Bruno Forte - La Parola Della Fede

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    SIMBOLICA ECCLESIALE - 1

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    BRUNO FORTE

    SIMBOLICA ECCLESIALE

    Una teologia come storia1.

    La Parola della fedeIntroduzione alla Simbolica Ecclesiale

    (1996)

    2.La teologia come compagnia, memoria e profezia

    Introduzione al senso e al metodo della teologia come storia

    (1987)

    3.Ges di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia

    Saggio di una cristologia come storia(1981)

    4.Trinit come storia

    Saggio sul Dio cristiano

    (1985)

    5.La Chiesa della Trinit

    Saggio sul mistero della Chiesa, comunione e missione(1995)

    6.L'eternit nel tempo

    Saggio di antropologia ed etica sacramentale

    (1993)

    7.Teologia della storia

    Saggio sulla rivelazione, l'inizio e il compimento(1991)

    8.Maria, la donna icona del Mistero

    Saggio di mariologia simbolico-narrativa

    (1989)

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    EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 1996Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.

    Corso Regina Margherita, 2 - 10153 Torino

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    INTRODUZIONE

    Il titolo di questo libro tratto da un'espressione di Paolo nel-la sua lettera ai cristiani di Roma: Vicino a te la parola, sullatua bocca e nel tuo cuore: cio la parola della fede che noi predichiamo (Rm 10,8). Intento dell'Apostolo non solo quello dievidenziare come l'abisso che separa il cielo dalla terra sia statosuperato grazie all'atto dell'infinita misericordia di Dio, che ha voluto farsi vicino agli uomini servendosi delle parole del loro linguaggio ed abitando nel loro cuore, ma anche quello di mostrarecome questa parola vicina sia precisamente l'oggetto dell'annuncioapostolico e il contenuto della fede, da cui nasce la Chiesa. In talmodo la frase di Paolo viene a rispondere tanto all'interrogativosulla possibilit del parlare di Do, quanto e soprattutto a quello

    su che cosa sia necessario credere per avere salvezza e vita. per-ch Dio si fatto vicino a noi nella Sua parola, che ci dato didire qualcosa del Mistero santo, ed a questo stesso Mistero, resosiaccessibile a noi, che siamo chiamati ad affidarci con l'intelligenzae con il cuore per essere liberi e salvi: Poich se confesserai conla tua bocca che Ges il Signore, e crederai con il tuo cuore che

    Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo (Rm 10,9).Sono i medesimi interrogativi di cui si occupa questo libro: da

    un lato esso affronta la questione della possibilit di parlare di Dio,

    dall'altro vorrebbe offrirne un esempio concreto. La risposta all'interrogativo sul linguaggio teologico colta nel fatto stesso che cisia una parola della rivelazione, che, lungi dall'annullare la dignit della ricerca umana di dire il Mistero pi grande, ne fonda autenticamente il valore e ne porta le possibilit al compimento pialto. Se V'Eterno non ha disdegnato di abitare le nostre parole eil nostro cuore, non solo l'uomo pu essere ritenuto "capace diDio", ma anche il suo linguaggio rivela possibilit altrimenti impensabili. Certamente, Dio resta sempre pi grande di ogni nostrosforzo di dire di Lui: anche nell'atto del Suo rivelarsi egli si dicee si tace, si rivela, velandosi, e si nasconde, comunicandosi agli uo-

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    mini. Perci l'abbandono della fede condizione necessaria per accogliere l'indicibile trascendenza divina, e per lasciarsi docilmentecondurre verso le profondit intraviste, ma non possedute, nella rivelazione del Mistero. Proprio cos, per, la parola della fede tiene

    insieme "simbolicamente" la terra e il cielo, e consente al credente di dire Dio restando nel santuario dell'adorazione e di lasciarsiraggiungere e trasformare dal Suo avvento al di l di ogni rinunciaa parlare di Lui o a cercare il Suo volto. Di questo parlare "simbolico" questo libro cerca anche di offrire un saggio attraverso unasintetica presentazione teologica della "parola della fede", a partire dalla testimonianza che d essa d la vivente tradizione ecclesiale.

    La struttura del libro rispecchia il contenuto: se primi duecapitoli sono dedicati rispettivamente alla questione del linguaggio

    teologico e alla presentazione della "simbolica della fede" comevia per dire il Mistero senza violarne l'abissale eccedenza, gli altritre si sforzano di presentare compendiosamente il contenuto della

    fede, raccogliendolo nell'esposizione del Mistero proclamato, celebrato e vissuto. Il Credo, i Sacramenti, la vita teologale ed i comandamenti costituiscono i capisaldi di questo sguardo d'insiemesui contenuti della parola della fede, utile non solo quale introduzione breve e densa al Mistero cristiano, ma anche quale compendio della Simbolica Ecclesiale, atto a meglio situare e comprende

    re le singole parti nell'organicit del tutto. Gli otto volumi diquest'opera1si offrono in tal modo nella loro unitariet contenutstica, anche se ciascuno vive dell'autonoma del tema centrale dcui tratta. In tal senso il sottotitolo del libroIntroduzione allaSimbolica Ecclesiale pienamente giustificato, sia perch rimanda alle questioni preliminari in esso affrontate della possibilite dei lmiti del parlare di Dio, sia perch richiama la presentazioned'insieme dei contenuti della fede, in esso tentata. L'Indice analitico dell'intera Simbolica, infine, contribuisce ad evidenziare l'u

    nit organica dell'opera nella specificit delle sue part: esso consente di servirsi dei diversi volumi, percorrendoli in maniera tra-

    1 Secondo l'ordine del progetto (con l'anno di pubblicazione fra parentesi): LaParola della fede. Introduzione alla Simbolica Ecclesiale(1995);La teologia come compagnia, memoria e profezia. Introduzione al senso e al metodo della teologia come storia(1987.19922);Ges di Nazaret, storia di Do, Dio della storia. Saggio di una cristologiacome storia(1981; 19947);Trinit come storia. Saggio sul Dio cristiano(1985; 19935);

    La Chiesa della Trinit. Saggio sul mistero della Chiesa, comunione e missione(1995.19952);L'eternit nel tempo. Saggio di antropologia ed etica sacramentale(1993);

    Teologia della storia. Saggio sulla rivelazione, l'inizio e il compimento(1991; 1991

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    );Maria, la donna icona del Mistero. Saggio d mariologia simbolico-narrativa(1989; 19962).

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    sversale in rapporto ai vari temi fondamentali della riflessione teologica e dell'esperienza cristiana.

    Con questo volume si conclude il lungo cammino di elaborazione della Simbolica Ecclesiale: mi sia consentito ancora una volta,

    al termine del percorso, di rendere grazie al Dio della storia pertutti i Suoi doni, e di farlo in quella comunione della fede dellaSua Chiesa ed in quel desiderio di dialogo e di servzio agli uominie alle donne del nostro tempo, che hanno sostenuto l'intera impresa. Possa anche quest'opera costituire un contributo alla causa delRegno del Signore, che poi nel senso pi vero e profondo anchela causa dell'umanit sana, buona e felice, corrispondente al disegno di Colui che per amore l'ha voluta e per amore la chiama allavita piena della comunione con Lu, oggi nella fatica del pellegri

    naggio e nella compagnia del Suo popolo, domani nella festa del-l'universo riconciliato, in cui Dio sar tutto in tutti e il mondointero sar la patria di Dio.

    Napoli, 31 luglio 1995Memoria di Sant'Ignazio di Loyola,Maestro nel discernimento spiritualee nella vita vissuta "ad maiorem Dei gloriam"

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    1.

    IL MISTERO E LA PAROLA

    La teologia parla di Colui, di cui si dovrebbe piuttosto tacere. Consapevole di questa sua condizione paradossale, essa satuttavia di non poter non parlare di Lui: per sua natura la teologia parola su Dio ("Xyo? del Do", nel senso del genitivooggettivo), che costitutivamente rimanda alla parola, che Diodice di s ("xo Geo Xyo?", "parola di Dio" nel senso del genitivo soggettivo). La parola teologica tanto inevitabile, quantogravida di silenzio, di interruzione e di attesa: essa dice, tacendo; tace, dicendo; ascolta, interrogando; interroga, ascoltando.

    parola di domanda ed insieme parola di risposta. In quantodiscorso umano, la teologia parla a partire dall'uomo; eppure, vera teologia quando accetta di parlare a partire da ci chel'Altro ha detto di s: Omnis recta cognitio Dei, ab oboedien-tia nascitur (Calvino). Se retta solo quella conoscenza di Dio,che nasce dall'obbedienza, a chi obbedisce il teologo quandoinizia a parlare di Dio? a chi corrisponde? per chi e di che cosa responsabile? e a quali condizioni il suo parlare strutturalmente preciso? quali limiti esso porter inevitabilmente con s,

    come stigmate impresse nella carne della parola? quali caratteripresenter una "parola della fede", che voglia dire Dio senzaviolarne il mistero ed insieme senza rinunciare a parlare sensatamente di Lui? A queste domande anzitutto deve rispondereun'esposizione della fede cristiana, che voglia essere responsa-bile tanto verso il suo oggetto, quanto verso coloro cui si rivolge e verso la comunit ecclesiale, di cui si fa in certo modo vocee coscienza riflessa.

    Cos, fra l'esodo, che la condizione umana in permanente

    ricerca e attesa del Mistero pi grande, e l'Avvento, in cui la

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    Parola di Dio e il Suo Silenzio hanno abitato il tempo degli uomini, la teologia parola di frontiera: sta al confine, continuamente rinviando dall'una e dall'altra parte, fra la fragile terra dovepoggiano i nostri piedi e l'abisso insondabile, che la regione del

    l'Altro. Due movimenti l'attraversano, fra di loro totalmente asimmetrici: quello del pellegrino, cercatore del senso, assetato di unapatria, su cui radicare il cammino e combattere la sua lotta conla morte; e quello, senza il quale neanche l'altro esisterebbe, dell'Origine, inizio, presupposto e fondamento di tutto ci che esiste, che viene a noi dal Suo insondabile Silenzio. Il ponte che percorre questa asimmetria chiamato nel Nuovo Testamento "amore" (cfr. lGv 4,8.16), come a dire che nessun'altra ragione pudarsi per il passaggio all'esistenza di tutto ci che esiste che un

    atto di purissima gratuit, di libert totale ed amante, un benediffusivo di s per l'esigenza intrinseca a s del puro donarsi. Sulpiano del linguaggio, ilsimboloche tiene insieme i distinti nell'abisso dell'asimmetria che li costituisce come tali: ed il pensierodell'analogiaquello che tenta di render ragione della possibilit di una vicinanza nell'infinita separatezza e della lontananza nella prossimit, postulate dal linguaggio della fede, che nelsenso pi alto "verbum caritatis", linguaggio dell'amore.

    1.1. L'ATTESA DELLA PAROLA

    a)La sfida dell'interruzione

    Basta uno sguardo all'esistenza umana in questo mondo perconstatare come e quanto la vita degli uomini sia determinatadal loro inesorabile essere "gettat i" verso la morte: La mortesovrasta l'Esserci. La morte non affatto una semplice presenza non ancora attuatasi, non un mancare ultimo ridotto al minimo, ma , prima di tutto, un'imminenza che sovrasta... Lamorte la possibilit della pura e semplice impossibilit dell'Esserci. Cos la morte si rivela come la possibilit pi propria, incondizionata e insuperabile1. L'immediata evidenza riconoscenella vita il viaggio senza ritorno verso le tenebre, che prima

    1M. Heidegger,Essere e tempo,a cura di P. Chiodi, Torino 19862, 377s ( 50).

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    o poi aspettano ogni vivente come l'ultima sponda, l'assoluto silenzio oltre ogni parola: perci la vita impastata di finitudinee di dolore e agli abitatori del tempo la loro dimora appare sempre troppo corta e troppo breve. L'esser-gettato nella morte si

    rivela all'Esserci nel modo pi originale e penetrante nella situazione emotiva dell'angoscia... Il "davanti-a-che" dell'angoscia l'essere-nel-mondo stesso2: l'unica vera domanda, quella sullaquale sta o cade la verit di ogni risposta, la domanda sull'interruzione, l'angoscia in cui essa si esprime. Veramente, il pensiero nasce dal dolore. Se non esistesse la morte non esisterebbela vita pensante, non si schiuderebbe il mondo alla coscienza:L'angoscia apre originariamente e dirett amente il mondo comemondo3. E il patire che suscita in noi la domanda, accendendo

    la sete di ricerca, lasciando aperto il bisogno di senso. Dove nonsi fa esperienza dell'interruzione, la coscienza resta assopita inuna sorta di assente letargo, sazio di s, vuoto di vita.

    Pensare vuol dire allora accogliere l'invito ad at traversare l'abisso del negativo: Non quella vita che inorridisce dinanzi allamorte, schiva della distruzione, anzi quella che sopporta la morte e in essa si mantiene, la vita dello spirito. Esso guadagna lasua verit solo a pa tto di ritrovare se stesso nell'assoluta devastazione... Lo spirito questa forza perch sa guardare in faccia ilnegativo e soffermarsi presso di lui. Questo soffermarsi la magica forza che volge il negativo nell'essere4. Pensare percil'operazione pi responsabile, pi seria, pi realizzante, ed insiemela pi lacerante e faticosa che sia dato compiere all 'uomo. Pensare portare al concetto la verit totale, che la vita, senza nascondere o rifiutare la seriet, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo5. E nella forma della "coscienza infelice", cheil ruolo del negativo si affaccia: Lacoscienza infelice la coscienza

    di s come dell'essenza duplicata e ancora del tutto impigliata nellacontraddizione6. Il dolore non che la coscienza della scissione irrisolta del vivere per la morte: La coscienza della vita, lacoscienza dell'esistere e dell'operare della vita stessa, soltantoil dolore per questo esistere e per questo operare 7.

    2 Ib., 379.3 Ib., 295 ( 40).4G.W.F. Hegel,Fenomenologia dello spirito,tr. di E. De Negri, Firenze 1973, 26.5 Ib., 14.6 Ib., 174.7 Ib., 175.

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    La sola via che sembra aprirsi all'uomo per uscire dalla situazione della coscienza infelice quella di capovolgere il processo: resistendo al cammino che la getta verso il nulla, occorreche la coscienza sappia pro-gettarsi, ritrovando in se stessa la

    sorgente di vita pi forte della morte. E questo il compito delpensiero, la sua pi alta "pietas": e ci avviene quando la coscienza diviene autocoscienza, si scopre cio come ragione, pre-senzialit dello spirito a se stesso, che unifica in s i diversi aspettidella realt e della scissione: Soltanto nell'autocoscienza come concetto dello spirito, la coscienza raggiunge il suo puntodi svolta: qui essa, movendo dalla variopinta parvenza dell'aidi qua sensibile e della vuota notte dell'ai di l ultrasensibile,si inoltra nel giorno spirituale della presenzialit8. La coscien

    za del dolore, divenendo problema e domanda da cui nasce edi cui si nutre lo spirito indagante, rivela come il cammino verso la vita sia in realt pi profondo e pi forte di quello versola morte, e mostra cosi come l'essere umano non sia semplicemente gettato verso l'abisso del nulla, ma sia pi radicalmenteresistente alla morte, chiamato alla vita. questo l'itinerariodel pensare: dalla morte si nasce pellegrini verso la vita. E questa la "svolta": Questo correre innanzi in direzione della mortenon perch cos venga raggiunto il semplice "nulla", ma al

    contrario affinch l'apertura per l'essere si apra del tutto e apartire da qualcosa di estremo9.Il cammino dell'uomo si delinea dunque nella sua verit in

    questo prendere sul serio la tragicit della morte, non fuggendola, non stordendosi rispetto ad essa, ma aprendosi ad un piradicale trascendimento. In chi guarda negli occhi la morte sicompie il miracolo: vivere non sar pi soltanto un impararea morire, ma diventer un lottare per dare senso alla vita. Dovenasce la domanda, dove l'uomo non si arrende di fronte al de

    stino della necessit, e quindi alla vittoria che copre col suo silenzio tutte le cose, l si rivela la dignit della vita, il senso ela bellezza di esistere. L l'uomo si riconosce non come un condannato alla terra, ma in essa e per essa come un mendicante

    8 Ib., 152.9 M. Heidegger,Beitrge tur Philosophe. (Vom Ereignis), a cura di Fr.-W. von

    Herrmann, Frankfurt a. M. 1989, 283. Quest'opera, scritta fra il 1936 e il 1938, nonfu pubblicata da Heidegger. La sua pubblicazione nellaGesamtausgabe, voi. 65, consente nuove interpretazioni dell'itinerario heideggeriano e della svolta (Kehre) che locaratterizza.

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    del cielo (J. Maritain): Hai fatto il nostro cuore per Te edinquieto il cuore nostro finch non riposi in Te (Agostino).L'uomo un cercatore di senso, che invoca la luce che riescaa vincere l'oscurit ultima della morte e dia valore alle opere

    e ai giorni, offrendo dignit e bellezza alla tragicit del nostrovivere e del nostro morire. Perci la condizione dell'essere umano quella dell'esodo: pellegrino l'abitatore del tempo.

    b) L'esistenza come esodo

    L'uomo un cercatore della patria lontana, che, lottando

    contro l'apparente trionfo della morte, si lascia permanentementeprovocare, interrogare ed attrarre dall'ultimo orizzonte. In quanto questo orizzonte la contestazione radicale della vittoria dellamorte, esso si offre come il mistero assoluto della vita, il grembo che avvolge l'esistere e lo custodisce pi fortemente del silenzio dell'interruzione. Attratto da questo ultimo orizzonte,che lo rende pensante, l'essere umano sperimenta se stesso come "auto-trascendenza", esodo verso il Mistero che avvolge ognicosa, desiderio e ricerca dell'inafferrabile e dell'indefinibile, non

    riducibile a una cattura indiscreta. Di questo orizzonte non sipu disporre: L'ultima misura non pu a sua volta essere misurata... L'ampiezza infinita che tutto abbraccia e tutto pu abbracciare non si lascia a sua volta abbracciare... L'orizzonte dellatrascendenza si sottrae non solo fisicamente, ma anche logicamente a ogni disposizione del soggetto finito10 . All'orizzontemisterioso della trascendenza ci si pu solo disporre in attesa,in ascolto: L'orizzonte della trascendenza si d a noi nel modo di uno che si rifiuta, nel modo del silenzio, della lontananza, di uno che si mantiene costantemente in uno stato di nonespressivit, cosicch qualsiasi discorso da parte sua, per esserepercepibile, ha sempre bisogno che tendiamo l'orecchio a un silenzio11 . In quest'orizzonte ultimo si affaccia la misteriosa figura, di cui scrive lo Heidegger "segreto": L'ultimo Dio non la fine, ma l'altro inizio, l'inizio delle innumerevoli possibilit della nostra storia. Grazie a lui, alla storia che c' stata finora consentito di non perire; grazie a lui, essa deve essere por-

    10 K. Rahner,Corso fondamentale sulla fede, Alba 1977, 95.11 Ih.

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    tata alla sua fine. Dobbiamo far s che venga approntata pertale passaggio la trasfigurazione delle sue essenziali posizioni difondo12. La struttura portante della esistenza umana pertanto il suo movimento esodale, la sua autotrascendenza, la permanente tensione ad uscire da s per superarsi verso il Misteroassoluto. L'uomo la sentinella della silenziosa quiete del transitare dell'ultimo Dio15, di quel Dio non "penultimo", nondisponibile alle nostre catture, ma altro, sovrano ed eccedente,sempre in atto di venire. Davanti a questo ultimo orizzonte chelo inquieta e lo attrae, l'uomo si manifesta a se stesso come l'esserci dell'assoluta apertura verso il Trascendente: L'uomo spirituale, vive cio la sua vita in una continua tensione versol'Assoluto, in una apertura a Dio14.

    Questo movimento di autotrascendenza non si compie nella forma di una pura e semplice necessit, di un processo dialettico che escluda la possibilit del rifiuto e perci la dignit dell'assenso: l'idea di una rivelazione ridotta a spiritualizzazioneprogressiva dell'uomo secondo la sua "naturale" legge internava semplicemente rigettata, perch lascia l'uomo nella sua solitudine, prigioniero di s, costretto nella necessit gi tutta disponibile della ripetizione dell'identico. La misteriosit dell'essere, il suo nascondimento nonostante la sua luminosit, pre

    cisamente la condizione che rende possibile l'esercizio della libert da parte dello spirito finito: il libero nascondersi e rivelarsi di Dio il fondamento ontologico della condizione di libert della creatura. Senza l'assenso gratuito dell'amore in sestesso libero n Dio si aprirebbe all'uomo, n l'uomo si aprirebbe alla profondit dell'essere divino. L'autotrascendenza nonsi realizza al di fuori di una scelta, di un'autodeterminazionemorale: l'esodo della condizione umana cammino di libert.Perci si pu dire che l'uomo l'ente che, amando liberamen

    te, si trova di fronte al Dio di una possibile rivelazione. L'uomo in ascolto della parola o del silenzio di Dio nella misurain cui si apre, amando liberamente, a questo messaggio dellaparola o del silenzio del Dio della rivelazione15.

    La decisione della libert, di cui l'autotrascendenza ha bisogno per realizzarsi, non pu compiersi per in astratto, ma

    12 Al Heidegger, Beitrage, o.c, 411. Ih., 294.14 K. Rahner,Uditori delta parola, Torino 1967, 97.15 Ib., 145.

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    come di ogni "de-cidere" deve compiersi in rapporto aun luogo determinato e ad un evento concreto, con cui si incontri l'apertura del cuore umano. pert anto necessario che questoluogo del l'incont ro con la trascendenza del Mistero venga a precisarsi e che l'esistenza come esodo si disponga all'ascolto di unpossibile avvento dell'Altro nell'orizzonte del tempo: L'uomo l'ente che nella sua storia deve tendere l'orecchio a un'eventualerivelazione storica di Dio attraverso la parola umana16. L'attodi una possibile autocomunicazione di Dio non pu che essere storicamente determinato, perch l'uomo spirito come essere storico e comunica l'oggetto della sua conoscenza mediandolo nellaparola, pur senza alcuna pretesa di esaurirlo: Finch quindi l'uo

    mo non partecipa della visione immediata di Dio, sempre ed essenzialmente in forza della costituzione fondamentale dellasua esistenza un udi tore della parola di Dio, colui che deve prevedere una possibile rivelazione di Dio, che non consiste nella manifestazione diretta del contenuto dell'oggetto rivelato nella suapropria essenza, ma nella sua comunicazione mediante segni rappresentativi, che indichino ci che deve essere rivelato, pur essendo da essi diverso17 . Nell'ascolto della parola, carica di silenzio perch evocativa della realt che in essa si comunica ma che

    pur sempre la trascende, l 'uomo si apre liberamente alla libera autocomunicazione di Dio: lo spirito come autotrascendenza viene ad incontrarsi con l'autotrascendenza dell'essere divino, in uncammino di libert, storicamente determina to e tale da realizzare e al tempo stesso stimolare la trasparenza dell'essere a se stesso che si compie nella coscienza dell'uomo.

    e) Le religioni fra esodo e Avvento

    L'apertura trascendentale dell'essere umano trova dunquenella Parola della rivelazione il suo compimento possibile ed adeguato: un compimento che, tuttavia, rimanda alle profondital di l del Verbo e richiede la permanente tensione della fede,chiamata ad aprirsi sempre pi al Mistero divino, che nella Parola si al tempo stesso rivelato e nascosto. In questa dialetticadi "gi" e "non ancora" si fonda da una parte la "pretesa" del-

    16 Ih., 208.17 lb., 153.

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    l'assolutezza del cristianesimo, in quanto religione della rivelazione storica del Dio vivente, dall'altra l'esigenza di interpretare correttamente lereligioni,che avanzano pretese di rivelazione. La coniugazione della "pretesa" cristiana e del rispetto e discernimento del valore e dei valori delle religioni non cristianenon facile compromesso o riduzione, ma obbedienza alla trascendenza del Mistero, che pur comunicandosi nella pi altapienezza storicamente possibile nella parola e nel silenzio dellarivelazione trinitaria resta "assoluto", e perci libero di disporre di s secondo economie diverse, che non fanno concorrenzaal Vangelo cristiano, ma anzi nella loro autenticit si prestano adincontrarsi con esso ed a manifestare nella verit liberante di questo incontro la loro pi profonda ricchezza, insieme all'attesa ancora incompiuta. Le religioni si offrono in questa luce anzitutto

    come possibile espressione autentica dell'esodo umano, in quanto autotrascendenza dell'uomo verso il Mistero santo: la decisionelibera di apertura e di accoglienza della Trascendenza, dovunquesi compia, condizione di possibilit dell'incontro col Dio viventee costituisce il fattore soggettivo che pu rendere autentica ogniesperienza religiosa e che va perci sempre riconosciuto e rispettato in qualunque ricerca del divino ed in tutte le religioni storiche. Non di meno possibile riconoscere nelle grandi religionidelle forme dell'avvento divino, anche se non andranno mai sot

    tovalutati n il loro carattere parziale, n l'eventuale mescolanza con resistenze e perfino contraddizioni rispetto alla buona novella. Non perci condivisibile una valutazione puramente negativa dei mondi religiosi non cristiani, come quella legata allacontrapposizione fra fede rivelata e religione intesa come struttura mondana di pretesa nei confronti del divino18; n, d'altraparte, si pu condividere il pluralismo indifferenziato di alcuneteologie delle religioni, ispirato a un effettivo prender le distanzedall'insistenza sulla superiorit o finalit/definitivit di Cristo e

    del cristianesimo, muovendosi contemporaneamente verso il riconoscimento dell'indipendente validit di altre vie19. Fra que-

    18Per la tesi della religione come faccenda dell'uomo senza Dio cfr. K. Barth,Die kirchlche Dogmatk,1/2, Zrich 1938, 17. In particolare Barth contesta all'eredit teologica liberale l'inversione(XJmkehrung)del rapporto fra rivelazione e religione :318.

    19P. F. Knitter,Prefazione a L'unicit cristiana: un mito? Per una teologia pluralistadelle religioni,a cura di J. Hick e P. F. Knitter, Assisi 1994, 50s. Cfr. l'intero volume,che, pur nella diversit e complessit degli approcci, pu essere nell'insieme consideratoespressione di questa cosiddettaposizione pluralista.

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    sti orientamenti contrapposti occorre perseguire la strada del dialogo nella verit e nella reciproca accoglienza, che mentre discernele vie dello Spirito e i semi del Verbo dovunque presenti, non rinuncia a proclamare la grazia e lo scandalo della buona novella20.

    Non dunque la religione in quanto tale che pu opporreresistenza al dono dell'autocomunicazione divina: essa pu anzi costituire una vera e propriapraeparato evangelica.Se l'uomo strutturalmente un pellegrino verso la vita, ci che costituisce la vera tentazione paralizzante il sentirsi arrivati, nonpi esuli in questo mondo, ma possessori, dominatori di un oggi che vorrebbe fermare la permanente trascendenza del cammino: L'esilio vero d'Israele in Egitto fu che gli Ebrei avevano imparato a sopportarlo21. L'esilio non comincia quando si

    lascia la patria, ma quando non si ha pi nel cuore la nostalgiadella patria. L'illusione di sentirsi arrivati, il pretendersi compiuti nella propria vicenda, il catturare Dio nella misura del nostro orizzonte, la malattia mortale: si morti quando non sivive pi l'inquietudine e la passione del domandare, il desiderio del cercare ancora. E questo pu accadere all'interno di ogniesperienza religiosa, compresa quella cristiana: perci anch'essa sta sotto il permanente giudizio della Croce. Ilverbum Cru

    cis parola scandalosa, che inquieta sempre, invitando ineludibilmente a scegliere fra il crocifiggere le proprie attese sulla crocedi Cristo, lasciandosi turbare da Lui, e il crocifiggere Cristo sullacroce delle proprie attese, presumendo di averlo catturato. Perci, nel cristianesimo la tendenza a rendere finito l'Infinito,cos tipica del comportamento religioso dell'uomo nei confronti di Dio, viene superata dall'avvenimento della rivelazione diDio... Ma, come insegna l'esperienza, nemmeno i membri dellaChiesa cristiana sono esenti dal rischio di stravolgere la religio

    ne in magia22

    . In qualunque esperienza religiosa, dunque,l'uomo che si ferma, sentendosi padrone e sazio della verit,per il quale perci essa non pi il Mistero ultimo da cui la-

    20E ad esempio l'orientamento presente inLa teologa pluralista delle religioni:un mito? L'unicit cristiana riesaminata, a cura di G. D'Costa, Assisi 1994. Cfr. pureB. Forte,Jesus Christ, Lord and Saviour, and the Encounter of Religions: The Paradoxof Christianity and the Way of Dialogue, in Pontificium Consilium pr Dialogo InterReligiones,Pro Dialogo, Theological Colloquium Fune, India, August 1993,Bulletin 85-86,1994/1, 58-68.

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    I racconti dei Chassiditn, a cura di M. Buber, Milano 1979, 647.22 W. Pannenberg,Teologia sistematica,I, Brescia 1990, 214: cfr. tutto il capitolo III ("La realt di Dio e degli di nell'esperienza delle religioni": 139-214).

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    sciarsi sempre pi profondamente possedere, l'uomo che haucciso in se stesso non solo Dio, ma anche la propria dignitdi persona umana. Pienezza di umanit e autenticit religiosasi trovano soltanto in chi accetta di essere sempre in esodo, chiamato permanentemente ad uscire da s per cercare una patria...

    1.2. LA PAROLA NELLE PAROLE

    Il Dio della fede ebraico-cristiana il Dio dell'avvento, l'Eterno che ha tempo per l'uomo. Venendo nella storia, Egli dischiude il cammino, accende l'attesa, offre una promessa sempre pi grande del compimento realizzato. Perci, il Suo avvento

    "ri-velazione": uno svelarsi, che vela, un venire, che apre ilcammino, un ostendersi nel ritrarsi, che attira. A questa dialettica di apertura e di nascondimento rinvia lo stesso termine "re-velatio" (analogo al greco noxalv^ii;), in cui il prefisso "re-"(ir) ha tanto il senso della ripetizione dell'identico, quanto quello del passaggio alla condizione opposta: la rivelazione del Dioche viene toglie il velo che cela, ma anche un pi forte nascondere, comunicazione di s, che inseparabilmente si offrecome un nuovamente "velare". Perci la tradizione ebraico-cristiana abbraccia accanto a una teologia della Parola, inseparabile da essa, una teologia del Silenzio: il dire di Dio non sicompie mai senza un Suo pi alto tacere...23.

    a)II Silenzio, provenienza e attesa della Parola

    Il silenzio il grembo fecondo dell'Avvento, lo scenario incui risuona la Parola, lo spazio dell'ultimo giorno24. Nel silenzio della rivelazione risuona l'eco di un altro Silenzio, quello

    23 Per un inquadramento organico delle riflessioni qui proposte ed un maggioreapprofondimento rinvio al volume settimo dellaSimbolica Ecclesiale: Teologia della storia.Saggio sulla rivelazione, l'inizio e il compimento,Milano 19912, specie la Parte Prima,36ss. Cfr. pure B. Forte, In ascolto dell'Altro. Filosofia e rivelazione,Brescia 1995.

    24Cfr. ad esempio A. Neher,L'esilio della Parola. Dal silenzio biblico al silenziodi Auschwitz, Casale Monferrato 1983. In una direzione analoga, sebbene con tagliopi meditativo-letterario, si pone C. Vige,Dans le slence de l'Aleph. criture et Rv-lation, Paris 1992.

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    nel quale il mistero stato avvolto per secoli (cfr. Rm 16,25),quello da cui procede la Parola nell'eternit e nel tempo. Al Silenzio divino corrisponde un umano silenzio: mentre per il pri

    mo la Sorgente pura del Verbo, l'Origine senza origine e ilPrincipio senza principio della divinit, silente Inizio di tuttoci che esiste nell'assoluta gratuit dell'atto creatore, il silenziomondano preparazione, destinatario, accoglienza, spazio apertoper il sorprendente nuovo inizio, ascolto in attesa di essere fecondato dalla Parola. E tuttavia, pur nell'infinita distanza, ilsilenzio creaturale impronta dell'altro: anch'esso grembo, sebbene di ci che non produce, ma che ad esso procede dall'Al

    tro; anch'esso aperto, sebbene non nella sorgivit feconda, manella recettivit umile e casta; anch'esso dimora, fatta per essere abitata dall'Altro, che il Figlio eterno, procedente dal Silenzio.

    L'analogia del silenzio unisce i due mondi di Dio e degliuomini nella pur sempre pi grande dissomiglianza e rivelanon solo una condizione ontologica della creatura il "silenzio dell'essere" , ma anche una sua condizione storica ed unasua vocazione. La condizioneontologicapu essere descritta comeuna "corrispondenza": Il silenzio "cor-risponde" a quel suono senza suono della quiete col quale il Dire originario nel suomostrare e appropriare si identifica25. L'Essere, in quantodestino che destina la verit, resta nascosto... Pu darsi che allora il linguaggio richieda, invece di una espressione precipitosa, un giusto silenzio26 . La condizione storica l'esperienzadei tempi del silenzio sino al suo vertice pi drammatico, che l'esilio della Parola, nella forma negativa del rifiuto dell'uo

    mo o in quella positiva anche se terribile del silenzio diDio. La vocazione ultima dell'uomo, in quanto essere della trascendenza, quella di raggiungere il Silenzio dell'origine riconoscendovi la figura della Patria: tutto ci che viene dal silenzioso Principio senza principio tende a ritornarvi come alla suadimora e al suo riposo. Il divino Silenzio, da cui creato il mondo, anche la Patria della sua identit, il luogo del compimento finale, quando Dio sar tutto in tutti (ICor 15,28) e ogni

    creatura sar finalmente e pienamente se stessa in Lui. Verso25M. Heidegger,in cammino verso il linguaggio,a cura di A. Caracciolo, Milano

    1984, 207.2f>Id.,Lettera sull'umanismo,in Id.,La dottrina d Platone sulla verit. Lettera sul

    l'umanismo, a cura di A. Bixio e G. Vattimo, Torino 1975, 105. 110.

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    .^^UWItilMUUUMMMMMMlCOOQaiXHKXja&BClffiCQaeRGS

    questa Patria anela il silenzio dell'attesa: il Dio silenzioso e raccolto la vocazione del mondo, l'approdo della nostalgia inscrittanell'essere silenzio della creatura. Dal Silenzio al Silenzio: inquesta formula potrebbero evocarsi l'Origine e la Patria, l'Ini

    zio e il Compimento degli esseri, che tendono a Colui da cuiprovengono.Come concepire il Silenzio, che sta nelle profondit dell'e

    terno al di l del tempo, del nascosto al di l del rivelato? Laforma, in cui pensare il rapporto della Parola pronunciata neltempo col Silenzio al di l di essa, deve tener conto della continuit ed insieme della differenza fra le due sponde: dove nonsi affermasse la continuit, il Silenzio resterebbe inaccessibilee la Parola vuota; dove non si tenesse conto della differenza,

    il Silenzio sarebbe risolto nella Parola e questa veicolerebbe uncontenuto proprio soltanto di questo mondo. Occorre, dunque,che il modo di pensare il rapporto neghi ed affermi nello stessotempo, ed insieme neghi ed affermi la negazione e l'affermazione ad un pi alto livello. la triplice via, divenuta classicaa partire da Dionigi l'Areopagita:via negationis, via eminentiae,via causalitatis21.Se la prima via attraverso la negazione intende affermare la differenza, la seconda attraverso l'affermazione intende evidenziare la continuit: la terza via rappresentaun superamento delle prime due, perch congiunge i poli nell'indissolubile continuit e nell'irriducibile distinzione del rapporto di causalit. Dionigi propone la triplice via per elevarsiverso l'"al di l di tutte le cose": il tutto , oltre il quale andare, l'orizzonte di questo mondo, visitato e rischiarato dal miracolo della rivelazione, che fa risuonare la Parola eterna nelle parole del tempo.

    La via negativa conduce alla tenebra intesa come sempliceassenza di luce, al Silenzio percepito come puro ritrarsi dellaParola. Questo negare non affermazione del niente: il non dettoal di l del detto l'In-generato al di l del Generato, il Padredel Figlio. La negazione, cio, afferma la distinzione fra i polia partire da quello che si reso accessibile a noi: con ci essa

    27Cfr.De divinis nomnibus, VII/3: PG3,869-872, con la parafrasi di Pachimele, che apre il passaggio alla dottrina scolastica dell'analogia:PG3,885-888. Sulla corrispondenza della via discensiva o "catafatica" e di quella ascensiva o "apofatica" inDionigi cfr. B. Forte,L'universo dionisiano nel Prlogo della "Mistica Teologia",inMedioevo4 (1978) 1-57 (ora anche in Id.,Sui sentieri dell'Uno. Saggi di storia della teologia,Milano 1992, 11-64).

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    non svuota la consistenza dell'Altro, ma vi si approssima conla cautela e la modestia di un superamento della Parola vissutoin obbedienza alla Parola stessa: Chi vede me, vede il Padre(Gv 14,9; cfr. 12,45). Il negare appare cos come un pi alto

    affermare: la via negativa si rivela del tutto complementare aquella positiva dell'eminenza. Il Silenzio della Non-Parola nonsi sposa al mutismo del non dire, ma al tacere eloquente del celebrare, all'adorante stare aperti verso la Trascendenza.

    Se la via negativa conduce al Silenzio come tenebra, nottedel nostro conoscere e pensare, la via positiva eleva dalla Parola dell'Amato al Silenzio dell'Amante, alla sorgiva pienezza chesi irradia per la limpida forza della Sua gratuit. Certamenteanche qui la tenebra non dissipata: essa per si offre non pi

    nella forma negativa della nostra incapacit a trascendere, main quella positiva della divina accondiscendenza a discenderenella notte del mondo. E la tenebra come pienezza accecantedi luce, come sovrabbondanza dell'amore che nessuna capacitumana di amare pu circoscrivere o comprendere. E il Silenziocome pienezza fontale, gratuit pura dell'Amante, da cui vienela pura gratitudine dell'Amato, seno fecondo da cui procede ilVerbo, e in Lui creata ogni cosa. Mentre la via negativa mostra l'inesorabile incompiutezza di ogni esodo umano che sfocia nella tenebra al di l di ogni luce e nel Silenzio al di l diogni parola, la via affermativa mostra l'infinita benignit dell'Amore, che gratuitamente si offre come sorgente della luceal di l di ogni tenebra e fonte della Parola al di l di ogni silenzio, come pura e sorgiva autocomunicazione divina, che superal'abisso e raggiunge la notte e il silenzio del mondo come Tenebra luminosa e silente Inizio della vita.

    La "via eminentiae" viene cos a congiungersi alla "via cau-

    salitatis": questa riassume e supera le altre due, perch riconosce nel Silenzio al di l del Verbo la Potenza originaria, il Primo Principio degli esseri, il Mistero fontale dell'eternit e deltempo, dal quale ha inizio ogni cosa, in cielo e in terra, visibileed invisibile. Nella Parola il Dio del Silenzio si offre come ilmistero del mondo, il grembo oscuro che avvolge ogni vita ea tutte d esistenza ed energia. Il divino Silenzio, ascoltato attraverso la Parola come l'ai di l di essa, la caligine oscura della via negativa, la tenebra luminosa dell' amore irradiante della

    via positiva, il Padre che origine e fonte, principio senza principio del Figlio e dello Spirito nell'eternit divina e di ogni co-

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    sa nel tempo secondo la via dialettica della causalit, che uniscee distingue i due poli. Sullo sfondo di questo Silenzio divinoil Verbo si offre come la luce che viene nelle tenebre, la rivelazione dell'amore fontale attuata nella "consegna" di s sino alla fine, il Figlio che solo pu renderci figli aprendoci l'accessoal mistero del Padre...

    b)La Parola, avvento del Silenzio

    Nel "frattempo", che sta fra il primo e l'ultimo Silenzio,si situa l'evento della Parola, coeterna nell'eternit, anche segenerata e determinata temporalmente nella storia del Suo avvento fra gli uomini. Proprio, per, perch "inscritta" nel Silenzio, la Parola ne mediazione, rimando alle profondit silenziose, che costituiscono la provenienza della sua venuta, neltempo e nell'eternit. Ecco perch accoglie veramente la Parola fatta carne solo chi ascolta il Silenzio, da cui essa provieneed a cui essa dischiude. L'autentico "ascolto" del Verbo udire il Silenzio al di l della Parola, il Padre di cui il Figlio rivelazione nel mistero della sua incondizionata obbedienza:Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi hamandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato (Gv

    12,44). Chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato(Gv 13,20). La parola che voi ascoltate non mia, ma delPadre che mi ha mandato (Gv 14,24). L'approfondimentotrinitario della rivelazione, sviluppato gi nel Nuovo Testamento, mostra dunque come il termine ultimo dell'accoglienzadell'evento rivelativo non sia la Persona del Verbo che in essoagisce, ma in essa e attraverso di essa la Persona delPadre, il Dio nascosto nel silenzio, resosi accessibile nell'incarnazione del Figlio.

    La Parola di rivelazione richiede di essere trascesa, nonnel senso che possa essere eliminata o messa in parentesi, perch questo precluderebbe semplicemente ogni accesso alle profondit divine, ma nel senso che essa verit e vita proprioin quanto via (cfr. Gv 14,6), soglia che schiude sul Misteroeterno, porta per la quale necessario passare per entrare nell'ovile delle pecore (cfr. Gv 10,7), luce venuta nelle tenebreper essere la luce, in cui vedremo la luce (cfr. Gv 1,9 e Sai36,10). Ci che sta prima nella conoscenza della fede la Pa-

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    rola: credere assentire al Verbo uscito dall'eterno Silenzio.La fede nasce dall'ascolto: La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo (Rm 10,17). L'ascolto trova il suo compimento in quanto

    nella storia si compiuto l'evento della parola: Vicino a te la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cio la paroladella fede che noi predichiamo (Rm 10,8). L'obbedienza della fede non che l'ascolto profondo (oboedenta daob-audo= rcaxori)di ci che stasottoeoltre(ob-, UTC) rispetto alla

    parola immediatamente udita. Si accoglie veramente la parolasoltanto quando la si "supera", le si "obbedisce", ascoltandoci che sta oltre e dietro e pi in profondo rispetto ad essa:alla dialettica di apertura e di nascondimento, segnalata nella

    stessa struttura della "re-velatio", viene cos a corrispondereil movimento di trascendenza proprio dell'obbedienza dellafede, che non si ferma all'immediatezza del Verbo, ma la supera andando verso l'ai di l del detto28. Grazie alla dialettica trinitaria di Parola e Silenzio, nell'evento di rivelazionela trascendenza non consegnata all'immanenza, ma anzil'immanenza delle creature ad essere chiamata a consegnarsisempre pi perdutamente alla trascendenza divina insondabileper la mediazione della Parola^ che ha messo le sue tende inmezzo a noi (cfr. Gv 1,14). E per questo che l'accoglienzadella Parola dinamismo, che deve continuamente trascendersi: se essa ascolto del Silenzio, da cui la Parola procede,in cui riposa e a cui rinvia, l'insondabile profondit di questodivino Silenzio motiva l'inesauribile ricerca che attraverso ilVerbo tende ad andare al di l del Verbo.

    E su questa via che lo Spirito guida i credenti alla verittutta intera (cfr. Gv 16,13), attualizzando la memoria del Cri

    sto ed insegnando ogni cosa: Il Consolatore, lo Spirito Santoche il Padre mander nel mio nome, egli v'insegner ogni cosae vi ricorder tutto ci che io vi ho detto (Gv 14,2-6). Se ilVerbo incarnato l'esegeta del Padre (cfr. Gv 1,18), lo Spirito l'esegeta del Figlio, Spirito di verit, che glorificher Gesmanifestando le ricchezze del Suo mistero: Quando verr loSpirito di verit, egli vi guider alla verit tutta intera, perchnon parler da s, ma dir tutto ci che avr udito e vi annun-

    c i ,su questi temi B. Forte,Offenbarung aut re-velatio? Dalla Scritturaalla Parolaed al Silenzio di Dio,inArchivio di Filosofia60 (1992) 389-402.

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    zier le cose future. Egli mi glorificher, perch prender delmio e ve l'annunzier (Gv 16,13s). L'accoglienza della Parola, in quanto ascolto del divino Silenzio in essa nascosto, "estasi", uscita da s verso le profondit di Dio, dalle quali

    ci attrae la pura Sorgente della luce, il Padre del Verbo eterno. come se l'amore "estatico" di Dio, quello per il quale Egliesce dal silenzio e si comunica nella Parola della creazione edella redenzione, susciti un amore di risposta, parimenti "estatico", bisognoso di uscire dal chiuso del proprio mondo, perimmergersi nei sentieri senza fine del Silenzio, cui fedelmenteconduce l'evento di rivelazione. All'esodo da s del divino Silenzio viene a corrispondere nell'asimmetria del rapportoche c' fra la creatura e il Creatore e per il dono puro della

    Grazia l'esodo da s del silenzio degli esseri, la loro aperturaal Mistero che si offre attraverso la Parola e in essa, lo stuporee la meraviglia dell'adorazione del Dio rivelato nel nascondimento e nascosto nella rivelazione. perci che ascoltare ilSilenzio dell'avvento permanere nel santuario dell'adorazione, lasciandosi amare dal Dio rivelato e nascosto ed attrarrea Lui attraverso l'insostituibile e necessaria mediazione del Verbo: Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv14,6b). Nessuno pu venire a me, se non lo attira il Padre

    che mi ha mandato (Gv 6,44). Si comprende allora che ilSilenzio, in cui vive e risuona in noi la Parola come nel grembodella Vergine Madre, l'ombra dello Spirito, "estasi di Dio",Sua "memoria" (Gv 14,26), attualizzatore del Verbo. Cos,la Parola sta fra due silenzi, il Silenzio dell'origine e il Silenziodella destinazione o della patria, il Padre e lo Spirito Santo.Tra questi due Silenzi gli altissima silentia Dei ladimora della Parola. Il Dio dell'avvento trinitario nel Suomistero pi profondo e nel Suo stesso modo di comunicarsiagli uomini.

    e)La rivelazione della Parola e del Silenzio

    Questa struttura trinitaria della rivelazione stata a lungoobliata: specialmente nel tempo della modernit, segnato dallepretese del razionalismo pi audace, l'autocomunicazione divina stata concepita per lo pi nella logica della manifesta

    zione totale, di quel puro e semplice venire all'aperto del na-24

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    scosto, reso dal termine, che traduce in tedesco revelatio: Of-fenbarung (etimologicamente: "gestazione e apertura dell'aperto")29- Cos, l'avvento di Dio ha potuto essere pensato comeesibizione senza riserve: dicendosi, il Mistero assoluto si sarebbe consegnato alla presa del mondo; l'ingresso dell'Eternonel tempo avrebbe fatto della storia il "curriculum vitae Dei",il pellegrinaggio della vita di Dio per divenire se stesso. Mada principio non fu cosi: interpretare la rivelazione come manifestazione totale, come pensiero solare, apertura incondizionata e senza riserve, vuol dire semplicemente consumare iltradimento della fede ebraico-cristiana nel suo significato originario e fondante. necessario perci liberarsi dal frainten

    dimento radicale del concetto di rivelazione, prodotto dall'ideologia moderna. Dio, rivelandosi, non soltanto si detto,ma si anche pi altamente taciuto: maestro del desiderio,il Dio della rivelazione colui che dando se stesso, al tempostesso si nasconde allo sguardo e attira alla Sua profonditsilenziosa e raccolta. Dio rivelato e nascosto, "absconditus inrevelatione revelatus in absconditate", il Dio dell'avvento il Dio della promessa, dell'esodo e del Regno. Perci, laSua rivelazione non visione totale, ma Parola che schiude

    i sentieri abissali del Silenzio.Veramente allora obbedisce alla Parola chi "tradisce" la Pa

    rola, chi non si ferma alla lettera, ma, ruminandola, scava inessa per accedere ai sentieri del Silenzio. Accoglie il Verbo incarnato chi non si ferma all'evidenza della carne, ma in essa eper essa si lascia condurre dallo Spirito verso l'abisso della prima Origine e dell'ultima Patria. Perci doveroso non ripeteremai la Parola, senza prima aver lungamente camminato nei sentieri del Silenzio: Il Padre pronunci una Parola, che fu suoFiglio, e sempre la ripete in un eterno silenzio; perci in silenzio essa deve essere ascoltata dall'anima30. Credere nella Parola dell'avvento sar allora lasciare che la Parola, schiudendoi sentieri del Silenzio, contagi al cuore umano la forza pervasi-va di questo Silenzio fecondo, accogliente. Il Dio dell'avvento

    29Da "offen", aperto, e "baren", che nel tedesco medievale esprime il "portarein grembo", l'"esser gravido". Sulla rilevanza dell'idea di "Offenbarung" nella teolo

    gia della modernit cfr. ad esempio P. Eicher,Offenbarung. Prinzip neuzeitlicher Theo-logie,Miinchen 1977.1 30S. Giovanni della Croce,Sentenze. Spunti d'amore,n. 21, inOpere,Roma 19672>

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    non il Dio delle risposte pronte a tutte le domande, n il Diodelle certezze a buon mercato, ma il Dio esigente, che amandoe donandosi si nasconde e chiama a uscire da se stessi in unesodo senza ritorno che porti negli abissi del suo Silenzio, ulti

    mo e primo. Ogni parola di Lui, ogni parola su Lui, sta fral'Origine e la Patria, fra il Silenzio fontale e l'ultimo Silenzio...

    La libera auto-destinazione di Dio all'uomo nel dono dellarivelazione si presenta cos con tanta discrezione da non forzare mai in alcun modo l'accoglienza libera della creatura: la Parola accolta solo quando l'apertura implicita del cuore umanoal Mistero si fa esplicita consegna all'Eterno. Senza la decisione della libert, senza la fiducia dell'assenso, che la dialettica

    di Parola e Silenzio della rivelazione domanda, ma non forza,non si compie l'incontro fra l'esodo e l'Avvento. Se all'iniziativa trinitaria del Dio vivente non corrisponde una consapevolee responsabile auto-destinazione dell'uomo a Colui che si rivela, la gratuita auto-destinazione divina alla creatura resta lucenon accolta dalle tenebre, parola cui risponde il muto silenziodell'indifferenza o del rifiuto, invece che il silenzio eccedentedell'amore. E qui che vengono ad operare, nel dinamismo dellalibera accoglienza della Parola, la grazia di Dio che previene

    e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e diaa tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verit31. Sirealizza cos una convergenza di motivi esterni e di aiuti interiori, che rendono la rivelazione accessibile all'accoglienza della libert umana, senza togliere a questa rischio ed audacia, perch non manchi la gratuit della risposta. Attraverso la Parolaliberamente entrata nella storia la creatura umana si schiude liberamente al Mistero santo, verso il quale la sospinge l'origina

    ria destinazione degli esseri, e ne sperimenta l'inesauribile profondit e bellezza. Allora l'esodo si apre all'Avvento e si lasciaabitare da esso. Questo incontro di libert, questa inabitazionereciproca, pur nell'asimmetria del rapporto, la fede: in essatrova il suo posto adeguato il linguaggio, che osa dire Dio, purrispettandone l'alterit incatturabile...

    J1 Costituzione del Concilio Vaticano II sulla divina rivelazione Dei Ver-bum 5.

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    1.3. L'ANALOGIA DEL MISTERO

    a)Dove l'esodo accoglie l'Avvento: la fede

    La Parola che viene dagli eterni silenzi di Dio raggiunge l'uomo nella sua condizione esodale: al permanente uscire da s dellacreatura, che lotta con la morte per camminare verso la vita,si fa incontro il Dio dell'avvento. Egli esce dal silenzio ed abitail tempo perch la storia entri nel silenzio della patria e vi dimori. L'incontro dell'umano andare e del divino venire, l'alleanzadell'esodo e dell'Avvento hfede. Essa non riposo tranquil

    lo, non possesso e certezza, ma lotta, agonia. Tale fu l'esperienzadi Giacobbe al guado (cfr. Gen 32,23-33): come per lui, cosper chi crede il Dio vivente l'assalitore notturno, tutt'altroche il "Deus mortuus", proclamato dalla ragione ideologica, oil "Deus otiosus", esiliato dalla ragione strumentale. Il Dio dellarivelazione l'Altro, non riducibile alla misura umana: guai aperdere il senso di questa distanza e della sofferenza della nonidentit, che ne consegue per l'uomo che cade nelle mani delDio vivente (Eb 10,31)! Credere implica la continua lotta con

    una Alterit, che non pu essere "risolta" n "fermata". Eccoperch il dubbio abiter sempre la fede ed essa sar combattimento, resistenza e resa: Tu mi hai sedotto, o Signore, ed iomi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso... Midicevo: "Non penser pi a lui, non parler pi in suo nome!"Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mieossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo (Ger 20,7.9).La pace della fede, la gioia che il mondo non conosce, la bellezza che sola salver il mondo, non l'assenza di agonia e di pas

    sione, ma il vivere al tempo stesso in lotta con l'Altro e a Luiperdutamente arresi, consegnati allo Straniero, che invita: il Diodella fede "fuoco divorante" (cfr. Dt 4,24; Is 33,14; Eb12,29)...

    Perci la fede scandalo: Non si giunge mai alla fede senza passare attraverso la possibilit dello scandalo (S. Kierkegaard). La "noche oscura" (Giovanni della Croce) il luogo dellenozze mistiche: Dio non si trova nella facilit del possesso diquesto mondo, ma nella povert della Croce, nella morte a sestessi, nella notte dei sensi e dello spirito. La tenebra il luogodella fede speranzosa, dell'amore credente, della pace. La fede

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    e resta scandalo: non la risposta tranquilla alle nostre domande, ma la sovversione di ogni nostra domanda. Solo dopo averportato il credente nel fuoco della desolazione, il Dio rivelatoe nascosto diviene il Dio delle consolazioni e della pace: Dio,

    se ci vuol rendere viventi, ci uccide (Lutero). Dio non risposta, custodia: in Lui soltanto restano l'ultima Parola e l'ultimo Silenzio, anche se qui ed ora ci gi dato di accoglierli innoi nella speranza. Perci il credente , in un certo senso, nien-t'altro che un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere. Se non fosse tale, la sua fede non sarebbe altro che rassicurazione mondana. Diversamente da ogni ideologia, che lascial'uomo prigioniero di s, la fede un continuo convertirsi all'Altro, un continuo consegnare il cuore a Dio, cominciando ogni

    giorno, in modo nuovo, a vivere la fatica di sperare e di amare.Se il credente un ateo che ogni giorno si sforza di comincia

    re a credere, non sar forse anche l'ateo un credente che ogni giorno vive la lotta di cominciare a non credere? Non sar l'ateo, chevive l'agone con coscienza retta e che, avendo cercato e non avendo trovato, patisce l'infinito dolore dell'assenza di Dio, non sarquesto ateo l'altra parte di chi crede? Perci nessuna negligenzadella fede ammissibile, nessuna fede indolente, statica ed abitudinaria, fatta di intolleranza comoda, che si difende condan

    nando perch non sa vivere la sofferenza dell'amore. La fede deve essere pensante, sempre interrogante e viva, anche dubbiosa,ma capace ogni giorno di cominciare di nuovo a consegnarsi all'Altro, a vivere l'esodo senza ritorno verso il Silenzio di Dio, dischiuso e celato nella Sua Parola. Qualunque prezzo, anche il picostoso, vai la pena di essere pagato per accendere sempre di nuovoin noi il desiderio della patria e tendere ad essa fino alla fine, oltre la fine, obbedendo al Mistero santo che attira, vivendo la trascendenza verso il Silenzio di Dio in obbedienza alla Sua Parola. in questa luce che si comprende perch a chiunque pensi in maniera non negligente non sia possibile non parlare di Dio: la condizione esodale dell'esistenza umana che lo richiede; la rivelazione stessa che interpella l'ascolto e la ricerca. La fede ha bisogno di teologia: ma al linguaggio teologico non pu rinunciareneanche il pensiero di chiunque cerchi veramente di trascendersi in obbedienza al Mistero che lo attira32.

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    Su questi temi cfr. B. Forte, Confesso Tbeolog. Ai filosofi,Napoli 1995, quiripresa in alcuni punti.

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    b)Dove il Mistero si dice e si tace: l'analogia

    In rapporto al bisogno che il pensiero non negligente e la fede indagante hanno di portare alla parola il Mistero, sia pur solo

    evocandolo, si profila l'urgenza di precisare le condizioni di possibilit del linguaggio su Dio e lo statuto della conoscenza attingibile del Trascendente. Per rispondere a questa urgenza stataelaborata nella storia del pensiero della fede la dottrinadell''analogia^:essa non nasce da un'astratta curiosit intellettuale, ma fa preciso riferimento al bisogno di offrire una giustificazione riflessa dell'uso teologico del linguaggio umano. E perch la fede parla di Dio in obbedienza alla rivelazione, perchla Parola eterna si detta nelle parole del tempo, perch l'eso

    do dell'autotrascendenza umana verso l'orizzonte ultimo non punon investire il linguaggio, che si avverte l'esigenza di render ragione delle affermazioni che si fanno intorno al Mistero: ci chefa problema precisamente il come, parlando di Dio, possa darsila continuit del senso nella differenza incolmabile del significato.

    Esemplare la ricerca di Tommaso d'Aquino, proprio perch nasce dalla chiara consapevolezza di come nel tentativo didire Dio ci si muova sempre fra due estremi possibili, l'univocit indiscreta, che fa del divino un semplice momento dell'identit gi conosciuta e disponibile, e l'equivocit radicale, chescava l'abisso incolmabile dell'incomunicabilit fra il mondo diDio e il mondo degli uomini. Fra queste due sponde si costruisce il suo pensiero sull'analogia34: Questo modo di tenere in-

    33 Nell'ambito dell'immensa bibliografia cfr.: Analogie et dialctique, Genve1983; E. Coreth - E. Przywara,Analogia ents (Analogie), inLexikonfr Theologie unaKirche1, Freiburg 1957, 468-476; C. Fabro,Partecipazione e causalit secondo S. Tommaso d'Aquino,Torino 1960; A. Guzzo - V. Mathieu,Analogia,inEnciclopedia Filoso

    fica1, Firenze 1967, 247-257; V. Melchiorre,L'analogia chiave di lettura della creazione,inRivista di Filosofia Neo-Scolastica84 (1992) 563-584;Metafore dell'invisibile. Ricerche sull'analogia,Brescia 1984 (bibl. 285-290); A. Milano,Analogia Christi. Sul parlare intomo a Do in una teologia cristiana,inRicerche Teologiche1 (1990) 29-73; G.B. Mondin,The Prnciple of Analogy in Protestant and Catholc Theology,The Hague1961; Id.,Il problema del linguaggio teologico dalle origini ad oggi,Brescia 1971;Originie sviluppi dell'analogia. Da Parmenide a S. Tommaso,a cura di G. Casetta, Vallombrosa1987; W. Pannenberg,Analoga e dossologa,inQuestioni fondamentali di teologia sistematica,Brescia 1975, 205-227; P. Ricoeur,La metafora viva,Milano 1981; P. Sequeri,

    Analogia,inDizionario Teologico Interdisciplinare1, Torino 1977, 341-351; G. Sohn-gen,Analogie und Metapher. Kleine Philosophie und Theologie der Sprache,Freiburg 1962;J. Track,Analoge,inTheologische Realenzyklopddie 2,Berlin - New York 1978, 625-650.

    Sull'analogia in Tommaso cfr. in particolare H. Lyttkens,The Analogy between

    God and the World. An Investigaton of its Background and Interpretation of its Use byThomas of Aquino, Uppsala 1952.

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    sieme sta in mezzo fra la pura equivocit e la semplice univocit. Infatti nelle cose che si dicono per analogia non vi un'unicae sola ragione, come avviene per ci che univoco; n vi unaragione totalmente diversa, come succede per ci che equivo

    co; ma il nome che cos molteplicemente si dice, significa proporzioni diverse in rapporto ad uno stesso35 . L'analogia uniscei diversi, custodendoli nella loro diversit e mostrando la prossimit delle lontananze. Questa prossimit fondata su ci che comune ai diversi: Yunum commune. Poich esso pu essereinteso in maniera diversa, diverse sono le stesse forme di intendere l'analogia: se lo si concepisce come rapporto di somiglianzafra rapporti (il che richiede almeno quattro termini, di cui uno,parlando di Dio , non pu essere che ignoto: asta ab, comeesta

    a x), allora il punto di incontro che giustifica l'analogia nellasomiglianza del tipo di relazione che si ritrova all'interno delledue coppie di termini. Si parla in tal caso di "analogia di proporzional it". Se invece ci che comune viene concepito come l'unica e stessa realt, a cui in diversi gradi molti partecipano, siha la cosiddetta "analogia di attribuzione", fondata nella rela-tio ab uno oad unum dei pi. Nell'uno e nell'altro modello, l'analogia pensata da Tommaso sembra muoversi al livello del giudizio, piuttosto che del concetto: l'analogia qualifica, cio, unamodalit della predicazione, un rapporto fra i concetti, pi cheil contenuto rappresentativo dei concetti stessi. La staticit cosale del concetto non deve essere confusa con la dinamicit relazionale del giudizio, con cui del nome si predica qualcosa. Si comprende cos la precisa messa in guardia di Tommaso nei confrontidelle rappresentazioni concettuali del divino, che sono e restano rappresentazioni mondane, e perci del tutto inadatte a rendere la semplicit dell'essenza divina: Tutto ci che la nostraintelligenza concepisce di Dio non riesce a rappresentarlo, percui ci che proprio dello stesso Dio ci resta sempre nascostoe la pi alta conoscenza che possiamo avere di Lui nel nostro essere in cammino sta nel riconoscere che Dio al di sopra di tu ttoci che pensiamo di Lui36.

    33 Iste modus communitatis medius est inter puram aequivocationem et simpli-cem univocationem. Neque enim in his quae analogice dicuntur, est una ratio, sicut estin univocis; nec totaliter diversa, sicut in aequivocis; sed nomen quod sic multipliciterdicitur, significat diversas proportiones ad aliquid unum :Summa TheologiaeI, q. 13, a. 5c.

    36Quidquid intellectus noster de Deo concipit, est deficiens a repraesentationeeius; et ideo quid est ipsius Dei semper nobis occultum remanet; et haec est summa

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    Per Tommaso, dunque, l'analogia rappresenta essenzialmente un criterio di restrizione dell'equivocit, necessario per evitare di destituire di senso il nostro parlare di Dio37. E questapreoccupazione che lo porta a privilegiare in alcuni testi l'ana

    logia di proporzionalit, che pare pi rispettosa della distanzafra Creatore e creatura38, in altri l'analogia di attribuzione, legata al rapporto causale fra Dio e la creatura, sulla base del riferimento al fondamento ontologico dei rapporti analogici nella causalit: l'attribuzione di significato a Dio infatti fondatanel rapporto della creatura a Dio, suo principio e sua causa,nel quale preesistono in modo eccellente tutte le perfezioni dellecose39. Non di meno, Tommaso non evita di sottolineare il carattere di equivocit dello stesso rapporto causale riferito al divino: causa aequvoca quella raggiunta passando dall'effettonoto alla causa ignota, per cui l'analogia di attribuzione restasubordinata a una sorta di analogia di proporzionalit. Questaper sembra a sua volta supporre untertium quid fra Dio e lacreatura, comune a entrambi, e non sfugge perci del tutto alrischio dell'univocit. Ecco perch Tommaso sembra restare inricerca, pur preferendo negli ultimi testi l'analogia che si muove sul terreno pi certo del rapporto causale fra Creatore e crea

    tura. Queste oscillazioni in un genio dell'intelligenza della fededel valore di Tommaso mostrano come nel discorso intorno aDio l'analogia serva pi per non tacere che per dire: nel linguaggio teologico resta fermo il primato dell'indicibilit40. Tuttavia,la via negativa ha un valore dialettico e non si risolve in un principio agnostico. N possibile negare che si possa dire affermativamente qualcosa di Dio41: motivo inoppugnabile il fat-

    cognitio quara de ipso in statu viae habere possumus, ut cognoscamus Deum esse supra

    omne id quod cogitamus de eo: De Ventate q. 2, a. 1, ad 9m

    .37 P. Sequeri, Analogia, o.c, 345. Si noti come la stessa ragione spinga Scoto asottolineare l'univocit fondamentale del significato con differenti modalit di attribuzione nel parlare di Dio: cfr. Th. Barth,De univocationis entis scotisticae intentione

    principali necnon valore critico,inAntonianum28 (1953) 72-110; M. Schmaus,Zur Di-skusson tiber das Problem der Univozitdt im Umkreis des Johannes Duns Skotus, Mn-chen 1957.

    38 Cfr. De Ventate q. 2, a. He.39 Quidquid dicitur de Deo et creaturis, dicitur secundum quod est aliquis or-

    do creaturae ad Deum, ut ad principium et causam, in qua praeexistunt excellenteromnes rerum perfectiones: Summa Theologiae I, q. 13, a. 5.

    40 Convenientissimus modus significandi divina fit per negationem:In I Sent.

    34, 3, 2.41Propositiones affirmativae possunt vere formari de Deo... : Summa Theolo-Siae I, q. 13, a. 12.

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    to che esistono asserti di fede, fondati sulle parole in cui si detta la Parola dell'avvento42. Dunque, il bisogno di obbedire alla rivelazione, l'accettazione della struttura assertoria dellafede a fornire la base della ricerca di Tommaso sull'analogia.

    Dove il ragionamento farebbe trionfare l'equivocit, la rivelazione ad aprire ponti di comunicazione. N ci comporta ilcedimento a una univocit indiscreta, perch resta sempre benchiaro che la semplicit divina non potr mai essere raggiuntadalla complicazione di un intelletto finito, incapace di coglierein unit il tutto43 .

    Ci che caratterizzer la successiva interpretazione dei testi di Tommaso, nel conflitto fra i fautori di un primato dell'analogia di attribuzione, come Suarez, e i fautori della rilevanza

    della sola analogia di proporzionalit, come il Gaetano, sar unoslittamento dal piano del giudizio a quello del concetto, che far accentuare la tendenza alla cosificazione e all'onto-teologizzazione del pensiero della fede. Il tema dell'analogia verrcos utilizzato in connessione con la dottrina della conoscibilitnaturale di Dio contro ogni possibile fideismo, agnosticismo eateismo. Certo, lo stesso san Tommaso a partire da differenti aspetti della realt: il movimento, la catena delle cause edegli effetti, la contingenza o caducit degli enti, i gradi del

    l'essere e il finalismo che governa ogni cosa ha segnalato cinque vie di approccio al Mistero trascendente44: esse rimandano tutte ad una causa ultima, che non fa parte della catena delle cause penultime, perch questa, per quanto infinita, resta caratterizzata dalla limitatezza di non darsi l'essere, ma di riceverlo. Quest'ultimo approdo, che d l'essere a tutto e non loriceve da alcuno, il primo motore, la causa prima, l'unico necessario, dotato di ogni perfezione e della suprema intelligenzaordinatrice dell'universo: Dio, il fondamento supremo con

    tro ogni precipitare nel nulla, il grembo eterno su cui riposa ildestino dell'uomo e del mondo, il senso e la patria di tutte le

    42 Propositiones quaedam affirmativae subduntur fidei, utpote quod Deus esttrinus et unus, et quod est omnipotens: ih., Sed contra.

    43 Deus auterti, in se consideratus, est omnino unus et simplex: sed tamen in-tellectus noster secundum diversas conceptiones ipsum cognoscit, eo quod non potestipsum ut in seipso est, videre. Sed tamen, quamvis intelligat ipsum sub diversis con-ceptionibus, cognoscit tamen quod omnibus suis conceptionibus respondet una et ea-dem res simpliciter : ib., Corpus.

    44 Cfr. Sumtna Theologiae I, q. 2, a. 3.

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    cose. Di Dio, per, le cinque vie possono tutt'al pi dire checi sia, non chi sa: perci non infondato affermare che essesono pi un esercizio di analogia teso a render ragione dell'esperienza dell'ineliminabile autotrascendenza dell'uomo verso

    il Mistero santo, che non una chiarificazione di questo stessoMistero.

    In tal senso esse sono pi vicine di quanto si pensi all'altrogrande approccio razionale al Mistero, prodotto dal pensiero dellafede: l'argomento ontologico^. Esso perviene alla stessa sogliascrutando non all'esterno nel vasto mondo degli enti, ma all'interno, nell'abisso che si affaccia nel pensiero umano. Per Anselmo d'Aosta Dio non solo ci di cui nulla di pi grandepu essere pensato46, ma anche ci che pi grande di tutto quanto possa essere pensato47, e perci non solo il Sommodegli esseri, ma l'ai di l del tutto 48, il Presupposto e POltre,che pensa tutte le cose e cos le crea e che perci non pu esserepensato se non come ci che oltre l'estremo pensiero della creatura, l'ultima sua sponda, il suo supremo, incatturabile orizzonte.

    Fra questi due approcci al Mistero, che conducono l'uno all'Oggettivit suprema, l'altro alla Soggettivit infinita, trascendente e onnicomprensiva (nella forma, quasi, di uncogitor, ergo

    sum: sono pensato, dunque esisto), l'intelligenza credenteha spesso cercato una conciliazione, cogliendo in Dio la risposta assoluta alla nostalgia di infinito, presente nell'uomo, o riconoscendo in Lui l'Altro che viene a visitare il cuore umanoe lo libera dalla prigionia della sua solitudine e dalla violenzadi una ragione presuntuosa, mossa solo dalla "volont di potenza". Entrambi gli approcci mostrano per come la via propria per parlare di Dio possa essere solo quella che si costruiscein obbedienza al Suo movimento verso l'uomo, e perci in ulti

    ma istanza alla Sua rivelazione: l'analogia si edifica sull'Avvento, pi che sull'esodo, o meglio in quel campo di incontro diesodo e Avvento, che il mondo della fede, dove l'asimmetria tutta dalla parte del primato assoluto di Dio.

    Per ribadire questo primato in opposizione all'eccesso di continuit fra divino e umano, che sarebbe proprio della dottrinacattolica dell'analogia, interpretata come analogia entis, Karl

    45Cfr. di recenteL'argomento ontologico,a cura di M. M. Olivetti, Padova 1990.

    Aliquid quo nihil maius cogitari possit: Proslogon e. 2.Quiddam maius quam cogitari possit: Proslogon e. 15.Cfr. Proslogon e. 5: Summum omnium sive Maius omnibus.

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    Barth ha proposto il ricorso all'analogia /idei49, utilizzando laformula paolina, che ha in realt il senso di concordanza(mensura: Girolamo; regula: Agostino) con la fede, criterio di autenticit della profezia: Chi ha il dono della profezia

    la eserciti secondo l'analogia (vaXo-Yi'a) della fede (Rm 12,6).Ci che Barth vuole affermare che Dio si pu conoscere soloa partire da Dio, dalla Sua rivelazione storica in Ges Cristo:l'analogia entis invenzione dell'Anticristo50 precisamente inquanto sembra supporre un ens commune, che abbraccerebbeil Creatore e la creatura e consentirebbe perci l'accesso a Dionon a partire da Lui, ma in base all'esperienza umana e all'evidenza dell'essere allo spirito conoscente. Cos verrebbe menola distanza fra il cielo e la terra, l'infinita differenza qualitati

    va fra di essi, e si svuoterebbe la drammatica seriet delle conseguenze del peccato. Gi il giovane Barth aveva affermato contro ogni presunzione della ragione umana: Se ho un "sistema",esso consiste in ci che io mi tengo davanti agli occhi, con tuttala tenacia possibile, quella che Kierkegaard ha chiamato "l'infinita differenza qualitativa" del tempo e dell'eternit, nel suosignificato positivo e negativo. "Dio in cielo e tu sulla terra".Il rapporto di questo Dio a questo uomo, il rapporto di questouomo a questo Dio per me il tema della Bibbia e insieme la

    somma della filosofia. I filosofi chiamano questa crisi del conoscere umano "origine". La Bibbia vede in questo punto cruciale Ges Cristo51. L'abisso non pu essere dissolto nulla

    proportio finiti ad nfimtuml , anche se in Ges Cristo il punto di incontro fra il mondo di Dio e il mondo degli uomini ci stato dato: Dio il Dio sconosciuto.Come taleegli d a tuttila vita, il respiro e ogni cosa. Perci la sua potenza non nuna forza naturale, n una forza dell'anima, n alcuna delle pialte o altissime forze che noi conosciamo o che potremmo even

    tualmente conoscere, n la suprema di esse, n la loro somma,n la loro fonte, ma la crisi di tutte le forze, il totalmente Altro, commisurate al quale esse sono qualche cosa e nulla, nulla

    A9 Cfr. specialmente Die kirchliche Dogmatik, I/I: Die Lehre vom Wort Gottes,Zrich 19648. Cfr. sulla posizione barthiana e il suo rapporto con la tradizione cattolica H. U. von Balthasar,La teologia di Karl Barth, Milano 1985.

    50 Cfr. Die kirchliche Dogmatik, I/I, o.c, Vili: a motivo di essa, per Barth,che non si pu divenire cattolici.

    51 Prefazionealla seconda edizione delRomerbrief,inLe origini della teologa dia

    lettica, a cura di J. Moltmann, Brescia 1976, 145.

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    e qualche cosa, il loro primo motore e la loro ultima quiete, l'origine che tutte le annulla, il fine che tutte le fonda. Pura edeccelsa sta la forza di Dio, non accanto e "soprannaturalmente" sopra, ma al di l di tutte le forze condizionate-condizionanti,n deve essere scambiata con esse, n messa in linea con esse,n senza estrema cautela pu essere confrontata con esse. Lapotenza di Dio, che stabilisce Ges come Cristo, nel sensopi stretto pre-supposizione, libera di ogni contenuto tangibile. Essa avviene nello Spirito e vuole essere conosciuta nello Spirito. Essa autosufficiente, incondizionata e in s vera52 .

    Se 1'"infinita differenza qualitativa" rende impossibile perBarth ogni analogia fondata sulla continuit fra l'essere finito

    e l'essere eterno, non per questo egli ritiene che si debba rinunciare a ogni forma di analogia: se cos fosse, ogni discorso suDio sarebbe insensato. L'analogia di cui ci si pu e ci si deveservire quella fondata sull'iniziativa del Dio della rivelazione:una analogia costruita e misurata sulla libera autocomunicazione divina in Ges Cristo, e perci unaanalogia fidei, la cui possibilit data dal fatto che uno e unico il Dio creatore e ilDio che si rivela, e la cui effettualit storica totalmente connessa al libero atto divino del rivelarsi. Ges Cristo nostro Si

    gnore:ecco l'Evangelo, ecco il significato della storia. In questonome si toccano e si dividono due mondi, si tagliano due piani,uno sconosciuto e uno conosciuto. Quello conosciuto il mondo della "carne", creato da Dio ma decaduto dalla sua originaria unit con Dio, e perci bisognevole di salvezza; il mondodell'uomo, del tempo, delle cose, il nostro mondo. Questo piano conosciuto viene tagliato da un altro sconosciuto, il mondodel Padre, il mondo della creazione originaria e della redenzione finale. Ma questa relazione tra noi e Dio, fra questo mondo

    e il mondo di Dio, ha da essere conosciuta. Vedere la linea diintersezione tra i due mondi non una cosa che va da s. Ilpunto della linea di intersezione, nel quale questa pu essereveduta, ed effettivamente veduta, Ges, Ges di Nazaret,u Ges "storico", nato dalla stirpe di Davide secondo la carne.

    Ges", come indicazione storica, significa il luogo di rotturatra il mondo a noi conosciuto e un altro sconosciuto53 .

    La critica di Barth non va dunque all'analogia, ma alla pre-

    52 K. Barth, L'Epstola ai Romani, a cura di G. Mieege, Milano 1974, lls.53 Ih., 17.

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    tesa fondazione ontologica di essa: una fondazione puramente teologica del parlare umano dell'Eterno quella che egli rivendica in nome della sola gratta ed in difesa della libert divinarispetto a ogni indebita cattura mondana. La critica barthianaraggiunge cos solo un certo modo di interpretare l'analogia, quel

    lo che confonde la regolamentazione ermeneutica del discorsosu Dio con la rappresentazione della struttura ontologica dell'intero esistente, come a Barth sembrava avvenisse specialmentenel suo interlocutore polemico in campo cattolico, ErichPrzywara54.

    Questi aveva certamente accentuato la rilevanza della dottrina dell'analogia come specifica del cattolicesimo contro il pessimismo della Riforma riguardo alle capacit della conoscenza

    umana di Dio e al suo fondamento ontologico: al tempo stesso,per, aveva sottolineato riguardo al conoscere analogico lamaiordissmiltudofra Creatore e creatura di cui parla il Concilio La-teranense IV55. In questo senso la critica barthiana imprecisa e viene addirittura a coincidere con alcune delle istanze piprofonde della ricerca di Tommaso e della posizione cattolica:si pu anzi osservare come la debolezza di Barth stia proprionel non aver distinto come spesso avviene nella tradizionescolastica il piano dei giudizi da quello dei concetti nella con

    cezione dell'analogia, confondendo cos i rapporti dinamici eperfino dialettici connotati dal giudizio con l'immagine staticadelle rappresentazioni degli enti, fra cui l'Ente supremo starebbecome uno dei tanti. Risulta cos fondato il rilievo di Bonhoef-fer a Barth circa un suo "positivismo della rivelazione"56: questa garantirebbe l'analogia in modo da farla valere come via dicorretta, anche se inadeguata, "rappresentazione" concettualedel divino, in maniera dunque del tutto "positivistica". Peraltro, sar lo stesso Barth a temperare la sua criticaall'analogia

    entisattraverso il successivo ricorso a unaanalogia relationscrea-

    54Sull'analogia cfr. di E. Przywara specialmenteReligionspbilosopbie KatholischerAnalogie,Mnchen 1926;Analogia entis,Mnchen 1932, ed. ampliata Einsiedeln 1962.Sulla polemica fra Barth e Przywara cfr. J. Greisch, "Analogia entis" et "analogia fi-dei"', une controverse thologique et ses enjeux philosophiques (K. Barth et E. Przywara),inEtudes Philosophiques1989, 475-496; E. Mechels,Analogie bei Erich Przywara undKarl Barth. Das Verhltnis von Offenbarungstheologie und Metaphysik,Neukirchen 1974.

    55 DS 806.56 Cfr. ad esempio D. Bonhoeffer,Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere,

    a cura di E. Bethge, ed. it. a cura di A. Gallas, Cinisello Balsamo 1988, 401: letteradell'8 giugno 1944.

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    turale, pi attenta alla necessit di distinguere l'aspetto linguistico da quello ontologico, pur senza separarli: una cosa la pertinenza di asserti teologici, che chiunque accetti la rivelazionedi Dio non pu negare; altra la rete dei rapporti ontologicifra il Creatore e la creatura.

    Su questo secondo piano la critica barthiana converge conquella che da tutt'altra prospettiva Martin Heidegger muoveall'"onto-teo-logia": il pensiero della cosificazione o entifica-zione di Dio non per lui che un caso particolare, e forse ilpi esemplare, del nichilismo dell'Occidente, terra dell'occaso,del tramonto e della dimenticanza dell'essere. Ridurre Dio a oggetto fra gli oggetti del pensare, spiegarlo con l'idea di causasui in una rete continua ed ordinata di cause ed effetti che aLui fa capo, significa svuotarlo di tutta la santit e la sublimit,

    di tutta la misteriosit del suo esser altro, per farne un ente disponibile al gioco strumentale dei concetti umani: L dove tuttoci che presente si d nella luce del nesso causa-effetto, persino Dio pu perdere per la rappresentazione tutta la santit ela sublimit, la misteriosit della sua lontananza. Dio, nella luce della causalit, pu decadere al livello di unacausa efficiens.Allora anche nell'ambito della teologia egli diviene il Dio deifilosofi, ossia di coloro che definiscono il disvelamento e il nascosto sulla base della causalit del fare, senza mai prendere inconsiderazione l'origine essenziale di questa causalit57. Davanti a questo Dio dell'onto-teo-logia non possibile alcuna esperienza dell'ascolto del silenzio dell'essere, n alcuna dossologia:Davanti allacausa suil'uomo non pu n cadere in ginocchiopieno di riverenza, n pu davanti a questo dio produrre musica e danzare. Cos, il pensiero privo di un dio, il pensiero chedeve fare a meno del dio della filosofia, del dio come causa sui, forse pi vicino al dio divino58. Dove si perde il senso delsilenzio dell'essere la causa del "dio divino" compromessa:nell'oblio dell'essere naufragano anche il nascondimento e la rivelazione del Totalmente Altro! La "pars destruens" comecritica della dimenticanza dell'essere rivela qui la sua possibile rilevanza a favore di una teologia del "dio divino'', controil "Deus mortuus et otiosus" della onto-teo-logia. come un

    " M. Heidegger, Saggi e discorsi, tr. G. Vattimo, Milano 1976, 20.Id.,La costituzione onto-teo-logica della metafisica, inIdentit e differenza, in

    Aut-Aut 1982, nn. 187-188, 35s.

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    rivendicare i diritti del Dio del silenzio della "re-velatio" contro il Dio troppo umano della chiacchiera filosofica e teologica!

    Se cos netto il giudizio sulla metafisica e la teologia inquanto espressioni della storia dell'oblio dell'essere, e quindidel nichilismo occidentale, non altrettanto netto il sentierodella "pars costruens" heideggeriana alla ricerca di un modo

    di dire la differenza superando il linguaggio dell'identit: dalpunto di vista del porsi del pensiero questo cammino una sorta di educazione all'ascolto del Dire originario e del non menooriginario tacere. Questa via dell'ascolto quella in cui solo pucomunque apparire l'essere al di l dell'essenza e il sacro (dasHeilg),ad esso indissolubilmente congiunto. la via di un pellegrinaggio verso la patria, che la vicinanza dell'essere: Soloin questa vicinanza si decide se e come Dio e gli dei si rifiutanoe resta la notte, se e come il giorno del sacro albeggia, se e co

    me in tale albeggiare del sacro possano cominciare di nuovo adapparire Dio e gli dei. Il sacro, per, che solo lo spazio essenziale della divinit, la quale a sua volta garantisce solo la dimensione per gli dei e per Dio, giunge ad apparire solo se dapprimae in una lunga preparazione l'Essere stesso si aperto ed stato esperito nella sua verit. Solo cos comincia, a partire dall'Essere, il superamento di quella mancanza di patria, in cui oggisono sperduti non solo gli uomini, ma la stessa essenza dell'uomo59. Sulla via dell'ascolto della Donazione originaria, sui"sentieri interrotti" che si immergono verso il cuore del fittobosco dell'essere, l'essere stesso si offre, rivelandosi al tempostesso in cui si ritrae e si vela: il Sacro appare proprio nella forma del ritrarsi dell'essere, quando esso si aperto, ma aprendosi si necessariamente ritratto per consentire all'atto del suoaprirsi di determinarsi. Il giorno del sacro albeggia nella nottedell'essere, l dove l'essere venendo al linguaggio resta raccoltocome il silenzio della provenienza e dell'orizzonte, su cui si staglia l'accadere degli enti: nello spazio dell'ascolto "transita" nellaforma dell'avvento in una raccolta quiete 1"'ultimo Dio", negazione e misura di tutto ci che penultimo60.

    Il linguaggio allora al tempo stesso il luogo dell'avventodell'essere e la ripetizione del suo esodo: ri-velazione nel dop-

    59 Id., Lettera sull'umanismo, o.c, 105.60 Sulla rilevanza della figura dell"'ultimo Dio", presente nello Heidegger "se

    greto" deiBeitr'ge zur Philosophie,in ordine a una nuova comprensione dell'intero itinerario heideggeriano, ha insistito U. Regina,Servire l'essere con Heidegger,Brescia 1995.

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    pio senso dell'offrirsi presente del velato e del nuovamente velarsi del nascosto61. Il linguaggio il manifestante-occultanteavvento dell'Essere stesso62. Se nel linguaggio l'essere vienealla luce, ci si compie precisamente in quanto la provenienzadi questo avvento rimane misteriosa e nascosta: L'Essere, inquanto destino che destina la verit, resta nascosto63. Questosilenzio dell'essere notte al di l dell'illuminazione, alba incui il rivelato rimanda al nascosto, e il nascosto si offre comeil Destinante originario non puro e semplice "non-essere":esso pu ricondursi al "nulla" solo in quanto il "nulla" vengapensato come assenzadella presenza, o presenzadell'assenza, cheincide sulla presenza proprio in quanto provenienza e dimora,cio come assenza che tale senza cessare di essere. Il nullanon un oggetto, n in generale un ente; esso non si presenta

    per s, n accanto all'ente, al quale pure inerisce. Il nulla lacondizione che fa possibile la rivelazione dell'ente come tale perl'essere esistenziale dell'uomo. Il nulla non d soltanto il concetto opposto a quello di ente, ma appartiene originariamente all'essenza dell'essere stesso64.

    Questo silenzio dell'essere, questo essere assente senza perquesto non-essere, questo nulla misterioso e nascosto, dunque lo spazio del Sacro? e, poich solo a partire dall'essenzadel sacro va pensata l'essenza della divinit65, lo spazio del

    Dio misterioso e nascosto? Due punti emergono con evidenzadalla critica all'onto-teo-logia: da una parte, la non identit diDio e dell'essere, e quindi la non pertinenza del termine esserein teologia, onde evitare ogni cosificazione ed entificazione dell'essere divino; dall'altra, la pertinenza della dimensione dell'essere per fare l'esperienza di Dio. Io credo che l'essere nonpossa assolutamente venir pensato alla radice e come essenzadi Dio, ma credo peraltro che l'esperienza di Dio e del suo es

    ser manifesto, appunto in quanto questo esser manifesto pu

    61Si comprende in tale luce l'esigenza heideggeriana di superare la terminologiadella "Offenbarung": si pensi ad esempio all'uso della radice di "bergen" = "metterein salvo" : "Ent-bergung", "Verbergung" in M. Heidegger, Beitrdge zur Phlosophie{Vom Ereignis), o.c, 389, Nr. 243: "Die Bergung"; 249, Nr. 131: "Das bermap irtiWesen des Seyns (das Sichverbergen)".

    62 Id., Lettera sull'umanismo, o.c, 90. Ih., 105.64Id.,Che cos' la metafsica? tr. di A. Carlini, Firenze 1953, 24. Cfr. su questo

    tema S. Givone,Storia del nulla, Roma-Bari 1995.63 Id., Lettera sull'umanismo, o.c, 119.

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    incontrare l'uomo, sfolgori proprio nella dimensione dell'essere, il che per non significa in nessun modo che l'essere possaavere il senso di un predicato possibile per Dio66. Da questedue affermazioni se ne pu ricavare una terza: se Dio non puvenir ridotto ad uno degli enti, e se tuttavia del suo avvento

    pu farsi esperienza solo nella dimensione dell'essere, lo spazioper Dio potrebbe risiedere in quella regione dell'essere che nonviene alla luce, che resta silenziosa e nascosta al di l dell'essenza e che non il nulla come semplice e puro non-essere: L"'uomo" e "Dio" sono gusci verbali vuoti di storia se in essi nonsi porta alla parola la verit dell'essere. L'essere sussiste comeil "fra" Dio e l'uomo, ma in modo tale che questo stare in mezzo faccia spazio alla possibilit essenziale per Dio e per l'uomo... Ma anche cos e anzitutto cos l'essere deve restare senza

    interpretazione: la rischiosa impresa contro il nulla, nulla cheall'essere deve l'origine67, al di l dell'essere in quanto esseredeterminato, notte e silenzio dell'essere. Verso questa profondit misteriosa il pensiero rimane aperto, perenne viandante inattesa di un avvento: Restiamo, dunque, anche nei giorni checi attendono, in cammino, come viandanti diretti alla vicinanza dell'Essere68.

    Il silenzio dell'essere, allora, come testimone della differenzaontologica in quanto questa inesprimibile nel linguaggio del

    l'identit, si offre come il possibile luogo di provenienza dell'Avvento, il silente luogo fecondo delle parole, e quindi la possibile silenziosa Origine della Parola, che possa venire ad abitare nelle parole: La stessa differenza ontologica, ed anche l'Essere quindi, diventano troppo corti... per pretendere di offrirela dimensione, ed ancor meno il "sogg