36
DANILO CARUSO in collaborazione con ANTONINO CARUSO SICANIA Il sito sicano di Colle Madore: dalla leggenda alla realtà

Colle Madore

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Sicani

Citation preview

Page 1: Colle Madore

DANILO CARUSO

in collaborazione con ANTONINO CARUSO

SICANIA

Il sito sicano di Colle Madore:

dalla leggenda alla realtà

Page 2: Colle Madore
Page 3: Colle Madore

1

Introduzione

Vieni da Creta a questo sacro tempiodove cresce per te un amabile boscodi meli e dagli altari si levafumo d’incenso,e al di là dai rami dei meli sussurraun fresco ruscello, ovunque s’allargaombra di rose, da mormoranti frondestilla sopore,il prato delle cavalleè in germoglio di fiori primaverili,dolce soffia la brezza ……cingiti qui della tua benda, Cipride,in coppe d’oro con un lieve gestoversa nettare divino mescolato alla festa.

Saffo

uesto lavoro è sorto dall’amore per la verità (filo-sofia), una verità che riguarda ilconcretizzarsi di un sogno nel 1995: l’inizio dell’epopea archeologica di ColleMadore. Questo aveva da sempre attirato l’attenzione, ma solo allora la Soprin-

tendenza ai Beni Culturali di Palermo ha potuto dare il via alla prima campagna di scavi.L’input di questo grandioso meccanismo è stato un gesto, unico ed irripetibile nel suo ge-nere. La Donazione Caruso (1992) dei primi reperti rinvenuti casualmente ha proiettato ilComune di Lercara Friddi in una dimensione del tutto nuova. Il paese è salito agli onoridelle cronache per l’eccezionalità ed il pregio degli esemplari donati. Questo atto disinte-ressato ha fatto del Madore una zona archeologica di primissimo interesse. Assistiamo aldisvelarsi di una storia che si è immortalata nel suolo, come le scene dell’urna di Keats, ecome lui ci facciamo avvincere dal fascino dell’eterno e dal mistero della vita. Tutto ciòche si riferisce all’insediamento sicano su questo colle ha innanzitutto un significato esi-stenziale, più che storico ed archeologico. La conoscenza del passato e l’amore per la ri-cerca non sono fini a se stessi: studiamo gli eventi del tempo trascorso perché sono staticostruiti dagli uomini, e da essi possiamo trarre utili insegnamenti. Il XX secolo è statotestimone delle più gravi aberrazioni della ragione umana: sarebbe bello che dalla passioneper l’indagine scientifica gli uomini traessero lo spunto per risvegliarsi dai loro torporidogmatici ed in essa trovassero la forza per sconfiggere gli odi ed eliminare i conflitti. O-ramai è passato tempo dalla Donazione di Antonino Caruso (ottobre-novembre 1992) diquesti ritrovamenti della zona archeologica di Lercara Friddi, passando per il settembre del’99, in cui con i contenuti di questa monografia sui Sicani e Colle Madore identificai il sa-cello di Colle Madore con il Tempio di Afrodite/Sepolcro di Minosse (già nel 1995 il

Q

Page 4: Colle Madore

2

mensile della provincia di Palermo pubblicò un mio articolo sulla realtà archeologica ler-carese e nello stesso 1999 la mia tesi appena divulgata fu inserita nel documentario in vi-deocassetta su Lercara “Dai Sicani al futuro”). Il biennio successivo mi ha consentito diesplicitare, approfondire ed ampliare il secondo capitolo del testo (terminato nell’agostodel 2001). Prima di questa pubblicazione il saggio era stato diffuso abbondantemente indue edizioni: Lercara Friddi agosto 2001 e Palermo gennaio 2004. La terza campagna discavi (marzo-giugno 2004) ha dato lo spunto per la conferma della mia tesi e perl’aggiunta di un terzo capitolo. Ma in questo momento vale la pena ricordare purequell’elenco di reperti donati da mio padre, elenco che costituisce in larga parte di esso ilnucleo più pregevole con pochi (per il pregio) altri ritrovati dopo gli scavi (che per il nu-mero sono molto di più) di tutti quelli che sono stati esposti nella saletta museale della bi-blioteca comunale. Anche volendo fare una gerarchia tutti i ritrovamenti sono preziosi peril loro valore di testimonianza, e non a caso hanno meritato con il proseguire dell’interessedegli studiosi e della soprintendenza l’appellativo di città archeologica al nostro comune.

LA DONAZIONE CARUSO (1992)(il numero tra parentesi è quello di catalo-gazione dato in “Colle Madore/Un caso diellenizzazione in terra sicana, a cura di S.Vassallo, Palermo 1999”)le sette lamine bronzee (14-20)uno spiedo (35)un modellino di capanna (36)i due vasi multipli (37-38)una oinochoe, brocchetta (79)un pithos con decorazione dipinta (174)due lekythoi, vasi (252-253)due olpai, brocchette (272-273)un coperchio di pisside (359)la celebre edicola (373)il bacino per acqua lustrale (380)un’anfora corinzia (385)un’anfora samia (398)due anfore (403-404)un mortaio (432)due pesi da telaio (471-472)una fuseruola (480)

Dopo la donazione e gli scavi condotti dalla soprintendenza nel ’95 e nel ’98 il va-lentissimo dott. S. Vassallo ha curato la direzione del catalogo dei reperti (pubblicato nel1999), alla cui presentazione ebbi ad intervenire, a titolo di studioso e di donazione, pro-nunziando questo discorso.

Page 5: Colle Madore

3

«Quando nel 1992 ci fu la Donazione Caruso dei primi reperti, nessuno immagina-va che l’avventura archeologica arrivasse a questi sviluppi così sorprendenti da andare aldi là di tutte le aspettative. Ma come dice il Poeta, “poca favilla gran fiamma seconda”.Sono passati otto anni, e se questo sogno è continuato il merito è di chi ha permesso checontinuasse: dell’attuale amministrazione e della Soprintendenza ai Beni Culturali di Pa-lermo. A loro va ancora una volta il nostro più caloroso e vivo ringraziamento in questacircostanza: la presentazione dell’opera diretta dal Dottore Vassallo. Questo catalogo, cheriguarda una parte dei reperti è bello; e l’aggettivo bello ha una valenza non solamente e-stetica, ma anche etica e gnoseologica: è bello perché mostra nel suo dettaglio informativoun rispetto verso tutti gli studiosi del sito sicano, i quali anche sulla base testimoniale deireperti si adoperano per la ricostruzione storica trovandovi suffragi. Una ricostruzione sto-rica che deve essere fondata, come insegna Giambattista Vico nella Scienza Nuova,sull’accertamento del vero e sull’avveramento del certo. Con questo metodo noi riuscire-mo ad allargare l’orizzonte delle nostre conoscenze. Colle Madore è una ricchezza umanae sociale. Fu abitato da uomini come noi, e conoscere la loro storia vuol dire arricchire lanostra umanità. Ma questa storia può avere risvolti pratici e ricadute immediate per la no-stra comunità. Se si riuscirà a far sostare in quest’area i turisti che transitano sulla Paler-mo-Agrigento avremo conseguito una meta che vale più di cinque punti. E la Pro Loco èchiamata in prima persona alla realizzazione di questo obiettivo. Si deve smettere di pen-sare che le cose siano ovunque fuorché qui, che le cose belle le abbiano gli altri, e che legrandi imprese riescano solamente agli altri. Lercara ha un patrimonio di beni culturalinon indifferenti, e l’archeologia ne è il fiore all’occhiello. La Donazione, nella fattispecie èavvenuta qui, non altrove, e potrebbe figurare comodamente tra le pagine dell’Elogiodella follia di Erasmo. A quel gesto si è poi congiunto un saggio di ricerche, quasi a volercreare un sinolo, una sostanza completa di materia e forma. È nostro auspicio che tuttoquesto possa giovare in qualche modo al paese di Lercara ed ai suoi giovani.» (BibliotecaComunale G. Mavaro di Lercara Friddi – Sala Conferenze – 10 maggio 2000)

Page 6: Colle Madore

4

CAP. IChi erano i Sicani

e notizie sui popoli che abitarono la Sicilia nel periodo precedente la colonizzazionegreca, iniziata secondo la tradizione nel 734 a.C. con la fondazione di Nasso da par-te dei Calcidesi dell’Eubea, ci provengono dagli storici greci. I colonizzatori si tro-

varono di fronte un’isola suddivisa in aree di influenza fra distinte etnie che avevano avutofasi di insediamento non comuni. Della Sicilia così narra Tucidide ne La guerra del Pelo-ponneso1.

«Fu abitata fin da epoca remota, ed ecco quali furono complessivamente i popoliche l’occuparono. I più antichi abitatori di una parte del paese furono secondo la tradizionei Ciclopi e i Lestrigoni. Ma la loro stirpe, il loro luogo di origine, la meta della loro suc-cessiva emigrazione sono dati che non posso fornire. Bisogna accontentarsi delle tradizio-ni poetiche e di quell’idea che ognuno può essersi fatta su queste popolazioni. I primi asuccedere loro devono essere stati i Sicani, che a quanto essi dicono, avrebbero anzi pre-ceduti i Ciclopi e i Lestrigoni, essendo autoctoni; ma in realtà risulta che i Sicani eranoIberi, stanziati presso il fiume Sicano in Iberia, da dove i Liguri li scacciarono. Da lorol’isola, che prima si chiamava Trinacria, finì col prendere il nome di Sicania. Ancora oggii Sicani abitano la parte occidentale della Sicilia. Dopo la caduta di Ilio un gruppo diTroiani, scampati su navi, alla caccia degli Achei, approdarono alle coste della Sicilia, e,stabilita la loro sede ai confini dei Sicani, furono tutti compresi sotto il nome di Elimi; e leloro città furono chiamate Erice e Segesta. Si stanziarono presso di loro un gruppo di Fo-cesi reduci da Troia, sbattuti in quell’occasione da una tempesta, prima verso la Libia, poiverso la Sicilia. I Siculi passarono in Sicilia dall’Italia – dove vivevano – per evitare l’urtocon gli Opici. Una tradizione verosimile dice che, aspettato il momento buono passaronosu zattere mentre il vento spirava da terra; ma questa non sarà forse stata proprio l’unicaloro maniera di approdo. Esistono ancor oggi in Italia dei Siculi; anzi la regione fu cosìchiamata, Italia, da Italo, uno dei Siculi che aveva questo nome. Giunti in Sicilia con nu-meroso esercito e vinti in battaglia i Sicani, li scacciarono verso la parte meridionale e oc-cidentale dell’isola. E da essi il nome di Sicania si mutò in quello di Sicilia. Passato lostretto, tennero e occuparono la parte migliore del paese, per circa trecento anni fino allavenuta degli Elleni in Sicilia; e ancor oggi occupano la regione centrale e settentrionaledell’isola. Si erano stanziati inoltre, su tutta la costa sicula, i Fenici, che si riservarono ipromontori sul mare e le isolette adiacenti, per il loro commercio con i Siculi. Ma in segui-to a successivo approdo degli Elleni, dovuto alla loro numerosa emigrazione transmarina,abbandonate quasi tutte le coste e raccoltisi in vicinanza degli Elimi, si tennero Motia, So-lunto e Panormo. Dava loro affidamento l’alleanza con gli Elimi e il fatto che quello è ilpunto di più breve traversata tra Cartagine e la Sicilia. In tal numero dunque e in tal ma-

1 I brani di Tucidide (La guerra del Peloponneso) e di Erodoto (Storie) sono tratti daedizioni Newton Compton, 1997, rispettivamente pagg. 296-297 e pagg. 421-422.

L

Page 7: Colle Madore

5

niera i barbari si stanziarono in Sicilia. I Calcidesi furono i primi Elleni che, approdati alcomando dell’ecista Tucle, fondarono Nasso (VI, 2-3.1).»

Filisto di Siracusa concorda con la tesi toponomastica di Tucidide sull’origine deiSicani (il fiume Sicano potrebbe essere lo Jucar che si riversa nel Mediterraneo dal golfodi Valencia). Le ipotesi in questo caso sono due: i Sicani erano una popolazione preindo-europea che dall’area iberica raggiunse la Sicilia a) via mare, b) via terra, traversando lapenisola (il che comproverebbe la tesi di un’affinità con i Siculi). Ma Timeo e Diodoroconsideravano i Sicani autoctoni. Alla teoria della migrazione se ne aggiunge un’altra inbase alla quale i Sicani potrebbero essere un popolo indoeuropeo che entrando nell’isolaha smarrito la sua memoria. Comunque i Sicani benché abbiano in comune con i Siculi laradice del proprio nome dovrebbero essere non indoeuropei, infatti la loro lingua non ap-partiene a quel ceppo. Le affinità siculo-sicane sarebbero attestate dal presupporre che iSicani nel loro cammino migratorio abbiano sostato nel Lazio, un’area che inglobava quel-la di provenienza dei Siculi (chiamati dalla tradizione in vari modi) in Sicilia: dal setten-trione e dal Lazio alla Calabria passando per la Campania. Ciò potrebbe provare la tesi diun contatto fra i due gruppi prima del loro ingresso in Sicilia. Il periodo del passaggio deiSiculi in Sicilia non è certo: Tucidide con i suoi riferimenti parla del 1030 ca a.C., ma El-lanico di Mitilene e Filisto di Siracusa spostano la data indietro nel tempo rispettivamentenel 1270 ca a.C. e nel 1350 ca a.C. Si pensa a dei legami che avrebbero unito i Siculi aglialtri popoli della penisola italica, e in questo contesto furono latori di una cultura tardo ap-penninica: la civiltà appenninica si sviluppa nella zona centrale dell’Appennino dalla se-conda metà del secondo millennio agli inizi del primo millennio (età del bronzo), caratte-rizzata da genti che abitavano in villaggi di capanne o in caverne e che praticavano la pa-storizia seminomade e transumante, e la sepoltura a inumazione in dolmen. Nell’universosiculo vengono distinte due facies culturali: a) una detta ausonia (presente dal XIII sec.a.C. nelle isole Lipari e nel milazzese); b) una definita in senso stretto sicula (rinvenuta aPantalica, Melilli e Cassibile databile nel XVI-IX sec. a.C.). Esistono prove di contatti conla cultura appenninica che suffragano la tesi della migrazione più per la facies ausonia chenon per quella strettamente sicula. Oltre a Sicani e Siculi abitavano la Sicilia gli Elimi e iFenici (termine che Tucidide usa anche per i Cartaginesi). Dionigi di Alicarnasso riporta lanotizia secondo la quale gli Elimi sarebbero provenuti nell’isola dalla penisola italianacacciati dagli Enotri prima dell’arrivo dei Siculi. Per il culto di Afrodite Ericina (di matri-ce indigeno-sicana) è comunque possibile ricollegarli, seguendo le informazioni di Tucidi-de, all’area cipriota e fenicia. Secondo una tradizione locale questo aveva origine a Creta;e ad Erice Afrodite (in precedenza divinità dei Sicani che aveva fornito spunti sostanzialiper tale assimilazione da parte dei Greci) fu poi identificata dai Fenici con Astarte. La reli-giosità ericina era affine a quella cretese: all’aperto in mezzo al verde e alle acque. Il tem-pio di Erice è a pianta circolare come quello di Cnido. Nella leggenda Erice è l’eponimoistitutore di questo culto, figlio di Afrodite e di un eroe sicano, Butas, vittima di Eracle.Diodoro afferma che i Sicani cominciarono a spostarsi verso occidente a causa delle eru-zioni dell’Etna lasciando il campo ai Siculi e che abitassero su alture difficilmente acces-sibili dove costruivano villaggi e fortezze per proteggersi dai predatori. La chora sicanasino all’VIII sec. a.C. era delimitata ad est dal Salso e dall’Imera e ad ovest dal Belice edal S. Leonardo. Loro città erano Camico, Inico, Iccara, Omphake, Indara, Crasto, Uessa,

Page 8: Colle Madore

6

Miskera, Makara. S. Angelo Muxaro viene identificata con l’antica fortezza di Camico chela leggenda vuole sia stata progettata da Dedalo dopo essere fuggito da Creta. Diodoro Si-culo nella Biblioteca Storica racconta questa saga2.

«Dedalo era ateniese di origine e veniva definito un Eretteide, perché era figlio diMetione, figlio di Eupalamo, figlio di Eretteo. Superava di molto tutti gli altri per doti na-turali e coltivava con zelo ciò che riguardava l’arte dell’architettura e la realizzazione distatue e la lavorazione della pietra. Creò molte invenzioni sussidiarie dell’arte, e realizzòopere ammirate in tutti i luoghi della terra abitata. Nella realizzazione delle statue superòdi tanto tutti gli uomini che i posteri raccontavano di lui che le statue che egli aveva rea-lizzato assomigliavano agli esseri viventi. Esse vedevano e camminavano, e atteggiavanoin generale la disposizione di tutto il corpo in modo che sembrava che l’oggetto realizzatofosse un essere vivente ed animato. Fu il primo a fornirle di occhi e a fare loro le gambeseparate e ancora a fare le mani tese, ed era naturale che venisse ammirato dagli uomini,perché gli artisti prima di lui realizzavano le statue con gli occhi chiusi e con le mani ab-bassate e attaccate ai fianchi. Ma Dedalo, pur ammirato per il suo amore per l’arte, andò inesilio dalla patria, condannato per omicidio per le seguenti ragioni. Talos, che era figliodella sorella di Dedalo, era stato educato presso Dedalo, ed era nell’età della fanciullezza.Più dotato del maestro, inventò la ruota del vasaio; si imbatté in una mandibola di serpen-te, e dopo avere con essa segato in due un piccolo pezzetto di legno, cercò di imitare lascabrosità dei denti. Preparata una sega di ferro, con questa segò la materia lignea che im-piegava nelle sue opere e acquistò fama di aver inventato un mezzo molto utile per l’artedelle costruzioni. Così, avendo inventato anche la ruota e alcuni altri artifici, conseguì unagrande fama. Dedalo divenne invidioso del fanciullo, e ritenendo che avesse superato dimolto il maestro nella fama, lo uccise a tradimento. Lo seppellì, ma fu scoperto; e quandogli venne chiesto chi stesse seppellendo, rispose che stava sotterrando un serpente. Ci sipotrebbe meravigliare del paradosso: proprio a causa dell’animale che aveva permesso diprogettare la realizzazione della sega, avvenne che si verificasse anche la scopertadell’omicidio. Accusato e condannato per omicidio dagli Areopagiti, fuggì dapprima inuno dei demi dell’Attica, nel quale gli abitanti sono stati chiamati, da lui, Dedalidi. Dopofuggì a Creta, e ammirato per la fama nella sua arte, divenne amico del re Minosse. Se-condo il mito tramandato, poiché Pasifae moglie di Minosse si era innamorata del toro,costruì una macchina somigliante ad una vacca e aiutò Pasifae a soddisfare la sua brama. Imiti narrano che in tempi precedenti Minosse ogni anno aveva il costume di consacrare aPoseidone il più bello dei tori nati e di sacrificarlo al dio. Quando nacque un toro di ecce-zionale bellezza, sacrificò un altro toro, di quelli di qualità inferiore: Poseidone si adiròcon Minosse e fece invaghire del toro sua moglie Pasifae. Pasifae, si unì col toro per mez-zo di questo artificio, e generò il Minotauro di cui parlano i miti. Dicono che esso fosse diduplice natura, e avesse le parti superiori del corpo, fino alle spalle, di toro, le restanti diuomo. Dedalo, dicono, per questo mostro, per il suo mantenimento, costruì il labirinto, lecui vie di uscita erano tortuose e inaccessibili agli inesperti; e in esso veniva mantenuto ilMinotauro e divorava i sette fanciulli e le fanciulle inviati da Atene, di cui abbiamo parlatoprima. Dedalo, quando apprese che Minosse lo minacciava per la fabbricazione della vac-

2 I brani di Diodoro Siculo (Biblioteca Storica) sono tratti dall’edizione Sellerio, 1988.

Page 9: Colle Madore

7

ca, dicono che spaventato della collera del re salpasse da Creta, e che Pasifae lo aiutasse egli desse una nave per la partenza. Insieme a lui fuggì il figlio Icaro e approdarono adun’isola d’alto mare: Icaro sbarcò su di essa in modo temerario, cadde in mare e morì e dalui fu dato al mare il nome di Icario, e l’isola fu chiamata Icaria. Dedalo salpò da questaisola, e approdò in Sicilia nella regione il cui re Cocalo lo accolse e ne fece un suo grandeamico per le sue doti naturali e per la sua fama. Ma alcuni raccontano che Dedalo si trat-tenne ancora a Creta nascosto da Pasifae. Il re Minosse voleva punire Dedalo e non poten-do trovarlo, frugò tutte le navi dell’isola, e promise che avrebbe dato una quantità di dena-ro a colui che lo avesse ritrovato. Allora Dedalo disperando della fuga per mezzo delle na-vi contro ogni aspettativa fabbricò delle ali fatte con arte e meravigliosamente rivestite dicera: dopo che le ebbe poste sul corpo del figlio e sul suo, in modo inaspettato le dispiega-rono per il volo, e fuggirono dal mare vicino all’isola di Creta. Icaro, a causa della suagiovinezza volò in alto e cadde nel mare perché la cera, che teneva insieme le ali, vennesciolta dal sole; egli, invece, volando vicino al mare e umettando ogni volta le ali, si salvòcontro ogni attesa in Sicilia. Riguardo questi fatti, anche se il mito è strano, abbiamo tutta-via deciso di non tralasciarlo. Dedalo si trattenne molto tempo presso Cocalo e i Sicani,ammirato per la sua grandezza nell’arte. In quest’isola costruì alcune opere che rimangonoancora oggi. Vicino a Megaride costruì ingegnosamente la cosiddetta kolymbetra, dallaquale sbocca nel mare, che è vicino, un grande fiume chiamato Alabone. Presso l’attualeAgrigento, nel luogo chiamato Camico, costruì una città che si trova su di una rupe, la piùsalda di tutte, assolutamente inespugnabile con la violenza: con un artificio ne fece la sali-ta angusta e tortuosa, da potersi difendere con tre o quattro uomini. Perciò Cocalo in que-sta città fece costruire la reggia, vi depositò le sue ricchezze e la conservò inespugnatagrazie alla inventiva dell’architetto. Come terza costruzione nel territorio di Selinunte ap-prestò un antro nel quale estrasse con tale misura il vapore umido del fuoco che bruciavain esso, che per la dolcezza del calore coloro che vi si trattenevano trasudavano insensi-bilmente e a poco a poco, e curavano i corpi con godimento, senza essere danneggiati dalcalore. Ad Erice c’era una rupe scoscesa di altezza straordinaria, e poiché l’angustia dellospazio presso il tempio di Afrodite costringeva a realizzare la costruzione sospesa sullarocca, fece un muro proprio sulla sponda, ampliando in modo inaspettato la parte superioredella sponda. Per Afrodite Ericina realizzò con arte un ariete d’oro, mirabilmente lavorato,e somigliante in modo perfetto ad un ariete vero. Dicono che in Sicilia abbia realizzato conarte molte altre opere, che sono andate distrutte per il molto tempo trascorso. Minosse, redei Cretesi, in quell’epoca padrone del mare, quando fu informato della fuga di Dedalo inSicilia, decise di fare una spedizione contro l’isola. Preparata una considerevole forza na-vale salpò da Creta e approdò in territorio di Agrigento nel luogo chiamato da lui Minoa.Quando l’armata fu sbarcata vennero inviati messaggeri al re Cocalo: Minosse reclamavaDedalo per punirlo. Cocalo lo invitò ad un incontro, e dopo aver promesso che avrebbeeseguito ogni cosa, ricevette ospitalmente Minosse. Mentre Minosse era al bagno, Cocalotrattenendolo di più nell’acqua calda lo uccise e restituì il corpo ai Cretesi, adducendo co-me causa della morte il fatto che era scivolato nel bagno e caduto nell’acqua calda eramorto. Poi coloro che lo avevano accompagnato nella spedizione seppellirono splendida-mente il corpo del re, costruirono un duplice sepolcro, e posero le ossa nella parte nasco-sta, mentre in quella scoperta costruirono un tempio di Afrodite. Egli venne onorato per

Page 10: Colle Madore

8

molte generazioni e gli abitanti del luogo offrivano sacrifici pensando che il tempio appar-tenesse ad Afrodite. In tempi più recenti, quando è stata fondata la città degli Agrigentini esi è saputo della deposizione delle ossa, è accaduto che la tomba sia stata abbattuta e le os-sa siano state restituite ai Cretesi, quando Terone era re degli Agrigentini. Comunque iCretesi rimasti in Sicilia, dopo la morte di Minosse, per la mancanza di una autorità entra-rono in lotta fra di loro, e poiché le navi erano state bruciate dai Sicani di Cocalo, dispera-rono del ritorno in patria e decisero di insediarsi in Sicilia. Allora gli uni abitarono la cittàche dal loro re chiamarono Minoa, gli altri, dopo aver vagato nell’entroterra e aver occupa-to un luogo fortificato, fondarono una città che chiamarono Engio dalla sorgente che scor-re nella città. In seguito, dopo la presa di Troia, quando il cretese Merione approdò in Sici-lia, essi, per la parentela che li legava, accolsero i Cretesi sbarcati, concessero loro la cit-tadinanza e, avendo come punto di partenza una città fortificata, debellarono alcuni deiconfinanti e acquistarono un territorio sufficiente. Essi si accrescevano sempre di più, equando ebbero costruito il tempio delle Madri, onorarono le dee in modo straordinario,adornando il loro tempio con molte offerte. Dicono che esse fossero state trasportate daCreta, perché anche presso i Cretesi queste dee vengono onorate in modo straordinario.»

Erodoto con l’intento di polemizzare per il fatto che parte della Sicilia sia in manoai barbari, riporta un finale diverso delle vicende di Minosse sconosciuto ai Sicelioti, cheasserisce di aver appreso dai Cretesi di Praisos, i quali si dichiaravano Eteocretesi(’ό, autentici Cretesi).

«Si dice che Minosse, giunto in cerca di Dedalo in Sicania – ora chiamata Sicilia –,vi sia morto di morte violenta. Dopo alquanto tempo per incitamento di un dio tutti i Cre-tesi, tranne i Policniti e i Presi, sarebbero giunti con una grande flotta in Sicilia, dove a-vrebbero per cinque anni assediato la città di Camico – occupata all’epoca mia dagli Acra-gantini –. Alla fine, non potendo conquistarla, né fermarsi, perché tormentati da una care-stia, vi avrebbero rinunziato e se ne sarebbero partiti. Ma come giunsero, veleggiando, nel-la Iapigia, sarebbero stati sorpresi da una grande tempesta e gettati contro la costa. Le navis’erano infrante; e, non vedendo più la possibilità di recarsi a Creta sarebbero rimasti inquella regione, dove fondarono la città Iria; e, mutato il loro nome, sarebbero divenuti daCretesi, Iapigi Messapi, e da isolani abitanti di terrraferma (VII, 170-1,2).»

Il brano in cui Diodoro Siculo parla della ricerca di Minosse in Sicilia di Dedalo edelle vicende che porteranno alla sua uccisione, e della purificazione del άda parte diTerone di Agrigento, è scomponibile in tre parti che fanno riferimento a diverse tradizioni:

a) Minosse è visto come un nemico;b) la figura di Minosse funge da intermediario con le popolazioni autoctone tramite

l’individuazione del suo sepolcro in una determinata area;c) arriva Merione che introduce il culto delle Meteres e conquista un ampio territo-

rio.Il punto a) è estraneo al mito che elabora la localizzazione del ά in quanto ri-

guarda un’altra tradizione che ci porta a conoscenza di insediamenti cretesi in Sicania especialmente a Minoa. Questo ciclo è antecedente alla nascita di Acragas presso cui il pun-to b) si sviluppa. Il tema del sepolcro si sviluppa nell’arco di tempo che dalla fondazionedella colonia dorica va fino a Terone. Dal brano diodoreo emerge che prima della fonda-zione di Agrigento il luogo del ά fosse per i Sicani solamente un tempio di Afrodite.

Page 11: Colle Madore

9

Il luogo in cui sorgeva il tempio era situato nei pressi di Camico, e quindi nell’area di con-fine della chora acragantina. Tutto questo è confermato anche dal fatto che la presenza diun santuario in una regione di confine poteva caratterizzare una fascia di territorio mista eneutrale, il cui controllo aveva per gli Agrigentini una notevole importanza strategica.Questo tratto poteva far parte delle ώ ̉ ̃zone-deserte) o ό (terre-che-stanno-in-mezzo-come-linea-di-confine) le quali avevano rilevanza durante i periodi bel-lici, ma anche il ruolo di mediare le diverse esperienze religiose: da Diodoro infatti dedu-ciamo che il tempio in cui fu localizzato il sepolcro di Minosse fu frequentato sino alla suadistruzione sia da indigeni che da Greci. Il santuario di Minosse può essere inteso oltre checome edificio, come qualcosa di simile al santuario rupestre di Agrigento, costituito da unagrotta che fungeva da camera tombale e da una parte monumentale all’ingresso. Potrebbeessere stato in precedenza consacrato ad una divinità femminile indigena, i cui riflessi mi-noici le consentirono di essere assorbita all’interno della figura di Afrodite. Questa eco e-geo-cretese avrebbe potuto stimolare l’individuazione di Minosse come elemento culturaledi inserimento al fine di far cadere quest’area sotto il controllo agrigentino. Le tholoi di S.Angelo Muxaro dell’VIII-VI sec. a.C. rievocavano con le loro forme ai colonizzatori grecisuggestioni derivanti dall’epoca minoica. In contesti del genere la figura di Afrodite pre-siedeva ai caratteri della natura e della sua produttività. Il rito di xenia nel quale viene uc-ciso Minosse rientra con i suoi elementi in una tematica mitologica in cui risalta il ruolosoterico femminile, con l’uccisione del nemico, e l’acqua svolge un ruolo scenografico si-gnificativo. Fingendo di riconciliarsi con lui Cocalo lo invitò a palazzo e qui mise in attola sua uccisione grazie all’ingegno di Dedalo: durante il bagno che gli venne offerto se-condo tradizione con le figlie di Cocalo, l’acqua fredda fu sostituita attraverso tubi nasco-sti da acqua bollente che l’uccise. Il culto della fertilità legato alla figura di Afrodite erafrequentemente connesso con il motivo del toro, che non rappresentava solamente l’ideaun’esigenza difensiva, ma anche i caratteri collegati alla fecondità (ed alla religiosità indi-gena, sicula e sicana, di natura animistica nell’adorazione dei fiumi). Questo accostamen-to, di cui non si conosce l’origine (potrebbe essere indigeno e/o introdotto dai colonizzato-ri), è presente nel territorio di Agrigento, come testimoniano i rinvenimenti di Sabucina(un torello fittile e alari a protome taurina) e di Polizzello (vasi con testa taurina), i qualiindicano probabilmente i limiti raggiunti nel VI sec. a.C. dalla chora agrigentina. Qui èdocumentato il culto delle Ilizie proveniente dal bacino culturale cretese, alle quali era ac-costato il toro come ulteriore elemento religioso, e ciò costituisce una analogia con il cultodi Afrodite: questo avvicinamento ha la sua origine a Creta, dove Afrodite è una divinitàproveniente da Cipro, ctonia, messa in relazione con la natura e la vegetazione spontanea.Per quanto interessa il punto c) Merione fonda ad Engio un tempio alle nutrici di Zeus, leMeteres (le madri), che erano associate alla Gran Madre, sorgente in una zona di confine,su un’altura nei pressi di una fonte. L’immagine del fiume faceva parte con i temi dellafertilità e della vegetazione della connotazione di un’area di confine, caratterizzata da pro-blemi difensivi, che indicava il passaggio dalla terra coltivata alla non coltivata. DalXVI/XV al XIII sec. a.C. (tardo bronzo) nell’area orientale della Sicilia è documentatal’azione micenea per mezzo del ritrovamento di vasellame (specialmente a Thapsos, fraSiracusa ed Augusta, e nelle Lipari anche ritrovamenti del tardo minoico). Di insediamentimicenei nel senso pieno del termine non è data prova, nonostante a Pantalica e Thapsos

Page 12: Colle Madore

10

siano presenti edifici la cui architettura faccia presumere ad influenze egee. Da S. AngeloMuxaro provenivano degli esemplari che non hanno niente in comune con l’artigianatoindigeno: due anelli d’oro recanti le figure di un lupo e di una giovenca nell’atto di allatta-re il vitello, e quattro coppe d’oro di piccole dimensioni (due hanno riprodotte sei figure dibovini a sbalzo), datate nel VII sec. a.C. e ricollegate ad un gusto estetico fenicio-cipriota.Quel che resta di questo materiale è fruibile al Museo di Siracusa ed al British Museum. Èstato sottolineato (Pugliese Carratelli; Manni ha sostenuto l’idea dell’origine indigena delmito prima della fondazione di Gela e Siracusa) che la leggenda di Camico fosse cono-sciuta a Creta anche prima dell’inizio della colonizzazione greca dell’occidente nell’VIIIsec. a.C. e che in Sicilia non fosse un portato dei colonizzatori rodio-cretesi che fondaronoGela ed Agrigento. Il nome Kokalos è miceneo: è stato infatti individuato (Kokaro) nelleiscrizioni delle milleduecento tavolette scritte in lineare b ritrovate nel 1939 e provenientidalla zona del palazzo di Nestore a Pilo; vengono datate nel 1200 a.C., la vigilia di un pe-riodo di cesura che vedrà la distruzione dei palazzi micenei compreso quello di Pilo sitonel Golfo di Arcadia in Messenia. I Micenei servendosi di qualche intermediario creteserielaborarono la scrittura denominata lineare a (in uso a Creta dal 1600 ca al 1450 ca a.C.)sul presupposto di modelli minoici creando la lineare b (usata nella koinè micenea dal1450 ca al 1200 ca a.C.) L’espansione commerciale dei Micenei è attiva in tutto il medi-terraneo principalmente nel periodo antecedente le tavolette (1200 a.C.). La leggenda dellafondazione di Camico e la morte di Minosse in Sicilia, nonché testimonianze archeologi-che dimostrano un collegamento tra i Sicani e Creta che ha attinenza in primis con la civil-tà minoica che non la successiva civiltà micenea. Cocalo è un nome scritto nelle tavolettedi Pilo in lineare b, ma la sua vicenda è di epoca minoica riguardando Dedalo e Minosse.Gli abitanti di Creta prima dell’insediamento dei Micenei nel 1450 a.C. non appartenevanoné all’etnia aria né a quella semita, bensì ad un ceppo definito mediterraneo. Al contrarioi Micenei (termine con cui si indicano in senso lato i nuovi colonizzatori) erano una popo-lazione aria. I Sicani non sono indoeuropei, e questo rende possibile la loro appartenenzaalla razza mediterranea e la loro comparsa in Sicilia in seguito ad una migrazione di que-ste genti da oriente. I Greci non avevano una visione nitida della loro storia primadell’invasione dei Dori (1100 ca a.C.), visione che si oscura completamente intorno al1500 a.C.: fra queste due date collocano l’età degli eroi e le saghe degli uomini con gli dei.Il periodo durante il quale i Micenei si insediarono a Creta (1450 a.C.), rilevando l’ereditàculturale minoica, rientra in quest’area buia. Tucidide afferma che i Sicani giungono dauna migrazione, ma le sue prove nell’indicare il versante occidentale del mediterraneo nonsono molto consistenti. È invece probabile che questa migrazione abbia origine dalla sferaterritoriale cretese. La leggenda di Camico con la permanenza dei Cretesi e i loro tentatividi vendetta sarebbero la giustificazione fantasiosa di uno spostamento via mare, con pro-babile inserimento in territori abitati da genti della stessa razza: sarebbe esistito in praticain Sicilia già un gruppo etnico mediterraneo, simile a quello cretese-minoico, che facevaparte della koinè mediterranea e della cui origine si è persa memoria (del resto i Sicani siproclamavano autoctoni). Su questo nucleo primordiale si poterono impiantare in un se-condo momento altri gruppi di mediterraneo-cretesi come la leggenda lascia intendere:l’allontanamento di Minosse da Creta in Sicilia e la sua morte qui possono indicare la fine

Page 13: Colle Madore

11

della civiltà minoica e il trasferimento di quelle genti. Ciò è particolarmente possibile indue momenti:

a) alla fine del secondo periodo del medio minoico nel 1660 a.C., quando i palazzidei principi risultano distrutti contemporaneamente (la causa è ignota: forse un terremoto oun’invasione e la conseguente guerra con i Luvii dell’Asia Minore);

b) nel 1450 a.C. verso la fine del miceneo antico (1580-1400 a.C.) per la già men-zionata occupazione micenea.

I punti a) e b) sono cause e date plausibili di quegli spostamenti che la leggenda harielaborato come in un meccanismo onirico freudiano. Una prova di questa migrazione sa-rebbero i reperti minoico-micenei del XVI/XV-XIII sec. a.C. trovati in Sicilia orientale ecentro meridionale che comprovano degli approcci ad est dell’isola ed un suo passaggioverso l’interno, e nella zona compresa tra i bacini del Platani e del Salso. Tra il primo ed ilsecondo periodo dell’età del bronzo si registra un radicale ed improvviso cambiamento deitipi ceramici in Sicilia, nei nuovi modelli eoliani del Milazzese e isolani di Thapsos fraloro molto simili. La cultura di Thapsos non è ascrivibile ai siculi: questi provengono inun’epoca posteriore dalla cultura appenninica, mentre lo stile Thapsos-milazzese è perme-ato d’impronte egee ed è anteriore alla loro comparsa nell’isola. Inoltre le due culture nonpresentano affinità. Lo stile Milazzese prende il nome da un promontorio dell’isola di Pa-narea. I villaggi di questa facies culturale sono situati in alture, in luoghi difficilmente ac-cessibili, allo scopo di proteggersi dalle pressioni dei popoli dell’Italia peninsulare.All’interno di capanne circolari si potevano trovare dei grandi pithoi per l’acqua. E’ atte-stato l’uso di amuleti a forma di corno; i morti erano inumati rannicchiati in pithoi. Il Mi-lazzese termina nella metà del XIII sec. a.C. Lo stile Thapsos presenta tombe rupestri sca-vate nel calcare ed una ceramica nella quale si rinvengono echi minoici. Questo impiantodi idee ci pone nella condizione di postulare che esiste un sostrato egeo nella Sicania e chegli usi dei Sicani siano stati se non identici almeno quasi uguali a quelli dei Cretesi delceppo mediterraneo di cui facevano parte.

Dai mores minoici ai mores sicani

li uomini vestivano come tutti gli altri abitanti dei paesi caldi del Mediterraneo di al-lora. Le donne indossavano abiti che disegnavano le forme: avevano una gonna ade-

rente, con ricami e nastri svolazzanti, che si allargava a campana al di sotto dei fianchi,fino a coprire i piedi; e un corsetto che si alzava alle spalle e lasciava scoperti i seni. Uo-mini e donne potevano adornarsi con gioielli e portare un copricapo. Concepirono il divinoprima in maniera teriomorfa, infine antropomorfa. La loro religione nel medio e nel tardominoico era imperniata sull’idea della fertilità. Nel divino il femminile aveva il predomi-nio: la Gran Madre, generatrice e nutrice di ogni essere vivente, che era anche regina delcielo e degli inferi, precedeva il Minotauro, un altro simbolo di fecondità (la scure a duetagli – ά, meglio conosciuta come έgli era sacra, ed era rappresentato daltoro). Altro animale sacro era la colomba. Presso i Sicani la Gran Madre assumerà in e-poca storica dopo l’inizio della colonizzazione greca il nome di Demetra (che significaMadre Terra), divinità ctonia patrona della fertilità cui era cara la Sicilia, tanto da na-

G

Page 14: Colle Madore

12

scondere la propria figlia, la bella Persefone, tra le selve presso Enna. Qui fu rapita daAde che ne fece la sua sposa. Persefone (o Persefassa, successivamente Core, la vergine)divenne quindi anche regina dell’oltretomba, trasformandosi così in un’ipostasi della GranMadre dissociata dalla figura di Demetra. Il culto di Persefone era molto sentito in Sicilia.Un’altra divinità femminile che faceva parte del pantheon sicano è Ecate che risiedeva inuna spelonca vicino a Enna. Era considerata figlia di Demetra e a lei associata perché erauna divinità che presiedeva alla produttività della terra. Infine Afrodite di cui si è già det-to. I Cretesi, come del resto si può evincere anche per i Sicani, non avevano particolari e-difici per il culto che praticavano all’aperto. Senza templi mancavano le grandi statue deglidei, sostituite da piccole statuette. Il culto era celebrato da sacerdotesse (i sacerdoti compa-riranno con l’aumentare dell’importanza della divinità maschile). Processioni e giochi gin-nici erano collegati alle pratiche religiose. Vivevano in comunità in cui la donna aveva unruolo rilevante nella famiglia e nella società.

Page 15: Colle Madore

13

CAP. IIIl centro sicano di Colle Madore:il Tempio di Afrodite/Sepolcro di Minosse

n questo capitolo è sostenuta una tesi diversa da quella del dott. Stefano Vassallo, diri-gente archeologo della Soprintendenza BB. CC. di Palermo, che ha curato le campa-gne di scavi sul colle: secondo i miei risultati il Madore è l’area in cui si trovava il

Tempio di Afrodite/Sepolcro di Minosse. Diodoro Siculo, l’unico a parlare del ά diMinosse, afferma che i Sicani abitavano lo spazio compreso tra il Belice ed il Salso, cheEraclide e Plutarco dicono fosse navigabile per tutto il suo corso, il quale conduce da Mi-noa a Camico attraverso quella via del salgemma che dà nome all’Halikos (Platani). DaColle Madore (780 m ca s.l.m.), posto ad est di Lercara e ad ovest del Torto, a ridosso deicosiddetti Monti Sicani, si controlla l’area di raccordo fra i bacini del Torto da una parte(settentrione) e del Platani dall’altra (meri-dione): la regione dominata dal colle è unosnodo viario fra le vie che dal Mediterraneo3

e dal Tirreno4 vanno all’interno dell’isola5.Dal Kassar e dal Babbaluceddu si tiene d'oc-chio il corridoio displuviale che va dal Pla-tani al Torto. Il territorio orientale dei MontiSicani inquadrato tra le sorgenti del Torto edel S. Leonardo a settentrione, e del Sosio edel Platani a meridione è un luogo ricco disorgenti naturali d’acqua, e mostra una tipo-logia di terreni predisposti più al pascolo cheall’agricoltura, nonché una diffusa fascia bo-schiva. Nella zona compresa tra i comuni diLercara Friddi, Prizzi e Castronovo oltre ai già rinomati siti del Cassaro e della Mon-tagna dei Cavalli, sono state individuate tombe rupestri nelle località Filici, Grotticelle eS. Luca, dove si trova anche traccia di una fattoria ellenistico-romana. Il centro di Monta-

3 Lungo l’Halikos sono sorti i principali siti sicani: Heraclea Minoa, S. Angelo Muxaro,Rocca di Ferro, Serra del Palco, Sutera, Polizzello.4Lungo il Torto ed il S. Leonardo esistono delle trazzere che collegano dalla funtana d’iparrini Lercara con Palermo e Termini Imerese.5L’Itinerarium Antonini, una mappa stradale del periodo di Caracalla (211/217), indical’esistenza di una via che univa Palermo ad Agrigento lunga 126 km ca: nella parte com-presa tra Castronovo e Vicari si trovava una statio, probabilmente un villaggio punto dicollegamento durante il passaggio tra centri più grandi, non attualmente individuata, dalnome Petrina. Potrebbe essere localizzata nella regione di Colle Madore. L’Itinerariumdimostra in ogni caso il transito umano in questo settore centrale della viabilità isolana.

I

Page 16: Colle Madore

14

gna dei Cavalli (1007 m), rivelando la presenza di fortificazioni, dovette avere una funzio-ne strategica di controllo di questo tratto. Il centro del Cassaro (1031 m) possiede una cin-ta muraria, forse di epoca bizantina. Un altro sito compare a Cozzo Babbaluceddu. Tutti etre denunciano una cesura nella storia dell’insediamento umano tra la fine del VI e l’iniziodel V sec. a.C. Colle Madore ha pareti erte e impraticabili, che recano i segni dello sfrut-tamento minerario. L’abitato sicano si estende dalla cima fino a valle lungo la fiancata me-ridionale. Reperti ceramici venivano trovati sulla superficie del colle prima dell’inizio del-le campagne di scavi, che non hanno portato alla luce sistemi di difesa muraria a differen-za del Kassar e di Montagna dei Cavalli. La possibile esistenza di un villaggio in età prei-storica risulta da ritrovamenti di ceramica di stile Thapsos (che confermano le influenzeminoico-orientali) e Rodì-Vallelunga, e di matrici di fusione dell’XI sec. a.C. Il sito mo-stra diverse fasi abitative:

a) una I fase indigena (a partire dall’VIII sec. a.C.), associata alla presenza di mate-riale indigeno;

b) una II fase ellenizzante (dalla seconda metà del VI sec. a.C.), unita alla compar-sa di materiale importato;

c) una distruzione tra la fine del VI e i primi decenni del V sec. a.C., provata datracce di un incendio;

d) l’abbandono del sito alla fine del V sec. a.C.

Il Tempio di Afrodite e le due distruzioni del sito di Colle Madore

l ά di Minosse/tempio di Afrodite, di cui parla Diodoro Siculo, situato in un territo-rio di eremia e di importanza fondamentale per la politica agrigentina nei confronti di

Himera e dei Cartaginesi, non può che essere individuato nel centro di Colle Madore, te-nendo conto che questo colle è situato sull’asse Sabucina – Polizzello che segnava la lineadi confine del dominio acragantino nel VI sec. a.C., e che il Cassaro, il Babbaluceddu eMontagna dei Cavalli hanno una funzione difensiva: la zona sacra è quella del Madore edoccupa quel passaggio strategico che da Acragas porta ad Himera. Diodoro racconta che iCretesi seppellirono Minosse in un ipogeo, al di sopra del quale si trovava un tempio: que-sta descrizione concorda con la morfologia dell’area del sacello. Tutti questi centri, com-preso il nostro, inoltre rivelano una distruzione tra la fine del VI e l’inizio del V sec. a.C.che fu indubbiamente apportata da Terone di Agrigento durante l’espansione acragantinaverso il territorio imerese (483-482 a.C.).

«La parte centrale dell’Isola è solcata dalle due valli del Platani e del fiume Torto;dalle loro sorgenti divise dalle montagne di Castronovo e di Lercara, queste valli si dipar-tono l’una verso la costa meridionale di Agrigento, l’altra verso quella settentrionale diImera, segnando una spaccatura, immutabile via naturale di passaggio tra l’una e l’altracosta. Lungo questa via si insinua il disegno politico dello stato agrigentino, al seguitodell’influenza commerciale, denunziata da stazioni ellenizzate o che accolgono comunqueoggetti d’industria ellenica, quali Sutera, Casteltermini e Mussomeli. In servizio di questopiano di dominio una vera fortezza, quasi al punto di congiunzione delle due valli, è co-struita al cadere del VI sec. sull’altopiano prativo (m. 1000) di Kassar sopra la città di Ca-

I

Page 17: Colle Madore

15

stronovo, a dominare l’alto Platani e le comunicazioni verso Imera nel loro punto più deli-cato. (Biagio Pace, Arte e civiltà della Sicilia antica vol. I, Città di Castello 1958)»

Tale progetto di allargamento era già stato inaugurato da Falaride che divenne ti-ranno di Agrigento verso il 570 a.C. e lo rimase per un quindicennio, durante il quale con-quistò la città sicana di Uessa. Questa politica fu la risposta alla spinta dei Cartaginesi ver-so l’entroterra: i primi a subire le conseguenze della condotta agrigentina furono i Sicaniche si interponevano fra Acragas e la colonia ionica. Terone fu alleato (485 ca a.C.) di Ge-lone di Gela della famiglia dei Dinomenidi nella guerra di questi contro Terillo, tiranno diHimera. La sconfitta di Terillo diede a Terone il dominio sulla chora imerese ed il control-lo della zona centrale della Sicilia dal Mediterraneo al Tirreno. Agrigentini e Siracusaninel 480 a.C. sconfissero nella piana di Himera i Cartaginesi cui erano alleati Selinunte eTerillo. Alcuni decenni dopo nel 409/406 a.C. i Cartaginesi occuparono gran parte dellaSicilia: nel 409 conquistarono e distrussero Selinunte e Himera, e nel 406 conquistaronoAgrigento. In questo contesto di distruzione scomparve anche il sito di Colle Madore. Fudistrutto nella primavera del 409 a.C. dall’esercito cartaginese guidato da Annibale, fi-glio di Gescone, che marciava verso Himera dopo aver distrutto Selinunte. Ciò è dimo-strabile leggendo Diodoro Siculo su quegli eventi al libro XIII.

a) (Su Selinunte) «Mentre tutti gli altri popoli, per non commettere sacrilegio con-tro la divinità, concedevano la salvezza a chi si rifugiava nei luoghi sacri, i Cartaginesiall’opposto risparmiavano i nemici per poter saccheggiare i templi degli dei». (Su Himera)«Annibale fece saccheggiare i luoghi sacri e, strappatine via i supplici che vi erano rifugia-ti, li incendiò».

Corollario. I Greci non avrebbero mai distrutto un tempio, i soli che potevano de-vastare l’area sacra e l’insediamento del Madore erano i Cartaginesi: non ce n’erano altri.

b) Dopo aver distrutto Selinunte Annibale «levò il campo con tutta la forzad’attacco in direzione di Himera».

Corollario. Per andare da Selinunte ad Himera chi ha fretta, come l’aveva Anniba-le, deve passare per forza danoi (v. cartina a destra): risalirecosteggiando la parte orientaledel bacino del Belice per poiimmettersi in quello del Torto(lo dimostra anche l’odiernotracciato stradale). Ritengo cheAnnibale non perse l’occasioneper saccheggiare e distruggereil tempio sul Madore: chi altrise non lui in quella circostan-za poteva farlo?

Page 18: Colle Madore

16

L’etimologia, l’edicola ed il bacino per acqua lustrale

onsiderando che parte della toponomastica isolana è ilrisultato della traslitterazione dei nomi dal greco antico

al latino, posso pensare che il nome Madore derividall’aggettivo όumido, bagnato): il territorio attor-no al Madore potrebbe essere stato chiamato col nome diά ̃ o ώla regione delle acque, dei fiumi, checonnotavano il tratto di eremia come abbiamo visto nel primocapitolo. La bontà di questa interpretazione è dimostrata oltreche dalla particolare posizione geografica del colle sulla lineadispluviale che separa i bacini del Torto e del Platani, edall’esistenza di sorgenti e falde, anche dalla scoperta diun’edicola (ritrovata nel sacello) che rappresenta un uomoseduto sul bordo di una vasca (v. fig. 1 in alto). È stato inol-tre ritrovato un bacino per acqua lustrale (v. fig. 2 in basso), sempre nel sacello, a testimo-nianza di una liturgia imperniata sull’acqua, il che dà un irrobustimento al mio lavoro diricerca perché l’acqua è elemento presente ovunque nella nostra analisi: nella leggenda(nel rito di uccisione dello straniero), nel nome, nei reperti. Non dobbiamo poi dimenticareche nell’antichità santuari potevano sorgere in regioni di confine particolarmente rilevantiper l’una o l’altra potenza (in parole povere né l’una né l’altra se ne impadronivano, ma visorgeva un tempio a testimoniare la presenza di un territorio neutro): questa descrizionedel Tempio di Afrodite/Sepolcro di Minosse calza perfettamente alla nostra area sacra. IlVassallo sostiene un’etimologia araba (nàzir o nuzzàr o nuddàr, guardare) del nome Ma-dore, ma per far questo lo ridenomina Nadore. Qui si deve scegliere: o è Madore o è Nado-re. E dando per scontato che è Madore da secoli, l’etimologia non è araba per due motivi:non c’è niente di arabo lassù; e poi perché, se è presumibile che i viciniori centri sicanihanno nomi di etimologia greca (per es. Hippana=Montagna dei Cavalli), Madoredev’essere arabo, non avere una denominazione coeva al suo sito e mutarsi per giunta dinome? Il Vassallo lega, come vedremo anche dopo, maggiormente il nostro insediamentosicano ad Himera: afferma infatti che il personaggio dell’edicola sia Eracle il cui culto erapraticato nella città ionica e che il sacello sul Madore fosse a lui consacrato. Maquell’immagine sull’edicola non presenta nessun elemento che dia adito ad una identifica-zione con l’eroe beotico. Il personaggio dell’edicola non è Eracle perché:

1) l’immagine non reca i suoi tipici segni distinti-vi (pelle leonina e clava);

2) Eracle fu nella mitologia avversario di eroi si-cani, passando attraverso la Sicilia durante la decima fa-tica, ed è quindi difficile credere che questi abbiano adot-tato il culto di una divinità nemica, tenendo poi ancheconto che nel divino per i Sicani il femminile aveva ilpredominio.

Diodoro infatti dice nel libro IV:a) dopo la scomparsa di Eracle «gli resero onori

C

Page 19: Colle Madore

17

funebri come ad un eroe. […] Menezio, figliodi Attore, che era amico di Eracle, sacrificò uncapro, un toro e un ariete come ad un eroe, eordinò di fare sacrifici ogni anno ad Opunte, edi onorare Eracle come un eroe. La stessa cosafecero i Tebani; e gli Ateniesi prima degli altrionorarono Eracle come un dio con sacrifici, e,mostrando la propria pietà verso il dio come unesempio agli altri uomini, spinsero prima tutti iGreci, poi anche tutti gli uomini della terra abi-tata, ad onorare Eracle come un dio. […] Dico-no che Eracle, annoverato da Zeus fra i dodicidei, non accettasse questo onore: era impossibi-le che egli venisse annoverato fra di essi primache uno dei dodici dei fosse espulso e sarebbestato fuori luogo accettare un onore che recavadisonore ad un altro dio»6.

b) «Egli poi con i buoi passò attraverso l’interno e poiché i Sicani indigeni gli siopponevano con grandi armate, li vinse in una celebre battaglia, ne uccise molti, fra i qua-li, come raccontano alcuni nei miti, erano celebri strateghi che tutt’oggi ricevono onori daeroi: Leucaspi e Pediacrate e Bufonas e Glicatas, e ancora Biteas e Critidas».

3) le funzioni della figura di Eracle, come divinità, non si addicono all’area sacraed all’insediamento del Madore.

Le religioni di matrice indoeuropea presentano una tripartizione delle funzioni del-le divinità secondo lo schema che segue, nella forma comune a tutte e nei contenuti ri-guardante la Grecia antica per continuare la nostra analisi.

I funzione II funzione III funzionesovranitàe giustizia

attivitàguerriera

produzioneed economia

ZeusApollo

AresEracle

Castore e PolluceDemetra e Core

Poco sotto il cocuzzolo di Colle Madore è stato portato alla luce un sacello conambienti circostanti destinati alla lavorazione del metallo, alla produzione, e alla conser-vazione di enormi pithoi (v. fig. 3 in alto). Il sacello era unito ad un ricco deposito votivo.È lampante come un culto di Eracle, un eroe-dio di seconda funzione, sia anche in con-traddizione con queste caratteristiche della nostra area archeologica. Mentre è sensato as-sociarvi una divinità femminile di terza funzione quale l’Afrodite del Sepolcro di Minosseche rappresenta i medesimi caratteri della fecondità e della produzione di Demetra. Il culto

6 I dodici dei dell’Olimpo erano: Zeus, Era, Poseidone, Demetra, Estia, Atena, Ares, Apol-lo, Artemide, Afrodite, Efesto, Ermes. Ade non era divinità olimpica poiché diodell’oltretomba.

Page 20: Colle Madore

18

della fertilità legato ad Afrodite erafrequentemente connesso con ilmotivo del toro, che compare inuna delle lamine ritrovate sul colle(v. fig. 4 accanto). In più, oltre alritrovamento di quello che sembre-rebbe uno spiedo (oggi al localemuseo civico), sul Madore si svolgeva un tipo di riti sacrificali denominato thysía, riserva-to agli dei dell’Olimpo (cui Afrodite appartiene), in cui la parte delle carni – di animale amanto chiaro – veniva consumata dai partecipanti alla cerimonia ed il resto (grasso, ossa)bruciato in olocausto agli dei7. Alla thysía si contrapponeva l’enágisma, riservato al cultodei morti, delle divinità infernali ed agli eroi (categoria cui invece appartiene Eracle):l’animale, qui a manto scuro, veniva interamente bruciato. Parlare infine delle acque sulfu-ree non credo a questo punto serva a molto per sostenere l’esistenza sul Madore di un cul-to ad Eracle.

Le lamine e la liturgia del tempio

l Vassallo sostiene riguardo alle lamine che «si tratta probabilmente di elementi decora-tivi di corazze, forse di cuoio, a cui le placche metalliche venivano applicate sul profilo

inferiore. Ma non è da escludere un impiego come pettorali, sempre di corazze, o decora-zioni di altri elementi dell’armatura»8. Ne prende in esame principalmente le due con rap-presentazione antropomorfa, trascurando quella con protomi taurine che con i suoi signi-ficati, proiettandoci verso Agrigento, è contestuale al Tempio di Afrodite/Sepolcro diMinosse. Le affermazioni del Vassallo non lasciano molto soddisfatti. Secondo la mia tesiqueste lamine hanno un valore religioso (per il Vassallo i volti hanno «un significato ma-gico ed apotropaico»9) come dimo-strano le protomi taurine visibili inuna che ricordano il tema del toro(Minotauro) collegato alla fertilità, ela somiglianza nei tratti di un’altra condecorazione antropomorfa (v. fig. 5accanto) a quella di Terravecchia diCuti (v. fig. 6 pag. successiva in alto),che si ritiene rappresenti una figurafemminile. Questa lamina avendo un

7 V. Studio archeozoologico dei resti faunistici rinvenuti a Colle Madore, Maurizio Di Ro-sa, in Colle Madore/Un caso di ellenizzazione in terra sicana, a cura di S. Vassallo, Pa-lermo 1999, pagg. 255-266.8 V. kalòs - anno XI n. 3 maggio/giugno 1999, Colle Madore, un nuovo sito nella Sicania,Stefano Vassallo, pag.32.9 Ibidem.

I

Page 21: Colle Madore

19

soggetto femminile non può che essereconnessa con la divinità femminile(Gran Madre o Demetra, o con lastessa Afrodite). Le lamine risultanoquindi essere probabilmente degli exvoto come cercherò di spiegare meglioanalizzando un brano del III librodell’Odissea di Omero. Il brano inquestione (che riporto nella traduzione di Enzio Cetrangolo da un’edizione FABBRI del2000) è quello del sacrificio celebrato da Nestore in onore di Atena. Dal brano ricaviamoutili informazioni:

a) il rito è una thysía: Atena è divinità di terza funzione con un piede nella secon-da, femminile ed olimpica, la vittima sacrificale è a manto chiaro;

b) Laerce lavora l’oro trasformandolo in lamine per ornare l’animale da sacrifica-re;

c) Areto porta acqua lustrale in un lebète (bacino);d) compare la scure sacrificale sacra al Minotauro (έ, v. 442 e 449 del te-

sto greco);e) compaiono gli spiedi.

(v. immagine in copertina)

“E come nel cielo Aurora rifulseche rosee ha le dita, il gerenio guerrieroNestore sorse dal letto, e uscito di fuorisedé sopra uno dei lisci troni marmorei,grandi davanti alle altissime porte.Ivi soleva un tempo Neleo sederesimile a un dio nel consiglio; ma già dallamortedomato, egli era sceso alle case dell'Ade,e Nestore or vi sedeva, gerenio guerriero,degli Achei protettore e lo scettro teneva.Intorno gli stavano i figli, che uscitieran dai talami, Echefrone e Stratioe Perseo ed Areto e simile a un dioTrasimede; sesto poi venne Pisistrato forte:conducevano seco Telemaco e al fianco delpadrelo fecer sedere. Nestore allora, gerenio guer-riero,cominciò in questo modo a parlare:«Compite, o cari figliuoli, la mia volontàsenza indugio: così ch'io mi renda propizia

primamente fra i numi Pallade Atenache a me si svelò nel banchetto divino.Si rechi nei campi a cercar la giovencauno fra voi, e qui la sospinga il bifolco;vada un altro alla nave del prode Telemacoe tutti i compagni a me guidi; ne lascia guardare la nave due solamente; poi chia-miun terzo Laerce l'orefice; venga egli quie indori le corna alla bianca giovenca.Gli altri rimangano; si dica alle ancelleche la mensa preparino e i seggie legna per ardere ed acqua lucente».Così aveva detto; e tutti si diedero attornoaffrettandosi; venne la bianca giovencadai campi; vennero poi dalla navei compagni del prode Telemaco; e vennegli arnesi dell'arte recando l'orefice,martello ed incudine e tenaglie ben fatte:strumenti per battere l'oro e foggiarlo; evennepartecipe al rito Atena invisibile.

Page 22: Colle Madore

20

Nestore, il vecchio guerriero, diede il metal-lo;e Laerce, dopo averlo battuto, ne cinsele corna alla bianca giovenca, così che ladeagioisse del dono fulgente guardando; la por-tanoper le corna all'altare Stratio ed Echefrone;acqua lustrale in un lebete, ornato a sbalzodi fiori,con una mano Arete recava lasciando lestanzee con l'altra un canestro ricolmo di orzo;stringeva una scure tagliente Trasimedein pugno, già pronto a colpire la vittima.Perseo il vaso reggeva a raccogliere il san-gue.Nestore, il vecchio guerriero, iniziò il sacri-ficio;si terse le mani, l'orzo cosparse, e fervidoAtena pregando, gettò nella fiammacricchiante i peli tagliati del capo.Poi ch'ebbe pregato e gettato l'orzo nel fuo-co,Trasimede, intrepido figlio di Nestore,inferse subito il colpo. La scurei nervi recise del collo, disciolsealla bianca giovenca la forza. Un ululolevarono acuto le figlie, le nuore e la sposa

casta di Nestore Euridice, figlia maggioredi Climeno. Poi, sollevata dal suolotennero ferma la bianca giovencacon in alto la testa, e Pisistratola forò nella gola. Fluiva nerastroil sangue; dall'ossa usciva la vita; tagliaronoin pezzi le cosce, come il rito comanda,in duplice strato di grasso le avvolseroe sopra vi misero crudi brani di carne;il vecchio le arse su legna spaccateil fulgido vino spruzzando sul fuoco; dattor-nogli stavano i giovani, in mano spiedi dentati.Arse che furon le cosce, gustate le viscere,divisero in parti più piccole il resto,negli spiedi poi lo ficcarono, e in manotenendo gli spiedi appuntitigiravano lenta la carne sul fuoco.Di Nestore intanto la figlia più giovane,la bella Policasta, lavava Telemaco;lavato che l'ebbe e cosparso di lucido olio,di un bel manto l'avvolse e di tunica lunga;e fuori dal bagno il giovane uscì:tanto era bello che un dio somigliava nelcorpo;sedé al fianco di Nestore, pastore di genti.Tolte che furon le carni poi dagli spieditutti sedettero a mensa; esperti coppieriattendevano a mescere vino in aurei crateri.”

Colleghiamo quanto detto con tutto quello che è stato scritto, ne ricaviamo un’ideadi quella che poteva essere la liturgia del tempio sul Madore. Un’ultima riflessione vacondotta sulle lamine, il cui concetto compare nel brano: è il concetto di qualcosa che siaggiunge al dono in olocausto, quindi di un oggetto che presentandosi in teoria da solosembrerebbe essere un dono, un ex voto. Non si vuole negare a priori che le nostre laminefossero portate addosso da qualcuno, ma da un punto di vista pratico risulta difficile pensa-re ad esse come elementi d’abbigliamento a causa della loro forma che giace su un pianonon convesso.

Influenza imerese o acragantina?

assiamo ad esaminare la questione dell’influenza imerese sul nostro insediamento dalpunto di vista di altri reperti che non quello dell’edicola già trattato. Parte del materia-P

Page 23: Colle Madore

21

le recuperato, grazie alla dona-zione e durante le due campa-gne di scavi del ’95 e del ’98),rivela un’ascendenza egeo-minoica (che ci proietta con isuoi significati verso il versanteagrigentino): a) nel modellinofittile di capanna circolare (VIIsec. a.C.); b) in un cratere dalle forme orientali; c) tramite la presenza di protomi taurinein una delle sette lamine bronzee decorate a sbalzo (VII sec. a.C.), di cui due con decora-zione antropomorfa; d) nei resti di edifici a pianta circolare (VIII sec. a.C.); e) nei repertidi stile Thapsos, f) la dott.ssa V. Tardo ha dichiarato riguardo alla ceramica indigena cheesistono frammenti con «protomi taurine»10 (e che su un peso da telaio, che potrebbe esse-re un ex voto, «è stato forse inciso un pesce»11: potrebbe essere un delfino – mammiferoacquatico – sacro ad Afrodite?). Il Vassallo afferma che il ritrovamento di «frammenti diantefisse con decorazioni a palmetta pendula di tipo campano, ampiamente diffuse ad Hi-mera, dove sono state rinvenute nel temenos di Athena e nell’abitato, e da cui venneroprobabilmente importate», con gli altri ritrovamenti di oggetti che ritiene importati pure daHimera12, «costituiscano un buon riscontro della presenza imerese sul Madore». Vediamoanaliticamente nel dettaglio:

a) le antefisse (v. fig. 7 in alto) sono uguali a quelle provenienti da un temenos diuna divinità femminile di terza funzione secondo lo schema dei sistemi religiosi indoeu-ropei, e starebbero tranquillamente bene nel Tempio di Afrodite rafforzando ulterior-mente la mia tesi; inoltre, per questa ristretta tipologia, centro d’introduzione in Italia fula Campania per tutta la fascia tirrenica costiera meridionale: che provenissero da Hime-ra non è un caso di particolare circoscrizione poiché il percorso commerciale sembrascontato e non legato ad una tipicità imerese;

b) la sola presenza di anfore e coppe provenienti da Himera non ci dice diretta-mente molto: la marca dell’ellenizzazione del centro sicano di Colle Madore deve esse-re ricercata in quei reperti che sono testimonianza di una cultura, di un pensare, diun credere. Chiunque avrebbe comprato ed usato le anfore provenienti da Himera se bel-le e convenienti, tuttavia avrebbe continuato a vivere un ethos che presenta diversi ag-ganci con il versante di Akragas (ad esempio: i Giapponesi stanno imparando ad usare leposate occidentali, ma non per questo hanno smesso di essere scintoisti).

Viste tutte le nostre considerazioni e la tesi generale posso concludere che l’unicainfluenza proveniente da Himera riguardava solamente i prodotti commerciali.

10 Il sito archeologico di Colle Madore, a cura di V. Tardo, Lercara Friddi 2000, pag.17.11 Op. cit. pagg. 24-25.12 Sono stati ritrovati: “due frammenti di cosiddetti bacini mortai, decorati sulle anse arocchetto con maschera di Gorgone”; “frammenti di coppe tardo arcaiche del tipo cosid-detto Iato k480”; “anfore commerciali” la cui “varietà di importazioni […] trova riscon-tro solo ad Himera”. V. Il territorio di Himera in età arcaica (estratto di KOKALOS, XLII1996), S. Vassallo, pagg. 210-211.

Page 24: Colle Madore

22

Da Eracle a Minosse?

itengo che la ricostruzione della parte mancante dellafigura dell’edicola (v. fig. 8 accanto in alto) proposta

dal Vassallo non sia corretta. Ci sono cose che non con-vincono. Ho simulato quell’atto che lui definisce di attin-gimento ad una fonte. Questi sono i risultati. L’uomo nudoè seduto sul bordo della vasca con il piede sinistro suun’anfora ed il destro poggiato a terra, il braccio destro a)proteso in avanti con il palmo della mano aderente ad unasuperficie frontale o b) alzato a mo’ di segnale (saluto oaltro), infatti la mano sembra fuoriuscire da quello spazioa sfondo rettangolare in cui è inquadrata la testa. Doman-da: che cosa fa il braccio sinistro?

Molto difficilmente potrebbe tenere un’anfora perriempirla. Se fossi stato al suo posto avrei usato il bracciodestro, riempiendo l’anfora dalla sorgente che compare asinistra (chi ha scolpito l’edicola sapeva che di norma lagente non è mancina), poi il piede sinistro alzato e postosull’anfora a terra pregiudica l’equilibrio: quell’uomo do-vrebbe cadere dentro la vasca. Il braccio sinistro non puòessere slanciato in avanti, in quelle condizioni la mano si-nistra dev’essere a) sulla coscia corrispondente o b) sullaparete di sfondo al fine di tenere l’equilibrio (v. nuova miaricostruzione fig. 9 accanto). Nell’idealità dell’immaginescolpita una sorgente d’acqua a destra servirebbe solo per imancini, cosa che mi sento di escludere (a meno che unanon sia per l’acqua fredda ed una per l’acqua calda). Es-sendo nudo quell’uomo sta forse entrando nella vasca. Equesto ricorda molto l’episodio della morte di Minossepresso Cocalo.

Pindaro e il Madore: un connubio possibile

ei miei studi sul Madore sono pervenuto ad una convinzione così profonda e razio-nale (tanto da definire lo sviluppo della mia tesi, che pone il Tempio di Afrodi-

te/Sepolcro di Minosse sul nostro colle, una archeologia more geometrico demonstrata)che ormai non ho molta difficoltà ad ipotizzare aspetti che vanno al di là del dato stretta-mente archeologico, trovando al contempo una motivazione fondante che pone le sue radi-ci nel complesso dei risultati delle mie ricerche, un complesso che per la sua intima coe-renza ed organicità, finora non smentito da alcunché, consentitemi di definire sistema. Di-cendo ciò non voglio prestare il fianco ad eventuali critiche: il mio metodo non è mai statodi ricostruzione fantasiosa e scriteriata, in altre parole è accaduto qualcosa di simile al pas-

R

N

Page 25: Colle Madore

23

saggio dai presocratici a Platone. I fisiologi ricercavano una causa meramente fisica, Pla-tone ha scoperto una causa soprasensibile: fuor di metafora, la ricerca non può essere soloarcheologica, come era solo fisica quella dei presocratici, occorre l’ausilio di tutte quelleforme di ricerca che sostengono l’analisi storica, così Platone per spiegare la realtà fisica siavvalse della metafisica scoprendo una dimensione di cause intelligibili. Non si può spie-gare un oggetto solo analizzando il suo aspetto materiale, dobbiamo anche capire e pene-trare nella cultura che lo ha prodotto e lo ha usato. L’oggetto ed il suo uso sono l’ultimatappa di un processo di natura spirituale, solo da quello non sapremo mai chi lo ha usato eperché: l’analisi storica è superiore a quella archeologica perché si pone l’obiettivo di rin-tracciare questo spirituale che connota l’uomo protagonista degli eventi: è l’ethos a spiega-re le cose, non viceversa. Da questo punto di vista il dott. Vassallo come archeologo, pe-raltro dottissimo e preparatissimo, ha legittimamente usato un metodo di analisi materialesui ritrovamenti provenienti ed inerenti al Madore. Dal mio canto sono voluto andare “ol-tre”, utilizzando la metafora platonica diciamo che ho fatto anch’io nella nostra ricerca “u-na seconda navigazione”, cioè un’analisi che pone cause metasensibili: se non cerchiamodi capire il “perché” delle cose in maniera razionale, il “che cosa è” ci farà rimanere anco-rati ad un livello di conoscenza molto arido che non ci consentirà la possibilità di unosguardo sinottico (per questo ho chiamato il complesso delle mie spiegazioni sistema).Dopo questa premessa di carattere metodologico (è anche giusto far comprendere comesono giunto formalmente – secondo quale criterio – alle mie affermazioni: la mia formamentis è spiritualista, non materialista) posso esporre questo argomento nella logica delmio sistema. Non escludo, come chiarirò, che il poeta Pindaro abbia avuto a che fare conil Colle Madore sede del Tempio di Afrodite/Sepolcro di Minosse. Di ciò non c’è prova: èverosimile crederlo. Innanzitutto alcune notizie biografiche su Pindaro.

«Nacque a Cinocefale presso Tebe, molto probabilmente nel 518. Apparteneva allanobilissima famiglia dorica degli Egidi, originaria di Sparta; e fu per tutta la sua vita inter-prete fedele del mondo spirituale dell’aristocrazia. […]Nel 490, l’anno della battaglia diMaratona, Pindaro era già un poeta famoso: […]era già in relazione con Senocrito, fratellodi Terone di Agrigento, di cui celebrava la vittoria a Delfo (Pitica VI). […]Nel 476 si recòa Siracusa alla corte di Ierone […]. Nello stesso anno scrisse per Terone di Agrigento pri-ma l’Olimpica III, poi l’Olimpica II: nella prima, lieta e serena, celebra la vittoria di Tero-ne con la quadriga […]; nella seconda, adombrata di mestizia, consola la vecchiezza deltiranno […]. Certamente il poeta fu anche ad Agrigento, alla corte di Terone. Ma in Siciliarimase poco, soltanto uno o due anni: era uno spirito troppo fiero ed altero per vivere nellecorti. […]Dopo il 446 non troviamo più nessuna notizia del poeta»13.

Già da questo possiamo credere che Pindaro non si sia disinteressato delle vicendeche portarono alla purificazione del sepolcro di Minosse ed alla pseudo-vendetta dellasua morte in Sicilia ad opera di Cocalo: è stato a contatto diretto con Terone, discendenteda una famiglia dorica, protagonista di quegli eventi nel 483/482 a.C., per poter pensareche li abbia ignorati e non abbia voluto vedere questo celebre tempio/sepolcro trovando-visi molto vicino. Posso quindi non escludere e pensare come plausibile una visita di

13 DISEGNO STORICO DELLA LETTERATURA GRECA, G. Perrotta, Milano 1967,pagg. 92-94.

Page 26: Colle Madore

24

Pindaro al Tempio di Afrodite/Sepolcro di Minosse nel 476/475 a.C. Due altre cose misuggestionano: la datazione di un’arula (v. particolare fig. 10 sotto) rinvenuta sul Madore(seconda metà VI-inizi V sec. a.C.), che ha come soggetto una “corsa di quadriga” (ilsoggetto è ripetuto lungo la superficie) ed il ritrovamento di una analoga nei pressi di Ge-la, città di provenienza della famiglia di Terone, gli Emmenidi. Quest’immagine vuoleforse celebrare la vittoria di Terone cantata da Pindaro?

Page 27: Colle Madore

25

CAP. IIIIII stagione di ricerche archeologiche:arriva Minosse

«O tu che vieni al doloroso ospizio»,disse Minòs a me quando mi vide,lasciando l’atto di cotanto offizio,«guarda com’entri e di cui tu ti fide;non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!».E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?Non impedir lo suo fatale andare:vuolsi così colà dove si puoteciò che si vuole, e più non dimandare».

Inferno V,16-24

ritrovamenti di parti di statuette di Demetra nella campagna di scavi di marzo-giugno2004 sono un evento estremamente significativo che avevo intuito già dal 2001nell’ottica dei miei studi, evento che ne conferma la certa ed inconfutabile validità

scientifica con le ulteriori analisi che ora esporrò. Nessuno all’infuori di me aveva legatoin maniera specifica Demetra al sito di Colle Madore ed alla sua area sacra. Tenendo il let-tore sempre presente il mio saggio ne richiamo due passi. 1) «[…]L’Afrodite del Sepolcrodi Minosse […] rappresenta i medesimi caratteri della fecondità e della produttività diDemetra». 2) (parlando di una lamina con ragionamenti precedenti concludevo) «Questalamina avendo un soggetto femminile non può che essere connessa con la divinità femmi-nile (Gran Madre o Demetra, o con la stessa Afrodite)». Questa possibilità che si è attuatami consente di dire da vichiano che il vero è stato accertato. Questi rinvenimenti – testi-monianza di un culto a Demetra – sono forieri di importanti illuminazioni che ci aprono leporte alla comprensione di altri nostri reperti. Non esiste innanzitutto nel Tempio di Afro-dite/Sepolcro di Minosse contraddizione tra Afrodite e Demetra perché come già detto«[…]l’Afrodite del Sepolcro di Minosse […] rappresenta i medesimi caratteri della fecon-dità e della produttività di Demetra»; vi è una interscambiabilità (non so se diacronica osincronica) tra le due divinità in questo caso con gli stessi attributi. L’immagine della ge-stazione e dell’allevamento dei figli da parte della donna veniva paragonata a quella dellanatura ctonia nelle sue fasi di produzione e di sostentamento. Questo avvicinamento con-cettuale creò per i Greci una ambiguità d’identificazione dalla divinità indigena originariale cui caratteristiche si prestavano per una assimilazione in tal senso (si vedano per esem-pio le forme devozionali analoghe di Afrodite a Nasso e di Demetra a Siracusa). Menzionoun altro brano del mio saggio. «Dal brano diodoreo emerge che prima della fondazione diAgrigento il luogo del ά fosse per i Sicani solamente un tempio di Afrodite». È possi-

I

Page 28: Colle Madore

26

bile che dopo la purificazione del Sepolcro di Minosse daparte di Terone di Agrigento nel 483/482 a.C. Afroditefosse stata rimpiazzata, venendo a mancare il motivo delά, dalla dea ufficialmente preposta dalla religionegreca alla produttività, vale a dire Demetra; ma non misento di escludere un’eventuale coabitazione (anche inrapporto di alternanza esclusiva) sino alla definitiva di-struzione dell’insediamento del Madore nella primaveradel 409 a.C. per mano dei Cartaginesi. Proseguendo nellamia disamina possiamo notare che del corredo liturgico diDemetra (e di eventuali divinità femminili, come la nostra Afrodite, preposte alla fecondi-tà), nei riti religiosi per l’incentivazione della produttività, fanno parte kernoi (vasi multi-pli), lucerne e torce. Dalla nostra area archeologica provengono 25 frammenti di lucerne, e2 kernoi (v. fig. 11 in alto) trovati nella zona del tempietto. Queste non sono semplicicoincidenze. Passiamo ora ad una fondamentale e definitiva argomentazione integrativa diquanto ho già detto (e che qui non ripeto) confutando l’identificazione di Eracle col perso-naggio dell’edicola. Ormai non ho dubbi che quella figura rappresenti Minosse. Alla lucedel ritrovamento di quello che resta di statuette di Demetra, e della religiosità connessa,questo brano che seguirà calza alla perfezione al nostro reperto. Leggendo non dobbiamotrascurare queste notazioni di collegamento all’impianto di analisi: 1) le vicende di Deme-tra e della figlia Persefone rievocano nella forma del mito il ciclo naturale di morte e dirinascita delle stagioni (c’è analogia con quanto sotto detto); 2) nella raffigurazione dellanostra edicola c’è una vasca, e la nostra area sacra con gli ambienti circostanti, secondo lamia tesi, è il Tempio di Afrodite/Sepolcro di Minosse (altra analogia sotto esaminata quelladel rapporto figurativo-concettuale vasca/sarcofago); 3) l’immagine dell’edicola, comemeglio si leggerà, ha una doppia dimensione comunicativa: una mitologico-religiosa (cheè quella a noi più evidente) ed una politica. Il brano è riportato senza note.

MYTHOΣ – rivista di storia delle religioni n. 1 – 1989DEDALO, MINOSSE E COCALO IN SICILIARoberto Sammartano

«[…] I Rodio-Cretesi, che si vantavano di discendere direttamente tanto da Dedaloquanto da Minosse, potevano sfruttare questo motivo mitico come veicolo paradigmaticoche giustificasse la loro presenza politico-militare nell’isola come naturale conseguenzadella loro antica presenza civilizzatrice. Riconosciamo, certamente, che a questo puntoverrà spontaneo obiettare che nel racconto tale mitica presenza cretese in Sicilia sembrascadere in un fallimento, dal momento che Minosse muore durante l’impresa di ricongiun-gimento a Dedalo. Ma ciò, ad un’approfondita analisi, non destituisce affatto valore allepotenzialità propagandistiche dell’intero episodio. Riteniamo, anzi, che esse, in ultima i-stanza, risiedano essenzialmente proprio nel motivo della morte di Minosse in Sicilia, no-do centrale di tutte queste vicende, che è investito di un significato ben preciso dal partico-lare delle modalità secondo cui tale morte sarebbe avvenuta. Apprendiamo da diversi auto-ri, anche se di epoca tarda, che egli fu ucciso a tradimento, per mezzo di acqua bollenteversatagli sopra mentre faceva il bagno, quando, ospite nella reggia di Cocalo, attendeva

Page 29: Colle Madore

27

che gli fosse riconsegnato Dedalo. Questo della morte nella vasca da bagno, com’è statodimostrato dal Lavagnini, è un motivo cultuale ricorrente in altri miti altrettanto noti delmondo greco, addirittura di lontana ascendenza preellenica: la vasca da bagno sarebbe laraffigurazione mitica del sarcofago. Ma anche il motivo dell’acqua bollente quale strumen-to di morte ha un suo preciso significato cultuale. Sappiamo che nella mitologia, in genere,l’acqua è l’elemento che ha, per eccellenza, proprietà purificatrici e rigeneratrici:l’immersione nell’acqua e la susseguente riemersione equivalgono alla morte e alla rina-scita. In più, nel nostro caso, l’acqua è bollente, quindi alla simbologia dell’acqua si ag-giunge quella del fuoco, altro elemento che ha notoriamente proprietà catartiche e rinnova-trici. La Seppilli ha accostato, infatti, questo della morte di Minosse ad una serie di motivimitici isotopi, relativi allo smembramento e immersione di corpi in una caldaia o lebetepieni d’acqua bollente. Essi rispondono ad una forma intensificata, per esigenze di rappre-sentabilità, del complesso mitico-rituale del tuffo o immersione nell’acqua, cioè viaggioiniziatico agli inferi e ritorno. In seguito all’immersione nella caldaia, morte temporanea,avviene un, ringiovanimento, una rinascita, o, in ogni caso, un cambiamento di status. Atal proposito, ci sembra indicativa la scelta di qualche termine specifico, da parte di alcuniautori, per parlare della morte di Minosse. Apollodoro, adopera, ad esempio, il verboά che vuol dire soprattutto, com’è noto, cambiare, mutare condizione, ed inCallimaco il termine bagno è reso con ά, che significa anche acqua lustrale, lavacroper i morti. […] Da quanto detto risulta evidente, comunque, che questo motivo miticodoveva avere in origine lo specifico valore sacrale di un rito di rinascita. E il suo ambien-tamento in una zona ben precisa della Sicilia lascia sospettare che la forma religiosa concui era rappresentato servisse a caricarlo di una particolare valenza simbolica. Consideran-do Minosse, come abbiamo fatto, il simbolo della presenza cretese nella Sikania in età mi-noico-micenea, quale inevitabile conseguenza politico-militare della presenza civilizzatri-ce dedalica, la sua morte può essere interpretata come la rappresentazione in chiave miticadell'arresto che, nella coscienza dei Greci, questa presenza dovette subire ad un certo mo-mento, visto che, assai probabilmente, non si aveva la benché minima attestazione di con-tinuità di rapporti tra il mondo egeo e la Sicilia durante i cosiddetti secoli bui. Tale lacunaveniva in un certo senso colmata grazie all'espediente della morte rituale di Minosse, poi-ché essa, vista in ottica mitico-religiosa, non era altro che una morte temporanea, la primaparte di un processo rigenerativo, il cui compimento veniva ora affidato alla nuova presen-za coloniale cretese. Si può pertanto avanzare l'ipotesi che il particolare della morte del recretese in Sicania, avvenuta secondo tali specifiche modalità, fosse frutto della propagandapolitica dei primi colonizzatori rodio-cretesi, tendente a dimostrare che la rinascita di Mi-nosse si fosse concretizzata in loro che erano i legittimi eredi del re cretese, e quindi inuovi Minosse. Egli, morendo nella Sikania, rimaneva in tal modo sacralmente legato aquesta terra; così, rispetto alla sua azione, avvenuta in illo tempore, la nuova presenza cre-tese doveva essere considerata ad un tempo opera riparatrice e rigeneratrice.»

Per concludere voglio evidenziare un’affermazione del valentissimo dott. S. Vas-sallo sull’edicola, che mi pare contraddittoria, tratta da SICANI ELIMI E GRECI – Storiedi contatti e terre di frontiera (a cura di Francesca Spatafora e Stefano Vassallo), Paler-mo 2002, pag. 112.

Page 30: Colle Madore

28

«L’iconografia rende possibile l’identificazione con Eracle (anche se nel caso dellanostra edicola l’eroe sarebbe privo dei tradizionali attributi: clava, arco, leonté.»

Se una sostanza è priva di determinati accidenti non è quella che è se li avesse. Inparole povere la figura dell’edicola in quanto antropomorfa non può essere necessariamen-te Eracle per il discorso delle acque sulfuree (motivazione a mio modesto avviso moltoinsufficiente): non dobbiamo dimenticare che il culto per Demetra e Core era anche con-nesso con le sorgenti d’acqua. Eracle dunque non è, e non può essere che sia. Mentre èMinosse sulla base delle mie ricerche che rimangono sempre organiche e coerenti (un si-stema). Per il Madore sono certificati (v. Studio archeozoologico dei resti faunistici rinve-nuti a Colle Madore, Maurizio Di Rosa, in Colle Madore/Un caso di ellenizzazione in ter-ra sicana, a cura di S. Vassallo, Palermo 1999, pagg. 255-266): la thysía (forma liturgicaincompatibile con Eracle e compatibile con Demetra/Afrodite del sepolcro di Minosse), iresti di un maiale/scrofa e di vari bovini (la scrofa e la vacca erano vittime sacrificali perDemetra).

Un richiamo ad Astarte e la presenza della svastica

ra le varie significative testimonianze provenienti daireperti archeologici di Colle Madore vi è una iscrizione

incisa in lingua punica14, prodotta sopra un’anfora, la qualenell’orizzonte del mio sistema d’analisi (che nella nostrazona archeologica individua scientificamente il Tempio diAfrodite/Sepolcro di Minosse) trova una spiegazione dellasua presenza. Questa incisione è stata datata tra la fine delVI e l’inizio del V sec. a. C. Si tratta di un nome proprio di genere maschile così tradotto:cliente-della-leonessa. La leonessa dovrebbe essere Astarte (divinità punica che farebberichiamo alla spiritualità fenicio-orientale). L’elemento fondamentale di mediazione percomprendere è il culto di Afrodite nell’elima Erice, un culto con ascendenze egeo-minoiche che è d’origine indigeno-sicana: secondo il mito fondato da un figlio di questadea – l’eponimo Erice – avuto con un Sicano – l’eroe Butas – poi ucciso da Eracle.L’Afrodite Ericina è analoga all’Afrodite del Sepolcro di Minosse. Quindi se ad Erice nellaprimordiale dea indigena un osservatore greco vi vedeva Afrodite ed uno cartaginese A-starte, niente di strano che un Cartaginese vedesse Astarte nell’Afrodite del Sepolcro diMinosse, ossia in quella che a ragion veduta possiamo definire Afrodite Madorina. Mentrela venerazione di Eracle non ha completamente nessun riscontro sul Madore, ed anzi af-fermarla è contraddittorio verso quanto è emerso da tutti gli scavi archeologici – che è undato di fatto inoppugnabile – e dai miei studi – che nessuno ha mai confutato –, quella diAfrodite vi trova, oltre a ciò che da me è già stato scritto in forma deduttiva, testimonianzedirette: 1) ad Afrodite è legata, nella cultura indigena, la rappresentazione della svastica; cen’è una sul fondo di un frammento di ceramica locale rinvenuto sul Madore esposto nella

14 V. Un graffito punico da Colle Madore, Rossana De Simone, in Colle Madore/Un casodi ellenizzazione in terra sicana, a cura di S. Vassallo, Palermo 1999, pagg. 285-286.

T

Page 31: Colle Madore

29

sala museale di Lercara (v. fig. 12 pag. precedente), quello che resta di una scodella laquale fa pensare per ciò ad un suo uso sacrale; 2) ad Afrodite erano sacri i capri; nella do-cumentata thysía del Madore15 – in palese contrasto con una devozione ad Eracle – vi èl’esistenza di resti di ovinocaprini. Se qualcuno affermasse ancora che sulla nostra edicolavotiva fosse raffigurato Eracle sosterrebbe in definitiva un dogma (ed il perché l’ho giàlungamente spiegato), e se poi si richiamasse al fatto delle acque sulfuree (che sarebberosgorgate al passaggio di Eracle, parlandone poi come se questo personaggio mitologicofosse realmente transitato dal Madore) commetterebbe un altro errore di valutazione: varicordato che la religiosità verso Demetra e Core (e questo è detto in relazione al ritrova-mento di parti di statuette della prima) era collegata pure alle acque sorgive, e che nel casodi Afrodite (la cui venerazione sul Madore, come testé esposto, lascia anche le sue traccemateriali) si connetteva anche alla venerazione da parte degli indigeni, siculi e sicani, deifiumi. Parlare di Eracle e di acque non dà più alcun fondamento ai fautori di questo bino-mio.

15 V. Studio archeozoologico dei resti faunistici rinvenuti a Colle Madore, Maurizio DiRosa, idem, pagg. 255-266.

Page 32: Colle Madore

30

Page 33: Colle Madore

31

Autori consultati

G. BelochL. Bernabò BreaM. BernardiniG. BlandaN. BonacasaL. Bruit ZaidmanG. CanaleD. CarusoC. CasertaO. CastellinoQ. CataudellaE. CetrangoloG. ClementeG. ColonnaN. CusumanoG. D’AnnaE. De MiroR. De SimoneF. Di BenedettoDiodoro SiculoM. Di RosaErodotoT. FazelloJ. FriedrichG. GarofaloG. GiannelliP. GiordanoV. GiustolisiG. Glotz

M. GrantJ. HazelA. HolmV. La RosaM. LibertoS. G. LoforteM. ManfrediG. ManganaroS. ManganoG. MavaroF. MontinariD. MustiB. PaceV. PelosoG. PerrottaC. PirrelloG. Pugliese CarratelliC. RomanoR. Ross HollowayN. SangiorgioP. ScarpiF. SpataforaA. SeverinsV. TardoL. TirritoTucidideS. TusaR. Van CompernolleS. Vassallo

Fonti iconografiche

L’immagine in copertina è stata tratta da un’edizione dell’Odissea della SEI del 1955.Le figg. 1, 2, 3, 4, 5, 7, 8 ,10, 11, 12 sono state tratte da Colle Madore/Un caso di elleniz-zazione in terra sicana, a cura di S. Vassallo, Palermo 1999.La fig. 6 è stata tratta da Sicilia Archeologica 54-55 Anno XVII-1984, Lamina bronzea condecorazione antropomorfa da Terravecchia di Cuti, S. Vassallo.Le cartine e la fig. 9 sono state realizzate da Danilo Caruso.

Page 34: Colle Madore

32

Indice

Introduzione pag. 1

Capitolo IChi erano i Sicani pag. 4Dai mores minoici ai mores sicani pag. 11

Capitolo IIIl centro sicano di Colle Madore: il Tempio di Afrodite pag. 13Il Tempio di Afrodite e le due distruzioni del sito di Colle Madore pag. 14L’etimologia, l’edicola ed il bacino per acqua lustrale pag. 16Le lamine e la liturgia del tempio pag. 18Influenza imerese o acragantina? pag. 20Da Eracle a Minosse? pag. 22Pindaro e il Madore: un connubio possibile pag. 22

Capitolo IIIIII stagione di ricerche archeologiche: arriva Minosse pag. 25Un richiamo ad Astarte e la presenza della svastica pag. 28

Autori consultati pag. 31

Fonti iconografiche pag. 31

Indice pag. 32

Page 35: Colle Madore
Page 36: Colle Madore

CATANIA novembre 2004