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Capitolo 5 Un’Analisi delle Relazioni tra Equità, Motivazione e Soddisfazione per il Lavoro 1 di Maurizio Carpita e Marica Manisera § 5.1 Introduzione Seguendo lo schema concettuale proposto da Borzaga e Musella (capi- tolo 5 della parte 1), si può affermare che motivazione, equità e soddi- sfazione rappresentano tre importanti componenti della qualità del la- voro, soprattutto per gli occupati nel settore dei servizi alla persona di pubblica utilità (SPPU). Nel presente studio si rielabora questa rifles- sione da una prospettiva statistica, partendo dalla considerazione che molti temi economici - compresa la qualità del lavoro - si riferiscono ad aspetti soggettivi che si può tentare di misurare impiegando appropriati indicatori compositi. Dopo una rassegna critica dell’attuale letteratura sull’argomento, tra le varie tecniche disponibili per la costruzione di ta- li indicatori viene considerata in particolare la versione moderna dell’analisi delle componenti principali (ACP; Gifi, 1990). Questo me- todo, applicato ai dati dell’indagine denominata FIVOL-FEO 98 (Bor- zaga, 2000.a-b; Borzaga e Musella, 2003) sulla qualità del lavoro nel settore italiano dei SPPU, permette di approfondire le relazioni tra le componenti di interesse, anche con riferimento alla tipologia di orga- nizzazione a cui appartengono i lavoratori. 1 Studio svolto nell’ambito della ricerca biennale cofinanziata dal MIUR, “Misurare la Qualità del Lavoro nelle Organizzazioni Nonprofit”, PRIN - anno 2004. § Il lavoro è frutto di una stretta collaborazione tra gli autori e ne riflette il pensiero comune. Sono attribuiti a M. Carpita i paragrafi 2-4 ed a M. Manisera i paragrafi 5-6.

Un’analisi delle relazioni tra equità, motivazione e soddisfazione per il lavoro

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Capitolo 5

Un’Analisi delle Relazioni tra Equità, Motivazione e Soddisfazione

per il Lavoro1 di Maurizio Carpita e Marica Manisera§

5.1 Introduzione Seguendo lo schema concettuale proposto da Borzaga e Musella (capi-tolo 5 della parte 1), si può affermare che motivazione, equità e soddi-sfazione rappresentano tre importanti componenti della qualità del la-voro, soprattutto per gli occupati nel settore dei servizi alla persona di pubblica utilità (SPPU). Nel presente studio si rielabora questa rifles-sione da una prospettiva statistica, partendo dalla considerazione che molti temi economici - compresa la qualità del lavoro - si riferiscono ad aspetti soggettivi che si può tentare di misurare impiegando appropriati indicatori compositi. Dopo una rassegna critica dell’attuale letteratura sull’argomento, tra le varie tecniche disponibili per la costruzione di ta-li indicatori viene considerata in particolare la versione moderna dell’analisi delle componenti principali (ACP; Gifi, 1990). Questo me-todo, applicato ai dati dell’indagine denominata FIVOL-FEO 98 (Bor-zaga, 2000.a-b; Borzaga e Musella, 2003) sulla qualità del lavoro nel settore italiano dei SPPU, permette di approfondire le relazioni tra le componenti di interesse, anche con riferimento alla tipologia di orga-nizzazione a cui appartengono i lavoratori. 1 Studio svolto nell’ambito della ricerca biennale cofinanziata dal MIUR, “Misurare la Qualità del Lavoro nelle Organizzazioni Nonprofit”, PRIN - anno 2004. § Il lavoro è frutto di una stretta collaborazione tra gli autori e ne riflette il pensiero comune. Sono attribuiti a M. Carpita i paragrafi 2-4 ed a M. Manisera i paragrafi 5-6.

312Il presente capitolo è così organizzato. Nel paragrafo 2 si spie-

gano i motivi per cui, nella recente letteratura economica e in particola-re in quella riferita al settore dei SPPU, si considerano importanti anche gli aspetti soggettivi della qualità del lavoro. Nel paragrafo 3 si mostra in che modo, ai fini della misurazione statistica, tali aspetti si possano rappresentare tramite variabili latenti stimate con opportuni indicatori compositi. Una classificazione aggiornata dei modelli multivariati im-piegati in questo contesto viene proposta nel paragrafo 4, mentre nel 5 si presenta la moderna ACP, focalizzandosi soprattutto su come essa contribuisce alla costruzione di indicatori compositi; particolare atten-zione è rivolta ad un aspetto talvolta trascurato nell’analisi dei dati sog-gettivi, ovvero al fatto che essi non sono per loro natura numerici ma solo ordinali. Soffermandosi sulla strategia di analisi e su diversi tipi di indicatori compositi, nel paragrafo 6 sono riportati i risultati dello stu-dio della relazione tra motivazione, equità e soddisfazione effettuato sui dati FIVOL-FEO 98.

5.2 Qualità del lavoro nel settore dei servizi alla persona di pubblica utilità

Superate varie resistenze ed obiezioni di carattere teorico ed empirico presenti in passato, in ambito economico è ormai ampiamente condivi-sa l’idea che, nella società moderna, la qualità dei prodotti e soprattutto dei servizi non possa essere valutata riferendosi solo ed esclusivamente ad alcuni standard di tipo tecnico o fisico, obiettivamente verificabili e facilmente esprimibili in termini monetari. In particolare, affinché un sistema di valutazione della qualità dei servizi sia completo, è necessa-rio che questo consideri pure la qualità delle relazioni tra il principale incaricato del servizio (l’organizzazione), gli agenti che lo erogano (i lavoratori) e gli utenti che lo ricevono. Poiché tali relazioni sono com-plesse, riguardando e coinvolgendo a vari livelli gli stakeholder, si può dire che la valutazione della loro qualità rimane un fatto personale e quindi sostanzialmente soggettivo. Soprattutto in un contesto competi-tivo, si riconosce quindi che l’efficacia, ma anche l’efficienza dell’azione dell’organizzazione dipendono - oltre che dalle percezioni

313degli utenti - dalle caratteristiche individuali dei lavoratori, dalle lo-ro relazioni con gli altri attori del sistema e dalle ricadute che comples-sivamente queste hanno sul loro impegno o effort (Lowe e Schellen-berg, 2001; Bridges e Harrison, 2003). Se, però, termini come customer satisfaction sono ormai entrati nell’elenco delle componenti fondamen-tali da inserire in un sistema di valutazione della qualità dei servizi, mi-nore attenzione è dedicata alla job satisfaction e più in generale alla qualità del lavoro, della quale la prima rappresenta solo una approssi-mazione (Clark, 2003). Come tutti gli altri aspetti della qualità dei ser-vizi, anche la qualità del lavoro è un concetto complesso da definire, composto da varie dimensioni e rilevabile sostanzialmente a livello in-dividuale, dato che su di essa hanno particolare rilevanza le relazioni che esistono tra lavoratori e organizzazioni di appartenenza (La Rosa, 2002; Green, 2005).

In questo nuovo contesto, la qualità del lavoro, in passato valutata esclusivamente dal punto di vista del livello di salario e degli standard di sicurezza, è considerata oggi un aspetto fondamentale del benessere individuale. Ad esempio, essa è diventata una componente importante dell’economia della felicità, un approccio che da alcuni anni richiama l’attenzione di numerosi studiosi e che ha il merito di evidenziare co-me, nelle economie moderne, non solo gli aspetti monetari ma anche quelli soggettivi hanno un effetto sulla qualità della vita delle persone molto più importante che in passato (Oswald, 1997; van Praag, Frijters e Ferrer-i-Carbonell, 2003; van Praag e Ferrer-i-Carbonell, 2004; Die-ner e Seligman, 2004; Green, 2005; Frey e Stutzer, 2005; Senik, 2005; Layard, 2006; Peiró, 2006).

Il tema della qualità del lavoro è da tempo ritenuto tra i più rilevanti a livello europeo: introdotto esplicitamente nell’agenda sociale con il summit tenutosi a Lisbona nel marzo del 2000, il progresso della quali-tà dell’occupazione, anche dal punto di vista degli aspetti intrinseci e relazionali, è stato uno degli obiettivi strategici del triennio 2003-2005 e fa parte della seconda fase che si attuerà nel quinquennio 2006-2010 (European Commission, 2001.b, 2003; Lowe, 2003; Vermeylen, 2005). Anche partendo quindi dalla definizione delle politiche, si riconosce in maniera esplicita che la qualità del lavoro presenta diverse dimensioni e dipende in parte dalle valutazioni soggettive dei lavoratori.

Per quanto detto, non sorprende che nella letteratura recente si siano sviluppati e diffusi numerosi concetti che si riferiscono ad aspetti sog-gettivi del lavoro. Tra i più studiati si ricordano i seguenti: “motivazio-

314ne” (work motivation; Frey, 1997; Gagné e Deci, 2005), “autono-

mia” (autonomy; Denton e Kleiman, 2001), “equità” (fairness; Fehr e Schmidt, 2001; Skott, 2005; Maureen, 2006), “contratto psicologico” (psychological contract; Rousseau, 1995; Anderson e Schalk, 1998), “relazioni con i superiori” (leader-member exchange; Gerstner e Day, 1997; Schriesheim, Castro e Cogliser, 1999), “coinvolgimento” (orga-nizational commitment; Mowday, Steers e Porter, 1979; Meyer e Allen, 1991), “utilità procedurale” (procedural utility; Benz e Stutzer, 2003), “soddisfazione” ( job satisfaction; Clark, 1996; Spector, 1997; Hamer-mesh, 2001; Benz, 2005) e “impegno” (effort; Shapiro e Stigliz, 1984; Clark e Tomlinson, 2001). Tali concetti sono spesso messi in relazione tra loro, con l’obiettivo finale di fornire una spiegazione teorica al comportamento dei lavoratori, alla loro produttività e alla qualità dei risultati percepiti all’esterno (Clark e Tomlinson, 2001; Bauer, 2004; Janssen e Van Yperen, 2004; Schleicher, Watt e Greguras, 2004).

La necessità di considerare la qualità del lavoro in termini più ampi ed articolati rispetto al passato vale soprattutto per i SPPU, dove le componenti motivazionale e relazionale giocano un ruolo fondamentale nella determinazione dell’efficacia dell’azione che coinvolge in modo collaborativo agenti e utenti nella creazione di experience good (Gori e Vittadini, 1999). Tale considerazione è oggi importante anche in ambi-to economico, tenuto conto della rilevanza assunta negli ultimi anni dal settore dei SPPU e dei significativi mutamenti in esso intervenuti: ac-canto alle tradizionali attività degli enti pubblici, gli attuali modelli fa-miliari hanno favorito lo sviluppo del cosiddetto welfare mix. Questo nuovo modello prevede un sempre maggiore coinvolgimento di agenti privati, caratterizzati da nuove forme di imprenditorialità sociale (non-profit e for profit) e di volontariato (laico e religioso). Le ipotesi classi-che utilizzate per spiegare tale mutamento, avvenuto in tempi diversi anche in altri paesi, sono varie: far fronte alla domanda di nuovi e di-versificati bisogni spesso ad elevato contenuto relazionale, ai fallimenti del mercato attribuibili alla presenza di asimmetrie informative e all’insufficiente differenziazione dell’offerta (Hansmann, 1980 e 2000; Anheier e Ben-Ner, 2003; Borzaga e Musella, 2003; Bruni e Zamagni, 2004; Sacco e Zarri, 2006). In questo scenario è sempre più diffuso l’interesse verso lo studio delle nuove forme organizzative, in grado se-condo alcuni studiosi di sviluppare e favorire particolari relazioni tra utenti e lavoratori (Sacco e Zamagni, 2002; Bonomi, 2005).

315Così, oltre alle già ricordate teorie classiche, che nel definire la

qualità del lavoro suggeriscono di considerare aspetti pur importanti, quali la retribuzione e gli incentivi di natura economica, la sicurezza e la salute, l’inclusione e l’assenza di discriminazione, per gli occupati nel settore dei SPPU è stata recentemente proposta anche una possibile interpretazione della qualità del lavoro calata nel contesto dei sistemi o mix di incentivi non monetari che possono determinare la soddisfazione e quindi il livello dell’effort di questi lavoratori (Borzaga e Musella, capitolo 5 della parte 1). Secondo tale ipotesi, sono in particolare i la-voratori del nonprofit che manifestano un’elevata percezione di appar-tenenza all’organizzazione e attribuiscono grande importanza alle grati-ficazioni di tipo intrinseco, legate soprattutto alla realizzazione dei pro-pri ideali. Entrambi questi stimoli possono avere significativi effetti sulla qualità dell’attività svolta, favoriscono il volontariato e, secondo alcuni studi, anche casi di donazione del lavoro tra i lavoratori remune-rati (Mocan e Tekin, 2000; Meier e Stutzer, 2004). Di conseguenza, nell’ambito nonprofit, sia le caratteristiche soggettive dei lavoratori (in termini di atteggiamento e motivazione verso l’attività svolta) sia le ca-ratteristiche dell’organizzazione (in termini di clima e ricompensa, ov-vero del mix di incentivi che essa può offrire) avrebbero particolare importanza nel determinare produttività e qualità dei servizi, anche a fronte della frequente limitatezza delle gratificazioni di tipo economico (Frey, 1997; Gui, 2000; Leete, 2000; Ruhm e Borkoski, 2003; Simsa, 2004; Laschinger et al., 2004).

Da questa sintesi si può concludere che valutare oggi la qualità del lavoro nel settore dei SPPU non significa semplicemente considerare il livello delle retribuzioni e degli incentivi economici, spesso considerati addirittura controproducenti (Bénabou e Tirole, 2003). Affinché la va-lutazione sia completa, oltre a tali aspetti è necessario tentare di misura-re anche le attitudini e le percezioni dei lavoratori. Dal punto di vista statistico questo significa predisporre un insieme di indicatori che per-mettano di valutare - oltre agli aspetti di carattere estrinseco - anche quelli appartenenti alla sfera soggettiva, che hanno carattere intrinseco e relazionale. La costruzione di questi indicatori soggettivi ha come scopo finale quello di fornire delle misure valide ed affidabili, che pos-sano essere utilmente impiegate in modelli più o meno complessi per la verifica di importanti ipotesi teoriche. Nel seguente paragrafo si descri-ve una procedura generale utile per costruire indicatori soggettivi, il cui

316impiego può essere giustificato riferendosi ad alcuni dei modelli più

diffusi in questo ambito della ricerca socio-economica.

5.3 Misurazione statistica di attitudini e percezioni soggettive Nel presente contesto, per misura si intende un punteggio quantitativo (score) attribuito ad un individuo ed ottenuto tramite una determinata procedura di analisi statistica (scaling) applicata ai dati raccolti tramite questionario o intervista (Edwards e Bagozzi, 2000; Viswanathan, 2005). In certi casi le misure si possono facilmente costruire, perché sono riferite ad aspetti direttamente osservabili e quantificabili (ad e-sempio lo stipendio o l’anzianità del lavoratore); in altri casi le misure si riferiscono invece a concetti teorici, detti costrutti o tratti latenti, che non sono direttamente osservabili e quantificabili perché hanno a che vedere con aspetti psicologici dell’individuo (ad esempio la motivazio-ne e la soddisfazione del lavoratore). La possibilità di utilizzare misure soggettive nelle analisi economiche è tuttora oggetto di discussione (Bertrand e Mullainathan, 2001; Stutzer e Frey, 2003) e alcuni autori hanno evidenziato i potenziali pericoli derivanti dal loro uso (Schkade e Kahneman, 1998; Hamermesh, 2003). Ma i costrutti latenti, non misu-rabili direttamente perché appartengono alla sfera soggettiva, giocano comunque un ruolo importante nel determinare le decisioni degli indi-vidui e sono quindi fondamentali per lo sviluppo della ricerca sociale ed economica. Dal punto di vista della loro rappresentazione all’interno dei modelli statistici, tali concetti sono denominati variabili latenti o fattori (Bollen, 2002; Borsboom, Mellenbergh e van Heerden, 2003). Le variabili latenti possono essere completamente definite dalla teoria oppure possono “nascere” dai dati disponibili; si distingue quindi tra variabili latenti a priori (ipotizzate già prima di esaminare i dati) e va-riabili latenti a posteriori (derivate solo a seguito dell’analisi dei dati); più spesso, le variabili latenti impiegate nelle applicazioni si collocano tra gli estremi del continuum rappresentato dalle due precedenti (Bol-len, 2002). La natura di una variabile latente è diversa anche a seconda delle caratteristiche del costrutto che rappresenta: per semplificare, le variabili latenti associate ad attitudini riguardano direttamente la perso-

317nalità dell’individuo, mentre le variabili latenti associate a perce-zioni riguardano la relazione tra l’individuo e il suo contesto. Con rife-rimento ai costrutti di interesse in questa analisi, la motivazione di un lavoratore si può rappresentare con una variabile latente del primo tipo (perché è sostanzialmente una predisposizione individuale), mentre l’ equità e la soddisfazione con variabili latenti del secondo tipo. L’obiettivo - e quindi il significato - dell’analisi statistica è diverso nei due casi: nel primo ci si propone di rilevare un’attitudine del lavorato-re, mentre nel secondo si vuole riassumere una percezione del lavorato-re. In entrambe le situazioni, dal punto di vista dell’analisi statistica di uno o più costrutti latenti da realizzarsi tramite la misurazione di p≥ 1 variabili latenti, si possono distinguere le seguenti due fasi:

(1) determinare un insieme di m > p indicatori semplici q′ = (q1, q2,..., qm) che si suppone siano in relazione con le variabili latenti;

(2) adottare una procedura f (q) che permetta di costruire un indicatore composito p-dimensionale x′ = (x1, x2,..., xp) da utilizzare come scala di misura per le variabili latenti.

Nella fase (1) i dati sono raccolti inserendo nei questionari numerosi quesiti (item) che si suppone siano in qualche modo connessi ai costrut-ti di interesse; le risposte a tali quesiti sono rilevate su scale con catego-rie ordinate che esprimono il grado di accordo, ad esempio da per nulla importante a molto importante. Ai fini dell’analisi statistica, tali catego-rie sono poi rappresentate con una codifica numerica (di solito 1,2,…) e una quantificazione di ogni variabile osservata rappresenta un indicato-re semplice delle variabili latenti. Nella fase (2) è pratica comune quel-la di costruire l’indicatore composito, che si associa alle p variabili la-tenti, impiegando la somma degli m indicatori semplici (summated rating scale; Spector, 1992; Bartholomew, 1996):

x = f (q) = j

m

jj q∑

=1

a con pesi aj′ = (aj1, a j2,..., a jp) . (1)

Per quanto riguarda le proprietà desiderabili per l’indicatore composito x, esso dovrebbe operare la sintesi dei dati tenendo conto:

i) della natura ordinale delle variabili osservate, delle quali gli indi-catori semplici q sono una trasformazione quantitativa,

ii) della loro importanza descritta tramite i pesi aj ,

318iii ) della multidimensionalità del costrutto latente.

La scelta di sommare gli indicatori semplici può essere sostenuta sia da considerazioni di carattere teorico, derivate dalla relazione che si suppone esista tra variabili osservate e latenti, sia da considerazioni di carattere empirico legate all’effetto di compensazione operato dalla funzione f sugli errori di misura che sono verosimilmente associati agli indicatori semplici.

Per quanto riguarda le considerazioni di tipo teorico, le relazioni tra variabili osservate e latenti possono essere convenientemente rappre-sentate tramite i cosiddetti modelli ad equazioni strutturali (Structural Equation Models o SEM; Bollen, 1989; Tomarken e Waller, 2005) in due forme sostanzialmente diverse (Edwards e Bagozzi, 2000):

(a) modello riflessivo, secondo il quale le variabili osservate dipendono dalle variabili latenti cioè, a meno di errori casuali, le prime sono effetti osservati delle seconde;

(b) modello formativo, secondo il quale le variabili latenti dipendono dalle variabili osservate cioè, a meno di errori casuali, le seconde sono cause osservate delle prime.

La Figura 4.1 rappresenta schematicamente i due tipi di modello nel caso di una sola variabile latente (ξ), tre variabili osservate (h1, h2, h3) e relativi errori (ε).

Figura 5. 1 – Esempi di SEM: (a) modello riflessivo e (b) modello for-mativo Di solito, per rappresentare le attitudini (come ad esempio la motiva-zione) si assume un modello riflessivo mentre per rappresentare le per-cezioni (come ad esempio l’equità) si assume un modello formativo. A seconda del SEM ipotizzato, i relativi indicatori compositi sono detti

h1

h2

h3

ε

ξ

h1

h2

h3

ξ

ε1

ε2

ε3

319misure formative (sintesi di effetti osservati) o misure riflessive (sintesi di cause osservate). È importante però ricordare che, indipen-dentemente dal tipo di modello che si assume per l’analisi, la sintesi operata tramite indicatori compositi del tipo (1) non è equivalente alla variabile latente ma ne rappresenta solo la versione empirica ed opera-tiva, ovvero una previsione (stima) la cui affidabilità deve essere valu-tata caso per caso con i dati disponibili (Bollen e Lennox, 1991). Ne consegue che, ad esempio, questi indicatori dovrebbero essere usati come variabili esplicative solo nel contesto dei measurement error mo-dels (Pagan, 1984; Fuller, 1987; Bound, Brown e Mathiowetz, 2002; Freeman et al., 2004; Carroll, Ruppert e Stefanski, 2006).

Per quanto riguarda le considerazioni di carattere empirico, l’impiego di un numero relativamente elevato di indicatori semplici può almeno in parte ridurre i problemi derivanti dal fatto che i soggetti ten-dono a fornire risposte affette da un certo margine di imprecisione che può essere voluto, soprattutto quando le domande toccano argomenti piuttosto delicati. Da questo punto di vista, la sintesi statistica è utile anche perché opera un’adeguata semplificazione della complessità dei dati, mantenendo o migliorando il loro contenuto informativo. La scelta dei pesi da inserire nella (1) non sembra invece rivestire particolare im-portanza dal punto di vista pratico: anche se questi vengono stimati con appropriate procedure statistiche, considerazioni metodologiche e di robustezza dei risultati suggeriscono di utilizzare, per la costruzione di indicatori compositi, pesi uguali o comunque non dipendenti dai dati (Wainer, 1976; McDonald, 1996; Russell, 2002). Secondo questa im-postazione, i pesi servono solo per individuare a quale variabile latente si riferiscono gli indicatori semplici, così che l’indicatore composito di ogni dimensione è la somma dei soli indicatori semplici ai quali sono associati pesi diversi da zero.

Con riferimento alle proprietà degli indicatori semplici q costruiti partendo da risposte rilevate su scale ordinali, due problemi rivestono particolare importanza. Prima di tutto, è necessario che ogni item e la relativa scala di risposta siano interpretati in maniera sostanzialmente analoga dai soggetti (Devlin, Dong e Brown, 1993; Kampen e Swynge-douw, 2000): questa assunzione è plausibile nella misura in cui non so-lo la formulazione delle domande sia semplice e chiara, ma anche le ca-ratteristiche sociali e culturali dei rispondenti non siano troppo diverse. Per superare il problema dell’eterogeneità dei soggetti, l’analisi con in-dicatori soggettivi può essere effettuata utilizzando modelli appropriati

320(Clark et al., 2005). Anche se la condizione di omogeneità è soddi-

sfatta, la natura ordinale delle risposte non permette comunque di attri-buire a priori la proprietà di linearità alle variabili: in altri termini, non si può assumere che i numeri 1, 2,… - rappresentativi delle categorie di risposta - siano equidistanti (Marbach e Tassinari, 2000; Zanella e Cer-ri, 2000; Candel, 2001; Ferrer-i-Carbonell e Frijters, 2004; Marbach, 2004). Per tale motivo, quando si dispone di variabili ordinali, a rigore non è possibile adottare automaticamente l’approccio statistico usuale concepito per trattare variabili quantitative. È invece un buon modo di procedere quello di impiegare modelli che non assumano a priori la li-nearità delle variabili ordinali e verificare poi se tale restrizione è plau-sibile per i dati che si hanno a disposizione. Questo è l’approccio segui-to nell’applicazione presentata nel paragrafo 6.

5.4 Modelli per costruire indicatori compositi soggettivi Negli ultimi anni sono stati proposti numerosi modelli, più o meno complessi, che possono essere utilizzati con l’obiettivo di misurare atti-tudini e percezioni soggettive e che permettono la costruzione di indi-catori compositi del tipo (1). Alcuni possono essere considerati fonda-mentali, sia perché sono stati ampiamente utilizzati con successo nelle analisi, sia perché hanno dato origine a numerosi altri modelli, che però non hanno avuto la stessa diffusione. Adottando lo schema proposto da Breiman (2001), anche i modelli per le analisi dei dati soggettivi si pos-sono suddividere, in base alle loro caratteristiche, in due grandi tipolo-gie:

(a) modelli stocastici, che considerano i dati manifestazioni di un pro-cesso generatore con struttura probabilistica nota a meno di alcuni parametri;

(b) modelli algoritmici, che considerano i dati manifestazioni di un pro-cesso generatore con struttura ignota.

L’obiettivo principale del primo tipo di modelli consiste nell’utilizzare i dati per individuare la “migliore” struttura del modello, mentre il secondo tipo di modelli mira ad utilizzare il modello per indi-viduare la “migliore” rappresentazione delle osservazioni. In entrambi i

321casi il termine “migliore” deve essere inteso in termini relativi e non assoluti, ossia con riferimento ad una procedura di ottimizzazione di una funzione dei dati. Nel caso dei modelli stocastici, si impiega di solito una procedura di stima dei parametri basata su una funzione di guadagno (ad esempio ricavata con il criterio della massima verosimi-glianza), mentre per i modelli algoritmici si adotta di solito un algorit-mo di previsione delle osservazioni basato su una funzione di perdita (ad esempio ricavata con il criterio dei minimi quadrati). Evidentemen-te, le due impostazioni di ricerca sono piuttosto diverse: mentre i mo-delli stocastici nascono da un approccio sostanzialmente teorico, se-condo il quale ogni analisi supportata dai dati deve essere preliminar-mente sostenuta da argomentazioni, più o meno approfondite e convin-centi, sull’esistenza dei costrutti e sulle loro relazioni e proprietà distri-butive, i modelli algoritmici nascono da un approccio sostanzialmente pragmatico, secondo il quale il problema principale è quello di sempli-ficare l’analisi riducendo la complessità dei dati con la minore perdita di informazione possibile, nella speranza che ciò possa far luce sulle re-lazioni di interesse (siano queste già state teorizzate o meno).

I principali modelli stocastici utilizzati per costruire indicatori com-positi soggettivi sono i già ricordati SEM e gli Item Response Models o IRM (Rowe, 2002; Zumbo e Rupp, 2004). In entrambi i casi, particola-re attenzione è dedicata alla specificazione della distribuzione di proba-bilità per le variabili associate alle risposte fornite dai soggetti. I SEM, nati inizialmente come estensione del classico modello fattoriale per variabili (osservate e latenti) quantitative (Hägglund, 2001), sono stati da tempo estesi - soprattutto grazie alla diffusione dell’approccio LI-SREL (Jöreskog e Sörbom, 2005) - al caso di variabili (osservate e la-tenti) qualitative (Bartholomew, 1987; Jöreskog e Moustaki, 2001; Mu-thén e Asparouhov, 2002; Jöreskog, 2004). Anche se questi modelli so-no soprattutto impiegati a fini di rappresentazione e interpretazione del-le relazioni tra variabili, essi possono essere utilizzati per costruire in-dicatori compositi (Jöreskog, 2000; Muthén, 2004). Gli IRM rappresen-tano invece un’estensione del modello di Rasch (Rasch, 1980), molto noto ed utilizzato da diversi anni nelle analisi psicometriche. Nelle ver-sioni Rating Scale e Partial Credit (Wright e Masters, 1982; Wright e Mok, 2004), tale modello permette di trasformare le risposte soggettive rilevate su scale ordinali in una misura oggettiva (Wright e Linacre, 1989) ma, oltre ad imporre forti restrizioni sulla struttura dei dati, am-mette l’esistenza di una variabile latente unidimensionale. Per questi

322motivi, il modello di Rasch è stato esteso in varie direzioni, dando

luogo alla famiglia degli IRM (Hoijtink e Vollema, 2003; Raudenbush, Johnson e Sampson, 2003).

Tra i modelli algoritmici adatti per la costruzione di indicatori com-positi, si ricorda il PLS (Partial Least Squares), un approccio sviluppa-to originariamente per risolvere i problemi di stima delle variabili laten-ti nel contesto dei SEM (Wold, 1985; McDonald, 1996; Haenlein e Ka-plan, 2004). Quello certamente più noto ed utilizzato, anche perché im-plementato in numerosi programmi statistici, è però il modello di Ana-lisi delle Componenti Principali o ACP (Jolliffe, 2002). Se si ritiene importante che un buon indicatore composito sia in grado di distinguere nel modo più chiaro possibile tra i soggetti, l’ACP permette di determi-nare la combinazione di pesi che massimizza tale separazione; dal pun-to di vista statistico questo significa scegliere i pesi aj che - fissati gli indicatori semplici q - permettono di ottenere la massima varianza per ognuna delle p componenti di x (Bartholomew, 1996). L’ACP (si veda, ad esempio, Zani 2000, vol. II) è stata originariamente introdotta da Hotelling (1933) come metodo per trovare una soluzione al problema della riduzione di un insieme numeroso di variabili quantitative mante-nendone le caratteristiche rilevanti. Anche se l’ACP viene a volte con-siderata sostanzialmente strumentale all’analisi fattoriale (Fabbris, 1997; Russell, 2002; Thompson, 2004), negli ultimi anni le due impo-stazioni hanno assunto caratteristiche talmente peculiari da renderle profondamente diverse, soprattutto dal punto di vista concettuale (Fa-brigar et al., 1999). Nel tempo sono state proposte numerose varianti dell’ACP, sia nel caso classico di variabili quantitative (SCA-RV; Gal-lo, Amenta e D’Ambra, 2005) sia nel caso di variabili qualitative: si ri-cordano in particolare la multiple correspondence analysis (Lebart, 1975) e relative estensioni (D’Ambra e Lauro, 1989), il dual scaling (Nishisato, 1980) e la homogeneity analysis (Gifi, 1990). Quest’ultimo approccio, in cui si inseriscono diverse tecniche di optimal scaling sin-tetizzate nel cosiddetto Gifi System sviluppato dal Data Theory Group dell’Università olandese di Leiden, distingue tra ACP lineare (ACP-L) e nonlineare (ACP-NL): ai fini della costruzione di indicatori compositi del tipo (1), la prima è adatta quando le variabili osservate sono nume-riche, mentre la seconda è appropriata quando queste sono ordinali (Meulman, van der Kooij e Heiser, 2004). Infatti, mentre l’ACP-L permette di determinare solo i pesi ottimali, l’ACP-NL determina anche

323delle quantificazioni ottimali da attribuire alle categorie ordinate tramite le quali sono rilevate le risposte.

Quale sia la migliore tra le due impostazioni di analisi dei dati ri-conducibili ai modelli stocastici o algoritmici è ancora argomento di di-scussione in letteratura e probabilmente si tratta di uno dei tanti temi irrisolvibili della statistica: alcuni autori hanno osservato come l’unico cambiamento avutosi in trenta anni di dibattito sia stato l’accentuarsi dell’animosità della discussione (Gorsuch, 2003). Evidentemente, en-trambi gli approcci offrono vantaggi e svantaggi e quindi, anche se so-no a volte contrapposti (Suhr, 2005), i sostenitori o i detrattori dell’uno o dell’altro hanno sempre avuto la possibilità di utilizzare nelle loro di-scussioni argomentazioni appropriate. Si può comunque tentare di sin-tetizzare l’ampio dibattito affermando che se lo scopo principale dell’analisi è l’identificazione di un insieme di variabili latenti e lo stu-dio delle loro relazioni, è naturale ricorrere ad un modello stocastico come il SEM anziché ad un modello algoritmico come l’ACP; quest’ultima è invece più appropriata quando il principale obiettivo è la riduzione di dimensionalità dei dati, ad esempio al fine della costruzio-ne di indicatori compositi (Fabrigar et al., 1999; Russell, 2002). L’impiego dei modelli algoritmici è poi suggerito anche nelle situazioni in cui non si vogliono imporre ipotesi forti sui dati, cosa che invece av-viene di solito con i modelli stocastici (Young, 1981).

In ultima analisi, anche la scelta di un modello è sostanzialmente soggettiva e dipende dal tipo di approccio alla ricerca adottato, dagli obiettivi che ci si propone di raggiungere con l’analisi e dal tipo di dati raccolti o disponibili. Comunque, è importante sottolineare che, sotto determinate condizioni, le due impostazioni portano a risultati compa-rabili: in particolare, quando il numero di variabili osservate è abba-stanza elevato in rapporto al numero di variabili latenti che si suppone esistano, le differenze tra i risultati ottenuti impiegando i due tipi di modello sono trascurabili (Thompson, 2004; Fabrigar et al., 1999; Fava e Velicer, 1992).

3245.5 Tecniche di analisi delle componenti principali

Come si è detto nel paragrafo precedente, il problema della costruzione di indicatori compositi soggettivi può essere convenientemente affron-tato mediante l’uso delle tecniche di ACP. In questo paragrafo si consi-dera l’ACP da tre diversi punti di vista: la procedura di costruzione de-gli indicatori nella versione lineare (ACP-L) e nonlineare (ACP-NL) (sezione 5.1); la valutazione dell’ottimalità degli indicatori ottenuti me-diante l’impiego di alcuni indici di bontà di adattamento della soluzione ai dati (sezione 5.2); l’analisi della struttura di nonlinearità presente nei dati (sezione 5.3). 5.5.1 Costruzione degli indicatori compositi Si considera il caso in cui su n soggetti si rilevano m variabili ordinali le cui categorie sono contenute nei vettori cj' = (1, 2,…, kj), j = 1, 2,…, m. H è la matrice n×m dei dati, la cui j-ma colonna hj rap-presenta il risultato della rilevazione sugli n soggetti della j-ma variabi-le. Gj è la matrice di selezione binaria n×kj tale che hj = Gjcj (Gifi, 1990); per definire l’indicatore composito p-dimensionale che sintetiz-za gli m indicatori semplici, si introducono le funzioni γ j e φ j = Gjγ j, che rappresentano le trasformazioni dei vettori cj e hj tali che:

jjjjjjjj yGcGhq === )()( γφ

con qj e yj vettori delle quantificazioni dei dati e delle categorie. La versione “con i dati” dell’indicatore composito p-dimensionale

definito nella (1) del paragrafo 3 è quindi fornita dalla matrice pn× degli object score:

∑∑ ′=′=j jjjj jj ayGaqX (2)

il cui generico elemento di riga i e colonna s rappresenta l’indicatore composito per il soggetto i relativo alla dimensione s.

Pertanto, gli elementi che intervengono nella definizione degli indi-catori sono due: le variabili trasformate e i pesi, in questo contesto noti

325anche come component loading o semplicemente loading. Nell’ACP-L le categorie sono considerate numeriche e le quantifica-zioni sono di solito ottenute tramite la trasformazione lineare (L) opera-ta dalla procedura di standardizzazione:

LjjjLjj

jjj

jjjj

jLjLj ms

ms

,,

,,

)(

)(1

)(1

)(

yGcG

cGhhq

==

=

−⋅=−⋅==

γ

φ

dove )( jj mediam h= e =js sqm( jh ).

In questo caso, il problema dell’individuazione degli indicatori si ri-solve quindi con la determinazione dei soli pesi ottimali ja . Di contro,

nell’ambito dell’ACP-NL la definizione degli indicatori compositi ne-cessita della determinazione non solo dei pesi, ma anche delle variabili trasformate. Infatti, nell’ACP-NL le categorie sono considerate ordinali o nominali e le quantificazioni sono il risultato di una trasformazione nonlineare (NL):

NLjjjNLjjjNLjNLj ,,,, )()( yGcGhq === γφ .

Le funzioni NLj ,γ e NLj ,φ possono assumere forme diverse, a secon-

da delle informazioni contenute nelle variabili originarie che si intende mantenere nelle variabili trasformate. Qualunque sia la forma di tali funzioni, esse assegnano valori numerici ottimali (le quantificazioni) alle categorie delle variabili originarie e consentono pertanto di tra-sformare le variabili categoriali in variabili quantitative.

Gli indicatori compositi soggettivi si ottengono mediante le tecniche di ACP come soluzione di un problema di ottimizzazione. Se si indica con Sq(·) l’operatore somma dei quadrati di tutti gli elementi di una matrice o di un vettore, la soluzione dell’ACP-L è ottenuta attraverso la minimizzazione rispetto a X e ja della seguente funzione di perdita:

)()( ,,,, ∑∑ ′−=′−=j LjLjjLj LjLjLL SqSq ayGXaqXσ .

326Il problema si risolve determinando quindi i valori ottimali LX

e Lj ,a . Nel caso dell’ACP-NL la funzione da minimizzare è invece:

)()( ,,,, ∑∑ ′−=′−=j NLjNLjjNLj NLjNLjNLNL SqSq ayGXaqXσ

e il problema consiste nel determinare non solo i valori ottimali NLX ,

NLj ,a , ma anche le quantificazioni ottimali NLj ,y . In entrambi i casi si

tratta di un problema di optimal scaling vincolato, in quanto per evitare soluzioni banali si impongono alcuni vincoli di ortonormalizzazione (Gifi, 1990). Si noti che l’ACP-NL è un approccio più generale dell’ACP-L, in quanto nella funzione di perdita NLσ una o più variabili

potrebbero essere sottoposte ad una trasformazione lineare; nel caso li-mite in cui si adotti tale trasformazione per tutte le m variabili,

NLσ = Lσ e la soluzione di ACP-NL coincide con quella di ACP-L.

E’ possibile calcolare i valori di X e aj che minimizzano Lσ attra-verso un algoritmo iterativo chiamato Alternating Least Squares (ALS), che calcola i valori ottimali di X (tenendo fisso aj) e di aj (te-nendo fisso X). Il procedimento iterativo continua fino al raggiungi-mento della convergenza (Daugavet, 1968). Il medesimo algoritmo è stato esteso al caso nonlineare: la minimizzazione di NLσ prevede un

loop ALS interno affinché, in sede di determinazione degli aj, vengano individuati anche i valori ottimali di yj.

Si noti che la soluzione ALS della minimizzazione di Lσ , in virtù del teorema di Eckart-Young (Eckart e Young, 1936), coincide con la soluzione fornita dall’usuale metodologia di ACP-L, che prevede la de-composizione a valori singolari dalla matrice dei dati standardizzati o, equivalentemente, la decomposizione in autovalori e autovettori della matrice di correlazione (Jolliffe, 2002).

Focalizzando l’attenzione sulle trasformazioni coinvolte nell’ACP-NL, va detto che nel processo di optimal scaling è possibile scegliere, separatamente per ciascuna variabile, tra diversi scaling level (tipi di trasformazione). La trasformazione di variabili ordinali avviene usual-mente adottando funzioni monotone non decrescenti, che mantengono nelle variabili trasformate l’ordine delle categorie originarie. Nell’ACP-NL si possono adottare trasformazioni monotone dei minimi quadrati (Kruskal, 1964.a-b; Barlow et al., 1972) e di tipo spline (Ram-

327say, 1988; Gallo e Lombardo, 2001; Lombardo, 2004) le quali, ri-spetto alle prime, richiedono la stima di un numero inferiore di parame-tri. 5.5.2 Valutazione della bontà di adattamento L’ottimalità degli indicatori compositi ottenuti con l’ACP è di tipo rela-tivo, legata alla minimizzazione della funzione di perdita coinvolta nel processo e al dataset a disposizione. Tale proprietà può essere espressa in vari modi, tutti connessi alla quota di varianza totale spiegata dagli indicatori (Gifi, 1990; Zani, 2000, vol. II).

La valutazione della bontà degli indicatori ricavati con ACP-L o ACP-NL si fonda sullo studio degli autovalori della matrice di correla-zione delle variabili trasformate. È possibile esaminare la bontà di adat-tamento della soluzione facendo riferimento alla varianza spiegata dal-la dimensione s, sV (pari all’autovalore associato a tale dimensione) ed

alla varianza spiegata dalla soluzione p-dimensionale:

∑ ≤=

ps sVV

che rappresenta quindi l’indice di bontà di adattamento globale della soluzione. Per mp = la somma degli autovalori è pari a m e rappresen-ta la varianza totale. Pertanto, la percentuale di varianza spiegata dalla dimensione s è la seguente:

100)( ⋅= mVPV ss s = 1, 2,…, p . (3)

Analogamente, è possibile calcolare la percentuale di varianza spiegata che offre un’indicazione della bontà della soluzione p-dimensionale:

100)( ⋅= mVPV . (4)

Un altro indice utile per valutare la bontà di adattamento della solu-zione di ACP è l’alpha di Cronbach (Cronbach, 1951). Si tratta di un indice classico di item analysis, basato sulla correlazione intra-item, ed è probabilmente il più diffuso nella ricerca dedicata alla costruzione di scale unidimensionali per misurarne la coerenza interna (Cortina, 1993;

328Streiner, 2003). L’impiego dell’alpha di Cronbach è stato introdot-

to nel contesto dell’ACP-NL in virtù della seguente relazione, che lega tale indice ( 1α ) alla varianza spiegata dalla dimensione 1 (Heiser e Meulman, 1994):

( )

( ) 1

11 1

1

Vm

Vm

−−=α .

Questa formula può essere estesa all’ambito multivariato conside-rando V anziché 1V e definendo l’indice alpha generalizzato (Linting et al., 2005):

( )

( )Vm

Vm

1

1

−−=α . (5)

Poiché tale relazione è monotona crescente e l’ACP-NL p-dimensionale massimizza V (Meulman, van der Kooij e Heiser, 2004), segue che l’ACP-NL massimizza α . L’indice (5) può quindi es-sere impiegato come indice globale di bontà di adattamento della solu-zione p-dimensionale di ACP-NL e anche di ACP-L, tenendo sempre presente che le soluzioni di ACP-L sono nested (le prime s componenti di una soluzione p-dimensionale sono identiche alle s componenti di una soluzione s-dimensionale), mentre le soluzioni di ACP-NL sono non-nested. 5.5.3 Analisi di nonlinearità Quando si desidera incorporare nell’ACP-NL la struttura di nonlineari-tà presente nei dati, le variabili ordinali originarie vengono quantificate secondo trasformazioni nonlineari. Tuttavia, non sempre l’impiego di trasformazioni nonlineari si rivela necessario; talvolta, infatti, le tra-sformazioni lineari sono in grado di cogliere adeguatamente la struttura delle relazioni esistenti tra le variabili e tra esse e i soggetti: in questi casi, l’approccio lineare, più semplice e parsimonioso, è da preferire.

Per valutare l’opportunità di ricorrere all’approccio nonlineare bi-sogna analizzare la struttura di nonlinearità presente nei dati a disposi-zione. Un primo modo di procedere è basato sul confronto tra gli indici di bontà di adattamento della soluzione di ACP-NL e di ACP-L. Tutta-

329via, essi non sempre riescono a rivelare l’opportunità di ricorrere a trasformazioni nonlineari, perché danno indicazioni sulla bontà di adat-tamento della soluzione ad un livello globale e non per ogni singola va-riabile. Per ovviare a questa mancanza, al fine di misurare il grado di nonlinearità associato a ciascuna variabile sono stati proposti gli indici NL (Manisera, 2005). Tali indici misurano la nonlinearità di ciascuna variabile in termini di allontanamento dalla situazione di linearità: poi-ché nel presente contesto si opera con variabili e trasformazioni ordina-li, la nonlinearità è determinata solamente dalla presenza di categorie non equidistanti (Gifi, 1990). Per valutare l’allontanamento dall’ipotesi di equidistanza si può utilizzare un indice appartenente alla famiglia degli indici di distanza (Zani, 2000, vol. I), che nel caso in esame per-mette di misurare la discrepanza tra le trasformazioni lineare e nonline-are per ogni variabile:

)()'( ,,,,1

LjNLjjLjNLjj n yyDyy −−= −δ mj ,...,2,1=

dove jjj GGD ′= è la matrice diagonale jj kk × contenente le frequen-

ze della variabile j. Si può dimostrare che )1(2 jj ρδ −= , dove jρ è il

coefficiente di correlazione lineare tra NLj ,y e Lj ,y . Poiché vale

10 ≤≤ jρ (le trasformazioni L e NL sono entrambe non decrescenti), il

valore massimo teorico di jδ è pari a 2 ed è possibile definire i seguen-

ti indici di nonlinearità normalizzati:

2jjNL δ= mj ,...,2,1= (6)

con 10 ≤≤ jNL . Evidentemente, jNL assume il suo valore minimo

quando LjNLj ,, yy = e raggiunge invece il suo massimo quando è mas-

sima la discrepanza tra le due trasformazioni. Di conseguenza, valori più elevati dell’indice caratterizzano le variabili le cui trasformazioni ordinali mostrano una nonlinearità “più forte”, ovvero le cui categorie originarie non sono equispaziate.

Utilizzando gli indici NL ottenuti per ognuna delle m variabili è immediato calcolare l’indice medio di nonlinearità:

mNLLNj j∑= (7)

330Poiché 10 ≤≤ jNL si ha anche 10 ≤≤ LN . LN misura la non-

linearità da un punto di vista globale, considerando cioè tutte le m va-riabili simultaneamente. L’esame congiunto degli m indici elementari nella (6) e dell’indice medio nella (7) offre un quadro completo delle nonlinearità che caratterizzano le variabili considerate.

5.6 Applicazione In questo paragrafo sono analizzati tre particolari aspetti soggettivi del-la qualità del lavoro nel settore dei SPPU - motivazione, equità e soddi-sfazione - così come emergono dall’analisi dei dati raccolti in occasio-ne dell’indagine FIVOL-FEO 1998 che ha riguardato 2.063 lavoratori remunerati occupati in 228 organizzazioni di varia natura (pubbliche e private, for profit e nonprofit). Tali dati sono già stati analizzati da di-versi autori, con vari obiettivi e con diverse tecniche statistiche (Borza-ga, 2000; Borzaga e Musella, 2003; Carpita, 2003 e 2004; Brentari e Golia, 2005; Poli, 2005; Manisera, Dusseldorp e van der Kooij, 2005; Zuccolotto, 2005). Per gli scopi della presente analisi si considerano so-lo gli studi che hanno specifica attinenza alla costruzione di indicatori compositi soggettivi. Da questo punto di vista, Bragato (2000) analizza la motivazione come attitudine verso il lavoro, osservando che questa può essere ricondotta in tutto o in parte (i) ad una scelta obbligata lega-ta alle necessità personali, (ii ) ad una scelta libera legata agli ideali e (iii ) al sistema di conoscenze/relazioni personali. Al fine di far luce su tali dimensioni viene proposta un’analisi dei dati con 3 fattori e i risul-tati ottenuti sembrano conformi alle attese. Solari (2003) analizza inve-ce l’equità, evidenziando preliminarmente che questa può essere distin-ta dal punto di vista concettuale in equità distributiva (percezione di equilibrio tra ciò che il lavoratore dà e ciò che riceve) e in equità pro-cedurale (percezione dell’esistenza di un sistema di regole trasparenti che governa la relazione tra lavoratore e organizzazione). Per far emer-gere dai dati tali dimensioni, viene utilizzata l’ACP ruotata con 2 com-ponenti e i risultati ottenuti sono conformi alle attese. Dal punto di vista statistico, entrambi gli autori hanno come obiettivo quello di operare una sintesi delle risposte fornite al questionario al fine di poter appro-

331fondire i concetti di interesse. Carpita (2003) osserva che l’analisi di questi e altri importanti aspetti soggettivi della qualità del lavoro come la soddisfazione può essere condotta tramite l’ACP-NL, che per-mette la costruzione di opportuni indicatori compositi.

Partendo da tali premesse, in questo paragrafo si adotta una prospet-tiva diversa, che segue l’impostazione teorica di Borzaga e Musella (capitolo 5 della parte 1), secondo la quale la soddisfazione è conside-rata una conseguenza della motivazione e dell’equità. Si procede quindi assumendo tale ipotesi per i dati FIVOL-FEO 1998 e conducendo l’analisi attraverso le due fasi seguenti:

(1) costruzione di un indicatore composito bidimensionale da utilizzare come stima delle variabili latenti equità e motivazione; in questa fa-se si è svolta anche un’analisi della nonlinearità presente nei dati a disposizione, al fine di verificare se sia soddisfatta o meno l’usuale ipotesi di equidistanza tra le categorie di risposta;

(2) analisi grafica ed interpretazione dei risultati con riferimento alla tipologia organizzativa e alla relazione tra equità-motivazione e soddisfazione; anche la variabile latente della soddisfazione è stata stimata tramite un indicatore composito bidimensionale costruito con l’ACP-NL.

• Fase (1)

Con riferimento alla prima fase, si è voluto innanzitutto verificare se sia possibile individuare, tramite la procedura statistica dell’ACP-NL, i co-strutti latenti riferiti alla motivazione e all’equità percepita dai lavorato-ri. A tale scopo si sono elaborate simultaneamente le 23 risposte fornite dai 2.063 lavoratori su una scala con 7 categorie ordinate relative ai co-strutti motivazione (Motivazioni della scelta di lavorare per l’organizzazione, 10 item), equità procedurale (Ambiente di lavoro, 6 item) e distributiva (Trattamento ricevuto dall’organizzazione, 7 item). Gli item sono elencati nella Tabella 4.1.

332Tabella 5.1 – Quesiti e 23 item utilizzati per la costruzione degli in-

dicatori L’Ambiente di lavoro

Esprima quanto le seguenti affermazioni descrivono le caratteristiche dell’ambiente di lavoro dell’organizzazione in cui lavora:

valutazione su scala da 1 (per niente) a 7 (totalmente)

amb1. In questa organizzazione i lavoratori sono ricompensati in proporzione alla qualità e quantità dei risultati prodotti

amb2. In questa organizzazione ai lavoratori viene detto tutto ciò che devono sapere per svolgere al meglio la propria mansione

amb3. In questa organizzazione un dipendente che svolga bene il proprio lavoro ha buone prospettive di crescita professionale e carriera

amb4. I miei superiori sono molto attenti alle mie idee ed ai miei suggerimenti

amb5. In questa organizzazione ai lavoratori vengono date opportunità concrete di migliorare le proprie capacità

amb6. In questa organizzazione le promozioni sono decise in modo da aiutare le persone migliori a raggiungere le posizioni più elevate

Il Trattamento ricevuto dall’organizzazione

In che misura Lei si sente remunerato…

valutazione su scala da 1 (per niente) a 7 (totalmente)

tra1. …considerando le responsabilità che ha

tra2. …tenendo conto dell’addestramento e della formazione accumulata

tra3. …considerando l’esperienza acquisita

tra4. …considerando l’impegno

tra5. …considerando il lavoro ben svolto

tra6. …considerando gli stress e le tensioni che le derivano dal Suo lavoro

tra7. …considerando le disponibilità economiche dell’organizzazione

Le Motivazioni

Indichi quanto le seguenti motivazioni sono state importanti nel determinare la Sua scelta di lavorare per questa organizzazione:

valutazione su scala da 1 (non importante) a 7 (molto importante)

mot1. Mi interessava lavorare nel settore di attività in cui questa organizzazione opera

mot2. Conoscevo persone che già operavano nell’organizzazione

mot3. Conoscevo persone che beneficiavano dei servizi erogati dall’organizzazione

mot4. Condividevo il modo in cui questa organizzazione lavora a favore degli utenti

mot5. Il tipo di attività che mi è stata proposta dall’organizzazione era coerente con la mia formazione scolastica/professionale

mot6. Le condizioni di lavoro (orario, flessibilità, ecc.) offerte da questa organizzazione mi avrebbero permesso di conciliare l’attività lavorativa con impegni familiari ed interessi personali

mot7. Ero alla ricerca di un impiego e questa organizzazione è stata l’unica (o una delle poche) che mi ha offerto un posto di lavoro

mot8. Sono stato attratto dal trattamento economico e/o dalle concrete possibilità di avanzamento di carriera offerti da questa organizza-zione

mot9. Questa organizzazione mi ha offerto un posto di lavoro sicuro

mot10. Mi ha positivamente colpito l’elevato grado di coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni riguardanti l’organizzazione

La strategia seguita per pervenire alla costruzione dell’indicatore com-posito bidimensionale è descritta nei seguenti 5 step.

Step 1 – Applicazione dell’ACP-NL e analisi delle nonlinearità

333I 23 item riguardanti le attitudini dei lavoratori e le loro percezioni nei confronti dell’organizzazione in cui sono impiegati sono stati ana-lizzati con l’ACP-NL, scegliendo per ogni variabile la trasformazione di tipo ordinale. La Figura 2.a rappresenta la scomposizione bidimen-sionale ottenuta. La posizione dei loading nel piano è conforme alle at-tese, rispecchiando, di fatto, le teorie alla base della costruzione del questionario e i risultati ottenuti da altri autori (Bragato, 2000; Solari, 2003).

Figura 5.2 - Loading ACP-NL con (a) tutte le variabili ordinali e (b) va-riabili delle Motivazioni ordinali e variabili di Ambiente e Trattamento lineari.

La prima dimensione (asse orizzontale, 30% della varianza totale) è so-stanzialmente determinata dalle due componenti di equità: in particola-re, i loading relativi alla dimensione 1 delle variabili di Trattamento sono relativamente più elevati di quelli delle variabili di Ambiente. La seconda dimensione (asse verticale, 12% della varianza totale) è deter-minata per lo più dalle variabili relative alla motivazione che ha spinto i lavoratori a operare nelle organizzazioni. In realtà, anche alcune varia-bili delle Motivazioni concorrono a determinare la dimensione 1 con un peso non del tutto trascurabile. Tuttavia, poiché come sarà mostrato in seguito (step 5) è possibile associare la dimensione 1 all’EQUITÀ e la dimensione 2 alla MOTIVAZIONE , questa interpretazione delle due di-mensioni sarà impiegata da qui in avanti.

Per quanto riguarda l’equidistanza, le quantificazioni delle categorie di risposta ottenute per le variabili di Ambiente e Trattamento sono tutte sostanzialmente lineari, mentre le variabili delle Motivazioni sono chia-

(b) (a)

-0,4

-0,2

0

0,2

0,4

0,6

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

-0,4

-0,2

0

0,2

0,4

0,6

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

334ramente nonlineari e, generalmente, solo le prime categorie si di-

stinguono dalle altre. Questo appare evidente nella Figura 3 che presen-ta, per ognuno dei 23 item a disposizione, il confronto tra le trasforma-zioni lineare (asse orizzontale) e ordinale (asse verticale).

Figura 5.3 – Trasformazioni di ACP-NL lineare (asse x) e ordinale (asse y) per i 23 item

-3

-2

-1

0

1

2

3

-3 -2 -1 0 1 2 3

-3

-2

-1

0

1

2

3

-3 -2 -1 0 1 2 3

-3

-2

-1

0

1

2

3

-3 -2 -1 0 1 2 3-3

-2

-1

0

1

2

3

-3 -2 -1 0 1 2 3

-3

-2

-1

0

1

2

3

-3 -2 -1 0 1 2 3

-3

-2

-1

0

1

2

3

-3 -2 -1 0 1 2 3

-2

-1

0

1

2

-2 -1 0 1 2-2

-1

0

1

2

-2 -1 0 1 2

-2

-1

0

1

2

-2 -1 0 1 2-2

-1

0

1

2

-2 -1 0 1 2-2

-1

0

1

2

-2 -1 0 1 2

-2

-1

0

1

2

-2 -1 0 1 2

-2

-1

0

1

2

-2 -1 0 1 2

-3

-2

-1

0

1

-3 -2 -1 0 1-3

-2

-1

0

1

-3 -2 -1 0 1-3

-2

-1

0

1

-3 -2 -1 0 1-3

-2

-1

0

1

-3 -2 -1 0 1 2

-1

0

1

2

3

-1 0 1 2 3

-3

-2

-1

0

1

-3 -2 -1 0 1

-2

-1

0

1

2

-2 -1 0 1 2

-1

0

1

2

3

-1 0 1 2 3

-3

-2

-1

0

1

-3 -2 -1 0 1-2

-1

0

1

2

-2 -1 0 1 2

amb1 amb2 amb3 amb4

amb5 amb6 tra1 tra2

tra3 tra4 tra5 tra6

tra7 mot1 mot2 mot3

mot4 mot5 mot6 mot7

mot8 mot9 mot10

335

Oltre che graficamente, l’analisi può essere condotta utilizzando gli in-dici NLj, definiti nella (6) della sezione 5.3. Tali indici, impiegati per valutare l’allontanamento dall’usuale ipotesi di equidistanza tra le cate-gorie, mantenendo il vincolo dell’ordinamento delle stesse, evidenziano come gli item delle Motivazioni, a differenza di quelli di Ambiente e Trattamento, non soddisfino tale condizione (Figura 5.4).

Figura 5.4 – Valori degli indici NLj% per ognuno dei 23 item utilizzati

Gli indici medi di nonlinearità LN (definiti nella (7) della sezione 5.3) confermano tale conclusione, risultando pari a 0,72% con riferimento alle 13 variabili di Ambiente e Trattamento e 17,60% per le 10 variabili delle Motivazioni. Tali risultati suggeriscono quindi di quantificare le variabili delle Motivazioni usando una trasformazione ordinale e di trat-tare invece come lineari le variabili di Ambiente e Trattamento. Nella nuova soluzione di ACP-NL così ottenuta i due gruppi di variabili (rife-riti rispettivamente ad EQUITÀ e MOTIVAZIONE) risultano, rispetto alla precedente soluzione, ugualmente separati (Figura 2.b) e la perdita dell’adattamento è del tutto irrilevante: le due dimensioni spiegano ri-spettivamente il 29,8% e il 12% della varianza totale. Sulla base di que-sti risultati, si ritiene pertanto che sia preferibile quest’ultima soluzione di ACP-NL, dal momento che le trasformazioni lineari sono più sem-plici e parsimoniose di quelle nonlineari.

0 5 10 15 20 25 30

amb3amb4amb6amb1amb5amb2

tra5tra4tra3tra6tra1tra2tra7

mot2mot8mo10mot3mot7mot5mot4mot6mot9mot1 NL %

336Step 2 – Confronto tra ACP-NL e ACP-L sul dataset originario

Si è voluto quindi confrontare le due soluzioni dell’ACP-NL e dell’ACP-L, per verificare il peso delle nonlinearità riscontrate nelle variabili delle Motivazioni sulla soluzione. I risultati di tale confronto sono riportati nella Tabella 5.2 e nella Figura 5.5.

Innanzitutto sono stati esaminati gli indici di bontà dell’adattamento della soluzione ai dati (Tabella 2): sono state considerate le percentuali di varianza spiegata dalle due dimensioni (1PV e 2PV , definite nella (3) della sezione 5.2) e dalla soluzione globalmente considerata (PV, defi-nita nella (4) della sezione 5.2) e l’indice alpha generalizzato (definito nella (5) della sezione 5.2). Tabella 5.2 – Confronto tra ACP-NL e ACP-L

ACP-NL ACP-L

1PV 29,8 30,4

2PV 12,0 9,8

PV 41,8 40,1

α 0,937 0,932

1ρ 0,993

2ρ 0,756

Come nelle attese, l’adattamento della soluzione di ACP-NL è migliore rispetto all’ACP-L: le trasformazioni lineari che consentono di ottenere l’ACP-L sono le più restrittive, e quindi sono associate ad una minore bontà dell’adattamento. Ma le differenze sono minime: le due soluzioni sono sostanzialmente uguali per quanto riguarda la dimensione 1, men-tre le differenze registrate nella dimensione 2 sono del tutto trascurabili, anche considerando che la prima dimensione cattura in entrambe le so-luzioni la gran parte della varianza spiegata a livello globale. I coeffi-cienti di correlazione lineare 1ρ e 2ρ tra gli object score delle due so-luzioni (ACP-L e ACP-NL) per ognuna delle due dimensioni risultano elevati (specialmente con riferimento alla dimensione 1).

Infine, nella Figura 4.5 si confrontano i loading ottenuti con l’ACP-L e l’ACP-NL.

337

Figura 5.5 – Loading di ACP-NL (asse x) e ACP-L (asse y) Si evidenzia come non ci siano differenze sostanziali tra i pesi della dimensione 1 ottenuti con le due procedure. Le differenze diventano invece di una certa entità quando si considera la dimensione 2. Esse so-no dovute al trattamento nonlineare riservato alle variabili delle Moti-vazioni, dal momento che le variabili di Ambiente e Trattamento sono state trasformate linearmente. Step 3 – Ricodifica delle variabili delle Motivazioni

Al fine di comprendere meglio i motivi delle differenze emerse nello step precedente, si è proceduto ad approfondire le nonlinearità riscon-trate nelle variabili delle Motivazioni. Le trasformazioni corrispondenti, rappresentate nella precedente Figura 4.3, mostrano numerose quantifi-cazioni identiche assegnate a categorie diverse: sulla base dei dati ana-lizzati, tali categorie non sono distinguibili. Inoltre, esse sono spesso associate a frequenze piuttosto basse.

Queste considerazioni hanno suggerito di accorpare tali categorie secondo lo schema riportato nella Tabella 3. La ricodifica non influisce sulla bontà di adattamento della soluzione e, inoltre, migliora notevol-mente la stabilità dei risultati dell’ACP-NL, come verificato in alcuni recenti studi (Carpita, 2003; Linting, Groenen e van der Kooij, 2005; Manisera, 2005), in cui la tecnica bootstrap è stata applicata al fine di studiare la stabilità dell’ACP-NL, che, essendo una tecnica di tipo e-splorativo, dà luogo a risultati validi solo per il dataset analizzato e non estendibili senza un accurato studio di stabilità (Michailidis e de Le-euw, 1998).

dimensione 1 dimensione 2

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1 -0,4

-0,3

-0,2

-0,1

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

-0,4 -0,3 -0,2 -0,1 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6

Ambiente

Trattamento

Motivazioni

338

Tabella 5.3 – Schema di accorpamento, numero di categorie post-ricodifica, indici NL% prima e dopo la ricodifica delle va-riabili delle Motivazioni

variabili schema di accorpamento

delle categorie

n.categorie post-

ricodifica

indici NL% pre-

ricodifica

indici NL% post-

ricodifica mot1 1 2 3 4 5 6 7 2 25,99 - mot2 1 2 3 4 5 6 7 4 9,11 4,72 mot3 1 2 3 4 5 6 7 4 14,34 5,49 mot4 1 2 3 4 5 6 7 3 20,14 0,00 mot5 1 2 3 4 5 6 7 2 19,65 - mot6 1 2 3 4 5 6 7 3 21,72 2,20 mot7 1 2 3 4 5 6 7 2 18,55 - mot8 1 2 3 4 5 6 7 6 10,00 5,28 mot9 1 2 3 4 5 6 7 2 23,11 - mot10 1 2 3 4 5 6 7 5 13,44 11,31

La ricodifica ha avuto invece effetto sulla nonlinearità delle variabili oggetto di interesse, come evidenziato nelle ultime due colonne della Tabella 5.3. Per le 4 variabili che sono state rese binarie (mot1, mot5, mot7 e mot9) non ha più senso parlare di nonlinearità poiché qualsiasi trasformazione applicabile a due categorie è necessariamente lineare. Per le rimanenti 6 variabili delle Motivazioni, appare evidente come la nonlinearità si sia considerevolmente ridotta in seguito alla ricodifica, fatta eccezione per la variabile mot10. Diviene pertanto interessante procedere con il confronto tra ACP-NL e ACP-L sul dataset ricodifica-to, al fine di valutare se la riduzione di nonlinearità sia effettivamente accompagnata dal ravvicinamento delle due soluzioni. Step 4 – Confronto tra ACP-NL e ACP-L sul dataset ricodificato

Al fine di valutare l’opportunità di ricorrere all’approccio nonlineare anche per analizzare il nuovo dataset con le variabili delle Motivazioni ricodificate, le due tecniche di ACP sono state nuovamente messe a confronto imponendo, nel caso dell’ACP-NL, la trasformazione lineare alle variabili di Ambiente e Trattamento e la trasformazione ordinale alle variabili delle Motivazioni. I risultati, riportati nella Tabella 4, evi-denziano come le due soluzioni siano sostanzialmente analoghe. In par-

339ticolare, rispetto a quanto accade nel dataset originario, si nota un ravvicinamento dei risultati relativi alla dimensione 2. Questo è visibile non solo dal confronto dei valori di 2PV e soprattutto di 2ρ , ma anche dalla rappresentazione dei loading (Figura 4.6). Tabella 5.4 – Confronto tra ACP-NL e ACP-L con riferimento al data-set ricodificato

ACP-NL ACP-L

1PV 29,6 29,9

2PV 12,2 11,3

PV 41,8 41,2

α 0,937 0,935

1ρ 0,999

2ρ 0,979

Figura 5.6 – Loading di ACP-NL (asse x) e ACP-L (asse y) per il data-set ricodificato La Figura 5.7 mostra la posizione nel piano EQUITÀ-MOTIVAZIONE dei lavoratori raggruppati secondo le cinque modalità della variabile For-ma giuridica dell’organizzazione presso la quale sono impiegati2: non-profit laica (NPL), nonprofit religiosa (NPR), for profit (FP), ente pub- 2 Ciascun punto rappresenta il centroide associato ad un gruppo di lavoratori ed ha coordinate pari alle medie dei corrispondenti object score.

dimensione 1 dimensione 2

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1 -0,4

-0,3

-0,2

-0,1

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

-0,4 -0,3 -0,2 -0,1 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6

Ambiente

Trattamento

Motivazioni

340blico (EP), cooperativa sociale (CS). Si ha un’ulteriore conferma

del fatto che le due soluzioni conducono a risultati che si discostano per quanto riguarda la dimensione 2 quando si considera il dataset origina-rio (Figura 5.7.a) e sono invece del tutto simili quando si opera con il dataset ottenuto ricodificando le variabili delle Motivazioni (Figura 5.7.b).

Figura 5.7 – Centroidi nel piano EQUITÀ (asse x) e MOTIVAZIONE (asse

y) dei gruppi di lavoratori distinti per forma giuridica dell’organizzazione, ottenuti con ACP-L e ACP-NL, nel da-taset originario (a) e nel dataset ricodificato (b)

È importante sottolineare che ACP-L e ACP-NL portano a interpreta-zioni diverse quando si fa riferimento al dataset originario: in particola-re, la motivazione che caratterizza i lavoratori impiegati nelle organiz-zazioni FP, ma soprattutto NPL e NPR, risulta diversa se valutata con una soluzione o con l’altra. Infatti, considerando la soluzione lineare, i lavoratori degli EP sembrano più motivati, quelli delle CS e NPR meno motivati, mentre i lavoratori di FP e NPL si collocano su livelli di mo-tivazione medi. Secondo la soluzione nonlineare, invece, i lavoratori più motivati sono quelli impiegati nelle NPL e NPR, mentre i lavoratori meno motivati sono impiegati nelle FP. L’interpretazione della posizio-ne dei gruppi è invece analoga se si considera il dataset ricodificato. In particolare, si ha un ravvicinamento dell’ACP-L all’ACP-NL.

In conclusione, quando si opera con il dataset ottenuto ricodifican-do le variabili delle Motivazioni, l’approccio lineare conduce a risultati

ACP-NL

ACP-L

(a) (b)

-0,2

0,2

-0,6 0,6

EP

FP

NPNPR

CS

-0,2

0,2

-0,6 0,6

EP

FP

NPL

NPR

CS EP - ente pubblico FP - for profit NPL - nonprofit laica CS - cooperativa sociale

NPR - nonprofit religiosa

341sostanzialmente analoghi a quelli ottenuti con l’approccio nonlinea-re. L’impiego dell’ACP-L nel dataset ricodificato appare pertanto ap-propriato, ma a tale conclusione è possibile giungere solo dopo un’accurata analisi delle nonlinearità presenti nei dati.

La Figura 5.7.b è utile anche al fine di esaminare la relazione tra EQUITÀ-MOTIVAZIONE e tipo di organizzazione, obiettivo che viene ap-profondito nella fase (2) dell’applicazione. Per il momento è sufficiente osservare che i lavoratori impiegati nelle NPR e nelle CS percepiscono una maggiore EQUITÀ rispetto ai lavoratori impiegati negli EP; inoltre, i lavoratori delle FP mostrano una minor livello di MOTIVAZIONE , mentre quelli delle NPL e NPR sono i più motivati.

Step 5 – Costruzione degli indicatori compositi soggettivi

Sulla base dell’analisi svolta, si intende ora valutare l’impiego degli in-dicatori compositi soggettivi come stime delle due variabili latenti equi-tà e motivazione, le quali descrivono due importanti aspetti della qualità del lavoro. I risultati ottenuti nello step precedente suggeriscono di op-tare per la soluzione fornita dall’ACP-NL bidimensionale in cui le va-riabili di Ambiente e Trattamento sono trasformate linearmente, mentre le variabili delle Motivazioni ricodificate sono trasformate secondo lo scaling level di tipo ordinale, per tenere conto delle lievi nonlinearità che caratterizzano tali variabili anche dopo la ricodifica. Tale soluzione di ACP-NL fornisce sia le quantificazioni sia i pesi necessari per calco-lare l’indicatore composito nella (1) del paragrafo 3, che qui è detto di tipo A, dal momento che è possibile determinarlo anche in altri modi.

Un primo metodo alternativo prevede di costruire l’indicatore di equità-motivazione assegnando ciascuna variabile soltanto alla dimen-sione a cui è associato il corrispondente loading più elevato. Per ogni dimensione, l’indicatore composito - che viene detto di tipo B - è quin-di dato dalla somma semplice (non ponderata) delle quantificazioni as-sociate a tali variabili. Alternativamente, l’indicatore può essere calco-lato come nel caso precedente, ma considerando la sommatoria ponde-rata dei valori delle variabili trasformate, con pesi pari ai loading; l’indicatore così ottenuto viene detto di tipo C. Infine, si possono calco-lare due indicatori compositi unidimensionali ( p = 1 nella (1) del para-grafo 3), elaborando con l’ACP-NL separatamente le 13 variabili di e-quità (Ambiente e Trattamento) trasformate linearmente e le 10 variabili

342delle Motivazioni trasformate secondo lo scaling level ordinale; tali

indicatori sono detti di tipo D. Si noti che con l’indicatore di tipo A si assume che le risposte forni-

te dai lavoratori ai 23 item previsti nel questionario contengano infor-mazioni riguardo a entrambi questi aspetti di qualità del lavoro. Al con-trario, gli indicatori di tipo B, C e D derivano dall’idea di separare gli item che si suppone siano associati ai due costrutti latenti.

La Tabella 4.6 mostra i coefficienti di correlazione lineare tra gli indicatori ottenuti con i quattro metodi precedentemente descritti. Essi sono elevati quando il confronto è tra indicatori relativi allo stesso con-cetto: con riferimento all’equità, il coefficiente più basso è pari a 0,981 e il più elevato è pari a 1; per quanto riguarda l’indicatore di motivazio-ne, il coefficiente di correlazione tra i diversi indicatori varia tra 0,85 e 0,997. Si osserva quindi che il metodo di costruzione degli indicatori non influisce sensibilmente sulle correlazioni.

Il coefficiente di correlazione tra indicatori di equità e motivazione è pari a zero solo per i due di tipo A, poiché in questo caso essi sono gli object score ortogonali della soluzione di ACP-NL bidimensionale. Negli altri tre casi, si rileva una certa correlazione positiva tra indicatori ottenuti con lo stesso metodo, che assume valore massimo pari a 0,299. Comunque, quest’aspetto è rilevabile anche nella soluzione bidimen-sionale dell’ACP-NL. Infatti, la precedente Figura 4.2.b evidenzia chia-ramente come i vettori dei due gruppi di variabili, pur essendo separati, non presentino tra loro un angolo di 90°.

343Tabella 5.6 – Correlazioni lineari tra 4 diversi indicatori di equità e

motivazione *

EQUITÀ MOTIVAZIONE

Tipo A B C D A B C D

EQ

UIT

À

A 1,000 0,980 0,981 0,981 0,000 0,430 0,479 0,433

B 1,000 0,998 0,998 -0,176 0,255 0,304 0,256

C 1,000 1,000 -0,188 0,251 0,299 0,253

D 1,000 -0,191 0,250 0,297 0,251

MO

TIV

AZ

ION

E A 1,000 0,887 0,850 0,888

B 1,000 0,976 0,997

C 1,000 0,984

D 1,000

* Tipo A : object score della soluzione bidimensionale di ACP-NL B : somma non ponderata delle sole variabili della dimensione di riferimento C : somma ponderata con loading delle sole variabili della dim. di riferimento D : object score della soluzione unidimensionale di ACP-NL Pertanto, si ritiene giustificabile costruire gli indicatori soggettivi degli intervistati ricorrendo alla soluzione bidimensionale di ACP-NL (Tipo A); ciascuna dimensione può essere interpretata come sintesi, rispetti-vamente, dell’EQUITÀ percepita dai lavoratori e della MOTIVAZIONE che li ha spinti a lavorare presso la loro organizzazione. L’analisi oggetto della fase (2) sarà incentrata proprio su tale interpretazione del piano.

• Fase (2)

Una volta individuata la soluzione migliore per costruire gli indicatori, si è proceduto con la seconda fase dell’applicazione, volta all’analisi grafica e all’interpretazione dei risultati con riferimento alla tipologia organizzativa e alla relazione tra equità-motivazione e soddisfazione.

L’esame della relazione tra EQUITÀ-MOTIVAZIONE e Forma giuridi-ca dell’organizzazione, svolto nello step 4 (Figura 5.7.b), ha evidenzia-to alcune diversità nell’equità e nelle motivazioni che caratterizzano i lavoratori delle diverse organizzazioni. Inoltre, a parità di forma giuri-dica, esistono alcune differenze a seconda del Tipo di servizio erogato (assistenziale/tutelare, infermieristico/riabilitativo, educativo, culturale, ricreativo, orientamento scolastico/al lavoro, inserimento lavorativo, al-

344tro). Al fine di cogliere tali differenze è stata costruita la variabile

Tipo di organizzazione incrociando la Forma giuridica con il Tipo di servizio erogato dall’organizzazione. Tale operazione ha generato 26 gruppi, corrispondenti alle combinazioni di modalità delle due variabili associate a frequenze non nulle. I gruppi risultanti sono rappresentati nella Figura 5.8.

La Figura 5.8.a mette in evidenza che, anche considerando i diversi tipi di servizio erogato, le cooperative sociali si collocano su livelli di EQUITÀ mediamente più elevati rispetto alle altre organizzazioni, men-tre accade il contrario per gli enti pubblici. I lavoratori occupati in or-ganizzazioni nonprofit laiche manifestano in genere una MOTIVAZIONE più forte rispetto agli altri. Non si notano differenze di rilievo, invece, per quanto riguarda l’equità percepita e la motivazione tra le organizza-zioni che offrono lo stesso tipo di servizio erogato (Figura 4.8.b).

Figura 5.8 – Centroidi nel piano EQUITÀ-MOTIVAZIONE riferiti a 26

gruppi di lavoratori distinti per Tipo di organizzazione, rap-presentati per Forma giuridica (a) e Tipo di servizio erogato (b)

Le differenze che si osservano tra organizzazioni che presentano la me-desima forma giuridica a seconda del tipo di servizio erogato emergono dalla Figura 5.9.a, riferita, per esigenze di sintesi, agli enti pubblici e alle cooperative sociali: in entrambi i casi, le organizzazioni che eroga-

(a) (b)

For Profit

Nonprofit Laica

Ente Pubblico

Nonprofit Religiosa

Coop. Sociale

Assistenziale

Infermieristico

Educativo

Culturale

RIcreativo

Orientamento scol/lav

Inserimento Lavor.

Altro

345no servizi di tipo infermieristico sono caratterizzate da un grado di EQUITÀ chiaramente superiore rispetto alle altre aventi la medesima forma giuridica, mentre vale il viceversa per le organizzazioni che ero-gano servizi ricreativi. Non si nota una tendenza univoca, invece, per ciò che riguarda la MOTIVAZIONE .

Figura 5.9 – Centroidi nel piano EQUITÀ-MOTIVAZIONE riferiti a gruppi

di lavoratori distinti (a) per tipo di servizio erogato da enti pubblici (∀) e cooperative sociali (�) e (b) per tipo di servi-zio erogato

La Figura 5.9.b evidenzia, a livello complessivo, alcune differenze nell’equità percepita e nelle motivazioni che caratterizzano i lavoratori distinti rispetto ai diversi tipi di servizio erogato dalle organizzazioni; per esempio, i lavoratori impiegati nelle organizzazioni che offrono servizi di orientamento scolastico/lavorativo manifestano motivazioni più forti rispetto agli altri. Tuttavia, tale grafico deve essere letto con una certa cautela e congiuntamente alla Figura 5.8.b, della quale costi-tuisce una sintesi: per esempio, le organizzazioni che erogano servizi di tipo ricreativo si collocano mediamente su livelli di equità e motivazio-ne entrambi inferiori alla media, ma tale informazione va interpretata alla luce del fatto che il centroide che raffigura il servizio ricreativo nella Figura 5.9.b è ottenuto come media di punti che si distribuiscono in tutto il piano EQUITÀ-MOTIVAZIONE , come evidenzia la Figura 5.8.b.

(a) (b)

Orientamento scol/lav

Assistenziale Educativo

Infermieristico

Ricreativo

Altro

Educativo

InfermieristicoInserimento Lavor.

Assistenziale

Ricreativo

Altro

Orientamento scol/lav

Educativo

Ricreativo

Culturale

Inserimento Lavor.

Assistenziale

Infermieristico

346I risultati ottenuti portano a concludere che esiste una certa eteroge-

neità nei livelli di equità e motivazione che caratterizzano i lavoratori operanti nel settore italiano dei SPPU, eterogeneità legata non solo alla forma giuridica, ma anche al tipo di servizio erogato dalla organizza-zione.

Per esaminare la relazione tra equità-motivazione e soddisfazione pro-posta da Borzaga e Musella nel capitolo 5 della parte 1, con l’ACP-NL è stato costruito un indicatore bidimensionale che misura la soddisfa-zione per il lavoro, sintetizzando i 13 item di soddisfazione contenuti nel questionario dell’indagine FIVOL-FEO 98, la cui scala di risposta prevedeva modalità ordinate da 1 (molto insoddisfatto) a 7 (molto sod-disfatto). La soluzione bidimensionale, ottenuta ricorrendo ad una tra-sformazione di tipo ordinale, ha consentito di ottenere un indicatore composito di soddisfazione per il lavoro: la dimensione 1 fa riferimento alla soddisfazione per l’ambiente di lavoro (SAmb), mentre la dimen-sione 2 riguarda la soddisfazione per gli aspetti intriseci di lavoro (SLav). La Tabella 5.7 riporta la descrizione dettagliata degli item e la loro suddivisione secondo la scomposizione bidimensionale ottenuta con l’ACP-NL.

Tabella 5.7 – Quesiti e 20 item utilizzati per la costruzione

dell’indicatore bidimensionale di soddisfazione per il lavoro

347La Soddisfazione

Esprima una Sua valutazione sul lavoro da Lei svolto nell’organizzazione. Quanto è soddisfatto relativamente a: valutazione su scala da 1 (molto insoddisfatto) a 7 (molto soddisfatto)

Dimensione 1: SAmb

sod1. L’ambiente fisico di lavoro (sicurezza, comodità, ecc.)

sod2. L’utilità del Suo contributo per i beneficiari dei servizi erogati

sod3. Il Suo stipendio

sod4. L’organizzazione dell’orario di lavoro

sod5. La sicurezza del Suo posto di lavoro

sod6. Il rapporto con i Suoi superiori

sod7. Il rapporto con i Suoi colleghi di lavoro remunerati

Dimensione 2: SLav

sod8. La crescita formativo/professionale a Lei consentita in questa organizzazione

sod9. L’autonomia decisionale/funzionale di cui Lei gode

sod10. Il riconoscimento da parte degli altri per il lavoro da Lei svolto

sod11. La varietà e creatività del lavoro da Lei svolto

sod12. Gli avanzamenti di carriera da Lei ottenuti finora in questa organizzazione

sod13. Le prospettive future di avanzamento di carriera in questa organizzazione

Sono stati quindi creati 9 gruppi di lavoratori incrociando i 3 diversi li-velli di soddisfazione (B: basso, M: medio e A: alto) ottenuti, su cia-scuna dimensione, in base al 1° ed al 3° quartile. La rappresentazione dei corrispondenti centroidi nel piano EQUITÀ-MOTIVAZIONE (Figura 5.10.a) evidenzia come, all’aumentare del grado di EQUITÀ, cresca an-che il livello di soddisfazione, soprattutto per l’ambiente di lavoro.

tra1 tra2 tra3 tra4 tra5 tra6 tra7

(a) (b)

SAmbM-SLavASAmbB-SLavA

SAmbB-SLavM

SAmbM-SLavB

SAmbA-SLavA

SAmbA-SLavM

SAmbB-SLavBAmbM-LavM

SAmbA-SLavB

348

Figura 5.10 – (a) Centroidi nel piano EQUITÀ-MOTIVAZIONE riferiti a gruppi di lavoratori distinti per livello di soddisfazione e (b) proiezione di tali centroidi sulle 7 variabili di Trattamento (tra1-7)

Per quanto riguarda la relazione tra MOTIVAZIONE e soddisfazione, la figura mostra come lavoratori fortemente motivati esprimano un livello di soddisfazione medio o alto per gli aspetti intrinseci di lavoro, mentre lavoratori meno motivati sono comunque soddisfatti per ciò che riguar-da l’ambiente lavorativo. Tali conclusioni sono confermate nei grafici in cui i centroidi riferiti ai nove gruppi di lavoratori distinti per livello di soddisfazione sono proiettati sulle variabili in esame. In particolare, la proiezione dei centroidi sulle variabili Trattamento e Ambiente mo-stra chiaramente il legame tra equità e soddisfazione (si veda, a titolo di esempio, la Figura 5.10.b), mentre l’interpretazione del grafico relativo alle variabili Motivazioni risulta meno immediata.

Si evidenzia quindi che la relazione tra equità e soddisfazione è re-lativamente più stretta rispetto a quella tra motivazione e soddisfazione: adottando la prospettiva proposta nel paragrafo 5.3, questo risultato si può spiegare affermando che, mentre equità e soddisfazione sono en-trambe legate a percezioni dei lavoratori nei confronti del contesto la-vorativo in cui sono inseriti, le motivazioni che spingono gli individui a lavorare presso una determinata organizzazione costituiscono piuttosto un’attitudine, poiché dipendono maggiormente dalla loro personalità.

349

5.7 Considerazioni conclusive L’importanza degli aspetti soggettivi della qualità del lavoro, ricono-sciuta ormai anche in buona parte della letteratura economica, richiede la messa a punto di nuovi strumenti statistici in grado di misurare la qualità del lavoro in tutte le sue componenti. Uno degli obiettivi divie-ne pertanto la costruzione di indicatori compositi relativi ad aspetti di qualità del lavoro, quali il livello di equità percepito e la motivazione che spinge i lavoratori a operare in una determinata organizzazione.

Le difficoltà connesse al perseguimento di tale obiettivo sono legate alla natura dei costrutti da misurare e delle variabili impiegate per l’analisi. Diverse componenti della qualità del lavoro sono multidimen-sionali e non direttamente osservabili; esse vengono quindi rappresen-tate con una o più variabili latenti. Per questi motivi, è opportuno rile-vare e sintetizzare un insieme di indicatori semplici che siano in rela-zione con le variabili latenti di interesse. Solitamente, tali indicatori semplici sono connessi a variabili osservate ordinali, le quali non pos-sono essere considerate numeriche, dal momento che non è automati-camente verificato il rispetto dell’equidistanza tra le categorie di rispo-sta. La natura ordinale delle variabili gioca un ruolo fondamentale nella scelta della procedura che consente di ottenere gli indicatori compositi di qualità del lavoro come sintesi degli indicatori semplici. In particola-re, si ritiene sia una buona strategia quella di impiegare modelli idonei al trattamento di variabili ordinali e, in un secondo momento, verificare se la condizione di linearità possa essere considerata soddisfatta per i dati a disposizione, così da giustificare il ricorso alle più semplici e par-simoniose tecniche lineari, concepite per trattare variabili di tipo nume-rico.

In questo studio, il fine della costruzione degli indicatori compositi è stato perseguito ricorrendo all’ACP, una tecnica di analisi dei dati che appartiene alla famiglia dei cosiddetti modelli algoritmici. L’ACP è ri-tenuta appropriata per costruire indicatori compositi in grado di tenere conto sia della natura latente e multidimensionale del concetto da misu-rare, sia dell’importanza e della natura ordinale delle variabili osserva-te. L’applicazione dell’ACP nelle versioni lineare (ACP-L) e nonlinea-re (ACP-NL) ai dati dell’indagine FIVOL-FEO 1998 ha permesso di

350ottenere indicatori compositi di tre aspetti della qualità del lavoro:

motivazione, equità e soddisfazione. Si è trovato che solo alcune delle variabili a disposizione presentano una struttura che richiede il ricorso ad un approccio nonlineare. Un’analisi approfondita ha suggerito di ri-codificare tali variabili per tener conto delle indicazioni che l’ACP-NL ha fornito sulla percezione delle categorie di risposta da parte degli in-tervistati: sembra che, per alcune domande, talvolta questi non siano stati in grado di distinguere tra alcune modalità contigue della scala proposta. Ciò può essere dovuto alla complessità del concetto da rileva-re, alle caratteristiche degli intervistati, all’ordine e al modo in cui sono state poste le domande, alla scala di rilevazione delle risposte.

La ricodifica del dataset ha determinato una riduzione delle nonli-nearità ed ha offerto la possibilità di ottenere, con l’ACP-L, risultati so-stanzialmente analoghi a quelli dell’ACP-NL. Comunque, i risultati presentati non sono generalizzabili, essendo validi solo per il dataset a disposizione; tuttavia, resta generalizzabile la procedura che invita ad adottare l’approccio nonlineare, valutare la struttura di nonlinearità pre-sente nelle variabili ordinali a disposizione e, solo se questa si presenta debole, procedere con l’approccio lineare. Infatti, il ricorso all’ACP-L non è giustificabile da un punto di vista teorico senza un preventivo e-same della nonlinearità e senza un confronto scrupoloso sui risultati ot-tenuti quantificando le variabili categoriali originarie mediante trasfor-mazioni sia lineari sia nonlineari.

È interessante sottolineare che i diversi tipi di indicatori compositi considerati possiedono proprietà statistiche molto simili, a conferma del fatto che i pesi inseriti nella definizione dell’indicatore non assumono un’importanza fondamentale nella loro costruzione. Si è quindi optato per la soluzione bidimensionale fornita dall’ACP-NL ottenuta trasfor-mando linearmente le variabili di equità (Ambiente e Trattamento) e con una trasformazione nonlineare di tipo ordinale le variabili delle Motivazioni. I due indicatori risultanti sono ortogonali e permettono di valutare, nel piano denominato EQUITÀ-MOTIVAZIONE , le relazioni tra variabili, tra soggetti e tra variabili e soggetti. Infine, gli indicatori compositi sono stati impiegati per studiare le relazioni tra motivazione, equità e soddisfazione dei lavoratori, anche con riferimento alla forma giuridica e al tipo di servizio prevalentemente erogato dalle organizza-zioni. I risultati ottenuti sono coerenti con lo schema concettuale propo-sto da Borzaga e Musella nel capitolo 5 della parte 1, nel senso che si possono interpretare secondo l’ipotesi per cui la motivazione che spin-

351ge i lavoratori ad operare in una determinata organizzazione e l’equità distributiva e procedurale da essi percepita determinano il loro grado di soddisfazione. Si rileva comunque anche una chiara eteroge-neità nei livelli di equità e motivazione a seconda della forma giuridica e del tipo di servizio erogato dall’organizzazione.

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