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7/28/2019 2013 Raimondo Luraghi - American Legacy. Social and political history from a military point of view
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American Legacy Raimondo Luraghi e la storia civilegiudicata dalla storia militare
© Società Italiana di Storia Militare
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Parte I
Appunti di Appunti di Appunti di Appunti di
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Raimondo Luraghi e la storia civile giudicatadalla storia militare
di Virgilio Ilari
Se Piero Pieri (1893-1979) è stato il Delbrück italiano, il padre diuna storia militare collegata alla storia “civile”, Raimondo Luraghi(1921-2012) e Giorgio Rochat (1936) hanno impersonato, nella
generazione successiva, le due possibili declinazioni di questaeredità. Da un lato la storia militare “giudicata” dalla storia civile,dall’altro la storia civile giudicata dalla storia militare. L’agnizionedi entrambi in questi ruoli contrapposti è unanime nella comunitàdegli storici militari italiani, pur refrattaria a rigidi inquadramentiaccademici e associativi. Non sono mancati in quella generazionealtri grandi storici militari, e in primo luogo il geniale autore di
Asse Pigliatutto e La ragazza spagnola. Ma sono stati Luraghi eRochat i nostri “due Aiaci”, grandi non meno per le loroimpressive personalità che per le opere e i giorni che ci hannolasciato. E non si possono veramente comprendere se non
mettendoli a confronto.
Rochat ha declinato la storiamilitare all’interno della storianazionale italiana, come parte dellanostra identità politica, e inparticolare di quel segmentorappresentato dalla politica militaree dalle guerre del fascismo. La sua èdunque una storia politica del poteremilitare, il cui asse portante è il
giudizio sulla componente militaredella “classe dirigente” e sulle sueresponsabilità politiche; non su
quelle professionali. Non sul modo in cui abbiamo combattuto esulle cause e le conseguenze dell’illusoria vittoria del 1918 e delladefinitiva sconfitta del 1943. Rochat è stato il capofila di unapproccio alla storia militare largamente dominante nellastoriografia accademica, ma soltanto in quella italiana, dove restatenace un pregiudizio morale nei confronti dello studio dellaguerra e delle istituzioni militari, tollerato esclusivamente come
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secondario dettaglio della storia politica e sociale. Non va
dimenticato che la matrice della storiografia nazionale italiana è la“storia civile” dell’età giacobina. Il suo fil rouge è l’idea dirivoluzione: la guerra disturba, perché dimostra che larivoluzione, in Italia, è stata sempre passiva. Si può al piùintravvedere sullo sfondo della tela, come la Tempesta diGiorgione. Oggetto della fisica, non della storia.
Anche Luraghi ha esordito come storicopolitico e sociale, dedicando il suo primolavoro sulla Resistenza non agli aspettimilitari, pur da lui vissuti conresponsabilità di comando, ma agli
scioperi torinesi. Deve anzi a questaformazione – oltre che ad una capacità discrittura letteraria purtroppo rara eperciò sprezzata dal canone storiograficoitaliano – aver potuto concepire un’operatitanica come la storia della guerra civileamericana, che apparve tra le “gioie” della“collana historica” Einaudi, assieme alla
Storia della Resistenza italiana diRoberto Battaglia e ai due capolavori di Piero Pieri, la Crisi militare italiana del Rinascimento e la Storia militare del
Risorgimento. E’ per nostra imbecillitas che oggi opere di sintesicome quelle ci sembrano impossibili o temerarie. Quelle invececontinuiamo a ristamparle, perché, come i grandi classici, sonoopere per la formazione personale. Questa è la testimonianzaunanime che ricorre nelle decine di lettere indirizzate dai Socidella Sism alla Presidenza per esprimere il loro ricordo diRaimondo Luraghi. Questa è la ragione per cui a Samo fuapprezzato e tradotto quel vaso italiano; e per cui a Marinai del
Sud – il suo capolavoro, dove pure leggiamo “legato con amore inun volume ciò che per l’universo si squaderna” – fu tributato ilPremio Roosevelt per la storia navale.
Dal nostro punto di vista, però, l’eredità più importante diLuraghi è stata di aver importato la lezione americana della storiamilitare come Kriegsgeschichte. Questo è il modo in cui la storiamilitare viene concepita e praticata in tutto il mondo, tranne chein Italia. L’enfasi è posta sul peso che la forza ha realmente avutonel conflitto, sulle sue connotazioni specifiche, sul modo in cui èstata prodotta e impiegata, sull’influenza che l’esperienzaprecedente ha avuto sul corso degli eventi e su quella che le
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interpretazioni (“lessons learned”) hanno poi a loro volta avuto
sulla pianificazione e la condotta dei conflitti successivi. Non acaso la Storia della guerra civile americana di Luraghi è il primotesto italiano in cui riscontriamo un embrionale tentativo diapplicare dei concetti strategici alla storia di un conflitto, inparticolare le brevi e sparse osservazioni sulla formazionenapoleonica e jominiana dei generali americani, sul carattereclausewitziano dell’occupazione di Pittsburg Landing da parte diGrant (nella battaglia di Shiloh) e sulla presunta visione“clausewitziana” di Lincoln. Luraghi non è stato solo uno scrittore.Ha fatto per anni la guida sui campi di battaglia della guerra disecessione: quello che in inglese si chiama staff ride, e in tedesco
Schlüssreise. Ha ricostruito le battaglie integrando la ricognizionedel terreno e lo studio degli armamenti e dei regolamenti conl’interpretazione delle testimonianze; e lo studio delle battagliecon quello delle campagne e del quadro strategico. E ha integratole determinanti militari con le determinanti sociali, materiali eideologiche. Un lavoro non diverso da quello che tre grandi storicimilitari tedeschi, Karl Marx, Friedrich Engels e Wilhelm Rüstow,fecero sulle guerre dell’epoca loro, inclusi la guerra civileamericana e il Risorgimento italiano. Questa lezione, ignorata dalmaterialismo storico di rito torinese, non si rinviene direttamentenegli scritti di Luraghi (neppure nel suo saggio d’esordio sui
fattori economici del Risorgimento). Ma è attraverso le esigenzedella Kriegsgeschichte, che Luraghi ha ridefinito la determinanteeconomica della guerra civile americana, e ha potuto perciòconcepire, nei primi anni Ottanta, l’unico saggio italiano sulla«guerra industriale», un criterio interpretativo della history of warfare che era allora assolutamente pionieristico e attendeancora di essere percepito e utilizzato in tutto il suo potenzialeermeneutico.
Altro aspetto dell’eredità americana di Raimondo Luraghi, èaver riportato in Italia l’idea, all’estero ovvia ma da noiconsiderata bizzarra se non riprovevole, che la storia militaredebba essere in primo luogo critica dell’arte e della scienzamilitare, siccome lo sono la storia della fisica, della medicina, ecosì via. Questo è stato il presupposto della sua partecipazione aldibattito sulla politica militare nell’ultimo decennio della guerrafredda e alle iniziative intraprese sin dal 1979 dall’allora tenentecolonnello Carlo Jean per abbattere il muro di diffidenza e dichiusura che allora esisteva tra la cultura civile (che allora siesprimeva anche attraverso i partiti politici) e la cultura militare.Queste iniziative si concretizzarono essenzialmente nell’Istituto
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Studi e Ricerche Difesa (1979), nelle Cattedre di scienze
strategiche e di storia delle istituzioni militari alla Luiss e allaCattolica di Milano (1987), nella Commissione Italiana di StoriaMilitare (1986), nel Centro Militare di Studi Strategici (1987),nella rivista Politica Militare, poi Strategia Globale (1988), nellaLibreria Militare di Milano (1992). In quegli anni nacquero ilCentro Interuniversitario di Studi e Ricerche Storico-Militari(1983), la Società di Storia Militare (1984) e la rivista Limes (1993). La SSM1 (che nel 1998 prese il nome attuale di SISM, conl’inserimento dell’aggettivo “italiana”) fu anche una “risposta” diLuraghi al Centro interuniversitario di Rochat; la doppiaappartenenza fugò da subito il rischio di una contrapposizione,
ma le due associazioni conservanoancora traccia dei due diversicaratteri e delle due diverse“scuole”. Se il Centro furono igesuiti, noi della SISM fummo gliscolopi: fu Luraghi a decidere checi chiamassimo “Società”, nonassociazione, per marcare unadoppia analogia, sia con la Societàdegli Storici Italiani sia con la
Society for Military History americana.
Luraghi concepì la SISM come una rete di collegamento triplice:fra le varie componenti della storia militare; tra la storia militare egli studi geopolitici, strategici e di intelligence; tra l’università, icultori non professionali e il ministero della Difesa. Luraghi fuinoltre l’artefice e il mattatore del XVIII congresso dellaCommissione Internazionale di Storia Militare che si svolseappunto nella “sua” Torino e che segnò la prima maggioreiniziativa congiunta della CISM e della SISM. Per questo abbiamoscelto di presentare la raccolta di scritti in sua memoria chepubblichiamo come Quaderno SISM 2012, nell’ambito del XXXIXcongresso, che si svolgerà di nuovo a Torino nel prossimosettembre.
1La SSM fu costituita da Luraghi, Mariano Gabriele, Alberto Santoni, Michele Nones
e Virgilio Ilari il 14 dicembre 1984 a Roma con rogito del Notaio Claudio Cerini (Rep.
N. 46928/9583). L’attuale statuto fu adottato con rogito del Notaio Antonio Manzi del
26 luglio 1991 (Rep. N. 36.272 Raccolta n. 10.792).
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Rogito del nuovo Statuto della Sism, 26 luglio 1991
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Adesione di Giorgio Rochat alla Sism, 8 novembre 1987
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Il XVIII Congresso Internazionale di storia militare si svolse a Torino nel 1992sul tema, proposto da Luraghi, “le conseguenze militari della scopertadell’America”. Dei 170 partecipanti, gli italiani furono 54: Paolo Alberini, Vittorio Alvino, Giampaolo Angeloni, Alberto Maria Arpino, Gian LucaBalestra, Oliviero Bergamini, Pierluigi Bertinaria, Daniele Biello, RaffaeleBonventre, Ferruccio Botti, Paolo Busoni, Ezio Cecchini, Amedeo Chiusano,Giuseppe Colaianni, Paolo Coletta, Giuseppe Conti, Massimo De Leonardis,Nicola Della Volpe, Piero Del Negro, Giovanni De Lorenzo, Michele D’Ercole, Antonio Di Paola, Massimo Ferrari, Maria Rosa Fontanelli, Giuseppe Gabola,Gino Galuppini, Giancarlo Gay, Aldo Iberti, Raimondo Luraghi, RobertoLuxardo, Roberto Maccarini, Ermanno Martino, Maurizio Mondello, Tiberio
Moro, Michele Nones, Giorgio Olocco, Leonardo Panebianco, Marco Pasquali,Gabriella Pasqualini, Roberta Penso, Vincenzo Pezzolet, Giovanni Piazza,Fulvio Ristori, Giorgio Rochat, Alessandro Ronca, Giovanni Rosa, MaurizioRosa, Maurizio Rossi, Alberto Rovighi, Alberto Santoni, Renato Sicurezza(Presidente CISM), Filippo Stefani, Renato Zavattini, Gennaro Zecca.
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Trofeo della Sism proposto nel 1992,
quando contava circa 150 Soci
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Raimondo LuraghiSintesi biografica
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Raimondo Luraghi è nato a Milano il 16 agosto 1921. Il padre Nino,
membro della Ragioneria del Comune di Milano, apparteneva ad una
famiglia un tempo cospicua (il nonno paterno Raimondo era stato
proprietario di una vetreria a Porlezza e comproprietario di una Banca a
Milano; la nonna materna Rosalba era una nobile Pino, discendente dal
comandante delle forze napoleoniche del Regno italico); ma rovinata da
una crisi economica. La madre, Giuseppina Colciago, era anch’essa
milanese.
Raimondo visse un’infanzia felice, circondato dall’affetto dei suoi
genitori e di tutti i suoi Cari, sino alla tragedia che nel dicembre del 1928
lo rese orfano, privandolo del padre, ucciso da una polmonite (malattia
che, a quel tempo, era tra le principali cause di morte) a soli 40 anni di
età.
Il ragazzo e la madre dovettero restringersi in un piccolo alloggio
popolare: la pensione paterna infatti, data la relativamente giovane età
del Defunto, era ancora di livello assai modesto. Raimondo frequentò a
Milano i cinque anni delle elementari presso la Scuola “G. C. Nolli” di
Viale Romagna superando con buon esito gli esami di terza e di quinta.
A undici anni di età, Raimondo sembrava dotato per gli studi classici;
ma la madre, non avendo i mezzi per fargli affrontare un così lungo ciclo
(otto anni di Ginnasio-Liceo e quattro di Università) decise di iscriverlo
alla Scuola di avviamento al lavoro “Barnaba Oriani”, che avrebbe
consentito in un solo triennio l’acquisizione di una rapida indipendenza
economica.
Qualche tempo dopo (anno 1934) la madre passò a seconde nozze con
l’allora maggiore (poi colonnello) Giovanni Augusto Pellerino, nativo di
Montechiaro d’Asti, il quale decise che Raimondo avrebbe dovuto
frequentare gli studi classici.
Superati con la media di otto decimi gli esami di ammissione al
Ginnasio (non esisteva allora la scuola media unica) il ragazzo cominciòil nuovo ciclo di studi presso il Ginnasio Liceo “Cesare Beccaria” di
Milano, ove concluse il primo anno. Nell’estate del 1935, per motivi
dipendenti dalla sua carriera, il suo nuovo padre fu trasferito a Torino
2Redatta da Raimondo Luraghi per accompagnare le sue memorie, che purtroppo non è
riuscito a terminare. Per gentile concessione del Professor Nino Luraghi.
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ove si stabilì con la famiglia. Da quel momento Raimondo frequentò i
corsi presso il Ginnasio Liceo “Camillo Cavour”, di Torino ove concluseil ciclo di studi in sei anni, avendo con successo “saltato” la quinta
Ginnasio e la terza Liceo, sempre con la media di otto decimi.
Nell’autunno del 1940 si iscrisse all’Università di Torino, Facoltà di
Lettere e Filosofia.
Poiché agli inizi del 1941 il governo fascista
tolse agli studenti universitari della classe del
1921 il diritto al rinvio del servizio militare
nonché quello di frequentare le scuole allievi
ufficiali di complemento, il 28 febbraio 1941 il
giovane fu chiamato alle armi e destinato
presso il Trentesimo Reggimento Fanteria, distanza a Rivoli ed appartenente alla Divisione
“Assietta”. Promosso caporale, poi sergente,
all’inizio dell’estate del 1941, la Divisione fu
inviata in zona di guerra (Sicilia) e colà
inquadrata nella Quinta Armata. In Sicilia Raimondo ebbe il battesimo
del fuoco per continue scaramucce con frequenti incursioni di
“Commandos” britannici ed incessanti mitragliamenti e spezzonamenti
aerei. Nell’autunno fu infine inviato a frequentare la Scuola Allievi
Ufficiali a Fano (Marche). Al termine del corso, essendosi classificato
per merito tra i primi cinquanta allievi in graduatoria (il totale allievi
presso la Scuola di Fano era di circa 1500) ebbe la facoltà di chiedere
una destinazione ed indicò un qualsiasi Corpo di truppe da montagna.
Alla fine di febbraio del 1942 fu inviato in qualità di Sottotenente al
Sottosettore II/B “Gessi” della Guardia
alla Frontiera, di stanza in Valdieri
(Cuneo) con estensione ad una zona della
Francia occupata. Fu là, precisamente
nella località oltralpe della Madonne des
Fenêtres, ove egli comandava il piccolo
presidio italiano, che lo sorprese l’8
settembre 1943: Raimondo (che nelfrattempo aveva maturato sentimenti
fortemente critici della guerra fascista ed
assai ostili nei confronti dei così detti
“camerati” tedeschi) scelse senza esitare di entrare con i suoi soldati
nella Resistenza armata.
Combatté dapprima nella valli del Cuneese, poi (in seguito ad un
grave crisi di quelle formazioni) nelle Squadre cittadine del movimento
“Giustizia e Libertà” e successivamente nella quarta Brigata Garibaldi
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“Cuneo” che operava nel Pinerolese (zona Barge-Bagnolo). In tale
Brigata ebbe dapprima la carica di Capo di StatoMaggiore; poi, su sua richiesta, fu assegnato al
Battaglione Arditi, inizialmente come vice
Comandante, poi come Comandante del Battaglione
stesso, incarico che tenne sino alla Liberazione.
Partecipò a tutte le azioni della Brigata, trasferitasi
nell’autunno del 1944 sulle
colline dell’Astigiano. Il 29
luglio 1944 fu ferito in
combattimento; il 14 agosto fu
decorato di medaglia d’argento
al valor militare sul campo;infine, per merito, ebbe la promozione a capitano
nel Ruolo d’Onore. Fu congedato dal Regio
Esercito il 10 maggio 1945, con la menzione di aver servito “con fedeltà
ed onore”3.
3 Questa la testimonianza di Massimo Rendina, Vicepresidente Nazionale dell’ ANPI,
Comandante di Brigata, Capo di S. M. della 1a Divisione Garibaldi Piemonte “Leo
Lanfranco” (XIX Garibaldi): “L’ho incontrato la prima volta nel Monferrato, nel tardo
autunno 1944, aveva 23 anni, uno e mezzo meno di me, era il vicecomandante della IV
Garibaldi, comandata da Isacco Nahum “Milan”. Fraternizzammo subito, avevamo
esperienze simili. Ufficiali di complemento nell’esercito avevamo scelto sin dall’8
settembre 1943 la guerriglia contro l’ occupante tedesco, rivolta dopo anche contro i
collaborazionisti fascisti. Per coerenza con il giuramento di soldati alla monarchia ma
soprattutto seguendo un impulso emotivo: conquistare la liberà e, insieme, la dignità di
italiani compromessa nel ventennio fascista e calpestata con l’asservimento alla
Wermacht. Considerate oggi sembrano parole intrise di retorica. Non è così. Per
Luraghi il sentimento era nato anche da un episodio che si commenta da solo.
Sottotenente in una unità della IV Armata di stanza nella Francia Meridionale, Luraghi
aveva impedito all’indomani dell’8 settembre, nella fase di rientro in Italia, armi in
pugno, che le SS si impadronissero di alcuni civili ebrei. Anche allora aveva agito
d’istinto: si ignoravano gli orrori dell’Olocausto. Ma l’episodio qualifica la persona
peraltro ritenuta, a ragione, contraria alle improvvisazioni proprie della guerra per
bande. Luraghi pianificava le azioni con estrema precisione. Si ricorda la meticolosità
con la quale organizzò il “battaglione arditi” assumendone il comando, dedito
principalmente all’eliminazione dei posti di blocco che avrebbe facilitato il nostro
avvicinamento a Torino nella battaglia conclusiva del 25 aprile 1945. Rientrato in Italia
dalla Francia dopo l’8 settembre 1943, Luraghi forma un primo gruppo autonomo di
guerriglia vicino a Cuneo con un altro giovane ufficiale, Michele Balestrieri che,
catturato dai nazifascisti sarà fucilato. Entra poi a far parte di un raggruppamento di
Giustizia e Libertà, emanazione del Partito d’ Azione, dove resta fino al maggio 1944,
subendo attacchi e rastrellamenti che lo inducono ad entrare nella IV Brigata Garibaldi
di cui diventa Capo di Stato Maggiore. Il 29 luglio 1944 Luraghi si comporta
eroicamente. Ferito in azione, è decorato sul campo di medaglia d’argento.
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Durante gli ultimi mesi di guerra Raimondo aveva aderito al Partito
comunista italiano, in seguito al pronunciamento di Togliatti di accettareil regime democratico parlamentare. In questa qualità entrò nel
quotidiano comunista “l’Unità” (edizione piemontese) ove svolse
diverse mansioni: capocronista, segretario di redazione, infine
responsabile della politica interna ed ebbe l’occasione di conoscere
personalmente alcuni tra i più eminenti capi comunisti, tra cui lo stesso
Togliatti. Inviato nell’estate del 1948 a frequentare la Scuola superiore
di quadri del Partito comunista vi conobbe da vicino tutti i massimi
dirigenti.
Il 24 giugno 1950 passò a nozze con Germana Cunioli, allora
Ragioniera presso un’azienda metalmeccanica torinese e di famiglia di
radicate convinzioni antifasciste.
Nel frattempo però Raimondo era andato maturando una posizione
sempre più critica nei confronti del Partito comunista; essendo stato
delegato al Sesto Congresso di tale Partito svoltosi a Milano nel 1948
aveva potuto vederne da vicina la struttura sostanzialmente autoritaria e
antidemocratica e constatarne il completo asservimento alla politica
dell’Unione Sovietica. L’aiuto morale della moglie fu di primaria
importanza per condurlo al distacco definitivo dal Partito comunista e
dalla redazione de “l’Unitá”. In realtà il suo vero desiderio era stato
sempre quello di potersi dedicare agli studi storici; nel 1953 sostenne
quindi gli esami di concorso a cattedre liceali di storia e filosofia chesuperò piazzandosi ai primissimi posti. Nominato titolare al Liceo
Scientifico “Amedeo Avogadro” di Biella, assunse servizio il 1
settembre 1954.
Successivamente vincitore di due Concorsi
di merito distinto, si trasferì a sua richiesta al
Liceo classico “Arimondi” di Savigliano. Il
28 aprile 1958 nacque la sua prima figlia,
Silvia (oggi Professore associato di
Glottologia presso l’Università di Pavia), e
poco di poi apparve, per i tipi di GiulioEinaudi, il suo primo libro: Il Movimento
Operaio torinese durante la Resistenza. In
seguito a ciò, sempre nel 1958, conseguì la
Libera docenza in Storia contemporanea (il
primo in Italia ad avere tale titolo). Il 1
settembre 1961 fu trasferito a domanda presso il Liceo scientifico
“Galileo Ferraris” di Torino. Il 30 novembre 1964 nacque il secondo
figlio, Nino (oggi Professore ordinario, titolare di una “Endowed Chair”
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di Materie Classiche con specializzazione in Storia greca presso
l’Università di Princeton, USA).Nel frattempo Raimondo aveva cominciato ad occuparsi in profondità
di storia americana con specializzazione in storia militare; nell’estate del
1963 vi fu il suo primo viaggio negli Stati Uniti, ove era stato invitato a
partecipare all’International Seminar, diretto allora da Henry Kissinger,
presso la Harvard University. Agevolato mediante la concessione di un
Leader’s Program da parte del
Programma Fulbright per gli
scambi culturali, svolse anche negli
Stati Uniti vaste ricerche di
archivio che gli consentirono di
pubblicare nel 1966 presso GiulioEinaudi Editore la sua Storia della
Guerra Civile Americana, che fu
definita dall’autorevole storico
David Donald “the best one-volume
history of the American Civil War”
che è giunta oggi (anno 2009)
all’ottava edizione e che, alla sua
prima uscita, ricevette la medaglia
d’oro delle Università americane in
Italia per la miglior opera storica sugli Stati Uniti scritta da un non
americano.
Dall’ottobre 1964 l’Università di Genova lo aveva chiamato a
ricoprire per incarico l’insegnamento, appena istituito, di Storia
americana; successivamente fu bandito il concorso a Cattedre ed egli lo
vinse ricevendo la nomina a Professore dapprima straordinario, poi
Ordinario della stessa materia presso il medesimo Ateneo. A Genova
qualche tempo dopo fondò e diresse il corso di Dottorato di ricerca in
Storia delle Americhe, composto da un “pool” il quale includeva, oltre a
quella genovese, le Università di Torino e Firenze.
Da qualche tempo Raimondo Luraghi insieme ad un gruppo di suoicollaboratori faceva parte del Comitato per la
Storia americana, fondato e presieduto a Firenze
da Giorgio Spini. Ora Luraghi ne fu eletto
Segretario generale: e fu in tale veste che egli
organizzò a Genova, il 26-29 maggio 1976 il
Primo Congresso internazionale di storia delle
Americhe cui intervennero tra i relatori Docenti
universitari di sei nazioni: oltre all’Italia, Francia, Gran Bretagna,
Portogallo, Canada e Stati Uniti. In tale occasione ricevette il Premio
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speciale della American Historical Society per la sua recente opera Gli
Stati Uniti.Poco più tardi pubblicò presso l’Editore Franklin Watts di New York
il suo libro The Rise and Fall of the Plantation South, che gli valse
l’Award of Merit dalla Confederate Memorial Literary Society di
Richmond, Virginia.
L’uscita del suo libro Storia della Guerra Civile
Americana provocò nel 1966 l’invito ad insegnare
storia di tale Guerra civile alla University of
Richmond (Virginia) per l’intero Anno Accademico
1966-’67; in tale periodo egli, compiendo estese
ricerche in numerosi Archivi di dieci Statiamericani (oltre che nei National Archives e nella
Library of Congress di Washington DC) gettò le
basi per la sua futura opera Marinai del Sud –
Storia della Marina Confederata nella Guerra
civile americana, 1861-1865, che uscì in Italia nel
1993 e che, tradotto negli Stati Uniti con il titolo A History of the
Confederate Navy (1996) gli valse nel maggio del 1997 il Premio
“Theodore & Franklin D. Roosevelt” per la storia navale, per la prima
volta attribuito ad un non americano.
Dopo aver tenuto una serie di conferenze in varie Università
americane e di fronte a numerose “Civil War Round Tables” sulla sua
visione della Guerra civile americana, Raimondo Luraghi fu invitato
quale “Visiting Professor” dapprima alla University of Notre Dame,
Indiana (1969-1970); poi alla New York
University (1971); alla University of
Georgia (1972); e, nel 1976, quale socio
fondatore (e poi Presidente) in Italia della
Società di studi canadesi, alla University of
Toronto, Canada. Fu anche designato quale rappresentante dell’Italia al
Congresso di rifondazione del Programma Fulbright per gli scambi
culturali svoltosi alla Miami University (Ohio) ed al Convegno dellaItalian American Historical Association a Washington (1992). Fu
nominato membro della US Military History Society, dello US Naval
Institute (dal quale ebbe recentemente il “Silver Certificate” come socio
ventennale), della Company of Military Historians e della National
Geographic Society, oltre che delle società storiche della Virginia, North
Carolina e Georgia.
In questo frattempo Raimondo Luraghi (che non aveva mai
dimenticato la sua specializzazione in storia militare e problemi
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strategici), divenuto membro dello Institute for Strategic Studies di
Londra, fondò e diresse presso l’Università di Genova il Centro Studisulla Difesa ed il Controllo degli Armamenti. Tale Centro organizzò nel
1981 il I Congresso internazionale di studi sulla difesa, dal titolo “La
difesa dell’Occidente ed il pericolo di un conflitto nucleare”. La
relazione di apertura fu svolta da Raimondo Luraghi alla presenza del
Capo di Stato Maggiore della Difesa, del Segretario generale della
Difesa, dei Capi di Stato Maggiore delle tre Forze Armate e di altre
insigni personalità militari e civili provenienti oltre che dall’Italia, dagli
Stati Uniti, da Gran Bretagna, Francia, Germania, Svizzera, Olanda,
Unione Sovietica, Israele.
Nel 1983 in collaborazione con il Center for NATO Studies della Kent
State University (USA) e con la Rockefeller Foundation, il Centrodiretto da Raimondo Luraghi organizzò a Villa Serbelloni, Bellagio, il II
Congresso internazionale di studi sulla difesa, sul tema “NATO and the
Mediterranean”. Le relazioni-chiave furono tenute oltre che dal Prof.
Luraghi da tutti i Capi di Stato Maggiore delle Forze Armate e
dall’Ammiraglio Rowden, Comandante la V Flotta USA nel
Mediterraneo. Sia gli atti del I Congresso che quelli del II furono
pubblicati in volume: il primo in Italia, il secondo negli Stati Uniti.
In quegli anni il Prof. Luraghi fu invitato come relatore ad una serie di
Congressi internazionali: quelli svoltisi a Stresa e ad Oslo del Center for
Strategic Studies di Londra, quelli tenutisi presso la Kent StateUniversity, Ohio, USA, su temi di storia e strategia della NATO, e quelli
tenutisi in Italia ad iniziativa del Centro di studi strategici torinese
“Manlio Brosio”.
A cominciare dal 1980 (Bucarest) partecipò, quale componente della
delegazione italiana e relatore a tutti i Congressi annuali di storia
militare organizzati dalla Commissione internazionale di storia militare
comparata dell’UNESCO, da Parigi a Madrid, a Seul (Corea) a Tel Aviv,
a Vienna a Helsinki e in numerose altre località. Nel 1990 al Congresso
di Madrid fu eletto componente della Commissione internazionale quale
rappresentate dell’Italia. In tale veste organizzò e presiedette il XVIICongresso mondiale svoltosi a Torino nel 1992 sul tema da lui proposto:
“La scoperta del Nuovo Mondo ed il suo influsso sulla storia militare”.
Rieletto nel 1995 al Congresso di Lisbona, fu di lì a poco invitato dal
governo portoghese, che lo volle come suo ospite d’onore al Convegno
storico portoghese di Lisbona. In tale occasione ebbe l’alto onore di
essere invitato a due pranzi ufficiali dai Ministri portoghesi della Difesa
e della Pubblica Istruzione e di sedere accanto a loro quale ospite
d’onore.
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In quegli anni ricevette dall’Ufficio storico dell’Esercito italiano
l’incarico di curare la prima edizione critica integrale, condottadirettamente sui manoscritti di archivio, di tutte le opere militari di
Raimondo Montecuccoli. Del grande Condottiero modenese fu invitato a
parlare sia all’Accademia Militare di Modena che in una serie di
convegni in Italia, Austria ed altri paesi. Successivamente poi. sempre
per incarico dell’Ufficio storico, scrisse la prefazione alla prima
traduzione degli scritti militari di Sun Tzi condotta direttamente sul testo
cinese antico dal capitano Huang Jialin, Addetto militare presso
l’Ambasciata cinese di Roma. Invitato in India e poi in Cina quale
studioso poté studiare a fondo la civiltà e la cultura di tali paesi nonché
la loro parte di primo piano nella Seconda guerra mondiale grazie a
credenziali fornitegli direttamente dagli Ambasciatori di India e Cina aRoma In quello stesso periodo iniziò e condusse avanti lo studio delle
lingue tedesca e giapponese onde poter studiare la vicenda degli Stati
Uniti nel secondo conflitto mondiale.
Da quando fu fondato a Pully (Svizzera) il “Centre
d’Histoire et de Prospective Militaires”, allo scopo di
organizzare incontri di èlites di storici militari intesi
a formulare ed analizzare i fondamenti della dottrina
vi fu regolarmente invitato a partecipare con proprie
relazioni, tutte pubblicate negli “Actes” tra le quali,
di importanza fondamentale le due sulle origini della guerra totale in Età
contemporanea e sulla filosofia della guerra corazzata e ne fu, nel 2000,
nominato Membro Onorario. Per diversi anni fu inoltre chiamato a
tenere lezioni e seminari presso l’Istituto Italiano di Studi Filosofici di
Napoli ed nel corso di Dottorato presso l’Università di San Marino.
Presiedette più volte Commissioni nazionali di concorso a cattedre
universitarie di americanistica, contribuendo alla nomina in ruolo di
distinti colleghi quali Marcello Carmagnani, Giangicomo Migone ed
altri.
Posto fuori ruolo alla raggiunta età di 70 anni e “retired” a quella di
75, fu, su deliberazione unanime della Facoltà nominato con Decretorettorale Professore emerito di Storia americana; in seguito, sempre su
unanime delibera della Facoltà e conseguente proposta del Rettore, fu
insignito da parte del Presidente della Repubblica il 2 giugno 1999 della
medaglia d’oro per i benemeriti della cultura e della scienza.
Il Comune di Barge (Cuneo) ove egli durante la Guerra di Liberazione
aveva partecipato a numerosi fatti d’arme lo insignì il 7 giugno 2003
della cittadinanza onoraria.
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La Cattedra di Storia americana ed il Dottorato di Ricerca in Storia
delle Americhe da lui fondati sono tuttora in attività presso ilDipartimento di storia moderna e contemporanea dell’Università di
Genova, affidati a distinti suoi successori.
La sua attività di ricerca e di studio continuò ed un primo frutto ne fu
l’opera La Spada e le Magnolie – Il Sud nella storia degli Stati Uniti,
pubblicato nel 2007, che ricevette nel successivo anno 2008 il
prestigioso Premio “Acqui Storia”. Recentemente ha inviato per la
pubblicazione alla rivista “Nuova Storia Contemporanea’ di cui è
membro del comitato scientifico, un saggio sulla dichiarazione di guerra
dell’Italia agli Stati Uniti.
Bibliografia di Raimondo Luraghi
“Note e asterischi”, in Movimento Operaio, n. 5, sett.-ott. 1954, a. 6. (n.s.), pp. 750-
759.
“Le memorie di Kesselring”, in Nuova Rivista storica, a. 38., fasc. 3, 1954.
“Momenti della lotta antifascista in Piemonte negli anni 1926-1943”, ne Il movimento
di liberazione in I talia, genn.-mar. 1954, n. 28-29.
“Primi orientamenti per lo studio della crisi politico-militare del 1943”, ne Il
Movimento di liberazione in Italia, n. 34-35, fasc. 1-2.
“Sulle origini del movimento contadino nella pianura padana irrigua: il vercellese”, in
Nuova Rivista Storica, a. 40, fasc. 3, 1956.
“Su alcune questioni relative all'agricoltura piemontese nel decennio 1850-1860”, in
Rassegna storica del Risorgimento, a. 44, fasc. 2.-3., apr.-sett. 1957, pp. 430-438.
“La zona libera del Basso Astigiano nei documenti dell'Archivio storico della
resistenza di Torino”, ne Il movimento di liberazione in Italia, n. 48, 1957.
“Sui rapporti diplomatici tra l'Italia e l'Unione Sovietica agli inizi dell'anno 1944”, ne
Il Movimento di Liberazione in Italia, luglio-dicembre 1958, N.52-53, fasc. 3.-4.
Il movimento operaio torinese durante la resistenza, Torino, Einaudi, 1958. 372 p.; 22
cm
“Le amministrazioni comunali libere nella prima fase della Resistenza nelle Langhe”,
ne Il Movimento di Liberazione in Italia, luglio-settembre 1959, N.56, fasc. 3.
“Dal 25 luglio all'8 settembre”, in Trent'anni di storia italiana, 1915-1945:
dall'antifascismo alla Resistenza / lezioni con testimonianze presentate da Franco
Antonicelli, Torino, Einaudi, 1961, pp. 310-333.
Pensiero e azione economica del conte di Cavour, Torino, Istituto per la storia del
Risorgimento italiano, Comitato di Torino, Museo nazionale del Risorgimento,
1961. 172 p.; 25 cm.
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“24: I cattolici torinesi di fronte ai fatti dell'agosto 1917: comunicazione”, in Benedetto
XV, i cattolici e la prima guerra mondiale, convegno di studio, Spoleto, 7-8-9
settembre 1962, a cura di Giuseppe Rossini, Roma, Ed. 5 Lune, 1963.
“Recenti studi sulla campagna del Mississippi nella guerra civile americana”, in Nuova
rivista storica, a. 48, fasc. 1-2-, (1964).
“Due storie generali degli Stati Uniti”, in Nuova rivista storica, a. 48, fasc. 3-4, (1964),
pp. 385-389.
Ascesa e tramonto del colonialismo. Torino, Utet, 1964. XII, 409 p.
“Umanità e mito di Abraham Lincoln”, in Nuova rivista storica, a. 49, fasc. 5-6,
(1965), pp. 701-707.
“Stati Uniti”, Vent'anni dopo: vincitori e vinti, In Terzo programma, N. 4 (1966), pp.
133-143.
“Le guerre del Risorgimento e la guerra tra gli stati americani: la rivoluzione
tecnologica, logistica, tattica e strategica”, in Italia e Stati Uniti nell'età del
Risorgimento e della guerra civile: atti del symposium di studi americani, Firenze,
27-29 maggio 1966, Firenze, La nuova italia, [s.d.], pp. 213-237.
“Mito e popolarità di Garibaldi nel sud degli Stati Uniti”, in Miscellanea di storia
ligure 4, 1966, pp. 400-411.
Per dignità, non per odio: documenti della Resistenza italiana, di Raimondo Luraghi e
Dino Puncuh; prefazione di Sergio Cotta, Roma, Edindustria editoriale, [1966].XXIV, 338 p.; 19 cm.
Nuova storia degli Stati Uniti, di William Miller; a cura di Renato Grispo; prefazione
di Raimondo Luraghi, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1966. XII, 526 p.; 21
cm.
Franklin / di Raimondo Luraghi . Washington / di Tiziano Bonazzi. Roma – Milano,Compagnia edizioni internazionali, 1966. 78, 80 p.; ill.; 19 cm.
Storia della guerra civile americana. [Torino], G. Einaudi, c1966. XL, 1395 p., [27] c.
di tav., ill.; 22 cm.
Storia della guerra civile americana. 2. ed. riv. – Torino, Einaudi, 1967. XL, 1395 p.,
29 c. di tav., ill.; 22 cm.
Storia della guerra civile americana. 3. ed. Torino, Einaudi, 1966. XL, 1396 p., 47 c.
di tav., ill.; 22 cm.
“La Guerra Civile foggiò l'America di oggi”, in Storia Illustrata, Marzo 1967.
Histoire du colonialisme, des grandes découvertes aux mouvements d'indépendance ...Bibliothèque Marabout No 132, Verviers, Gérard et Cie, 1967. 312 p., 24 c. di tav.,
ill; 18 cm.
Agricoltura, industria e commercio in Piemonte dal 1848 al 1861; con indice generaledei nomi dei quattro volumi di L. Bulferetti e R. Luraghi su Agricoltura, industria e
commercio in Piemonte dal 1700 al 1861, Pubblicazioni del Comitato di Torino
dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Torino, Palazzo Carignano, 1966.
Nuova serie, 24, Torino, [s.n.], 1967 (Alessandria, Ferrari, Occella). 335 p.; 25 cm.
U.S.A.: al di la di un mito , di Mario Lucentini, Raimondo Luraghi, Gino Rocchi ... [etal.], Torino, SEI, c1968. 192 p., 4 c. di tav., ill.; 20 cm.
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“Politica, economia e amministrazione nell'Italia napoleonica”, in Nuove questioni di
storia del Risorgimento e dell'Italia unita, Milano, Marzorati, 1969, pp. 345-386.
“Negri d’America”, voce del Grande Dizionario Enciclopedico, Torino, Utet, vol. 13,
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“Origine e struttura della costituzione degli Stati Confederati d'America”, in Studi
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Europenii caut ă Eldorado, ep. 1971. p. 382.
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“Strutture sociali pre-capitalistiche nel Sud degli Stati Uniti e in America latina”, Atti
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“The civil war and the modernization of American society and industrial Revolution in
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“Costruirono le corazzate nei campi di granoturco: la Marina sudista”, in Storia
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“I peones che tennero testa a un esercito: 1835, la guerra tra USA e Messico”, in Storia
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“Il colpo di fucile che fu udito in tutto il mondo: 200 anni fa le prime battaglie dellarivoluzione americana”, testo di Raimondo Luraghi ; foto di Guglielmo Mairani, in
Storia Illustrata, Maggio 1975.“Washington inventa un esercito: 200 anni fa le battaglie per l'indipendenza
americana”, testo di Raimondo Luraghi; foto di Guglielmo Mairani, in Storia
Illustrata, Ottobre 1975.
Le Lotte sociali negli Stati Uniti alla fine del diciannovesimo secolo: saggi storici nella
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Firenze, La Nuova Italia, 1976. 311 p.; 24 cm. (Estratto da: Miscellanea storica
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Storia della guerra civile americana: con 47 tavole fuori testo e 72 cartine, 4a ed.,
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Economia e società degli Stati Uniti tra ottocento e novecento / Raimondo Luraghi ...
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Storia della guerra civile americana, 5. ed., Milano, Rizzoli, 1985. XV, 1401 p., 16 c.
di tav., ill.; 23 cm.
Da Sarajevo al maggio radioso: l'Italia verso la prima guerra mondiale, di Antonino
Répaci; prefazione di Raimondo Luraghi, Milano, Mursia, 1985, 571 p., 16 c. di tav.,
ill.; 22 cm.
John F. Kennedy, Milano, Marzorati, [1986]. 71 p.; 20 cm.
“The Historiography of the American Civil War: Liddell Hart and the Use of Oriental
Military Thought as a Critical Tool”, in Korean Commission of Military History,International Commission of Military History, 1986.
Sezione storia, a cura di Luca Codignola e Raimondo Luraghi, vol. 2 di Canada ieri e
oggi: atti del 6. Convegno internazionale di studi canadesi: Selva di Fasano, 27-31
marzo 1985 [organizzato da] Associazione italiana di studi canadesi), Fasano,
Schena, 1986. 270 p.; 21 cm.
Social workers e immigrate negli Stati Uniti dall'età progressista al new deal: gli
international institutes 1912-1939, di Maddalena Tirabassi; rel. Raimondo Luraghi,
Tesi di dottorato di ricerca in storia delle Americhe, 1984-1986, Genova, 1987.
Mai più Vietnam: gli aspetti
ignorati della guerra che ha diviso
Stati Uniti e Occidente, politica e
strategia nel conflitto per il terzo
mondo, una testimonianza per la
storia, di Richard Nixon; trad. di
Bruno Cipolat, prefazione di
Raimondo Luraghi, Trento,
Reverdito, 1987.
Le opere di Raimondo
Montecuccoli (edizione critica a
cura di Raimondo Luraghi, vol. 3
di Andrea Testa, collaborazione di Luigi Villa Freddi), Roma, Ufficio storico Stato
maggiore esercito, 1988 (vol. 1-2) e 2000 (vol. 3). Vol. 1. Trattato della guerra. Vol.
2. Delle Battaglie (I e II). Della guerra contro il Turco. Della guerra contro il Turco
in Ungheria (Aforismi). Dell’Arte Militare. Vol. 3 Opere minori d’argomento
militare e politico. Diari di viaggio e memorie.
Gli Stati uniti d'America e la prima guerra mondiale. L'American Expeditionary
Forces: problemi e aspetti di un impegno militare, tesi di laurea di Roberto
Maccarini; relatore Raimondo Luraghi; correlatore Valeria Gennaro Lerda, Facoltà
di lettere e filosofia, Corso di laurea in storia moderna, A.A. 1987/1988, IV, 202 p.,ill.; 30 cm.
"Storia militare", in Luigi De Rosa (cur.), La storiografia italiana degli ultimi
vent'anni. III Età contemporanea, Biblioteca di Cultura Moderna, Laterza, Roma-
Bari, 1989, pp. 21-240.
“L'età delle Americhe”, in Vol. 25 (1989), pp. [289]-301.
Il fascismo in Terra di Lavoro, 1923-1926 , di Silvano Franco; prefazione di Raimondo
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L'arte della guerra / Sun Zi; a cura di Huang Jialin e di Raimondo Luraghi. Roma,
SME, Ufficio storico, 1990. 85 p., 1 ritr.; 25 cm.
Marinai del Sud: storia della marina confederata nella Guerra civile americana,
1861-1865, Milano, Rizzoli, 1993. 681 p., 8 c. di tav., ill.; 23 cm.
Storia della guerra civile americana. Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1994. 2 v.
(XV, 1401 p. compless.); 20 cm. (In custodia).
Resistenza : album della guerra di liberazione (a cura di Raimondo Luraghi), Milano,
Rizzoli, 1995. 255 p., ill.; 22 cm.
“La guerra di liberazione cinquant'anni dopo”, in L' Italia in guerra: cinquant'anni
dopo l'entrata dell'Italia nella 2. guerra mondiale: aspetti e problemi storici (a cura
di R.H. Rainero, A. Biagini), Il sesto anno: 1945, Roma, Commissione Italiana di
Storia Militare, Gaeta, Stabilimento grafico militare, 1996, pp. 455-460.
Stati Uniti d'America (1963-1988), a cura di E. Pontieri, Piccin-Nuova Libraria, 1995.
A History of the Confederate Navy, Annapolis, Naval Institute Press, 1996. Chatham
Publ., 1996.
Cinque lezioni sulla guerra civile americana, 1861-1865 , Napoli, La città del sole,
1997. 117 p.; 22 cm.
Storia della guerra civile americana, Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1998. 20
cm. Vol. 1: Nord contro sud: la sanguinosa epopea che divise l'America,. XV, 710 p.
Vol. 2: La prima guerra moderna e la formazione della nazione americana. pp. 712-937.
Le stelle e le strisce: studi americani e militari in onore di
Raimondo Luraghi, Milano, Bompiani, 1998. 2 v.; 20 cm.
Sul sentiero della guerra, Storia delle Guerre Indiane nel
Nordamerica [Milano], BUR, 2000. 190 p., ill.; 23 cm.
Sömürgecilik tarihi, [ Ascesa e tramonto del colonialismo, trad.
turca di Halim İnal], Istanbul, E Yayınları, 2000. 402 p.
Burdet di Piemonte e di Savoja: notizie storiche e genealogiche,
di Carlo A. M. Burdet; introduzione di Raimondo Luraghi,
Ivrea, Tipografia Bardessono, 2000. 99 p., ill.; 24 cm.
Storia militare dell’Italia Giacobina 1796-1801, di Virgilio Ilari, Piero Crociani e Ciro
Paoletti, Introduzione di Raimondo Luraghi, Roma, USSME, 2001. 2 vol.
Operazione Barbarossa [21 giugno 1941-18 novembre 1942], di Paul Carell;
traduzione di Giorgio Cuzzelli; introduzione di Raimondo Luraghi, [Milano], BUR,2001. 770 p., 1 c. geogr. ripieg.; 23 cm.
Il capitalista, questo sconosciuto, di Ubaldo Giuliani Balestrino, prefazione di
Raimondo Luraghi, Fògola, 2001. 153 p.
Napoleone di Sergio Valzania; introduzione di Raimondo Luraghi. Roma, Rai-ERI,
2001. 179 p.; 19 cm.
Isonzo 1917 , di Mario Silvestri; introduzione di Raimondo Luraghi, Milano, BUR,
2002, XVIII, 533 p., 20 c. di tav., ill.; 23 cm.
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“Il Pensiero e l’Azione di Raimondo Montecuccoli”, in Andrea Pini (cur.), Raimondo
Montecuccoli: Teoria, Pratica Militare, Politica e Cultura Nell’Europa del Seicento,
Atti del Convegno (a cura di Andrea Pini), Modena, 4-5 Ottobre 2002, pp.19-30.
I generali di Stalin, a cura di Seweryn Bialer; prefazione di Raimondo Luraghi;
traduzione di Furio Belfiore, Milano, Rizzoli, 2003.
11: Risorgimento e rivoluzioni nazionali [Raimondo Luraghi ... et al.], Roma, La
biblioteca di Repubblica, 2004. 799 p.: ill.; 23 cm
Eravamo partigiani: ricordi del tempo di guerra, Milano, BUR, 2005. 281 p., 1 c. ditav., ill.; 20 cm.
Bibliografia della guerra civile americana, 1861-1865, Napoli, La città del sole,
[2006]. 183 p.; 22 cm.
La spada e le magnolie: il sud nella storia degli Stati Uniti, Roma, Donzelli, [2007].
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Risorgimento e rivoluzioni nazionali / [Raimondo Luraghi ... et al.]. - Ed. speciale
realizzata per TV Sorrisi e Canzoni e Panorama. Milano, Mondadori, [2007]. 799 p.,
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“Il finanziamento della guerra civile americana”, in Storia economica della guerra, a
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Storia della guerra civile americana, [Milano], Bur Rizzoli, 2009. XXII, 1401 p.; 20
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Della precarietà / Bonimba; di Francesco Maria Bonicelli [con prefazione di Raimondo
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“Analisi della battaglia di Solferino sul piano della tecnologia militare”, in La guerra
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“Il Mezzogiorno d’Italia nel 1861”, in L’anno di Teano. Atti del Convegno NazionaleCISM-SISM su Il Risorgimento e l’Europa, Quaderno SISM 2010, Roma 2011, pp.
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Five Lectures on the American Civil War, 1861-1865, translated by Sean Mark, John
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Nord contro Sud. Le battaglie, gli uomini, gli ideali della guerra civile americana,
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La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale,
Milano, Bur, Rizzoli RCS, 2013. p. 208.
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Articoli di Luraghi sull’ Unità 1945-1947
Ricerca e trascrizione di Antonio Martino
L’Unità 23 giugno 1945 n. 60 (ed. piemontese)
La figura della belva di Pinerolo
Così la belva è caduta nella trappola. L’ha catturata un manipolo di
compagni valorosi ed il fatto di non esser stato con loro rimarrà il
cruccio della vita mia e di altri che come me avevano giurato di prendere
Novena4
possibilmente vivo. Ed intendo parlare di Barbato di Petralia
(che ne ha provato lui pure il piombo nelle carni) di Milan e di tutta la
schiera garibaldina della IV Brigata che lottò per oltre un anno colla
belva di Pinerolo nel duello più sanguinoso e feroce.
Quale degli abitanti di Pinerolo e dei luoghi circonvicini Bagnolo,
Barge, Cavour, Villafranca (che tali furono i teatri preferiti delle sue
tristi gesta) quale di essi dico non ha ancora fisso nella mente la
grottesca e macabra sagoma del crudele ras locale infagottato nella goffa
uniforme della brigata nera col berrettone nero in capo e la morte
ghignante?
Chi non ricorda la sua carriera?
Dopo aver esercitato in quel di Bagnolo il triste mestiere della spia,
dopo aver mandato alla fucilazione il nipote antifascista (e fu per un caso
che l’altro nipote sfuggì) egli costituì quella tristemente celebre “squadra
fantasma” formata dai peggiori criminali comuni. Ricordo l’imboscata
4Spirito Novena, riparatore di biciclette di Pinerolo, era stato nominato dalla RSI
commissario prefettizio. Nell’estate 1944 si autonominò “maggiore” della Brigata Nera
di Pinerolo, responsabile di innumerevoli omicidi, violenze e rapine. Fuggito a Brindisi
dopo la Liberazione, fu rintracciato dai partigiani grazie ad una lettera incautamente
spedita a casa e prelevato all’uscita da un bar per consegnarlo, secondo specifici ordini
di Togliatti, alla giustizia. Mentre lo portavano a Torino, riuscì a scappare, ma commise
l’errore di cercare rifugio dagli americani, i quali, conoscendo la sua fama, gli dettero
una legnata e lo riconsegnarono ai partigiani. Fu così sottoposto a regolare processo,
ma la condanna a morte fu commutata in trent’anni di reclusione. Scarcerato dopo dieci
anni, si trasferì a Velletri, dove gestì una pompa di benzina.
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che egli (su denuncia delle sue spie) ci tese il 29 luglio 1944 alla
Madonnina di Bagnolo, eravamo tutti feriti ma uno solo di noi cadde neisuoi artigli il povero autista D’Adda già colpito a morte. Ed allora il
Novena dette (e nell’ombra lo udimmo bene) l’ordine ai suoi sgherri di
finirlo. Poi fu una sequela di delitti. Il prode Capo Nucleo Tano cade a
Garzigliana nelle sue mani e viene seduta stante (già prigioniero già
disarmato) scannato sul posto con due compagni, è con Novena in tale
occasioni il figlio tredicenne che egli porta con sé e che alleva a
compiere le più ripugnanti crudeltà. E poi la volta di Dino Buffa,
valoroso Giellista assassinato a Vigone.
La squadra fantasma ha ora le basi a Buriasco, ha una rete di spie
sparse ovunque e dovunque Novena piomba con i suoi delinquenti
terrorizza la popolazione, brucia case (ricordate Bricherasio?) commetteviolenze d’ogni genere. I prigionieri che cadono nelle sue mani quando
non vengono assassinati immediatamente sono portati a Buriasco e
seviziati in tal maniera che lo stesso suo boia Racca (ora anch’egli in
mano della giustizia) deve inorridire.
Un ragazzo sedicenne Romolo è in possesso di una vecchia pistola
scarica, il Novena lo fa fucilare. Leo Lanfranco l’indimenticabile Carlo
vice comandante della I Divisione viene catturato con i fratelli Carando
rispettivamente Capo di Stato Maggiore e Capo della Polizia della stessa
Divisione, essi sono seviziati orrendamente per una giornata intera alla
presenza della popolazione di Villafranca terrorizzata quindi vengonotutti massacrati. Il Novena ci tiene alla fama senza pietà contravvenendo
agli ordini dello stesso Hitler fa di sua iniziativa seviziare ed uccidere
qualunque prigioniero cade nelle sue mani. Così è di “Lampo” e di
quattro altri valorosi garibaldini fucilati alla crociera di Barge senza la
minima apparenza di processo naturalmente così è di Gucia a cui il
bandito fa strappare un occhio (c’è chi di noi ha visto il cadavere).
Ma perché dilungarci oltre su questo mostro che oggi invoca
umilmente perdono, lui lo spietato!?
Oggi si deve fare giustizia.
Per tutte le vittime della sua follia sanguinaria, per i martiri torturati
nei modi più bestiali, per il sangue sparso per i vivi e per i morti noi
chiediamo ai responsabili che sia fatta e presto e senza alcuna pietà.
R. Luraghi (Martelli)
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L’Unità 10 agosto 1947 n. 188 (ed. piemontese)
Politica fallimentare
La politica economica finanziaria di questo governo De Gasperi
avrebbe aumentato sino all’esasperazione la pressione sui ceti meno
abbienti senza per questo riuscire a risolvere i gravi problemi che
minacciano il paese: questa previsione era facile.
Tutta la battaglia per un simile governo fu a suo tempo impostata dall’
on. De Gasperi sullo “slogan” salvare la lira. Era in questo senso
naturale che il governo tentasse anzitutto di procacciarsi il denaro
liquido che poteva occorrergli per coprire le spese, le quali alla loro
volta dovevano essere, secondo Einaudi, limitate al massimo. Scartato il
lancio di un nuovo prestito nazionale, data la palese ostilità dei detentori
di capitali ad una simile operazione, si prese in un primo tempo la via
delle imposte dirette con l’entrata in vigore della patrimoniale nella
sciagurata forma ad essa data dal progetto Campilli; la prima massa di
liquido veniva cioè procurata (come già avremmo occasione di chiarire)
soprattutto a danno delle piccole proprietà immobiliari ed agricole.
Poi, come una tegola, è piombata sul capo della grande massa dei
consumatori tutta una serie di aumenti di prezzi, a partire dal pane per
giungere sino a quelli recentissimi dell’energia elettrica e dello zucchero.
In data 6 corrente Il Globo, organo della Confindustria in un fondo di
Cesare Cosciani, spiegava col massimo candore come questiprovvedimenti fossero da considerarsi… antiinflazionistici poiché si
risolvevano per il governo in un fortissimo gettito delle imposte
indirette, che gli permetteva di non emettere altra carta moneta. Ad un
esame un po’ approfondito però una tale argomentazione rivela con
facilità le corde.
“Facciamo delle cifre” sogliono dire con aria aggressiva i bonzi
dell’economia borghese credendo di disarmare gli avversari. Facciamole
pure. Certo tali provvedimenti sono estremamente antidemocratici
perché colpiscono nel modo più duro le grandi masse dei consumatori.
Almeno però vi corrispondesse una politica razionale di spese da partedel governo: una politica di economie realizzate cioè non sulla fame dei
dipendenti statali e dei lavoratori, ma sopprimendo tutta una serie di
uscite inutili e dannose.
Se l’autore dell’articolo su Il Globo che nelle variazioni di spese per il
bilancio corrente è stato proposto, oltre a ciò che era stato stabilito, un
ulteriore stanziamento di milioni 4,5 per il Ministero dell’Africa italiana
che da tempo ha cessato di esistere? Sa che per riammettere in servizio
120 tra generali ed ufficiali superiori dell’Esercito (già cancellati dai
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ruoli per aver portato le armi contro il paese) è previsto uno
stanziamento di milioni 120 annui? Sa che a decorrere dal 1° luglioscorso tutte le spese di trasporti ferroviari effettuati per conto della
Pontificia commissione di assistenza sono a carico dello Stato? E si
potrebbe continuare.
Di altrettanta (se non maggiore) gravità è quanto va accadendo nel
campo del commercio estero. Ci riserviamo di ritornare su questo
argomento che richiede una trattazione a parte; basti qui ricordare che in
data 1° agosto il cambio ufficiale del dollaro è stato portato da lire 225 a
lire 350. Ora, se si pensa che il Governo acquista all’estero il grano ed il
carbone che ci sono indispensabili mediante la valuta estera che gli
esportatori gli debbono cedere nella misura del 50% al cambio ufficiale,
questo significa che d’ora innanzi (come fa osservare in data 2 agosto ilnon certo filocomunista Messaggero di Roma) noi pagheremo ciò che
importiamo ed in primo luogo grano e carbone, in ragione di lire 350 per
ogni dollaro invece che di lire 225.
Anche la situazione del nostro mercato interno si aggraverà poiché gli
esportatori saranno allettati sempre più a vendere sui mercati esteri
indiscriminatamente ogni merce: non per nulla l’Italia sta diventando il
paese della Cuccagna per i compratori stranieri che vi fanno acquisto di
prodotti che poi rivendono su altri mercati. Tipico il caso delle lamiere e
della ghisa che Francia e Svizzera acquistano in Italia per rivenderle
(naturalmente con il loro marchio) proprio su quei mercati che non cisaremmo dovuti preoccupare di conquistare sin che ne avevamo il
tempo: Balcani, Medio Oriente, Sud America.
Si aggiunga che la valuta estera rimasta nelle mani degli esportatori si
ferma, in parte notevole, all’estero e viene impiegata in investimenti sul
suolo straniero: cosa che assimila assai le nostre esportazioni ed
un’emorragia senza contropartita. Ciò malgrado il governo sembra
orientarsi verso il principio di lasciare agli esportatori sempre più
abbondanti percentuali di valuta!
I risultati della politica economica-finanziaria del governo sono facili
da controllarsi. Paragonando infatti il salario di un operaio (sulla base1938 = 100) rispettivamente nei mesi di marzo 1946, marzo ’47 e giugno
’47 si hanno le seguenti cifre:marzo marzo giugno
1938 1946 1947 1947
Manovali 100 46 60 45
Operai comuni 100 43 56 41
Qualificati 100 40 51 38
specializzati 100 35 45 33
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Queste cifre dimostrano che mentre l’azione del tanto deprecato
tripartito e della C.G.I.L. era riuscita ad incamminare le paghe verso unareale rivalutazione, la politica economico-finanziaria dell’attuale
governo le ha portate ad un livello inferiore a quello del 1946. Basta del
resto consultare i numeri indici del costo della vita pubblicati
recentemente dall’Istituto Centrale di Statistica per vedere che esso ha
subìto in un mese, dal maggio al giugno 1947, un incremento di 280
punti complessivamente.
Politica dunque di impoverimento delle grandi masse popolari: operai,
impiegati, professionisti, di tutti coloro in sostanza che vivono di redditi
di lavoro; politica di crisi e di sacrificio delle piccole proprietà; politica
che tende a colpire le piccole industrie a tutto vantaggio del capitale
finanziario monopolista.
Noi abbiamo (e con noi lo hanno tutti gli uomini pensosi della
situazione e degli interessi del paese) il dubbio che questa via non porti
alla tanto conclamata “salvezza della lira”, ma diritto all’inflazione più
completa ed al fallimento economico dello Stato
Raimondo Luraghi
L’Unità 7 settembre 1947 n. 211 (ed. piemontese)
Fu il popolo
Sembrava che l’afa estiva non volesse morire in quel mese fatale disettembre. La calura gravava suoi colli e sul piano calcinando le
carrozzabili e le strade di campagna.
Autocarri militari privi di ruote, traini di artiglieria, mezzi blindati se
ne stavano sparsi un po’ dovunque nei campi, lungo le strade secondarie,
semicapovolti nei fossi. Uomini sconvolti, sbandati, dispersi famelici,
coperti di sudore e di polvere, parte in divisa, parte stranamente
mascherati con vecchi cenci borghesi d’ogni foggia e colore, andavano
errando per ogni dove mendicando pane ed asilo.
Nelle vie e sulle piazze delle città e dei borghi risuonava l’aspra
parlata teutonica: uomini dal viso duro sotto i grandi caschi d’acciaiobalzavano, armi spianate, dai carri d’assalto, spalancavano a pedate le
porte delle abitazioni.
La radio italiana taceva; i giornali non uscivano, i treni erano fermi, le
comunicazioni interrotte, tutto il Paese sembrava sprofondare nel caos. I
dirigenti responsabili della nazione non c’erano più: erano scomparsi
nella rotta, nella fuga, nel tradimento.
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Nel momento più tragico della sua storia il popolo italiano era solo:
solo di fronte al suo destino.* * *
Settembre moriva. Il sole cadente si attardava sulle piccole case del
paesetto prealpino. Dalle porte uscivano le donne ed i bimbi per veder
passare un pugno di uomini dai visi bruni e barbuti, dagli scarponi
infangati che traversava la piazzetta. Avevano bombe a mano e caricatori
alla cintura, moschetto al braccio; al collo di qualcuno un fazzoletto
scarlatto. Presso la fontana, un vecchio mendicante li vide, li salutò con
suono della sua fisarmonica: una vecchia canzone della sua gioventù.
“Torna, torna Garibaldi…”.
Le donne, gli uomini sorridevano, i bimbi battevano le mani.Nell’imbrunire gli abitanti del paesello sperso sentirono che qualcosa di
nuovo era nato, che non erano più soli.
Il popolo italiano non era più solo. Alla sua testa riviveva Garibaldi.
Gli uomini che una sera buia, avevano voluto il nome dell’Eroe come
egida alla lotta di tutto il popolo italiano per sua vita, avevano riportato
Garibaldi in Italia. Dante Di Nanni era Garibaldi. Ed anche Sforzini lo
era, nel momento tragico e solenne del suo sacrificio: e lo erano Gaspare
Pajetta e Gardoncini, Capriolo e Lanfranco. Moretta era Garibaldi;
Moretta dal viso sanguigno e dal braccio possente, Moretta popolano
dalla grande voce animatrice e dal cuore generoso, combattente umile ederoico. Ed erano Garibaldi quegli uomini di fedi politiche diverse e di
ceti sociali diversi che avevano salito la montagna animati da un unico
slancio; lo slancio che aveva portato i rossi battaglioni su tutti i campi
del mondo ovunque vi fosse un popolo oppresso da difendere, una
ingiustizia da vendicare, un ideale di libertà popolare per cui morire.
Era lo slancio che aveva portato i rossi battaglioni nel portato i rossi
battaglioni nel sud America ed a Calatafimi, ad Aspromonte e a Digione;
a Guadalajara e su tutti i fronti di Spagna. Lo stesso slancio li portava
ora sui monti d’Italia. Il popolo italiano ritrovava ora dopo la diserzione
delle vecchie classi dirigenti il suo “momento” storico.
E sorsero e si svilupparono e furono Battaglioni e Brigate e Divisioni:
migliaia di volontari, il rosso fazzoletto al collo, la stella garibaldina sul
petto, centinaia di battaglie, innumerevoli eroismi, tutto un nuovo
capitolo della leggenda. Attorno a loro seppero unire tutto il popolo; al
loro fianco sorsero formazioni nate da tutte le correnti democratiche,
furono con loro nella lotta comune, garibaldini anch’essi (pur senza
averne il nome) del secondo Risorgimento d’Italia.
* * *
7/28/2019 2013 Raimondo Luraghi - American Legacy. Social and political history from a military point of view
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Otto settembre 1944. Si tornava da un’azione. Dal cielo grigio cadeva
lenta ed uguale la pioggia. Lassù, tra le balze del Montoso, siavvertivano i primi morsi del freddo. Ci trovammo la sera come per una
tacita intesa tutti li; tra le casupole pietrose della Cave. Sopra la massa
grigia degli uomini i grandi camions emergevano massicci ed immobili.
“Ragazzi, ricordate? E’ già un anno!” Così disse qualcuno e un fremito
passò tra le file silenziose. Un anno! Era stato sufficiente perché il nome
di Garibaldi ritornasse a correre temuto come un tempo tra le file
teutoniche, perché la parola “garibaldino” ritornasse a significare lotta,
sacrificio e gloria.
Altri uomini giungevano. Avevano agli abiti e le scarpe fangose, ma
lucenti le armi, pronte a colpire. Giungevano dalla Valle del Po,
sgomberata di fronte alla pressione irresistibile del nemico dopo mesi dicombattimenti.
Di nuovo settembre. Un altro inverno di fronte, un altro inverno da
lupi, un altro inverno di lotte e di morte. Gli uomini si tergevano il
sudore, posavano a terra le armi ed il materiale, si stringevano silenziosi
attorno a Barbato, formavano una grande falange sotto il cielo buio.
Era passato un anno. Ed un altro se ne presentava agli occhi dei
partigiani, altrettanto terribile, altrettanto pieno di incognite paurose. Nel
momento più grave Garibaldi aveva offerto ai suoi uomini solo
patimenti, sacrificio, stenti e battaglie. In un momento come quello i
garibaldini avevano accettato serenamente l’offerta, in nome della
giustizia, in nome della libertà di tutti i popoli.
Gli uomini erano affluiti quasi tutti ormai, si accalcavano nella piccola
conca. Allora da una, poi da cento, da duecento bocche un canto si levò
valicando trionfale le montagne, solenne nel tramonto. Dai petti dei
garibaldini le note dell’ “Internazionale” sgorgavano, mescolandosi al
soffio del vento. In quel momento e in quell’atmosfera il canto
sembrava, oltre al suo grande significato, assumerne altri diversi e nuovi:
esso non era più patrimonio solo nostro, di noi comunisti; non era più
soltanto il simbolo della lotta del proletariato. Esso sembrava assurgere a
bandiera comune di coloro che in quei momenti in tutto il mondo sibattevano e morivano per la libertà dei popoli; assurgeva a simbolo della
lotta universale per l’emancipazione di tutti gli oppressi del mondo.
Era in questo spirito e con quegli ideali che i partigiani avevano
rialzato sulle Alpi la bandiera di Garibaldi. Il popolo italiano, sempre
sanguinosamente estromesso dalla direzione politica del suo Paese,
sorgeva dalla rovina dei vecchi ceti dirigenti egoisti e corrotti, prendeva
nelle proprie mani il suo destino, si univa ai fratelli sovietici, jugoslavi,
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francesi, greci, spagnoli, polacchi, cechi nella grande battaglia comune
per una democrazia nuova.Così il nostro popolo scrisse, nel nome di Garibaldi, il nuovo capitolo
della sua storia. Così esso dimostrò a tutto il mondo che in qualunque
momento si osasse attentare alla democrazia ed alla libertà tutta l’Italia
avrebbe saputo indossare ancora una volta la camicia rossa, cantare
ancora una volta la canzone d’assalto: “Garibaldini, saldi come roccia,
pronti ovunque a battersi, a morir…”
Raimondo Luraghi
L’Unità 18 ottobre 1947 n. 244 (ed. piemontese)Concentrazione capitalistica
Grandi aziende industriali non pagano i salari dei loro dipendenti, né
le fatture dei loro fornitori; molte piccole e medie aziende sono sull’orlo
del fallimento; sempre più numerosi i miliardi sono imboscati all’estero
in modo che più si esporta più l’economia italiana si dissangua.
C’è ancora chi parla di liberismo e racconta che il risanamento
dell’economia, il nuovo equilibrio possono essere raggiunti solo
attraverso una crisi che elimini gli organismi economici infermi. Invece
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il nostro paese si trova di fatto in un regime di economia che non è per
nulla liberista: in un regime di economia che non esitiamo a definirecorporativistica; di economia cioè controllata, ma non già negli interessi
del paese, sebbene in quelli di ristretti gruppi monopolistici.
I grandi industriali italiani si preoccupano molto poco della
produzione. Essi mirano a far pagare le spese per la ricostruzione e per la
conversione delle aziende belliche in aziende per la produzione di pace,
a rafforzare le loro posizioni monopolistiche assorbendo le piccole e
medie aziende rovinate, a garantire, per ogni eventualità, le loro
ricchezze con investimenti all’estero od in beni che risultano legalmente
di loro proprietà privata anche se acquistati con mezzi forniti,
direttamente o indirettamente, dalle anonime in cui spadroneggiano
amministrando capitali, in parte almeno, non di loro proprietà.
I sistemi usati dalla grande industria in questo senso sono
fondamentalmente due:
a) i finanziamenti da parte dello Stato a bassissimo tasso di interesse
ed a lunga scadenza;
b) il congelamento dei crediti dei fornitori, piccoli e medi industriali ai
quali non pagano più le forniture.
A tutto ciò si accompagna logicamente una politica risolutamente
inflazionista, in quanto l’inflazione dovrebbe servire un bel momento a
cancellare di fatto gli ingenti debiti contratti dai grandi complessiindustriali.
Il governo è il manutengolo ed il paravento della manovra perché di
fatto la restrizione creditizia non è che un mezzo per continuare a
finanziare i grandi complessi col pubblico denaro, tagliando i viveri alle
piccole e medie aziende.
E’ ovvio infatti che se i dirigenti puta casi, della Breda, si precipitano
a Roma a dire che non possono più pagare le maestranze, il governo
allarga ipso facto i cordoni della borsa: se ci va invece il proprietario di
una piccola officina facilmente non verrà nemmeno ricevuto e non gli
rimarrà che… morire in silenzio o vendere al prezzo fallimentare la sua
azienda appunto ad uno dei grandi gruppi speculatori.
Un tipico caso di questi giorni è stato quello del gruppo Caproni
(comprendente la Caproni, la Isotta-Fraschini, la CEMSA e la
Reggiane), il quale non paga i salari dando ad intendere che le aziende
sono sull’orlo del fallimento; in realtà è risaputo negli ambienti
industriali milanesi che i beni del conte Caproni assommano a molti
miliardi: che a suo tempo la Banca Varesina (proprietà Caproni) sarebbe
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arrivata alla farsa di rifiutare un credito all’Isotta (proprietà Caproni);
che l’Isotta ebbe a suo tempo un credito argentino finito chi sa dove; chei capitali che dovrebbero servire ad attuare la riconversione ed a
rimettere in sesto l’azienda si trovano sparpagliati un po’ in tutte le parti
del mondo e che Caproni non intende affatto farli tornare a casa.
Secondo i giornali la Fiat ha avuto ieri mezzo miliardo dallo Stato e
non è la prima volta. Sarebbe ragionevole domandare come sono stati
impiegati i parecchi miliardi avuti dallo Stato e quali garanzie e quali
compensi questo ha ricevuto. In questo momento però è forse più
importante ancora la domanda: Perche non interviene l’IFI? L’IFI è la
holding che possiede le azioni della Fiat e di cento altre aziende fatte
sorgere a suo tempo, con i profitti ricavati dalla Fiat. Tutto è di proprietà
della dinastia Agnelli. Perché la dinastia Agnelli continua a ricavaremilioni dalle aziende redditizie e non reinveste nella Fiat i capitali che da
quella ha tratto i profitti? Perché la Fiat deve essere la vacca da cui gli
Agnelli hanno tratto milioni e milioni nei periodi buoni ed alla quale non
vogliono dare un po’ di aiuto nei periodi cattivi? Perché la dinastia
Agnelli non utilizza per la Fiat i dollari che ha imboscato all’estero?
Contemporaneamente si sta sviluppando un vasto gioco di
speculazione borsistica al ribasso che porta i piccoli risparmiatori,
pressati dall’inflazione e dalla ascesa dei prezzi, a svendere le loro poche
azioni che di sottomano vengono acquistate da gruppi finanziari italiani
e stranieri contribuendo così potentemente al processo di concentrazionedei capitali in poche mani e non tutte italiane. Un amico ci faceva notare
che con un dollaro è possibile acquistare sui mercati italiani tre azioni
Fraschini; e chi acquista naturalmente c’è!
Di fronte ad una tale situazione, per la classe operaia, per le masse
lavoratrici non c’è che una via: stringere sempre più i propri legami con
tutti i ceti produttivi che una simile politica porta alla rovina: con i
piccoli proprietari dissanguati dalle imposte che servono poi a finanziare
gli speculatori; con i piccoli e medi industriali che si vedono le aziende
sul punto di essere soffocate dalla pressione dei trusts; con i ceti medi
che la politica inflazionistica dei gruppi monopolistici e del governo lorosuccube minaccia di porre alla fame.
Solo una simile unità, una azione comune e concreta potrà salvare il
nostro paese dall’enorme manovra di concentrazione e di impoverimento
attualmente in corso, manovra favorita da un governo democristiano il
quale è ben lontano dal voler agire contro l’eccessiva concentrazione del
potere economico e della ricchezza condannata perfino da papa Pio XI.
Qualche parola, ogni tanto, contro i grossi capitalisti, ma i fatti sempre
contro i comunisti e contro i lavoratori.
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Raimondo Luraghi
L’Unità 12 ottobre 1947 n. 239 (ed. piemontese)
Il dramma della libertà nella Grecia insanguinata
Non vi è uomo amante della libertà in tutto il mondo, non vi è
democratico ed antifascista che non segua con commozione e sdegno la
tragedia del popolo greco, la tragedia dei Combattenti della Libertà di
quell’infelice paese oggi di nuovo costretti a battersi ed a morire contro
le forze del fascismo
internazionale.
I motivi però del ritorno
fascista in Grecia, le fasiattraverso cui le vecchie classi
dirigenti squalificate e disfatte
prepararono con la complicità
dello straniero la loro rivincita,
non sono note o chiare a tutta
l’opinione pubblica. In questo
senso il libro dello Dzelepy (che
ci auguriamo sia presto tradotto
in lingua italiana) viene
veramente a colmare una lacuna.
Le sue pagine sono dense di fattie di dati: l’opera è veramente un
contributo alla causa della
Libertà e della Verità.
Ed ecco il drammatico quadro.
All’atto dell’aggressione mussoliniana, in Grecia esisteva ne più ne
meno, una dittatura capitalistica di tipo fascista. Furono solo i legami
profondi tra la borghesia greca ed il capitale britannico che portarono il
governo di Métaxas nel campo avverso all’Asse. All’atto del crollo dello
Stato greco i dirigenti ed il re si erano rifugiati all’estero. All’interno del
paese tutti gli uomini della monarchia avevano concordementedichiarato che “non c’era niente da fare” che “bisognava collaborare coi
tedeschi per il bene del paese”, ecc.
Ma le classi lavoratrici che si pretendeva di deportare in massa in
Germania, i partiti democratici e popolari, il partito comunista in primo
luogo che da anni viveva perseguitato ed illegale, scelsero un’latra via.
La via partigiana, la via della resistenza e della lotta. Nacquero così
l’EAM (Fronte Nazionale della Resistenza) composto da tutti i partiti
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democratici ed antifascisti e l’ELAS (Esercito popolare di liberazione) in
tutto simile al nostro CVL [Corpo Volontari della Libertà].Così per i dirigenti monarchico-fascisti rifugiati all’estero fu chiaro
che la nuova Grecia che sarebbe risorta dopo la liberazione sarebbe stata
democratica e popolare: esattamente ciò che essi non volevano. Il libro
dello Dzelepy documenta a questo punto tutta la subdola opera condotta
dal governo greco emigrato per sabotare ed isolare le forze partigiane ed
antifasciste, per impedire che esse fossero rifornire di armi e di
munizioni, per far sì che esse non fossero riconosciute legalmente. La
tesi del governo monarchico-fascista espressa per bocca di Papandreu
suo primo ministro (un reazionario gabellato per… socialdemocratico)
era che “il popolo greco veniva terrorizzato dai tedeschi e dai partigiani”
(!), che “i Battaglioni di sicurezza (cioè le S.S. greche agli ordini deitedeschi) erano nati soltanto come… legittima reazione alle violenze dei
partigiani” e che, all’atto della liberazione i partigiani avrebbero dovuto
essere… severamente giudicati e puniti per i loro delitti!
Tuttavia la realtà dei fatti si imponeva, ed il governo greco dovette
invitare i membri dell’EAM a partecipare al governo stesso: il lavorio
mirante a sabotare questa partecipazione riuscì ad annullarla: ed anche
tutto ciò lo Dzelepy chiarisce attraverso tutta una serie di documenti, per
la più parte di fonte britannica o neutrale, quindi insospettabili.
Evidentemente allorché la Grecia fu liberata (ad opera dei partigiani
dell’EAM) ed il governo monarchico-fascista giunse ad Atene con tutte
le buone intenzioni di restaurare il regime fascista ed antipopolare, di
“punire i partigiani” e di giustificare gli uomini delle formazioni nere, le
cose non potevano finire che come sono finite: non si poteva chiedere al
popolo greco che da quattro anni lottava e sanguinava sotto la sferza
nazi-fascista di vedere i traditori premiati e i partigiani puniti.
Non si poteva pretendere che la restaurazione del fascismo
(appoggiata anche dai gruppi capitalistici anglo-americani) avvenisse
senza lotta.
Per questo il libro dello Dzelepy è, oltreché un documento, anche un
monito.Raimondo Luraghi
E. N. [Eleuthère Nicolas] Dzelepy: Le drame de la résistance grecque –
Editions "Raison d’être "– Paris [1946].
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L’Unità, 30 dicembre 1947 n. 305 (ed. piemontese)
Ventisette anni di lotte senza quartiere sostenute dal PartitoComunista Italiano
Il VI Congresso Nazionale si aprirà il 4 gennaio a Milano
Sta ormai per aprirsi il VI Congresso nazionale del Partito Comunista.
In questo momento che vede la lotta di classe diventare assai acuta nel
nostro paese, in questo momento per cui per la classe operaia e per le
classi lavoratrici si pone tutta una serie di problemi la cui soluzione non
può essere oltre dilazionata, tutto il nostro Partito guarda a questo VI
Congresso ed è per meglio inquadrarlo storicamente che noi proveremo
oggi a tratteggiare rapidamente le vicende ed il significato dei precedenti
Congressi nazionali del Partito comunista italiano.
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La spada e le Magnolie
da una
Prospettiva Marxista5
Il libro, edito nel 2007 da Donzelli, andrebbe letto anche solo per una
ragione: rappresenta una sorta di consuntivo di quasi mezzo secolo di
studi svolti dall’autore della monumentale Storia della Guerra Civile
americana, uno dei testi
fondamentali in lingua italiana
sull’argomento. Dopo una cosìlunga attività di studioso, la
scrittura di Luraghi rivela ancora
una genuina passione per le
tematiche riguardanti la Guerra
Civile e il rapporto tra Nord e Sud
degli Stati Uniti. Traspare non
solo una vasta conoscenza delle
vicende storiche di quelli che
furono gli Stati confederati, ma
anche una profonda fascinazione
per la cultura e la civiltà“southerner”. La ricostruzione
della genesi economica e politica
degli Stati sudisti è agile, ricca di
elementi in genere poco noti e che
sfuggono agli stereotipi diffusi in Europa sulla storia e l’identità
culturale degli Stati Uniti.
Alle radici della differenza e dello scontro
Ad una lettura marxista gli spunti di riflessione non mancano. Leradici del Sud (generalizzazione che comunque racchiude realtà con
profonde differenze sociali ed economiche) affondano nell’esperienza
cruciale delle missioni francescane (autentico modello per le future
piantagioni), nella colonizzazione francese con i suoi caratteri di società
aristocratica, nel lascito di una leva di piccola nobiltà inglese, alla
ricerca di fortuna e imbevuta di cultura classica. Ne sorse una complessa
5Recensione a “La Spada e le Magnolie” pubblicata online nel sito Prospettiva
Marxista, nel marzo 2009. Per gentile concessione.
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conformazione sociale, legata ad un’istituzione antiquata e avversa allo
sviluppo capitalistico come la schiavitù e al contempo intimamenteconnessa con le rotte del mercato mondiale (in ragione degli sbocchi
commerciali di prodotti come il tabacco e il cotone). In relazione a
questa formazione sociale si sviluppò un ceto politico che svolse un
ruolo di primissimo piano nella prima fase della formazione degli Stati
Uniti. Thomas Jefferson era un grande piantatore virginiano, come
virginiano era James Madison e lo stesso George Washington, anch’egli
piantatore e proprietario di schiavi. John Calhoun, che riveste un ruolo
importante nella storia del pensiero politico statunitense, era della
Carolina meridionale. Questa élite politica, che espresse anche quadri
militari di alto livello (la storia della Guerra Civile ha mostrato il valore
di uomini come Robert Edward Lee o Thomas “Stonewall” Jackson), siera formata e sviluppata mettendo sempre più in luce le differenze e le
divergenze rispetto ad un altro ceto dirigente che andava affermandosi
sul territorio statunitense. Il ceto politico che si fondava sui piantatori
sudisti rappresentava una società destinata alla rotta di collisione con le
forze capitalistiche in tumultuosa ascesa nel Nord e nel Medio Ovest.
Questo scontro si nutriva anche di una contrapposizione di valori, di
filosofie di vita, di ideali politici. La Nuova Inghilterra, culla dello
sviluppo nordista, rappresentava per certi versi l’antitesi della Virginia e
della cultura sudista in generale. La visione del mondo puritana, tesa a
valorizzare l’industriosità ed estranea se non ostile ai valori “signorili”
radicati nei ceti dominanti del Sud, si è rivelata una corrente profondanella formazione sociale nordista e capace di alimentare la
contrapposizione e lo slancio bellico contro la preminenza che gli
interessi e la cultura politica del Sud erano riusciti a guadagnarsi per
lungo tempo nell’Unione.
Lo scontro tra Sud e Nord, la dialettica in opera
Un elemento su cui un militante marxista può utilmente riflettere è
dato dall’impossibilità di capire la parabola storica del Sud nella sua
contrapposizione al Nord con le lenti di un rozzo materialismo nondialettico. Se si scorrono i dati dello sviluppo produttivo tra le due
sezioni nel corso della prima metà del XIX secolo, se si comparano le
reti ferroviarie, la consistenza dei centri urbani e persino il numero degli
abitanti (il Sud, nella lotta, fu costretto a procedere ad arruolamenti che
andavano a rastrellare «la culla e la tomba»), non si capisce non solo
come si sia potuto dispiegare un conflitto lungo e accanito (durante il
quale le forze del Sud seppero persino sfiorare vittorie che avrebbero
potuto cambiare il corso della guerra), ma persino la sua necessità,
considerate tendenze economiche e sociali così marcate. Non a caso,
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infatti, Lincoln ipotizzava una soluzione graduale della contrapposizione
tra Nord e Sud: circoscritta, circondata da preponderanti forze storiche disegno diverso, la schiavitù sudista si sarebbe estinta nel 1900. Ma gli
sviluppi storici non potevano andare in questo senso. Il Sud arretrato,
incomparabilmente inferiore dal punto di vista produttivo, aveva, proprio
in ragione della specifica forma
storica della sua arretratezza, espresso
praticamente da sempre i vertici
politici e militari dell’Unione (i
caratteri non pienamente capitalistici
del ceto dei piantatori erano al
contempo un freno allo sviluppo
economico e un fondamento dellaqualità politica e militare dei suoi
migliori esponenti), aveva ancora gli
strumenti per cercare di contrastare le
profondissime spinte del Nord
capitalistico. Le società del Sud non
rappresentavano semplicemente
scorie, retaggi da espellere nel nome
del destino capitalistico degli Stati
Uniti. Avevano radici profonde nel
territorio, avevano, anche se forse meno che in passato, rappresentanze e
potere negli equilibri politici dell’Unione. I loro ceti dirigenti avevanosoprattutto l’acuta percezione che cedere definitivamente lo scettro
politico ai borghesi industriali del Nord significava accettare la propria
scomparsa. Non potevano che optare per la lotta. In definitiva, con il
tempo, anche dal punto di vista bellico la superiorità economica del
Nord si sarebbe fatta pesantemente sentire (le truppe unioniste
beneficiarono tra l’altro di alcune eccezionali innovazioni industriali,
come il cibo in scatola e la vulcanizzazione della gomma che rendeva
possibile produrre uniformi ed equipaggiamenti impermeabili), ma
proprio la scansione temporale tra l’esistenza della forza economica e la
sua piena incidenza sul conflitto lasciava spazi alle armi del Sud e
rendeva credibile la sua strategia di sopravvivenza politica. Infatti il Sudottenne dapprima notevoli successi e seppe reagire con l’intraprendenza
della sua élite anche sul piano delle innovazioni, particolarmente
importanti nell’ambito della Marina. L’esito della guerra alla fine premiò
lo sviluppo capitalistico del Nord (capace comunque anch’esso di
esprimere quadri politici e militari di altissimo livello) e in ultima analisi
le tendenze alla definizione delle basi per la lotta proletaria socialista,
fondamentale ragione per cui Marx ed Engels appoggiarono
risolutamente la causa dell’Unione. Il dopo guerra si incaricò di mostrare
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ancora più chiaramente uno dei nodi essenziali del conflitto: la
realizzazione di un assetto statuale adeguato agli interessi borghesi delNord industrializzato. Quello che era stato il potere politico del Sud, la
sua influenza sulla configurazione dell’Unione fu spazzato via. Le
prerogative e il primato dei singoli Stati che erano stati sanciti
solennemente nella Costituzione della Confederazione sudista lasciavano
spazio ad una chiara e a tratti brutale centralizzazione federale. Non
scompariva solo la schiavitù, ma un intero assetto sociale e di potere che
ad essa si era legato. Il ceto dei piantatori fu colpito da durissimi
provvedimenti giuridici ed economici, di fatto espropriato ed espulso
dalla sfera di decisione politica. La borghesia nordista, alla faccia dei
suoi discendenti ed epigoni che oggi berciano sull’immoralità del
principio della dittatura proletaria, diede uno straordinario esempio didittatura classista, attuata, per il conseguimento di interessi storici di
classe, senza tanti fronzoli, con metodi spietati ed efficaci.
Mutamenti del razzismo
Di notevole interesse nel libro è anche la ricostruzione della questione
razziale. Se ne possono cogliere i passaggi, scanditi dall’evolversi delle
condizioni economiche e sociali. Il
razzismo, la discriminazione e
l’oppressione dei neri sono una
costante (e, come giustamente nota più
volte Luraghi, non certo solo al Sud)
ma questi aspetti mutano. All’origine
troviamo l’oppressione schiavistica,
talvolta spietata, talvolta accompagnata
e mitigata da un paternalismo e persino
da una sensibilità umanitaria non
estranei alla cultura dei ceti “signorili”
sudisti. Anche se è bene non mitizzare
questo tratto. La condizione di
schiavitù con i suoi orrori non sirisolveva solo nelle frustate. La
separazione famigliare, l’assenza di
diffuse e concrete prospettive di
raggiungimento di pieni diritti, la consacrazione del rango di “cosa”
dello schiavo, erano dati di fatto pienamente legittimati e difesi dalla
legge. La sensibilità della parte migliore della società sudista, i personali
convincimenti morali del singolo padrone potevano intervenire come
correttivo, ma questo intervento era in ultima analisi discrezionale e
affidato a scelte individuali. La condizione di servitù anche psicologica e
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culturale delle masse nere (Luraghi sottolinea il carattere relativamente
modesto delle ribellioni di schiavi, aggiungendo, aspetto estremamenteinteressante, che talvolta alla repressione partecipavano anche neri liberi
e proprietari di schiavi, mostrando pienamente il carattere classista del
conflitto) confermava da un lato l’efficacia degli strumenti di controllo
(non solo coercitivi) messi in campo dalla società sudista e dall’altro la
profondità dell’opera di condizionamento e
di sottomissione ai danni della popolazione
nera (non a caso alla testa delle ribellioni
tendevano a porsi neri che avevano potuto
acquisire conoscenze ed esperienze più
evolute). Nei decenni seguiti alla Guerra
Civile la forma di razzismo che sarebbeemersa con vigore nel Sud sarebbe stata
quella radicata tra i contadini bianchi
poveri. La rabbia per la sconfitta e i suoi
costi, la frustrazione sociale serpeggiante
negli strati popolari bianchi contribuirono a
coagulare fenomeni, anche organizzati, di ostilità verso i neri. Ma già a
questa forma di razzismo se ne affiancava un’altra, dando vita a intrecci
e sintesi che portavano il problema razziale su un piano differente
rispetto a quello della vecchia società sudista: la discriminazione dei neri
diventava anche uno degli elementi di forza delle nuove industrie
meridionali, in condizione così di avvalersi di forza lavoro sottopagata(analoghi meccanismi di sfruttamento operavano al Nord, dove si
indirizzano consistenti flussi migratori di neri). Antichi elementi di
discriminazione e di odio razziale si presentavano ormai profondamente
assorbiti e rielaborati nel moderno contesto capitalistico quando, alla
fine del XIX secolo, gli Stati Uniti furono attraversati da poderose
ondate di scioperi (alle officine Pullman di Chicago il presidente
Cleveland inviò l’esercito). In varie località sudiste, tra cui New Orleans,
il padronato utilizzò i neri poveri come crumiri. La carta razziale,
facendo detonare gravi scontri, si rivelava già un efficacissimo
strumento di divisione del fronte dei lavoratori.
Mutamento negli equilibri politici territoriali
La lettura del testo di Luraghi ci offre, inoltre, l’occasione per
osservare un fenomeno politico che, nonostante abbia rivestito a lungo
un’importanza decisiva nelle vicende politiche ed elettorali, tende a
sfuggire alle rappresentazioni storicamente più recenti e superficiali
della politica statunitense. Siamo infatti abituati a dividere politicamente
gli Stati Uniti in grandi aree di appartenenza politica e di orientamento
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ideale. Il Nord-Est (New York, Boston) come cuore dell’America
democratica, persino liberal, più sensibile ai legami storici con l’Europae le sue esperienze socialdemocratiche. Il vecchio Sud invece viene in
genere rappresentato come un feudo repubblicano, legato da sempre e
indissolubilmente a valori conservatori
se non reazionari. Ebbene, questa
semplicistica suddivisione, che pure ha
oggi un fondo di verità, ha origini in
senso storico molto recenti. Il Sud
infatti è stato a lungo un laboratorio
politico per esperienze, in genere poco
ricordate in Europa, come il movimento
populista (espressione in gran parte deipiccoli contadini sudisti) che seppe alla
fine del XIX secolo per un breve
periodo incunearsi come terza forza alle
elezioni presidenziali. Non solo, il Sud
ha rappresentato per una lunga fase
politica un sicuro bacino di voti e una
salda base di appoggio per il Partito
democratico. Quando, nel 1913, il
democratico Woodrow Wilson, figlio di un cappellano dell’esercito
confederato, venne eletto presidente, tra la folla festante si poterono
scorgere vecchie uniformi sudiste, le bande musicali suonarono Dixie esi sentì persino lanciare il rebel yell (il grido di battaglia dei reggimenti
confederati). Il binomio Sud-Partito democratico ha retto a due guerre
mondiali per incrinarsi solo nel secondo dopoguerra, con il progredire di
un vasto sommovimento delle rappresentanze politiche a livello
territoriale (basti dire che, mentre a lungo il Partito repubblicano era
stato il partito del Nord e il partito dove si trovavano i più acerrimi
avversari del Sud, nel 2004 il candidato democratico alla presidenza
John Kerry ha pagato a Sud la sua provenienza dalla Nuova Inghilterra).
Le presidenze Carter e Clinton, in anni più recenti, ci sembrano
suggerire che allo storico radicamento democratico nel vecchio Sud non
si è sostituita una egemonia repubblicana di pari profondità. Ma è anchevero che in alcuni dei principali Stati meridionali Obama ha dovuto
incassare una sconfitta, confermando così una certa fedeltà al Partito
repubblicano anche in presenza di una forte affermazione democratica su
scala nazionale. La nostra impressione, quindi, è che, sulla spinta di
profondi mutamenti nei rapporti di forza tra frazioni borghesi sul
territorio nazionale, la rappresentanza politica statunitense sia da tempo
alle prese con equilibri differenti rispetto ai precedenti storici, differenti
e non caratterizzati dalla stessa stabilità per lunghe fasi. Con queste
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considerazioni, però, ci avviciniamo troppo alla cronaca e ci
allontaniamo dalle tematiche affrontate da Luraghi.
Qualche annotazione critica
Nella parte conclusiva del testo, Luraghi affronta una disputa
storiografica e si cimenta in una battaglia culturale. Ravvisa il potente
ritorno alla scena di una tendenza a demonizzare il Sud e di una
sistematica falsificazione storica in nome del politically correct
(vengono citati anche recenti esempi cinematografici di questa
campagna, come il film Ritorno a Cold Mountain, che rappresenterebbe
in maniera distorta e storicamente infondata l’esercito confederato). In
tutta onestà, non abbiamo le competenze per esprimerci sul dibattitostoriografico e sulla disputa in cui Luraghi prende posizione. Ci
limitiamo a rilevare che, se effettivamente è presente oggi negli Stati
Uniti un vasto fenomeno di colpevolizzazione del Sud o di rilettura in
senso fortemente polemico della storia sudista, le cause andrebbero
cercate nelle dinamiche capitalistiche statunitensi, nelle lotte tra frazioni
borghesi, capaci di alimentare, indirizzare e utilizzare correnti di
opinione e campagne mediatiche. Non ci sembra che cercare la risposta
in «forze diaboliche» impegnate a tramare contro la rinascita del Sud
possa portare a risultati soddisfacenti. In generale, abbiamo ricavato
l’impressione che, più si avvicina al presente, e più l’analisi di Luraghi
faccia concessioni a certe letture ideologiche, perdendo in parte il rigore
metodologico e la solidità di argomenti che sono presenti nella prima
parte del libro. Si tratta a nostro avviso di un problema che non riguarda
certo solo il caso specifico del testo in questione o del suo autore.
Possiamo anzi affermare che in linea di massima gli studi storici che non
si fondano saldamente sul metodo marxista tendono a lasciarsi sviare da
influenze ideologiche, da punti di vista dettati dal coinvolgimento
emotivo o da interessi agenti in maniera più o meno cosciente soprattutto
quando si affrontano nodi e questioni che hanno ancora intensi e
sensibili legami con la fase presente. Proprio quando l’analisi storica si
avvicina in maniera sempre più diretta ai conflitti e ai problemi delpresente, la capacità di orientamento del metodo scientifico marxista si
impone con particolare urgenza e al contempo risulta complessa e
impegnativa la sua acquisizione. Questo non significa che la ricerca e
l’analisi non marxiste non possano essere serie e approfondite. Il lavoro
di Luraghi dimostra proprio che, anche in presenza di una sicura
competenza, di una riconosciuta serietà di studio, l’assenza del metodo
marxista tende a lasciare spazio alle false coscienze che in maniera
particolare avvolgono le tematiche e i fenomeni che ancora pesano e
toccano vivi interessi nella società contemporanea. La comprensione di
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profondi processi storici non è data dalla semplice somma di
conoscenze, dal solo, graduale, e magari anche vasto, accumulo di dati.Occorre, secondo noi, che questo lavoro di studio, necessario, sia
guidato e disciplinato dal metodo marxista. Talvolta l’entusiasmo e
l’idealismo del sincero democratico Luraghi sfociano in giudizi che, da
marxisti (e, quindi, da critici freddi e classisti della democrazia), non
possiamo condividere (si pensi alla descrizione della figura di Franklin
Delano Roosevelt e della sua politica o alla Prima guerra mondiale
scatenata dalla «follia» delle potenze europee). Anche la ricostruzione
del movimento politico dei neri nei termini di una contrapposizione tra
moderati (buoni) ed estremisti (cattivi) non ci convince. Questi aspetti,
che a nostro avviso costituiscono dei limiti del libro, non cancellano però
l’utilità di una sua attenta lettura.