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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 5 GENNAIO 2014 NUMERO 461 CULT La copertina MAURIZIO FERRARIS e ANTONELLO GUERRERA Come cambia e sparisce la punteggiatura nell’era del web Il libro GIORGIO VASTA Torna Wolfson con il figlio che odiava la madre All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Salvatore Accardo “Io che ho sentito il talento vedendo il primo violino” Il teatro RODOLFO DI GIAMMARCO Quel bugiardo di Arlecchino con Latella fa ancora scandalo La serie WALTER SITI La Poesia del mondo Perché siamo tutti Petrarca Tesini in viaggio quando le immagini avevano le gambe La storia MICHELE SMARGIASSI Il menù del Padrino cosa mangia la nuova mafia L’attualità ATTILIO BOLZONI e SALVO PALAZZOLO DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI FOTO DI JOE KLAMAR/AFP ARMIN ZÖGGELER Italiano Nevi delle L’ MERANO uomo di ghiaccio sente tutto. È come cieco, suona la sua corsa senza sparti- to, a orecchio. Un astronauta all’in- contrario: va giù non su. A pancia all’a- ria, un meccanico della gravità. Scendere su uno slittino a 140 km all’ora, senza freni, non è una pacchia. Pensi: chissà che preoccupazione quando corre giù per un chi- lometro e mezzo sulla sua branda tecnologica in fibra di vetro. Invece, ti ritrovi con uno che pensa alle pellicine, alle unghie, alla barba che non può tagliare prima della gara: altrimenti la pelle, sfregata, si irrita e dà fastidio. «So- prattutto dove allacci il casco». Niente rasoio. Guai. Il cor- po deve stare quieto, senza punti urticanti. Non deve re- sistere ma invogliare la forza che ti spara come proiettile, deve stare un po’ morto e fidarsi del nulla. Armin Zögge- ler, 40 anni (compiuti ieri in trasferta, vigilia di gara, pic- colo brindisi e torta, poi a nanna), carabiniere, cinque medaglie olimpiche consecutive, marito di Monika, pa- dre di Nina e Thomas, 12 e 8 anni, tra un mese portaban- diera azzurro alle Olimpiadi invernali di Sochi. Un feno- meno unico al mondo. Se salirà sul podio anche a questi Giochi sarà a quota sei, una cosa mai riuscita a nessuno. Armin è educato e disciplinato, a tradirlo sono i suoi oc- chi da lupo che hanno attraversato la notte e sbranato adrenalina. Lo sport non è un paese per vecchi, lui lo ha trasformato. È un Highlander che non nasconde le cre- pe. «Il mio corpo è cambiato, sento gli acciacchi, collo e schiena ora ululano, cinque ore di allenamento al giorno non me li toglie nessuno. Il talento da solo non basta, de- vo ovviare allo scatto che ho perso in partenza. Poi ci so- no le gare, a casa sto poco, mia moglie ci è abituata». Tre sedute di pesi a settimana, passeggiate sulla trave per tro- vare l’equilibrio, palestra di roccia, esercizi agli anelli, atletica per incrementare scatto e velocità. La stessa me- ticolosità della massaia che prepara la lista della spesa: spulcia i chili, annota, fa i conti. «Io peso 84, poi c’è la za- vorra, con i pesi di piombo legati dietro la schiena fanno 88, con la tuta arrivo a 94, la slitta è 23, in totale fanno 117. Gli altri hanno il vantaggio di essere più pesanti». Anche la scelta della lega di acciaio per le lamine dei pattini im- pone la stessa cura che ha una madre nello scegliere la fetta di vitello per il figlio. «Mi rivolgo all’estero, dove è un segreto, non mi fregano, compro piccole quantità, le te- sto, poi se vanno bene riordino». Gira la battuta che Ar- min i pattini se li porti a letto, dorma con le lamine sotto il cuscino. Tratta il suo slittino come una cuoca il suo mat- tarello, solo che invece di stendere lasagne, appiattisce avversari. Un pilota di bob vede le curve, uno che scende sullo slittino le ricorda. Va a memoria, senza alzare la te- sta, si fida solo delle sue sensazioni. Le entrate, le uscite, una geometria mentale che fotografa e conserva. (segue nelle pagine successive) EMANUELA AUDISIO Ha vinto più di chiunque altro ma non è uno che ostenta trofei “Li nascondo dentro l’armadio” Parla (di solito poco) l’uomo che a Sochi sarà la nostra bandiera L’

DI REPUBBLICA DOMENICA GENNAIO NUMERO 461 CULT L …download.repubblica.it/pdf/domenica/2014/05012014.pdf · un arma senza sicura che fa male solo a se stessa. Basta un attimo per

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 5 GENNAIO 2014

NUMERO 461

CULT

La copertina

MAURIZIO FERRARISe ANTONELLO GUERRERA

Come cambiae spariscela punteggiaturanell’era del web

Il libro

GIORGIO VASTA

Torna Wolfsoncon il figlioche odiavala madre

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Salvatore Accardo“Io che ho sentitoil talento vedendoil primo violino”

Il teatro

RODOLFO DI GIAMMARCO

Quel bugiardodi Arlecchinocon Latellafa ancora scandalo

La serie

WALTER SITI

La Poesiadel mondoPerché siamotutti Petrarca

Tesini in viaggioquando le immaginiavevano le gambe

La storia

MICHELE SMARGIASSI

Il menù del Padrinocosa mangiala nuova mafia

L’attualità

ATTILIO BOLZONIe SALVO PALAZZOLO

DIS

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FOTO

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ARMIN ZÖGGELER

ItalianoNevidelle

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MERANO

uomo di ghiaccio sente tutto. È comecieco, suona la sua corsa senza sparti-to, a orecchio. Un astronauta all’in-contrario: va giù non su. A pancia all’a-

ria, un meccanico della gravità. Scendere su uno slittinoa 140 km all’ora, senza freni, non è una pacchia. Pensi:chissà che preoccupazione quando corre giù per un chi-lometro e mezzo sulla sua branda tecnologica in fibra divetro. Invece, ti ritrovi con uno che pensa alle pellicine,alle unghie, alla barba che non può tagliare prima dellagara: altrimenti la pelle, sfregata, si irrita e dà fastidio. «So-prattutto dove allacci il casco». Niente rasoio. Guai. Il cor-po deve stare quieto, senza punti urticanti. Non deve re-sistere ma invogliare la forza che ti spara come proiettile,deve stare un po’ morto e fidarsi del nulla. Armin Zögge-ler, 40 anni (compiuti ieri in trasferta, vigilia di gara, pic-colo brindisi e torta, poi a nanna), carabiniere, cinquemedaglie olimpiche consecutive, marito di Monika, pa-dre di Nina e Thomas, 12 e 8 anni, tra un mese portaban-diera azzurro alle Olimpiadi invernali di Sochi. Un feno-meno unico al mondo. Se salirà sul podio anche a questiGiochi sarà a quota sei, una cosa mai riuscita a nessuno.Armin è educato e disciplinato, a tradirlo sono i suoi oc-chi da lupo che hanno attraversato la notte e sbranatoadrenalina. Lo sport non è un paese per vecchi, lui lo hatrasformato. È un Highlander che non nasconde le cre-pe. «Il mio corpo è cambiato, sento gli acciacchi, collo eschiena ora ululano, cinque ore di allenamento al giornonon me li toglie nessuno. Il talento da solo non basta, de-vo ovviare allo scatto che ho perso in partenza. Poi ci so-no le gare, a casa sto poco, mia moglie ci è abituata». Tresedute di pesi a settimana, passeggiate sulla trave per tro-vare l’equilibrio, palestra di roccia, esercizi agli anelli,atletica per incrementare scatto e velocità. La stessa me-ticolosità della massaia che prepara la lista della spesa:spulcia i chili, annota, fa i conti. «Io peso 84, poi c’è la za-vorra, con i pesi di piombo legati dietro la schiena fanno88, con la tuta arrivo a 94, la slitta è 23, in totale fanno 117.Gli altri hanno il vantaggio di essere più pesanti». Anchela scelta della lega di acciaio per le lamine dei pattini im-pone la stessa cura che ha una madre nello scegliere lafetta di vitello per il figlio. «Mi rivolgo all’estero, dove è unsegreto, non mi fregano, compro piccole quantità, le te-sto, poi se vanno bene riordino». Gira la battuta che Ar-min i pattini se li porti a letto, dorma con le lamine sottoil cuscino. Tratta il suo slittino come una cuoca il suo mat-tarello, solo che invece di stendere lasagne, appiattisceavversari. Un pilota di bob vede le curve, uno che scendesullo slittino le ricorda. Va a memoria, senza alzare la te-sta, si fida solo delle sue sensazioni. Le entrate, le uscite,una geometria mentale che fotografa e conserva.

(segue nelle pagine successive)

EMANUELA AUDISIO

Ha vinto più di chiunque altroma non è uno che ostenta trofei“Li nascondo dentro l’armadio”Parla (di solito poco)l’uomo che a Sochisarà la nostra bandiera

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LA DOMENICA■ 26DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

“Lo slittino lo usavo per andare a scuola” e da alloranon ne è più sceso. Il campione ha compiuto ieriquarant’anni e prima dell’ultima avventura olimpicasi confida a “Repubblica”: “Nel nostro sportse ti danno una pacca sulla spallanon è per amicizia ma per testare i materiali”

La copertinaArmin Zöggeler

2010 2006oro a Salt Lake City

2002

(segue dalla copertina)

ltro che file e chip. Per-ché a quel punto èun’arma senza sicurache fa male solo a sestessa. Basta un attimoper sfrecciare fuori dal-

la vita, se ti fermi, ti tocca la domandascema: cosa prova? Zöggeler parla dasciamano. Il segreto? «Non ti fa vincerequello che si vede, ma quello che non sivede». Chiaro no? La pista disegnata intesta dal primo centimetro, da bravoappuntato promosso maresciallo sulluogo del delitto. Lo vedi alla partenza:chiude gli occhi, visualizza, mima letraiettorie. I piedi ad uncino come ti-moni direzionali, mani guantate dausare come pinne. Curva gancio, curvamuro, poi il toro, la curva lavatrice, lacurva compressione. Ricordare tutto,pesare molto, ma scivolare lievi comegli smemorati. Non guardare mai in-dietro, al tutto e tanto, ma concentrar-si sul davanti, sulle curve che portano altraguardo. Ci vuole una coordinazioneperfetta: prima hai le gambe piegate,poi spingi, esci dalle maniglie, e particon forza esplosiva, tutto al millesimodi secondo. Poi devi essere pronto a

sollevare di pochi millimetri la testa,per vedere almeno l’entrata della pri-ma curva e a tre quarti devi risollevartiancora per vedere l’uscita: miracoli, oquasi. Sono fondamentali i consulentisegreti, i ricercatori della facoltà di in-gegneria: aiutano a studiare il grado difusione del metallo, l’inclinazione delpattino sul portapattino e così via. Bi-sogna rischiare di perdere tutto pervincere qualcosa. Lui lo ha fatto moltevolte, anche a Vancouver 2010 su unapista accorciata di 176 metri, che lo sfa-voriva, dopo la morte di Nodar Kuma-ritashvili, un ragazzo di 21 anni dellaGeorgia. Lì il cannibale si è sentito piùpadre. «Sono andato in crisi, ero nervo-so, mi sono venuti brutti pensieri, nonpuoi morire per una curva sbagliata,puoi scivolare, cadere, ma non esserescagliato fuori contro un pilone. La si-curezza deve essere sempre al primoposto, quella era una pista progettatamale e l’aver fatto passare il ragazzogeorgiano per uno che non era all’al-tezza non è stato proprio da signori. Mauna volta sullo slittino il cattivo umoremi è passato, ho vinto il bronzo per 30millesimi».

Armin a Sochi sarà l’immagine del-l’altra Italia. Quella brava a dare del tu aneve e ghiaccio. Fredda, silenziosa, po-co mediterranea. Dalla timidezza ruvi-

da. Zöggeler vive a Foiana, sopra Lana,per ironia all’imbocco della Val d’Ulti-mo, Alto Adige. Certe tradizioni nons’improvvisano, se non hai sognatosalti e discese da bambino, nessuno teli può ficcare nel futuro. Qui i cognomihanno il carattere chiuso di certe valla-te e si trovano meglio a parlare in tede-sco che in italiano. Cultura da maso,bestie e fieno, mucche e cavalli. «Io neho tre. Gli animali mi danno tranquil-lità. Vado anche a caccia, ho fatto i cor-si, perché all’inizio non mi trovavo adammazzare camosci, caprioli, cervi.Ma mi hanno spiegato che si eliminanosolo quelli vecchi e malati. D’estate va-do anche al mare, in Turchia, sì so nuo-tare e mi piacciono anche gli spaghettiallo scoglio».

Lo slittino è un piccolo mondo anti-co, dai suoni gutturali. Più che unosport è un mezzo, un triciclo della nevecon cui scendere a scuola. «Io ho ini-ziato così, ci andava anche mio fratelloAlex e i miei cugini, serviva a spostarsi,poi le prime gare, avevo i capelli lunghiche restavano fuori dal casco. Ma oggitutto è cambiato, fisicamente e tecni-camente, quel mondo fiabesco non c’èpiù, contano i materiali, l’aerodinami-ca, la velocità. È come in F1: l’auto, cioèla slitta, comanda, ma l’uomo devesentirla, aiutarla. Bisogna memorizza-

re segni, luci, forza centripeta. Se nelmio sport uno ti dà una pacca sullespalle non è per amicizia, ma per testa-re il tuo materiale, nella galleria delvento della Ferrari abbiamo sperimen-tato tessuti e posizione, si vince con iparticolari. Ma gli altri rivali, i tedeschiad esempio, hanno a disposizionesempre le gallerie del vento delle lorograndi case automobilistiche, Audi,Porsche, noi solo ogni quattro anni. Equesto fa la differenza. Vai in Germaniae vedi che la gente lavora e sta bene, quida noi è un pianto, non c’è spazio per igiovani, ma se non si investe sulle ge-nerazioni del domani come si fa? Se sitagliano investimenti e risorse non c’ècrescita. Per allenarci dobbiamo anda-re all’estero, Cesana ha chiuso, qui nonci sono piste. Io non sono un economi-sta, ma questa depressione è amara e famale. Quanto alla tutela dei diritti civi-li non si risolvono boicottando le Olim-piadi e facendo pagare il prezzo allosport, lo dico per Sochi».

Parla del ghiaccio come un geologodella montagna. «Cambia sempre, lodevi studiare. Per capire dove e comeguidare. Filmiamo tutto, di noi e deglialtri, per trovare le traiettorie migliori.Sono stato tra i primi a capire il ruolofondamentale della partenza, lì biso-gna essere molto reattivi, si possono

guadagnare centesimi di secondo, in-fatti mi hanno copiato tutti. In Russia ilproblema sarà il tempo: pioggia, umi-do, freddo, caldo, nebbia. Se non ci so-no condizioni stabili le gara diventa dif-ficile. Mi sarebbe piaciuto fare il pilotain Formula Uno: Schumacher, a cui di-co di tenere duro, Alonso, Raikonnen.L’ebbrezza del pericolo invece non mipiace: ho provato il bungee jumping, ilsalto con l’elastico, una volta, e mai più,mi sono troppo spaventato. Ho avutopaura anche a guardare il lancio dallastratosfera di Felix Baumgartner, da 39chilometri di altezza, straordinario sa-pere che tra quelli che lo guidavano c’e-ra Joe Kittinger, che ci aveva provatoprima di lui. I pionieri sono importantiperché hanno attraversato confini sco-nosciuti. Chiaro che per Baumgartnerla vita è cambiata, è diventato un per-sonaggio in tour nel mondo, ha persoun po’ la testa, e la fidanzata lo ha mol-lato. Io non ho miti, ma se devo sceglie-re un nome dico Messner, per quelloche ha fatto in vetta e in pianura, haspostato un po’ più in là i limiti, ha sca-lato quello che voleva, costruito unmuseo, vissuto anche fuori dallosport».

La prima olimpiade a 20 anni,l’ultima è la prossima a 40. «La pri-ma volta nel ’94 a Lillehammer, un

EMANUELA AUDISIO

BAMBINOArmin (il più piccoloa destra) da bambinovicino casa. Qui sottoa quattordici annidurante una gara

CAMPIONENel singolo ha vinto10 Coppe del Mondo,6 medaglie d’oro ai Mondialie 2 ori agli Europei

SPOSIIl campione il giorno delle nozzecon Monika (e i suoi slittini), nel 2007Accanto, in un rifugio con gli amici

Sono più forte del ghiaccio

SUL PODIOCon l’ultima vittoriadel 14 dicembre a Park Cityè salito sul podio di Coppadel Mondo 101 volte (56 gli ori)

PRIMI PASSIGiovanissimo, a undici anni,vince la sua prima garainternazionale, a sedicila Coppa del Mondo Juniores

ABBIGLIAMENTOA Sochi indosseràtuta gommata (6 kg),caschetto con protezioneper il volto e guanti chiodati

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Le medaglieolimpiche

Gli altri trofei

bronzo ai Giochi di Vancouver oro a Torino

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quella di un ragazzo che fa sport». Armin è rimasto una persona, non

un personaggio, potrebbe tirarsela,non lo fa, ha vinto, rivinto, stravinto piùdi tutti: più di Beckham più di Totti, manon agita i suoi trofei, né ha bisogno dileggere Kipling. Sono vent’anni chetratta vittorie e sconfitte come la facciadi una stessa medaglia, anzi a proposi-to, le conserva tutte e cinque in un ar-madio, al riparo anche dalla curiositàdei figli e della gatta Vicky. «Sanno chenon le devono toccare, non voglio chespostino la mia roba». L’immagine del-l’ultima a Vancouver dice tutto: sul po-dio il tedesco Moeller, argento, dice aZöggeler: dai, alziamo il vincitore, FelixLoch, anche lui tedesco, ventenne.Moeller ride e solleva il gigante Felix,Armin invece fa una smorfia, non ce lafa e riprova, con l’aria di chi dice: e dairagazzi, risparmiatemi.

Lui beve tè e camomilla. La parolache usa di più è tranquillità. Gli piace lanatura, la montagna, e i cavalli perchélì sente calma e serenità. Sì, Armin sci-vola pure sull’italiano. Dice: «Sarebbepiù bellissimo». Poi le sue pupille di-ventano una fessura, chissà che angolihanno intuito. E capisci: negli occhi deilupi l’appetito è uno sguardo semprefresco.

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■ 27DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

argento a Nagano

1998 1994

Nato a: Merano

Età: 40 anni (compiuti ieri)

Vive a: Foiana, frazione di Lana (Bz)

Altezza: 181 cm.

Peso: 84 kg.

Sposato: con Monika

Papà: di Nina (12 anni) e Thomas (8 anni)

Professione: carabiniere

Hobby: sci, caccia, cavalli

Piatto preferito: strüdel di mele

CAVALLISopra, sulle Dolomitidurante una escursioneAccanto, con unodei suoi tre cavalli

bronzo, resta indimenticabile. L’emo-zione di ritirare la divisa della naziona-le con la giacca a vento, stare con gli al-tri, con quelli che sono i tuoi maestri. Inquella dopo, a Nagano, sono arrivati iproblemi ero in difficoltà con i mate-riali, che non andavano, ho rimediatoall’ultimo, per fortuna. Mi resta il ricor-do della famiglia giapponese che ciaveva ospitato prima dell’apertura deiGiochi e il senso di unità e di calore chetrasmetteva. Nel 2002 a Salt Lake Citytutto è stato perfetto, avevo indovinatoi pattini, funzionavano benissimo, eropiù veloce che mai. Torino 2006 hacambiato tutto. Giocare in casa ti fa vi-vere e morire di felicità, la pressione èenorme, tutti vogliono interviste, matu dentro senti che stai perdendo tem-po con le parole, diventi nervoso, ti di-ci: mi devo preparare e invece sto quia chiacchierare. Quell’oro è stato cal-do, mi ha fatto diventare una personaconosciuta, un italiano di tutti, se pri-ma lo eravamo solo ogni quattro an-ni, con l’olimpiade di mezzo, da quelmomento l’attenzione non mi hamai mollato. Ora come sponsor ol-tre alle mele dell’Alto Adige ho an-che Samsung. Su Vancouver 2010ho già detto, è stato forse il momen-to più difficile della mia carriera. Lamorte toglie certezze. Soprattutto

SLITTINOIn fibra di vetro e metallo pesa23 kg. Non ha freni: i piedi a uncinovengono usati come timoniLamine dei pattini in lega d’acciaio

VELOCITÀDurante le garescende a 140 chilometriall’ora su una pista lungaun chilometro e mezzo

Carta d’identità

bronzo a Lillehammer

IN POSAArmin Zöggelercon il suo slittino nel 2005In copertina a Innsbruck nel 2007

LA DOMENICA■ 28DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

L’attualitàCupole

Carne e carnezzerien antico detto delle province in-terne racconta che le massimeaspirazioni del siciliano sono tre:mangiare carne, cavalcare carne,comandare carne.

Allevavano bovini i Di Maggio di Torretta e Ta-no Badalamenti di Cinisi, li commercializzavanogli Spina della Noce, anche Totuccio Contornoconservava quarti di bue in una cella frigorifera inCorso dei Mille. A Palermo le macellerie non sichiamano macellerie ma carnezzerie. I carnez-zieri più famosi della città sono stati i Ganci. Raf-faele e suoi figli, Domenico e Calogero.

«La carne è arrivata», fa sapere Domenico Gan-ci ai sicari di Totò Riina appostati su una collinaquando si accorge che l’autista di Giovanni Fal-cone — il pomeriggio del 23 maggio 1992 — lasciail garage per dirigersi verso l’aeroporto palermi-tano di Punta Raisi. Alle 17,58 la strage di Capaci.

Lo sfincione di don MarcelloIl senatore dissimula, nascon-

de a modo suo la mazzata che gliè appena arrivata sulla testa. È il16 aprile del 2010 e il pm ha ap-pena chiesto per lui undici anni

di reclusione per concorso in as-sociazione mafiosa ma Marcello

Dell’Utri dice di non saperne niente: «Non ero inaula perché sono andato a mangiarmi uno sfin-cione a Porta Carbone... era buonissimo, devo di-re che erano anni che non ne mangiavo uno cosìstraordinario».

Lo sfincione è per i palermitani quello che è lapizza per i napoletani. Un impasto di farina e lie-vito ricoperto di salsa di pomodoro, origano,qualche acciuga e riccioli di caciocavallo. Più èsaporito e più porta acidità di stomaco.

Cannoli/1I più velenosi sono quelli che

soffocano l’infido don Altobelloal teatro Massimo di Palermo.Omicidio alla prima della Ca-valleria Rusticana.

Scorrono le ultime immaginide Il Padrino atto III e l’attore Eli

Wallach — don Altobello — riceve in dono unaguantiera di dolci da Connie, la sorella di MichaelCorleone. Si spengono le luci, una mano scivolanel buio e afferra un cannolo. Don Altobello loodora, affonda i denti nella cremosa ricotta, chiu-de gli occhi, sospira estasiato ed è già dolcemen-te morto. È l’ottava scena della Cavalleria Rusti-cana, la più bella: «Hanno ammazzato compareTuriddu».

Cannoli/2I più traditori sono quelli arrivati a Palazzo

d’Orléans, la presidenza della Regione siciliana.Cannoli in onore del governatore Totò Cuffaro.Trentadue di numero, grandi e freschi, i cannolifesteggiano una condanna a cinque anni di re-clusione per un “solo” favoreggiamento (quellosemplice e non mafioso) contro il governatore. Èil 19 gennaio 2008. Totò Cuffaro alza il vassoio perpassarlo a un commesso, è un attimo: clic. Un fo-tografo lo immortala con i cannoli fra le mani. Lafoto fa il giro del mondo.

Le aragoste dell’UcciardoneQuando l’Ucciardone, il carce-

re di Palermo, era un Grand Ho-tel, i boss ordinavano solo quel-le. Rifiutavano “il mangiare del-lo Stato” e il cibo se lo facevano

portare direttamente in cella.Questo il ricordo di Giuseppe Gut-

tadauro, uomo d’onore della famiglia di Bran-caccio e star della sanità palermitana: «Era il gior-no di Pasqua del 1984, facemmo una indimenti-cabile mangiata alla Settima sezione. Arrivò il fur-goncino dal ristorante La Cuccagna, le guardierestarono a bocca aperta: c’erano le casse di DomPerignon, le aragoste ce le tiravamo in faccia».

La Settima sezione era quella riservata ai boss,un territorio proibito per tutti gli altri detenuti.Un carcere nel carcere. L’Ucciardone era divisoin caste. Gli ultimi erano rinchiusi alla Sesta, la se-zione «dei froci, dei pedofili, dei marocchini, de-gli scafazzati e degli spiuna».

Cannoli a Palazzo d’Orléans, aragoste all’Ucciardone,occhio di pecora per uomini d’onore e cicoria in latitanzaCome la vecchia anche la nuova mafia decidecrimini e strategie durante pranzi e cene

ATTILIO BOLZONI eSALVO PALAZZOLO

Quando Cosa Nostra L

La verdura chiamata cicoria Capovolgendo tutti i precedenti sull’avidità

dei suoi colleghi boss, il più latitante dei mafiosidi Cosa Nostra ha sempre osservato una dieta ri-gorosissima. Tra un ordine e l’altro inviato attra-verso i suoi famigerati pizzini, Bernardo Proven-zano svelava all’organizzazione — in un trabal-lante italiano — le sue regole alimentari. Ghiottodi ricotta e di miele, ma soprattutto di verdura.Scriveva al fidato Antonino Giuffrè: «Senti, puoi

dirci, ha tuo compare, che stiamo, siamo entratiin primavera, e lui dovessi conoscere, la verduranominata Cicoria, se potesse trovare, il punto do-ve la porta la terra questa cicoria, e se potesse fa-re umpò di seme, quando è granata, e me la con-serva? Ti può dire che la vendono in bustine, nò..io volessi questa naturale.. ».

La cassata del Cavaliere«Lo sai quanto pesava la cassata del Cavalie-

re?», chiede il boss Gaetano Cinà. Dall’altra parte

del filo c’è Alberto Dell’Utri, il fratello gemello didon Marcello, braccio destro di Berlusconi e co-fondatore di Forza Italia. È il giorno di Natale del1985. Ci si fa gli auguri fra Palermo e Milano. I ca-rabinieri ascoltano. Sono le 19.38.

Cinà: «Sono giorni che uno si deve ricordaredegli amici fraterni». Alberto Dell’Utri: «Ma io melo ricordo tutti i giorni». Cinà: «La cassata ce l’haisotto chiave, no?». Dell’Utri: «Sotto controllo…quanto pesa quella del Cavaliere, quattro chili?».Cinà: «Sì, vabbè… undici chili e ottocento». Del-

U a mafia siciliana ricomincia dalle abbuffate. Con banchetti che non finiscono mai, summit in sfarzosesale riservate, boss che s’ingozzano. La Cupola (o quel che ne resta) si ritrova a tavola. Prima c’è semprela “mangiata” e poi la “parlata”.Ultime notizie dal mondo di Cosa Nostra: gli uomini d’onore, notoriamente ingordi, approfittano del-la cucina per rimettere in piedi un’associazione che dalle stragi del 1992 ha perso pezzi e reputazionecriminale. Così la mafia riprende da dove aveva iniziato: dallo schiticchio, che in lingua siciliana è, più omeno, il pranzo solenne. I mafiosi hanno bisogno di incontrarsi, di contarsi, guardarsi in faccia. E, co-me in passato, sono tornati a fare bisboccia. Le loro riunioni, accompagnate da sovrumane avventuregastronomiche, sono state tutte documentate in diretta dai carabinieri. Telecamere, microspie, regi-strazioni audio e video. La nuova classe dirigente di Cosa Nostra è stata più volte ripresa — dal febbraio2010 al maggio del 2013 — mentre tentava di darsi un governo. Prove di Cupola fra i fornelli. Ostriche, panelle e champagne. È il menù preferito dai parvenu di Cosa Nostra. Gente di mafia scono-sciuta, sostituti dei sostituti rinchiusi al 41 bis, aspiranti eredi che hanno abbandonato in parte il tradi-zionale cibo dei loro capi (resistono le panelle, le frittelle con la farina di ceci) privilegiando perlopiù ilmangiare che costa tanto. Segno dei tempi. Quello che segue è il frammento di un elenco — molto piùlungo e dettagliato — sugli ultimi summit dei boss di Palermo in ristoranti che a volte, nel giorno di chiu-sura, aprono solo per loro. Ogni nome è inserito in un rapporto che i carabinieri hanno consegnato alla

CULTRobert De Niro nei panni di Al Capone massacra a colpi di mazza da baseball un commensale:è una scena cult da Gli intoccabili (1987)di Brian De Palma

■ 29DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

magistratura, dall’indagine sui “boss a tavola” si sta disegnando una nuova mappa mafiosa della città. Ristorante Il baglio dei Papiri, via Da Pesaro 6, Palermo, partecipanti: Felisiano e Tommaso Tognetti, An-tonino Castagna e Gaetano Maranzano. Ristorante Temptation-Delizie marinare, via Torretta 94, par-tecipanti: Luca Crini, Carlo Castagna, Gaetano Maranzano. Ristorante La Corte dei Normanni, via Tor-retta 66, partecipanti: Giulio Caporrimo, Amedeo Romeo, Stefano Scalici, Giovanni Li Causi. Ristoran-te Ferdinando III, piazza Ingastone, partecipanti: Giovanni Tarantino, Stefano Pasta, Giuseppe Di Mar-co, Alessandro Costa, Salvatore Sansone, Giuseppe Scalavino, Maurizio Lareddola, Giovanni Giammo-na, Gaspare Parisi, Giovanni Mulè, Vincenzo Bertolino, Ignazio Gallidoro, Nicola Milano, Tommaso DiGiovanni, Luigi Giardina. E ancora, summit a Villa Pensabene, a Ma che Bontà, a Villa Giuditta, da Pep-pino a Mondello.Giovani rampanti senza quarti di nobiltà mafiosa e vecchi padrini scarcerati dopo lunghe pene, tutti in-sieme voracemente, appariscenti come quei gangster americani rappresentati nei film, tutti protesi a ri-costruire la Cupola. Dopo ogni mangiata è sempre accaduto qualcosa. Un arresto. Una scomparsa. Unomicidio. C’è anche il cibo che strozza. La tavola è sempre stato un luogo sacro per i boss, il cibo un misuratore di potere e di prestigio. E comevi raccontiamo in queste pagine con alcune storie — sulle abitudini alimentari dei mafiosi e su certi spro-porzionati omaggi di pasticceria siciliana destinati agli amici — fra una portata e l’altra spesso si sonostipulati patti, rafforzate alleanze, dichiarate guerre.

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si siede a tavola

Un rito antico che si rinnova a ogni generazioneLo dimostrano le intercettazioni e gli ultimi filmatidegli investigatori in alcuni ristorantipalermitani.A essere cambiato è soltanto il menù

l’Utri: «Minchione!!!, E che gli arrivò, un camiongli arrivò». Cinà: «Ho dovuto far fare una cassa dalfalegname, altrimenti si rompeva». La maxi cas-sata ha al centro il logo di Canale 5 fatto con il mar-zapane.

Il caffè correttoTutti ricordano quello che ha ucciso il 22 mar-

zo del 1986 nel supercarcere di Pavia Michele Sin-dona, banchiere e criminale, piduista e socio deiboss di Cosa Nostra. Un po’ di cianuro di potas-

sio, la morte archiviata come suicidio anche seancora oggi molti sospettano fortemente l’omi-cidio. Nessun dubbio su un altro caffè correttocon la stricnina, quello che ha eliminato il 9 feb-braio del 1954 nel carcere dell’Ucciardone Ga-spare Pisciotta. Era il cugino del bandito Salvato-re Giuliano, conosceva molti segreti sui rapportidi Turiddu con gli apparati dello Stato. Pochigiorni prima di morire, nell’aula dove si celebra-va il processo per la strage di Portella della Gine-stra aveva gridato: «Siamo un corpo solo: bandi-

ti, polizia e mafia. Come il Padre, il Figlio e lo Spi-rito Santo».

La Pizza (Connection)Non somiglia alla Margherita né alla Capric-

ciosa, ma prende il nome da una delle più colos-sali inchieste antimafia della storia. Il capo del-l’Fbi Louis Freeh negli Usa e il giudice GiovanniFalcone in Sicilia, fra il 1979 e il 1984 hanno sco-perto la più grande rete internazionale di traffi-canti d’eroina. Tutti mafiosi che, come copertu-

ra, avevano pizzerie nel New Jersey. Nel 1985 alla Pizza Connection è stato dedica-

to anche un film, regista Damiano Damiani e pro-tagonista Michele Placido.

La pecora e l’occhio di riguardoAntica pietanza dei pastori del-

la valle del Belice, la pecora bolli-ta torna molte volte nei raccon-ti degli uomini d’onore sulle lo-ro mangiate. L’acqua nel pento-

lone — che si cambia tre volte —è impregnata di aromi per stempe-

rare il forte sapore della carne. Carote,gambi di sedano, patate, pomodori secchi, cipol-le, foglie di prezzemolo. Così è stata servita ungiorno ad Angelo Siino, trent’anni fa “ministrodei Lavori Pubblici” di Totò Riina: «Una volta ar-rivai in una masseria vicino a Catania... c’era unlezzo terrificante, un odore di pecora. Fui accol-to come sempre con baci e abbracci, ma vidi in uncalderone una pecora intera che bolliva. TantoNitto (Santapaola, ndr) era gentile, grazioso, tan-to Turi (il fratello di Nitto, ndr) era grossier. Con lapunta di un coltello prese l’occhio della pecora eme lo porse... era l’occhio di riguardo, che io pen-savo fosse immaginifico, invece era reale... Io in-goiai l’occhio intero, lo ricordo ancora con terro-re...».

Le sarde di LuckyBucatini con le sarde per tutti

gli ospiti. L’ha pretesa come pri-ma portata Lucky Luciano, il 10ottobre del 1957. Così è comin-ciato intorno a un tavolo il sum-

mit di mafia al Grand Hotel et desPalmes di Palermo. Lì, fra gli specchi

e gli stucchi di un salone liberty dove più di set-tant’anni prima Richard Wagner aveva compo-sto al pianoforte il terzo atto del Parsifal, la mafiaha deciso il suo futuro firmando un patto che faràdiventare i «siciliani» i criminali più ricchi delmondo. Tra una scorpacciata e l’altra, alle Palmein quell’inizio di autunno si incontrano tutti i ca-pi di una sponda e dell’altra: Frank Garofalo eGiuseppe Joe Bonanno, Vito Vitale, Santo Sorge,Charles Orlando, Nicola Nick Gentile e CarmineGalante, Filippo Rimi, Cesare Manzella e Giusep-pe Genco Russo, don Mimì La Fata, CalcedonioDi Pisa, Rosario Mancino. Dopo quel piatto di pa-sta con le sarde voluto da Lucky, Palermo è di-ventata la capitale dell’eroina.

MonsciandòL’invito a pranzo dello zio

“Totò” è stato l’incubo di tutti gliuomini d’onore fra gli anni ’80 e’90. «C’è lo zio Totò che vuolemangiare con te, ti deve parla-

re», avvisano i messaggeri di Sal-vatore Riina. Chi riceve l’ambascia-

ta trema. È in trappola. Se non ci va, il suo destinoè segnato: vuol dire che ha paura perché ha qual-cosa da nascondere. Se ci va, sa che può fare la fi-ne di tanti altri invitati: non tornare più.

Totò Riina è sempre seduto a capotavola. Allasua destra ha Bernardo Brusca, alla sua sinistraNenè Geraci “il vecchio”. Qualche volta c’è pureMariano Agate. O Raffaele Ganci o FrancescoMadonia. Si mangia, si ride e si scherza e poi qual-cuno scivola alle spalle dell’ospite e lo strangolacon una cordicella.

«Monsciandò per tutti», ordina lo zio Totòquando portano via il cadavere. Ci sono semprecasse piene di Moët & Chandon anche nei mise-rabili casolari dove si nascondono i Corleonesi.

Interiora alla griglia Sulla rubrica gastronomica

di un diffusissimo settimanaleitaliano qualche anno fa è statorecensito come il migliore stig-

ghiuolaro di tutta la Sicilia. Lastigghiuola — con le panelle — è il

tipico cibo da strada palermitano. Budellini diagnello, limone, prezzemolo, cipollotti, sale e pe-pe. Tutto alla griglia. Lo chef segnalato sulla rivi-sta era Salvatore Liga detto “Tatuneddu”. Gliagenti della Dia hanno scoperto che sulla sua gra-ticola arrostiva anche i nemici di cosca. Una sor-ta di forno crematorio della mafia.

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REPUBBLICA.ITOggi sul sito di Repubblical’inchiesta di Bolzonie Palazzolo con i videodei carabinieridi Palermoche hanno sorpresoi boss mafiosidi Cosa Nostra a tavola, mentrecercano di riorganizzarela Cupola. Regia di Massimo Cappello e Giulio La Monica

LA DOMENICA■ 30DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

PIEVE TESINO (Trento)

e immagini non sapevanoancora volare, smateria-lizzate, fra le nuvole di in-ternet. Ma sapevano cam-

minare. E camminando arrivavano al-trettanto lontano, ai quattro angoli del-la Terra. Per tre secoli, le immagini eb-bero gambe e spalle. Paraná, India, Ci-na, Siberia: chiuse in scrigni di legnoportati a mo’ di zaini, passo dopo passo,le immagini si diffondevano in tutto ilmondo.

Ma la fonte delle immagini era qui, inquesta piccola conca verde che si puòabbracciare in un solo sguardo, nasco-sta dietro la Valsugana, tre villaggi, Pie-ve, Castello, Cinte, disposti a girotondo:il Tesino. Da qui quando veniva l’autun-no si incamminavano le immagini di cuiil mondo nuovo aveva sempre più fame.E loro, i Tesini, magnifici vagabondi,ambulanti dell’occhio, quella fame sa-ziavano, mettendosi per via, cammi-nando mesi, a volte anni, attraversopaesi e città, nazioni e continenti. E “PerVia” si chiama ora il piccolo, intelligen-te, sorprendente museo che a Pieve Te-sino, finalmente, ne celebra il mito e neracconta la storia. Che è un po’ questa.

I primi iconauti, padri pellegrini del-la civiltà delle immagini, nomadi dellefigure, erano contadini e pastori. Gentedi frontiera, abituata a cambiar padronie lingua a seconda delle contorsioni del-la Storia. La romana via Claudia AugustaAltinate passa per il Tesino, tentatrice.Per secoli però i Tesini si mossero soloavanti e indietro secondo i ritmi dellatransumanza. Finché l’Europa nonrimbombò del tuono di quella nuovatecnologia di guerra che impressionòl’Ariosto, «un ferro bugio, lungo da duabraccia», l’archibugio, che per funzio-nare aveva bisogno di una pietruzza chesprizzava scintille; e di pietra focaia eraricco il suolo del Tesino, così i pastoriscendendo a valle ne riempivano le ger-le e la vendevano e scoprivano che ilcommercio ambulante rendeva di più eannoiava di meno della pastorizia. Sic-ché quando Remondini, il tipografo diBassano, a metà del Seicento, ebbe la ge-niale intuizione di ampliare il mercato

delle sue stampine con la vendita portaa porta, trovò già pronti, a poche valli didistanza, i commessi viaggiatori ideali,esperti, scafati e ansiosi di partire.

E partirono. In tanti. Quando il Tesi-no aveva sì e no cinquemila abitanti,cinque o seicento contemporanea-mente erano in giro a vender le stampedi Remondini. Uno o due per famiglia.Prima vicino, poi lontano. I primi eranoviaggi stagionali, si partiva d’autunno esi tornava a primavera, in tempo per da-re una mano nei campi. Poi i viaggi co-minciarono a durare anni. Si partiva ra-gazzi, a tredici anni, si tornava uominifatti. Il Tesino rimaneva una valle didonne e di anziani. Gli uomini validi era-

no sulle strade d’Europa. A vendere unamerce strana, che non si mangiava, chenon serviva a nulla, se non all’anima. Eral’alba della videociviltà. L’occhio sco-priva di volere la sua parte.

La casseladi legno con le bretelle par-tiva piena. Di stampine d’ogni genere.Xilografie di santi da pochi soldi, inci-sioni in rame acquerellate, più tardi lestrepitose litografie a colori. Un’imma-gine per ogni cliente. Le contadine, e leservette di città, compravano santi emadonnine, magari di nascosto ai ma-riti che non avrebbero gradito la spesaper quelle frivolezze, poi le appendeva-no nei loro altarini segreti: l’interno de-gli armadi dei lini e delle biancherie, do-ve gli uomini di sicuro non andavanomai a guardare. I cittadini e i borghesi in-vece preferivano immagini di città, pae-saggi, battaglie da appendere nei salot-ti, per curiosità, per status symbol.

«Aussicht! Voilà les belles images!» gri-davano nelle piazze i Tesini poliglotti,

MICHELE SMARGIASSI

TesinifavolaLa

dei

Partirono a piedi dalla Valsuganaper diffondere fino in Oriente incisioni,

litografie e stampe.Oggi un piccolo museone celebra il mito

La storiaGlobetrotter

L

AMBULANTIAl centro, Giovanni Fietta,ambulante tesino. In alto,il suo taccuino con catalogoSotto, venditore tesinoin una stampa ottocentesca

Vendevamoimmaginial mondo

■ 31DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

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appendendo a un filo, con le gioe, le mol-lette di legno, quelle merci inutili e fasci-nose. Che loro sapevano piazzare da ve-ri artisti. E un po’ da furbi. Un santo po-teva cambiare nome, se necessario, ediventare guarda un po’ proprio il pa-trono del paese in cui si trovavano a ven-dere in quel momento. Tanto, chi hamai visto di persona san Pantaleo osant’Orso? Però, dài e dài, erano diven-

to editore in proprio. Certuni erano di-venuti delle personalità: come Giusep-pe Daziaro, che aprì sontuosi negozi dioggetti d’arte nei passeggi eleganti diSan Pietroburgo e Mosca, davanti allesue vetrine passarono Tolstoj e Do-stoevskij e ne scrissero. E quando i bol-scevichi confiscarono tutto, Lunacar-skij, ministro per la cultura, salvò la vitaall’ultimo Daziaro, perché le loro im-magini avevano «rispecchiato la vita delpopolo russo favorendone il risveglio».

Capitò ad altri, come a Ulisse, d’am-malarsi di mal del viaggio. TommasoMarchetto, con quella mania di «anda-re un po’ più lontano», finì in Cina. Se-bastiano Avanzo passò l’Atlantico, ec-colo in una foto all’albumina, revolvernella fondina perché, c’è scritto dietro,«in Messico la giustizia sta appesa allacintura». Altri finirono in Cile, in Siberia,in India.

Ma i più volevano tornare a morire acasa. Il mondo nei piedi e negli occhi, ilTesino nell’anima. Prima del tracollo, iDaziaro si fecero costruire una impo-nente villona rossa che ancora oggi do-mina da un poggio. I soldi spediti a casacambiarono la vita della valle: ci costrui-rono un ospedale, un albergo, perfinouna scuola di lingue. Bisognava essereattrezzati, per partire alla conquista delmondo. Nei tinelli dei contadini di que-sta valle isolata erano appese vedute diBaltimora e lettere da Calcutta, nelle suetaverne si raccontava della guerra boe-ra o della secessione americana. Moltiperò non tornavano, ma l’arciprete fa-ceva rintoccare le campane a ogni lette-ra funesta arrivata da lontano.

L’epopea degli hommes des imagesfinì con la Grande Guerra. Le frontierediventate trincee erano insuperabili.L’Europa sotto macello non compravapiù stampe, e ormai i giornali illustratiplacavano la fame dell’occhio, senzapiù bisogno delle gambe dei Tesini.

Oggi idealmente tornano tutti a casa,perché “Per Via”, ricavato nel cuore delpaese da un’abitazione modesta, è unpo’ museo-archivio e un po’ casa, con lecucine, il salottino, la stube. Passiamo asalutarli. Noi che viviamo di tivù e di fo-tocellulari abbiamo un debito con loro:per primi, con la fatica dei loro muscoli,hanno reso il mondo immaginabile.

dietro un feedback: «San Giuseppe cosìgiovane in Germania non va, devi in-vecchiarlo», protestavano con l’inciso-re, che teneva conto e adeguava il pro-dotto alla domanda. Giovanni, nonnodi Elda Fietta Ielen, da decenni studiosadei Tesini, «teneva un taccuino rilegatoin pelle, con i titoli di tutte le stampe, e afianco segnava da una a quattro barret-te il gradimento dei clienti». I like di Fa-

tati iconologi dacampo, divulga-tori di pensiero vi-suale, sapevano spiega-re, descrivere, affabulare le loro imma-gini. Tönle, l’ambulante tesino di unracconto di Rigoni Stern, si innamoradelle sue stampe più belle e non le vuo-le più vendere. Misuravano la rispostadel mercato. Tornando, portavano in-

cebook non sono poi quella gran novità. Era fatica: in “compagnie” da due-tre

persone arrivavano fino al nord Europasempre a piedi, a tappe ormai collauda-te, vendendo borgo per borgo. Guada-gnavano bene, con le stampe: tre voltequel che le avevano pagate. Se però riu-scivano a venderle tutte. Se un tempo-rale non gliele macerava, se non glielesequestrava qualche censore severo oqualche doganiere pignolo, se non glie-le rubavano di notte mentre, per rispar-miare, dormivano in qualche pagliaio.Se capitava, erano dolori. Remondini lestampe le dava in conto vendita, ma vo-leva una garanzia: un pezzo di terra, chespesso incassava, e la gente della vallemasticava amaro: «I santi dei Remondi-ni si mangiano le terre dei Tesini...».

Però poi furono i Remondini a fallire,nel 1859. Ma i Tesini andarono avanti lostesso. Ormai erano una potenza com-merciale, una rete ben stretta che lega-va tutta l’Europa. Avevano cominciatoad aprire sedi stabili, prima magazzini,poi veri negozi: i Tessari ad Augusta e Pa-rigi, i Buffa ad Amsterdam, i Fietta aMetz, i Pellizzaro a Gand, gli Avanzo aBruxelles. Gelosi, chiamavano come la-voranti e poi cedevano l’attività solo acompaesani, e la parola Tesino divennesinonimo internazionale di venditore diimmagini. Da perteganti e cromeri, chevuol dire piazzisti ambulanti poveracci,da santari di strada, molti erano ormaidiventati dei signori, connoisseur raffi-nati. Ordinavano le immagini, adesso,dalle migliori stamperie d’Europa, so-prattutto inglesi, qualcuno era diventa-

IL MUSEO“Per Via”, Museo delle stampe e dell’ambulantato,

promosso dal comune di Pieve Tesino (Trento)è curato da Massimo Simili e Massimo Negri

Ha sede nella casa Buffa GiacantoniL’inaugurazione ufficiale è in primavera, ma ha già aperto

in anteprima per i turisti durante le vacanze di Natale

SANTISan Michele in una stampadi Remondini per la RussiaNell’altra pagina, in alto, Sant’AntonioIn basso a sinistra, una “cassela”con altre immagini sacre

A COLORIIn alto, il “cane barbino”:una delle prime stampeRemondini. E poi litografiedegli editori Buffa e Daziaroa Parigi e Amsterdam

LA DOMENICA■ 32DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

SpettacoliLa vie en rose

I PUFFINascono come fumettonel 1958, ma il successo arrivacon la serie degli anni OttantaIl salto al cinema è del 2011

WINXIl cartone per la tv nascenel 2003. Le sei ragazze-fatesbarcano al cinema nel 2007Nel 2009 il secondo film

SPONGEBOBAnche la spugna marina,nata come serie tv negli Usanel 1999, ha avuto la suaversione al cinema nel 2004

TARTARUGHE NINJAI quattro film (il primo nel ’90)hanno sia elementi del fumetto Usa nato nel 1984che delle serie tv (1987)

Londra, Regent Street: è qui che da dieci anni tre amici fanno nascereil cartoon che ha conquistato i cuori dei bambini di centottanta paesi

A casa di una porcellinaè qualcosa cheaccomuna chi hafigli da zero a cin-que anni. Le sve-glie notturne e lafrequentazione

di tutti i parchi e giostre della città, cer-to. Ma anche e soprattutto Peppa Pig.Le storie della porcellina sono panequotidiano per i bambini italiani.Ogni giorno mezzo milione di picco-lissimi le segue davanti alla tv. In buo-na compagnia: la serie è distribuita incentottanta paesi nel mondo, e in Au-stralia e negli Stati Uniti è la più vistadal pubblico prescolare. Pronta in-somma per sbarcare al cinema, cosa

che accadrà, grazie alla WarnerBros, nei prossimi due

weekend: Peppa Pig, va-canze al sole e altre

storie, dieci episo-di inediti su

grande scher-mo.

Un mar-chio globale,ma con radicia Piccadilly

Circus: i papà di Peppa sono, infatti,tre amici londinesi. «Non abbiamofatto nessuno studio di mercato parti-colare», spiegano Mark Baker (dise-gni) e Neville Astley (animazione), «l’i-dea ci è venuta a fine anni Novanta, vo-levamo realizzare una serie tv per ibambini che vanno all’asilo e ci è sem-brato naturale raccontare con hu-mour le piccole storie di una famiglia.Feste di compleanno, viaggi al mare:prendiamo spunto dalle nostre vite,dai nostri figli». Semplice, no?

Dal 2004, anno delle prime puntateinglesi, hanno vinto tre Bafta (BritishAcademy of Film and Television Arts,gli Oscar britannici) e i ricavi del mer-chandising sono passati da un inizialemilione di sterline agli esorbitanti 205milioni del 2013. Qualità e business.«La semplicità di Peppa è solo un’illu-sione, nasconde un lavoro enorme»,spiega a Repubblica Phil Davies, chedel trio è l’uomo dei conti perché si oc-cupa della produzione. «Basti pensa-re che ogni animatore riesce a realiz-zare non più di dieci secondi al giornodi cartoon. E un minuto di una punta-ta ci costa settemila sterline». Mica fa-cile essere semplici. «Il tratto assomi-glia, volutamente, il più possibile a

quello dei bambini», spiega Astley.Non è un caso, per esempio, che l’abi-tazione di Peppa e quelle dei suoi ami-chetti siano isolate, ognuna su unacollina. Guardate i disegni dei vostri fi-gli: quando rappresentano la loro ca-sa, non ce ne sono mai altre intorno.Piccoli segreti che aiutano a spiegare ilsuccesso di una produzione che, neglianni del 3D e di un uso sempre più so-fisticato del computer, fa trionfare undisegno bidimensionale, con coloribrillanti senza sfumature. Dallo story-board all’animazione (il software èCelAction), al montaggio, fino al so-noro, tutto è realizzato nel piccolo stu-dio della trafficata Regent Street:«Nessuna struttura narrativa prefissa-ta. Partiamo dai personaggi e arrivanole storie. L’unica regola è che ognipuntata deve durare cinque minuti,otto pagine di sceneggiatura». Orgo-gliosamente “home-made”, al puntoche Davies, che da ragazzo sognava didiventare una rockstar, confessa: «An-cora oggi sono pronto a prendere lamia chitarra e salire su un palco. E mitolgo la soddisfazione di comporre

FRANCESCO FASIOLO

STORYBOARDQui sopra,la famiglia Pigal completo:papà, mamma,Peppa e GeorgeIn alto, una sequenzadi schizzi dei primianni: una sortadi sceneggiaturadisegnatada cui partonogli animatoriper trasformarlain cartoonIn Italia i libridi Peppa Pigsono pubblicatida Giunti Kids

GLI ALTRI

C’

■ 33DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

Nel mondo ideale Peppa Pig sarebbe og-getto di dibattiti tra competenti: peresempio come simbolo basic per bambi-

ni che stravince su una collega di cartoon, la pe-cora Shaun, preferita in un coté, come dire, ra-dical-chic, quindi inevitabilmente perdente inascolti e attenzioni. Il metodo funziona per ge-nerazioni di genitori, vedi quelli che a cavallo delDuemila bramavano per i loro piccoli il meravi-glioso pinguino Pingu e loro, i pargoli, inveceniente — ancora oggi quei genitori se spostanoun mobile trovano quattro carte dei Pokemon.Per dire che via televisione si consuma la fru-strazione di molti, a patto di essere anche la gioiadei diretti, piccini, interessati: la Peppa ci dimo-stra ancora una volta come il piccolo schermo ri-cicla i modelli. Fermo restando che rimane im-possibile pronosticare il successo planetario diuno o dell’altra, successo che poi finisce al cine-ma, nonché teatro e musical e tutto quello chec’è. A un certo punto succede — il trionfo plane-tario — e basta: e dire che da noi Peppa non stanemmeno nei canali principali della tv ma toc-ca cercarsela con qualche fatica.

Ma il punto sono proprio i modelli: la tv neproduce ormai solo per giovanissimi e anziani(magari lo ha sempre fatto, ma questo è un al-tro dibattito). Sono ciclici, periodici, rifannocose precedenti: il pubblico over 50 attendecon ansia l’imminente ritorno di Don Mat-teo, e sa che prima o poi un Montalbanonuovo ci dovrà pur essere, e i bimbi si godo-no Peppa come nel recente passato hannofatto con le Winx o Spongebob — in modoanalogo per quelli più grandicelli si impo-ne Violetta, una che un normale adulto lavede sul palco e si chiede davvero perché.Secondo una visione ottimista il pubblicodell’età di mezzo sarebbe tutt’altro chesmarrito, visto che il proprio divertimentose lo cerca ormai su internet e via socializ-zando. Bimbi e anziani sarebbero invece

esclusi dalla nuova frontiera e quindi faciliprede dell’eterna tv e dei suoi ricorsi storici.

Viene da dire: speriamo che sia così. Perché inrealtà le nuove cose che funzionano, vedi i ta-lent, e che coinvolgono adulti e proprio quellidell’età di mezzo, si basano su meccanismi chepiù adolescenziali, a essere buoni, non si può.Speriamo bene, appunto, ma è imponendoPeppa e compagnia che nostra signora televi-sione — comanda lei, sempre e comunque — sifa beffe dell’asserita superiore complessità del-la realtà e procede rasoterra per non sbagliarsimai: dateci Disney o Shakespeare rivisitati perl’ennesima volta in qualche modo e lasciate chebimbi e anziani vadano a lei. E gli altri lì, a invi-diare: o a fingere di avere di meglio da fare e guar-dare (la tv).

ANTONIO DIPOLLINA

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I SIMPSONLa famiglia gialla di Groeningimperversa in tv e sbancai botteghini nel 2007 col filmdiretto da David Silverman

CAPITAN HARLOCKÈ arrivato ora in sala il piratadello spazio, protagonistadel manga e della serie tvdegli anni Settanta

DAFFY & C.In Space Jam (’96) e LooneyTunes: Back in Action (2003)tornano i personaggi delle seriedi Daffy e Bugs Bunny

SCOOBY DOODue film al cinema, nel 2002e nel 2004, per il cagnolonedella serie tv Hanna-Barberainiziata nel 1969

piccoli brani per la colonna sonora deinostri cartoni…». Per la distribuzioneperò ci si affida alla eOne, la casa diTwilight, altro successone planetario.

Cosa racconta, Peppa? Lei, il fratel-lino George, Papà Pig e Mamma Pig sela vedono con problemi come matti-nate all’asilo, visite ai nonni, giochicon i compagni di scuola. Che poi so-no Suzy Pecora, Danny Cane, PedroPony, Zoe Zebra: una vera societàmultirazziale. Se qualcosa va storto(qualcuno perde il suo peluche, perdirne una) alla fine tutto si risolveràcon una risata liberatoria, magari sal-tando in una bella pozzanghera di fan-go (oltre al suo grugnito è l’unica cosache ci ricorda che Peppa è una maiali-na). «All’inizio avevamo pensato a unafamiglia di animali immaginari», ri-corda Baker, «ma poi abbiamo scelto imaiali: ai bambini piacciono per il lo-ro verso e perché si rotolano nel fan-go». Creati i personaggi, non è stato fa-cile trovare finanziatori. «Non siamomai stati molto bravi a vendere le no-stre idee». I tre soci presentano nel2001 una puntata di prova: i canali tv

Murdoch, c’è persino chi accusa la se-rie di essere portatrice di una «bizzar-ra linea femminista». Con i papà checucinano e le mamme che lavorano,Peppa è open minded quanto basta.Durerà? Evolverà? «Continuerà adavere un’età indefinita», prevedeBaker, «ma arriveranno nuoviamici. E potranno nascere fratelli-ni e sorelline…». Coraggio, ci sonoancora molte pozzanghere di fan-go sul nostro cammino.

Un successo planetario chedalla televisione ora passa al cinemaGli autori: “Nessun segreto, raccontiamo semplicemente la vita dei nostri figli”

diventata grande

Repetitaiuvant

Nick Jr. e Channel Five sono interessa-ti, ma non possono finanziare tutto ilprogetto. Per la prima serie di 52 pun-tate serve più di un milione di sterline.E così i tre si giocano l’ultima carta:bussano alla porta di parenti e amici.Una sorta di colletta per le trecento-mila sterline ancora mancanti. Il fina-le della favola è noto, e adesso tutti be-nedicono quell’investimento iniziale.

In Italia Peppa Pig è sbarcata nel2010, va in onda su Rai YoYo e DisneyChannel. Il giro di merchandising è di120 milioni e dopo il cinema arriveràuno spettacolo teatrale. «E pensareche all’inizio era solo un riempitivonel palinsesto», ricorda il direttore diRai YoYo Massimo Liofredi, «il succes-so è arrivato quando abbiamo comin-ciato a mandare in onda blocchi dipuntate: ai bambini piace la ripetiti-vità». In più Peppa, dicono le analisisull’audience, è amata sia dai maschiche dalle femmine, come è possibile?«Fa leva sul bene più prezioso per chiha dai tre ai cinque anni: la famiglia nelsuo lato più positivo, i giochi e la vitainsieme a genitori e fratelli. È psicolo-gicamente rassicurante, allontana ildramma dell’abbandono».

Dall’Australia, sul Telegraph di © RIPRODUZIONE RISERVATA

SPLASHNel bozzetto qui sotto, Papà Pigche scivola e cade in una pozzanghera:ogni puntata di Peppa Pig si concludecon una risata liberatoria e un bel saltonel fango. Al centro, Peppa con i compagnidell’asilo e la maestraMadame Gazzella

LA DOMENICA■ 34DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

Dalla Cina all’India le nuove potenzesfidano americani e russi e cominciano a puntare in alto. Andando a metterele proprie bandierine sulla Luna e su Marte

NextWargames

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STATI UNITILa Nasa sta lavorando

a una missioneper abbordare un asteroide

e farvi scendereun astronauta, mentre entroil 2020 invierà un altro rover

su Marte. Inoltresta studiando una speciale

tuta spaziale per permettereagli astronauti di lavorare

sui pianetiniche si incrociano

nel sistema solare

EUROPANel novembre di quest’anno Rosetta,

dell’Agenzia spaziale europea, proveràad “abbracciare” la cometa 67P

Nel 2016 l’Europa lanceràuna sonda per esplorare Marte

e porterà a compimentola seconda tappa di Exomars,

con l’invio di un roversul “pianeta rosso”

per prelievo di materiali

ELENA DUSI

Le bandiere di Usa e Urss non sono più sole sulla Luna. Anche il rosso cinesesi staglia ora contro la polvere del sinus iridum, o mare dell’arcobaleno, conle sue stelle dorate stampigliate sul rover battezzato yutu, o Coniglio di Gia-da. Né l’enorme balzo di Pechino è destinato a restare isolato, accompa-gnato com’è (e come sarà) dai controbalzi indiani, americani, giapponesi,coreani, russi, europei, iraniani. Il nuovo risiko dello Spazio, insomma, non

è più un braccio di ferro fra due superpotenze. Riflette piuttosto un mondo sfaccettato incui soprattutto Cina, India, Giappone e Corea del Sud si sfidano a colpi di sonde per la su-premazia in un’Asia mai sazia di affermazioni. E in cui gli Usa sono a caccia della vita suMarte, ma hanno bisogno di un passaggio (pagato a caro prezzo) dalle navicelle russeSoyuz per raggiungere la loro stazione spaziale. Quanto all’Europa, gioca a fare il terzo in-comodo e confida che alla fine sarà lei, con ExoMars, a trovare le tracce di vita sul piane-ta rosso. Perfino l’Iran si industria per portare un uomo in orbita: il 14 novembre Teheranha completato un test spedendo in orbita una scimmia, poi tornata sana e salva.

Resi meno espliciti (ma non del tutto assenti) gli obiettivi militari, la nuova corsa delloSpazio assomiglia più a una passerella multicolore in cui ciascun paese porta la sua livreae il suo prestigio. A mezza bocca però emerge fra le ambizioni dei paesi che rivolgono gliocchi all’insù l’idea di trovare su Luna o asteroidi le risorse minerarie che sulla Terra scar-seggiano. La sonda Rosetta dell’Agenzia spaziale europea proverà ad “abbracciare” la co-meta 67P nel novembre 2014, avvicinandosi lentamente e poi calando sulla sua superfi-cie una sonda grande come un barile. La Nasa sta studiando una speciale tuta spazialeper permettere agli astronauti di lavorare (presumibilmente alla ricerca di materie pri-me) sui pianetini che continuamente si incrociano nel sistema solare. Il deficit di tecno-logia è ancora enorme, ma la nuova corsa allo Spazio è una gara per riuscire forse un gior-no a identificare, scavare e riportare sul nostro pianeta minerali preziosi che farebberofare un balzo ineguagliabile — e molto terreno — al paese vincitore.

In attesa di tempi più redditizi, al momento dalle missioni spaziali si cerca di ricavareprestigio. «Una nuova gloria che la Cina ha dato all’umanità»: così l’agenzia giornalisticastatale Xinhuaha celebrato l’allunaggio della sonda Chang’e-3, il 15 dicembre 2013. Sen-za attendere nemmeno una giornata, Pechino ha subito annunciato missioni più ambi-ziose. Nel 2017 una sonda cinese vorrebbe posarsi sulla Luna, raccogliere campioni disuolo e riportarli sulla Terra. Intorno al 2020 un taikonauta potrebbe tornare a saltare inmezzo alla magnifica desolazione. Nel frattempo il gigante asiatico punta a replicarequella stazione spaziale internazionale americana che — pur rivelatasi poco utile e mol-to dispendiosa — rappresenta pur sempre un capolavoro di ingegneria.

La Luna? Troppo vicina, scuotono le spalle alcuni. La vera sfida del risiko dello Spaziosarebbe Marte. Mentre il Coniglio di Giada viaggiava verso il satellite, la sonda indianaMangalayaan usciva dall’orbita terrestre per lan-ciarsi nei 400 milioni di chilometri e 300 giorni diviaggio necessari a raggiungere il pianeta rosso(arrivo previsto per settembre 2014). Lì la missio-ne studierà dall’orbita l’atmosfera e il suolo diMarte. E la sfida non si riduce al fatto che dagli an-ni ’60 a oggi quasi due missioni su tre, fra quelle di-rette al più adatto alla vita fra i pianeti del sistemasolare, sono fallite. L’India ha allestito anche unadelle meno dispendiose missioni spaziali dellastoria. Peccato che l’utilitaria Mangalayaan (73milioni di dollari) sarà sorpassata lungo l’auto-strada Terra-Marte dalla super-sonda americanaMaven, decollata da Cape Canaveral il 18 novem-bre e costata 671 milioni di dollari. L’obiettivo vi-cino delle missioni su Marte è capire perché il pia-neta rosso, un tempo ricco d’acqua e temperato sisia ridotto a un deserto privo di atmosfera. Ma al-le potenze in corsa nello spazio non manca unobiettivo più ambizioso (la Nasa parla del 2030 odoltre): portare un uomo a calpestare la polveredella vera nuova frontiera del sistema solare. Inquesta competizione, al momento gli Usa nonsembrano avere veri rivali. Mosca con Marte hasempre avuto poca fortuna. Una missione cinese

nel novembre 2011 (in cui la sonda era trasportata da un razzo russo) non è riuscitanemmeno a staccarsi dall’orbita terrestre. Una simile umiliazione era capita-

ta dieci anni fa al Giappone.A rimarcare un’altra differenza con la Guerra fredda, la nuova

corsa allo Spazio oggi procede in un clima di diplomazia almenoformale. Fanno eccezione Stati Uniti e Cina. Nel 2011 il Con-

gresso Usa ha approvato una legge che vieta ogni con-tatto con gli scienziati di Pechino. Eppure il gigan-

te asiatico resta l’unico oltre a Usa e Urss adaver effettuato un atterraggio morbido sullaLuna e ad aver portato l’uomo nello spazio e si

candida a diventare la vera terza potenza nell’e-splorazione del sistema solare. A luglio di que-

st’anno, in vista dell’arrivo dei cinesi sul satellite, ilCongresso Usa si è affrettato ad approvare una se-

conda legge, questa volta per proteggere i siti dove al-lunarono gli Apollo. Per questi appezzamenti di polve-

re varranno d’ora in poi le stesse regole dei parchi na-zionali americani. Mancano solo i ranger con il cappello.

Chi vincerà il risikodel Terzo Millennio

Spaziodello

LaConquista

■ 35DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

Buzz Aldrinastronauta (missione Apollo 11, 1969)

È il nome con cuisi indicano gli uomini cinesiinviati nello spazioI cosmonauti sono invece russi e gli astronauti americani

TAICONAUTA

È la Stazione spazialeinternazionale, abitatadal 2000 e che orbitatra 300 e 450 chilometridalla Terra. Volutae finanziata soprattuttodagli Stati Uniti

ESA

Apparecchio inviatonello Spazioche non ha uomini a bordoma telescopi e strumentiscientifici. È in gradodi inviare foto e risultatidi esperimenti sulla Terra

SONDA

Usati su Luna o Martesono robot a ruote fattiatterrare delicatamente,che si muovonosulla superficieanalizzando campionie scattando foto

ROVER

GLOSSARIO

INFO

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L’anno prossimo è previstoil lancio dell’osservatorio spazialeAstrosat, come pure l’inviodi un rover sulla Luna

Non si conoscono ancorai tempi della missionema l’agenzia spazialeRoscosmos ha già annunciatodi voler costruireuna sua base sulla Luna

RUSSIA

CINANel 2017 lancerà una sonda sulla Lunaper prelevare campioni di suoloTra il 2020 e il 2025 vorrebbe riportarvil’uomo e mettere intorno alla Terra una basesimile alla Stazione spaziale internazionale

È prevista entro il 2020la missione spazialedella Corea del Sudche intende mandaresulla Luna un rover

COREA DELSUD

GIAPPONETempi e obiettivi finali sonoancora incerti, ma è comunqueufficiale il fatto che anche il Giapponevoglia spedire un rover sulla Luna

FrontiereLa Terra non deve più essere l’unico mondo Per noi è tempo di cercare nuove frontiere

INDIA

acanzeagli sgoccioli, freddo imperante, umore in bilico tra il piacere pigrodei giorni di festa trascorsi e l’ansia preventiva per la quotidianità lavora-tiva dietro l’angolo. Le ultime ore prima del Grande Rientro sono essenzialiper affrontare col piglio giusto tutto quanto di temibile avevamo lasciatoin sospeso l’anno scorso, dal conto del dentista allo sguardo impietosodell’insegnante di fitness.

Niente di più scalda-cuore (e non solo) che accoccolarsi davanti al ca-mino acceso, dove ognuno può inseguire i propri pensieri senza perdere il

contatto con gli altri: luce morbida, chiacchiere quiete, le pagine di unbuon libro, l’aria profumata dalle scorze d’agrumi gettate tra i ciocchi di le-gno.È proprio lì, sotto le braci, che si compie il miracolo della lenta cottu-ra più antica del mondo. Perché la cenere accumula calore in dosi omeo-patiche, proporzionali alla dimensione di ogni singolo, impalpabile gra-nellino. Ma proprio come per la sabbia che scotta sotto i piedi, è l’unionedi miliardi di granellini a fare la forza, consentendo agli alimenti di cuoce-re. Mai come in questo caso, le variabili suonano semplici e obbligatorie:

LA DOMENICA■ 36DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

V

Patate e castagne, pesce fresco,carni ben frollate, nessuna frettaPerché per cuocere non col fuocoma con le braci ci vogliono tempi lunghie ritmi sonnolenti. Proprio come quellidegli ultimi giorni di festa

I saporiPrimordiali

Panedel desertoSecondo la tradizionenomade, farina, acqua e sale lavorati brevementeImpasto spianato sottile su carta oleata. A piacere,olio e semi di finocchio

PollofarcitoPane raffermo, erbearomatiche, pomodorisecchi, i suoi fegatini, olio e sale per il ripienoCottura di due ore in crostadi sale con foglie di limone

Oratain foglieAll’interno, fetta di limone,sale e pepe. Avvolta in foglie di fico o viteappena sbollentate, poi in cartoccio con sfiatatoioper ridurre il vapore interno

Crostinodi uovaAperta la calottinasuperiore, dentro un cucchiaino di panna e uno di Parmigiano, cotto 4’ in piedi, poi versatosu pane abbrustolito

Patate conpanna acidaIncisione a crocesulla buccia perché nonscoppino, poi in cartoccioUna volta cotte, pannamontata con limone e pepenero nella spaccatura

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Sotto

LICIA GRANELLO

Tra cartoccio e caminettoil calore della cottura slow

tempo e materia prima. Certo, bisogna che il fuoco sia stato ben avviato,che la produzione di braci sia continua e uniforme, che lo strato sottostantesia sufficiente ad accogliere per intero cocci e cartocci. Ma non esiste attoculinario tanto accessibile e democratico: nella più spartana delle ricette,infatti, basta infilare castagne o patate nella cenere e aspettare.

Se la pazienza è maestra, la scelta del cibo non ammette sconti: pescefreschissimo — pena lo sprigionarsi di odori pessimi all’apertura del car-toccio — carni ben frollate, che non rilascino acqua in cottura, verdure efrutta biologica per godersi i sentori affumicati della buccia, non contami-nati dalle particelle carbonizzate (e quindi pericolose) della cottura sullafiamma. Il resto, lo fa il tempo. Mentre la cottura alla brace richiede atten-zione vigile e riflessi pronti — tizzoni sotto controllo per non far alzare ilfuoco, pennello o rametto di rosmarino in continuo movimento per un-gere le superfici di cosciotti e affini, pinza pronta a girare, spostare, allon-tanare i cibi prima che brucino o diventino stopposi — sotto la cenere tut-to si compie in silenziosa lentezza.

Una cottura primordiale ma raffinata, rispettosa del cibo ed empaticacon i ritmi sonnolenti degli abitanti di casa: più che il termometro digitalepuò lo stuzzicadenti, più che il sussulto del cuoco la gestualità rallentatadel coperchio del coccio appena scostato per liberarne gli umori godurio-si. Senza contare il piacere di mangiare tutti insieme, al contrario della cot-tura sui tizzoni, che condanna al boccone solitario per evitare lo scarto ditemperatura capace di rovinare la più succulenta delle bistecche. Anche acosto di far irritare la befana, occupate il camino a pieno titolo, organiz-zando un menù a doppia cottura: braci accese per il “sopra”, cenere ab-bondante per il “sotto”, confortando i cucinieri volontari con una buonabottiglia di vino. Vacanzieri emigrati ai Caraibi esclusi, naturalmente.

laCenere

Carciofi arrosto Mela cotta con gelato

■ 37DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

Gli indirizzi

DOVE MANGIARELALIMENTARIViale della Vittoria 65BardonecchiaTel. 0122-96619Chiuso mercoledì menù da 20 euro

LA GINESTRA Via Roma 20CesanaTel. 0122-897884Chiuso martedìmenù da 25 euro

’L GRAN BOUCVia Nazionale 24 AClavièreTel. 0122-878830 Chiusura variabilemenù da 27 euro

DOVE COMPRARELE VIE DEL GUSTOVia Medail 84BardonecchiaTel. 0122-96982

MACELLERIA QUAGLIAVia Traforo 43BussolenoTel. 0122-647230

IDEA DOLCEVia Olina 7OulxTel. 0122-90132

DOVE DORMIRERESIDENCE LA TANA DEL GHIROVia Giovanni Giolitti 12BardonecchiaTel. 0122-902081Camera doppia da 90 euro

CHALET CASA CESANAViale senatore BouvierCesanaTel. 0122-89462Camera doppia da 90 euro,colazione inclusa

HOTEL GRAN TRUNVia Assietta 37Sauze d’OulxTel. 0122-858585Camera doppia da 70 euro,colazione inclusa

Costinenel coccioNella terracotta unta, stratidi carne, filetti di pelati,sale, pepe e fette sottili di pancetta. Prima di coprire, olio e vino biancoQuattro ore di cottura

Sulla strada

Cinquanta sfumature di toma

Pareche gli eschimesi abbiano più di cinquanta parole diverse per definire la neve. Noi, monta-gnini delle Alpi piemontesi abbiamo una sola parola per definire cinquanta tipi diversi di for-maggio e la parola magica è: “Toma”. Ci sono tome fresche, stagionate, semi-stagionate, di ca-

pra, di mucca, d’alpeggio, al pepe, al peperoncino, alle erbette, conservate nella cenere, nelle stalle...Al turista che ordina della toma fresca e dolce, noi riserviamo uno sguardo denso di disprezzo, co-

me a ricordargli che quello della buona tavola non è uno sport per signorine. Allo stesso modo peròlanciamo occhiate compassionevoli a quanti, dopo aver avuto l’ardimento di acquistare della tomastagionata, commettono l’errore di mettere il pacchetto nell’abitacolo dell’auto e partire: dopo cen-to metri li vedi arrestarsi di colpo, spalancare tutte le portiere e gettarsi a terra come durante un at-tacco al gas nervino nella metropolitana di Tokyo. Non sanno costoro che tutte le stalle da Chiomontea Salbertrand sono monitorate dalla Cia come potenziali produttrici di armi di distruzione di mas-sa? Se una toma è stagionata, il trasporto in auto è inutile: basta darle l’indirizzo di casa e lei ti seguirà.

I formaggi sono il vero retroterra mitico delle alpi (leggete il bellissimo Il formaggio e i vermidi Car-lo Ginzburg); il segreto della loro fabbricazione ci è stato svelato direttamente dall’Uomo Selvatico,saggio e solitario abitatore delle montagne, ignaro dell’esistenza del colesterolo. Perché il colestero-lo è un’invenzione moderna, una fragilità dei tempi: i nostri vecchi scioglievano nel caffè interi pa-netti di burro e campavano fino a cent’anni. A chi fosse interessato agli effetti benefici e perfino afro-disiaci dei prodotti caseari raccomando dunque, di prossima uscita, il mio 50 sfumature di toma.

ALESSANDRO PERISSINOTTO

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LA RICETTA

Interprete della cucina valdese,Walter Eynard è alla guidadel ristorante “I Somaschi” del Monastero di Cherasco,Cuneo, dove elabora piattisquisiti, come quello ideato per i lettori di Repubblica

Petto di faraonae prugne in pancetta

Bananaal cioccolatoIncisa intera per lungo, nella polpa briciole di fondente, poi cottura di 15’ in alluminio, sbucciatae servita con pannamontata non zuccherata

MeleripieneSvuotate, farcite con un cucchiaino di fruttosio, uva passa,frutta secca spezzettata,burro, gocce di rumIn cartoccio mezz’ora

CarciofiarrostoAmmollati in acqua e limone, spuntati. Dopo10’ di cottura, si scostano le foglie per condire il cuore con olio, pepe,sale, poi altri 20’

Salsiccee polentaTagliate in pezzi lunghi un dito, avvolte in cartaoleata, cotte 20’, aperte in due, appoggiate su fettine di polentaabbrustolite sulla brace

Ingredienti per 4 persone4 petti di faraonaburrovino bianco200 g. di prugne denocciolatepancettasale e pepe 4 patate mediesale grosso e cenere di buon legnorami di pino mugo o argentato

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Rosolare i petti nel burro e sfumare con vino bianco. Arrotolare le prugne nella pancetta. Stendere la carta forno, appoggiare sopra uno strato di rami di pino, usando la parte verdeSistemare i petti sul pino, intervallando con le prugne, bagnare con il fondo di cottura e richiudere il cartoccio. Coprire il fondo di una pirofila con un letto di sale grosso mischiato alla cenere, adagiare il cartoccio e ricoprire completamente con uno spesso strato di sale e cenere. Ripetere il procedimento con le patate (ma senza il cartoccio) e infornare 20’ a 200°. Infornare anche i petti e cuocere entrambialtri 20’. Al momento di servire, spaccare la crosta, aprire il cartoccio e sistemarvi le patate tagliate a metà, condite con una noce di burro su ogni metà

Baked potatoes al burro

LA DOMENICA■ 38DOMENICA 5 GENNAIO 2014

la Repubblica

Il padre si uccise quando lui avevadodici anni. Anche la madre tentòma senza riuscirci. Da tanto dolorenasce la contagiosa allegriadi una delle più amate compagnie

di danza del mondoQuella creatada Moses Pendleton,americano e montanaro,sportivo e filosofo:“Ho pensato

che valesse la pena viveresolo per dare il massimoe rendere felici gli altri”

ROMA

Achiamarlo Mister Mo-mix non si sbaglia: è luil’inventore di una dellecompagnie di danza

più popolari al mondo, creatore di unmix unico di atletica, passione per lanatura e coreografia, da oltre trent’an-ni amatissimo, soprattutto in Italia.Moses Pendleton è un americano dimontagna, nato nel Vermont sessan-taquattro anni fa, ha un fisico asciuttoe scattante, occhi grigi come lampi,mani che mimano continuamente igesti mentre parla velocissimo, caricodi un’energia rara. Campione di sci difondo, per tutta la vita danzatore, hasempre amato dare prove di resisten-za sulla lunga distanza. Oggi vive con-nesso: la figlia Elizabeth lo ha messo suFacebook, il suo amico Philip gli te-lefona via Skype e lui porta sempre consé un piccolo registratore che tiene inpugno acceso e, in un tascapane, unatelecamera: «Non scrivo mai. La pen-na è troppo lenta. Quando ho finito discrivere una parola il pensiero è arriva-to già da un’altra parte. È il metodo dilavoro, la mia dream reality, il punto diincontro tra il pensiero e la realtà».

Sulla terrazza romana del WaldorfAstoria ordina un espresso doppio, perniente scoraggiato dalle nuvole, dalvento, dalla temperatura invernale:«L’aria, la luce, sono la vita per noi. Daquassù c’è una visuale a 360 gradi. Sirespira aria libera. Io ho bisogno di sta-

re in alto, di sentire addosso il poteredel sole che ci permette di vivere, per-cepire la nostra energia. Come i gira-soli, i fiori che coltivo nella mia fatto-ria». Tutto torna. Pendleton è il creato-re infaticabile di equilibrismi e giochidi corpi, illusioni di animali fantastici,luci e ombre, mix di danza e, appunto,di sport. Con spettacoli come Bothani-ca o MoMix Remix, Baseball e OpusCactus, e naturalmente come l’ultimacreazione in tournée, Alchemy (chetornerà in Italia da fine gennaio a finemarzo), ha fatto innamorare le plateedi mezzo mondo. I suoi spettacoliesprimono sempre un senso di felicità,bambini e adulti ne escono con un’al-legria, un buonumore, vertiginosi, conla voglia di vivere a mille e l’impulso difare una corsa in un prato.

Un quadro forse fin troppo perfettodentro il quale si scova non a caso unnucleo oscuro che è poi la vera originedi tutto. Un fatto, una ferita da cui que-sto magma ancora bollente di passio-ne è scaturito. Il dark side di Moses è le-gato a una tragedia famigliare, datata22 luglio 1961, giorno in cui suo padresi toglie la vita. Moses ha dodici anni:«Non sono stato mai più la stessa per-sona. Ho pensato che valesse la pena divivere solo per tirare fuori il meglio dame. In qualche modo per rendere feli-ci gli altri, esprimere un’energia». Tragli episodi di quel periodo di sofferen-za indicibile sceglie di ricordarne uno:«Noi ragazzi eravamo seduti a tavola,tutti e sei. Sentimmo uno sparo. Io euno dei miei fratello ci siamo guardatie ci siamo detti: “Ok, sali tu o salgo io?”.Eravamo terrorizzati che fosse succes-sa un’altra tragedia. Mia madre, l’in-fermiera che si era innamorata del suopaziente nello sforzo di tenerlo in vitadopo che un incendio gli aveva com-pletamente bruciato il corpo, avevafallito. E quel giorno, in un momento didisperazione, aveva voluto vedere se lapistola funzionava. Per fortuna il colpoandò a vuoto. La nostra rabbia non siplacò». L’immagine del padre è anco-ra nitidissima: «Portava sempre guan-ti e occhiali neri. Ma non mi facevapaura, eravamo abituati. Lo conosce-vamo attraverso i suoi occhi, che han-no fatto innamorare mia madre da die-tro le bende di grande ustionato, inospedale. Io ero il suo preferito: miportava in giro sul trattore. Il suo sognoera che facessi il veterinario e che loaiutassi a creare la mucca perfetta».

Ma il ragazzo Moses prende un’altra

strada: si iscrive al Dartmouth collegenel New Hampshire dove diventa uncampione di sci di fondo. I suoi «padrisurrogati», come lui stesso li chiama,sono alcuni campioni di sci austriaco.«Mi piaceva dare prova di me sulla lun-ga distanza, resistere dosando le forzeper molto tempo. Da quei maestri hoappreso la disciplina, la prova dura delcorpo. Poi a un certo punto mi sonorotto una gamba e, durante il periododella riabilitazione, ho provato una le-zione di danza. Mi piacque. Ecco, è co-minciato tutto così». In quel leggenda-rio college nei primi anni Settanta è na-ta la compagnia dei Pilobolus, e di que-gli anni Pendleton rievoca le occupa-zioni stile fragole&sangue: «Ma a uncerto punto ho lasciato stare, eranotroppo estremisti per i miei gusti, e so-no passato a fare altro». «Altro» furonoanche certe feste che duravano giorni,imprevedibile scenario delle prime

coreografie pendletoniane: «Le prota-goniste erano cinquanta mucchebianche e nere. Io correvo con un len-zuolo bianco e una torcia. Loro mi se-guivano, perché le mucche sono ani-mali molto curiosi. Seguendomi dava-no vita a una vera coreografia. A un cer-to punto, io cadevo dentro un buco delterreno e sparivo. Loro restavanosmarrite, e dopo un po’ si rimettevanoa mangiare l’erba sul prato. Una cosafantastica, surreale, che piaceva a tut-ti. È stata la mia prima cow-reography,una coreografia di mucche. La serata siconcludeva intorno a una grande ta-volata apparecchiata in mezzo a uncampo di girasoli: di notte sembranoancora più alti, li illuminavamo pian-tando delle torce nel terreno a formareuna specie di labirinto, un bosco. Aquel punto, succedeva di tutto. Erano imagnifici anni Settanta... In quella ca-sa, la bellissima casa di famiglia in cuiandammo ad abitare grazie a mio non-no Moses, molto affermato, che ci vol-le dare una mano dopo la tragedia dimio padre, ci vivono ancora i miei fra-telli. Io ci torno solo con il pensiero».

I leoni di bronzo a grandezza natu-rale disseminati sul prato dell’albergoromano all’improvviso attirano la suaattenzione (forse gli ricordano le fa-mose mucche): sono il simbolo dellacatena americana che lo ospita e biz-zarramente hanno ciascuno un’e-spressione diversa. La cosa non glisfugge, li filma, ci gioca, si mette in po-sa accanto a loro, poi ordina pane e oli-ve, un altro paio di caffè. Racconta: «Èche io qui a Roma mi sento come i poe-ti romantici. Di tutti i posti, adoro la ca-sa di Keats in piazza di Spagna perchéè il più segreto fra tutti i posti segreti. Cisono gli stessi fiori sul soffitto che ilpoeta ha guardato un momento primadi chiudere gli occhi, finalmente pron-to ad andare di là... Anche mio padreera un poeta romantico, come i poetiromantici aveva una immaginazionestraordinaria. Io, invece, sono passatodall’allevamento di mucche allo sci epoi per un periodo al desiderio di di-ventare sceneggiatore, ma non ho maiscritto molto».

L’uomo che ha inventato i Momix(che portano il suo nome: sono un Mo-ses-Mix) mettendoci dentro sì la suaenergia ma anche il suo dolore, facen-done un successo planetario, ancoranon conosce requie. Pendleton passadal raccontare le ferite della sua sagafamigliare a ragionare di ambiente,

energia, politica. «Politica è qualun-que attività umana implichi più di duepersone. Del resto, c’è bisogno di un al-tro se stesso per sentirsi interi. Come inuna forma di autoerotismo, due im-magini si mescolano a formare un er-mafrodito che rappresenta la perfe-zione...».

Dilaga, divaga, e intanto si muovecome se ballasse, gioca con le parole edè automatico vedersi davanti agli oc-chi le sue coreografie. Nuota tutti igiorni un’ora, va in bicicletta, mangiasano, aborre lo zucchero («veleno tra ipeggiori al mondo»), sempre con lamusica dentro le orecchie. Ultima-mente, fotografa. Moltissime cose, dicontinuo, usando la tecnologia comeuno strumento di registrazione della(sua) realtà. Soprattutto foglie: tantis-sime foglie, cose che si muovono, diciascun minuscolo essere in movi-mento vuole cogliere le trasformazio-ni anche microscopiche: «Mi piace-rebbe fare una mostra alla CentraleMontemartini di Roma, uno spaziofuori dai circuiti del grande turismo,dove mi hanno accompagnato in que-sti giorni. Era una centrale elettrica,dentro ci sono statue di epoca romanaimperiale. È un luogo che ha mante-nuto un’energia incredibile. Mi piace-rebbe esporre le foto delle foglie: ne horaccolto un mucchio su un tavolo. Leho lasciate lì. Con il passare dei giornine ho registrato i movimenti e i cam-biamenti. Sono nella natura delle cose.Proprio come la danza è nella natura-lezza della vita».

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Tutto cominciònegli anni Settantacon una festaa cui invitammocinquantamucchebianche e nere:una cow-reography

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