiana››51.
Paolo Di Sacco e Mauro Serio riservano poche ed essenziali parole ai
ritratti fatti da Tacito dei protagonisti degli eventi storici della Roma del
primo impero, “medaglioni” realizzati magistralmente in poche righe:
‹‹Tutti i commentatori sono rimasti colpiti dall’efficacia con cui lo
scrittore incide i ritratti dei suoi protagonisti, “medaglioni” per lo più
sbalzati in poche righe, che mostrano una fisionomia per dir così
“operativa” del soggetto in esame, colto nel vivo delle sue mosse e
reazioni››52.
51G. Monaco - G. De Bernardis - A. Sorci, La letteratura di Roma antica, Palumbo, Palermo 2001,
p. 761. 52P. Di Sacco - M. Serio, op. cit., p. 369.
91
2.3 Le fonti e i modelli di Tacito
Nei manuali più recenti, cioè quelli pubblicati dopo i lavori della
Commissione Brocca, almeno due sono le tipologie di trattazione delle
fonti a cui Tacito attinse e dei modelli a cui si ispirò.
Alcuni testi, infatti, offrono all’alunno un quadro generale su questo
argomento; altri, invece, si soffermano esclusivamente su determinati
autori da cui lo storico trasse notizie o stilemi.
Il manuale curato dal Malaspina et alii abbraccia con uno sguardo
d’insieme le fonti e i modelli di Tacito, soffermandosi in primo luogo
su quelli che da lui stesso sono chiamati auctores, ovvero gli storici che
prima di lui avevano narrato gli avvenimenti del principato:
‹‹Tacito lesse certamente le opere degli storiografi (li chiama
ripetutamente auctores) che, con prospettive a volte
contraddittorie, avevano narrato gli avvenimenti del principato,
come Aufidio Basso, Servilio Noniano, Cluvio Rufo, Fabio Rustico,
Vipstano Messalla››53.
Successivamente si fa riferimento alle fonti non propriamente letterarie,
quali carteggi e memoriali:
‹‹Si dovette servire di carteggi, relazioni, corrispondenza ufficiale e
privata e memoriali dei comandanti delle truppe impegnate in
campagne all’estero, ma anche di diari privati, come quello
compilato da Agrippina Minore, la madre di Nerone››54.
Per sottolineare la scrupolosità del nostro storico, che nulla tralascia su
quanto racconta, gli autori notano come egli abbia riportato anche i
53E. Malaspina - P. Pagliani - R. Alosi - A. Buonopane - R. Ampio - A. Balbo, op. cit., p. 331. 54E. Malaspina - P. Pagliani - R. Alosi - A. Buonopane - R. Ampio - A. Balbo, ibidem.
92
rumores, pettegolezzi e dicerie, a cui, però, non sembra lui stesso dare
eccessivo credito.
Osservano gli studiosi che Tacito, riportando questi pettegolezzi,
‹‹genera sospetti e incertezze, spingendo il lettore a dubitare anche
dei fatti ritenuti sicuri e ad approfondire la riflessione sugli avvenimenti
narrati››55.
A titolo di esempio viene riportato quanto Tacito scrive a proposito
dell’incendio di Roma:
“Sequitur clades, forte an dolo principis incertum, nam
utrumque auctores prodidere.”
(Tac., Ann., XV, 38, 1)
‹‹Accadde in seguito un disastro, non si sa se per caso o per
dolo dell’imperatore: gli autori, infatti, hanno tramandato
entrambe le versioni.››56
Per quanto riguarda i modelli a cui Tacito guarda, vengono citati
Sallustio e Livio:
‹‹Dal primo Tacito ha tratto il periodare disarmonico e spezzettato
ma rapido e vivace, la tendenza a conferire pathos e drammaticità
agli avvenimenti narrati, l’attenzione allo studio psicologico dei
personaggi. Da Tito Livio deriva sia la tendenza all’ambientazione
geografica delle vicende, sia l’attenzione agli aspetti della tecnica
militare...››57.
55E. Malaspina - P. Pagliani - R. Alosi - A. Buonopane - R. Ampio - A. Balbo, ibidem. 56E. Malaspina - P. Pagliani - R. Alosi - A. Buonopane - R. Ampio - A. Balbo, ibidem. 57E. Malaspina - P. Pagliani - R. Alosi - A. Buonopane - R. Ampio - A. Balbo, op. cit., p. 332.
93
Gian Biagio Conte ed Emilio Pianezzola, prima della trattazione vera e
propria delle fonti tacitiane, ritengono opportuno precisare che in
merito nulla di definitivo è stato detto:
‹‹Il problema delle fonti delle quali Tacito si è avvalso nelle Historiae
e negli Annales è stato a lungo dibattuto e non può dirsi giunto a una
soluzione definitiva...››58.
I due critici, in accordo con il pensiero di diversi studiosi come, ad
esempio, Ronald Syme59, sostengono che oggi sembra essere
tramontato il dogma secondo cui Tacito, per ciascuna delle due opere
maggiori, avrebbe attinto da un’unica fonte alla quale avrebbe poi dato
solo una nuova veste artistica, ma ‹‹si è fatta strada l’idea di una
molteplicità di fonti, utilizzate con libertà e alternando fonti anche di
opposta tendenza››60.
Vengono poi passati in rassegna, senza particolari approfondimenti, i
vari autori a cui lo storico ha guardato per la composizione delle sue
opere: Plinio il Vecchio, Aufidio Basso, Vipstano Messalla, Cluvio
Rufo e Fabio Rustico. Non ha poi sicuramente trascurato documenti
d’archivio importanti come gli acta senatus e gli acta diurna populi
Romani.
Riguardo ai modelli, il Conte e il Pianezzola realizzano solamente una
connessione tra gli Annales di Tacito e l’opera di Livio:
‹‹La data scelta da Tacito per l’inizio degli Annales ha fatto supporre
che egli intendesse la sua opera come una prosecuzione di quella
liviana. In effetti, il titolo presente nei manoscritti tacitiani (Ab excessu
divi Augusti) sembra richiamare quello liviano Ab urbe condita››61.
58G. B. Conte - E. Pianezzola, op. cit., p. 410. 59R. Syme, op. cit., pp. 359 - 390. 60G. B. Conte - E. Pianezzola, ibidem. 61G. B. Conte - E. Pianezzola, op. cit., p. 407.
94
La stessa impostazione didattica ritroviamo anche nel libro di testo
curato dal Di Sacco e dal Serio, i quali, però, fanno un interessante
confronto tra il nostro autore e altri due storici, Svetonio e Cassio Dione
che, per gli argomenti trattati nelle loro opere, si sono serviti delle stesse
fonti di Tacito.
I due studiosi ritengono che, mentre Svetonio e Cassio Dione hanno un
gusto particolare per il pettegolezzo e l’aneddotica, ‹‹al contrario,
Tacito rifugge sempre dai pettegolezzi o dalle osservazioni inutili, dai
particolari anche ripugnanti sull’aspetto fisico o sull’uccisione di certi
personaggi, evita di addentrarsi in minuzie che potrebbero annoiare
il lettore››62.
Il testo di Luciana Caranci Alfano e quello di Diotti - Dossi - Signoracci
riservano una particolare attenzione ai modelli cui Tacito ha guardato
per la composizione dell’Agricola.
La Caranci Alfano ritiene che le radici dell’Agricola vadano ricercate
nelle opere di Plutarco, contemporaneo di Tacito, di Cornelio Nepote,
di Isocrate e di Senofonte:
‹‹L’Agricola avvicina lo storiografo al contemporaneo Plutarco, con
cui Tacito ha in comune anche il rifiuto di fare della biografia uno
strumento di esaltazione dell’imperatore... Le radici dell’opera vanno
ricercate oltre che nel De viris illustribus di Cornelio Nepote, anche
nell’Evagora di Isocrate e soprattutto nell’Agesilao di Senofonte››63.
Diotti - Dossi - Signoracci sostengono, invece, che Tacito, per la
composizione della monografia, si sia ispirato soprattutto alle opere di
Sallustio:
62P. Di Sacco - M. Serio, op. cit., p. 368. 63L. Caranci Alfano, op. cit., pp. 93 - 97.
95
‹‹Una spinta fondamentale gli venne dal desiderio di imitare Sallustio,
l’autore che Tacito aveva studiato a fondo e aveva scelto come
modello di stile e maestro di metodo. Infatti, lo storico di età
repubblicana si era cimentato in due monografie (De Catilinae
coniuratione e Bellum Iugurthinum) prima di affrontare la sua opera
maggiore...››64.
Ma l’influenza di Sallustio sull’Agricola, osservano i critici, risulta
ancora più evidente dall’analisi di alcuni passi dell’opera stessa:
‹‹Come ha bene evidenziato il Della Corte65, “il proemio, le
digressioni descrittive, le amplificazioni retoriche, le orazioni dirette e
ampiamente svolte, le considerazioni abbondanti sono di
derivazione sallustiana...››66.
La trattazione sulle fonti tacitiane proposta dal testo di Lina Grossi e
Rosa Rossi è incentrata principalmente sul rapporto che intercorre tra
lo storico e Plinio il Vecchio.
Questo collegamento tra i due autori, osservano le studiose, sembra
essere piuttosto evidente nel sesto capitolo del V libro delle Historiae:
in esso Tacito si sofferma sulla vegetazione e sul sistema idrografico
della Giudea. Le notizie riportate dallo storico le ritroviamo anche nella
Naturalis historia di Plinio. Le due studiose deducono, quindi, che
Tacito possa aver consultato lo scritto pliniano per dare maggiore
completezza alla descrizione del territorio palestinese:
‹‹Tacito riferisce notizie relative alle dimensioni, alla natura
dell’arbusto, alle modalità ed alle precauzioni da osservare per la
64A. Diotti - S. Dossi - F. Signoracci, op. cit., p. 162. 65F. Della Corte, La storiografia, in AA. VV., Introduzione allo studio della cultura classica,
Marzorati, Milano 1990, p. 367. 66A. Diotti - S. Dossi - F. Signoracci, ibidem.
96
raccolta, notizie che si trovano, in forma più dettagliata, nella
enciclopedia di storia naturale di Plinio il Vecchio››67.
Per illustrare meglio questa corrispondenza di contenuti tra Tacito e
Plinio, sono riportati i brani in cui entrambi gli autori descrivono le
proprietà del balsamo:
“Fruges nostrum ad morem praeterque eas balsamum et
palmae. Palmetis proceritas et decor, balsamum modica
arbor: ut quisque ramus intumuit, si vim ferri adhibeas,
pavent venae; fragminae lapidis aut testa aperiuntur; umor in
usu medentium est.”
(Tac., Hist., V, 6)
‹‹ Coltivano le messi secondo le nostre usanze e, in più, le
palme e il balsamo. I palmizi sono alti ed eleganti, il balsamo
invece è un arboscello; quando il ramo si inturgidisce, le sue
vene temono il ferro e si devono incidere con una scheggia
di pietra o di coccio. La sua linfa si usa come medicinale.››68
“Sed omnibus odoribus praefertur balsamum, uni terrarum
Iudaeae concessum... Inciditur vitro, lapide osseisve cultellis:
ferro laedi vitalia odit, emoritur protinus, eodem amputari
supervacua patiens”
(Plin., Nat. hist., XII, 111; 115)
‹‹Ma fra tutti i profumi il preferito è il balsamo, che è concesso
a una sola terra, la Giudea... La pianta viene incisa col vetro,
con una pietra o con coltelli fatti di osso; non sopporta che il
67L. Grossi - R. Rossi, op. cit., p. 371. 68Tacito, Storie, trad. it. di F. Dessì, BUR, Milano 1992, p. 797.
97
ferro leda le parti vitali e muore subito, ma tollera invece che
il ferro la liberi dalle parti superflue.››69
‹‹Se Sallustio e Livio possono essere considerati gli auctores per
eccellenza di Tacito, non deve tuttavia essere sottovalutato il suo
debito nei confronti dei poeti latini e, in particolare, di Virgilio, nella
duplice veste di esempio insuperato di stile epico - tragico e di
portavoce dell’ideologia augustea della pax Romana, garantita
dalle armi dei vincitori››70.
Queste le parole di Ida Biondi, che dà un particolare rilievo al rapporto
che sembra intercorrere tra lo storico e il poeta. La studiosa propone un
confronto tra un brano virgiliano dell’Eneide e uno degli Annales da cui
è possibile notare come ‹‹Tacito abbia voluto riecheggiare
formalmente il testo virgiliano a seconda delle proprie esigenze
narrative››71.
I versi di Virgilio 108 - 112 del I libro dell’Eneide descrivono la
tempesta scatenata da Giunone per ostacolare la flotta di Enea, in
viaggio verso le coste italiche:
‹‹Noto afferra e scaglia tre navi contro scogli nascosti (rocce
in mezzo alle onde, che gli Italici chiamano Are, immane
dorso a fior d’acqua) e tre l’Euro ne spinge dal mare
profondo verso le secche e i bassifondi (spettacolo
miserando), le incaglia nei guadi e le cinge di un muro di
sabbia.››72
E così nel II libro degli Annales Tacito narra la tempesta che sorprende
la flotta di Germanico, ormai vicina alle acque del Mare del Nord:
69L. Grossi - R. Rossi, ibidem. 70I. Biondi, Conticuere omnes, Cappelli, Bologna 2006, vol. III, p. 274. 71I. Biondi, op. cit., p. 277. 72I. Biondi, op. cit., p. 276.
98
‹‹Cielo e mare furono entrambi preda dell’Austro, che a
causa dell’umidità del suolo della Germania, dei suoi
profondi fiumi e di quell’immensa distesa di nubi, impetuoso
e reso più gelido dalla vicinanza del settentrione, trascinò via
le navi e le disperse nella vastità dell’Oceano o verso isole
pericolose per le aspre scogliere o per le secche nascoste.››73
La storia della letteratura latina di Mortarino - Reali - Turazza non offre
una trattazione completa ed esaustiva circa le fonti tacitiane, ma riserva
una particolare attenzione alla testimonianza di Plinio il Giovane sulla
scrupolosità documentaria dello storico:
‹‹Lo scrupolo documentario di Tacito nella ricostruzione dei fatti è
attestato, tra l’altro, dalla lettera nella quale Plinio il Giovane gli
racconta la morte dello zio Plinio il Vecchio durante l’eruzione del
Vesuvio del 79 d. C.: essa faceva infatti seguito a una precisa
richiesta dello storico di avere notizie di prima mano››74.
Ecco cosa Plinio il Giovane scrive allo storico:
‹‹Caro Tacito, mi chiedi di narrarti la fine di mio zio, per poterla
tramandare ai posteri con maggiore esattezza. E te ne sono
grato: giacché prevedo che la sua fine, se narrata da te, è
destinata a gloria non peritura.››75
(Plin., Ep., VI, 16)
73I. Biondi, op. cit., p. 277. 74M. Mortarino - M. Reali - G. Turazza, op. cit., pp. 433 - 434. 75Plinio il Giovane, Lettere ai familiari, Carteggio con Traiano e Panegirico, trad. it. di L. Rusca,
BUR, Milano 1994, pp. 466 - 475.
99
2.4 Tacito e l’Impero
Sebbene Tacito abbia dichiarato di voler narrare i fatti della storia sine
ira et studio76 e, quindi, di comporre delle opere storiche improntate
all’imparzialità, in moltissimi passi egli sembra aver tradito questo suo
iniziale intento, dal momento che ci imbattiamo spesso in
considerazioni più o meno esplicite sulla situazione politica dell’epoca
in cui è vissuto.
Tacito ha un’idea ben precisa sull’impero: lo accetta come una
inevitabile necessità storica e, come ha osservato il Grimal, come ‹‹una
condizione imprescindibile della salvezza, della sopravvivenza››77.
Sul modo in cui il princeps dev’essere designato non sembra avere
alcun dubbio: è preferibile che l’imperatore venga eletto in base al
principio dell’adozione, l’unico in grado di garantire allo Stato il
governo del migliore.
Mortarino - Reali - Turazza aprono la trattazione relativa a questa
tematica riportando due brevissimi passi, tratti dai proemi di Historiae
e Annales, in cui lo storico parla dell’impero come elemento necessario
per garantire pace e tranquillità:
‹‹L’intelligenza storica e il realismo politico che lo contraddistinguono
avevano fatto capire a Tacito come l’impero fosse un’ineluttabile
necessità storica. Nei proemi di Historiae e Annales egli lo sostiene in
modo abbastanza evidente››78:
76Tac., Ann., I, 1, 3. 77P. Grimal, Tacito, Garzanti, Milano 1991, p. 184. 78M. Mortarino - M. Reali - G. Turazza, op. cit., p. 434.
100
“Postquam bellatum apud Actium… omnem potentiam ad
unum conferri pacis interfuit.”
(Tac., Ann., I, 1)
‹‹Dopo la battaglia di Azio... nell’interesse della pace fu
necessario conferire ogni potere a una sola persona.››79
“Cuncta discordiis civilibus fessa nomine principis...
accepit.”
(Tac., Ann., I, 1)
‹‹(Augusto) ridusse sotto il suo dominio col nome di principe lo
Stato stanco e disfatto dalle lotte civili.››80
Nel manuale viene fatto anche un riferimento al passo dell’Agricola in
cui Tacito elogia Nerva e Traiano i quali, rendendo compatibili
principato e libertà, hanno permesso ai cittadini romani di ritornare a
vivere dopo la morte di Domiziano.
“Nunc demum redit animus.”
(Tac., Agr., 3)
‹‹Ora, finalmente, si comincia respirare.››81
‹‹Se dunque il principato è un’ineludibile necessità storica, è lo
spessore etico dei principi a essere fondamentale: anche tra loro,
come tra tutti, esiste infatti chi pratica il vizio e chi la virtù››82.
79Tacito, Storie, trad. it. di F. Dessì, BUR, Milano 1992. 80Tacito, Annali, trad. it. di B. Ceva, BUR, Milano 1981, p. 3. 81Tacito, La vita di Agricola, trad. it. di B. Ceva, BUR, Milano 1990, p. 75. 82M. Mortarino - M. Reali - G. Turazza, op. cit., p. 457.
101
Giovanna Garbarino ha notato come, andando dall’Agricola agli
Annales, la visione dell’impero da parte di Tacito sia stata sempre più
amara e pessimista:
‹‹L’atteggiamento di Tacito verso il potere assoluto muta a mano a
mano che egli ne approfondisce e ne indaga la natura.
Dall’esaltazione, nell’Agricola e nel Dialogus, degli aspetti positivi del
principato, quando esso sia nelle mani di imperatori come Nerva e
Traiano, l’autore passa a una considerazione progressivamente più
amara dell’altissimo prezzo che sono costati l’ordine e la tranquillità
che esso garantisce››83.
Quindi, la studiosa affronta il tema del principio d’adozione.
Riporta a tal proposito il brano delle Historiae in cui Tacito, attraverso
il discorso attribuito a Galba in occasione dell’adozione di Pisone
Liciniano, espone i vantaggi della successione per adozione:
‹‹Sotto Tiberio, Caligola e Claudio, fummo quasi l’eredità di
una sola famiglia: il fatto che ora cominciamo ad essere eletti
sostituirà la libertà, e, finita la stirpe dei Giuli e dei Claudi,
l’adozione farà sempre trovare il migliore. Mentre infatti è un
puro caso essere generati e nascere da principi, senz’altro
elemento di giudizio, essere adottati è un vero e proprio
esame, e l’opinione pubblica costituisce un’indicazione per
la scelta.››84
(Tac., Hist., I, 16)
Della predilezione tacitiana per il principio d’adozione parlano anche
Paolo Di Sacco e Mauro Serio, sostenendo che quest’aspetto
83G. Garbarino, op. cit., pp. 424 - 425. 84Tacito, Storie, trad. it. di F. Dessì, BUR, Milano 1992.
102
dell’ideologia dello storico abbia una stretta connessione con la sua
visione pragmatica della realtà:
‹‹In astratto la soluzione dell’adoptio prestava il fianco a critiche: non
esiste differenza, sul piano teorico, tra un figlio “generato” e un figlio
“adottato”; al re succede pur sempre il “figlio del re”. Ma Tacito era
un pragmatico, guardava sempre al lato concreto dei problemi››85.
Nei manuali curati da Conte - Pianezzola e da Monaco - De Bernardis
- Sorci, troviamo delle interessanti riflessioni sull’analisi tacitiana del
principato augusteo.
Com’è noto, negli Annales Tacito inizia la sua indagine partendo dal
periodo successivo alla morte di Augusto (il titolo dell’opera
tramandato dai manoscritti è, infatti, Ab excessu Divi Augusti libri); non
mancano, però, nel corso dell’opera dei riferimenti al fondatore del
principato.
Il Conte e il Pianezzola citano il passo in cui Tacito ‹‹ribadisce che
Augusto ha garantito la pace all’impero dopo lunghi anni di guerre
civili, ma sottolinea anche come da allora i vincoli si siano fatti più
duri››86:
“Sexto demum consulatu Caesar Augustus, potentiae securus,
quae triumviratu iusserat abolevit deditque iura, quis pace et
principe uteremur. Acriora ex eo vincla.”
(Tac., Ann., III, 28)
‹‹Alla fine Cesare Augusto, nel suo sesto consolato, sicuro del
proprio potere, abolì quanto aveva decretato da tribuno e
diede le leggi delle quali ci potessimo valere in pace e sotto
la guida di un principe. Pertanto i vincoli si fecero più duri.››
85P. Di Sacco - M. Serio, op. cit., p. 357. 86G. B. Conte - E. Pianezzola, op. cit., p. 408.
103
Monaco - De Bernardis - Sorci, invece, notano come dalle pagine
tacitiane Augusto risulti l’artefice di una “grande montatura”:
‹‹Egli, assumendo su di sé tutte le cariche previste dalla costituzione
repubblicana, ha creato un regime monarchico e autoritario dando
però l’illusione di voler salvaguardare le istituzioni››87.
Gli studiosi, quindi, riportano un brano tratto dal I libro degli Annales
in cui Tacito propone un’analisi demistificante dell’età augustea. I tre
critici sostengono che in questo atteggiamento antiaugusteo vi sia la
chiave di lettura per comprendere la posizione di Tacito di fronte al
principato traianeo:
‹‹Infatti se il successore di Nerva intendeva riproporre una politica di
tipo augusteo, recuperando un clima di collaborazione col senato,
la posizione critica di Tacito nei confronti di Augusto può suonare
anche come polemica velata nei confronti dell’imperatore››88.
‹‹Mutato dunque del tutto l’ordinamento politico, nulla
rimaneva dell’antico e puro spirito repubblicano; tutti
rinunciando all’uguaglianza, aspettavano gli ordini del
principe, senza timori per il momento, finché Augusto, nel
vigore degli anni, ebbe forza di reggere sé stesso, la sua casa
e la pace...››
(Tac., Ann., I, 4)
Riguardo al pessimismo tacitiano derivante dalla sua visione politica,
Diotti - Dossi - Signoracci parlano di visione storica “senza speranza”:
‹‹Tacito è senza speranza: la sua nostalgia di un ideale perduto non
ha nulla di idillico e contemplativo, ma si esprime in forme di lucida e
87G. Monaco - G. De Bernardis - A. Sorci, op. cit., p. 758. 88G. Monaco - G. De Bernardis - A. Sorci, op. cit., p. 771.
104
spietata durezza; è un’aggressività dell’intelligenza al servizio della
passione politica››89.
Successivamente, rifacendosi ad Ettore Paratore, gli studiosi rilevano
come l’atteggiamento negativo di Tacito nei confronti dell’epoca
raccontata negli Annales abbia danneggiato la sua identità di storico:
‹‹Non si poteva fare storiografia concreta e comprensiva guardando
con disgusto la materia trattata››90.
Nel manuale curato dal Malaspina et alii, troviamo un riferimento alla
rassegnazione dello storico di fronte alla situazione politica a lui
contemporanea: sebbene egli elogi Traiano, il suo giudizio sul princeps,
nel proemio delle Historiae, appare comunque velato di delusione:
‹‹L’età contemporanea non era poi così felice come aveva sperato
e la rara temporum felicitas era solo un’effimera utopia››91.
Paolo Fedeli, caso unico tra i manuali esaminati in questa seconda
sezione del nostro lavoro, pone al centro della riflessione su questa
tematica il limite maggiore del pensiero tacitiano che consiste nell’aver
posto al centro dell’indagine esclusivamente gli imperatori e la loro
corte:
‹‹A parte gli eserciti, le altre forze che agivano nell’impero e stavano
tumultuosamente trasformando la realtà romana sono assenti o si
intravedono appena dietro le vicende terribili dei regnanti››92.
89A. Diotti - S. Dossi - F. Signoracci, op. cit., p. 174. 90E. Paratore, Tacito, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1962, p. 554. 91E. Malaspina - P. Pagliani - R. Alosi - A. Buonopane - R. Ampio - A. Balbo, op. cit., p. 326. 92P. Fedeli, op. cit., p. 772.
105
2.5 Tacito e il Senato
La storia dell’impero è anche la storia del tramonto della libertà politica
dell’aristocrazia senatoria.
In seguito all’unificazione di tutti i poteri nelle mani di un solo uomo,
il princeps, il Senato diviene quindi protagonista di un inevitabile
processo di decadenza morale e di corruzione che lo trasforma in un
semplice ‹‹ufficio di legalizzazione degli atti imperiali ››93.
Tacito, oltre che avvocato e scrittore, è anche un membro della Curia e,
quindi, è attore e spettatore al tempo stesso di tale declino che nelle sue
opere storiche sa descrivere al meglio, con tono anche particolarmente
polemico:
‹‹Il racconto tacitiano appare sostanzialmente credibile anche
perché lo storico era un autorevole membro del Senato: pertanto il
suo punto di vista coincide in larga parte con quello dell’aristocrazia
senatoria››94.
La letteratura di Lina Grossi e Rosa Rossi è uno dei pochi testi, tra quelli
più recenti, ad approfondire questa tematica, rifacendosi a diversi passi
degli Annales al riguardo.
Le due studiose notano, innanzitutto, come la polemica di Tacito contro
la classe senatoria sia perfettamente in linea con il suo pessimismo e la
sua rassegnazione permeanti tutta l’opera:
‹‹L’atteggiamento di Tacito è quello di un senatore deluso in tutte le
sue aspettative, che vede nella storia dell’impero la progressiva
rinuncia della sua classe ad essere protagonista nelle scelte politiche
per divenire uno strumento nelle mani dell’imperatore››95.
93C. Marchesi, op. cit., p. 120. 94M. Mortarino - M. Reali - G. Turazza, op. cit., p. 433. 95L. Grossi - R. Rossi, op. cit., p. 375.
106
La Grossi e la Rossi osservano come, nell’indagine sull’asservimento
dei senatori alla volontà dell’imperatore, Tacito abbia posto al centro
delle sue riflessioni gli atteggiamenti e pensieri dei membri del Senato,
usando precisi termini che non lasciano trasparire alcun dubbio sulla
nuova e vera identità di quello che per moltissimi anni era stato il cuore
della vita politica di Roma:
‹‹La storia di tale asservimento è condotta con immagini di grande
forza che si contrappongono agli atteggiamenti del princeps e che
concentrano l’attenzione su termini quali servitus, servitium,
obsequium, adulatio››96.
Nel primo libro degli Annales Tacito così descrive l’atteggiamento dei
senatori dinanzi all’apparente disponibilità mostrata dall’imperatore
Tiberio:
‹‹A Roma intanto consoli, senatori e cavalieri si precipitavano
ad assumere il ruolo di servi. Quanto più erano di rango
elevato, tanto più erano pronti all’ipocrisia e, studiando la
propria espressione per non apparire né lieti per la morte del
vecchio principe né troppo afflitti per l’avvento del nuovo,
mescolavano lacrime e sorrisi, compianto e adulazione.››97
(Tac., Ann., I, 7)
E’ il trionfo dell’ipocrisia e della finzione: lacrime e sorrisi, compianto
ed adulazione si mescolano sui loro volti. ‹‹Tiberio si pronuncia
ripetutamente a favore di una collaborazione con il Senato, ma
Tacito mette in evidenza l’ambiguità di tali propositi››98:
96L. Grossi - R. Rossi, ibidem. 97L. Grossi - R. Rossi, ibidem. 98L. Grossi - R. Rossi, ibidem.
107
‹‹Chiedeva perciò ai senatori di non far ricadere tutte le
responsabilità su una sola persona in uno Stato che aveva il
sostegno di tanti uomini illustri: i compiti di governo sarebbero
stati meglio assolti dalla collaborazione di più persone.››99
(Tac., Ann., I, 11)
L’adulazione dei senatori non si limita soltanto all’imperatore, ma si
estende a quanti ruotano intorno a lui. E’ questo il caso
dell’atteggiamento del Senato nei confronti di Seiano, prefetto del
pretorio dal 23 al 31 d. C.:
‹‹Così, sebbene ben altre questioni fossero all’ordine del
giorno, i senatori votarono un altare alla Clemenza e un altro
all’Amicizia, circondati da statue di Cesare e di Seiano, e li
pregavano entrambi con insistenza perché si facessero
vedere in pubblico.››100
(Tac., Ann., IV, 74)
Trasea Peto è l’unico senatore che si distingue dalla massa dei colleghi
che continuano a mostrare ossequio nei confronti di Nerone anche dopo
il matricidio.
Quando vengono decretati proprio dal Senato cerimonie di
ringraziamento agli dei perché avevano conservato sano e salvo
l’imperatore, egli è l’unico ad abbandonare la Curia, mettendo in grave
pericolo la sua stessa vita.
‹‹Tuttavia, con un’incredibile gara di servilismo tra i suoi
membri più autorevoli, il Senato decretò che si celebrassero
pubbliche cerimonie di ringraziamento davanti a tutti i
templi... Trasea Peto, che prima d’allora era solito lasciar
99L. Grossi - R. Rossi, ibidem. 100L. Grossi - R. Rossi, ibidem.
108
passare ogni manifestazione di servilismo senza dire una
parola o al più con un breve cenno d’assenso, quella volta
uscì di scatto dal Senato, esponendo sé stesso al pericolo,
senza tuttavia suscitare negli altri la volontà di riconquistare
l’indipendenza.››101
(Tac., Ann., XIV, 12, 1)
Certo che la repressione della libertà operata dagli imperatori non
poteva non determinare la fine del potere del Senato che di quella libertà
era stato nel passato espressione.
Flocchini - Guidotti Bacci - Falchetti sottolineano proprio questo
concetto:
‹‹La repressione violenta della libertas è una conseguenza inevitabile
del principato, che ha sovvertito l’assetto su cui si era basato sino
allora lo Stato romano creando nuovi e più efficienti centri di potere
ed esautorando la vecchia aristocrazia senatoria che della libertas
era depositaria››102.
Paolo Cutolo, poi, sostiene che Tacito ha coltivato la speranza, che si è
andata sempre più affievolendo con il passare del tempo, che proprio il
Senato potesse trovare un punto di incontro tra libertas e principato.
Il Senato avrebbe potuto svolgere un ruolo davvero fondamentale:
‹‹Tacito ritiene indispensabile la leale collaborazione tra le diverse
componenti sociali dell’impero, soprattutto tra Senato e principe, in
un corretto equilibrio di libertà e rispetto (libertas e obsequium)››103.
Alcuni manuali, come quello di Malaspina et alii, di Conte - Pianezzola
e di Paolo Fedeli, tendono a vedere il Senato come “massa”.
101L. Grossi - R. Rossi, ibidem. 102N. Flocchini - P. Guidotti Bacci - F. Falchetti, Letteratura latina, Bompiani, Milano 2000, vol.
III, p. 346. 103P. Cutolo, op. cit., p. 378.
109
Nel primo testo si legge che i senatori sono ‹‹inetti, deboli, corrotti,
ambiziosi, ipocriti, inclini all’adulazione e al servilismo nei confronti del
principe, che odiavano e temevano al tempo stesso››104.
Nel secondo, invece, si insiste sull’ambiguità dei senatori che trapela in
più punti delle Historiae:
‹‹Il comportamento dei senatori è descritto da Tacito con malizia
sottile che insiste sul contrasto tra “facciata” e realtà inconfessabile
dei sentimenti: l’adulazione manifesta verso il principe cela l’odio
segretamente covato nei suoi confronti, la sollecitudine per il bene
pubblico occulta gli intrighi e l’ambizione››105.
Per Paolo Fedeli il Senato è spettatore impotente degli eventi:
‹‹Esso il più delle volte è gravemente oppresso dal timore per la
propria incolumità fisica››106.
104E. Malaspina - P. Pagliani - R. Alosi - A. Buonopane - R. Ampio - A. Balbo, op. cit., p. 333. 105G. B. Conte - E. Pianezzola, op. cit., p. 406. 106P. Fedeli, op. cit., p. 761.
110
2.6 Il ruolo delle masse nelle Historiae
In particolar modo nelle Historiae, un ruolo di primo piano hanno le
masse soldatesche e la plebe. E Tacito ha saputo descrivere al meglio
gli eventi dell’anno 68 - 69 d. C., in cui, da una parte, c’è l’esercito
avido, indisciplinato e desideroso di far sentire la sua voce nell’elezione
del princeps; dall’altra, invece, c’è il popolo, distaccato e lontano, che
osserva il tutto come uno spettacolo circense.
Nel suo manuale Ida Biondi passa in rassegna i motivi che potevano
trasformare l’esercito in una massa ribelle e violenta:
‹‹L’esercito poteva divenire una massa ribelle se il princeps non dava
il necessario peso ai problemi delle truppe: la durata del servizio, la
regolarità dello stipendio, i premi, la distribuzione della preda, il
trattamento di congedo››107.
Quindi riporta il passo delle Historiae dove Tacito descrive il momento
in cui Galba comunica alle truppe di voler adottare Pisone, subito dopo
la rivolta della quarta e della ventiduesima legione:
“Apud frequentem militum contionem imperatoria brevitate
adoptari a se Pisonem exemplo divi Augusti et more militari,
quo vir virum legeret, pronuntiat... Tribuni tamen
centurionesque proximi militum grata audito respondent: per
ceteros maestitia ac silentium, tamquam usurpata etiam in
pace donativi necessitatem bello perdidissent. Constat
potuisse conciliari animos quantulacumque parci senis
liberalitate...”
(Tac., Hist., I, 18, 2 - 3)
107I. Biondi, op. cit., p. 259.
111
‹‹Di fronte all’affollata assemblea dei soldati egli annuncia,
con la concisione tipica dei comandanti militari, di avere
adottato Pisone, secondo l’esempio del divo Augusto e
secondo l’uso militare, in base a cui un uomo ne sceglie un
altro... Tuttavia, i tribuni, i centurioni e i più vicini dei soldati gli
risposero con parole di congratulazione: fra tutti gli altri, un
cupo silenzio, come se avessero perduto, in tempo di guerra,
la consuetudine della distribuzione di denaro, divenuta
abituale anche in tempo di pace. E’ certo che gli animi
avrebbero potuto essere placati con una elargizione, per
quanto minima, da parte di quel vecchio parsimonioso...››108
Tuttavia, osserva la Biondi, l’esercito romano rappresentava ancora,
agli occhi di Tacito, una forza sostanzialmente positiva:
‹‹Agli occhi di Tacito, l’esercito era ancora capace di attenersi, in
molte e difficili occasioni, ad una ferrea disciplina individuale e
collettiva, e di dare prova di resistenza alle fatiche…››109.
In un certo senso, il pensiero della studiosa richiama un’osservazione
fatta da Concetto Marchesi nella sua monografia sul nostro autore:
‹‹Tacito considera l’esercito come uno strumento tanto formidabile
quanto delicato, da vigilare con cautela e trattare con attenzione
affinché non manchi la militaris fides››110.
Riguardo alla plebe urbana, la Biondi giudica totalmente negativa la
considerazione che Tacito ha di essa:
‹‹Tacito considerò la plebe urbana come la più grave piaga sociale
dell’impero; una massa irrazionale, mutevole, priva di qualunque
aspirazione, se non quella di avere sempre chi la sfami e la distragga
con l’offerta di spettacoli circensi...››111.
108I. Biondi, op. cit., p. 260. 109I. Biondi, ibidem. 110C. Marchesi, op. cit., p. 139. 111I. Biondi, ibidem.
112
E come Tacito tenga quasi in disprezzo la plebe si evince dal passo del
III libro delle Historiae in cui il popolo è descritto come “spettatore”
agli scontri tra i sostenitori di Vitellio e quelli di Vespasiano:
“Aderat pugnantibus spectator populus, utque in ludicro
certamine, hos, rursus illos clamore et plausu fovebat.
Quotiens pars altera inclinasset, abditos in tabernis aut si
quam in domum perfugerant, erui iugularique expostulantes,
parte maiore predae potiebantur...”
(Tac., Hist., III, 83, 1)
‹‹Il popolo era vicino ai combattimenti come spettatore e,
come in una gara del circo, dimostrava il favore ora a questi,
poi di nuovo a quelli, con grida ed applausi. Ogni volta che
una delle due parti aveva la peggio, pretendendo che
fossero tirati fuori e scannati quelli rintanati nelle botteghe o
che si erano rifugiati in qualche casa, si impadronivano della
maggior parte del bottino...››112
Sicuramente è da condividere il pensiero della Biondi, secondo cui la
plebe non fu considerata da Tacito né un problema storico né una
questione sociale:
‹‹Egli si limitò a descriverla come protagonista di episodi di ferocia
dissennata o di infido servilismo, ma non avvertì affatto l’esigenza di
comprendere le cause storiche e sociali di tanto degrado...››113.
Anche nel manuale curato dal Malaspina et alii, la plebs viene
considerata una massa irrazionale, facilmente manovrabile e ‹‹capace
di comportamenti scellerati, quasi bestiali››114.
112I. Biondi, op. cit., p. 261. 113I. Biondi, ibidem. 114E. Malaspina - P. Pagliani - R. Alosi - A. Buonopane - R. Ampio - A. Balbo, op. cit., p. 333.
113
Nel testo curato da Gian Biagio Conte ed Emilio Pianezzola, viene
posto un maggiore accento sull’aspetto più incalzante e spaventoso
delle descrizioni delle masse:
‹‹Tacito è maestro nella descrizione delle masse, spesso incalzante e
spaventosa: dalla descrizione della folla traspare, in genere, il timore
misto a disprezzo del senatore per le turbolenze dei soldati e della
feccia della capitale››115.
A tal proposito, i due studiosi riportano il passo del primo libro delle
Historiae in cui troviamo una concitata scena di folla, inserita nel pieno
della congiura di Otone contro Galba:
“Tum vero non populus tantum et imperita plebs et immodica
studia, sed equitum plerique ac senatorum, posito metu
incauti, refractis Palatii foribus ruere intus ac se Galba
ostentare, praereptam sibi ultionem querentes, ignavissimus
quisque et, ut res docuit, in periculo non ausurus, nimii verbis,
linguae feroces...”
(Tac., Hist., I, 35, 1)
‹‹E fu, allora, non soltanto una frenesia di applausi e
dimostrazioni di popolo e d’incosciente plebaglia, ma un
irrompere in Palazzo, sforzate le porte, di cavalieri e di
senatori, che liberi dal timore son diventati di colpo
imprudenti; un mettersi in mostra dinanzi a Galba, dolendosi
ognuno di vedersi tolta di mano la vendetta; e quanto più
ignavi, quanto meno disposti al rischio (come i fatti
dimostrarono), tanto più esuberanti di parole, violenti nel
linguaggio...››116
115G. B. Conte - E. Pianezzola, op. cit., p. 406. 116Tacito, Historiae, in Opere, trad. it. di C. Giussani, Einaudi, Torino 1968, p. 550.
114
Se la Biondi sostiene che nelle parole tacitiane sia comunque
ravvisabile un barlume di speranza nel ripristino dei valori tradizionali
dell’esercito, totalmente opposto è il parere di Giovanni Cipriani:
‹‹I valori tradizionali dell’esercito romano sono dimenticati e un
fattore di incertezza è rappresentato dall’eventualità che l’esercito
si sottragga all’obbedienza a un potere imperiale instabile, vacante
e debole››117.
I militari, osserva il Cipriani, possono essere assimilati alla plebaglia,
quel vulgus facile da accattivarsi nella sua stoltezza volta ad adulare il
nuovo tiranno.
Quest’assimilazione tra popolo e milizie è presente anche nella
trattazione sulle masse presente nel manuale di Diotti - Dossi -
Signoracci.
I tre studiosi, dopo aver osservato che ‹‹Tacito odia e disprezza la
plebe urbana››118, reputano significativi i termini con cui lo storico
definisce la plebe urbana: ora vulgus (“popolino”), ora plebs sordida
(“plebe sporca”):
‹‹E’ una massa inerte e indifferente, incurante della politica, della
salute pubblica, assuefatta a ricevere panem et circenses dalla
munificenza interessata del principe, e quindi abituata a formare una
facile base d’appoggio per il suo potere››119.
Anche la truppa in alcuni punti dell’opera è chiamata da Tacito vulgus
(ad esempio, in Hist., II, 26, 2 “apud paucos ea ducis ratio probata, in
volgus adverso rumore fuit” / ”questa giustificazione del comandante,
approvata da pochi, fu occasione di voci malevoli nella truppa”) :
117G. Cipriani, op. cit., p. 178. 118A. Diotti - S. Dossi - F. Signoracci, op. cit., p. 167. 119A. Diotti - S. Dossi - F. Signoracci, ibidem.
115
‹‹I militari sono spesso rappresentati come una schiera avida, pronta
al saccheggio e spinta al combattimento solo dalla speranza di
bottino››120.
Paolo Fedeli ritiene che le milizie siano le protagoniste assolute delle
Historiae e che il loro strapotere sia un tristissimo segno dei tempi:
‹‹Senato, istituzioni, impero sono continuamente in balia di
soldatesche avide e indisciplinate, insensibili a qualunque valore che
non sia il denaro››121.
120A. Diotti - S. Dossi - F. Signoracci, ibidem. 121P. Fedeli, op. cit., p. 761.
116
2.7 La fortuna
Nell’epistola 33 del VII libro di Plinio il Giovane si legge:
“Auguror, nec me fallit augurium, historias tuas immortales
futuras.”
(Plin., Ep., VII, 33)
‹‹ Io predico, e non sarà fallace la mia predizione, che le tue
opera storiche saranno immortali.››122
La predizione di Plinio non appare per niente errata: Tacito ha potuto
godere di una grossa fortuna nei secoli successivi alla sua morte.
Una delle caratteristiche dei manuali di letteratura latina più recenti è
proprio aver trattato, anche se in modo sintetico, la fortuna di Tacito nel
tempo.
Essa è stata grande soprattutto nel Tardo Antico e nel Rinascimento.
Nel Tardo Antico Ammiano Marcellino nelle sue Res gestae ha saputo
imitare lo stile e la concezione politica tacitiana; nel Cinquecento si è
sviluppato il cosiddetto “tacitismo”, ovvero la tendenza a trarre dalle
opere tacitiane dei modelli etici per i governanti in sostituzione del
Principe di Machiavelli, posto al bando dalla Chiesa.
Il più fervido ammiratore del nostro storico fu Ammiano Marcellino,
vissuto nel IV secolo:
‹‹Nel IV secolo Ammiano Marcellino si propose di cominciare la sua
opera dall’impero di Nerva, dichiarandosi così un continuatore di
Tacito››123.
122Plinio il Giovane, Lettere ai familiari, Carteggio con Traiano e Panegirico, trad. it. di L. Rusca,
BUR, Milano 1994, pp. 606 - 607. 123N. Flocchini - P. Guidotti Bacci - F. Falchetti, op. cit., p. 355.
117
Anche Giovanna Garbarino ha visto in Ammiano Marcellino il
“continuatore di Tacito”.
La materia trattata nelle Res gestae di Ammiano ha come punto di
partenza il periodo successivo agli anni della dinastia flavia,
protagonista delle Historiae tacitiane:
‹‹Il punto scelto come inizio indica che Ammiano intendeva
presentarsi come il continuatore di Tacito, le cui Historiae si
concludevano con la morte di Domiziano››124.
La studiosa nota poi come, ‹‹in armonia con la tradizione
tacitiana››125, Ammiano abbia messo al centro della narrazione i
personaggi, i loro ritratti e, talvolta, i loro discorsi:
‹‹La narrazione di Ammiano pone in primo piano i personaggi e
affida la loro caratterizzazione alla descrizione delle azioni, con
tentativi a volte felici di indagine psicologica››126.
A tal proposito cita il passo dell’opera in cui l’autore riporta il discorso
pronunciato dall’imperatore Giuliano poco prima di morire:
“Quae dum ita aguntur, Iulianus in tabernaculo iacens,
circumstantes allocutus est demissos et tristes: ‹‹Advenit, o
socii, nunc abeundi tempus e vita impendio tempestivum,
quam reposcenti naturae, ut debitor bonae fidei redditurus,
exulto, non (ut quidam opinatur) afflictus et maerens,
philosophorum sententia generali perdoctus, quantum
corpore sit beatior animus, et contemplans, quotiens condicio
melior a deteriore secernitur, laetandum esse potius quam
dolendum. Illud quoque advertens, qoud etiam dii caelestes
124G. Garbarino, op. cit., p. 593. 125G. Garbarino, op. cit., p. 595. 126G. Garbarino, ibidem.
118
quibusdam piissimis mortem tamquam summum praemium
persolverunt.”
(Amm. Marc., R. gest., XXV, 3, 15)
‹‹Nel frattempo Giuliano, che giaceva nella tenda, parlò a
quanti gli stavano attorno abbattuti e tristi: “E’ arrivato, amici,
il momento assai opportuno di uscire di vita. Giunto al
momento di restituirla alla natura, che la richiede, come un
debitore leale mi rallegro e non mi rattristo né mi dolgo (come
alcuni pensano), poiché ben so, per opinione unanime dei
filosofi, quanto l’anima sia più felice del corpo e penso che,
ogniqualvolta una condizione migliore venga separata da
quella peggiore, dobbiamo rallegrarci, non dolerci. Penso
pure che anche i celesti diedero la morte ad alcune persone
piissime come massimo compenso.››127
Ma anche altri autori hanno tratto informazioni dagli scritti tacitiani per
la composizione delle proprie opere: Eutropio, Sidonio Apollinare e
Aurelio Vittore.
Ad utilizzare Tacito come fonte per la sua opera è il cristiano Orosio,
vissuto tra il IV e il V secolo.
Uno dei pochi manuali a citarlo è quello curato da Paolo Fedeli:
‹‹L’interesse per l’opera di Tacito si ridesta nel IV - V secolo: ad
esempio, Orosio, nelle sue Historiae adversus paganos, cita e discute
alcuni contesti dello storico››128.
Difatti, l’autore cristiano nomina diverse volte Tacito nella sua opera:
ad esempio, nel VII libro, in cui parla della prima guerra giudaica:
“Sexcenta milia Iudaeorum eo bello interfecta Cornelius et
127Ammiano Marcellino, Storie, trad. it. di A. Selem, UTET, Torino 1973. 128P. Fedeli, op. cit., p. 773.
119
Svetonius referunt.”
(Oros., Hist. adv. pag., VII, 9, 7)
‹‹Cornelio e Svetonio riferiscono che in quella guerra furono
uccisi seicentomila giudei.››129
Nel manuale della Garbarino è possibile ritrovare anche informazioni
sul cosiddetto “tacitismo”, fenomeno che si sviluppò nella seconda
metà del XVI secolo.
La Garbarino definisce il “tacitismo” ‹‹un sottile espediente per
affrontare e discutere il problema politico senza incorrere nella
condanna della Chiesa e senza nominare l’esecrato Machiavelli, i
cui scritti furono messi all’Indice››130.
Quindi, secondo la studiosa, nei commenti cinquecenteschi all’opera di
Tacito è riscontrabile l’ambiguità del dibattito post - rinascimentale
sulla “ragion di Stato”:
‹‹Accanto al biasimo moralistico verso Tacito per la materia
scellerata del suo racconto ed i pessimi esempi che esso propone,
non manca la consapevolezza dell’insegnamento che se ne può
trarre››131.
Per Paolo Cutolo, invece, il “tacitismo” è ‹‹una letteratura politica che
mira a confrontare gli insegnamenti che sembravano potersi
desumere dall’opera di Tacito con gli avvenimenti del tempo, o
anche a trarre da questa precetti politici, aforismi e massime come
guida per gli uomini di governo››132.
129Orosio, Le storie contro i pagani, trad. it. di G. Chiarini, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori,
Milano 1976, vol. II, pp. 276 - 277. 130G. Garbarino, op. cit., p. 429. 131G. Garbarino, ibidem. 132P. Cutolo, op. cit., p. 392.
120
L’autore riporta un passo dal trattato Della ragion di Stato, pubblicato
da Giovanni Botero nel 1589 in cui Botero politica e religione si
conciliano nella persona del principe. Il Tiberio di Tacito è accostato
all’ “incosciente” principe del Machiavelli:
‹‹Per diverse occasioni mi è convenuto [...] far viaggi e
praticare [...] nelle corti di re e di principi grandi, or di qua, or
di là da’ monti. Dove, tra l’altre cose da me osservate, mi ha
recato somma meraviglia il sentire tutto il dì mentovare
“Ragione di Stato” e in cotal maniera citare ora Nicolò
Machiavelli, ora Cornelio Tacito: quello perché dà precetti
appartenenti al governo et al reggimento de’ popoli, questo
perché esprime vivamente l’arti usate da Tiberio Cesare e per
conseguire e per conservarsi nell’imperio di Roma... ››133
(G. Botero, Della ragion di Stato, prologo)
Il “movimento tacitiano” sorse dopo la pubblicazione dell’edizione
commentata da Giusto Lipsio nel 1574, che influenzò in particolar
modo la storiografia e la trattatistica politica del Seicento:
‹‹La lettura delle opere dello storico portò ad ammirarne soprattutto
la penetrazione psicologica, l’abilità nel ritrarre i personaggi, la
perizia nel descrivere gli oscuri meandri della vita politica romana e
della corte, lo stile conciso fin quasi all’oscurità››134.
Paolo Di Sacco e Mauro Serio citano poi autori del Seicento e del
Settecento che trassero ispirazione per la composizione dei loro drammi
dai personaggi della storia tacitiana:
133P. Cutolo, op. cit., p. 393. 134E. Malaspina - P. Pagliani - R. Alosi - A. Buonopane - R. Ampio - A. Balbo, op. cit., p. 334.
121
‹‹Tacito diede modelli di concisione stilistica ai trattatisti del barocco
come Emanuele Tesauro e abbondanti materiali ai drammaturghi:
ricordiamo l’Otone (1664) di Corneille, il Britannicus (1669) di Racine
e l’Ottavia (1780 - 82) di Alfieri››135.
Il Monaco - De Bernardis - Sorci è, infine, l’unico testo a nominare
Benedetto Varchi che nella sua Storia fiorentina sembra aver utilizzato
Tacito come modello:
‹‹Benedetto Varchi prese a modello Tacito, vedendo in lui, con
evidente stravolgimento interpretativo, non l’orientamento
antimperialistico e la condanna morale sulla crisi dell’impero, bensì
la teorizzazione dell’assolutismo››136.
135P. Di Sacco - M. Serio, op. cit., p. 371. 136G. Monaco - G. De Bernardis - A. Sorci, op. cit., p. 763.
122
2.8 Tacito nelle antologie modulari
L’antologia modulare è un nuovo ed importante strumento della
didattica attuale.
Essa permette al docente di approfondire tematiche specifiche di un
autore oppure di focalizzare l’attenzione su un particolare tema
analizzandolo in modo sincronico e / o diacronico.
La stragrande maggioranza delle antologie modulari su Tacito è
incentrata principalmente su temi trattati negli Annales, come il
rapporto tra intellettuali e potere in età imperiale.
Nerone è al centro delle monografie curate da Angelo Roncoroni e da
Lidia Levi.
La finalità del testo del Roncoroni è quella di mostrare come il Nerone
tacitiano rappresenti il despota per eccellenza, la degenerazione del
potere monarchico:
‹‹Più che di monarchia, si trattò di dispotismo o di regime tirannico
vero e proprio››137.
Lo studioso, dopo un excursus sulla dinastia giulio - claudia, riporta
diversi brani degli Annales, collegandoli alle varie fasi del principato
neroniano.
Il percorso si apre con l’analisi del primo quinquennio del regno di
Nerone, ‹‹felice, ma non troppo››138.
Sono riportati i passi che descrivono, ad esempio, il programma di
governo del princeps139, inizialmente influenzato da Seneca, e la fine di
137A. Roncoroni, Neropolis, collana “Gli antichi e noi”, Signorelli Scuola / Mondadori, Milano
2008, p. 5. 138A. Roncoroni, op. cit., p. 16. 139Tac., Ann., XII, 4 - 5.
123
Britannico140.
Si passa poi alla relazione di Nerone con Poppea141 e all’assassinio di
Agrippina142, episodio, quest’ultimo, che ‹‹influì pesantemente sulla
perdita di consenso di un principe che cominciò a essere
considerato un despota sanguinario››143.
Nelle pagine dedicate a quelli che il critico chiama “i giorni della
follia”144, inerenti quindi all’ultimo periodo del regno di Nerone, il
Roncoroni dà rilievo ai passi relativi all’incendio di Roma del 64 d.
C.145.
Da quello che Tacito racconta emerge una spiegazione molto forte di
quanto accaduto:
‹‹Nerone approfittò dell’incendio per ottenere quello che voleva:
costruire una nuova città e darle il proprio nome››146.
L’ultima parte del testo è dedicata ai cosiddetti exitus illustrium
virorum, ovvero le morti di uomini illustri.
Si tratta di morti “esemplari”, come quelle di Seneca e Petronio,
personaggi considerati da Nerone coinvolti nella congiura dei Pisoni.
In particolare, riguardo alla fine di Seneca il Roncoroni nota come
‹‹essa, nella sua esemplarità, ricorda altre morti di famosi filosofi,
soprattutto quella di Socrate, raccontata da Platone nel suo
Fedone››147.
140Tac., Ann., XII, 15 - 16. 141Tac., Ann., XII, 45 - 46. 142Tac., Ann., XIV, 4 - 5. 143A. Roncoroni, op. cit., p. 26. 144A. Roncoroni, op. cit., p. 64. 145Tac., Ann., XV, 38 - 40. 146A. Roncoroni, op. cit., pp. 53 - 54. 147A. Roncoroni, op. cit., p. 69.
124
Il testo si chiude con un’appendice sulla fortuna della figura di Nerone,
indipendentemente dal ritratto tacitiano, nei drammi Incoronazione di
Poppea (1643) di Claudio Monteverdi e Nerone di Pietro Cossa (1872),
oltre che nel romanzo Quo vadis? (1896) di Henryk Sienkiewicz, da cui
fu tratto l’omonimo film del 1951.
Sempre su Nerone, ma d’impostazione più classica, è l’antologia
modulare curata da Lidia Levi148.
L’autrice, infatti, in analogia con le antologie più tradizionali, offre
all’alunno molti passi tacitiani su Nerone, senza però approfondire gli
argomenti trattati con osservazioni e riflessioni personali.
I temi sono i più disparati: dalla gioventù di Nerone durante il principato
di Claudio149 fino all’assassinio di Ottavia150.
Probabilmente, l’unica peculiarità di questo volume è l’aver operato un
confronto testuale con brani di altri autori latini che hanno trattato lo
stesso tema.
Ad esempio, si realizza un parallelismo tra come Tacito e Svetonio
descrivono gli interessi letterari di Nerone.
Nerone è presente anche nell’antologia di Luisa Gengaro, dove
l’attenzione si concentra sul passo in cui Nerone canta la fine di Troia
durante l’incendio di Roma.
Il brano, riscontrabile anche nei due testi citati precedentemente, è il
seguente:
“Pervaserat rumor ipso tempore flagrantis urbis inisse eum
148L. Levi, Alla corte di Nerone, collana “Leggere in latino”, Laterza, Roma - Bari 1999. 149Tac., Ann., XII, 41. 150Tac., Ann., XIV, 64.
125
domesticam scaenam et cecinisse Troianum excidium,
praesentia mala vetustis cladibus adsimulantem.”
(Tac., Ann., XV, 39, 4)
‹‹Era corsa voce che, nello stesso tempo in cui la città
bruciava, egli fosse apparso sul palcoscenico della sua casa
e cantasse la presa di Troia, paragonando il disastro presente
a quelle antiche rovine.››151
La Gengaro, in coda al brano tacitiano, fa un confronto testuale con un
passo del Satyricon di Petronio in cui Eumolpo narra ad Encolpio le
vicende relative alla presa di Troia:
“Iam turba portis libera ac bello carens
in vota properat. Fletibus manant genae,
mentisque pavidae gaudium lacrimas habet.
Quas metus abegit. Namque Neptuno sacer
crinem solutus omne Laocoon replet
clamore vulgus. Mox reducta cuspide
uterum notavit, fata sed tardant manus,
ictusque resilit et dolis addit fidem.”
(Petr., Satyr., 89, vv. 15 - 22)
‹‹Già dalle porte accorre a sciorre I voti
la turba liberata e senza guerra.
Di pianto sono madide le guance,
ché come l’ansia ha lagrime di gioia.
Ma il timore le caccia. Laocoonte,
ministro di Nettuno, sciolto il crine,
fende la folla urlando, e, stretta un’asta,
nel ventre la configge, ma la mano
151L. Gengaro, Da Nerone ai Germani, collana “L’attualità del passato”, Loffredo, Napoli 2002, p.
49.
126
i fati gli rallentano ed il colpo
balza all’indietro e conferma l’inganno.››152
Anche la Gengaro si sofferma sulle “morti illustri” descritte da Tacito.
Al passo relativo alla morte di Petronio la studiosa fa seguire un breve
approfondimento sullo stile e sul ritmo della prosa tacitiana riportando
le parole di Armando Salvatore:
‹‹Tacito ha vivo il senso del ritmo e, per ottenerlo, sfrutta tutte le risorse
che la lingua latina gli offre: quantità, accento, suono,
conformazione e disposizione dei vocaboli. Gli sono tutt’altro che
sconosciute le clausole, che assolvono in Tacito una funzione
eminentemente espressiva››153.
Il teso curato da Luciano Stupazzini è incentrato esclusivamente sugli
Annales.
Lo Stupazzini, dopo aver trattato in modo sintetico vita e opere del
nostro storico, riporta molti passi degli Annales dominati da ‹‹una
descrizione del rapporto fra le grandi svolte della storia, la psicologia
dei potenti, le loro motivazioni inconfessate e inconfessabili, gli intrighi
dei loro palazzi››154.
Si parte dagli intrighi e dai delitti per la successione di Augusto155, fino
a giungere alle repressioni contro i seguaci di Seiano156, passando per
l’assassinio di Britannico157 e quello di Agrippina158.
152Petronio, Il Satyricon, trad. it. di V. Ciaffi, Einaudi, Torino 1967. 153A. Salvatore, Stile e ritmo in Tacito, Loffredo, Napoli 1950, pp. 8 - 9. 154L. Stupazzini, Arcana imperii, Cappelli, Bologna 2000, p. 3. 155Tac., Ann., I, 1. 156Tac., Ann., V, 6 - 11. 157Tac., Ann., XIII, 15 - 17. 158Tac., Ann., XIV, 1 - 13.
127
Il tutto è corredato da schede di approfondimento storico sul periodo
descritto da Tacito in quest’opera.
Ai ritratti tacitiani è, invece, dedicato il volume di Antonio D’Alessio
Cupidines et flagitia.
Oltre a soffermarsi su alcuni personaggi presenti negli Annales, quali,
ad esempio, Tiberio, Messalina e Pisone, lo studioso pone l’attenzione
su importanti figure delle Historiae.
Uno di questi è, senz’alcun dubbio, Otone di cui il D’Alessio riporta il
brano tacitiano relativo alla sua fine:
“Vesperascente die sitim haustu gelidae aquae sedavit. Tum
adlatis pugionibus duobus, cum utrumque pertemptasset,
alterum capiti subdidit. Et explorato iam profectos amicos,
noctem quietam, utque adfirmatur, non insomnem egit: luce
prima in ferrum pectore incubuit.”
(Tac., Hist., II, 49, 2)
‹‹Verso sera con un sorso di acqua gelida calmò la sete. Poi,
fattisi portare dei pugnali, avendo provato (la punta di)
entrambi, ne mise uno sotto il guanciale. E accertatosi che gli
amici erano già partiti, trascorse una notte tranquilla e, come
affermano, non insonne: all’alba con la lama si trafisse il
petto.››159
Successivamente, lo studioso propone anche le descrizioni che della
159A. D’Alessio, Cupidines et flagitia, collana “Polymnia”, Ferraro, Napoli 2007, p. 63.
128
morte di Otone hanno fatto Plutarco160 e Svetonio161, invitando gli
alunni ad individuare le analogie col passo tacitiano.
Angelo Roncoroni non si è occupato dolo di Nerone, ma ha affrontato
anche un altro importante tema tacitiano: i barbari.
Lo studioso riporta passi sugli usi e i costumi dei Britanni nell’Agricola
e dei Germani nella Germania, notando come i rapporti tra queste due
popolazioni e l’impero romano, in particolar modo nel Tardo Antico,
siano stati decisivi per l’attuale assetto geografico europeo:
‹‹Proprio dalla fusione dell’elemento romano e di quello germanico
nei cosiddetti regni romano - barbarici nascono i primi Stati nazionali
che danno origine all’Europa››162.
Tra l’altro, questo è uno dei pochi testi che, riportando il quarto capitolo
della Germania, dedicato al rapporto tra la purezza della razza
germanica e l’autoctonia di questa popolazione, fa un breve riferimento
all’importante studio di Luciano Canfora sulla fortuna di cui l’opuscolo
tacitiano ha goduto in epoca nazista:
‹‹In nome di una “continuità” col passato, il III Reich è stato
considerato da alcuni come la naturale reincarnazione del mito,
oltre che delle forme sociali degli antichi Germani››163.
In relazione al pensiero tacitiano su alcuni costumi barbarici, il
Roncoroni riporta in questo volume un brano tratto dal De gubernatione
Dei di Salviano di Marsiglia, vissuto nel V secolo d. C. in cui si elogiano
i costumi dei Goti, contrapponendoli all’immoralità dilagante tra i
cristiani. Chiara è la correlazione con la Germania di Tacito, in cui più
160Plut., Otho, 16, 5. 161Suet., Otho, 11 - 12. 162A. Roncoroni, Alle origini dell’idea di Europa, collana “Gli antichi e noi”, Signorelli Scuola /
Mondadori, Milano 2000, p. 5. 163L. Canfora, La “Germania” di Tacito da Engels al nazismo, Liguori, Napoli 1979, pp. 48 - 49.
129
volte è lodata l’integrità del modus vivendi germanico, in contrasto con
la corruzione vigente tra i Romani.
Nella monografia del Roncoroni leggiamo anche un interessante
approfondimento del giudizio sull’imperialismo romano espresso da
alcuni autori di lingua greca, come Polibio ed Elio Aristide:
‹‹Nel VI libro delle sue Storie, Polibio (II sec. a. C.) offre una
legittimazione alla linea imperialistica sostenuta dalla famiglia degli
Scipioni: infatti, la costituzione romana realizza una perfetta mistione
delle tre forme di governo - monarchia, aristocrazia e democrazia -
la quale assicura a Roma una supremazia senza rivali. L’orazione A
Roma di Elio Aristide (II sec. d. C.) definisce, invece, i Romani
“governatori per natura”, un popolo “nato per governare” che è
riuscito a realizzare l’unità politica dell’ecumene omogeneizzando
sotto il suo primato tutto il mondo conosciuto››164.
164A. Roncoroni, op. cit., p. 74.