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La lingua hittita oggi: stato delle ricerche, problemi attuali e strumenti di lavoro Massimiliano Marazzi - Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli 0. Premessa Una presentazione dello stato degli studi sulla lingua hittita che tenga effettivamente conto di tutti gli aspetti della ricerca risulta quanto mai difficile non solo in ragione della enorme mole di contributi che ne hanno caratterizzato gli sviluppi in quest’ultimo decennio, ma anche e soprattutto per la complessità (e spesso per l’ambiguità) che i dati oggi a disposizione presentano. Di qui la scelta di costruire una rassegna che sia in primis informativa dello stato degli studi, a cominciare dagli strumenti di lavoro a disposizione, e delle tendenze che si sono andate evolvendo all’indomani di una serie di contributi fondamentali, pubblicati soprattutto negli anni ’70, che hanno avuto essenzialmente il merito di dare alle testimonianze documentarie hittite uno spessore diacronico e di permetterne quindi una lettura storica. Essa fa seguito a un precedente lavoro (Marazzi 2002), cui si rimanda per un’informazione più dettagliata relativa agli studi sviluppatisi nel settore hittitologico nella seconda metà del secolo scorso. 1. Strumenti di lavoro 1.1. Le grammatiche e le opere di sintesi A fronte dell’unica grammatica di base pubblicata, nella sua seconda edizione, da J. Friedrich nel 1960, seguita nel 1969 dalla più ampia trattazione sulle lingue anatoliche del II millennio, edita nello Handbuch der Orientalistik da A. Kammenhuber, e dalle due brevi grammatiche comparate delle lingue anatoliche di B. Rosenkranz e P. Meriggi della fine degli anni ’70 (rispettivamente 1978 e 1980), si dispone oggi di una serie alquanto ricca e varia di opere generali di diversa ampiezza e spessore, ma tutte estremamente stimolanti. Quadri di sintesi, dedicati in generale alle lingue del gruppo anatolico, o più specificamente allo hittita, sono comparsi a cominciare dalla metà degli anni’90 a cura di C. Melchert (1994a e 1995), S. Luraghi (1997a, edizione in lingua inglese 1998), all’ultimo C. Watkins (2004). Nel 1997 la stessa S. Luraghi (1997b) pubblicava, per la serie Languages of the World, un’agile manuale in lingua inglese sulla lingua hittita, avente il pregio di recepire pienamente le nuove tendenze di ricerca e, prima fra tutte, quella di una recuperata profondità diacronica delle manifestazioni documentarie cuneiformi e di un diverso approccio ai problemi della sintassi. Più tradizionale per impostazione e con un taglio preminentemente didattico, ma egualmente attenta alle nuove prospettive di studio diacronico, soprattutto nell’ambito della morfologia nominale, è stata la grammatica pubblicata in lingua italiana qualche anno dopo (2005) da R. Francia.

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La lingua hittita oggi: stato delle ricerche, problemi attuali e strumenti di lavoro Massimiliano Marazzi - Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli 0. Premessa Una presentazione dello stato degli studi sulla lingua hittita che tenga effettivamente conto di tutti gli aspetti della ricerca risulta quanto mai difficile non solo in ragione della enorme mole di contributi che ne hanno caratterizzato gli sviluppi in quest’ultimo decennio, ma anche e soprattutto per la complessità (e spesso per l’ambiguità) che i dati oggi a disposizione presentano. Di qui la scelta di costruire una rassegna che sia in primis informativa dello stato degli studi, a cominciare dagli strumenti di lavoro a disposizione, e delle tendenze che si sono andate evolvendo all’indomani di una serie di contributi fondamentali, pubblicati soprattutto negli anni ’70, che hanno avuto essenzialmente il merito di dare alle testimonianze documentarie hittite uno spessore diacronico e di permetterne quindi una lettura storica. Essa fa seguito a un precedente lavoro (Marazzi 2002), cui si rimanda per un’informazione più dettagliata relativa agli studi sviluppatisi nel settore hittitologico nella seconda metà del secolo scorso. 1. Strumenti di lavoro 1.1. Le grammatiche e le opere di sintesi A fronte dell’unica grammatica di base pubblicata, nella sua seconda edizione, da J. Friedrich nel 1960, seguita nel 1969 dalla più ampia trattazione sulle lingue anatoliche del II millennio, edita nello Handbuch der Orientalistik da A. Kammenhuber, e dalle due brevi grammatiche comparate delle lingue anatoliche di B. Rosenkranz e P. Meriggi della fine degli anni ’70 (rispettivamente 1978 e 1980), si dispone oggi di una serie alquanto ricca e varia di opere generali di diversa ampiezza e spessore, ma tutte estremamente stimolanti. Quadri di sintesi, dedicati in generale alle lingue del gruppo anatolico, o più specificamente allo hittita, sono comparsi a cominciare dalla metà degli anni’90 a cura di C. Melchert (1994a e 1995), S. Luraghi (1997a, edizione in lingua inglese 1998), all’ultimo C. Watkins (2004). Nel 1997 la stessa S. Luraghi (1997b) pubblicava, per la serie Languages of the World, un’agile manuale in lingua inglese sulla lingua hittita, avente il pregio di recepire pienamente le nuove tendenze di ricerca e, prima fra tutte, quella di una recuperata profondità diacronica delle manifestazioni documentarie cuneiformi e di un diverso approccio ai problemi della sintassi. Più tradizionale per impostazione e con un taglio preminentemente didattico, ma egualmente attenta alle nuove prospettive di studio diacronico, soprattutto nell’ambito della morfologia nominale, è stata la grammatica pubblicata in lingua italiana qualche anno dopo (2005) da R. Francia.

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Complesso si presenta, invece, il progetto di S. Vanséveren di un “Manuel de la langue hittite”, previsto in 2 volumi, dei quali il primo, riguardante l’inquadramento generale della lingua, la fonologia e la morfologia nominale, è comparso nel 2006. Il lavoro, infatti, pur mantenendo un taglio di fondo didattico (come confermano le ampie sezioni dedicate ai problemi della scrittura con il ben costruito segnario alla fine del volume), presenta un’impostazione preminentemente di carattere indoeuropeistico, come si evidenzia dall’attenzione dedicata sia ai problemi fonologici (con ricca documentazione di riferimento), sia alla formazione nominale e alla definizione “etimologica” dei morfemi della flessone nominale stessa. Si rileva, tuttavia talvolta una certa ambiguità fra quanto si debba intendere come riferibile a un parametro linguistico “protoanatolico” ricostruito e quanto invece debba essere riferito a una postulata fase indoeuropea comune. Inoltre, proprio nella definizione delle dimensioni della flessione nominale, le categorie di genere e numero, così come il sistema dei casi mancano quasi completamente della necessaria articolazione diacronica all’interno delle diverse fasi oggi chiaramente individuate nell’ambito dello sviluppo della lingua hittita. Una valutazione equilibrata dell’opera non è possibile al momento, mancando la morfologia verbale e l’intera sezione della morfosintassi, previste nel secondo volume ancora in fase di preparazione. A parte due presentazioni della lingua hittita consultabili nel WEB, curate rispettivamente da O. Lauffenburger (Hittite Grammar, in lingua inglese e francese, www.premiumwanadoo.com/cuneiform.languages/index_en.php?page=accueil) e S.E. Kimball,. W.P. Lehmann e J. Slocum (Hittite Online, Linguistic ResearcCenter,

h www.utexas.edu/cola/centers/lrc/), di impostazione completamente diverso è in

recentissimo contributo di E. Rieken contenuto nell’opera collectanea sulle lingue dell’Antico Oriente curata da M.P. Streck per la classica collana dei manuali di linguistica della Wissenschaftliche Buchgesellschaft di Darmstadt (3^ edizione del 2007).

vece il

Pur nella sua schematicità (50 pagine ca.), quindi senza la pretensione di assumere il ruolo di una vera e propria grammatica di base, tale contributo rappresenta oggi forse il quadro più completo ed equilibrato nell’ambito delle presentazioni dello stato delle conoscenze dello hittita. Esso coniuga, infatti, una precisa e puntuale descrizione filologica con una equilibrata valutazione rispetto alla collocazione della lingua hittita nella famiglia indoeuropea. Presenta, inoltre, il non comune pregio di individuare, per molte peculiarità di tipo morfosintattico, il carattere “in progress” della documentazione in nostro possesso, riflesso cioè di uno stato di lingua in fase di cambiamento e quindi con manifestazioni, a livello di “lingua scritta” (tutta, per altro, proveniente dalle cancellerie regie), spesso apparentemente contraddittorie. Un discorso completamente a parte merita, invece, l’ultima e forse più impegnativa opera sulla lingua hittita: la grammatica pubblicata nel 2008 da H. Hoffner e C.Melchert (una sintesi sulla sola morfologia è stata offerta parallelamente in Melchert 2007a). Si tratta di un imponente lavoro (ca. 500 pp., in lingua inglese, corredate da un fascicolo didattico a parte, di 75 pp., articolato in 14 lezioni per l’autoapprendimento) destinato certamente a rappresentare per gli anni a venire la grammatica di riferimento par excellence. Punto di forza è certamente rappresentato, a prescindere dall’ampiezza con la quale sono sviluppate le diverse parti che la compongono, dal sapiente equilibrio con il quale sono coniugati necessità didattiche e approfondimento scientifico, come testimoniato, ad esempio, dal capitolo riguardante uno dei problemi più delicati, quello relativo al rapporto fra ortografia e fonologia. Tutti i problemi più attuali, soprattutto per quanto concerne le categorie che caratterizzano la morfologia sia nominale che verbale (genere, numero, tempo, aspetto, Aktionsart etc.) sono ampiamente dibattuti e, soprattutto, sempre inseriti in quella prospettiva diacronica che, come si

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diceva inizialmente, rappresenta l’elemento nuovo della ricerca hittitologica: la lingua hittita, pur con le limitazioni dovute alle peculiarità della documentazione testuale che la rappresenta, non può più essere affrontata come blocco monolitico invariato e invariabile durante il ca. mezzo millennio di sua attestazione. Va però rimarcato come, a fronte della completezza e del dettaglio degli argomenti trattati e della giusta impostazione “storica” della descrizione dello stato di lingua, alcuni punti cruciali della discussione in atto siano presentati in forma poco critica. Questo riguarda essenzialmente la definizione della categoria “genere”, automaticamente identificato (con importanti conseguenze sotto il profilo morfosintattico) con quella di “animatezza” (non corrispondente, quindi, all’originale bipartizione di F. Starke1977 in “Personenklasse” e “Sachklasse”) e la definizione di un vero e proprio “caso ergativo” proprio della declinazione dei sostantivi neutri (identificati tout-court con la categoria degli “inanimati”) nel caso in cui questi vengano a svolgere funzione di soggetto di verbo transitivo. Si tratta certamente di problematiche molto dibattute, che vedono ampie disparità interpretative, i cui termini si sarebbero dovuti certamente specificare in forma più ampia e dettagliata nell’economia di un’opera che, soprattutto sotto il profilo didattico, rappresenterà per molti anni ancora la grammatica più completa della lingua hittita. Tutto sommato, attraverso la lettura delle diverse sezioni delle opere più recenti fin qui ricordate, e i riferimenti bibliografici in esse contenuti, è possibile ottenere un quadro informativo sostanzialmente completo sullo stato delle conoscenze oggi in nostro possesso per quanto concerne l’aspetto “sistemico” della lingua hittita. Diversamente stanno le cose per quanto concerne le opere di sintesi critica sotto il profilo della sua storia, dei supporti e generi scrittorî, delle procedure di conservazione e tradizione testuale, delle possibili articolazioni in senso politico-sociale all’interno del panorama geolinguistico dell’Anatolia della seconda metà del II millennio a.C. A parte i riferimenti bibliografici rintracciabili al margine delle opere di carattere grammaticale o nelle diverse sezioni del nuovo Portale dedicato agli studi hittitologici (www.hethiter.net, in particolare le sezioni sulla “hethitische Bibliographie”, “Systematik zur hethitische Bibliographie” e “kritische Bibliographie der Lexikographie des Hethitischen”), la conoscenza rimane frammentata in una serie di contributi specifici, spesso di non facile rintracciabilità e, soprattutto, valutazione per il non addetto ai lavori. Manca, insomma, ancora una “storia della lingua hittita” intesa nel senso più ampio del termine; e questo (come si vedrà meglio più avanti) va, almeno in parte, imputato da un lato al fatto che quella profondità diacronica delle testimonianze documentarie, di cui si è già più volte fatto cenno, è acquisizione ancora troppo recente per essere proiettata dalla specificità delle singole tematiche all’ampiezza di una ricostruzione linguistica globale; dall’altro alla fluidità che ancora caratterizza la conoscenza di quegli aspetti che potremmo definire “paralinguistici” (come l’organizzazione e la trasmissione del testo scritto, lo sviluppo stesso di una cultura letterata e l’effettiva diffusione e competenza dei parlanti hittita), ma che sono imprescindibili per una ricostruzione che abbia dignità storica. Il recentissimo lavoro (2008) di M. Popko sui gruppi linguistici e i popoli dell’Anatolia, anche per il fatto di essere dedicato all’insieme delle lingue dell’Anatolia preclassica, rimane a un livello alquanto generalistico e, soprattutto, di impostazione tradizionale. Così pure l’opera d’assieme sulla hethitische Literatur di V. Haas (2006) si limita a un panorama antologico dei documenti relativi ai suoi generi.

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1.2. Hittita e Indoeuropeo Un capitolo a parte è rappresentato dal confronto fra la lingua hittita e la famiglia indoeuropea, soprattutto sotto il profilo dell’arcaicità/particolarità che la prima rappresenterebbe nei confronti della seconda. Anche in questo caso non è possibile far riferimento agli innumerevoli contributi comparsi nell’ultimo decennio. Le testimonianze hittite sono però ampiamente recepite e valutate nell’ambito della nuova edizione della Indogermanische Sprachwissenschaft (2002) di M. Meier-Brügger (ora anche in lingua inglese, 2003, sempre per i tipi di De Gruyter) e trovano una specifica trattazione nella Introduction alla linguistica indoeuropea di J. Clackson (2007, soprattutto per quanto riguarda la morfologia verbale). Alcune tematiche e strumenti di lavoro specifici, hanno tuttavia caratterizzato la ricerca di questi ultimissimi anni. Con la Hittite Historical Phonology di S. Kimball (1999), ma soprattutto con l’Anatolian Historical Phonology di C. Melchert (1994b), il sistema fonologico dello hittita non solo è venuto ad assumere una propria fisionomia rispetto al cd. Proto-Indoeuropeo, ma ha ricevuto altresì la necessaria caratterizzazione per quanto concerne le proprie forme di espressione per mezzo del sillabario cuneiforme. Anche se in alcuni casi, come quello della realtà fonologica del suono vocalico /e/, il confine fra convenzione scrittoria e realtà fonemica rimane parzialmente ambiguo, risulta ormai superato il concetto di casualità/confusione della notazione sillabica cuneiforme della lingua hittita, dominante a cominciare dalla sua decifrazione fino a tempi relativamente recenti1). E’ partendo da questa base e dal contemporaneo studio della Rieken sulla formazione nominale (1999), oltre che dall’esperienza dei due maggiori dizionari etimologici (per altro, ancora non interamente compiuti nelle loro parti) di J. Tischler e J. Puhvel 2), che si sono potuti sviluppare due recentissimi lavori essenziali: il dizionario etimologico dello Hittite Inherited Lexicon, di A. Kloekhorst (2008)3), e la sezione hittita della Nominale Wortbildung des Indogermanischen, edita da R. Lühr e curata nello specifico da J. Matzinger (2008). Soprattutto la prima opera presenta nella sua prima parte, Towards a Hittite Historical Grammar, un quadro accurato dell’inventario fonemico, della formazione nominale e pronominale e del sistema verbale dello hittita in rapporto al cd. Protoanatolico e al Proto-Indoeuropeo. A esso fa da pendant l’altrettanto recente repertorio dei Nomina im Indogermanischen Lexikon (Heidelberg 2008), curato da D.S. Wodtko, B. Irslinger e C. Schneider, nell’ambito del quale, al pari del precedente Lexikon der indogermanischen Verben di H. Rix (2^ ed. 2001), le conoscenze nel frattempo acquisite nel settore hittitologico appaiono pienamente valutate. Per quanto concerne più nello specifico l’intera problematica relativa alle categorie nominali di genere e caso e, in particolare per la situazione hittita, alle conseguenze sul piano morfosintattico, la discussione è stata recentemente riaffrontata in maniera organica da S. Zeilfelder (2001; con la ripresa nella trattazione di R. Matasović 2004, pp. 33ss. sul “genere” in Indoeuropeo). La tematica è estremamente complessa e coinvolge da un lato il rapporto tracciabile fra la categoria grammaticale di “genere” e quella semantica di “animatezza”, dall’altro le “modalità di accesso” ai diversi morfemi flessionali, e dall’altro ancora le limitazioni relative al ruolo di “agente” nella funzione di soggetto dei verbi transitivi attivi.

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Come è stato a suo tempo chiaramente dimostrato da F. Starke (1977, e come è sottolineato in Zeilfelder 2001, pp.153ss., ma cf. anche Rieken 2007, p. 87s.) la determinazione, nella fase più antica della lingua hittita documentata, di 2 classi in opposizione semantica (Sachklasse ≠ Personenklasse) non copre l’opposizione binaria di genere (neutro ≠ comune), che di conseguenza non appare per via diretta motivata semanticamente (con tutte le conseguenze per quanto concerne una valutazione “arcaica” sotto il profilo indoeuropeistico dello hittita). Di fatto, almeno per quella fase di lingua convenzionalmente definita “antico-hittita”, appaiono all’opera due sistemi concomitanti, ma non corrispondenti: uno, che potremmo definire grammaticale, relativo al genere, e uno di tipo semantico pertinente all’animatezza. A livello di corrispondenza, infatti, la classe semantica degli “inanimati” (se così possiamo, in termini puramente convenzionali, tradurre la definizione di “Sachklasse” di F. Starke) supera i confini di quella di genere relativa ai neutri e abbraccia una parte cospicua dei comuni. Graficamente la situazione sarebbe rappresentabile come segue:

Al piano della animatezza appare demandato essenzialmente l’accesso a precisi morfemi flessionali (quelli del cd. allativo, dell’ablativo e dello strumentale), fatto che, di conseguenza, “systmatisch die Verwendung morphosyntaktischer Kategorien bestimmt und damit über eine bloβ pragmatisch bedingte Gebrauchsweise hinausgeht” (Rieken 2007, p. 88s.). La concordanza avviene, al contrario, sul piano del genere, e così pure è al genere (e non all’animatezza) che si fa riferimento al momento di definire l’attribuzione del ruolo sintattico di soggetto in una frase con predicato transitivo attivo. Che tale complesso sistema, cui è collegato un altrettanto complesso equilibrio di costruzioni per quanto concerne i cd. casi e avverbi dimensionali (per il quale si rimanda allo stesso Starke 1977, e, per un quadro aggiornato, a quanto criticamente riconsiderato in Zeilfelder 2001, alle sez. A.I. e A.II.), già cominci nelle testimonianze antico-hittite a mostrare una serie di incongruenze, è fatto accertato (cf. la stessa Zeilfelder 2001 e gli esempi in Hoffner-Melchert 2008, alla sez. 3.7.). In età imperiale, parallelamente a un processo di sincretismo dei casi (che ne riduce drasticamente il numero e che sconvolge parimenti il complesso originario sistema di avverbi dimensionali), si assiste alla definitiva affermazione della sola categoria del genere quale elemento regolatore dei processi morfosintattici.

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Ai temi fin qui illustrati si collegano le problematiche, recentemente oggetto di una ricca riflessione, relative al cd. “caso ergativo” (quale dispositivo per permettere l’accesso di un nome neutro alla funzione di soggetto di frase transitiva attiva) e alla effettiva esistenza e produttività di una dimensione categoriale “collettiva” accanto a quella del plurale per quanto attiene al numero. Per quanto riguarda la complessa discussione sulla effettiva esistenza di un “caso ergativo” in hittita, non è certamente questa la sede per affrontare nel dettaglio una simile problematica. Di fatto, che un morfema (?) -anza (sing.)/ -antes (plur.) caratterizzi i nomi neutri in funzione di soggetto di verbo transitivo attivo è cosa nota da tempo4); il problema risiede nell’interpretazione di tale morfema e nella conseguente ricostruzione del processo che avrebbe portato alla sua applicazione. Le principali tre diverse posizioni in proposito sono state ribadite in una serie di interessanti contributi pubblicati recentemente (cf. Oettinger 2001, Melchert in corso di stampa, Josephson 2004, Patri 2007). Resta al riguardo, a mio parere, come ipotesi più attendibile la tendenza a vedere nella risultanza in -anza il portato di un processo originariamente derivazionale avente al centro il suffisso (multifunzionale) -ant-+la marca -s del nominativo comune aggiunto al tema dei casi obliqui del sostantivo neutro; tale processo, pur derivazionale nel suo percorso storico, può, se visto nei suoi meccanismi di applicazione sincronica, assumere valenza grammaticale e fungere (nella competenza linguistica hittitofona) da vero e proprio “caso ergativo”. Vale tuttavia puntualizzare come tale processo, anche se innescato dalla valenza semantica del suffisso -ant-, incide sul piano del genere e non certo su quello della “animatezza”5). Proprio la funzione individuativa/singolativa attribuibile al suffisso -ant- (sulla quale non si può che rimandare ai due già citati contributi di Oettinger 2001 e Josephson 2005), decollettivizzante (nel senso di pluralizzante nei confronti di nomi collettivi all’origine “non contabili”) e quindi in grado di rendere un nome neutro attore/soggetto di espressione transitiva attiva, è alla base della rinnovata riflessione sul “collettivo” quale effettiva dimensione della categoria del numero, apparentemente ancora produttiva nella fase più antica della lingua hittita documentata. Il merito di aver riaperto la discussione in proposito e di averla posta sui giusti binari va a C. Melchert nell’ambito di un contributo purtroppo poco recepito in ambito hittitologico6).

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Apparenti fenomeni di oscillazione fra genere comune e neutro al plurale (es. sagaus ≠ sagae, alpus/alpas/alpa) rientrerebbero regolarmente quale manifestazione di un processo di pluralizzazione (nel senso di pluralità contata) di neutri (collettivi) o di collettivizzazione di comuni (plurali). Al pari di altre dimensioni categoriali relative al numero, anche la produttività della dimensione “collettivo” sembrerebbe spegnersi in età hittita imperiale, con la conseguente reinterpretazione del collettivo quale morfema caratterizzante il plurale dei nomi neutri. Nel settore della morfologia e morfosintassi del verbo dobbiamo di nuovo a C. Melchert il merito di aver riaperto la discussione sull’”arcaicità”/”innovatività” (nella misura di mancanza/perdita) in relazione alla presenza/assenza di alcune categorie, con particolare riguardo a quella dell’”aspetto” (cf. Melchert 1997, 1998, e Hoffner-Melchert 2002). Ai contributi di Melchert e Hoffner-Melchert si è di recente aggiunto quello di V. Cambi (2007, ma cf. i precedenti contributi in Cambi 2002, 2006a, 2006b ). Il problema di fondo nel caso specifico consiste nel definire a monte cosa si intenda per “aspetto”, tenuto conto dell’uso spesso differente che di questo termine viene fatto soprattutto in ambiente linguistico anglosassone (tale problema è ben presente e correttamente valutato sia in Melchert 1997, con particolare rif. alla nota 1, sia in Hoffner-Melchert 2008, cap. 24). Infatti, che nell’ambito dello hittita esistano diversi dispositivi per esprimere l’aspettualità a fronte di un’architettura verbale monotematica, è fatto ben conosciuto da tempo (il già cit. cap. 24 in Hoffner-Melchert 2008 offre a tale proposito un ampio panorama sia delle modalità espressive, sia degli studi condotti al riguardo). Diversamente si pone la situazione se si segue l’assunto metodologico in Strunk 1994, e cioè se per “aspetto” intendiamo “esclusively contrastive imperfective and perfective functions of inflectional present- vs. aorist-stem forms”, rimandando a un piano lessematico (quindi, sempre secondo la definizione di Strunk, al Verbalcharkter e alla Aktionsart) quell’opposizione durativo ≠ puntuale espressa sia dalla semplice radice verbale, sia da possibili ampliamenti di temi del presente (attraverso suffissi e infissi). In questo senso, e in accordo anche con il quadro ricostruttivo di recente riproposto in Meier-Brügger 2002 (§ F 206, Stadio A dello sviluppo ricostruito), non esisterebbero le premesse per postulare l’esistenza in hittita di un’architettura del sistema verbale del quale l’”aspetto” rappresenti una dimensione produttiva7). Non diversamente stanno le cose per quanto concerne la categoria verbale del modo, e nello specifico il congiuntivo. Se da un lato, infatti, prevale la tendenza, premessa l’assenza di modi in hittita oltre all’indicativo e l’imperativo, a indagare sulle forme non categorizzate atte a esprimere le differenti modalità8), dall’altro, partendo da una nuova ricostruzione delle fasi più antiche del Proto-Indoeuropeo, si pone attenzione alle possibile tracce non solo di opposizione aspettuale, ma anche di articolazioni modali, seppure in fase ancora embrionale, riferibili a uno stato di lingua “protoanatolica”9). In conclusione, anche se è riscontrabile una rinnovata generalizzata tendenza a vedere nell’anatolico, e nello hittita in particolare, la testimonianza di un sistema di lingua riferibile a una fase arcaica del Proto-Indoeuropeo10), questa, diversamente rispetto alla maggior parte delle opere che hanno caratterizzato gli anni ’8011), sembra ora accompagnarsi a una più approfondita riflessione sulla validità applicativa generalizzata di alcune categorie grammaticali così come tradizionalmente stabilite sulla base di stati di lingua relativamente recenti, quindi sull’esistenza di funzioni oppositive “altre” (nel senso di non tradizionali), per quanto ad es. concerne animatezza, genere, aspettualità e modalità.

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2. Recenti problematiche Come si è già avuto modo di sottolineare, manca a oggi una “storia della lingua hittita” intesa quale opera di sintesi - sul modello ad es. delle tradizionali opere sulla lingua greca di Hoffmann-Debrunner-Scherer o Meillet - comprendente tutte le manifestazioni letterate e letterarie che caratterizzano questa lingua indoeuropea di così antica attestazione12). Il fatto è che molti aspetti legati alla letterarietà hittita (nel senso di literacy) permangono indefiniti o, sulla base degli studi più recenti, in fase di profondo cambiamento. Riteniamo, quindi, utile considerare, seppure in forma concisa, i punti più importanti e segnalare le opere maggiormente significative al riguardo. 2.1. Letteratura e letterarietà: questioni di metodo e di cronologia Nella rappresentazione tradizionale della produzione documentaria hittita si è ormai consolidata la visione di una società letterata fin dagli inizi delle sue prime manifestazioni politiche, e cioè a cominciare dal suo primo dinasta storicamente attestato: Hattušili I (attorno alla metà ca. del XVII secolo a.C.). Proprio le sue campagne militari verso i grandi centri della Siria settentrionale (Karkemiš, Halap, Ebla, Uršum Alalah), nell’ambito dei quali la tradizione scribale cuneiforme mesopotamica appare ben stabile e sviluppata fin dal III millennio, avrebbe portato all’acquisizione dello strumento scrittorio e, di conseguenza, alla formazione presso la residenza dei sovrani hittiti, Hattuša, di una scuola scribale cuneiforme anatolica13). Lo studio del ductus che caratterizza la stesura dei documenti cuneiformi hittiti è arrivato, attraverso soprattutto gli studi condotti da H. Otten, Chr. Rüster ed E. Neu a cominciare dagli inizi degli anni ’7014), a determinare un oggettivo strumento di valutazione cronologica di tali documenti, individuando una fase scrittoria definita “antico hittita”, abbracciante l’intero periodo più antico fino agli immediati predecessori di Šuppiluliuma I, una fase “media” o di transizione/innovazione, e una fase “imperiale” (passibile di ulteriori sottodivisioni al suo interno), che dal regno di tale dinasta arriverebbe fino alle più tarde attestazioni, attorno agli inizi del XII secolo, quando, con l’abbandono della capitale e il dissolvimento del regno territoriale unitario, l’intera tradizione cuneiforme scribale hittita scompare. La definizione di uno sviluppo del ductus, quindi la possibilità di attribuire cronologicamente documenti di diverso genere a fasi temporali ben precise e di lavorare di conseguenza su corpora cronologicamente omogenei, ha permesso l’acquisizione di una profondità diacronica di ben quattro secoli delle manifestazioni linguistiche hittite e la possibilità di cogliere le diverse, e spesso profonde, mutazioni che esse hanno subito nel corso del tempo. Tenuto conto dell’attività di ricopiatura (sulla quale si vedrà meglio più avanti) di cui la maggior parte dei documenti degli archivi della capitale sono stati regolarmente oggetto nel tempo da parte della cancelleria regia, soprattutto nelle diverse fasi che caratterizzano il cd. periodo imperiale, si è potuto arrivare a distinguere, nell’ambito di uno stesso documento trasmesso in diverse redazioni, il processo redazionale nel tempo (cioè le copie recenti rispetto alle stesure più antiche) o, quanto meno, a determinare, nel caso di documenti unici, storicamente collocabili per il loro contenuto (editti di regî, trattati internazionali etc.), se la redazione fino a noi giunta rappresenti una copia più tarda e di quale epoca. Ciò ha altresì permesso di valutare da un lato il grado dei possibili fenomeni di adattamento/aggiornamento linguistico cui i diversi documenti sono stati sottoposti durante il

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processo di ricopiatura nel tempo, dall’altro, di conseguenza, il livello di “competenza”/”conoscenza” da parte degli scribi attivi in tale processo rispetto alle fasi di lingua più antiche15). Un elemento interessante in questo senso può essere rilevato consultando la (pur ancor oggi fondamentale) grammatica di J. Friedrich nella sua 2^ edizione del 1960, ancora costruita su una valutazione sincronica e monolitica della lingua hittita e, soprattutto, sulla competenza linguistica della tradizione scribale di epoca hittita imperiale, alla quale risalgono le copie giunte fino a noi dei documenti storici attribuibili ai dinasti delle fasi più antiche del regno. Le valutazioni ivi contenute del sistema binario degli avverbi di luogo (del tipo katta/kattan, para/piran, anda/andan), o del morfema flessionale -a quale forma arcaica/arcaicizzante del dativo-locativo, o del sistema degli elementi enclitici convenzionalmente definiti “Ortsbezugspartikel”, per citare soltanto alcuni esempi, rappresentano il diretto portato del grado di sensibilità linguistica (e pertanto della conoscenza degli stati di lingua di età più antica) trasmesse al filologo moderno dagli scribi hittiti di età imperiale. Si comprende, pertanto, quanto articolata sia oggi la nostra conoscenza della lingua hittita, ma, allo stesso tempo, quanto l’intera valutazione della sua evoluzione dipenda da una necessaria valutazione di carattere paleografico dei documenti che ne rappresentano la base documentaria16). Allo studio del ductus, grazie anche alla base documentaria offerta dalla Konkordanz nell’ambito dello Hethitologie Portal dell’Akademie der Wissenschaften di Mainz (cf. nota 16), si è affiancato in questi ultimi anni un approfondito processo di ricontestualizzazione dei lotti di tavolette volto alla ricostruzione dei meccanismi di redazione, ordinamento e conservazione del documento scritto e quindi a una valutazione non solo delle pratiche scribali di redazione e consultazione delle raccolte testuali, ma anche dei criteri stessi in base ai quali veniva operata la scelta dei documenti da sottoporre a reiterata copiatura17). E’ partendo dall’analisi della distribuzione dei diversi generi tematici, operata sull’orizzonte cronologicamente omogeneo dell’ultima fase di vita della capitale (2^ metà del XIII secolo a.C.), nei vari luoghi/edifici deputati al ricovero della documentazione scritta, e dalla ripartizione degli stessi testi da un lato secondo testualità sottoposte a processi di ricopiatura, dall’altro secondo generi tendenzialmente non fatti oggetto di pratiche di reiterata attività redazionale, che T. van den Hout ha proposto un nuovo approccio al concetto funzionale di letteratura/letterarietà e alla definizione stessa di archivio (van den Hout 2002, 2005 e 2008), ponendo così le basi per il giusto impianto di una storia della lingua hittita. Dallo studio dei processi redazionali e archiviari degli scribi hittiti è emerso, d’altra parte, un ulteriore nuovo elemento. Appare infatti oggi accertato come, accanto alla tavoletta d’argilla (o, di diversi tipi di metallo per documenti ufficiali di particolare solennità), si sia affermato l’uso, a cominciare almeno da un momento avanzato dell’età imperiale ed essenzialmente per pratiche scrittorie connesse con attività di carattere più strettamente economico-amministrativo, di tavolette di legno cerate, probabilmente in forma di dittico, quindi facilmente “chiudibile” e sigillabile, conservate in archivi “storici” specializzati della capitale, contenenti cioè oltre agli atti amministrativi sigillati redatti su tavoletta cerata, anche gli atti originali su tavoletta d’argilla pertinenti alla relativa documentazione pregressa (cf. per tutti Marazzi 1994, 2000, 2007). 2.2. Scrittura e processi acquisitivi Proprio in relazione ai problemi e agli sviluppi della ricerca pertinenti alla cronologia, alla trasmissione testuale e alle diverse procedure di archiviazione della documentazione scritta, è

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d’obbligo almeno un riferimento alla nuova discussione in atto relativa ai tempi e ai modi della formazione di un’effettiva scuola scribale a Hattuša e quindi agli inizi stessi della produzione testuale in lingua hittita. Nel già citato saggio pubblicato nel 2002 sulla competenza linguistica nell’ambito del territorio anatolico nel II millennio a.C., notavo come il quadro linguistico-scrittorio dell’Anatolia all’indomani del processo di unificazione politica sotto il controllo della nuova dinastia di Hattuša, dovesse essere valutato in termini molto più complessi rispetto a quanto normalmente è dato nella manualistica storica, rilevando altresì come l’esistenza di documenti in lingua accadica (paleobabilonese) di carattere storico-politico “interno” stridesse fortemente con l’uso che del babilonese è attestato per le epoche immediatamente successive: e cioè per la redazione di documenti di carattere strettamente “internazionale”. Due elementi si sono aggiunti da allora all’attenzione degli hittitologi. Nel 2005 G. Wilhelm, nell’ambito di un saggio sui testi originali antico-hittiti di donazione/attribuzione regia di unità agricole a personaggi altolocati del regno, ne dimostrava la collocazione cronologica, contrariamente alla communis opinio fino ad allora dominante, non già a cominciare dai primi dinasti del regno (Hattušili I, Muršili I etc.), bensì a cominciare da un momento avanzato dell’Antico Regno, e cioè dal regno di Telepinu, un dinasta successivo a Hattušili di ca. 3 o 4 generazioni. Tali testi presentano un formulario solo parzialmente hittita: soprattutto per quelli più antichi, infatti, le partizioni tecnico-giuridiche in accadico sono preponderanti (cf. il lavoro preliminare in Riemschneider 1958). Negli stessi anni altri studiosi hanno operato un processo di revisione del cd. ductus antico-hittita (cf. per tutti Popko 2005a, 2005b, 2007, e lo stesso Wilhelm 2005), abbassandone i limiti inferiori e in parte associandolo a quelle manifestazioni scrittorie fino ad allora definite medio-hittite o di transizione (sulle quali cf. quanto di recente considerato in Melchert 2007b). D’altra parte, i rinnovati contemporanei studi sui cd. “cataloghi di archivio” (o Tontafelkataloge; cf. Dardano 2006 e 2007), hanno confermato quanto anni prima già indicato da H. Otten (1986), e cioè che le tracce più antiche di una effettiva organizzazione scribale a Hattuša non risalgono oltre il cd. periodo medio-hittita. Altri testi storici in ductus antico-hittita (testi, cioè, attribuibili come redazione primaria a dinasti dell’antico regno) non risalgono più indietro dello stesso Telepinu. I restanti testi in lingua hittita in ductus antico non contengono elementi interni tali da essere necessariamente riferiti a un’epoca anteriore a questo dinasta18). D’altra parte, però, che l’uso della scrittura fosse già proprio dei primi dinasti hittiti è testimoniato, oltre che dal cd. testo di Uršum, anche dalla corrispondenza di Hattušili I con un dinasta di area nord-siriana; entrambi i testi sono però in lingua accadica, proprio come in lingua accadica (anche se tramandati fino a noi in copia tarda e con traduzione hittita a fronte o su tavoletta separata) sono alcuni dei più importanti testi storico-politici riferibili ai primi sovrani del regno19). Riprendendo e riorganizzando tutti i termini della questione relativa al processo di formazione di una classe scribale hittita, e quindi dell’inizio di una produzione di testi cuneiformi in lingua hittita, T. van den Hout (in corso di stampa) ne ha da ultimo proposto una drastica revisione. Soltanto attraverso un graduale processo di acquisizione del sillabario cuneiforme e di formazione di una classe scribale hittitofona, durante il quale personalità scribali di madrelingua accadica (e di provenienza siriana ?) al servizio dei primi sovrani hittiti avrebbero curato la redazione in paleobabilonese dei principali documenti politici dell’epoca, si sarebbe giunti all’effettiva produzione di documenti in lingua hittita. I già ricordati atti regî di donazione di terre rappresenterebbero, nel loro sviluppo diacronico, il passaggio da una literacy accadofona a quella hittitofona. I testi in ductus antico-hittita, quindi, rappresenterebbero il portato di tale sviluppo e sarebbero da collocare cronologicamente solo nella parte finale dell’arco di tempo

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tradizionalmente definito come antico-hittita (quindi non prima del regno di Telepinu). D’altra parte, per alcuni testi in lingua hittita di carattere storico-cronachistico ambientati nei momenti più antichi del regno non sarebbe da escludere un’originaria stesura in accadico e solo successivamente una traduzione, per fini archiviari (o bibliotecari?), in hittita20). Se una tale proposta venisse definitivamente accettata, molti elementi apparentemente contraddittorî dell’impianto linguistico relativo alla fase antico-hittita, troverebbero, una volta collocati in un arco di tempo molto più compresso e decisamente più tardo, una migliore sistemazione. Essi testimonierebbero, infatti, di un momento di passaggio da una fase arcaica di lingua, forse ormai non più corrispondente alla realtà linguistica contemporanea, verso un assetto quale è quello che troviamo ormai consolidato nei testi della prima epoca imperiale (sotto il regno di Šuppiluliuma I), con tutte le conseguenze di valutazione sul piano linguistico di ciò che dovrà essere attribuito a livello di “hittita arcaico” attestato e/o una fase “proto-hittita” ricostruibile. 2.3. Sostrati, adstrati e plurilinguismo Non si vuole qui affrontare il problema delle componenti linguistiche che, in diversa forma e modi, hanno influito sul lessico e sulla lingua hittita in genere. Un utile aggiornamento del quadro delle conoscenze è rappresentato dalla già più volte ricordata opera di M. Popko (2008) sui popoli e le lingue dell’Anatolia antica21). Occorre dire che, mentre per quanto riguarda il hattico, quale lingua di sostrato, e il hurrita, quale lingua di adstrato, gli studi degli anni ’80 e ’90 ne hanno definito rilevanza e incidenza (cf. i riff. nel già citato lavoro di M. Popko), diverso è il discorso per il luvio. Una serie di nuovi elementi, venutisi man mano a chiarire e ad assommare, ne hanno determinato una sempre maggiore attualità. La revisione della cd. “varietà geroglifica” effettuata da Neumann-Morpurgo Davies-Hawkins (1973), la successiva pubblicazione in trascrizione e rideterminazione cronologica del corpus luvio cuneiforme proveniente da Hattuša e lo studio sulla formazione nominale effettuati da F. Starke (1985 e 1990), infine la compilazione di un Lexicon del luvio cuneiforme offerto da C. Melchert (1993) assieme alla riedizione delle maggiori iscrizioni geroglifiche “lunghe” databili all’epoca degli ultimi tre dinasti hittiti curata da J.D. Hawkins (1995a), hanno rappresentato la base per una rivalutazione del fenomeno di rapporto e interazione fra lingua luvia e ambiente linguistico hittitofono22). I problemi oggi sul tappeto, oggetto della più recente riflessione linguistica e antropologico-scrittoria, possono schematicamente essere riassunti nei seguenti punti: - la riconsiderazione e distribuzione cronologica delle diverse modalità che appaiono aver determinato nel tempo, dall’età antico-hittita fino a tutto il periodo imperiale, i diversi influssi della lingua luvia su quella hittita (essenzialmente e con diverse valutazioni Melchert in Melchert ed. 2003, pp.170ss., id. 2005, van den Hout 2007, Rieken 2006, Yakubovich 2008); - il rapporto determinabile fra la “varietà” luvia quale rappresentata dalle testimonianze cuneiformi su tavoletta d’argilla presenti negli archivi della capitale hittita, riferibili a una testualità quasi esclusivamente rituale e cultuale, e trasmesse dalle aree linguistiche luvie già a cominciare da epoca antico-hittita, e la “varietà” luvia geroglifica, quella cioè testimoniata nella fase finale del periodo imperiale attraverso i testi monumentali in scrittura geroglifica provenienti dalla capitale (essenzialmente Melchert in Melchert ed. 2003, pp. 8ss., Starke 1997, Carruba in Marazzi ed. 1998, pp. 267ss., Marazzi 2006). In rapporto a ciò, una ricaratterizzazione dei cd.

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“luvismi” in hittita durante il tardo periodo imperiale23) sembra mostrare come un approfondimento di carattere geolinguistico e sociolinguistico al contempo e un’attenzione cronologica ai tempi di effettiva originaria formazione del patrimonio testuale religioso luvio-cuneiforme accumulatosi (e periodicamente oggetto di rinnovate redazioni?) nella capitale Hattuša risulti di fondamentale importanza; - la valutazione, in termini di possibile interferenza sia scrittoria che linguistica, del duplice fenomeno, rilevabile a cominciare dal terz’ultimo dinasta hittita (Tuthalija IV): e cioè lo sviluppo di una vera e propria testualità espressa in scrittura geroglifica e, al contempo, il chiaro e stretto legame che si viene a determinare in area hittitofona (e in primis nella capitale hittita stessa) fra questo nuovo utilizzo della scrittura geroglifica e il codice linguistico luvio (cf. in primis Bolatti Guzzo-Marazzi 2004, ripreso in van den Hout 2007 e Marazzi in corso di stampa 2)24); - a fronte dell’evidenza di una parallela diffusione della scrittura geroglifica quale mezzo di espressione della lingua luvia anche su supporti scrittorî non monumentali, quindi in chiara concorrenza con gli ambiti applicativi della scrittura cuneiforme e, di conseguenza, a fronte di un’effettiva diffusione e concorrenza della lingua luvia in ambito hittitofono, assume tutta la sua rilevanza la riconsiderazione, in termini storico- e socio-linguistici, della reale incidenza e dei livelli di utilizzo della lingua hittita nell’Anatolia sul finire del XIII secolo a.C. (cf. con diverse valutazioni: Melchert 2005, Bolatti Guzzo-Marazzi 2004, van den Hout 2007, Rieken 2006)25). Non va d’altra parte dimenticato che con il collasso del sistema politico centralizzato di Hattuša, determinato dal definitivo abbandono della stessa, i centri politici territoriali indipendenti che emergono fra l’Anatolia sud-orientale e la Siria settentrionale (i cd. Stati Neohittiti), pur mantenendo vivo un ideale collegamento con la dinastia regia dell’antica capitale ormai scomparsa (Hawkins 1992, 1995b, 2002), non conservano l’hittita quale lingua politica ufficiale, e neppure la scrittura cuneiforme (che non riapparirà più in Anatolia), bensì continueranno a far uso di quella lingua luvia e di quella scrittura geroglifica ormai dominanti a Hattuša, sia nella testualità monumentale celebrativa che in alcune pratiche scrittorie quotidiane e popolari, nei suoi ultimi decenni di vita.

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Note

1) Occorre a tal proposito ricordare i fondamentali contributi offerti da H. Eichner, fra i quali centrale rimane Eichner 1980.

2) Si tratta dello Hittite Etymological Dictionary, curato da J. Puhvel per i tipi di Mouton-De Gruyter, del quale sono fino a oggi comparsi i voll. relativi alle lettere A, E e I (1984), H (1991), K (1997), L (2001), M ( 2004), N (2007); dello Hethitisches Etymologisches Glossar, curato da J. Tischler per gli Innsbrucker Beiträge zur Sprachwissenschaft, voll. I (completo): lettere A-K (1983), II: lettere L-P (1990-2001), S/1 (2004); III/1-3: lettera T (1994).

3) Il senso di Inherited Lexicon, secondo quanto affermato nell’introduzione dallo stesso Autore, fa riferimento a “those words that are build on morphemes that can be reconstructed for the Proto-Indo-European mother language”.

4) La bibliografia è vasta ed è ampiamente discussa in Zeilfelder 2001, pp.156ss.,oltre che in Hoffner-Melchert 2008, p. 66s., e Rieken 1997, pp. 103ss.; in ordine cronologico le principali posizioni si trovano in: Laroche 1962, Benveniste 1962, Weitenberg 1987, Neu 1989, Garrett 1990, Carruba 1992 e 2001, Marazzi 1996, Puhvel 2002.

5) Per le conseguenze del postulato di un “protofemminile” da identificare nell’ambito degli inanimati di genere comune, si rinvia a quanto di recente riconsiderato in Josephson 2004, sulla base di Weitenberg 1987; si vedano anche le riflessioni in Zeilfelder 2001, pp.198ss., con le notazioni critiche in Matasović 2004, p. 34.

6) Cf. Melchert 2000 con l’intera bibliografia di riferimento, soprattutto per quanto riguarda i precendenti in Eichner 1985; il tema è stato poi ripreso in Melchert 2007. In Josephson 2004 è collegato con le diverse funzionalità del suffisso -ant-, mentre è pienamente recepito in Rieken 2007; precedentemente Tichy 1993, Oettinger 1995 e 1999; sul collettivo in indoeuropeo anche in relazione allo hittita, cf. le recenti riflessioni in Balles 2004 e Matasović 2006.

7) Diversamente si pone il problema se e come valutare le incerte tracce di un effettivo sistema tematico oppositivo presente ≠ aoristo, poste all’attenzione dal già citato contributo di Melchert 1997; a tale riguardo si veda anche García Ramón 2002, che non esclude, su tale base, la possibilità che l’hittita testimoni di una situazione “post-aspettuale”, e la ricostruzione dei processi originari che avrebbero portato alla cd. coniugazione in -hi in hittita presentata recentemente da Jasanoff 2003. Ancora diversa risulterebbe la valutazione della situazione hittita se, seguendo la proposta di Rix nella sua introduzione alla 2^ edizione del LIV, 2001, si sussumesse sotto un’unica categoria Aspekt-Aktionsart l’insieme dei cd. Primärstämme, quindi anche gli affissi causativi-iterativi, desiderativi, intensivi ed essivi. Per un quadro critico dello stato delle ricerche si veda anche Clackson 2007, cap. 5.3: “Reconciling Anatolian to the Greco-Aryan Model”.

8) Così in Lühr 2001, ma si veda anche l’ampia trattazione sia in Hoffner-Melchert 2008, cap. 23, dove però a “verb mood” preferiremmo la nominazione di “verbal modality”, cf. ad es. Rieken 2007, 4.5.4. “Modalität”.

9) Cf., ad esempio, l’interessante proposta ricostruttiva del verbo anatolico nel già citato lavoro di Jasanoff 2003, in parte recepito dal successivo lavoro sul congiuntivo di E. Tichy, 2006, in particolare ai §§ 3.2.1.4., 3.2.2.7. e 3.4.2.0.

10) Cf. anche quanto considerato con molto equilibrio dallo stesso Melchert già 1998, e la posizione critica assunta da S. Zeilfelder nell’economia generale dell’opera del 2001 dedicata, appunto, ai possibili/presunti tratti di arcaismo in hittita; una simile tendenza si

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riscontra anche nel recente lavoro di S.R. Rose, 2006, volto a individuare l’originaria valenza oppositiva fra le coniugazioni in -mi e -hi.

11) Possiamo ricordare in proposito, ad es., le ricostruzioni effettuate in Meid 1979, Neu 1984 e 1985.

12) Pur non mancando recenti egregie sintesi basate sulla documentazione scritta dedicate a settori specifici della società hittita; in primis le fonti di carattere storico-economico: Klengel 1999; la vita quotidiana, gli usi e costumi: Bryce 2002 e Collins 2007; gli aspetti del culto e delle manifestazioni religiose in genere: Haas 1994.

13) Questo quadro tradizionale, già esplicitato nella classica opera di A. Götze (1957, in particolare al cap. III.7), ancora oggi lettura insostituibile per chi si voglia avvicinare alla civiltà hittita, è presentato in forma aggiornata sia nell’opera ancora oggi fondamentale sulla letteratura hittita di Güterbock 1978, che nelle recenti sintesi di Popko 2008 e Haas 2006.

14) Cf. per tutti l’ottima sintesi in De Martino 1992 e, successivamente l’introduzione e l’impianto generale del nuovo Zeichenlexikon di Rüster-Neu 1989, che ha sostituito il vecchio Keilschrift-Lesebuch di J. Friedrich del 1960.

15) Di fatto, uno studio accurato e specificamente mirato alla rilevazione di tale fenomeno (cioè la competenza linguistica in senso “storico” degli scribi hittiti) non esiste; una serie di notazioni sono però rilevabili al margine delle diverse edizioni dei gruppi testuali; un tentativo in questo senso in Marazzi 2002.

16) Sotto quest’aspetto fondamentale è la scelta, coerentemente operata fin dalla pubblicazione del primo fascicolo, dal Dizionario Hittita di Chicago (The Hittite Dictionary, edito dall’Oriental Institute of the University of Chicago a cominciare dal 1980) di specificare, per ogni citazione testuale connessa con i relativi lessemi, sia l’attribuzione cronologica “storica” - OH = Old Hittite; MH = Middle Hittite; NH = New Hittite -, sia quella effettivamente redazionale - OS = Old Hittite Script; MS = Middle Hittite Script; NS = New Hittite Script -; lo stesso sistema di citazione è seguito, per ogni attestazione lessicale data in trascrizione, dall’Etymological Dictionary di Kloekhorst. Uno strumento parallelo insostituibile e in continuo aggiornamento, è rappresentato dalla Konkordanz dei testi hittiti, curata da S. Košak nel Portale Hittitologico di Mainz (www.hethiter.net), dove per ogni testo, oltre alle indicazioni relative alla sua appartenenza tematica e alle notizie sul suo ritrovamento, è indicato, alla 5^ colonna: “Zeit”, il ductus (ah = althethitisch; mh = mittelhethitisch; jh = junghethitisch), informazione accompagnata, nella maggior parte dei casi, dalla foto del documento, consultabile a diversi ingrandimenti.

17) La bibliografia è vasta e le premesse a tale settore della ricerca vanno indietro a due contributi fondamentali, il primo di H. Otten 1955, il secondo di E. Laroche 1949. Successivamente, nell’ordine, Güterbock 1991-92, Košak 1995, Karasu 1996, Francia 1996, Pedersén 1998, pp. 42ss., Marazzi 2000, Alaura 2001, Marazzi 2007, Torri 2007; per quanto concerne, invece, i testi definiti convenzionalmente “cataloghi di tavolette”, vi è ora finalmente un’edizione completa a cura di Dardano 2006; cf. anche ead. 2007.

18) Tenuto conto che, in termini di cronologia assoluta, il periodo antico-hittita, e quindi anche il ductus a esso riferibile, si colloca fra il 1650 e il 1500 ca.,e che il regno di Telepinu si data attorno agli ultimi decenni del XVI secolo.

19) Cf per tutti le riflessioni in Klinger 1998 e quanto considerato per l’accadico da Hattuša in età antico-hittita in Marazzi 1986a e Marazzi in corso di stampa).

20) Fenomeno che includerebbe quei documenti storico-politici antico-hittiti attestati in forma bilingue in copia tarda, dei quali si è accennato già sopra; su possibili tracce in questo

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senso cf. il commento in Marazzi, in corso di stampa, § 2.: I testi KBo VIII 42 e III 28 e il problema della redazione e trasmissione testuale.

21) Ma si veda sui fenomeni di bi- e plurilinguismo anche quanto già considerato in Marazzi 1988 e, successivamente, Neu 1995.

22) La ricca bibliografia in proposito non può essere ricordata nel dettaglio. Per un quadro degli studi nel corso degli ultimi 25 anni cf. Marazzi 1990, 1991, Neumann 1992, Marazzi (ed.)1998, fino alla recente e fondamentale opera di sintesi di Melchert (ed.) 2003.

23) Il problema, consistente nel fatto che buona parte dei cd. “luvismi” (caratterizzati e non da Glossenkeil) riscontrabili in testi hittiti a cominciare dal XIV secolo presentino alcune caratteristiche decisamente vicine alla varietà “geroglifica”,. è stato inizialmente sollevato da Melchert in Melchert ed. 2003, pp. 170ss., ripreso e approfondito in van den Hout 2007 e fatto oggetto di approfondita analisi in Rieken 2006.

24) Ci preme ribadire ancora una volta a tal proposito che la definizione di “luvio geroglifico” pur convenzionale che sia, continua a essere fonte di equivoci soprattutto fra gli studiosi non specialisti di scrittura geroglifica del II millennio. Nulla infatti indica che per le iscrizioni geroglifiche (su glittica e supporti monumentali altri, come ortostati, pareti rocciose naturali etc.) precedenti al terz’ultimo dinasta hittita, Tuthalija IV, si possa parlare di un unico e inequivoco codice linguistico. E’ soltanto con lo sviluppo delle cd. “iscrizioni lunghe”, cioè in concomitanza con il processo di linearizzazione della scrittura geroglifica, che si afferma una testualità geroglifica strettamente e indissolubilmente legata alla lingua luvia, fenomeno che diverrà primario nella testualità dei cd. Stati Neohittiti del I mill. a.C.; in proposito si rinvia anche a Hawkins in Melchert ed. 2003, e complessivamente a Marazzi in corso di stampa 2, mentre per il patrimonio glittico geroglifico del II millennio è ora disponibile la rassegna in Marazzi (ed.) 2009.

25) Purtroppo non sufficientemente considerate nella recente discussione sono quelle testimonianze indirette relative a una contemporanea diffusione, proprio negli ultimi decenni di vita della capitale hittita, della scrittura geroglifica anche in ambiti quotidiani. Si tratta dell’uso su tavoletta cerata, testimoniato dalla tipologia degli stili rinvenuti nella capitale, sui quali aveva attirato l’attenzione già da tempo K. Bittel (1973), e ripresi in Marazzi 1990, 1991 e 1994. A tale indiretta testimonianza, sempre sulla base dell’originaria segnalazione di Bittel, si aggiunge quella diretta, databile egualmente alle ultime fasi di vita della capitale, relativa alle cd. iscrizioni “casuali”: brevi iscrizioni eseguite con una tecnica povera (a “punzonatura”) su pareti di edifici e strutture architettoniche quali supporti estemporanei, e, probabilmente, collegate con attività in luoghi pubblici legate alla sfera della magia/ritualità e del servizio scrittorio (scribi “pubblici” collocati nell’area del grande tempio nella città bassa?); cf. Marazzi 1985, 1986b, Dinçol-Dinçol 2002 e Marazzi in corso di stampa 2.

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