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Capitolo 2 Le algie del rachide dorsale nell’adulto 21 Capitolo 2 Le algie del rachide dorsale nell’adulto M Monticone, C Paroli, S Negrini L’intento di questo capitolo è fornire al lettore elementi epide- miologici, clinici e terapeutici nei confronti delle algie del rachide dorsale in età adulta. In particolare, abbiamo dedicato la prima parte del capitolo ai principali aspetti epidemiologici, ai fattori di rischio ed alle ipotesi patogenetiche più accreditate per determina- re l’insorgenza e i conseguenti riflessi patologici del dorso curvo dell’adulto. Nella parte centrale sono stati descritti i più significati- vi lineamenti dell’esame obiettivo che è utile (e soprattutto pratico) adottare nei confronti del paziente con dorsalgia, i principali qua- dri clinici e le possibilità diagnostiche integrative offerte dall’analisi radiologica. La parte finale del capitolo lascia intrave- dere l’ampio ventaglio di orientamenti terapeutici (peraltro, in buona parte, approfonditi anche nelle successive sezioni di questa monografia) in possesso del medico e del rieducatore, ponendo par- ticolare attenzione non solo agli aspetti algici e riabilitativi, ma an- che agli aspetti ergonomici del rachide dorsale, condizionanti for- temente la disabilità indotta ed il perpetuarsi della stessa. Inquadramento generale La dorsalgia è certamente tra le rachialgie la meno frequente e, di conseguenza, anche la meno nota e studiata. Non esistono ad og- gi statistiche attendibili e condivise, né internazionali né tanto meno nazionali, che ne definiscano la prevalenza nella popolazione. Chi quotidianamente si occupa di queste patologie sa da un lato come siano rari questi pazienti, dall’altro come sia ribelle questo dolore una volta cronicizzato. Una ricerca bibliografica consente poi di ve- rificare come a livello scientifico quasi nulla sia stato ad oggi pub- blicato, e che al massimo sotto il cappello “back pain” vengono in-

Capitolo 2 Le algie del rachide dorsale nell’adultoisico.it/images/uploads/ricerca/ID00040c.pdf · la microcircolazione vertebrale, il fumo può indurre tosse cronica, deleteria

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Le algie del rachide dorsale nell’adulto

M Monticone, C Paroli, S Negrini L’intento di questo capitolo è fornire al lettore elementi epide-

miologici, clinici e terapeutici nei confronti delle algie del rachide dorsale in età adulta. In particolare, abbiamo dedicato la prima parte del capitolo ai principali aspetti epidemiologici, ai fattori di rischio ed alle ipotesi patogenetiche più accreditate per determina-re l’insorgenza e i conseguenti riflessi patologici del dorso curvo dell’adulto. Nella parte centrale sono stati descritti i più significati-vi lineamenti dell’esame obiettivo che è utile (e soprattutto pratico) adottare nei confronti del paziente con dorsalgia, i principali qua-dri clinici e le possibilità diagnostiche integrative offerte dall’analisi radiologica. La parte finale del capitolo lascia intrave-dere l’ampio ventaglio di orientamenti terapeutici (peraltro, in buona parte, approfonditi anche nelle successive sezioni di questa monografia) in possesso del medico e del rieducatore, ponendo par-ticolare attenzione non solo agli aspetti algici e riabilitativi, ma an-che agli aspetti ergonomici del rachide dorsale, condizionanti for-temente la disabilità indotta ed il perpetuarsi della stessa.

Inquadramento generale La dorsalgia è certamente tra le rachialgie la meno frequente e,

di conseguenza, anche la meno nota e studiata. Non esistono ad og-gi statistiche attendibili e condivise, né internazionali né tanto meno nazionali, che ne definiscano la prevalenza nella popolazione. Chi quotidianamente si occupa di queste patologie sa da un lato come siano rari questi pazienti, dall’altro come sia ribelle questo dolore una volta cronicizzato. Una ricerca bibliografica consente poi di ve-rificare come a livello scientifico quasi nulla sia stato ad oggi pub-blicato, e che al massimo sotto il cappello “back pain” vengono in-

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clusi tutti i pazienti con algie da C7 ad S1, con conseguenza ovvia massima prevalenza dei pazienti lombalgici. Ne consegue confusio-ne e soprattutto carenza di strumenti conoscitivi. In questo Capitolo di conseguenza integriamo le conoscenze sul trattamento della lom-balgia con quanto da un lato le differenze specifiche consentono di inferire rispetto alle problematiche del rachide dorsale, e dall’altro la nostra pratica quotidiana a continuo contatto esclusivo con questi pazienti ci ha insegnato.

Attualmente la classificazione delle patologie spinali più comu-nemente utilizzata è quella della Quebec Task Force.

Questa classificazione include 11 categorie (Tabella 1), distinte in base a considerazioni anamnestiche, esami clinici e paraclinici e alla risposta al trattamento: le categorie 1-3 si basano soltanto sulla localizzazione del dolore

(anamnesi), la categoria 4 si basa sui risultati dell’esame clinico, le categorie 5-7 si basano sul risultato di indagini paracliniche, le categorie 8-10 si basano sulla risposta al trattamento, le patologie spinali osservate raramente sono classificate nella

categoria 11, in base ad esami paraclinici. Queste patologie sono presentate nel capitolo relativo al rachide dorsale dell’anziano. Ciascuna delle prime quattro categorie, che riguardano le ra-

chialgie comuni, trattate in questo capitolo, è suddivisa in base allo stadio (acuto, subacuto o cronico) ed al fatto che il paziente stia la-vorando o meno, perché ciò potrebbe influenzare la scelta del trat-tamento. Anche la categoria 10 è suddivisa considerando se il pa-ziente lavora o meno.

Va inoltre subito puntualizzato in questa premessa la possibilità che la dorsalgia, soprattutto quando localizzata nella parte alta del rachide dorsale, sia in realtà dovuta ad una cervicalgia; analoga-mente, una lombalgia può avere origine dal passaggio dorso-lombare. Quindi per una corretta classificazione è imprescindibile una adeguata valutazione anamnestica e clinica (raramente anche in questo caso gli esami per immagini offrono risposte definitive e cer-te).

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Eziologia: fattori di rischio, basi meccaniche e disfunzio-nali

Quali sono le caratteristiche predisponenti all’insorgenza di dor-salgia in età adulta? In merito a questo specifico argomento, in let-teratura non è presente la stessa quantità di informazioni (o almeno di ipotesi eziopatogenetiche) dedicate all’universo “lombalgia”. Ri-teniamo, comunque, metodologicamente corretto suddividere il ri-schio di sviluppare la patologia algica dorsale in età adulta in rela-zione a precisi fattori di rischio individuali, occupazionali e psico-sociali.

Fattori di rischio individuali -Innanzitutto l’ereditarietà. I fattori genetici influenzano ormai

indiscutibilmente alcune malattie vertebrali quali la spondilolistesi, la scoliosi e la spondilite anchilosante. Attualmente, ciò è ancora in discussione per la dorsalgia comune in età adulta.

-Sesso. Il sesso femminile è sicuramente più predisposto alla svi-luppo di dorso curvo in età adulta ed all’insorgenza di algia e disa-

Tabella 1. Classificazione delle patologie spinali secondo la Quebec Task Force

Categoria diagnostica 1 Dolore senza irradiazione 2 Dolore + irradiazione agli arti, prossimalmente 3 Dolore + irradiazione agli arti, distalmente 4 Dolore + irradiazione agli arti superiori/ inferiori segni neurologici 5 Compressione presuntiva di una radice nervosa spinale in base ad

una semplice radiografia (cioè instabilità spinale o frattura) 6 Compressione di una radice nervosa spinale confermata da:

tecniche specifiche d’immagini (tomografia assiale computerizzata, mielografia o immagine di risonanza magnetica);altre tecniche dia-gnostiche (per esempio elettromiografia, venografia)

7 Stenosi spinale 8 Situazione post-chirurgica, 1-6 mesi dopo l’intervento 9 Situazione post-chirurgica più di 6 mesi dopo l’intervento.

9.1 Asintomatico 9.2 Sintomatico

10 Sindrome del dolore cronico 11 Altra diagnosi

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bilità funzionale conseguente. Non esistono, comunque, ancora evi-denze scientifiche di tale affermazione.

-Età. Alcune casistiche indicano che l’incidenza massima della dorsalgia si presenta tra i 35 e i 45 anni di età. Tali dati ci informa-no unicamente delle principali richieste di assistenza medica, la-sciando intravedere una prevalenza di gran lunga superiore a quella denunciata.

-Struttura fisica. Molti studi hanno ricercato eventuali rapporti tra struttura fisica e dorsalgia. Il rilievo obiettivo di ipercifosi idio-patica adolescenziale, di cifosi dorso-lombare e di dorso curvo rap-presentano il legame essenziale. Non vi è evidenza di altre caratteri-stiche antropometriche quali l’altezza ed il peso corporeo.

-Forma fisica. Attualmente, vi è un forte interesse per capire il ruolo intercorrente tra forma fisica e dorsalgia. È stato dimostrato che soggetti con lombalgia cronica presentano scarsa forma fisica. Altri Autori suggeriscono che le persone fisicamente attive e che compiono attività fisica regolare sono meno soggette a disturbi a-specifici del rachide. È opportuno porre analoghe considerazioni anche per le previsioni dei disturbi della colonna dorsale adulta.

-Fumo. Sono ormai crescenti gli studi che correlano i dolori dor-sali all’abitudine di fumare. Oltre ai prevedibili riflessi negativi sul-la microcircolazione vertebrale, il fumo può indurre tosse cronica, deleteria sull’integrità discale. Il fumatore, inoltre, può perdere pro-gressivamente capacità funzionali cardio-respiratorie con ampi ri-svolti negativi in ambito di forma fisica.

Fattori di rischio occupazionali Diversi studi indicano che ci sono cinque fattori correlati al lavo-

ro che, sovraccaricando patologicamente la colonna dorsale e dorso-lombare, sono correlabili a dorsalgia, lombalgia e ad assenze dal la-voro. Essi sono: lavoro manuale pesante, sollevamento e movimen-tazione inadeguata di pesi, torsione rachidea, posizione seduta pro-lungata, guida di veicoli reiterata nel tempo.

Molte attività lavorative comprendono più di uno di questi fatto-ri, per cui è difficile selezionare la loro importanza relativa. È im-portante, comunque, segnalare che i criteri metodologici seguiti ne-gli studi considerati esponevano i risultati a numerose critiche, non trovando univocamente consensi sulle diverse opinioni.

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Nella nostra prassi clinica quotidiana abbiamo avuto modo di ve-rificare come i problemi posturali lavorativi siano nelle dorsalgie, se possibile, ancor più importanti che nelle lombalgie. Esistono infatti categorie lavorative in cui la postura dorsale obbligata, in particola-re in flessione anteriore, tende a sviluppare problemi che nel tempo sfociano spesso nel dolore cronico. Nella dorsalgia, quindi, ancor più che nella lombalgia, pare che la verifica ergonomica attenta sia determinante: ed anche qui la flessione anteriore ed il piano d’appoggio di riferimento sono i due punti d’attacco spesso più im-portanti da considerare.

Fattori psico-sociali Numerosi studi hanno dimostrato che gli aspetti psico-sociali in

ambito socio-domestico e lavorativo sono molto importanti. Sono risultati significativi i frequenti problemi di lavoro, l’impegno psi-cologico elevato, la scarsa soddisfazione per il lavoro e la scarsa considerazione da parte del proprio superiore. Quale esempio, ri-cordiamo il Boeing Study, studio prospettico nel quale si sono se-guiti 3000 meccanici di aviazione per 4 anni riscontrando che lo stress psicologico e l’insoddisfazione del lavoro rappresentavano i principali fattori prognostici di dorsalgia, divenendo, tra l’altro, più importanti di qualsiasi altro eventuale fattore fisico: lo studio ha, in-fatti, dimostrato che né l’esame fisico né la valutazione della forza erano in grado di prevedere lesioni dorsali nel breve e medio termi-ne.

Le cause psico-sociali appaiono, dunque, non trascurabili, prefi-gurando la possibilità che la persona coinvolta possa riferire nel tempo dorsalgia. In particolare, l’incidenza dei nuovi episodi di dor-salgia varia dal 3 al 16 % nel soggetto con disagi psico-sociali, con evidente tendenza alla cronicizzazione nei lavoratori particolarmen-te stressati.

Basi meccaniche e disfunzionali Per oltre un secolo i cultori della medicina ortodossa, ortopedici

e biomeccanici, hanno cercato una base strutturale alla dorsalgia non specifica. Essi hanno intravisto la possibilità che una causa meccanica o un evento lesivo specifico potessero rientrare all’interno di un predefinito modello di patologia, semplificando no-tevolmente la complessità dell’intero problema.

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Tale supposizione, infatti, doveva essere attentamente supportata dal riscontro scientifico e molte considerazioni ne hanno messo in dubbio l’incontrastata veridicità. Innanzitutto, la sede del dolore può essere differente dalla causa del dolore: la sede anatomica e la natura patologica di alcuni disordini possono rappresentare proble-matiche distinte e la convinzione di aver trovato la sede del dolore non coincide con la concreta possibilità di poter fare diagnosi di pa-tologia. Al contrario, anche quando non si può localizzare l’esatta sede è ancora possibile capire la natura del disordine. In aggiunta, le diverse strutture nel singolo metamero considerato sono strettamen-te correlate, condividendo una innervazione comune ed una funzio-ne unitaria. Così, persino quando si localizza topograficamente il livello sede dell’algia, esso potrebbe non indicare quale struttura di tale livello è la causa del problema, lasciando presumere che il pri-mum movens del disturbo potrebbe essere in altre parti correlate del metamero.

Secondo un’ottica essenzialmente meccanicista, potrebbero esse-re molteplici le cause di origine algica dorsale in età adulta: spondi-loartrosi, alterazione strutturale del corpo vertebrale, degenerazione e prolasso del disco intervertebrale, conflitto disco-radicolare, mo-dificazione patologica delle faccette articolari… Inoltre, l’evento lesivo potrebbe essere presente in una o più strutture muscolo-scheletriche, anche contemporaneamente, danneggiando molti tes-suti allo stesso tempo. In aggiunta, il carico ripetitivo ed il sovrac-carico localizzato a livello dorsale possono contribuire a determina-re con elevata probabilità una sintomatologia algica in tale sede.

Larga parte della letteratura internazionale trova molte difficoltà nel correlare le conoscenze biomeccaniche con i sintomi tipici della dorsalgia comune dell’adulto. L’idea portante del pensiero scientifi-co contemporaneo è spostare l’attenzione di noi clinici dai tentativi, talvolta affannosi ed inverosimili, di trovare a tutti i costi una evi-dente alterazione organica, intravedendo la concreta possibilità di una disfunzione muscolo-scheletrica prodottasi in tessuti struttural-mente normali e responsabili dei riflessi algici presenti. Essa è una disfunzione primitiva che si sviluppa in risposta a forze anomale imposte o generate nel sistema muscolo-scheletrico.

Le normali funzioni del sistema locomotore comprendono: forza, durata, flessibilità, coordinazione, equilibrio. La disfunzione po-trebbe comportare disturbi di tutte queste funzioni. La funzione del

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muscolo non normale, le forze anomale che agiscono sulle strutture muscolo-scheletriche, la postura anomala (dorso curvo) o il movi-mento anomalo di un’articolazione possono produrre dolore dorsa-le. In base a tale interpretazione, l’individuazione del quadro clinico di disfunzione appare più importante di qualsiasi causa “primitiva” ed organica, dipendendo, in particolare, dal tempo di interazione e dal grado di squilibrio tra le sollecitazioni stesse e le caratteristiche di vulnerabilità individuale.

Valutazione

Quadro clinico La dorsalgia secondaria a squilibri della statica dorsale è fre-

quentemente lamentata dai pazienti con ipercifosi (dorso curvo). Il dolore tende a localizzarsi in sede interscapolo-vertebrale mono o bilateralmente, aumenta in posizione seduta e sotto carico mentre si attenua notevolmente con il riposo a letto. Queste algie dorsali si accentuano particolarmente dopo lunghi periodi trascorsi in posi-zione eretta o in seguito a specifiche attività lavorative e domestiche che comportino frequenti flessioni anteriori dorsali. In tali circo-stanze, aumenta la stimolazione delle strutture algogene a causa del-lo stiramento del legamento longitudinale posteriore, della pressio-ne dei dischi sul legamento longitudinale anteriore e della contrattu-ra riflessa delle masse paravertebrali; inoltre, a causa del reciproco allontanamento delle apofisi spinose, vengono sollecitate le termi-nazioni nervose dei legamenti inter e sovraspinosi.

Molto frequentemente, al dorso curvo doloroso dell’adulto si ac-compagnano irradiazioni algiche intercostali. Esse si localizzano in qualsiasi punto della parete toracica, possono accentuarsi con gli at-ti respiratori, assumendo le caratteristiche tipiche della nevralgia, presentandosi lungo il metamero toracico corrispondente. In larga parte di assoluta natura benigna, un’anomala persistenza nel tempo dei dolori intercostali va accuratamente indagata, ponendo in dia-gnosi differenziale l’origine anche con specifiche patologie cardio-vascolari, pneumologiche, splancniche.

Il dorso curvo dell’adulto si accompagna, inoltre, frequentemen-te a sindrome miofasciale, patologia muscolare circoscritta ed a pa-togenesi sconosciuta. L’elemento caratterizzante questa sindrome è

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la comparsa, in corrispondenza paravertebrale dorsale, di trigger points, in cui la pressione digitale diretta suscita dolore profondo, consentendo di apprezzare una zona di contrattura localizzata.

Anche la dorsalgia di origine cervicale può presentare caratteri-stiche simili ai quadri sopradescritti. Localizzata in sede sovrasca-polare o interscapolo-vertebrale, è diretta conseguenza biomeccani-ca dell’atteggiamento viziato dorsale.

Non raramente, il dorso curvo dell’adulto si accompagna ad ar-trosi dorsale. Frequentemente l’artrosi dorsale è secondaria ad ano-malie posturali delle quali rappresenta gli esiti. Analogamente alle altre forme di artrosi del rachide, il processo degenerativo interessa i dischi, i corpi vertebrali e le articolazioni interapofisarie. In termi-ni algici, comunque, incide secondariamente. Il dolore da artrosi dorsale, quando presente, è di tipo meccanico, con insorgenza du-rante le ore diurne, è aggravato dal carico e dal movimento, miglio-rando con il riposo.

Fasi algiche Il modello evolutivo clinico della dorsalgia è assimilabile alle

note fasi algiche della lombalgia. Si propone, dunque, un modello a tre fasi: acuta, subacuta, cronica. La fase acuta perdura 2-4 settima-ne. Dopo un mese, la maggior parte dei pazienti ha avuto remissio-ne della sintomatologia algica. È in fase subacuta, 4°-8° settimana, che si vuole intervenire più attivamente per controllare il dolore e, soprattutto, aiutare i pazienti a recuperare completamente autono-mia ed attività fisica. Si gioca qui con il destino evolutivo della dor-salgia ed un trattamento riabilitativo ed educativo condotto corret-tamente diviene estremamente efficace nei nostri pazienti. Si rientra nella fase cronica qualora la dorsalgia tenda a perdurare per oltre tre mesi. In questa fase i pazienti vengono intrappolati in un circolo vi-zioso di dolore e disabilità psico-motoria: il paziente è passato da una comune dorsalgia ad un dolore dorsale cronico, fonte di grande sofferenza. Seppur non consistente numericamente, la percentuale dei soggetti in fase cronica ha un effetto sproporzionato in termini di costo totale da dorsalgia per la società.

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Esame obiettivo del rachide dorsale L’ispezione a paziente spogliato ed in ortostatismo costituisce il

primo passo semeiologico da compiere, in modo da poter facilmente apprezzare eventuali alterazioni cutanee e posturali.

Tra le prime vanno ricercate lesioni indicative di psoriasi, per le note correlazioni esistenti tra psoriasi ed interessamento flogistico del rachide dorsale (spondilite sieronegativa), e lesioni indicative di Herpes Zoster, talvolta molto subdole e molto aspecifiche.

Tra le anomalie posturali andranno rilevate ipercifosi, scoliosi, dismetrie scapolari. Di rilievo, il riscontro di eterometrie degli arti inferiori, di dimorfismi rachidei cervico-dorsali e degli arti superio-ri, per le inevitabili ripercussioni sulla fisiologia posturale del ra-chide in toto.

In particolare, l’ipercifosi, valutabile durante osservazione late-rale ed obiettivabile clinicamente (freccia cervicale e dorsale), rap-presenta un’anomala accentuazione della fisiologica curvatura dor-sale; in condizioni di normalità il vertice della cifosi dorsale è situa-to in corrispondenza di D5. Nei soggetti astenici, a causa della pre-valenza del muscolo ileo-psoas rispetto ai muscoli glutei, ischio-crurali ed addominali, si accentuano la lordosi lombare e la cifosi dorsale: tale dimorfismo, noto anche come “dorso curvo giovanile e dell’adulto” è riscontrabile negli adolescenti e nei soggetti in età matura con tipiche spalle cadenti e scarso sviluppo muscolare. Nella spondilite anchilosante la cifosi è molto marcata ed è associata a proiezione anteriore del capo, nonché all’appianamento della fisio-logica lordosi lombare. Cifosi dorsali particolarmente accentuate, dette anche angolari, sono quelle che si verificano a seguito di di-struzioni o schiacciamenti vertebrali, come accade nel Morbo di Pott, nei tumori primitivi vertebrali, nelle metastasi ossee, nei crolli vertebrali su base osteoporotica o dopo traumi. Le cifosi secondarie a malattie di Scheuermann sono generalmente a largo raggio.

La condizione opposta all’ipercifosi è detta “dorso piatto”: essa è solitamente associata a scapole alate ed è secondaria ad anomalie morfologiche o funzionali del tratto toraco-dorsale e lombare.

La palpazione della colonna vertebrale dorsale si effettua a pa-ziente prono e consiste nella digitopressione delle apofisi spinose, delle arcate costali posteriori e delle aree muscolari paravertebrali, allo scopo di individuare punti o zone dolenti o dolorabili. È oppor-

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tuno, inoltre, verificare se la digitopressione in una di tali zone de-termini la comparsa di dolore nel territorio di decorso dei nervi in-tercostali (nevralgia intercostale).

La percussione della colonna dorsale, effettuabile con il martel-letto, assume ormai un ruolo semeiologico storico, predittiva, ipote-ticamente, di patologia osteoporotica, neoplastica, infettiva o frattu-rativa.

Particolare attenzione deve essere dedicata all’esame della moti-lità per evidenziare presenza ed entità delle limitazioni funzionali associate a molte patologie della colonna dorsale. Nonostante la motilità della colonna dorsale risenta dell’influenza della colonna lombare e delle articolazioni coxo-femorali, è doveroso valutare i movimenti intrinseci di flesso-estensione, lateroflessioni (che pure è estremamente ridotta nel tratto dorsale a causa dell’interposizione delle coste tra ogni singolo corpo vertebrale) e rotazione. Il movi-mento di flessione è valutato dapprima in ortostatismo invitando il paziente a piegarsi in avanti, cercando di toccare il pavimento con la punta delle dita senza flettere le ginocchia. In condizioni di nor-malità, le dita dovrebbero arrivare a toccare il pavimento o tutt’al più, arrivare a non oltre 7 centimetri dal suolo; inoltre, la distanza tra D1 e D12 dovrebbe aumentare di 3-4 centimetri rispetto alla po-sizione eretta. Per meglio determinare il grado di rigidità del tratto dorsale e dorso-lombare della colonna tradizionalmente viene pro-posto il test di Schober (che peraltro ha dimostrato una scarsa ripe-tibilità) che consiste nel fare effettuare una flessione, previa indivi-duazione in posizione eretta di L5 e di un punto di riferimento posto 10 centimetri più in alto, e nel verificare la distanza dei due punti predetti al momento della massima flessione; in condizione di nor-male funzionalità del rachide la distanza in flessione tra i due punti aumenta di almeno 4 centimetri, mentre in condizioni di rigidità la distanza tra i due punti non si modifica o aumenta di poco. Durante l’effettuazione della flessione anteriore in ortostasi, peraltro, diffi-cilmente il paziente raggiunge la fine corsa articolare. E’ quindi uti-le ripetere il test in posizione seduta, chiedendo al paziente di “av-volgere” letteralmente il rachide su se stesso, avvicinando il più possibile le spalle al bacino. In questo modo la flessione è massima-le a livello del tratto toracico, mentre il rachide lombare non rag-giunge la fine corsa articolare (Figura 1). Si può aggiungere una i-perpressione appoggiandosi con gli avambracci da dietro sulle spal-

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le del paziente e comprimendolo verso il basso per raggiungere la fine corsa articolare: naturalmente per questo test si deve prestare particolare attenzione in caso di pazienti gravemente osteoporotici o di sospetta frattura.

Il movimento di estensione viene valutato in ortostatismo facen-do incurvare il paziente posteriormente e verificando se, come av-viene di norma, si appiattisce la cifosi dorsale. La corretta esecuzio-ne del movimento prevede che l’osservatore, posizionato posterior-mente, eserciti una lieve pressione in senso antero-posteriore sulla parte anteriore del torace ed una in senso postero-anteriore all’apice della lordosi. Anche in questo caso il test descritto, pur essendo il più classico, ha il limite di localizzare il movimento a livello del più mobile rachide lombare, peraltro se eseguito correttamente, perchè spesso il paziente flette molto le ginocchia e questo non consente di raggiungere la fine corsa articolare. La valutazione deve quindi es-sere ripetuta di nuovo da seduto, applicando in questo caso una spinta postero anteriore a livello dell’apice della cifosi ed una ante-ro-posteriore alle clavicole (Figura 2). Inoltre, in posizione prona, si può effettuare una iperestensione del rachide estendendo i gomiti e mantenendo il bacino aderente al piano d’appoggio (Figura 3): la posizione delle mani circa 30-50 centimetri anteriormente alle spal-le, con una flessione a 135° circa dell’articolazione scapolo-omerale una volta estesi i gomiti, consente di localizzare l’estensione princi-palmente a livello del rachide dorsale, sicuramente di più rispetto a quanto avviene effettuando il movimento della classica posizione con flessione a 90° della scapolo omerale.

La lateroflessione può essere valutata sia in osservazione ante-

Figura 1

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riore che posteriore. Al paziente in piedi con gambe leggermente divaricate, viene chiesto di piegarsi lateralmente sia a destra che a sinistra, facendo scivolare l’arto superiore lungo la gamba; viene così valutato il livello della gamba al quale arrivano le dita della mano e la simmetricità del movimento dei due lati.

Per la valutazione del movimento di rotazione è preferibile la po-sizione seduta con le mani dietro la nuca piuttosto che la posizione eretta; ciò permette di limitare le interferenze provocate dai movi-menti consensuali della colonna lombare e del bacino. Come nel ca-so dell’inclinazione occorrerà considerare l’entità del movimento e la sua simmetria rispetto ai due lati.

A completamento dell’esame della colonna dorsale devono esse-re sempre ricercati segni neurologici (centrali e periferici) indicativi di compressione midollare, sofferenza radicolare e segmentaria ad origine dorsale.

Figura 2

Figura 3

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Diagnosi strumentale Accanto a tutto l’arsenale valutativo disponibile per le problema-

tiche degli altri distretti del rachide, meritano qui un breve cenno le due metodiche che possono più frequentemente essere utilizzate nei pazienti con dorsalgia.

Radiografia standard E’ ancora lo studio base, rapido e poco costoso. Come per le

problematiche del rachide lombare, è utile limitarne l’uso ad una re-ale indicazione clinico-anamnestica: questo raramente ne implica l’uso prima delle 2-4 settimane di dolore. La radiografia è utile per identificare le fratture, la presenza di cuneizzazioni vertebrali in dimorfismi del rachide, la malattia articolare degenerativa (spondi-loartrosi), il restringimento dello spazio discale intervertebrale e molte malattie ossee e tumori della colonna.

Rarissimamente nel caso del rachide dorsale si procede con altre proiezioni. Le proiezioni in flessione ed in estensione sono utili per lo studio della stabilità vertebrale; le proiezioni oblique ci danno in-formazioni sulla pervietà del forame neurale.

TAC e RMN Sono indagini più sofisticate e che visualizzano il rachide ed i

tessuti molli con maggior precisione. Sono utili per accertare le pa-tologie discali (discopatie, ernie o protrusioni discali), peraltro rare a livello dorsale, ed i tumori (vertebrali, epidurali, meningei, intra-durali e del midollo)

Generalmente la RMN è superiore alla TAC ed è più precisa per le patologie delle parti molli della colonna: è eccellente per accerta-re lesioni epidurali, intradurali e intra-assiali del midollo spinale quali tumori, cisti e placche demielinizzanti.

La TAC è più specifica per evidenziare le lesioni dell’osso.

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Elementi di terapia

Terapia antalgica

Farmacologica Si premette che non vi sono in letteratura studi specifici sul trat-

tamento farmacologico delle dorsalgie. Ci sono invece diversi studi che riguardano le lombalgie, le cervicalgie ed i dolori al rachide in generale. Comunque il rachide è una struttura unica, composta da elementi ripetitivi ed il trattamento farmacologico per le algie del rachide si può estendere a tutti i segmenti interessati.

In fase acuta hanno mostrato una certa efficacia il paracetamolo ed i FANS.

Il paracetamolo è uno dei farmaci analgesici più utilizzati, sia singolarmente che in associazione con la codeina. Se usato singo-larmente, dato il ridotto rischio di effetti collaterali, può essere con-siderato di prima scelta, ad un dosaggio di 1 grammo ogni 6 ore. Il meccanismo d’azione ipotizzato e non ancora del tutto chiarito è un’inibizione della sostanza P. E’ considerato l’analgesico d’elezione nella terapia del dolore di natura non flogistica. L’utilizzo di tale farmaco si è dimostrato un trattamento valido in fase acuta; inoltre la pronta e netta risposta al paracetamolo ha un significato prognostico favorevole. Esso non provoca lesioni a livel-lo gastrico, non interferisce con le funzioni piastriniche e con i meccanismi della coagulazione, raramente può determinare danni al midollo osseo di origine immunoallergica. Si deve usare cautela nei pazienti in trattamento con warfarin sodico, negli epatopatici e nei pazienti con problemi renali.

L’utilizzo dei FANS è molto diffuso e la frequente autoprescri-zione di tali farmaci da parte dei pazienti aumenta il rischio di gravi effetti collaterali.

I FANS hanno un effetto analgesico, antinfiammatorio e antipire-tico; la loro azione è riconducibile ad un blocco non selettivo dell’enzima ubiquitario cicloossigenasi che impedisce la sintesi del-le prostaglandine.

Una rassegna “Cochrane” del 2000, che analizza 51 RCT, sugge-risce che i FANS possono avere un leggero effetto sul miglioramen-to globale a breve termine nei pazienti con algia vertebrale acuta.

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Non è ancora chiaro se i FANS siano più efficaci rispetto ai sempli-ci analgesici, né se vi sia un tipo specifico di FANS sicuramente più efficace degli altri e se vi sia una via di somministrazione del far-maco preferenziale. Inoltre non si evidenzia una maggiore efficacia dell’associazione FANS/ miorilassanti/ complesso vitaminico B ri-spetto all’utilizzo del solo FANS.

Nel caso di dolore cronico i FANS si sono dimostrati più efficaci rispetto al paracetamolo (per il miglioramento globale del paziente) e rispetto al placebo (per un miglior controllo del dolore). Sono da preferire i FANS a maggior durata d’azione. Gli effetti collaterali dei FANS possono essere importanti: gastriti ed altri disturbi ga-strointestinali sono stati riscontrati in circa il 10% dei soggetti (ibu-profene e diclofenac sembrano avere il tasso più basso di compli-canze gastro-intestinali); inoltre possono causare problemi ad altri organi come il fegato, il rene, il sistema nervoso ed il sistema emo-poietico. Per limitare gli effetti collaterali dei FANS bisognerebbe somministrarli a cicli di breve durata ed in rapporto alla comparsa del dolore, prescriverne uno solo per volta, cambiare l’antinfiammatorio solo dopo averlo provato per almeno 5-7 giorni, informare il paziente sui possibili effetti collaterali e ricercare il FANS più idoneo per il paziente.

I farmaci antidepressivi non hanno dimostrato prove sufficienti di efficacia in fase acuta. Mentre in fase cronica ci sono pareri di-scordanti. La terapia con antidepressivi si è rivelata utile nel 30% dei pazienti con lombalgia ed in particolare nei casi di una concomi-tante sindrome depressiva e sindrome fibromialgica. Sono efficaci anche quando il paziente non è depresso e l’effetto analgesico si ot-tiene ad una dose più bassa dell’effetto antidepressivo. I farmaci an-tidepressivi più utilizzati sono i triciclici e gli inibitori selettivi della serotonina. Gli effetti avversi possibili includono xerostomia, stiti-chezza, ritenzione urinaria, ipotensione ortostatica e reazioni ma-niacali, cardiotossicità.

Per quanto riguarda l’utilizzo di miorilassanti/benzodiazepine: revisioni sistematiche e studi randomizzati controllati mostrano una certa efficacia in fase acuta mentre in fase cronica il loro beneficio è molto limitato. Ci sono poche evidenze scientifiche che dimostrino un’azione specifica sul muscolo contratto; la maggior parte del loro effetto è di tipo centrale piuttosto che periferico. Una revisione si-stematica di Van Tulder del 2003 ha confermato che i miorilassanti

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sono efficaci nel trattamento del dolore dorsale, ma gli effetti colla-terali richiedono comunque particolare cautela nel loro utilizzo.

Gli effetti avversi più comuni includono sonnolenza, vertigini e rischio di dipendenza.

Nel caso di dolore cronico disabilitante trovano indicazione an-che gli analgesici oppioidi. L’efficacia del trattamento con oppioidi si è dimostrata anche negli studi a lungo termine sebbene non ci siano studi con follow-up maggiore di un anno. Gli effetti avversi più frequenti sono la stitichezza e la sonnolenza.

L’infiltrazione delle faccette articolari in caso di rachialgia acuta non ha ancora sufficienti supporti scientifici per dimostrare o meno la sua validità, mentre in caso di rachialgia cronica una revisione si-stematica di studi randomizzati controllati non ha dimostrato che questa tecnica migliori il dolore o la funzionalità del rachide. I rari effetti avversi possibili comprendono cefalea, febbre, perforazione subdurale, ascessi.

L’iniezione di steroidi per via epidurale può essere di una certa utilità in caso di sciatica; in assenza di irradiazione agli arti inferiori non ci sono prove di reale efficacia di tale metodica.

Raramente queste iniezioni possono causare infezioni, emorra-gie, danni neurologici.

Terapia fisica Non vi sono in letteratura studi specifici sull’effetto delle terapie

fisiche sulle dorsalgie. Ci sono comunque studi sull’efficacia di tali terapie per le ra-

chialgie in generale e principalmente per le algie del rachide lomba-re.

Una meta-analisi, eseguita con il metodo della Cochrane Colla-boration (2001), mostra come ci siano risultati molto contrastanti sull’utilizzo delle terapie fisiche e della massoterapia e come non esistano studi controllati e randomizzati.

L’utilizzo di terapie fisiche nelle algie del rachide, sia in fase a-cuta che in fase cronica, non ha trovato sufficiente dimostrazione di efficacia nei differenti studi esaminati.

Pertanto attualmente l’utilizzo delle terapie fisiche non è racco-mandato seppur in Italia se ne faccia un largo uso.

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Medicina Manuale La Medicina Manuale è una disciplina medica che si occupa del-

la patologia funzionale dell’apparato locomotore ed, in particolare, delle disfunzioni vertebrali, articolari, muscolari, nervose, essen-zialmente di natura meccanica e reversibile. La Medicina Manuale permette la diagnosi dei dolori vertebrali comuni attraverso un esa-me clinico funzionale (esame segmentario) ed il loro trattamento con tecniche specifiche (massoterapia, mobilizzazioni e manipola-zioni), in stretta associazione alla rieducazione vertebrale, alla cor-rezione gestuale e posturale. In seguito alla constatazione che la causa principale dei dolori comuni d’origine rachidea non è la pre-sunta perdita della mobilità (come affermato dalla maggior parte delle scuole manipolative mondiali), ma il dolore del segmento ver-tebrale sollecitato passivamente, Robert Maigne introdusse il termi-ne di “Disturbo Intervertebrale Minore (DIM)” per definire semeio-logicamente una disfunzione vertebrale segmentaria dolorosa, beni-gna, di natura meccanica e riflessa, reversibile. I DIM sono estre-mamente frequenti, temporaneamente invalidanti, diretta conse-guenza di traumatismi rachidei diretti ed indiretti, di alterazioni po-sturali, non evidenziabili radiologicamente. Sono largamente sotto-stimati e poco riconosciuti pur rappresentando i denominatori co-muni di molti dolori dorsali di origine vertebrale. La diagnosi del DIM è essenzialmente clinica, basata sull’esame segmentario, che seguendo schemi semeiologici ben precisi e definiti, sollecita singo-larmente ciascuna vertebra in tutte le direzioni:

- pressione assiale sull’apofisi spinosa - pressione laterale sull’apofisi spinosa - pressione sul legamento interspinoso - pressione laterale posteriore Inoltre, l’esame palpatorio, specifico, sistematico e ripetuto nel

tempo (parte integrante della Medicina Manuale) permette di con-statare che il dolore vertebrale segmentario si accompagna spesso a modificazioni della sensibilità e della consistenza dei tessuti nel me-tamero corrispondente. Con il termine di “Sindrome cellulo-teno-periosto-mialgica vertebrale segmentaria di Maigne (SVS)” si pos-sono definire e comprendere numerose disfunzioni neurotrofiche ri-flesse che hanno un ruolo importante nella fisiopatologia dei fre-quentissimi dolori comuni dorsali, e la causa più frequente della

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sofferenza segmentaria responsabile di queste manifestazioni è il DIM.

In Medicina Manuale, l’indicazione generale alle manipolazioni vertebrali è rappresentata dalla presenza del DIM e della eventuale SVS associata.

La manipolazione è “una mobilizzazione passiva forzata che tende a portare gli elementi di una o più articolazioni oltre il loro gioco fisiologico, senza superare il limite anatomico del movimen-to”. La manipolazione vertebrale è un atto medico, le cui coordinate devono essere determinate mediante attento esame preliminare. La manipolazione secondo Maigne comporta tre tempi: messa in posi-zione del paziente e dell’operatore, messa in tensione, spinta mani-polativa. Quest’ultima è costituita da un piccolo movimento ad al-tissima velocità, effettuato a partire dalla messa in tensione, esegui-to dall’operatore con perfette modalità tecniche, indolore. La mani-polazione è sovente, ma non necessariamente, accompagnata dal ca-ratteristico rumore di schiocco, dovuto al fenomeno di cavitazione. È fondamentale, durante esecuzione della tecnica manipolativa, at-tenersi alla regola del “non dolore e del movimento contrario” di Maigne, che consiste nel forzare il movimento libero passivo ed in-dolore opposto al movimento passivo doloroso.

A livello dorsale le tecniche manipolative fondamentali sono la tecnica con “appoggio epigastrico” (con varianti mani-nuca e mano anteriore) e la tecnica a “chevalier”. Tra le tecniche complementari, ricordiamo la tecnica in appoggio di “ginocchio” e la tecnica della “mano contro appoggio in decubito dorsale”. Le tecniche descritte sono indirette o semi-dirette. Esistono tecniche dirette, con trust manipolativo diretto, apparentemente facili da eseguire, ma, in real-tà, molto difficili da dosare (fratture costali!).

Ad oggi mancano dimostrazioni di efficacia definitive per il ra-chide lombare, sia in fase acuta che in fase sub-acuta, delle manipo-lazioni effettuate con qualsivoglia tecnica e secondo le indicazioni delle diverse scuole. Gli studi per il rachide dorsale sono talmente pochi da non consentire conclusioni di sorta rispetto a questo di-stretto in particolare.

Terapia Manuale La Terapia Manuale è una specializzazione fisioterapica ricono-

sciuta internazionalmente che utilizza tecniche manuali nell'esame,

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trattamento e prevenzione di disturbi e disordini funzionali dell’apparato locomotore, nella postura e nell’attività gestuale. Il Fisioterapista Manuale tratta anche i disturbi funzionali dei muscoli utilizzando speciali tecniche di stretching, di rilasciamento e di massaggio.

Il concetto che costituisce la base della Terapia Manuale com-prende lo studio scientifico dei disordini funzionali della postura e dell'attività gestuale nonché dei meccanismi di regolazione che pos-sano costituirne l'origine. L'obiettivo è ridurre o eliminare i disordi-ni funzionali articolari all'interno delle catene di movimento umane eseguendo varie manovre sui tessuti ossei, capsulari, legamentosi, tendinei, muscolari e fasciali, dopo aver compiuto un approfondito esame clinico del sistema locomotore.

Il Fisioterapista Manuale compie uno speciale esame e si serve di tecniche di trattamento rivolte ai sistemi osteo-articolare e neuro-muscolare al fine di analizzare, migliorare la funzione e guarire le patologie del sistema locomotore di propria competenza. In aggiun-ta, al fine di prolungare, aumentare e mantenere gli effetti di tali tecniche manuali, il Fisioterapista Manuale insegna esercizi attivi specifici fornendo una corretta assistenza nella loro esecuzione. Successivamente, viene costruito il piano di trattamento e vengono fornite le informazioni necessarie per permettere al paziente di comprendere i propri disturbi, accompagnate da consigli su ciò che è da evitare nella vita quotidiana o ciò che, invece, andrebbe favori-to o migliorato.

Le principali tecniche terapeutiche utilizzate comprendono tec-niche osteoarticolari (mobilizzazioni e manipolazioni), tecniche muscolari e miofasciali (stretching, rilasciamento, muscle energy, trattamento dei trigger points), esercizi medici di reclutamento atti-vo (stabilizzazione, rinforzo muscolare, propriocezione, coordina-zione motoria, equilibrio, ecc.), programmi di esercizi domiciliari, informazioni circa i disturbi con istruzioni nella gestione del movi-mento, della gestualità, dell'ergonomia e della postura nella vita quotidiana.

Rispetto alle problematiche dorsali, le indicazioni includono di-sordini del passaggio cervico-toracico (disturbi della spalla e dell'ar-to superiore, squilibri muscolari del cingolo scapolare, ecc.), disor-dini funzionali vertebrali toracici (pseudo angor pectoris, dolore lo-cale toracico, ecc.), ipomobilità delle articolazioni costovertebrali e

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costotrasversarie (disordini funzionali nel respiro, dolore locale co-stale, ecc.), ipomobilità articolare dopo immobilità, traumi ed inter-venti chirurgici.

Controindicazioni assolute sono date da processi infiammatori acuti, osteoporosi ed osteomalacia in fase avanzata, dolore in posi-zioni estreme, presenza di patologie maligne, block vertebrale (mancata segmentazione), emofilia ed uso di anticoagulanti, com-pressione radicolare bilaterale ad un livello, disordini post-traumatici con possibili fratture, infiammazione articolare settica. Le controindicazioni relative comprendono invece disordini e de-viazioni del tessuto osseo (osteomalacia, osteogenesi inperfecta, TBC ed altre infiammazioni intorno e nell'osso), insufficienza ver-tebro-basilare, processi infiammatori cronici, spondilolisi e spondi-lolistesi, ipertensione, alterazioni degenerative, ipermobilità .

Pochissimi sono gli studi di efficacia sulla terapia manuale per il rachide lombare, praticamente assenti quelli per il rachide dorsale.

Massoterapia Il Massaggio è inteso quale complesso di azioni meccaniche

(manuali e strumentali) non invasive e sui tessuti molli, eseguite a scopo terapeutico, sportivo ed estetico. Il Massaggio ha fondamen-talmente due azioni biologiche: una diretta, interessante unicamente i tessuti sottoposti all’azione meccanica (cute, muscoli) ed una indi-retta che può essere locale o generale poiché mediata da fenomeni nervosi riflessi di natura vegetativa. Gli effetti biologici del Mas-saggio sono molteplici. Ricordiamo, in particolare, gli effetti tera-peutici a livello circolatorio, neurologico, muscolare, cutaneo e splancnico.

Esistono diverse tecniche di Massaggio: sfioramento, frizione, impastamento, percussione, pressione, vibrazione, massaggio con-nettivale e reflessogeno.

Il Massaggio è indicato quale complemento terapeutico nella cu-ra di numerose affezioni vertebrali comuni e degenerative, reumato-logiche e circolatorie. Tra le principali controindicazioni ricordiamo la fase acuta post-traumatica e flogistica, le affezioni neoplastiche, le patologie cutanee, l’età avanzata e le scadenti condizioni genera-li.

Una recente revisione sistematica Cochrane ha sostenuto la pre-senza di prove di efficacia per l’utilità della massoterapia per il ra-

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chide lombare, mentre anche qui non ci sono dati circa il rachide dorsale.

Approccio cognitivo-comportamentale, aspetti ergono-mici e terapia riabilitativa

Come i pazienti affetti da lombalgia, anche i pazienti affetti da dorsalgia desiderano ricevere informazioni e consigli in merito alla loro condizione clinica. Accanto alle esigenze terapeutiche è dovere del clinico educare ed informare i pazienti relativamente al probabi-le decorso della sintomatologia dorsalgica, come gestire efficace-mente il loro dolore, come ritornare rapidamente alle normali attivi-tà fisiche e come ridurre al minimo la frequenza e la severità delle recidive.

È necessario informare il paziente sulla probabile natura benigna del dolore dorsale, correlabile all’incurvamento, più o meno eviden-te, del dorso. È, inoltre, importante rassicurare il paziente sull’evoluzione temporale delle algie dorsali, senza creare inutili al-larmismi né inutili ricorsi ad indagini radiologiche più o meno sofi-sticate.

I farmaci (sistemici e locali) rappresentano il principale rimedio di provata efficacia in fase acuta. Il trattamento manipolativo verte-brale è altresì indicato in fase acuta qualora siano rispettati i princi-pi applicativi e le indicazioni all’esecuzione. Numerosi sono gli altri tipi di trattamento utilizzati per alleviare la sintomatologia algica dorsale benigna: terapia fisica, massoterapia, agopuntura, ortesi ver-tebrali… Sebbene questi trattamenti siano in grado di portare gio-vamento nel breve termine, nessuno di essi si è dimostrato in grado di accelerare la guarigione o di impedire la recidiva della sintomato-logia. È opportuno, inoltre, raccomandare di evitare il riposo a letto prolungato, mentre è necessario un graduale ritorno alle normali at-tività giornaliere, recuperando rapidamente un buon livello di attivi-tà fisica. Il paziente deve essere informato anche sull’eventuale ne-cessità di modificare alcune o parte delle proprie attività fisiche (la-vorative e/o extralavorative), quali lo stare seduto troppo a lungo o la movimentazione inopportuna, scorretta e ripetuta dei carichi quo-tidiani. L’esecuzione di esercizi fisici specifici ed un approccio di ricondizionamento psico-motorio sono di ulteriore aiuto nel recupe-ro algico e funzionale dorsale in fase subacuta e cronica.

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In presenza di dorso curvo dell’adulto, è fondamentale una cor-retta anamnesi lavorativa in funzione di precisi risvolti terapeutici ergonomici. I lavoratori più a rischio per dorsalgia sono coloro con poche possibilità di muoversi dalla posizione seduta. I lavoratori sedentari (in ambito domestico, terminalisti e guidatori) sono tra i soggetti più a rischio di dorso curvo e di tutte le algie conseguenti. La ragione è ascrivibile al carico statico prolungato sulla colonna dorsale, la quale esita, a medio e lungo termine, in stress articolare e sovraccarico localizzato segmentario. Non sono, comunque, da di-menticare i lavoratori esposti ad attività prevalentemente pesanti, in cui, comunque, il rachide dorsale è coinvolto, non solo sotto gli a-spetti di sovraccarico localizzato segmentario, ma anche a causa dei possibili sovraccarichi articolari e muscolari durante sollevamento e spostamento di carichi pesanti e di carichi in tensione. È, dunque, fondamentale, la presa di coscienza da parte del lavoratore-paziente dei potenziali danni biomeccanici derivanti dagli atteggiamenti po-sturali assunti (e reiterati nel tempo) durante la propria attività quo-tidiana. Il paziente dovrà essere ri-educato ad una corretta postura seduta, ad una corretta gestualità lavorativa (posturale, nel rispetto del rachide e degli arti inferiori), durante il sollevamento di pesi, nel trasporto/spostamento di oggetti pesanti, nello spostamento in rota-zione di oggetti e nel raggiungimento di oggetti posizionati in alto, rendendosi conto dell’importanza di un gesto corretto all’interno della quotidianità.

L’intervento riabilitativo specifico sarà finalizzato ai seguenti obiettivi: controllo posturale e del sovraccarico localizzato rachideo dorsale. Il paziente dovrà tendere ad assumere e mantenere atteg-giamenti posturali corretti in stazione seduta ed eretta, durante la deambulazione o la guida, consapevole della necessità di variare pe-riodicamente la posizione assunta, evitando la tendenza ad essere passivo quando è seduto o in piedi, imparando a riconoscere come comportarsi per vivere e lavorare in uno stato di completo benessere fisico. Sarà altresì importante organizzare il proprio luogo di lavoro e le modalità della propria attività in modo ergonomico. Così facen-do, si offriranno al paziente gli strumenti pratici per apprendere le posture più corrette da automatizzare nella pratica quotidiana (lavo-rativa, domestica, studentesca…) per prevenire i tipici infortuni so-pradescritti causa di patologia del rachide dorsale.

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Obiettivo complementare della riabilitazione sarà tendere al re-cupero articolare dorsale. Gli esercizi specifici saranno finalizzati a contrastare la rigidità tipica ed ingravescente del dorso curvo, causa biomeccanica non solo dei sintomi algici locali descritti, ma, anche dell’estrema fragilità funzionale indotta del rachide dorsale.

In ambito di trattamento cognitivo-comportamentale esistono prove di efficacia solide nell’ambito della lombalgia cronica e co-munque in generale dei dolori cronici. Quindi si può presupporre che anche il dolore cronico dorsale non sia diverso da quello in altri distretti, anche se non ci sono studi dedicati alle sole dorsalgie (normalmente però incluse nelle situazioni di dolore cronico).

Conclusioni Al termine di questo capitolo, ci appaiono logiche alcune consi-

derazioni. Innanzitutto l’universo “dorsalgia” non è l’universo “lombalgia”,

né in termini di risvolti clinici, né in termini di produzione scientifi-ca (specchio, in ogni caso, dell’importanza conferita al giorno d’oggi dalla comunità medica e sociale al problema).

È, comunque, errato tendere a sottovalutare e sottostimare il pro-blema della dorsalgia dell’adulto. I risvolti biomeccanici, clinici (ergonomici) e terapeutici dovranno essere, a nostro parere, ancora attentamente rivalutati ed approfonditi.

In primo luogo, è fondamentale migliorare il nostro approccio diagnostico, curativo e rieducativo alle problematiche del rachide dorsale. L’esame obiettivo rachideo dorsale accurato è tutt’altro che semplice ed è spesso trascurato durante la maggior parte delle no-stre valutazioni mediche e funzionali. In aggiunta, ad un’analisi cri-tica, i non pochi approcci terapeutici descritti presentano molte po-tenzialità da conoscere approfonditamente, da verificare e da utiliz-zare scientemente a seconda del momento evolutivo patologico ed in base agli obiettivi prefissati. La mancanza di prove di efficacia decisive (in realtà se poi pensiamo al solo rachide dorsale dovrem-mo dire l’assoluta mancanza di prove di alcun genere) non consente di disporre di un faro di riferimento preciso. Anche in questo cam-po, però, non si può che sostenere l’importanza di porre un certo freno all’esagerato italico eclettismo, per giungere ad un più prag-matico ed utile approccio su corrette basi scientifiche.

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In secondo luogo, per analizzare a fondo i reali aspetti ergono-mici: le diverse evoluzioni in senso patologico del rachide dorsale dell’adulto sottolineano a caratteri cubitali l’importanza e l’intima correlazione esistente tra aspetti lavorativi, conseguenze biomecca-niche (sovraccarico vertebrale localizzato), posturali (dorso curvo) e clinica (algia dorsale subacuta e cronica).

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