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cÌre dura nel momento stesso)8. Le tre immagini-tempo hanno in co- rnrrnedi rompere con la rappresentazioneindiretta, ma anche di spez- zare il corso o il susseguirsi empirici del tempo, la successione cronolo- gica, la separazione del prima e del dopo. Comunicano dunque ra lo- ro, si compenetrano (\X/elles, Resnais, Godard, Robbe-Grillet), ma la- sci:rrro sussistere in una stessa opera la distinzione dei propri segni. "' lrr ulra bella novella, Lernet-Iloleni2ì srìpponeche la mortc non avvenlla in un mo- nì( rìr(r, lìt1ì in r.rno spazio-tempo situato "tra il momento stesso" e che può clurare diver ',i rÌi,rlni. c[r. Alexander Lernet-I{olenia, ll barone Baggc,Milano, Adelphi, 1982. Nci lilnr tli (ìoclartl si irrcontra una concezione della morte molto analosa. I i.1 Capitolo 7 Il pensiero e il cinema 1. Coloro che per primi feceroe pensarono il cinemapartivanoda un'idea semplice: il cinema comearte industriale giunge all'auto-movi- mento, al movimentoautomatico, fa del movimento il dato immediato dell'immagine. Un movimento di questo tipo non dipendepiù da un mobile o da u! oggetto che lo eseguirebbe, né da una mente che lo ri- costruirebbe. E l'immagine che muove se stessa in se stessa. In questo senso non è dunque né figurativ^, né a,stratta. Si dirà che questoera già vero per tutte le immaginiartistiche; Ejzenétejn infatti continuaa analizzare i quadri di Leonardo da Vinci, del Greco, comefossero im- magini cinematografiche (la stessa cosafa Elie Faure con il Tintoret- to). Ma le immaginipittoriche non sonoper questomeno immobili in sé, sicché è la mente che deve "fare" il movimento. E le immaginico- reografiche o drammatiche restano legate a un mobile. Solo quandoil movimentodiventa automatico, I'essenza artistica dell'immagine si at- tuat produffe uno cltoc sul pensiero, comunicare alla corteccia delle ui- brazionì,toccare direttamente il sistema nen)oso e cerebrale. "Facendo" il movimentoe facendo quel che le altre arti si accontentano di esige- re (o di dire), I'immaginecinematografica raccoglie I'essenziale delle altre arti, ne è I'erede, è quasiil modo d'impiegodelle altre immagini, converte in potenza quel che era soltanto possibilità. Il mouimento au- tornatico suscita in noi ún autom(t spirituale, che a sua volta reagisce su di lui'. L'automa spirituale non designa più, come nella filosofia clas- sica,la possibilità logicao asratta di dedurre formalmente i pensieri I Elie Faure, Fonctìon du cinéma, Parigi, Gonthier, p. 56: "In verità, è iÌ suo stesso automatismo materiale che fa spuntare dall'interno di queste immagini questo nuovo tuniverso ch'egli a poco a poco impone al nostro automatismo intellettuale. Così, in una Iuce accecante, appare la subordinazione dell'anima umana agli utensili ch'essa crca, c viceversa. tjna costante reversibilità si rivela tra tecnicità e affettività". Analouamen- te, per Epstein l'automatismo dell'immagine o il meccanismo della macchina da presa hanno come correlato una "soggettività automatica", capace di trasformare e oltrepas- srre il reale, cfr. Ecrits...,II, op. cìt., p. 6).

Deleuze - Il Pensiero e Il Cinema

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cÌre dura nel momento stesso)8. Le tre immagini-tempo hanno in co-rnrrne di rompere con la rappresentazione indiretta, ma anche di spez-zare i l corso o i l susseguirsi empirici del tempo, la successione cronolo-gica, la separazione del prima e del dopo. Comunicano dunque ra lo-ro, si compenetrano (\X/elles, Resnais, Godard, Robbe-Gril let), ma la-sci:rrro sussistere in una stessa opera la distinzione dei propri segni.

" ' l r r u l ra bel la novel la, Lernet- I lo leni2ì sr ìppone che la mortc non avvenl la in un mo-

nì( r ì r ( r , l ì t1ì in r . rno spazio-tempo si tuato " t ra i l momento stesso" e che può clurare diver' , i r Ì i , r ln i . c[r . Alexander Lernet- I {o lenia, l l barone Baggc, Mi lano, Adelphi , 1982. Ncil i lnr t l i ( ìoclart l s i i r rcontra una concezione del la morte molto analosa.

I i .1

Capitolo 7Il pensiero e il cinema

1. Coloro che per primi fecero e pensarono il cinema partivano daun'idea semplice: il cinema come arte industriale giunge all 'auto-movi-mento, al movimento automatico, fa del movimento il dato immediatodell' immagine. Un movimento di questo tipo non dipende più da unmobile o da u! oggetto che lo eseguirebbe, né da una mente che lo ri-costruirebbe. E l' immagine che muove se stessa in se stessa. In questosenso non è dunque né figurativ^, né a,stratta. Si dirà che questo eragià vero per tutte le immagini artistiche; Ejzenétejn infatti continua aanalizzare i quadri di Leonardo da Vinci, del Greco, come fossero im-magini cinematografiche (la stessa cosa fa Elie Faure con il Tintoret-to). Ma le immagini pittoriche non sono per questo meno immobili insé, sicché è la mente che deve "fare" il movimento. E le immagini co-reografiche o drammatiche restano legate a un mobile. Solo quando ilmovimento diventa automatico, I'essenza artistica dell' immagine si at-tuat produffe uno cltoc sul pensiero, comunicare alla corteccia delle ui-brazionì, toccare direttamente il sistema nen)oso e cerebrale. "Facendo"il movimento e facendo quel che le altre arti si accontentano di esige-re (o di dire), I' immagine cinematografica raccoglie I'essenziale dellealtre arti, ne è I'erede, è quasi il modo d'impiego delle altre immagini,converte in potenza quel che era soltanto possibilità. Il mouimento au-tornatico suscita in noi ún autom(t spirituale, che a sua volta reagisce sudi lui'. L'automa spirituale non designa più, come nella filosofia clas-sica, la possibilità logica o asratta di dedurre formalmente i pensieri

I Elie Faure, Fonctìon du cinéma, Parigi, Gonthier, p. 56: "In verità, è iÌ suo stessoautomatismo materiale che fa spuntare dall'interno di queste immagini questo nuovotuniverso ch'egl i a poco a poco impone al nostro automat ismo intel let tuale. Così, in unaIuce accecante, appare la subordinazione del l 'anima umana agl i utensi l i ch 'essa crca, cviceversa. t jna costante reversibi l i tà s i r ivela t ra tecnic i tà e af fet t iv i tà". Analouamen-te, per Epstein l 'automat ismo del l ' immagine o i l meccanismo del la macchina da presahanno come correlato una "soggett iv i tà automat ica", capace di t rasformare e ol t repas-srre i l reale, cfr . Ecr i ts. . . , I I , op. cì t . , p. 6) .

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gli uni dagli altri, ma il circuito nel quale essi entrano con I'immagine-movimento, \a potenza comune di ciò che costringe a pensare e di ciòche pensa sotto choc: un noochoc. Heidegger dirà: "L'uomo è in gra-clo di pensare nella misura in cui ne ha la possibilità. Solo che questapossibilità non ci garantisce ancora che ne siamo capaci"'. Comuni-candoci lo choc, il cinema pretende di darci questa capacità, questa

lx)tenza, e non la semplice possibilità logica. Tutto avviene come se ilcinema ci dicesse: con me, con l' immagine-movimento, non potete piùsf'rrggire allo choc che risveglia in voi il pensatore. Un automa sogget-tivo e collettivo oer un movimento automatico: I'arte delle "masse".

Si sa che se un'arte avesse imoosto necessariamente lo choc o la vi-l , r ' : rz ione, i l mondo sarebbe da-lungo tempo cambiato e gl i uomini1'c'nscrebbero da lungo tempo. Perciò questa pretesa del cinema, alme-rro nei suoi più grandi pionieri, oggifa sorridere. Credevano che il ci-rrcrla fosse capace di imporre lo choc e di imporlo alle masse, al popo-Io (Vcrtov, Ejzenòtejn, Gance, Elie Faure...). Tuttavia intuivano cheil cincma avrebbe incontrato, incontrava già, tutte le ambiguità delleirltle arti, si sarebbe rivestito di astrazioni sperimentali, "buffonatel.t'r 'rnaliste", e di rappresentazioni commerciali, di sesso o di sangue.Lo cl'roc stava per confondersi, nel brutto cinema, con la violenza fi-sufaLiva del rappresentato, invece di giungere, sviluppando le proprievibrazioni in una sequenza mobile che sprofonda in noi, a quest'altraviolenza di un'immagine-movimento. Peggio ancora, I'automa spiri-trrrrle rischiava di diventare il fantoccio di tutte le propagande, l 'arte.lt ' l lc masse mostrava già un volto inquietante'. La pofenza o \a capa-..' iti rlel cinema rivelava allora, a sua volta, di essere soltanto una purat' scrlplice possibilità logica. Per lo meno il possibile vi assumeva unarìu()vrì forma, anche se il popolo era ancora assente, anche se il pensie-r',r rklveva ancora giungere. Qualcosa era in gioco, in una concezionesrrltlirue del cinema. Quel che infatti costituisce il sublime è il fatto,lrt' I ' immaginazione subisce uno choc che la spinge al proprio limite eIolzrr il pensiero a pensare il tutto come totalità intellettuale che oltre-l,rrssrr I' immaginazione.Il sublime, lo abbiamo visto, può essere mate-rrrirtico come in Gance, o dinamico come in Murnau e Lang, o dialetti-(() c()me in Ejzenétejn. Prendiamo I'esempio di Ejzenòtejn, perché ilrnctoclo dialettico gli permette di scomporre il noochoc in momenti

' ( .1r . Mart inI leídegger, Checosasigni f icapensare2,Mi lano, Sugar, 1971,p. 17.

' lil ic llaure conserva nondimeno una speranza fondata sullo stesso automatismo:"; \ lcrrrr i amici s incer i del c inema vi hanno visto sol tanto uno stupendo strumento di

l , r ( ) l ) i r l l înLla. E s ia. I far isei del la pol i t ica, del l 'ar te, del le let tere, del le stesse scienze,rr . r ,1 '1 '11rtr , , , nel c inema i l servi tore più fedele f ino al g iorno in cui , per un' inversioncrÌ ì ( ' ( ( ' : rn ic l ì dei ruol i , esso non se l i asservirà a sua vol ta", cf t . Fonct ion. . . , op. c i t . ,p.51(r t sto r lc l 191'1).

I t(:

particolarmente ben determinati (ma I' insieme dell 'analisi è valida peril cinema classico in genere, i l cinema dell ' immagine-movimento) .

Secondo EjzenÈtejn, i l primo momento va dall ' immagine al pensie-ro, dal percetto al concetto. L'immagine-movimento (cellula) è essen-zialmente multipla e divisibile, a seconda degli oggetti tra i quali si in-sedia, che sono le sue parti integranti. Esistono choc delle immaginifra loro secondo la loro dominante, o choc nell ' immagine stessa secon-do le sue componenti e ancora choc delle immagini secondo tutte lecomponenti: lo choc è la forma stessa della comunicazione del movi-mento nelle immagini. Ejzenitejn rimprovera a Pudovkin di aver nrc-so in considerazione solo i l caso piu r;.pù:; i; ' . 'r,,". È't:)ip"ìt ' ir i" i,che definisce la formula generale, o la violenza dell ' immagine. Abbia-mo visto in precedenza le analisi concrete di EjzenÈtejn a proposito diBronenosec Potèmkin (La corazzata Potèrnkin) e di Staroe ì nouoe (La lì-nea generala) e lo schema astratto che ne risulta: lo choc produce uneffetto sulla mente, 7a forza a pensare e a pensare i l Tutto. I l rutto ap-punto può essere soltanto pensato, perché è la rappresentazione indi-retta del tempo che deriva dal movimento. Non ne deriva come un ef-fetto logico, analit icamente, ma sinteticamente, come I'effetto dina-mico delle immagini "sull ' intera corteccia". Così, benché derivi dal-l ' immagine, dipende dal montaggio: non è una somma, ma un "pro-dotto", un'unità d'ordine superiore. I l tutto è la totalità organica chesi pone opponendo e superando tutte le proprie parti e che si costrui-sce come la grande Spirale secondo le leggi della dialettica. I1 rumo è i lconcetto. Per questo i l cinema è detto "cinema intellettuale" e i lmontaggio "montaggio-pensiero". I l montaggio è nel pensiero "i l pro-cesso intellettuale" stesso, o ciò che. sotto choc. nensa 1o choc. GiàI' immagine, visiva o sonora, possiede delle armoniche che accompa-gnano la dominante sensibile e entrano per conto proprio nei rapportisovrasensoriali (per esempio la saturazione di calore nella processionec1e17a Linca generalet): è questo, l 'onda di choc o la vibrazione nervosa,zrl punto cl-re non si può più dire "io vedo, io odo", ma IO SENTO,"sensazione totalmente fisiologica". Proprio l ' insieme delle armoni-che che agisce sulla corteccia fa nascere i l pensiero, I ' IO PENSO cine-matografico: i l tutto come soggetto. Ejzenltejn è diaiettico perchéconcepisce la violenza dello choc nella figura dell 'opposizione e i l pen-siero del tutto sotro forma dell 'opposizione superata o delia trasfor-mazione degli opposti: "dallo scontro di due fattori nasce un concet-to" ' . E i l c inema pugno, " i l c inema soviet ico deve spaccare i crani" .

'Tut t iquest i temisonoanzr l izzatt inFomn.. . ,op.c i t . , inpart icolarenei capi to l i " I lI r ' incipio c inematograf ico c l ' ideogramma", "Cinema in .1uattr , , d imcnsioni" , "Meto-

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Ma in tal modo egli dialettizza rl dato più generale dell ' immagine-mo-rrimento, rit iene che ogni altra concezione attenui lo choc e lasci facol-

rativo i l pensiero. L'immagine cinematografica deve evere un effettorl i choc sul pensiero e spingere i l pensiero stesso a pensarsi e a pensare

il tutto. E la definizione stessa del sublime.Ma esiste un secondo momento che va dal concetto all 'afferro, c,

che ritorna dal pensiero alf immagine. Si tratta di restituire al proces-

so intel let tuale la sua "pienezza emozionale" o la sua "passione".

Non solo i l secondo momento è inseparabile dal primo, ma non si può

tli lc quale sia i l primo. Chi viene prima, i l montaggio o l ' immagine-rnovimento? Il tr-rtto è prodotto dalle parti, ma anche viceversa: vi ècc:rchio o spirale dialettica, "monismo" (opposto da Ejzen5tejn al dua-lisrno griff i thiano). I l tutto come effetto dinamico è anche il presup-

lrosto clella propria causa, la spirale. Per questo Ejzenótejn ricorda co-sl i rntcmente che " i l c inema intel let tuale" ha come correlato " i l pen-

sicro scnsoriale" o "f intell igenza emozionale" e non vale nulla altri-rrrt 'nti. l , 'organico ha come correlato i l patetico. I1 grado più elevato,k'l la coscienza nell 'opera d'arte ha come correlato i l grado più profon-..l..r <lcl subconscio, secondo un "doppio processo" o dr.re momenti coe-sistcnti. In qr.resto secondo momento non si va più dall ' immagrne-mo-vinrcnto al chiaro pensiero del tut to ch'essa espr ime, s i va da un pen-

siclt, clel tutto, presupposto, oscLrro, alle immagini agitate, mescolate,. . ' l , t ' lo cspr imono. Da questo punto di v ista le immagini formano unarrr:rssir lr lastica, una materia segnaletica carica di tratti d'espressione,visivi, scrnori, sincronizzati o non sincronizzati, zigzag di forme, ele-nì( ' r ì t i ( l 'azione, gest i e prof i l i , sequenze asintat t iche. Sono una l ingua,, rrrr 1'rcrrsicro primitivi, o piuttosto un monologo interiore, un monolo-

rr,,, cl, lrro, che opera per figure, metonimie, sineddochi, inversioni, at-t r ; rz iorr i . . . Fin dal f in iz io Ejzenétejn pensava che i l monologo inter iore

tlo1,11ssg la propria estensione e portata più nel cinema che nella lette-r '1r tur ' r ì , n-ra io f imi tava ancora al" 'corso^del pensiero di un uomo". È

rrt ' l r l iscorso clel l9i5 che 1o scopre come adeguato all 'automa spiritua-It , cioò all ' intero fi lm. I l monologo interiore oltrepassa il sogno, vera-nr('ntc troppo individuale e forma i segmenti o le maglie di un pensie-r() r 'c1r l l ì rente col let t ivo. Svi luppa una potenza d' immaginazione patet i -

t r r c l rc va [ ino ai conf in i del l 'universo, un" 'orgia di rappresentazionist ' r ,sor i r r l i " , unzr musica v is iva che fa massa, gett i d i panna, fontane, l ' r r r ' ,1rrrr l r r t t ' t i t tose, fuochi zampi l lant i , z igzag che formano ci f re, comerr.. ' l lrr lrrn'rosa sequenza della Linea generale. Poco fa, si andava dall ' im-rrr , rg i r rc-c l roc al concetto formale e cosciente, ora, invece, dal concetto

. l i , l i r r rorrr : rggio", c soprat tut to nel d iscorso del 1915, "La forma cinematograf ica: pro-l r lcrni r t r tovi" .

l is

inconscio all ' immagine-materia, all ' immagine-figura, che I'incarna eproduce a sua volta choc. La figura dà alf immagine un carico affetti-vo che raddoppierà lo choc sensoriale. I due momenti si confondono,si _stringono, come nella crescita della Linea generale in cui i zigzag dicifre restituiscono il concetto coscientet.

Anche in questo si noterà che Ejzen5tejn dialettizza un aspetto mol-to generale del l ' immagine-movimento e del monraggio. Che I ' immagi-ne cinematografica proceda per figure e ricosruisca una specie di pen-siero primitivo è comune a molti autori, in particolare a Epstein: an-che quando il cinema europeo si accontenta del sogno, del fantasma odella fantasticheria, ha I'ambizione di portare alla coscienza i rneccani-smi inconsci del pensiero". E vero che la capacità metaforica del cinemaè stata messa in discussione. Jakobson sottolineava che il cinema è dipreferenza metonimico, in quanto procede essenzialmente per giustap-oosizione e contiguità: non possiede il potere proprio della metaforadi dare a un "soggetto" il verbo o 7'azione di un altro soggetto, devegiustapporre i due soggetti e dunque sottomettere la metafora alla me-tonimiaT. II cinema non può dire come il poeta: "mani che foglieggia-no"; deve mostrare per prima cosa delle mani che si agitano, poi déilefoglie che svolazzano. Ma questa limitazione è solo paizialmeÀte vera.E vera se si assimila l' immagine cinematografica a uÀ enr.rnciato. È fd-sa se si prende l' immagine cinematografica per quello che è, immagi-ne-movimento che può tanto fondere il movimento riportandolo al tut-to che esprime (metafora che ricollega le immagini) quanto dividerloriportandolo agli oggetti ra cui si insedia (metonimia che separa leimmagini). Ci sembra dunque esarto affermare che il montaggio diGriffith è metonimico, mentre quello di Ejzenótejn metafori.òt. Separliamo di fusione, non lo facciamo solo pensando alla sovrimpressio-ne come mezzo tecnico, ma a úna fusione aÍfettiva che, nei termini diEjzenòtejn, si spiega in quanto due immagini distinte possono avere lestesse armoniche e formare così la metafora. La metafora è definita

t Cfr. "La centrifuga e il calice del Graal", in La natura non indifferente, Venezia.Marsi l io, 1q81. pp. 42-56.

. 6.-Epstein insiste spesso sul la merafora (da lui prendiamo I 'esempio seguente, di

Apoll inaire, " le mani fogl ieggiano", I , op. ci t . , p. 68 e segg.).' ( ,1r . la conversazione di Jakobson, che introduce al proposi to molre sfumarure, in

Cinéma: théorie..., op. cit. Jean Mitry, da parte sua, propone una nozione complessa: ilc inema non potrebbe procedere per metafora, ma per "espressione metaforica-fondatastr una metonimia", in "Cinématographe", n. 83, novembre 1982,p.11..

ò Bonitzer, Voici, in "Cahiers du cinéma", n.27), gennaio 1977. Gance e L'FIer-bier si avvalgono ugualmente di un montaggio metaforico: la scena della convenzione eIe te mpesta, in Napoleone,la scena del la Borsa e i l cielo, ne L'argent.In Gance la tecni-ca delle sovrimpressioni che superano le possibilità di percezioné serve a formare le ar-nroniche del l ' immagine-

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appunto dalle armoniche dell ' immagine. L'esempio di una metaforaautentica nel cinema si trova in Staóka (Sciopero) di Ejzenétejn: lagrande spia del padrone è dapprima mostrata capovolta, a testa in giù,con le immense gambe che si elevano come due tubi che finiscono inonù pozzanghera d'acqua, in alto nello schermo; poi si vedono le dusciminiere della fabbrica che sembrano sprofondare in una nuvola. Etrna metafora con doppia inversione, perché la spia è mostrata prima erìrostrata capovolta. Pozzangltera e nuvola, gambe e ciminiere hannole stesse armoniche: è una metafora mediante montaggio. Ma il cine-nra ottiene anche metafore nell ' immagine e senza montaggio. In pro-

lrosito, la più bella metafora della storia del cinema si trova in un fi lmrrrrrericano, The Nauigator (Il nauigatore), di Keaton, in cui il protagoni-sta con lo scafandro, asfissiato, morente, annegato nello scafandro, sa-li r laldestramente salvato dalla fanciulla. Per assicurarsi la presa' leiI.r prende fra le gambe, riesce finalmente ad aprire con un taglio dit 'oltello i l costume, da dove sfugge un torrente d'acqua. Mai immagineò r' irrscita a rendere così bene la metafora violenta di un parto, con ta-glio cesareo e rottura delle acque.

Il jzenòteln aveva un'idea simile quando distingueva i casi di compo-sizione affettiva, uno in cui la Natura rif lette lo stato del protagoni-stir, con due immagini con le medesime armoniche (per esempio unaNir t r r ra t r is te per un protagonista t r is te);1 'a l t ro, p iù di f f ic i le, in cuitrn,r sola immagine capta le armoniche di un'altra che non è data (per

t'scn'r1rio I 'adulterio come "crimine", con gli amanti che fanno i gestit l i rrna vitt ima immolata e di un assassino pazzo)". A volte la metaforai' cstrinseca, a volte inrinseca. Ma, in entrambi i casi, la composizio-lìc l lon esprime solamente i l modo in cui i l personaggio si vive, espri-nrc arrche il modo in cui I 'autore e lo spettatore lo giudicano, integra i lpcnsiero nell ' immagine: quel che EjzenStein chiamava "la nuova sfera.lcl la retorica fi lmica, la possibil i tà di esprimere un giudizio sociale;rstratto". Si eiabora un circuito che comprende insieme l 'autore, i ll i lrn e lo spettatore. I l circuito completo comprende dunque lo chocscrrsoriale che ci rnnalza dalle immagini al pensiero cosciente, poi i l

'' I:jzcnitejn ammira Tolstoj (e Zola) per aver saputo comporre I'immagine in modo, Lr i r r t tgrrrv i Ia maniera in cui i personaggi sentono e penseno se stessi , c in cui I 'autore

l i 1,cnsa: così g l i abbracci "cr iminosi" d i Anna Karenina c Vronski j . Questa vol ta, i l"1,r ' i i rc ip io composi t ivo" non si espr ime più in un' immagine ad eco (una natura t r is te,

, r r r ' i l l r r r r r inazi t . rne t r isre, una music: t t r is te pt ' r un protagonis la t r isre. . . ) . ma si espr ime

t l i lc l t r rmcnte nel l ' immagine, cfr . Forna.. . , op. c i t . , pp. l )4-1 '40. Non sembra tut tavia

clr t l l jzcnútejn stesso abbia ot tenuto immagini c1i questo t ipo. Procede piut tosto con i l

l,r'inro mezzo, risonanza o eco. Analogamente Renoir, ne La Béte humaine (L'angelo t)el

uttt/ò, o ne La scanzpagnata. L'IIerbier, al contrario, giunge a una composizione intrin-

s('('1r corì f e stupefacenti immagini dello stupro ne L'homnte du large (La giustizia del na-

r , l ì ' , \ lupro come omicidio.

IN0

pensiero per figure che ci riporta alle immagini e ci restituisce unochoc affettivo. Fare coesistere i due, congiungere i l più alto grado dicoscienza con il l ivello più profondo d'inconscio: l 'automa dialettico.Il tutto non cessa d'essere aperto (la spirale), ma per interioúzzare lasuccessione delle immagini, tanto quanto per esteriorizzarsi in questasuccessione. L'insieme forma un Sapere, alla maniera hegeliana, chericollega l ' ímmagine e i l concetto come due movimenti ciascuno deiquali muove verso l 'altro.

Esiste ancora un terzo momento, altrettanto presente nei due pre-cedenti. Non più dall ' immagine al concetto e dal concetto all ' immagi-ne, ma l ' identità di concetto e immagine: i l concetto è in sé nell ' im-magine, l ' immagine è per sé nel concetto. Non più l 'organico e i l pate-tico, ma il drammatico, i l pragmatico, la prassi o i l pensiero-azione.

Questo pensiero-azione designa il rapporto fra I'uomo e il mondo, fta1'uomo e la Natura, I 'unità senso-motoria, ma elevandola a una poten-za suprema ("monismo"). I l cinema sembra avere una vera vocazioneal riguardo. Come dirà Bazin, I'immagine cirrematografica si contrap-pone alf immagine teatrale in quanto va dal fuori al dentro, dalla sce-na al personaggio, dalla natura all'uomo (anche se muove dall'azioneumana, ne muove come da un fuori, anche se muove dal volto umano,ne muove come da una Natura o da un paesaggio) t". È tanto più adat-ta quindi a mostrare la reazione dell 'uomo sulla Natura, o I 'esterioriz-zazione dell 'uomo. Nel sublime esiste un'unità senso-motoria fra laNatura e I'uomo, tanto che la Natura dev'essere chiamata la non-indif-

ferente. E quanto esprime già la composizione affettiva o metaforica,per esempio nella Corazzata Potdmkin, in cui tre elementi, I'acqua, laferra e l 'aria estrinsecano armonicamente una Natura esteriore in lut-to attorno alla vitt ima umana, mentre \a reazione dell 'uomo si ester-nerà nello sviluppo del quarto elemento, i l fuoco, che porta la Naturaa una nuova qualità, nell 'avvampamento rivoluzionario". Ma ancheI'uomo passa a nuova qualità, diventando il soggetto collettivo dellapropria reazione, mentre la Natura diventa I 'oggettivo rapporto uma-no. I l pensiero-azione pone contemporaneamente I 'unità fra la Naturae I 'uomo, I ' individuo e la massa: i l cinema come arte delle masse. An-che per questo Ejzenétejn giustif ica i l primato del montaggio: i l cine-ma non ha come soggetto I ' indiv iduo, né come oggerro un in l reccio ouna storia; ha come oggetto la natura e come soggetto le masse, I ' indi-viduazione di massa e non di una persona. Il cinema riesce là dove ilteatro e soprattutto l 'opera avevano tentato senza esito (La coraTTataPotèmkin e Oktjabr', Ottobre): giungere al Dividuale, cioè individuare

r" Bazin, Che cosa è. . . , op. c i t . , pp. 168-174.' ' Ejzenitejn, La natura..., op. cit., pp.2$-245.

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una massa in quanto tale, invece di lasciarla in una omogeneità quali-tativa o ridurla a una divisibilità quantitativa".

Ancora più interessante è vedere come Ejzenétejn risponde alle cri-t iche che gli saranno rivolte dagli stalinisti. Gli viene rimproverato dinon cogliere I 'elemento veramente drammatico del pensiero-azione, di

l)resentare i l legame senso-motorio in modo esteriore e molto genera-lc, senza mostrare come si annoda nel personaggio. La crit ica è insie-nrc ideologica, tecnica e polit ica: Ejzen5tejn si ferma a una concezioneirlealista della Natura, che sostituisce "la storia", a una concezioneprevaricatrice del montaggio, che schiaccia l ' immagine o i l piano, arrrra concezione astratta delle masse, che occulta l 'eroe individuale co-scicnte. Ejzenétejn comprende molto bene di che si tratta e procede arrrr'arrtocrit ica dove prudenza e ironia fanno a gara.E il grande discor-so clel 1915. Sì, ha sbagliato i l ruolo dell 'eroe, cioè del Partito e deistroi capi, perché restava troppo esterno agli avvenimenti, semplice os-s('rvatore o compagno di strada. Ma era i l primo periodo del cinemasovietico. orima della "bolscevizzazione delle masse" che fa nasceret'roi indiviàuali e coscienti. Tuttavia non tutto era brutto in questo

lrrirno periodo, che rende possibile i l successivo. Questo dovrebbec()nscrvare i l montaggio, a costo di integrarlo meglio nell ' immaginecosì come nella recitazione dell 'attore. Ejzenéte;'n stesso stava per oc-t 'rrlrarsi di eroi veramente drammatici, luan i l Teryibile, Aleksandr Neu-sAlf, pur conservando la precedente acquisizione, la non-indifferenzarlclla Natura, I ' individrnzione delle masse. Tutt 'al più poteva far no-trrle che i l secondo periodo aveva prodotto, f ino a quel momento, sol-t:rnt.o opere mediocri e rischiava, se non vi si faceva attenzione, disrrrrrlr irc la specificità del cinema sovietico. Bisognava evitare che il ci-rrcrnrr sovietico si riallacciasse a ouello americano. soecialista in eroii r rc l iv ic lual i e azionidrammatiche.. .

[ ' , proprio vero che nel cinema dell ' immagine-movimento i tre rap-

lrrrrt i fra cinema e pensiero si ritrovano dappertutto i lrapporto con untutto pcnsabile soltanto in una presa di coscienza superiore, il rapporto(ott ult pensiero raffigurabìle soltanto nello sur.tlgintento subconscio delleìnntugini, il rapporto senso-motorio tra il mondo e l'uomo, la Natura e il

1.' f I tcatro e l'opera incontrarono il problema: come evitare di ridurre la folla a unarì ì r ìssrr compatta anonima, ma anche a un insieme di atomi indiv idual i? Piscator, a tea-l rrr, Iaceva subire alle folle un trattamento architettonico o geometrico che sarà ripreso,f , r l c inema espressionista e in part icolare da Fr i tz Lang nel le organizzazioni ret tangola-r i, t riangolari o piramidali di Metropolìs, ma è una folla di schiavi. Cfr. Lotte Eisner, Lo

'r ' l , t ' r tnr . t t lemctniaco, Roma, Edi tor i Riuni t i , 1983, pp. 151-156. Debussy esigeva di p iù

l', r I'olrera: voleva che la folla fosse un centro di individuazioni {isiche e mobili, irridu-. i l r i l i a qtrel le dei suoi membri , cfr . Barraqué, Debussy, Par ig i , Seui l , 1962, p. 159. E, l r r r r r r to E jzenètejn real izza al c inema; la condiz ione è che le masse divent ino soglet to.

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pensiero. Pensiero critico, pensiero ipnotico, pensiero-azione. Agli al-tri, e soprattutto a Griffith, Ejzenétejn rimprovera di aver mal conce-pi to i l tut to, perché si at tenevano a una diversirà d ' immagini senzagiungere alle opposizioni costituenti, d'aver composto male le figure,perché non giungevano a vere e proprie metafore o armoniche, d'averridotto l'azione a melodramma. perché si attenevano a un eroe indivi-duale colto in una situazione psióologica più che sociale". Mancavano,insomma, di pratica e teoria dialettiche. Resta il fatto che il cinemaamericano, a suo modo, dispiegava i tre rapporti fondamentali. L'im-magine-azione poteva andare dalla situazione all 'azione o, \,iccvcrsa,dall'azione alla situazione, era inseparabile da atti di comprensione,mediante i quali I 'eroe valutava i dati del problema o della situazione,oppure da atti di inferenza, mediante i quali intuiva ciò che non eradato (così, I'abbiamo visto, le folgoranti immagini-ragionamento diLubitsch). E questi atti di pensiero nell' immagine si prolungavano inuna doppia direzione, rapporto delle immagini con un tutto pensaro,con delle figure del pensiero. Ritorniamo a un esempio estremo: il ci-nema di Hitchcocl< ci è parso la perfezione stessa dell' immagine-movi-mento proprio perché supera I'immagine-azione verso le "relazionimentali" che la inquadrano e ne formano la catena, ma nel contemporitorna all ' immagíne secondo "relazioni naturali" che compongonouna trama. Dall' immagine alla relazione e dalla relazione all ' immagi-ne: in questo circuito sono comprese tutte le funzioni di pensieó.Conformemente al genio inglese, non si tratta certo di una dialettica,ma di una logica di relazioni (che spiega in particolare il fatto che il"suspense" sostituisca lo "choc") ' '. E,sistono quindi molti modi concui il cinema può attuare i propri rapporti con il pensiero. Ma questitre rapporti sembrano ben definiti a livello delf immagine-movimento.

2. Come suonano strane, oggi, le importanti dichiarazioni di Ejzen-òtejn, di Gance: custodiamo come dichiarazioni da museo tutte le spe-rzrnze riposte nel cinema, arte delle masse e nuovo pensiero. Si puòsempre dire che il cinema è annegato nella nullità delle proprie produ-zioni. Cosa diventano il suspense di ll itchcock, lo choc di Ejzen5teln,il sublime di Gance, quando sono ripresi da autori mediocri? Quandola violenza non è più quella dell' immagine e delle sue vibrazioni, ma.luella del rappresentato, si cade in un arbitrario sanguinolento, quan-clo la grandezza non è più quella della composizione, ma una pura e

1' (ì fr . Ejzenitejn, "Dickcns, Grif f i th e noi", in Fr.trma... , op. ci t . . Rimprovera a( ìr i f f i th di non giungere a un vero e proprio "monismo" dialett ico.

' ' ln Bonitzer si rova un confronto generale I l i tchcock-Ejzenótejn, part icolarmen-tc in funzione del primo piano, cfr. Le champ aueugle, , tp. , ' i t .

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semplice dilatazione del rappresentato, non vi è più eccitazione cere-brale o nascita del pensiero. Si tratta piuttosto di una deficienza gene-ralizzata nell 'autore e negli spettatori. Eppure la mediocrità dell 'epocanon ha mai ostacolato la grande pittura: ma ciò non val più nelle con-clizioni di un'arte industriale, in cui la proporzione delle opere esecra-bil i mette direttamente in causa gli scopi e le capacità più essenziali. I lcinema muore dunque della propria mediocrità quantitativa. Esistetuttavia una ragione ancora pir) importante: I 'arte di massa, i l tratta-nlento delle masse, che non doveva essere separato da un accesso dellenrasse al t itolo di vero e proprio soggetto, è incorso nella propaganda errclla manipolazione di Stato, in una sorta di fascismo che univa II i-t ler a lJollywood, Hollywood a Il i t ler. L'automa spirituale è diventa-to I 'uomo fascista. Come dice Serge Daney, sono le "grandi messin-sccne polit iche, le propagande di Stato divenute tableaux uiuants, le

1,r' ime manipolazioni Llmane di massa", e la loro radice profonda, ir 'rrnrpi di concentramento, ad aver messo in questione tutto i l cinema..lcl l ' immagine-movimento". Campana a morto per le ambizioni del"r,ccchio cinema": non, o non solo, la mediocrità e la volgarità della

1,r'ocluzione corrente, piuttosto Leni Riefensthal, che non era medio-t 'r 'c. Se poi si accetta la tesi di Viri l io, la situazione è ancora peggiore:rron vi ò stata deviazione, alienazione in un'arte delle masse che l ' im-rrrrrsilrc-movimento avrebbe in un primo tempo fondato, al contrarioI' irrrrnagine-movimento è legata fin dall ' inizio all 'organizzazione dt

ltucr'fa, alla propaganda di Stato, al fascismo corrente, per storia e es-st'nziì ' ' ' . Queste due ragioni congiunte, la mediocrità dei prodotti, i lf rrscismo della produzione, possono spiegare molte cose. Per un breverÌì()nìt: nto Artaud "crede" nel cinema e moltiplica le dichiarazioni chest'nrbrano coincidere con qr.relle di Ejzenétejn o di Gance, arte nuova,pc'nsiero nuovo. Ma molto presto rinuncia. "I l mondo imbecil le dellei r r r ruagini preso come nel v ischio in mir iadi d i rét ine non completeràrrr : r i I ' inrrnagine che ci s i è potut i fare di lu i . La poesia dunque che può

ì ' Se rge l )anev, La rdmpe, op. c i t . , p. 772.r" l )arr l Vir i l io mostra come i l s istema clel la guerra mobi l i t i Izr pcrcczione norì meno

, l , l l . u lnr i e c lc l le azioni : così la fotograf ia e i l c inema att raversano la guerra e sono ac-t i r l r l r i : r tc con lc armi (per esempio la mitragl iatr ice). Vi sarà sempre più una messl t îscend, l t ì t r rnrpo cl i bat tagl ia, a l la quale i l nemico r isponde non pi i r con una mimet izzazione,r ì ì i r ( ' r l l lu l2r contro-messinsccna (s imulazioni , t rucchi , oppure gigantesche i l luminazioni, l , l l , r r l i lcsa acrea). Ma è tut ta la v i ta c iv i le e passzìre sot to i l segno del la messrnscena,rr t l r t 'g in-rc fascista: " i l poterc reale è ormai div iso t ra la logist ica del le arrní e quel la del-I , inrnrrrgini e dei suoni" ; e, f ino al la f ine, Cloeblrels sognerà c l i sr . rpcrarc I lo l lywoocl ,L l r t orr la c i t tà-c i r rema moderna in oooosiz ione al la c i t tà- teatro ant ica- I Ì c inema a suar, , l t ' r ' r r l r r ' r r r 5( \ l r '55o vcrso I ' imlnrgine elct t ronica, c iv i le tanto ( Ìuanto mi l i tare in un( ()nrl)lcsso nrilitare-industriale. Cfr. Guerre et cinéma I, Logìstiquc de La parceptir,tn,Pari

r1 i . ( , r rh icrs c lu c inéma-Edit ions de l 'Etoi le, 1984.

t8. i

sprigionarsi da tutto questo non è che una poesia eventuale, la poesiad.i ciò che potrebbe essere, e non è dal cinàma che bisogna attènder-. , , | ;s l . . .

Esiste forse una terza ragione, in grado stranamente di restituire lasperanza dell'eventualità di pensare al cinema attraverso il cinema. Bi-sogna studiare con maggior precisione il caso di Artaud, che potrebbeassumere un'importanza decisiva. Perché, per il breve periodo in cuivi crede, Artaud sembra a prima vista ripiendere i gràndi temi clel-l ' immagine-movimento- nei suoi rapporti con il p.nsie1o. Dice esatta-mente che il cinema deve evitare due scogli, i i cinema sperimentaleastratto, che si sviluppava all 'epoca, e il cinema figurativo commercia-le, imposto da Hollywood. Afferma che il cinem"a è questione di vi-brazioni neuro-fisiolog-iche e che f immagine deve produ.r" uno choc,un'onda nervosa che faccia nascere il pensiero, "ferché il pensiero èuna levatrice che non sempre è esistita;'. Il pensieio non ha^altro fun-zionamento che la slra stessa nascita, t.-pi. la ripetizione della pro-pria nascita, occulta e profonda. Dice che I'immagiie ha dunque comeoggetto il funzionamento del pensiero e che il funzionamento'del oen-siero è anche il vero e proprio soggerro che ci riporta alle immagini.Aggiunge.che il sogno, così come si manifestava-nel cinema europeoispirato al surrealismo, è un'approssimazione interessante, ma insuffi-ciente.per questo scopo: il sogno_è una soluzione troppo facire per il' problema" del pensiero. Artaud crede di più in un'ìdeguazione fracinema e scrittura automatica, purché si ammetta che la ,.iitt.,ru nuto-matica non è affatto assenza di composiziong, ma controllo superioreche unisce il pensiero critico e conscio all ' inconscio del pensierò: I'au_toma spirituale (cosa molto diversa dal sogno, che unisè la censura ouna rimozione a un inconscio di pulsione). Aggiunge che il suo punrodi vista fortemente anriciparore rischia di .sièi. fiainteso, anche claisurrealisti, come testimoniano i suoi rapporti con Germaine Dulac,che osci l la, per parre sua, t ra un cinema astrat to e un cinema-sosno, ' .

.r/ Antcrnin Arta.cl, "La vccchiaia precoce clel cinema", in A propos du cinótta. .\crit-t i t l i c ixema, Firenze, l , ibcroscambio, 1981, p. 59: è i l testo c l i . , i t t , i .o.o,- , i l c inema clelt9)) .

. ró Tutt i qucst i tcmi sono svì lLrppat i ncl tomo I I I delre oeuures complètes, pp. l ) -44.

A propxrsito d.ella Coquilte ct le clergtman, la sola scencggiatura cl'rc'fu reaiizzata (cla( ìcrmaine Dulac), Artaud cl ice in,4 propos.. . , r . tp. cì t . : la-speci f ic i tà del c inema è la v i -l r razione come "nasci ta occul ta del pensiero"; q i resto "ptrò rassomigl iare

" o j fo. . r1tu.r i

, r l la rneccanica di r rn s.gno.senza esscre un sol l l1o.rr , r r t . r ro"; è " i l ìavoro p, i - .1.1 p.n-sicro". l,'attcggiamento cli Artaucl verso la realizzazione di Germaine òula. rni.u,rrrolte clttestioni cl.re sono sÍàte 'ànalizz,rte cla O. e A. Virmaux, Les surréalistes cl le cìné-t t t t r , Par ig i , Seghcrs, 197(r . Artaud r icorclerà costantementc che ò i l pr imo f í lm surreal i -5t i l i c l ' improvererà a Brr i ìuel e a ( locteau di accontentarsi del l 'arÉi t rar ietà c lc l sogno\( )L: t turcs rrr , op. c i t . , pyt . 270-272). Scmbra che quanto r improvera ugualmente a ( ìer-

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A prima vista niente contrappone queste dichiarazioni di Artaud a.luelle di Ejzenétejn: dalf immagine al pensiero vi è lo choc o la vibra-,.ion., che deve far nascere il pensiero nel pensiero; dal pensiero al-l ' immagine vi è la figura, che deve incarnarsi in una specie di monolo-go interiore (più che in un sogno), in grado di restituirci lo choc. Ep-pure in Artaud c'è qualcosa di completamente diverso, una constata-zione di impotenza, che non verte ancora sul cinema, ma definisce alcontrario il vero e proprio oggetto-soggetto del cinema. Il cinema nonrrnticipa la potenza del pensiero, ma il suo "non-potere", e il pensieronon ha mai conosciuto altro problema. Appunto questo è molto pirìirnportante del sogno, questa difficoltà a essere, questa impotenza nelcuore del pensiero. Di ciò che al cinema i nemici del cinema rimprove-liìvano (cóme George Duhamel, "non posso più pensare ciò che vedo,lc immagini in movimento si sostituiscono ai miei stessi pensieri"),Altaud fa I'oscura gloria e la profondità del cinema. Non si tratta in-lrrtti a suo parere di una semplice inibizione che il cinema ci apporte-lcbbc clal di fuori, ma di questa inibizione centrale, di questo crollo epictrificazione interiori, di questo "furto dei pensieri" di cui il pen-sicro è continuamente vittima e agente. Artaud smetterà di credererrt'l cinema quando penserà che il cinema sfiori a lato le cose e possa('r'('ru-c soltanto 1'astratto, il figurativo o il sogno. Ma crede nel cinemalirrché ritiene sia essenzialmente adatto a rivelare questa impotenza a

lx'nsare nel cuore del pensiero. Prendiamo le sceneggiature concrete,li Artaud, il vampiro di 32,11 pazzo de La réuolte du boucher (La ri-v,rltrr clel macellaio) e soprattutto il suicida de les dìx-huit secondes (I

tliciott<'r secondi) il protagonista "è diventato incapace di cogliere isrroi pensieri", "è ridotto a non veder passare dentro di sé che delleirrrnragini, un sovrappiù di immagini contradditorie", gli è stato "ru-lrrrto il suo spirito". L'automa spirituale o mentale non viene definito,i,rllrr possibilità logica di un pensiero che dedurrebbe formalmente le

lrlolrrie idee le une dalle altre'". Ma nemmeno dalla potenza fisica dirrrr pctrsiero che faremmo salire in circuito con I'immagine automatica.l,'rrLrtoma spirituale è diventato la Mummia, questa istanza smontata'prrr',Jîzzata, pietrificata, raggelata, che testimonia l"'impossibilità del

rrlri;e I)rrlac sia d'aver forzato La coquille et le clergjman nella direzione di un semplice

' , ( ) l l I ì ( ) . .

" i . , in.1. ,esto senso che la t radiz ione f i losof ica (Spinoza, Leibr-r iz) assume I 'automa.,1, i r . i r t r i r le : c 'ome Valéry in Monsieur Tesfe. Jacques Rivière accosta Artaud a Valéry, ma

, rrn6 r le i lpmerosi controsensi che commette, nel la fam6sa corr ispondenza ( tomo I) .

hrrr . i ichi [Jno ha ef f icacemente mostrato l 'opposiz ione racl icale Valéry-Artaud a propo-, , i t , , t le l l ' : r t r tomaspir i tuale: Artaudet l 'espacedesforces,pp.15-26(tesi Par isVII I ) .

I16

pensare che è il pensiero"'0. Si dirà che I'espressionismo ci aveva giàabituati a tutto questo, furto di pensieri, sdoppiamento di personalità,pierificazione ipnotica, allucinazione, schizofrenia galoppànte. Ma dinuovo si rischia di sottovalutare I'orisinalità di Artaud: non è oiù iipensiero che si confronra con i l r imos*so, I ' inconscio, i l sogno, Ia ses-sualità o la morte, come nell'espressionismo (e anche nel sulrealismo),sono tutte queste determinazioni che si confrontano col Densiero co-me "problema" più al to, o che entrano in rapporto con I ' indetermina-bile, l ' inevocabile''. L'ombelico o la mummia, non sono più il nucleoirriducibile del sogno contro il quale urta il pensiero, ro.ro al conrrarioil nucleo del pensiero, "ìl rovescio dei pensieri", contro il quale glistessi sogni urtano e rimbalzano, si sbriciolano. Mentre I'espressioni-smo fa subire alla veglia un trattamento norrurno, Artaud fà subire alsogno un trattarnento diurno. Al sonnambulo espressionista si oooone ilvegliambulo di Artaud, nei Dix-huit secondei o ne La coquirie et lcclergyman.

Malgrado la somiglianza superficiale dei termini, esiste dunque unacontrapposizione assoluta tra il progetto di Artaud e una conèezionecome quella di EjzenÈtejn. Si rratra proprio, come dice Artaud, di"congiungere il cinema con la realtà intima del cervello", ma questarealtà intima non è il Tutto, al contrario, è una fessura, un'incrinatu-ra". Finché crede nel cinema, gli attribuisce non il potere di far pen-sare il tutto, ma al contrario una "forza dissociatriòe" che introàur-rebbe una "figura del nulla", un "buco nelle apparenze". Finché cre-de nel cinema, gli attribuisce non il potere di riiornare alle immagini edi concatenarle secondo le esigenze di un monologo interior.

" Il .it-

mo delle metafore, ma di "sconcatenarle" secondo voci multiole. dia-loghi interni, una voce sempre dentro un'altra voce. Insom*u, Arturrdscompigl ia I ' insieme dei rapport i c inema-pensiero, da un lato non esi-ste più un tutto pensabile mediante montaggio, dall'altro non esistepiù monologo interíore enunciabile mediante immasine. Si direbbeche Artaud capovolga 1'argomentazione di EjzenÉtein: se è vero che il

_ 20 Véroniqy: Tacquin ha {att. un'analisi molto approfonclita del cinema <ìi Dreyer,

invocando quella che chiama la Mummia (Pctur une théorie tlu pathétique cinéntatogra'phi'-qne, tesi Par is VII I ) . Non si avvale di Artaud, ma di Blanchot, che gl i è af f ine. A. t" . rdaveva introdotto la Mrnrmia già in alcuni passaggi d i Bi lbo4trct . Le anal is i J i Véronique' l 'accluin aprono a tut to uno svi luppo cinematograf ico del tema del la Mummía_

'r "La sessual i tà, i l r imosso, I ' inconscio noÀ mi sono mai sembrat i spiegazione suff i -c icnte_d_el l ' ispi37ion9 o del lo spir i to. . . " , in A propos.. . , op. c i t . , p. l12).

12. Maurice Blanchot, "Artaud", ne I l t ibrà aienire, j 'or ino, 'EinaJdi , 1969, pp. 17_'1, : Artaud rovescia " i termini del movimento", mette in pr imo piano " la pr ivazìone, erron più la " total i tà immediata" di cui quel la pr ivazione par.uu dappt ima la sempl icenrancanza. Quel che viene prima, non è la pienezzadell'essere, ma I'incrinatura e la fes-tr t ra. . . " .

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pensiero dipende da uno choc che 1o fa nascere (i l nervo, i l midollo),non può più pensare che una sola cosa, il fatto cbe noi ancora fton pen-

siamo,l ' impotenza a pensare i l tutto come a pensare se stesso, pensie-ro sempre pietrif icato, dislocato, crollato. Un essere del pensiero sem-pre a venire è quanto, in forma universale, scoprirà l-Ieidegger, ma an-che quanto Artaud vive come il problema più individuale, i l più pro-priot'. Da Heidegger a Artaud, Maurice Blanchot sa restituire a Ar-taucl la questione fondamentale di ciò che fa pensare, di ciò che forza

" lr.rrurè, ciò che Íorza a pensare è "i l non-potere del pensiero", la fi-

gura del nulla, f inesistenza di un tutto possibile da pensare. Quel cheIl lanchot diagnostica ovunque nella letteratura, si ritrova in modoparticolare nel cinema: da un lato la presenza di un impensabile nelpensiero, che sarebbe insieme quasi la sua fonte e i l suo sbarramento;dall 'altro la presenza all ' infinito di un altro pensatore nel pensatore,clre spezza ogni monologo interiore di un io pensante. Ma la domandaò in cosa tutto ciò riguardi essenzialmente i l cinema. Forse è la do-nrirnda della letteratura, o della fi losofia, o anche della psichiatria. Main cosa è la domanda del cinema, vale a dire una domanda che lo toccarrclla sua specificità, nella sua differenza rispetto alle altre discipline?N<rr-r esiste infatti una stessa maniera di trattarla, sebbene si riffovi al-tfove con altri mezzi. Chiediamo qual'è i l mezzo del cinema per af-lrontarc questa domanda del pensiero, della sua essenziale impotenzac rl i cluernto ne deriva. E vero che il cattivo cinema (e a volte anche illrrron cinema) si accontenta di uno stato di sogno indotto nello spetta-t()fc, opplrre, secondo molte altre analisi, di una partecipazione imma-girrar ia. Ma I 'essenza del c inema, che non è la general i tà dei f i lm, hat'onrc obiettivo più elevato i l pensiero, nient'altro che il pensiero e i lsrr<r f r rnzionamento. Al r iguardo,Taforza del l ibro diJean-Louis Sche-f cr'ò cl 'aver risposto alla domanda: in che cosa e come il cinema con-('( ' fnc un pensiero la cui caratteristica è di non essere ancora? Egli dicet' lrc l ' immagine cinematografica non appena assume la propria aberra-zionc di movimento, opera una sospensione di mondo, o colpisce i l visi-lr i lc ccrn un disturbo che, lungi dal rendere i l pensiero visibile, comevoleva Ejzenétejn, si rivolgono al contrario a ciò che non si lascia pen-srrre nel oensiero così come a ciò che non si lascia vedere nella visione.Iìorsc non è i l "crimine" come crede Schefer, ma solamente la poten-'tt tlcl falso. Egli dice che con il cinema il pensiero è messo di fronte;rl l ir lrropria impossibil i tà e tuttavia ne trae una più alta potenza oba-

' ' (.fr. I leidegger, Che cosa sìgnifica pensare?, op. cit., pp. 18-19: "Il più considere-t , ,b ì 'chc noì ancora non pensiamo; cont inuiamo ancora a non pensare, ( . . . ) benché la s i -l r r rz iorrc c lc l monclo c l ivent i sempre più preoccupante. ( . . . ) I l pìù considereuole nel la no'\/ttt .lìoclt prcoccupante è chc noi ancora non pensiamo" .

I r t

se. Aggiunge che la condizione del cinema ha un solo equivalente: nonla partecipazione immaginaria, ma la pioggia quando si esce da una sa-la cinematografica, non il sogno, ma il buio e l ' insonnia. Schefer è af-fine ad Artaud. La sua concezione del cinema attualmente si sposapienamente con I 'opera di Garrel: grani danzanti che non sono fattiper essere visti, polvere luminosa che non è una prefigurazione di cor-pi, f iocchi di neve e coltri di fuliggine". A condizione di riuscire a di-mostrare, in modo convincente, che opere di tal genere, lungi dall 'es-sere noiose o astratte, rappresentano quanto di più divertente, anima-to, inquietante si possa fare al cinema. Oltre alla grande scena del mu-lino e della f arina bianca che si accumula alla fine di Varnpyr (Il uampi-ro) di Dreyer, Schefer propone l 'esempio dell ' inizio di Kumonosu-jo(Iltrono di sangue, Macbeth) di Kurosawa: i l grigio, i l vapore, la nebbiacostituiscono "tutto un aldiqua dell ' immasine" che non è un velo in-distinto posato dinnanzi alle cose,

-u "un'p.rsiero senza corpo e sen-

za immagine". Questo era il caso anche del Macbeth di \X/elles, doveI' indiscernibil i tà della terra e del mare, del cieio e della tera, del benee del male, formava una "preistoria della coscienza" (Bazin) che face-va nascere i l pensiero dalla sua stessa impossibil i tà. Non erano forsegià le nebbi. di Od.rro, malgrado le intenzioni di EjzenStejn? Più delmovimento, è la sospensione del mondo, secondo Schefer, a offrire alpensiero i l visibile, non come un oggetto, ma come un atto che conri-nuamente nasce e si sottrae nel pensiero: "non che si tratti qui di pen-siero diventato visibile, i l visibile è affetto e irrimediabilmente infettodal l ' incoerenza pr ima del pensiero. quesra qual i rà incoat iva". È l " d.-scrizione de17'uomo colnutîe tlcl cinema: I 'automa soirituale. "uomomeccanico", "fantoccio sperimentale", ludione che è in noi, cclrposconosciuto che abbiamo soltanto dietro la testa e la cui età non è néla nostra né quella della nostra infanzia, ma un frammento cli tempoallo stato puro.

Se questa esperienza del pensiero riguarda essenzialmente (anche senon esclusivamente) i l cinema moderno, è in primo luogo in funzionedel cambiamento che concerne I ' immagine: l ' immagine non è più sen-so-motoria. Artaud, da un punto di vista specificatamente cinemato-grafico, è un precursore in quanto invoca "vere e proprie situazionipsichiche nelle quali i l pensiero si incunea e cerca una sotti le via d'u-scita", "delle siiuazioni puramente uisiuc e il cui dramma deriverebbecìa un urto costitutivo per gli occhi, attinto, se così si può dire, nellasostanza stessa dello sguardo"". Ora questa rottura senso-motoriatrova la propria condizione più in alto e risale a una rottura del lega-

r I Jean-l,ouis Schcfer, L' hr.tmmc ordìnaire..,, op. cìt., pp. 11) -1T.' ì5 Artaud, Apropos.. . , op. c i t . , p. 40, 20.

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me fra uomo e mondo. La rottura senso-motoria fa dell 'uomo un ves-gente colpito da qualcosa di intollerabile nel mondo e confrontato con.lrraicosa di impensabile nel pensiero. Tra i due, i l pensiero subiscerrrìa strana pietrif icazione, che è come se fosse la sua impotenzaafun-zionare, a essere, la privazione di se stesso e del mondo. Non è infattiin nome di un mondo migliore o più vero che il pensiero coglie l ' intol-lcrabile in questo mondo, al contrario, i l pensiero non può píù pensarerrn mondo né pensarsi in quanto questo mondo è intollerabile. L'intol-lerabile non è più una più grande ingiustizia, ma lo stato permanenterli rrna banalità quotidiana. L'uonto stesso fton è un mondo diverso darltrclìo in cui sente I ' intollerabile e si sente incastrato. L'automa spiri-trrale è nella situazione psichica del veggente, che vede tanto meglio etrrrrto più lontano di quanto non possa reagire, vale a dire pensare.(Jrral è allora la sotti le via d'uscita? Credere non a un altro mondo,rrra al legame fra uomo e mondo, all 'amore o alla vita, credervi comerrll ' impossibile, alf impensabile, che tuttavia può essere soltanto pensa-to: "un po'di possibi le, sennò soffoco". Questa credenza fa del l ' im-

l)crìsato 7a pofenza propria del pensiero, per assurdo, in virtù dell 'as-srrrclcr. Artaud non ha mai considerato I ' impotenza a pensare comerrnrr semplice inferiorità che ci colpirebbe in rapporto al pensiero. Ap-

lrirrt icne al pensiero, sicché dobbiamo farne i l nostro modo di pensare,s(' lìzî pretendere di ripristinare un pensiero onnipotente. Dobbiamo

l)iuttosto servirci di questa impotenza per credere alla vita e trovarel' iclcrrtità tra pensiero e vita: "penso allavita, tutti i sistemi che potròt't l i l ' icare non eguaglieranno mai le mie urla d'uomo occupato a úfareI:r lrropria vita..." Vi era in Artaud un'affinità con Dreyer? Drever,rrrr Artaud al quale la ragione sarebbe stata "rest i tu i ta", sempre invirt ir cìell 'assurdo? Drouzy ha mostrato la grande crisi psichica, i lvi:rggio schizofrenico di Dreyer2". Ma, meglio, Véronique Tacquin haslrl)uto dimosffare come la mummia (1'automa spirituale) ossessioni isrrtri ult imi f i lm. Questo era già vero per Il uampiro dove la mummiairl) l)ariva come la forza diabolica del mondo, vampiro essa stessa, maiurche come I'eroe incerto, che non sa cosa pensare e sogna la propria

lrie trif icazione. In Ordet la mummia è diventata i l pensiero stesso, lagiovane moglie morta, catalettica: è 1l pazzo di famiglia a ridarle vita eiìrÌìorc, proprio perché ha smesso di essere pazzg, cioè di credere séun,rltro mondo e sa, ora, cosa significa credere... E Gertrud infine a svi-Irrlrpare tutte le implicazioni e i l nuovo rapporto del cinema con il

I 'cnsiero: la situazione "psichica" che sostituisce ogni situazione sen-

" ' Mert in Drouzy dà un' interpretazione strettamente psicoanali t ica dei disturbi diI ) r ' t r ,cr: Carl '1.h. Dreyer né Nihson, Parigi, Ed. du Cerf , 1982, pp. 266-27 l , in corso dit r i r ( luzione per i t ip i del la Ubul ibr i .

I , )0

so-motoria; la perpetua.rottura del legame con il mondo, il buco per-pe-tuo nelle apparenze, incarnato nel falso raccordo; ra cattura deli'in-tollerabile stesso nel quotidiano o nell' insignificante (la lunga scena incarrellata che Gertrud non potrà sopportaie, i l iceale ch. à purro ca-denzato, come automi, vengono a fèlicitare il poeta d'aver ltro inse-gnato I'amore e la libertà); I' incontro con l' impensabire che non puònemmeno essere derto, ma cantato, fino al punto di scomparsa di Ger-trud;-la pietrificazione, la "mummificazioÀe" della proiagonista cheprende coscienza della credenza come pensiero dell' impensàbil. (,,songiovane? no, ma ho amato. Son bella? no, ma ho amatà. Son viva? no,ma ho amafo") . In tut t i quest i sensi Gertrud inaugura un nuovo cine-ma, il cui seguito sarà. Europa il di Rossellini, che esprime la sua Dosi-z ione: meno i l mondo è umano, piu spetta al l 'ar t isra credere e farcre-dere a un rapporto dell'uomo con il mondo, perché il mondo è fattodagli uominiz'. L'eroina diEuropa )1, mummià che irradia teneÍezza.

c,erto, fin dalf inizio, il cinema ha avuto un rapporto speciale con lacredenza. Esiste una cartolicità del cinema (vi iàno molti autori di-chiaratamente cattolici, anche in America, e quelli che non lo sonohanno rapporti complessi con il cattolicesimo) . îrlon vi è forse nel cat_tolicesimo una.grande messinscena e, perfino nel cinema, un culto chesi sostituisce alle cattedrali, come diceva Elie Faure?". Il cinema sem-bra interamente compreso nella formula di Nietzsche, "in che cosasiamo ancora devoti". o piuttosto, fin dall' inizio, il cristianesimo e larivoluzione, fede cristiana e fede rivoluzionaria, furono i due poli cheatt i rarono l 'ar te deJle masse. L ' immagine cinematograf ica infat t i , adifferenza del teatro, ci mostrava il legame fra I'uom"o e il mondo. Sisviluppava quindi sia nel senso di una trasform azione del mondo daprrte dell'uomo, sia nella scoperta di un mondo inferiore e superioreche l'uomo stesso era... Non si può dire oggi che questi clue poli si sia-no indeboliti: una cerra camolicità continùà a ispiiare numeiosi aurorie la passione rivoluzionaria è passata nel cinema clel terzo mondo.Tuttavia i'essenziale è cambiato, e vi è altrettanta differ enza fra 1l cat-tolicesimo di Rossellini o di Bresson e quello di Ford, quanra fra il ri-voìuzionarismo di Rocha o di Gúney e quello di Ejzenétejn.

Il fatto moderno è che noi non ciediarno più in questo monclo. Noncrediamo neppure agli avvenimenti che ci aìcadont, l 'amore. la mor-te, come se ci riguardassero solo a metà. Non siamo noi a fare del ci-

2r Roberto Rossellini, conversazione , in La politìque des auteurs, parigi, cahiers ducinéma-Edit ions de l 'etoi le, 1984, pp. 65-68.28 Si farà riferimento al libro à Agel.e Ayfre, Le cinéma et le sacré, parigi, Ed.duce.rf, .1951, e agli studi strlla passioi du christ comme thème cìnéruatografhique, in"Etucles c inématographiques", n. 10-11, I961.

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nema, è i i mondo che ci appare come un brutto fi lm. A proposito di

I lande à part (Separato magnetico) Godard diceva: "Sono persone rea-

li, è i l mondo che sta per proprio conto. E i l mondo a non essere sin-

cfono, loro sono giusti, sono veri, rappresentano la vita. Vivono una

storia semDlice. è i l mondo attorno a loro che vive una brutta sceneg-

giatura"". È i l legame fra uomo e mondo a essersi rotto; è questo le-

game quindi a dover diventare oggetto di credenza: l ' impossibile che

ì-,uò .t i.r. restituito soltanto in una fede. La credenza non si rivolge

iriù a un mondo alffo o trasformato. L'uomo è nel mondo come in una

iituazione ottica e sonora pura. La reazione di cui I 'uomo è privato

ouò essere sostituita unicamente dalla credenza. Solo la credenza nel

mondo può legare l 'uomo a ciò che vede e sente. Bisogna. che. i l cine-

ma fi lrni, .toti i l mondo, ma la credenza in questo mondo, i l nostro

unico legame. Ci si è spesso interrogati sulla natura dell ' i l lusione cine-

matograTica. Restituirci credenza nel mondo, questo è i l potere del ci-

n.-u"-od.rno (quando smette d'essere brutto) . Cristiani o atei, nella

nostra universale schizofrenia, abbiarruo bìsogno dì ragioni per credere in

questo tuondo. È un'intera conversione della credenza. Da Pascal a

Ni.tzsche, era poi questa la grande svolta della fi losofia: sostituire i l

modello del sapère càn la...d..tzu'". Ma la credenza non sostituisce i l

sapere che quàndo si fa credenza in questo mondo, così com'è' Con

Di.yer, . pói .on Rossell ini, i l cinema compie la stessa svolta' Nelle

sue ultime opere Rossell ini non si interessa dell 'arte, cui rimprovera

d'essere infanti le e lamentosa, di cullarsi in una perdita di mondo:

vuole sostituirvi una morale che ci restituisca una credenza in grado di

pefpetuare la vita. Rossell ini conserva certo ancora I ' ideale del sapere,

Àon abbandonerà mai quest' ideale socratico. Ma ha bisogno appunto

di fondarlo su una credenza, una fede semplice nell 'uomo e nel mon-

c1o. Che cosa ha fatto di Giouanna d'Arco al rogo un'opera fraintesa?

II fatto che Giovanna d'Arco ha bisogno d'essere in cielo per credere

ai brandell i di questo mondo". Solo dall 'alto dell 'eternità può_ credere

in questo mondo. In Rossell ini troviamo un capovolgimento della cre-

deiza cristiana, come massimo paradosso. La credenza, anche con i

suoi personaggi sacri, Maria, Giuseppe e i l Bambino è sempre pronta

u purrur. dalia parte dell 'areo. In Godard I ' ideale del sapere, I ' ideaie

2'' Cfr. Je an Collet, Jean-Luc GodanJ, Parigi, Seghers, 19(r7, pp.26'27 ''0 Nel la f i losof ia, la sost i tuzionc del la credenza al sapere avviene in autor i a lcuni

ancora devot i , mentre al t r i opefdno una conversione atea. Di qui l 'esistcnza di co1-rpie:

Pascal- I Iume, Kant- I ì ichte, Kierkegaard-Nietzsche, Lecluicr-Renouvier. Ma, anche nei

devot i , Ia creclenza non si volge r ' " r r , , un al t ro mondo, è diret ta a questo: la fede secon-

do Kie rkegaard, o anche seconclo Pascal rest i t t l isce I 'uomo e i l rnondorr Cfr ." l 'eccel lente anal is i d i Claude Beyl ie, Procà:^ de Jeanne d'Arc, in "Etudes Ci-

nématographiques", n. 18-19, 1962.

7L)2

socratico ancora vivo in Rossell ini, crolla: i l "buon" discorso, del mi-l itante, del rivoluzionario, della femminista, del f i losofo, del registaeccetera, non è trattato meglio del cattivo". Si tratta infami di rito-vare, di restitr-rire Ia credenza nel mondo, aldiqua o aldilà delle parole.E sufficiente radicarsi nel cielo, foss'anche nel cielo dell 'arte e dellapittura, per trovare delle ragioni per credere (Passion)? O bisogna in-vece inventare un"'altezza intermedia" , fra terra e cielo (Prénom Car-men)? ". Di certo credere non è più credere in un altro mondo, né inun mondo trasformato. E solamente, semplicemente, credere al corpo.È restituire i l discorso al corpo e, per q.rÀto, raggiungere i l corpo pri-ma dei discorsi, prima delle parole, prima che le cose siano nominate:í1 "prenome", e perfino prima del prenome'u. Artaud non diceva nul-la di diverso, credere alla carne, "sono un uomo che ha perduto la pro-pria vita e che cerca in tutti i modi di farle riprendere i l suo posto".Godard annuncia .[e uous salue Marie : che cosa si sono detti Giuseppee Maria, che cosa si sono detti prima? Rendere le parole al corpo, allacarne. Al riguardo tra Godard e Garrel l ' influenza si scambia, o si ro-vescia. L'opera di Garrel non ha mai avuto alro scopo, servirsi diMaria, Giuseppe e i l Bambino per credere al corpo. Quando si parago-na Garrel ad Artaud, o a Rimbaud, vi è qualcosa di vero che va oltreuna semplice generalità. La nostra credenza può avere come unico sco-1ro "la carne", abbiamo bisogno di ragioni molto speciali che ci faccia-no credere al corpo ("gii Angeli non hanno modo di conoscere percheogni vera conoscenza è oscura. . . " ) . Dobbiamo credere al corpo, macome al germe di vita, al seme che fa spaccare i selciati, che si è con-servato, perpetuato nella sacra Sindone o nelle bende della mummia eche testimonialavita, in questo mondo così com'è. Abbiamo bisognocli un'etica o di una fede, e questo fa ridere gli idioti; non è un biso-r-rno di credere a qualcosa d'altro, ma un bisogno di credere a quesronrondo qui, di cui gli idioti fanno parre.

tr Serge Daney, rry. cit., p. 80: "A quanto l 'altro dice, asserisce, proclama, preclica,( ì .c larc l r isponde senrpre con quanto w al t ro al t ro dice. Esiste semprc un grandè scono-: t iLr t . nel la sua peclagogia, i l fat to ò che la natura del rapporto che'egl i l - ra con i sutr i/ ,aoir l c l iscorsi (quel l í chc di fende, ad esempi. i l d iscorso

' raoista) è indecidibi le" .

" Alain Bergala, Les ai lcs d ' lcare, in "Cahiers du cinéma", n. l5) , 1984, p. 8' Ì l )aney mostra che, in ragione del lo statuto dei d iscorsi in ( ìodarcl , i l solo "buon"

, l is t ' t r rso è quel lo che si può renderc o rest i tu i re ai cor;r i : è la stor ia di Icì et a i l leurs.I ) , rnclc la necessi tà di g iungcrc al le cose e agl i esser i "pr ima che l i s i chiami", pr i r r ia di, ' r r r r i t l iscorso, pcrché proclucano i l loro: cfr . la confcrenzzi d i Venezia, st Préictm C.dr-, / t ' / t . i \ " ( ì inématographc", n. 95, 1981 (e icomment i d i LoLr is Aucl ibert , ib idcm, p.I i ) , "v i ò in qr. testo f i lnr una grancle l i l rer tà che è quel la di una crcclenza ( . . . ) . Le t racce,1, ì r ' , . .c lo prese nel la te la f i lmica, of fer tc come un'al t ra parola, evangel ica ( . . . ) . l ì i t ro-r , r rL i l monclo presuppone cl i r i tornale aldiqua dei codic i . . . " ) .

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i . (.)rrt.sto ò i l primo aspetto del nuovo cinema: la rottura del lega-me s(' lrs() rnotorio (l ' immagine-azione) e pir) in profondità del legamefra u.., ' e mondo (grande composizione organica). I l secondo aspettosarà la rinuncia alle figure, tanto metonimia quanto metafora, e piùprofondamente la dislocazione del monologo interiore come materiasegnaietica del cinema. Per esempio, a proposito della profondità dicampo, così come viene inauguratada Renoir e.ù7e11es, si è potuto os-servare che apriva al cinema una nuova strada, non più "figurativa"metaforica oppure metonimica, ma pirì esigente, più costringente, inqualche modo teorenzatica. E quanto dice Astruc: la profondità dicampo ha un effetto fisico da spartineve, fa entrare e uscire i perso-naggi dalla cinepresa, oppure dal fondo della scena, e non più in lungoe in largo; maha anche un effetto mentale da teorema, fa dello svolgi-mento del f i lm un teorema e non più un'associazione d'immagini, ren-cJe i l pensiero immanente all ' immagine". Lo stesso Astruc ha impara-to la lezione di \7elles, la"caméra-stylo" rinuncia alla metafora e allanrctonimia da montaggio, scr ive con moviment i d i macchina, r ipresetlall 'alto, riprese dal basso, riprese di spalle, compie una costruiione(l,c ritleau cramoisi, La tenda scarlatta). Non c'è più posto per la meta-lora, non c'è più nemmeno meronimia, perché la necessità propria deilrrppor_ti di pensiero nell ' immagine ha sostitr-rito la conriguirà dei rap-lrolt i cl ' immagini (campo-controcampo). Se ci si chiede quale autoreiisirr rraggiormente impegnato in questa direzione teorematica, ancheirrrl ipendentemente dalla profondità di campo, qllesto è Pasolini: intrrttrr Ia slra opera forse, ma particolarmente in Teorema e in Salò o le120 ,giornate di Sodoma che si presentano come dimosf.razioni geome-tl iclrer in arto (l ' ispirazione sadiana di Salò deriva dal fatto che, già inSrrcle , le f igure corporee insopportabil i sono strettamente subordinate

'reli svilrrppi di una dimostrazione). Teorems o Salò pretendono di far

sc'srrire aì pensiero le strade della propria necessità e di portare I ' im-nrrrgine al punto in cui essa diventa deduttiva e automatica, di sosti-trrirc i concatenamenti formali del pensiero ai concatenamenti rappre-scrìtativi o figurativi senso-motori. E possibile che in tal modo il cine-nlrr grunga a un vero e proprio rigore matematico, che non concernepiir sernplicemente I ' immagine (come nel vecchio cinema che già lasottometteva a rapporti metrici o armonici), ma al pensiero delf imma-r:. ir ic, al pensiero nell ' immagine? Cinema della crudeltà, di cui Artaudtliceva che "non racconta una storia, ma sviluppa una serie di stati

' ' Alexandre Astruc, in L'art tJi cìnéma, cli Pierre Lherminier, op. cit., p. 589: "L'e-splcssione del pensiero è i l problema fondamentale del c inema".

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dello spirito che si deducono gli uni dagli altri come il pensiero si de-duce dal pensiero" "'.

- Non è forse questa la via che Artaud espressamente rifiutava, quel-

la concezione che respingeva, dell'automa spirituale che concatenapensieri, di cui avrebbe la potenza formale, in un modello del sapere?Bisogna forse capire qualcosa d'altro, tanto nell'opera di Paioliniquanto nei progett i d i Arraud. Esistono infarr i due i i tanze maremari-che che rinviano costantemente una a77'altra, una avvolgendo I'altra,I'altra insinuandosi nell'una, entrambe però molto diversé malgrado laloro unione: il teorema e il problema. un problema risiede trél t.o..-ma e gli dà vita, pur destituendone la potenza.Il problematico si di-stingue dal teorematico (o il costruttivismo dall'assibmatico) in quantoil teorema sviluppa rapporti interni di massima con conseguenze, men-tre il problema fa intervenire da fuori un avvenimento, iblazione, ag-giunta, sezione, che costituisce le proprie condizioni e determina il"caso", o i casi, così come I'ellisse, l ' iperbole, laparaboTa, le rette, ilpunto sono i casi di proiezione del cerchio su dei piani secanti, in rap-porto alla sommità di un cono. Quesro fuori del problema non si ridu-ce più all 'esteriorità del mondo fisico che alf interiorità psicoloeica diun io pensante. Già La tenda scar/atta di Astruc ia intervenir..in p.o-blema insondabile più che un reorema: qual è il caso della raga)za?Cosa è successo perché la ragazza silenziosa si conceda e nemmenospieghi la malattia di cuore di cui muore? Vi è una decisione da cui di-pende tutto, più profonda di qualsiasi spiegazione possibile. (Analoga-mente la donna-tradirice in Godard: nella sua decisione aualcosa àl-trepassa la sempl ice volontà di dimostrare a se stessa di non essere in-namorata). Come dice Kierkegaard, "i movimenti profondi dell'animaclisarmano la psicologia", proprio perché non vengono dal di dentro.l,a forua di un autore si misura nel modo in cui sa imDorre ouesrol)unto problematico, aleator io, e però non arbirrar io: grazie al caso. Inrluesto senso va compresa la deduzione di Pasolini ii Teorema, dedu-zione più problematica che teorematica. L'inviato del fuori è l ' istanza:r l)artire dalla quale ogni membro della famiglia sente un avvenimento. affetto decisivi, che costituisce un caso deL problema. o la sezione dirrna figura iper-spaziale. Ogni caso, ogni seziòne, sarà considerata co-rfrc una mummia, la fíglia paralizzata, la madre fossllizzata nella pro-1,r.ii.r ricerca erotica, il figlio con gli occhi bendati che urina sul proprio,1,r,r.lro, la serva in preda alla levitazione mistica, il padre animalizza-r(), naturalizzato. A dar loro vita è il fatto di essere proiezioni di unIrr.ri che li fa passare gli uni negli altri, come proiezioÀi coniche o me-r:lnìoffosi. In Salò, al contrario, non esiste più problema perché non

' " Artaud, A propos... , op. cìt . , p. 40.

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esiste più fuori: Pasolini mette in scena non tanto il fascismo in uiuo,ma il fascismo agli estremi, racchiuso nella piccola città, ridotto a unapura interiorità, che coincide con le condizioni di chiusura in cui sisvolgevano le dimostrazioni di Sade. Salò è un puro teorema morto,Lrn teorema della morte, come voleva Pasolini, mentre Teorerrta è unlrroblema vivo. Per questo I'insistente ricorso di Pasolini, in Teorema,a un problema verso il quale tutto converge, come verso il punto sem-pre estrinseco del pensiero, il punto aleatorio, il leitmotiv del film:"sono ossessionato da una domanda alla quale non so rispondere".LLrngi dal rendere al pensiero il sapere, o \a certezza interiore che glinranca, la deduzione problematica immette nel pensiero l' impensato,perché lo destituisce di ogni interiorità per scavarvi un fuori, un rove-scio irriducibile, che ne divorano la sostanzart. Il pensiero si trova tra-scinato dall'esteriorità di una "credenza", fuori da ogni interiorità diurì sapere. Era questo il modo di Pasolini d'essere ancora cattolico?Iira, cli contro, il suo modo d'essere ateo radicale? Non si è strappatalrr crcdenza a ogni fede per renderla a un pensiero rigoroso, come conN ictzsche?

Sc il problema viene definito da un punto del fuori, si comprendo-rro rncglio i due valori che il piano-sequenza può assumere, profondità(Wclles, Mizoguchi) o pranezza (Dreyer e spesso Kurosawa). Come lasornmità del cono: quando è occupato dall'occhio, ci troviamo di fron-tr'lrroiezioni piane o contorni netti che si subordinano la luce; quandoirrvccc è occupato dalla fonte luminosa stessa, siamo in presenza di vo-Irrnri, ril ievi, chiaroscuri, concavità e convessità che si subordinano ill ) rrnto di v ista in una rípresa dal l 'a l to o in una r ipresa dal basso. In(lucsto senso le zone d'ombra di \)íelles si contrappongono alle pro-slre ttive frontali di Dreyer (anche se Dreyer rn Gertrud, o Rohmer inI)crccual riescono a dare una curvatura allo spazio appiattito). Ma icltre casi hanno in comune la oosizione di un fuori come istanza che fa1'r ' , 'h lcma, la pro[ondi tà del l ; immagine è diventata puramente ot t icairr Welles, così come il centro dell' immagine piana è passato nel puro

l)unto di vista in Dreyer. In entrambi i casi, la "focahzzazione" è sal-t:rta fuori dell' immagine. Lo spazio senso-motorio che possedeva i1rr<r1rri fuochi e tracciava fra loro percorsi e ostacoli, si è rotto". Un

' ' l l tema del Fuori, e del suo rapporto con i l pensiero, è uno dei temi più costanti dif ilrrnclrot (in particolare L'infinito intrattenimento). In un omaggio a Blanchot, Michel! iorrcarr l t r iprende questo "Pensiero del di fuori", dandogli uno statuto pit ìr profondo di( lr i i ì l r tnque fondamento o principio intcriori , cfr. Scri t t i lettcrari , Milano, Felr inel l i ,l ')7 1 . Ne Le parole e l.e cose, Foucault analizz'a, il rapporto del pensiero con un "impen-srrtrr" che gl i è essenziale: Milano, Rizzol i , [)67 , p1:t. )41') i) .

's Ispirandosi al la concezione letteraria del la "focal izzazione" di Genette, Francoisf ost clistingue tre tipi possiblh rli ocularizzazione: inÌerna, quando la macchina sembra

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problema non è un ostacolo. Quando Kurosawa riprende il metodo diDostoevskij, ci mostra dei personaggi che cercano incessantementequali siano i dati di un "problema" ancoîa più profondo della situa-zione in cui si trovano presi: oltrepassa così i l imiti del sapere, ma an-che le condizioni dell'azione. Raggiunge un mondo ottico puro, dovesi tratta di essere veggenti, un perfetto "Idiota". La profondità di\X/elles è dello stesso tipo e non si definisce in rapporto a ostacoli ocose nascoste, ma in rapporto a una luce che ci fa vedere esseri e og-getti in funzione della loro stessa opacità. Così come la veggenza so-stituisce la vita, "lux" sostituisce "lumen". In un testo che non ha ri-levanza soltanto quanto all ' immagine piana di Dreyer, ma anchequanto alla profondità di Welles, I)aney scrive: "La questione di que-sta scenografia non è più: cosa c'è da vedere dietro? Ma piuttosto:posso sostenere con lo sguardo ciò che in ogni caso vedo? E che sisvolge su un solo piano?"'". Quel che vedo, in ogni caso, è la formuladell' intollerabile. Essa esprime un nuovo rapporto del pensiero con ilvedere, o con la fonte luminosa, che non cessa di porre il pensierofuori di se stesso, fuori del sapere, fuori dell'azione.

Il problema è caratterizzato dal fatto di essere inseparabile da unascelta. In matematica, dividere una linea in due parti ùguali è un pro-blema, perché la si può dividere in parti ineguali; sviluppare un trian-golo equilatero in un cerchio è un problema, mentre sviluppare un an-golo retto in un semicerchio è un teorema, in quanto in un semicer-chio tutti gli angoli sono retti. Ora, quando il problema riguarda de-terminazioni esistenziali e non questioni matematiche, è chiaro che lascelta si identifica sempre più con il pensiero vivente, con una decisio-ne insondabile. La scelta non riguarda più questo o quel termine, mail modo di esistenza di colui che sceglie. Questo era già il senso dellascommessa di Pascal: il problema non era scesliere tra I'esistenza ola

essere al posto del l 'occhio di un personaggio; esterna, quando sembra venire dal d i fuo-ri o essete autonoma; e "zero" quando sembra annullarsí a vantaggio di quel che mo-stra ( in "Communicat ions", n. l8) . Riprendendo la quest ione, Véronique Tacquin ar.tribuisce molta importanza all'ocularizzazione zero: nc fa il scgno distintivo clegli ulti-nr i l i lm di Dreyer, in quanto incarnano l ' is tanza del Neutro. A noi sembra che la foca-l izzaztone interna non r iguardi solo un personaggio, ma ogni centro presenre nel l ' im-rnagine; come nel caso del l ' immagine-azione in generale. Gl i a l t r i c lue casi non si def in i -scono precisamente con I 'esterno e lo zero, ma quando i l centro è c l iventato puramenteott ico, s ia perché passa nel la sorgente luminosa (profondi tà di \X/el les), s ia perché pnssaucl punto di vista (pianezza di Dreyer).

" Daney, op. c i t . , p. 174. L ' importanz^ del l ibro di Danev dipende dal fat to che èrrno dei pochi a r iprendere la quest ione dei rapport i c inema-pensiero, tanto comunc al-l ' in iz io del la r i f lessione sul c inema, ma in seguiro abbandonata per dis incanto. Daney lel tst i tu lsce tut ta la sua portata, in rapporto al c inema contemporaneo, così come faI . r rn- l . ,onis Schefer.

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Tnon-csistenza di Dio, matta il modo di esistenza di colui che crede inDio e il modo di esisrenza di colui che non crede. Entruuunt addirit-tura in- gioco un numero ancora maggiore di modi di esistenza: c'eracolui che considerava I'esistenza di b"io come un teorema (il devoto),colui che ron s-apeva o non poteva scegriere (r'incerto, là'r..tti.o)...Insomma la scelta copriva untur.u vasta tanto quanto ii lr.nri..o, p..-ché andava dalla non-scelta alla scelta e urrrr.nìuu .rru ,t.rru fra sce-gliere e non scegliere. Kierkegaard ne trarrà iutie l;;;;;;;;. nze: rascelta, ponendosi tra scelta e ion-scerta (con tutte le uuriurr?i), ci rin-via a un rapporto assoluto con il fuori, oltre I'intirrra corci.rrru psicolo-gica, ma anche olrre il mondo esrerno relativo ed è la sola in giado direstituirci e il mondo e l' io. Abbiamo visto in precedenza come un ci-nema d'ispitazione cristiana non si accontentasse di applicare questeconcezioni, ma le scoprisse.come il più arto sogge*o aài ritÀ, in Dre-yer, Bresson o Rohmer: l ' identità fia pensieroi sc.lta come ietermi-nazione dell'indeterminabile. Gertrud ìt.rru passa attraverso tutti glistati, tra il padre che diceva che nella vita non si sceglie e I'amico chescrive un libro sulla scelta. I1 temibile uomo da-berr.-o il d.uoto (.ol,rlper il quale non c'è da scegliere), I' incerto o l' indiffere.ri. (.olur .h.non sa o non può scegliere), il terribile uomo del male (colui che sce-glie una prima volta, ,ma in seguito non può_ più sceglier;,

";n può ri_

peter.e la propria,scelta), infiÀe l'uomo d"ilà ,..itu'.-àJil"-... denza(colui che .sceglie la scelta o la rinnova): è un cinema dei modi di esi-stenza, dello scontro fra questi modi e del roro rapporto .on un fuo.icla cui dípendono insieme il mondo e I'io. euesro pìn,o i.ii,ro.i è lugrazia, o il caso? Rohmer,riprende, p., proprio .onio, gli stadi kierke_gaardiani "sul cammino della vita", lo rtudìo estetico 3i-i)-"iottrrtion_rteuse (La collezionista), lo stadio etico di Le beau mariape tti tret matri-nonio) e lo stadio religioso di Ma nuit chez Maud (L,a'nià ,orr, ,o,Muud) o soprattutto di perceual*". Anche Dreyer uuàu^ p.r.oiso i di-

r0 Dappertutto in Rohmer, come in Kierkegaard, la scerta si pone in funzione del"nrarrimonio" che definisce lo stadio etico (Cùtes moraux). Mu àldiqt,u viJlo stadiot'sretic. e aldilà lo stadio religioso. euest'urtimo testimonia ,r; ;;;;l;.h;"nor, ..rrurrert\ di scivolare nel caso comè.punto aleatorio. euesto ..u già unf.lol* É..rrnn. tl ,r.'1'1 clel febbraio lL)79 di "cinémato.graphe" ded-icato a Ro-úmer unuk"ru bene questa; j ' l l i l : t : i i r i .ne

caso-grazia: cfr. gl i art icol i di Carcassone, Jacques Fieschi, I iélènefr()krn(ìvskl ,esoprarrurrol)evi Ì lers(" i lcasoancheèforsei l sóggeìtosegreto d,el laMia'/"t :r ( trn Maud: i l caso merafisico vi rcsse i l proprio enigma n.Tior.o dEIln n"r.u,on..r l r r i rvcrso Ia scommessa di pascal , tema già o\rbozrntn. l i l 1, iano,, , " , .n.L ' . f_re rratra, l i I ' r , 'babi l i rà matemat iche.. ( . . . ) .Soro Maud, che gi . . r - i ' i g i" .ó d , r l rà 'o ' . r ì i , q" . r ro: l , l l i - l : r .^

e ,propria

scelra, si esi l ia in unu sfortuna al; ; ; ; p;"r;Jul, . ì i r , l i^ f , a;f_1.1"n,11 Jf lo.t.r,;,..o.piuta dei Contes moraux e la serie Comédies et prou"erbes, ci sem_rìriì !-ne lLontes abbranoancora una struttura da teoremi brevi, mentrè iprouerbes asso-r ì ì rHl tno sempre pru a problemi.

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versi stadi della certezza troppo grande del devoto, della certezza folledel mistico, delf incertezza dell'esteta, fino alla semplice credenza dicolui che sceglie di scegliere (e resrituisce il mondo e la vita). Bressonritrovava gli accenti di Pascal per mostrare l'uomo da-bene, l 'uomodel male, l ' incerto, ma anche I'uomo della grazia o della coscienza discelta (il rapporto con il fuori, "il vento soffia dove vuole"). In tutti etre i casi non si tratta semplicemente di un contenuto del film: è laforma-cinema secondo qu.rìi autori, che è atta a rivelarci questa piùalta determinazione del pensiero, la scelta, questo punto più profondodi ogni legame con il mondo. Dreyer svolge allora il regno dell' imma-gine piana e recisa dal mondo, Bresson il regno dell' immagine scon-nessa e frammentata, Rohmer quello di un'immagine cristallina o mi-niaturizzatq solo per raggiungere la quarta o quinta dimensione, loSpirito, colui che soffia dove vuole. Con Dreyer, Bresson, Rohmer, intre modi diversi, abbiamo un cinema dello spirito che continua a esse-re più concreto, più affascinante, più divertente di ogni altro (vedi ilcomico in Dreyer).

E il carattere automatico del cinema a conferirgli questa attitudine,per differenza dal teatro. L'immagine automatica esige una nuovaconcezione del ruolo o dell'attore, ma anche del pensiero stesso. Sce-glie bene, sceglie effettivamente soltanto colui che è scelto: potrebbeessere un proverbio di Rohmer, ma anche una didascalia di Rresson,r.rn'epigrafe di Dreyer. L'insieme è costituito dal rapporto tra I'auto-rnatismo, l ' impensato e il pensiero. La mummia di Dreyer era separatacla un mondo esteriore troppo rigido, troppo pesante o troppo superfi-ciale, ma era tuttavia pervasa di sentimenti, di un eccesso di senti-mento, che non poteva né doveva esprimere all 'esterno, ma che saràrivelato a partire dal fuori più profondo''. In Rohmer la mummia falx)sto a una marionetta, mentre i sentimenti fanno posto a un"'idea"ossessiva, che la ispirerà da fuori, a costo di abbandonarla per resti-I rr i r la al vuoto. Con Bresson compare un terzo stato, in cui l 'automa èlrtrro, privo tanto di idee quanto di sentimenti, ridotto all 'automati-snro di gesti quotidiani segmentalizzati, ma dotati d'autonomia: è queielrc Bresson chiama il "modello" tipico del cinema, Vegliambulo au-It'rrtico, in opposizione all 'attore di teatro. Proprio dell'automa cosìlrrrlificato si impossessa il pensiero del fuori, come I'impensabile nel

1 ( ì1r . per l 'appunto i comment i d i Rohmer a proposi to di Ordct d i Dreyer, in "Ca-l , r , r . t lu c inéma", n.55, gennaio 1956. V. Tacquin, c l l . , scr ive: "Dreyerrepr imele ma-rrr l r " ' l r tz ioni ester ior i del v issuto interno del ruolo. . . Anche nel le af fezioni corporee piùlr . r l i t l t ' i pcrsonaggi , non si nora né vert ig ine né parossismo ( . . . ) , i l personaggio che haI r( ( \ 'ut( \ i colpi senza accusar l i perde bruscamente la propr ia consistenza e s i accascia, , , l l ( l l l ì SI ÌCC(1".

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pensieror'. La questione è molto diversa da quella dello straniamento;è quella dell 'artomatismo propriamente cinematografico e delle sueconseguenze. E l 'automatismo materiale delle immagini a far sorgereda fuori un pensiero che esso impone, come l ' impensabile per i l nostroautomatismo intellettuale.

L'automa è reciso dal mondo esterno, ma esiste un fuori più pro-fondo che lo animerà. La prima conseguenza è un nuovo statuto delTr.rtto nel cinema moderno. Non sembra esistere tuttavia una grandedifferenza tra ciò che diciamo ora, i l tutto è i l fuori, e ciò che diceva-mo del cinema classico, i l tutto era l 'aperto. L'aperto si confondeva pe-rò con la rappresentazione indiretta del tempo: ovunque c'era movi-mento, c'era, aperto in qualche parte, nel tempo, un tutto che muta-va. Per questo I ' immagine cinematografica aveva essenzialmente unfuori campo che rinviava da un lato a un mondo esterno attualizzabilein altre immagini, dall 'altro a un tutto mutevole che si esprimeva nel-I ' insieme delle immagini associate. Anche il falso raccordo poteva giàagire, e prefigurare i l cinema moderno; ma sembrava costituire sola-mente un'anomalia di movimento o un disturbo d'associazione, che ri-velavano l 'azione indiretta del tutto sulle parti dell ' insieme. Abbiamovisto questi aspetti. I l tutto non cessava quindi di costituirsi, nel cine-ma, interiorizzando le immagini e esteriortzzandosi nelle immagini,secondo una duplice alftazione. Era il processo di una totalizzazionesempre aperta, che definiva i l montaggio o la potenza del pensiero.

Quando si dice: "i l tutto, è i l fuori", la cosa si presenta in tutt 'alromodo. Innanzitutfo perché la questione non è più quella dell 'associa-zione o dell'attrazione delle immagini. Ciò che conta, al contrario, èI' interstizio tra immagini, ra due immagini: una spaziatura che fa sìche ogni immagine si srrappi al vuoto e vi ricadaut. La forza di Go-dard consiste non solo nell 'uti l izzare questa forma di cosffuzione intutta la sua opera (costruttivismo), ma di farne un metodo sul quale i l

-12 "L 'automat ismo del la v i ta reale", chc esclude i l pensiero, I ' intenzione, i l sent i -

mento, è uno dei temi costanti delle Nore sul cinematografit di Bresson, Venezia, Marsi-l io, 19(r8, pp. 31, 41, 61 , l l2. Per veclere come questo ùutomxt ist l - ìo st ia in un rapporto

essenziale con un luor i , cfr . p. ) ) ("model l i automat icamenre ispirat i , invent iv i") , p. ( r2

(" le cause non sono nei tuoi model l i " ) e p. 125 ("un meccanismo produce I ' ignoto") .'1r Prima clclla nouvelle vague, è Bresson acl aver portato alla perfezione cluesta nuo-

va maniera. Marie-Claire Ropars ne vede I'cspressione piir spinta in Au hasard, Baltha'

zar: "Scel to come immagine del caso, i l f i lo picaresco non è tut tavia suf f ic iente a fonde-

re I 'estremo spezzettamento del racconto; ogni sosta di Bal thazar presso un padrone

sembra anch'essa esplosa in f ramment i ognuno dei qual i , nel la sua brevi tà, parc strap-parsi a l vuoto per r icadervi subi to ( . . . ) . ( lo st i le f rammentante) ha la funzione di mette-

re f ra spettatore e mondo uno sbarramento, che trasmette le percezioni , ma ne f i l t ra lo

sfondo." E la rot tura con i l mondo, propr ia del c inema moderno. Ofr . L 'écran.. . , c. ,p.

c i t . , pp. 1 78 180.

200

cinema deve interrogarsi nel momento stesso in cui lo ut l l izz.a. l t i r ' tail leurs (Qui e altrove) segna un primo apice di questa rif lessi.nr. ', rr.rrsferita in seguito alla televisione, in Six fois deux. Si può semprc olrit. ltare, in reaìtà, che non esiste interst iz io se non tra immasini : rssrr t . i ; r t t .Da questo punto di vista, immagini come quelle di lci àt ail l t,trrs, t l,t.accostano Golda Meir a Hitler, non sarebbero sopportabil i. (2rrt.srrr t.la, prova, forse. che non siamo ancord matur i per una ver l r c l ) r . ( ì l ) r r : r" let tura" del l ' immagine vis iva. Perché nel metodo di Godarcl r rorr s it rat ta di un'associazione. Data un' immagine, s i f fat ta di sccsl i t . r t .un'altra immagine che inclurrà tra le due un interstizio. Non è rrn'o1rt.razione di associazione, ma di differenziazione, come dicono i rn:rtt.matici, o di "dispaÍazione" , come dicono i f isici: dato un potcnzirrlt ' ,bisogna sceglierne un altro, non uno qualunque, ma in moil.r trrk.r-lrt.tra i due si stabil isca una differenza di potenziale, un potenziale clrt.sia produttore di un terzo o di qualcosa di nuovo. Ici et ail leurs sct.1il i , 'la coppia f rancese che entra in contrasto con i l gruppo di fedain. I r r , r lt r i termini , è I ' interst iz io che viene pr ima r ispetto al l 'associazi()n(. , ( )ssia è ia differenza irriducibile che permette dí scaglionare lc sr)rriglianze. La fessura è diventata prima e, a questo titoló, si allargrr. Nt,rrsi tratta più di seguire una catena d'immagini, anche sopra a clci vrr,.,t i , ma di uscire dalla catena ossia dall 'associazione. I l f i lm smctre tl ' t .ssere " immagini a l la catena.. .un concatenamento in interrot to d ' i r r r r r r , rgini, schiave le une delle altre" e di cui noi siamo schiavi (Ici ct tt i lleurs). F, i l metodo del TRA, " f fa dr:e immagini" , che scongiru. : r , rgrr ic inema del l 'Uno. È i l metodo del l 'E, "questA e poi quel lo", 'c1, . . , . . . , , , ,g iura tut to i l c inema del l 'Essere = è. Tra due azioni , t ra due al ' l .cz i ' r r i ,tra due percezioni, tra due immagini visive, tra due immagini sorì()r.(.,tra sonoro e visivo: far vedere I ' indiscernibile, cioè la fror-rticr.rr (.\ ' lrfo is dcux). I l tut to subisce una mutazione, perché ha smesso cl 'css. . r . . . .I 'Uno-Essere, per divenire l " 'e" cost i tut ivo del le cose, i l t rer-c l t r t . e.s l itutivo delle immagini. I l tutto si confonde con ciò che Blanch.t clrirrrr-ra la "dispersione del Fuori" o "la vertigine della spaziaturu": 11rrt.sto vuoto che non è più una parte motrice dell ' immàgine e chc I ' irrrruagi t re ol t repasserebbe per cont inuare, ma che è la meisa in qrr t .sr i t , r r t .radicale dell ' immagine (proprio come esiste un silenzio che rrorr ì ' l , i irIrt parte motrice o la respirazione del discorso, ma la sua lnessa irr ,;rrt.stione radicale)o'. I l falso raccordo, allora, nel diventare leggc, irss.rìì(.ull senso nuovo.

Per quanto anche l ' immagine sia recisa dal mondo esterno, i l lrr,,r i( ' împo subisce a sua volta una mutazione. Quando il cinema ò. i l ir,..rr

" Maurice Blanchor, L'infinìto intruttenimento, Torino, Einaudí, 1977, 1r1, r,.),I (X)-102.

.lo l

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tato parlato, il fuori campo sembra aver trovato sulle prime una con-ferma dei suoi due aspetti: da un lato i rumori e le voci potevano ave-re un'origine esterna all ' immagine visiva, dall'altro una voce o unamusica potevano testimoniare il tutto mutevole dietro o aldilà delf im-magine visiva. Di qui la nozione di "voce fuori campo" come espres-sione sonora del fuori campo. Ma se ci si chiede in quali condizioni ilc inema trae le conseguenze del par lato, e diventa dunque davvero par-lato, tutto si capovolge: è quando il sonoro stesso diventa oggetto diun'inquadratura specifica che impone un interstizio con un'inquadratu-ra visiva. La nozione di fuori campo tende a scomparire a vantaggio diuna differenz^ t^ quel che è visto e quel che è udito, e questa diffe-renza è costitutiva delf immagine. Non esiste più un fuori campo. L'e-sterno dell' immagine è sostituito dall' interstizio tra le due inquadratu-re nell' immagine (Bresson fu un iniziatore anche in questo) '*t. Godardne trae appieno le conseguenze quando dichiara che il mixage spode-sta il montaggio, poiché è chiaro che il mixage non comporta solo unadistribuzione dei diversi elementi sonori, ma I'assegnazione dei lororapporti differenziali con gli elementi visivi. Gli interstizi proliferanodunque dappertutto, nell' immagine visiva, nell' immagine sonora, traimmagine sonora e immagine visiva. Questo non significa che il di-scontinuo prevalga sul continuo. Al contrario le interruzioni e ie rot-ture, al cinema, hanno sempre formato la potenza del continuo. Maavviene nel cinema quello che avviene in matematica, talora f interru-zione, cosiddetta razionale, fa parte di uno dei due insiemi che separa(fine dell'uno o inizio dell'altro) ed è il caso del cinema "classico"; ta-lora, come nel cinema moderno, I' interruzione è diventata l' intersti-zio, essa è irrazionale e non fa parte né dell'uno né dell'altro degli insie-mi, di cui uno non ha una fìne più di quanto l'altro non abbia un inizio:il falso raccordo è un'interruzione inazionale di questo tipou''. In Go-dard, quindi l ' interazione di due immagini genera o traccia una fron-tiera che non appartiene né all 'uno né all 'altro insieme.

Nel cinema, continuo e discontinuo non si sono mai contrapposti,come già mostrava Epstein. Si oppongono, o almeno si distinguono se

r5 S., l la cr i t ica dcl la nozione di "voce fuor i campo", cfr . Chateau e Jost , Nouueau

cìnému.. . , op. cì t . , p. j1 e seg. Sul la nozione di "quadro sonoro", cfr . Dominique Vi l -

la in, L 'oei l à la caméra, Par ig i , Cahiers du cinéma-Edit ions de I 'Etoi le, 1985, cap. IV.a" Albert Spaier ha dist into bene le c lue specie di sezione ar i tmet ica nel la teor ia dcl

cont inuo: "Ciò che c^r^t ter izzc, ogni sezione ar i tmet ica è la r ipart iz ione del l ' insiemc'

clei numeri razionali in una classe inferiore e una classe superiore, cioè in due raccoltt

tali che ogni termine della prima sia più piccolo di ogni termine della seconda. Ora ogrri

numero determina in modo ugr.rale una tale ripartizione. L'unica di{ferenza è che il zrr

mero razictnale deve sempre essere compreso sia nella classe inferiore, sia nella classc t,'

periore della sezione, mentre nessu'n nuruero ìrraziunale fa parte di trna delle due clrrssi

che separa", inLapensée ct la quant i té, Alcan, p. 1)8.

202

mai due modi di conciliarli, secondo la murazione del Tutto. In que-sto il montaggio riacquista i suoi diritti. Finché il tutto è la rappresen-tazione indiretta del tempo, il continuo si concilia con il discontinuosotto forma di punti razionali e secondo rapporri commensurabili (Ei-zenètejn ne trovava esplicitamente la teoria matematica nella sezioneaurea). Ma quando il tutto diventa lapotenza del fuori che passa nel-I' interstizio, esso è allorala presentazione diretta del tempo, o la con-tinuità che si concilia con la successione dei punri ftrazionali, secondorapporti di tempo non-cronologici. In questo senso già in \il/elles, poiin Resnais e anche in Godard, il montaggio acquista un nuovo senso,che determina i rapporti nelf immagine-tempo diretta e concilia lospezzato con il piano-sequenza. Abbiamo visto che la potenza del pen-siero faceva posto, allora, a un impensato nel pensiero, a tn irraziona-le proprio del pensiero, punto del fuori aldilà del mondo esrerno, main grado di restituirci credenza nel mondo. La domanda non è più se ilcinema ci dia I' i l lusione del mondo, ma in che modo il cinema ci resti-tuisce la credenza nel mondo. Questo punto irrazionaleèI'ineuocabiledi \)felles, 7'inesplicabile di Robbe-Grillet, l'indecidibile di Resnais,f impossibile di Marguerite Duras, o ancora quei che poremmo chia-marel'incommensurabile di Godard (tra due cose) .

Correlata al cambiamento di statuto del tutto, si ha un'altra conse-gtJenza, avviene una dislocazione del monologo interiore. Secondo laconcezione musicale di Ejzenétejn, il monologo interiore cosrituivauna materia segnaletica catica di tratti d'espressione visivi e sonoriche si associavano o si concatenavano gli uni con gli altri: ogni imma-gine aveva una tonalità dominante, ma anche delle armoniche che de-finivano le sue possibilità di accordo e di metafora (vi era meraforaquando due immagini avevano le stesse armoniche). Vi era dunque untutto del film che inglobava l'autore, il mondo e i suoi personaggi,rllralunque fossero le differenze o le opposizioni. Il modo di vederetlell 'autore, quella dei personaggi e il modo in cui il mondo era vistoIormavano un'unità significante, che agiva tramite figure anch'esse si-rlnificative. Un primo colpo a questa concezione fu portato quando ilrrronologo interiore perse la propria unità individuale o collettiva e silrrrntumò in cocci anonimi: stereotipi, cliché, visioni e formule fatterr'lrscinavano in una stessa decomposizione il mondo esterno e l' inte-rrrr l i tà dei personaggi. La donna iposata si confondeva con le pagine,l, l settimanale che sfogliava, con un cataTogo di "pezzi staccati". Ilrìr()nologo interíore esplodeva sotto il peso di una stessa miseria all ' in-t{ nì() e all 'esterno: era la trasformazione che Dos Passos aveva intro-, l ',t 11v r.r.1 romanzo, ricorrendo già a strumenti cinematografici e che( ,, 'rl:u'cl doveva portare a compimento in IJne femme ruariée (Una don-',, \l)()srtta. Ma questo era soltanto I'aspetto negativo o critico di una

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tfaslormazione positiva più profonda e importante. Da quest'altropur-ìto di vista, il monologo interiore fa posto a delle successioni d'im-magini, ciascuna successione indipendente, e ciascuna immagine, inuna successione, valida per se stessa in rapporto alla precedenie e

.alla

seguente: un'altra materia segnaletica. NoÀ esistono più accordi per-fetti. e "risolti", ma solo accordi dissonanti o int.rr,rzio ni irrazionali,perché non.ci sono più armoniche dell' immagine, ma soro toni "scon-catenati" che formano la serie. ogni metafo-ra o figura scompare. Laformula di \X/eek-end, un uomo e una donna dal saiato alh dàmenica,',non è sangue, è rosso", significa che il sangue non è più un'armonicadel rosso e c-he questo rosso è I'unico tono del sangue. Bisogna parlaree mostrare letteralmentg, gpprr.. non mostra.., ior parlire iffutto.Se, seguendo una formula fafia, i rivoluzionari sono alie porte e ci as-sediano come cannibali, bisogna mostrarli nella guerriglià di Seine-e-oise,.mentre mangiano carne umana. Se i banchiJri soío degli assassi-ni, gli scolari dei prigionieri,_ i fotografí dei prosseneri, se grí operai sifanno inculare dai padroni, bisognà

-ortru.io, ,ror-r ",r.,íforizzarlo,,

e bisogna formare delle serie coÀformi. se si úice che un semimanalenon "tiene" senza le pagine pubblicitarie, bisogna mostrarlo, letteral-mente, strappandole in modo da far vedere chà il settimanale non srapiù in.piedì: non è più una merafora indecifrabire, ma una dimostra-zione (Six fois deux).

con Godard I'immagine "sconcatenata" (era il termine di Artaud)diventa seriale e atonale, in u-n senso precisoot. Il problema d.l ,af-porto tra immagini non è più di sapere se quesro va o non ,ru, ,..ondole esigenze di armoniche o di accoidi risoltì, ma di saper e co'mmem qaua. come questo o come quello, "come va" è la costituzione delle se-rie, delle loro interru zioni irrazíonali, dei loro accordi dissonanti, deiloro termini sconcatenati. ogni serie rinvia per proprio conto a unamaniera di vedere o di dire, che può essere q".lla ieil 'opiniore cor-rente che procede per. slogan, ma ànche quella'di uru crurr., di un ge-nere, di un personaggio tipico che procedè per resi, ipotesi, purudorSo,o anche astuzia maligna, salto di palo in frasca. ciaicuna sàrie sarà ilmodo in cui I'autore si esprime indirettamente in una successionecl'immagini attribuibili a un altro o, inversamente, il modo in cui qual-cosa o qualcuno si esprime indirettamente nella visione dell'auìoreconsiderato come altro. In ogni caso, non esiste più unità fra aurore.

. rr

.Chatea,' e Jost.hanno analizzato il cinema di Robbe-Grillet come seriale, second<.tc'r'itc'ri diversi da quelli che proponiamo: cap. VIL Già da un punto di r,,i*u ro-unr.r.,,I ì .obbe-Gri l let aveva condorto tuta una cr i t ica del la metafora, , l "nu,-r . i r ' ràolu pr.u. l , ,r r . i tà di . 'omo e Natr . r ra, o lo pseudo- legame di uomo e mondo: "Natura, rmur.r i - , , , .t r r rgt t l ia" nc I lnut tuct t t t . . ,op. c i l .

204

personaggi e mondo, così com'era garantita dal monologo interiore. Viè formazione di un "discorso libero indiretto", di una uisione liberaindiretta, che va dagli uni agli altri, sia che l'autore si esprima per in-tercessione di un personaggio autonomo, indipendente, altro dall'au-tore o da ogni ruolo fissato dall'autore, sia che il personaggio agisca eparli come se i propri gesti e le proprie parole fossero già riportati daun terzo. Il primo caso è quello del cinema impropriamente detto "di-retto" di Rouch, di Perrault; i l secondo, quello di un cinema atonale,di Bresson, di Rohmer ' '. Pasolini insomma aveva una profonda intui-zione del cinema moderno quando lo caratterizzava con uno slitta-mento di terreno, che spezzava l'uniformità del monologo interioreoer sostituirvi la diversità. la difformità. I'alterità di un discorso libe-io indirettoot'.

Godard ha utilizzato tutti i metodi di visione libera indiretta. Nonche si sia accontentato di prendere a prestito e rinnovare; al contrario,ha creato il metodo originale che gli permetteva di fare una nuova sin-tesi e di identificarsi perciò con il cinema moderno. Se si cerca la for-mula più generale della serie in Godard, si chiamerà serie ogni succes-sione d'immagini in quanto riflessa in un genere. Un intero film puòcorrispondere a un genere dominante, come Unc femme est une fenme(La donna è dc,nna) alla commedia musicale, o LJna storia americana alfumetto. Ma anche in questo caso il fi lm passa attraverso dei sotto-ge-neri e la regola generale è che esistono più generi, quindi più serie. Sipuò passare da un genere all 'altro per aperta discontinuità, oppure inmodo insensibile e continuo mediante "generi intercalari", o ancoraper ricorrenza e feed-back, mediante. procedimenti elettronici (ovun-que si aprono nuove possibilità per il montaggio). Questo statuto ri-flessivo del genere ha conseguenze importanti: i l genere, invece di sus-sumere immagini che gli appartengono per natura, costituisce il l imited'immagini che non gli appartengono, ma che in lui si riflettono'".Amengual lo ha dimostrato con chiarezza a proposito di La donna è

'18 Gl i automi o "model l i " secondo Bresson non sono af fat to una creazione del l 'au-tore: in opposiz ione al ruolo dcl l 'at tore sono una "natura", un " io", che reagiscc sul-I 'autofe ("essi t i lasceranno agire in loro e tu l i lascerai agire in te", p. 25). I l c inema diI ì resson, o, per al t ro verso, di l ìo l ' rmcr, è certamentc i l cor-r t rar io c le l c inema diret to; n-rai' on' a lterna tiua al cinema diretto.

r ' ) Induepagineessenzial id iEmpir ìsmo.. . ,op.c i t . ,pp.181- lSl ,Pasol in ipassa,conrrrol te precauzioni , c la l l ' idea cl i monologo inter iore a quel la del d iscorso l ibero indiret to.r \bbiamo visto nel voh.rme grrecedente che i l d iscorso l ibero indiret to era uno dei temir r ,5t i1nt i d i Pasol in i , nel la sua r i f lessione let tcrar ia, ma anche in c luel la c inematogra{ ica:, i i ' 1 'hg c- l - ì i^mr " la soggett iva l ibera indiret ta".

' " ( )uesto vale per i l genere c le l c inema stesso. A proposi to diNuméro deux,Daney, l i , t : " I l c inemar non ha ncssun'al t ra speci f ic i tà che cluel la d 'accogl iere immagini chcr ' ( )n s()nc) pi i r fat te pcr lu i" , fotograf ia o te levis ione, op. c i t . , p. 8) .

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donna: mentre in una commedia musicale classica Ia d,anza informatutte le immagini, anche quelle preparatorie o intercìlu.f^q,rl, al con-trario, sorge come un "momentà" ì.1 comportam.nto dài frotagoni-sti, come il l imite verso ir quale essi tendono una successione d,imma-gini, limite realizzato soltanto formando un'altra successione che ten-de verso un altro limire'r. come radanzanon soro inLo iiioo..., ffi 'nella scena del caffè di Bande i port,, q".il, a.li" pl".i"-il pienot ref:u,,,rî1*pgio dal genere undur. a zonzo (baladet;i-;;;;r. ballaratoa,ade). bono rre momenti important i nei l 'opera di cùard. perden_do le.,proprie capacità di sussunzione o di .;;i;ri;r;"Jluìtuggro aiuna libera porenza di rifìessione, si p.uo di..;h;'i l;;;;; ;;r"nto piùpuro in quanto secna Ia rendenza j i immagini pr." .r i r t .ni ì l à iu .r-r" icararter i ,di , immagini pr.r .nr i . . i ràlruir i nel la fat tual i tà iÀmengualmosrra che la rc..r.,gruiiu di La donna..., it g.u"à.;tùilqrrua.uro utcentro della stanza e tl pezzo di muro biun.o tra le due porte, è tantopirì al servizio della.danza quanro piu "d.-oiir.. or.rT.-è durrru_to",.in una.specie di pura e vuota riflessione che dà al virtuale unarealtà propria, le virtualità dell,eroina).

ln.quesro senso, i .generi r i r ' lessivi di Godard sono vere e proprie ca-tcgoric arrraverso cui passa ir fi lm. il ravoro di ;;;,;;gt"è".o,r..pi,o:r'jî" "îTuvola,di careg.orie. Vi è quarcotu di u.irto-t.3fi.o ì" coaura.r rrrm dl Godard sono si i logismi che integrano conremporaneamente ir : r . rdi di verosimigl ianza e i paradossi derîa i"Ài ." . N"r i ' l i ì r ì r , , ai

" ,l r"ccdrmento di catalogazione, o persino di icolrage", .or" suggeri-r,:r Aragon, ma di un mètodo di costituzior. di;;.ie ;g;;; marcatar.l,r .na categoria (dato che i ripi di r.ri. posroro essere molto diversi).Ir come se Godard rifacesse il camminoirrr..ro a quelro che abbiamos.grrito poco fa e ritrovasse i "teoremi" al rimite à.ilp-Ér.mi,'. Ir

'urrrcmarico Bouligand.d.isringueva, come due irtunzi i"i.fu.ìuili, aur i l ì i r parre iproblemi, dal l 'a l t ra i reoremi o ra s intesí grotu[ , , , ' .nrr . iprir,i.im.pongono ad elementi sconosciuti a.il. lo"àirio"i'-Ji'rerie, rasir tcsr 'giobale f issa del le caregorie da cui quest i . l . - .nì i ,o.ro trut t i(ptu'rti, rette, curve, piani, sfeie, eccetera) ri. Codu.à .r.u iri..rrunr._rìrcrte delle categorie: di qui il ruoro così particorare del air.o.ro i,

' ,

I larthélemy.Amengual ,- , in. lean,_Luc Grxlanl. , , ,Etudes cinématographiques,,, n.5i '61,1967, pp. 117-118: "eui , - radanzanonèait ro.cheunincidente,osesiprerer i -s(( ' , i rn momento del comqorrSmenlo dei protagonist i ( . . .) Les gir ls f j i 'Cì l"r l bal lanorrcr k': speftarore..Angelo, Èmire, AÌfrcd u"im"?"'-re, i r;;p;;.;;u.io'ìiioro int.ir l r i . ( . . .) Qtrando ladanzamira a stabi l i re sul la sclnazi,,,,",,rcnìo ai ò.aì'Jì." sotrrae per un solo i,,n#?i,:H'#!?fiî,1illiiî:lli:.I ) i ,Lui i l l ,Lro sempre r id icolo. le l loro acirar, i i ' .

I'louligand, Le Jèclitt des absorus'mathématico-rogiques, Ed,. de IEnseignement su_l r t ' t i r : t t r .

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molti suoi film in cui, come sottolineava Daney, un genere di discorsorinvia sempre a un discorso d'altro genere. Godard va dai problemi al-le categorie, a rischio che le categorie gli ripropongano un problema.Si veda la strumura di .\i salui chi può (la uita):le quattro grandi cate-gorie, "l 'Immaginario", "la PaLtîa", "il Commercio", "la Musica",rinviano a un nuovo problema, "che cos'è la passione?", "no, non èquesta la passione.. ." , che sarà tema del f i lm seguente.

Il fatto è che le categorie, secondo Godard, non sono fissate unavolta per tutte. In ogni film sono redistribuite, rimaneggiate, reinven-tate. Al sezionamento delle serie corrisponde un montaggio di catego-rie, ogni volta nuovo. Bisogna, ogni volta, che le categorie ci sorpren-dano e non siano però arbitrarie, siano ben fondate e abbiano trj lotoforti relazioni indirette: non devono infatti derivare le une dalle altre,benché la loro relazione sia del tipo "E. ..", ma questo "e" deve acce-dere al la necessirà. capita spesso che la parola scr irra indichi la cate-goria, mentre le immagini visive formano le serie: donde lo specialepr imato del la parola sul l ' immagine e Ia presenrazione del lo schermocome lavagna. Nella frase scritta, poi, la congiunzione "e" può assu-mere un valore isolato eidealizzato (Ici et ailleurs). Questa nuova crea-zione dell' interstizio non marca necessariamente una discontinuità trale serie d'immagini: si può passare continuamente da una serie all 'al-tra, menre la relazione di una categoria all'altra si fa illocalizzab17e,come si passa dall'andare a zonzo allaballatain Pierrot le fou. o dallavita quotidiana al teatro ne La donna è donna, o dalla scena casalinsaall'epopea nel Disprezzo. Oppure ancora è la parola scritta a pot.r .ì-sere oggetto di un trattamento elettronico che introduce mutazione,ricorrenza e retroazione (come già sul quaderno diPienot le fou, la...r-/e si trasformava in la morte)'r. Le categorie non sono mai quindi ri-sposte ultime, ma categorie di problemi che introducono la riÍlessionenell' immagine stessa. Sono funzioni problematiche o proposizionali.Pertanto la questíone per ogni film di Godard è che cosa faccia fun-zione di categoria o di genere riflessivo. Nel caso pirì semplice, posso-rìo essere generi estetici, I 'epopea, il teatro, il romanzo, Ia danza, i\ ci-rìcma stesso. Spetta a quest'ultimo riflettere se stesso e riflettere eli,rltri generi, per quanto le immagini visive non rinviino aunadanzal arrrl romanzo, a un teatro, a un film prestabiliti, ma si mettano a "fa-ltJ' cinema, a fare danza, a fare romanzo, a îarc teatro durante una

" Srr l ler iorme grafiche in Cìodard, cfr. Jacques Fieschi, Mots en ìmages, in,,Cinéma-rr ,1 '1111,1' . . , " , n. 21, ot tobre 1976: "Nel grande mistero muro, la parola del la didascal ia, , r r \ , r \ ' , ì : r l is : r rc i l sensù. ln Codrrd Lìursto senso scr i t to s i met ie in quesr ionc c s i in-| | r r , r ' i r rn nrrovo disturbo".

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serie, per un episodio5i. Le categorie o generi possono anche essere fa-coltà psichiché (f immaginazione, la memoria, I'oblio...). Ma succedeche la categoria o il genere assumano aspetti molto più insoliti, peresempio nei celebri intervenri di tipi riflessivi, cioè di individui origi-nali che espongono per se stesso e nella sua singolarità il l imite verso ilquale tendeva o tenderà una certa serie d'immagini visive: sollo pensa-tori, come Jean-Pierre Melville in Fino all'ultimo respìro, Brice ParaininViure sa uie (Questa è la mia uita),Jeanson \nLa chinoise (La cinese),sono personaggi burleschi come Devos o la regina del Libano in Pier-rot lefou, sono campioni come le comparse diDeux ou trois cboses queje sais d'ellc (Due o tre cose cbe so di lei) (mi chiamo così, faccio que-sto, amo quest 'al t ro. . . ) . Tutt i intercessori che fanno funzione di cate-goria, dandole una completa individuazione: forse l'esempio piìr com-movente è I'intervento di Brice Parain che espone e individua la ca-tegoria del linguaggio come il l imite verso il quale i'eroina tendeva,con tutte le proprie forze, atftaverso le serie d'immagini (il problemadi Nana).

Le categorie possono essere insomma parole, cose, atti, persone. Lescarabinierl (I caiabinieri non è un altro film sulla guerra, per esaltarla odenunciarla. Filma le categorie della guerra, ed è altra cosa. Ora, co-me dice Godard, queste possono essere cose precise, la marina milita-re, 1'esercito e I'aviazione, oppure "idee precise", occupazione, guer-ra, resistenza, oppure "sentimenti precisi", violenza, sbandamento,assenza di passione, derisione, disordine, sorpresa, vuoto, op-pure "te-

nomeni prècisi", rumore, silenzio". Si constaterà che i colori stessipossono fare funzione di categorie. Non soltanto concernono le cose el. p.rror-t., e perfino le parole scritte; ma formano in sé delle catego-rie, il rosso in lVee k'end è una di queste. Godard è un grande colori-sra proprio perché si serve dei colori come di grandi generi individuatinei quali si-riflette l ' immagine. E il metodo costante di Godard neifilm a colori (a meno che non vi sia piuttosto riflessione nella musica,o nei due insieme). La Lettre à Freddy Buache manifesta il procedimen-to cromatico allo stato puro: vi è I'alto e il basso, la Losanna blu, cele-ste, e la Losanna t'erde, terrestre, acquatica. Due curve o periferie e,fra le due, il grigio, il centro, le linee rette. I colori sono diventati ca-tegorie quasi matematiche nelle quali la città riflette le proprie imma-giài e ne fa un problema. Tre serie, tre stati della materia, il problema

ta cfr. Jean-claude Ronnet, Le petit théatre de Jean-Luc Grxlard, in,'_'(ìinématogra-

phe". n. 41, novem[re 1978. Per Godarcl non si t rat ta di inser i re nel f i lm una pièce cr

i l . l l . p.nu. (Rivct te) ; i l teatro è per lLr i inseparabi le da un' improvvisazione, c la una

"-.rio in scena spontanea" o da una "teatalizzazione clel clroticliano". Analogamen-

te , per la danza, cf . r . le osscrvazioni precedent i d i Amengual55 ( ìodard, in "Cahiers c l r - r c inéma", n. 146, agosto 196j .

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di Losanna. Tutta la tecnica del film, le riprese dall'alto, le riprese dalbasso, gli arresti sulf immagine, sono al servizio di questo riflettersi. AGodard sarà rimproveraro di non aver soddisf afio ;\la commissione diun film "su" Losanna: il fatto è che ha capovolto il rapporto fra Lo-sanna e i colori, ha fatto passare Losanna nei colori come su una tavo-la di categorie che si confacevano, tuttavia, soltanto a Losanna. È ap-punto costruttivismo: ha ricostruito Losanna coi colori, i l díscorso àiLosanna, la sua visione indiretta.

Il cinema smette d'essere narrativo, ma con Godard diventa massi-mamente "romanzesco". Come dice Pienot le fou, "Capitolo seguen-te. Disperazione. Capitolo seguente. Libertà. Amarezza". In opposi-zione all'epopea o alla tragedia, Bachtin definiva il romanzo come pri-vo dell'unità collettiva o distributiva attraverso la quale i personaggiparlavano ancora un solo e medesimo linguaggio. A1 contràrio, il ;ó-manzo prende necessariamente a prestito taloru 7a lineua correnreanonima, talora Ia I ingua di una classe, di un gruppo, di ula professio-ne,

-talora la lingua propria di un personaggio. Cosicché i pérsonaggi,

le classi, i generi formano il discorso libero indiretto dell'autore, men-tre l'autore forma la loro visione libera indiretta (ciò che essi vedono,sanno o non sanno). O piuttosto i personaggi si esprimono liberamen-te nel discorso-vísione dell'autore e I'autore, indirettamente. in ouellodei pers-onaggi. Insomma è i l r i f let tersi nei generi , anonimi o peisoni-ficati, che forma il romanzo, il suo "plurilinguismo", il suo discorso ela sua visione5('. Godard dà al cinema le potenze che sono del roman-zo. Si appropria tipi riflessivi.come altretìanti intercessori attraverso iquali IO è sempre un altro. È una linea spezzara, una linea a zigzag,che collega I'autore, i suoi personaggi e il mondo, e che passa truloró.Da tre punfi di vista il cinema moderno sviluppa così nuovi rapporricon il pensiero: 7a cancellazione di un tutto o di una totalizzaiionede,!e immagini, a vantaggio di un fuori che si inserisce fra loro; la can-cellazione del monologo interiore come tutto del film, a vantaggio diun discorso e di una visione liberi indiretti; la canceTTazione delltunitàfra uomo e mondo, a vantaggio di una rottura che ci lascia soltantouna credenza in questo mondo.

'" Prima di Pasolini, Bachtin è il più grande reorico del discorso libero indiretto,cfr. Voloiinov, Marxismo e filosofia del linguaggìo, Bari, Dedalo, 1976. Sul "plurilingui-smo" e il ruolo dei generi nel romanzo, cfr. Bachtin, Estetica e romanzo, Torino, Einiu-cl i , 1980, p. 67 e se! .

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cire dura nel momento stesso)8. Le tre immagini-tempo hanno in co-rnrrne di rompere con la rappresentazione indire tta, ma anche di spez-zare i l corso o i l susseguirsi empirici del tempo, la successione cronolo-gica, la separazione del prima e del dopo. Comunicano dunque tra lo-ro, si compenetrano (\X/elles, Resnais, Godard, Robbe-Gril let), ma ia-sci:rrro sussistere in una stessa opera la distinzione dei propri segni.

" ' l r r una bel la novel la, Lernet- I lo leni2ì s l ìppone che Ia mortc non avvenl la in un mo-

nì( r ì l ( ) , r ì ì1ì in uno spazio-tempo si tuato " t ra i l momento stesso" e che può durare diver' , i r Ì i r r rn i . c[r . Alexander Lernet- I {o lenia, l l barone Baggc, Mi lano, Adelphi , 1982. Ncil i l r r t l i ( ìoclart l s i i r " rcontt ' i r una concezione del la morte molto analosa.

I r tI I î

Capitolo 7Il pensiero e il cinema

1. Coloro che per primi fecero e pensarono il cinema partivano daun'idea semplice: il cinema come arte industriale giunge all 'auto-movi-mento, al movimento automatico, fa del movimento il dato immediatodell' immagine. Un movimento di questo tipo non dipende piìr da unmobile o da u! oggetto che lo eseguirebbe, né da una mente che lo ri-costruirebbe. E l' immagine che muove se stessa in se stessa. In questosenso non è dunque né figurativ^, né astratta. Si dirà che questo eragià vero per tutte le immagini artistiche; Ejzenétejn infatti continua aanalizzare i quadri di Leonardo da Vinci, del Greco, come fossero im-magini cinematografiche (la stessa cosa fa Elie Faure con il Tintoret-to). Ma le immagini pittoriche non sono per questo meno immobili insé, sicché è la mente che deve "fare" il movimento. E le immagini co-reografiche o drammatiche restano legate a un mobile. Solo quando ilmovimento diventa automatico, I'essenza artistica dell' immagine si at-tuai produffe uno cboc sul pensiero, comunicare alla corteccia delle ui-brazioni, toccare direttamente il sistema nen)oso e cerebrale. "Facendo"il movimento e facendo quel che le altre arti si accontentano di esige-re (o di dire), I' immaginè cinematografica raccoglie I'essenziale dellealtre arti, ne è I'erede, è quasi il modo d'impiego delle altre immagini,converte in potenza quel che era soltanto possibilità. Il mouimento au-tornatico suscita in noi tJn autom(t spirituale, che a sua volta reagisce sudi lui'. L'automa spirituale non designa più, come nella filosofia clas-sica, la possibilità logica o astratta di dedurre formalmente i pensieri

I Elie Faure, Fonction àu cinéma, Parigi, Gonthier, p. 56: "In verità, è il suo stessoautomatismo materiale che fa spuntare dall'interno di queste immagini questo nuovotuniverso ch'egl i a poco a poco impone al nostro automat ismo intel let tuale. Così, in unaIuce accecante, appare la subordinazione del l 'anima umana agl i utensi l i ch 'essa crca, cviceversa. t jna costante reversibi l i tà s i r ivela t ra tecnic i tà e af fet t iv i tà". Analouamen-te, per Epstein l 'automat ismo del l ' immagine o i l meccanismo del la macchina . la presahanno come correlato una "soggett iv i tà automat ica", capace di t rasformare e ol t repas-sare i l reale, cfr . Ecr i ts. . . , I I , op. c i t . , p. 6) .