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CUM ARYTHMETICA PROPORTIO IN NUMERIS CONSTET, GEOMETRICA IN CONTINUIS, STEREOMETRICA IN LIBRATIONE PONDERUM, QUAE & A NONNULLIS GEOMETRICAE ASCRIBITUR: MUSICA PROPORTIO (EARUM PARTICEPS) MUTUA CONSYDERATIONE PROCEDIT Il Rinascimento tende a proporsi come storia di tentativi ‘culturali’ più o meno irrisolti (o risolti solo momentaneamente) di comprendere (capire, ovvero contenere in sé) e ricostruire un’armonia sovrana mai perduta perché mai esistita e comunque assolutamente disgregata nella vita quotidiana, politica, sociale od economica che fosse. Un dato, per così dire, filogenetico della storia umana, che diviene specchio anche dell’ontogenesi del singolo individuo. In un contesto di questo tipo, è la Musica a giocare il ruolo più importante in questa stupenda utopia di salvazione di un senso, almeno fenomenicamente coerente, da attribuirsi all’esistente quanto all’esistenza stessa. E più ancora della musica pratica, della musica instrumentale, come veniva chiamata dai trattatisti di allora, nell’occhio del ciclone sta la Musica come disciplina quadriviale: i Numeri Sonori, quasi una misura di tutte le cose, dell’universo intero. E’ proprio in questo periodo aureo che va dall’ultimo quarto del XV secolo alla prima metà del XVII, che appare la maggior parte degli scritti teorici riguardanti la musica in relazione alle altre scienze o discipline del sapere. A partire dai trattatisti sul Bello (Equicola, Ficino, Pacioli, Giorgi, Agrippa, Leone

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CUM ARYTHMETICA PROPORTIO IN NUMERIS CONSTET, GEOMETRICA IN

CONTINUIS, STEREOMETRICA IN LIBRATIONE PONDERUM, QUAE & A NONNULLIS

GEOMETRICAE ASCRIBITUR: MUSICA PROPORTIO (EARUM PARTICEPS) MUTUA

CONSYDERATIONE PROCEDIT

Il Rinascimento tende a proporsi come storia di tentativi ‘culturali’ più o meno irrisolti (o risolti

solo momentaneamente) di comprendere (capire, ovvero contenere in sé) e ricostruire un’armonia

sovrana mai perduta perché mai esistita e comunque assolutamente disgregata nella vita quotidiana,

politica, sociale od economica che fosse. Un dato, per così dire, filogenetico della storia umana, che

diviene specchio anche dell’ontogenesi del singolo individuo. In un contesto di questo tipo, è la

Musica a giocare il ruolo più importante in questa stupenda utopia di salvazione di un senso,

almeno fenomenicamente coerente, da attribuirsi all’esistente quanto all’esistenza stessa.

E più ancora della musica pratica, della musica instrumentale, come veniva chiamata dai

trattatisti di allora, nell’occhio del ciclone sta la Musica come disciplina quadriviale: i Numeri

Sonori, quasi una misura di tutte le cose, dell’universo intero.

E’ proprio in questo periodo aureo che va dall’ultimo quarto del XV secolo alla prima metà del

XVII, che appare la maggior parte degli scritti teorici riguardanti la musica in relazione alle altre

scienze o discipline del sapere. A partire dai trattatisti sul Bello (Equicola, Ficino, Pacioli, Giorgi,

Agrippa, Leone Ebreo, Nifo, per citarne solo alcuni, neoplatonici e non) il rapporto tra Arte, Vita,

Numero e Musica si fa sempre più stretto.

La chiave estetica, tendenzialmente quantunque non esclusivamente, è quella delle ‘proporzioni’,

elemento base della musica e comune alle discipline consorelle: “Cum Arythmetica proportio in

numeris constet, Geometrica in continuis, Stereometrica in libratione ponderum, quae & a nonnullis

geometricae ascribitur: Musica proportio (earum particeps) mutua consyderatione procedit”, dirà

Franchino Gaffurio nella frase che s’è scelta come titolo di questo intervento.1

Attraverso la Musica – mundana et humana – che è numero sostanziato, si considerano le

proporzioni nelle altre arti e si scopre il ‘bello’; e la musica, come disciplina quadriviale, diviene

allora la vera misura di tutte le cose.

1 Cfr. FRANCHINO GAFFURIO, Practica Musicae, Milano, 1496, IV, I, i (ripr. anastatica a cura di Giuseppe Vecchi, Bologna, Forni, 1972).

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Ma la sua stupefacente ambiguità poietica e l’enorme duttilità del pensiero rinascimentale

troveranno, nella loro sintesi, particolari ‘confusioni’ tra rispecchiamenti ora razionalistici (anche se

religiosamente eccessivi) ora magico-sensistici (a riscoprire, per esempio, gli in-canti musicali

degli Orfei pagani e cristiani).

E’ un’estetica in fieri, o il farsi di un’estetica, che coinvolge tanto il tema del ‘bello’ quanto quello

dell’’amore’ dal punto di vista trattatistico.

Assistiamo, nel campo della trattatistica d’arte del periodo rinascimentale, ad un interessante

fenomeno dualistico (ed insieme anche ai suoi tentativi di composizione) che deve la sua origine

alle due grandi scuole di pensiero che si confrontano: il neoplatonismo di sostanziale marca

ficiniana, e la ripresa dell’aristotelismo, seppure riformato in chiave neo-razionalistica.

L’estetica della proporzione che veniva in qualche modo a far coincidere la grazia e la bellezza (almeno intesa come bellezza interiore) subisce, in ambito artistico, una cristianizzazione tale da

sconvolgere la tradizione platonica per condurre ad una idealizzazione della bellezza spirituale della

forma, in opposizione ad una assunzione della “debita proporzione e corrispondenza di membri”

quale canone aristotelico di bellezza.

Marsilio Ficino propone una sostanziale superiorità della forma mentale della bellezza spirituale:

l’estetica della proporzione non è abbandonata, ma rivissuta oltre ogni traduzione concreta di essa.

Ficino giunge così a polemizzare contro la teoria boeziana per cui il bello (musicale) veniva fatto

derivare unicamente dai fenomeni di proporzionalità ‘numerica’, sostenendo che la sola proporzione

non sarebbe stata in grado di produrre la bellezza musicale, ed attribuendole perciò un ruolo

esclusivamente organizzativo di qualità incorporee dotate ‘per sé’ di bellezza spirituale e quindi

generatrici prime dell’arte.

Si tratta di un ridimensionamento, non di una negazione. Ficino non avrebbe potuto allontanarsi di

tanto da uno dei fondamenti del pensiero platonico senza negare di conseguenza il suo stesso

modello di pensiero. La realtà è che, nel corso del periodo preso in esame, la pienezza del pensiero

platonico (e, più ancora, per ciò che concerne la musica, pitagorico) veniva colta con maggiore

partecipazione e ‘libertà’ che in un Seicento poi fortemente radicalizzato intorno alla talora faziosa

capziosità della contrapposizione tra divulgatori aristotelici e devoti epigoni del neoplatonismo.

Non a caso Paola Barocchi, nell’annotare alcuni passi dal Libro di natura d’amore di Mario

Equicola, cita il seguente brano di A.Chastel e R.Klein:

“I canoni acquistano una terza e più solenne rivalorizzazione intellettuale – dopo l’umanesismo vitruviano e l’empirismo statistico o medico – da parte delle filosofie spiritualiste o magiche. Questa corrente era appena abbozzata nel momento in cui Gaurico pubblica il suo testo: Ficino aveva introdotto la teoria delle proporzioni nel suo Convivio (pubblicato nel 1484); le pagine di

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Equicola, che riprendono e sviluppano l’idea di Ficino, non esistono ancora che in manoscritto (la pubblicazione è del 1525), come il capitolo di Pacioli sulle proporzioni umane (nel De Divina Proportione, pubblicato nel 1509). Francesco Giorgi (De Harmonia Mundi, 1525) e Cornelius Agrippa (De Occulta Philosophia, 1533, scritto prima del 1531) cominciarono ad accentuare l’aspetto cosmologico di queste speculazioni. La teoria spiritualista dell’amore e il simbolismo geometrico o numerico prestato alla costruzione del ‘microcosmo’ permettendo un nuovo sviluppo della teoria della proporzione dei corpi – un poco a latere dei principali interessati, cioè gli artisti”.2

Tra gli scrittori d’arte dei primi cinquant’anni del XVI secolo le divisioni di campo non sono

vincolanti: si ammettono interscambi o momentanee incertezze (quando non giustifichino o

sollecitino, specialmente da parte dei ‘pratici’, degli artisti, soluzioni affatto personali, spesse volte

ambigue).

Così Agostino Nifo risolve il contrasto tra la tendenza ad un cosiddetto “aristotelismo eclettico” e le

suggestioni neoplatoniche derivate senz’altro da Ficino, solo nel De Pulchro et Amore,

pubblicato in Roma nel 1531 (due anni dopo che l’autore l’aveva terminato), trasportando i canoni

propri della bellezza ideale a quella fisica, generatrice di piacere. “Quare cum pulchra omnia ipso

pulchro sint pulchra, fit ut ipsum pulchrum sit, quo pulchra esse fateamur”,3 afferma Nifo, che

insiste, nel capitolo intitolato De praeparatione, qua praeparantur omnia ad gratiam divinumque fulgorem excipiendum con queste parole: “Sed cum gratia vel fulgor

huiusmodi in materiam, non prius quam aptissime sit praeparata, descendat ...: ideo pro suscipienda

gratia atque fulgore oportet ut res non eodem modo praeparantur, nam corporum praeparatio tribus

constat: ordine, modo, specie ...”.4

L’influenza ficiniana è qui palesata al massimo; lo stesso Ficino, infatti, aveva osservato che se è

vero che la bellezza è uno “splendore” (fulgor), essa discende nella materia, tuttavia, solo nel caso

che quest’ultima sia preparata: “Quid tandem est corporis pulchritudo? Actus, vivacitatis et gratia,

quedam idee sue influxu in ipso refulgens. Fulgor huiusmodi in materiam non prius quam aptissime

sit preparata descendit. His vero tribus, ordine, modo, spetie, constat viventis corporis preparatio”.5

Del resto tutto il capitolo di Nifo che ha per titolo Pulchritudinem non esse certam membrorum proportionem atque commensum cum quadam colorum suavitate,

2 In: POMPONIUS GAURICUS, De Sculptura, a cura di A. Chastel e R. Klein, Genève-Paris, 1969, p. 87 (citato da Paola Baroc-chi, a cura di, Scritti d'arte del Cinquecento, Torino, Einaudi, 1979, vol. VII, tomo I, p. 1618).3 Cfr. AGOSTINO NIFO, Augustini Niphi medicis Libri duo. De Pulchro primus. De Amore secundus, [1529], Lugduni, 1549, cap.IV, p. 7.("Perciò, dal momento che tutte le cose belle sono belle a causa del bello stesso, ne segue che esiste il bello in sé, per il quale possiamo confessare che vi sono cose belle.").4 NIFO, Op.cit., cap. XXIV : Sulla preparazione da cui tutte le cose sono preparate a ricevere la grazia e lo splendore divino. – Ma poiché la grazia o tale splendore non scende nella materia prima che questa sia preparata adeguatamente ..., a ricevere la grazia e il fulgore occorre che le cose non siano preparate allo stesso modo, la preparazione dei corpi consta infatti di tre cose: l'ordine, la misura, l' aspetto.".5 Cfr. MARSILIO FICINO, Commentarium ... in Convivium Platonis De Amore, Firenze, 1484, V., 6, edizione a cura di R. Marcel, Paris, 1956, la sottolineatura è mia.("Finalmente che cosa è la bellezza del corpo? Certamente è un certo atto, vivacità e grazia, che risplende nel corpo per lo influsso della sua idea. Questo splendore non descende nella materia, s'ella non è prima attissi-mamente preparata. E la preparazione del corpo vivente in tre cose s'adempie: ordine, modo e spezie")

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secundum platonicos è copiato alla lettera, con pochissime varianti, da Ficino, e così molti

altri passi del De Pulchro et Amore, come ci conferma Paola Barocchi.6

Mario Equicola, pure ardente neoplatonico, si troverà quasi imbarazzato, nello scrivere il Libro di natura d’amore (1526), a sostenere posizioni ora neoplatoniche, ora di sapore aristotelico,

soprattutto per ciò che può concernere il lavoro ‘mimetico’ dell’artista.

“La bellezza del corpo – scrive Equicola – ricerca che le membra siano ben collocate con debiti

intervalli e spazii, ciascuna parte sia con sue tempre, commensa proporzione e conveniente

quantità”.7

Equicola parte da posizioni ‘proporzionaliste’ derivate dall’attenzione per il pensiero antico e da

una erudizione di stampo umanistico, con ampio riferimento al pensiero di Pacioli, per esempio. Ma

altrove troviamo affermazioni e riferimenti a Marsilio tali da non poter non ricondurre ad una teoria

erotica del bello.

Siamo di fronte ad una estrema mobilità ed apertura del pensiero equicoliano, del tutto sintomatica

della tendenza ad un fecondo sincretismo tipica dei primi due terzi del XVI secolo. Questa mobilità

è riscontrabile alla lettura di vari passi del Libro di natura d’amore, l’elaborazione teorica più

importante di Equicola:8 per esempio al capitolo intitolato Che cosa è la bellezza, nel corso

del quale l’autore cita in continuazione ed in maniera quasi frastornante filosofi e scrittori greci e

latini, tanto da creare qualche difficoltà nell’afferrare la autentica linea del suo pensiero,

quantunque essa venga comunque chiaramente espressa in frasi del tipo: “Ma colui il quale è vero

filosofo, alla divina contemplazione dedito, vedendo la bellezza del corpo, istima della divina forma

di bellezza, archetipo et idea, esser derivata e dedotta quella”.9 O ancora, avvicinandoci all’ambito

musicale:

“La bellezza le orecchie tira a sé secondo la composizione di ornate parole, tal che odendose con soave accento dolce concento de voce sonora, facile, flessibile, ferma, durabile, chiara, pura, piena e che l’aere con dolcezza muova e sechi, di udir saziar non si può. Triplice dicono esser la voce: quottidiana, la qual usamo nelli quottidiani ragionamenti, l’altra chiamamo media, colla quale leggemo li poeti secondo li tempi delle sillabe brevi e longhe... La terza è che si canta con tuoni, phtongi, sistemi, per venerabile e robusto diatonio o lamentabile croma, per le prime consonanzie diapente, diapason e diatessaron. Diletta ancor il suono, e quel dicemo bello, over de voce umana, over è in istromenti per fiato, como trombette, pifari, flauti; il terzo vedemo esser in battere, como è in lira, citara, cimbali”.10

6 Cfr. PAOLA BAROCCHI, Op.cit., passim7 MARIO EQUICOLA, Libro di natura d'amore, [1525], Venezia, 1526, f. 74r.8 Si veda la scheda bio-bibliografica su Equicola in: PAOLA BAROCCHI, Op.cit., vol. II, p. XXXIII.9 Cfr. MARIO EQUICOLA, Op.cit., f. 79r.10 EQUICOLA, Op.cit., f. 77v.

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Gli scritti d’arte cinquecenteschi comunque, al di là delle informazioni che ci forniscono da un

punto di vista estetico, ci rimandano al concetto più vasto di Armonia del Mondo, pur se mediato –

sovente – e quasi ‘sporcato’, eccessivamente materializzato, negli esiti figurativi.

In fondo solo la musica, nel suo poter prescindere dalla natura, può di conseguenza costituire il

modello razionale (ma anche, con le dovute prese di distanza, sensistico) dell’Armonia Universale.

Malgrado ciò, anche nei trattatisti d’arte, segnatamente in quelli attivi nel primo Cinquecento,

l’armonia come concetto superiore persiste in una recrudescenza neoplatonica che vede la

superiorità della forma mentale sulla sua traduzione concreta. Questi scrittori non vogliono o non

possono prescindere totalmente dal dato pratico, dall’oggetto artistico e ad esso immancabilmente si

riferiscono, segnando la tradizionale inferiorità mitopoietica dell’immagine nei confronti del suono,

dunque della musica.

Per ciò che concerne il progetto ordinatore dell’armonia cosmica, stimoli di un certo interesse

possono comunque essere colti anche in un autore come Leone Ebreo (Giuda Abarbanel),11 e nei

suoi Dialogi d’amore, editi postumi nel 1535 (ma scritti a partire dal 1501), e subito soggetti ad

una straordinaria fortuna: ben quattordici edizioni italiane e diverse traduzioni latine, francesi e

spagnole.

Il medico ebreo espone una lucida e sistematica visione del mondo come ‘Armonia’ retta

dall’amore divino; una concordia superiore regna nel cosmo che tutto partecipa dell’amore di Dio: “la bellezza è grazia che, dilettando l’animo col suo conoscimento, il muove ad amare”.12

Leone Ebreo considera la bellezza come preesistente alla proporzionalità armonica, ed indipendente

da essa: “Si che, se bene consideri, trovarai che, quantunque ne le cose proporzionate e concordanti

si truova la bellezza, la bellezza è oltre la loro proporzione: onde non solamente ne li composti

proporzionati si truova, ma ancor più ne’ simplici”,13 con ampio riferimento a Ficino e a Nifo. Così

come crede, sulla scorta di Marsilio,14 e quindi di Equicola,15 che la:

“grazia diletti e muova l’anima a proprio amore (qual si chiama bellezza), non si truova negli oggetti de li tre sensi materiali, che sono il gusto, l’odore e il tatto, ma solamente negli oggetti de’ due sensi spirituali, viso e audito. [...] E si truova negli oggetti del’audito, come bella orazione, bella voce, bel parlare, bel canto, bella musica, bella consonanzia, bella proporzione e armonia; ne la spiritualità de’ quali si truova grazia, qual muove l’anima a delettazione e amore mediante il spiritual senso de l’audito”.16

11 Giuda Abarbanel nacque a Lisbona tra il 1460 e il 1463, morì in Italia prima del 1535.12 Cfr. LEONE EBREO, Dialogi d'amore..., Roma, 1535, edizione moderna a cura di S. Caramella, Bari, 1929, p.226.13 LEONE EBREO, Op.cit., p.320.14 Cfr. FICINO, Op.cit., V,2.15 Cfr. EQUICOLA, Op.cit., f. 73v.16 Cfr. LEONE EBREO, Op.cit., pp. 226-227.

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Del resto, prosegue l’autore, se la bellezza derivasse dalla proporzione delle parti col tutto “nissun

corpo simplice non composto di diverse e proporzionate parti non si chiameria bello” , e poco più

avanti: “...non però la proporzione è essa bellezza, ché di quelli che non sono né proporzionati né

improporzionati, perché non sono composti, si truovano bellissimi”.17

Sono tesi che, nel campo poi della teoresi musicale porteranno al graduale abbandono della vetero-

razionalità pitagorico-boeziana già a partire dalla fine del XV secolo, in favore di una maggiore

considerazione dei dati sensoriali e del fine ultimo della costruzione musicale: l’ascolto.

L’instaurarsi quindi di un chiaro (finalmente), netto dualismo tra ‘auto’ ed ‘etero’ funzionalità della

musica.

In coincidenza con la riproposizione delle dottrine proporzionaliste, seppur abilmente riformate e

riformulate, assistiamo nell’ambito della trattatistica d’arte cinquecentesca, all’affacciarsi

nell’estetica musicale di una interessantissima opera di mediazione tra funzione dei sensi e della

ragione e, nella seconda metà del secolo, alla germinazione di una nuova corrente di pensiero che

perdurerà – diversificandosi – per un ottantennio circa: la cosiddetta “nuova razionalità” dal cui

grembo nasceranno la rinnovata filosofia della conoscenza e la scienza moderna.

La teoria delle proporzioni, e la conseguente sua idealizzazione dell’Armonia del Mondo, allora,

non scompariranno neppure dagli scritti d’arte; la teoria delle proporzioni (umane) infatti era vista,

come acutamente osserva Erwin Panofsky per ciò che riguardava l’arte figurativa,18 anche come

l’espressione dell’armonia prestabilita tra microcosmo e macrocosmo, quale base razionale della

bellezza. Nel Rinascimento si fuse l’interpretazione cosmologica di questa teoria (in auge per tutto

il Medioevo) con la nozione classica di ‘simmetria’ per fare di questo nuovo concetto la base della

canonizzazione della perfezione estetica. Una simile sintesi fu cercata, sempre secondo Panofsky,

tra Neoplatonismo ed Aristotelismo, tra spirito mistico e razionale, tra cosmologia armonica ed

estetica normativa. “La varia fortuna dei canoni di misura negli scritti figurativi del Cinquecento –

scrive Paola Barocchi – costituisce una singolare riprova del rapporto ‘bellezza-grazia’”.19

17 Cfr. LEONE EBREO, Op.cit., p. 320.18 ERWING PANOFSKY, "Die Entwicklung der Propotionslehren als Abbild der Stilenwicklung", [1921-22], in Meaning in the visual Arts, New York, 1955, pp. 89 sg., citato da P.Barocchi, Op.cit., p.1615. Riporto il brano intero in inglese: "The theory of human proportions was seen as both a prerequisite of artistic production and an expression of the pre-established harmony between microcosm and macrocosm, and it was seen, moreover, as the rational basis of beauty. The Renaissance fused, we may say, the cosmological interpretation of the theory of proportions, current in Hellenistic times and in the Middle Ages, with the classical notion of symmetry as the fundamental principle of the aesthetic perfection. As a synthesis was sought between the mystical spirit and the rational, between Neo-Platonism and Aristotelianism, so was the theory of proportions interpreted both from the point of view of harmonistic cosmology and normative aesthetics; it seemed to bridge the gap between Late-Hellenistic fantasy and classical Polyclitian order. Perhaps the theory of proportions appeared so infinitely valuable to the thinking of the Renaissance precisely because only this theory – mathematical and speculative at the same time – could satisfy the disparate spiritual needs of the age".19 Cfr. BAROCCHI, Op.cit., p. 1715.

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Spettò in primis a Luca Pacioli, nativo di Borgo San Sepolcro, francescano, celebre matematico, già

allievo di Piero della Francesca ed amico di Leonardo da Vinci, difendere, con Leonardo stesso20 e

con Pomponio Gaurico, le teorie proporzionali: “...tutto ciò che per l’universo inferiore e superiore

si squaterna, quello de necessità al numero, peso e mensura fia soctoposto” sta scritto, con palese

richiamo biblico, in uno dei passi iniziali del Divina Proportione... .21 Il trattato, come

giustamente rileva Armando Plebe,22 riguarda prevalentemente le arti figurative, come del resto

diviene norma per gli scritti in favore delle teorie proporzionali, ma ritengo che le considerazioni di

carattere musicale di Pacioli non siano trascurabili, segnatamente nei casi in cui l’autore mette a

diretto contatto arte figurativa e musica, confluendo in un tema caro anche a Leonardo, interessato –

pare – alle idee dell’armonia e della proporzione dell’amico.

Dice Pacioli:

“Se questi dicano la musica contentare l’udito, uno d’i sensi naturali, e quella [la ‘prospectiva’] el vedere, quale tanto è più degno quanto egli è prima porta a l’intellecto; se dichino quella s’atende al numero sonoro e a la mesura importata nel tempo de sue prolationi, e quella al numero naturale secondo ogni sua diffinitione e a la mesura de la linea visuale; se quella recrea l’animo per l’armonia, e questa per debita distantia e varietà de colori molto delecta; se quella suoi armoniche proportioni considera, e questa le arithmetici e geometrici”;23

una proposta fatta propria, modernamente, anche da R. Wittkower, e che prevede scambi tra

prospettiva, canoni architettonici e musica.24

Si tratta comunque, per il momento, della tesi vincente nel campo dell’estetica musicale; è una tesi

– per così dire – conservatrice, basata sul presupposto che “Sonno ... le scientie e mathematici

discipline nel primo grado de la certezza, e loro sequitano tutte le naturali”,25 ove Pacioli, come

ribadisce la Barocchi, “esalta la matematica come fondamento non solo della scienza, ma anche

dell’architettura, della musica e della prospettiva”.26

Ancora una volta una tesi affascinante e razionalissima, medioevalistica e metamatematica

d’impianto, ma pienamente rinascimentale nelle sue ragioni d’essere, una tesi però contro la quale

già alcuni teorici musicali, sul finire del XV secolo, si erano battuti;27 ma pure, una tesi storicamente

e culturalmente vincente fino ai primi decenni del Seicento.

20 Vedi essenzialmente il Codex Urbinas Latinus 1270, edito in fac simile col titolo Treatise on Painting by Leonardo da Vinci, a cura di A. Ph .McMahon, Princeton, 1956.21 LUCA PACIOLI, Divina proportione..., [1497], Venezia, 1509, f. 2.22 Cfr. ARMANDO PLEBE, "Estetica Musicale", in La Musica. Enciclopedia Storica, Torino, UTET, 1976, vol II, p. 348.23 PACIOLI, Op.cit., f. 4.24 Cfr., tra l’altro, RUDOLF WITTKOVER, Principi architettonici nell'età dell' umanesimo, [1949], Torino, Einaudi, 1964(2).25 PACIOLI, Op.cit., f. 2.26 BAROCCHI, Op.cit., vol. I, p. 61 in nota.27 Per esempio Johannes Tinctoris.

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I nuovi indirizzi di pensiero faranno sì che abbia dignità d’esistere una tensione “tra le due facce

della musica, l’uso popolare e l’arte-scienza, il piacere auricolare e il diletto intellettuale”, come

afferma Gino Stefani pur se con un’apertura solo parziale nei confronti del problema;28 la tensione

si radicalizza proprio sul finire del XVI secolo e nei primi anni del XVII nella veste dualistica “sensi-intelletto, materia-spirito; a tale dualismo cosmo-psicologico si sfugge peraltro per la via

verticale dell’etica”,29 abbandonando (o quasi) l’impostazione, in fondo ancora pitagorica,

sostanzialmente dianoetica, fondata sull’attività discorsiva del pensiero, della ricerca teorica in

musica.

Ma, fino ad allora, è l’utopia armonica a tracciare le coordinate, non solo estetiche, in occidente,

ancora nell’arte figurativa come nella musica.30

Vi è poi l’utilizzazione di questi concetti armonico-proporzionali nella prassi compositiva

occidentale. Si tratta di un ambito vasto e sul quale molti studiosi sono puntualmente intervenuti,

evidenziando la presenza della divina proporzione in varie opere di Bartok, o di Debussy, o di

diversi altri autori, e dedicandosi a interessanti polemiche sull’uso effettivo di serie numeriche quali

quella di Fibonacci piuttosto che quella di Lucas, col fine di approssimare, nella struttura formale

dei brani musicali, la sezione aurea.

Questa è però un’altra storia, che prenderebbe troppo spazio affrontare.

Stefano A. E. LeoniMusicologia Sistematica, Conservatorio di Musica “G. Verdi”, TorinoStoria della Musica, Università degli Studi di Urbino “C. Bo”

28 GINO STEFANI, Musica Barocca, Milano, Bompiani, 1974, p. 189.29 Ibidem.30 Cfr. per esempio VINCENZO DANTI, Il primo libro del trat tato delle perfette proporzioni..., Firenze,1567 nell'an-tologia offerta da P.BAROCCHI,Op.cit., vol. VII, pp. 1761 ssgg. . Ma gli esempi potrebbero essere molti.