40
DOSSIER: SCRITTORI E POETI TRA FORTI IDENTITÀ E NUOVE CONTAMINAZIONI IL GUSTO DELLA MEMORIA QUANDO IL CINEMA INCONTRA LA GASTRONOMIA IL GUSTO DELLA MEMORIA QUANDO IL CINEMA INCONTRA LA GASTRONOMIA I Tesori della Magna Grecia a catanzaro I Tesori della Magna Grecia a Catanzaro

DOSSIER SCRITTORI E POETI TRA FORTI IDENTITÀ E … · Scrittori e poeti greci e di origine greca all’estero di Tiziana Cavasino e Sissy Athanassopoulou ... sarda, l’italica,

  • Upload
    vunhi

  • View
    216

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

DOSSIER: SCRITTORI E POETITRA FORTI IDENTITÀE NUOVE CONTAMINAZIONI

IL GUSTO DELLA MEMORIAQUANDO IL CINEMA INCONTRA LA GASTRONOMIA

IL GUSTO DELLA MEMORIAQUANDO IL CINEMA INCONTRA LA GASTRONOMIA

I Tesoridella Magna Greciaa catanzaro

I Tesoridella Magna Greciaa Catanzaro

IN QUESTO NUMEROForoellenicopubblicazione bimestralea cura dell’Ufficio Stampadell’Ambasciata di Grecia in ItaliaAnno VIII - n° 3-2005

In copertina:set del film “Un tocco di zenzero”

Collaborazione giornalisticaTeodoro Andreadis Synghellakis

ImpaginazioneE.d.S. Realizzazioni Grafiche

Hanno collaborato a questo numeroS. Athanasopoulos, T. Cavasino, N. Roumeliotis, S. Settis, C. Tiliakos

00198 Roma - Via G. Rossini, 4Tel. 06/8546224 - Fax 06/8415840

e-mail [email protected]

e possibile consultare la versione digitale diForoellenico presso il sito internet:www.ambasciatagreca.itdove potete trovare anche informazionisull’attualità politica e culturale della Grecia

4 La riscoperta della Magna Greciadi Salvatore Settis

6 Con un tocco ...di zenzerodi Nikos Roumeliotis

12 Slow Food: riscoprire il piacere del mangiaredi Teodoro Andreadis Synghellakis

14 ...il primo boccone di Grecia per sempre il migliore...di Cristina Tiliakos

14 La forza delle “materie prime” nella cultura gastronomica Grecadi Teodoro Andreadis Synghellakis

18 Anche l’occhio vuole la sua parteLicia Granello e la cucina greca

18 L’opinione di Gianfranco Vissani, chef

19 Innovare ...rispettando la tradizione

20 La cucina greca a Roma

22 “Maneggi politico-culinari”di Eleni Kalogheropoulou

23 Dossier “Memoria identità e contaminazioni” Scrittori e poeti greci e di origine greca all’esterodi Tiziana Cavasino e Sissy Athanassopoulou

39 L’istituto ellenico di Veneziadi Maria Mondelou

IL GUSTO DELLA MEMORIAQUANDO IL CINEMA INCONTRA LA GASTRONOMIA

I Tesoridella Magna Greciaa Taranto

DOSSIER: SCRITTORI E POETITRA FORTI IDENTITÀE NUOVE CONTAMINAZIONI

Il terzo numero di Foro Ellenico nel 2005 con... un tocco di zenzero ed una esplosione di odori, colo-ri, sapori e ricordi.I colori e gli odori della cucina greca, caldi come quelli della terra,ormai l’autunno è alle porte, maanche aspri e carichi di significati come nel bellissimo film di Tassos Boulmetis “UN TOCCO DI ZEN-ZERO” che è riuscito a varcare la soglia di casa ed avere dopo tanti anni di ...magra un notevolesuccesso anche in Italia dove - eccezion fatta per l’opera di Teo Anghelopoulos - il cinema Grecorimane sconosciuto.La storia ed il cibo, perché la cucina è anche cultura e i profughi greci di Costantinopoli, di Smirne,dell’Asia Minore hanno portato nelle loro valige la loro grande civiltà variopinta di spezie e di ricordi.Prendendo spunto dal film di Boulmetis,“Politiki Kouzina” il titolo originale, abbiamo deciso di curio-sare, tra esperti e non, per capire cosa si sa e cosa piace della cucina greca in Italia, paese capo-stipite di quella dieta Mediterranea che, spesso dimentichiamo, non è solo un modo di mangiare maun modo di vivere.Mangiare in compagnia, il cibo come via di comunicazione per l’uomo, animale sociale di natura espesso un “dialetto” usato dai politici di professione, come afferma la collega greca EleniKalogeropoulou che ai rapporti dei nostri politici con la cucina ha dedicato un libro.Della Grecia del nostos parla anche il dossier culturale di questo numero dedicato agli scrittori Greciche vivono all’estero parlando la lingua madre o solo sognando in quella lingua che fu dei loro nonni...Culture antiche senza confini: la grande civiltà Bizantina nei 50 anni dell’Istituto Ellenico di Venezia,e una grande mostra, dedicata alla Magna Grecia. La Storia, con un destino comune,oggi, per le“colonie e per la madre patria”: riuscire non solo ad essere fieri del passato,della tradizione, ma esse-re, anche, consapevoli della responsabilità di mantenerla, come sottolinea il curatore della mostra diCatanzaro, professor Salvatore Settis nell’intervista che ci ha concesso.Il cibo degli dei, gli scrittori greci al estero,quando l’Italia meridionale era greca... un’ulteriore occa-sione per conoscerci.

Buona lettura Viki Markaki

foroellenico 3

e d i t o r i a l e

4 foroellenico

Magna Graecia, l’antica formula che ha dato ilnome all’università di Catanzaro e a questa mostrache celebra la settima ricorrenza della sua fonda-zione, è espressione nota a tutti, ma utilizzata(nelle generazioni recenti) in sensi diversi, qualchevolta perfino opposti. Da un lato, infatti, essa servea condensare efficacemente una storia antica eillustre, quella evocata (per citare Tomasi diLampedusa) dai “nomi voluttuosi e atletici di Sibarie di Crotone”, e insomma si presta, specialmentea chi quelle regioni abita oggi, come un tema e unmotivo di orgoglio e di vanto, di “patriottismo loca-le”. Ma non dimentichiamo che, dall’altro lato, lastessa identica formula è stata usata con significa-to riduttivo, se non vagamente denigratorio, da chiha voluto chiamare “intellettuale della MagnaGrecia” uno dei nostri politici, di cui voleva forsesuggerire l’arcaico arroccarsi in una cultura ormaidefunta.Questa esposizione e questo catalogo non condi-vidono, ed è ovvio, né l’uno né l’altro punto di vista.Abbiamo voluto, al contrario, mostrare la marcatadiscontinuità fra l’età della colonizzazione greca inItalia meridionale e in Sicilia e l’epoca moderna; eperciò raccontare, in una mostra che sin dal nome

(Magna Graecia. Archeologia di un sapere) evocala fatica dell’indagine archeologica, il lento e sem-pre incompiuto risorgere di quelle antiche civiltàdopo secoli di oblio. In questo percorso narrativo, ilfilo rosso è non tanto la storia della Magna Grecia,quanto la sua graduale riscoperta dal Settecentoin qua.Ma perché Megale Hellas, Magna Grecia, unaGrecia “grande” rispetto a quella balcanica?“Grande” non per dimensioni geografiche, ma per la

La Riscoperta della Magna Greciadi Salvatore Settis

I templi di Paestum, le Tavole di Eraclea, e poi via via tutti gli altri tesori riportati alla luce in un territorio nel qualeaffondano le nostre radici. E che può rilanciarsi proprio grazie all’archeologia

in alto Kouros di Reggio - MarmoFine VI – inizi V secolo a.C. - Soprintendenzaper i Beni Archeologici della Calabria

a sinistra Trono LudovisiMarmo tasio 465-455 a.C. Roma, MuseoNazionale Romano, Palazzo Altemps

forza e l’intensità della tradizione pitagorica, che sembraaver inventato questa formula (non però prima del IIsecolo a.C.). Italía, invece, fu nel V secolo, e forse prima,il nome dell’estrema penisola calabrese, poi esteso gra-dualmente fino alla Puglia e alla Campania, fino adabbracciare l’intera penisola, fino alla barriera delle Alpi.E mentre il nome d’Italia mostrava tanta vitalità e forza

d’annessione in senso puramente geografico, quello diMagna Graecia sempre rimase limitato all’ambito cultu-rale, e perciò designò porzioni cangianti dell’Italía, masempre limitandosi alle città greche sulla costa.Fu il Settecento il secolo della riscoperta della MagnaGrecia: il dorico di Paestum stupì allora i dotti d’Europa,che vi trovarono norme e proporzioni ben diverse da

foroellenico 5

La mostra “Magna Graecia. Archeologia di un sapere”, a cura di Salvatore Settis e Maria Cecilia Parra,è ospitata nel Complesso Monumentale di San Giovanni a Catanzaro. È un’iniziativa dell’UniversitàMagna Graecia di Catanzaro con il sostegno della Regione Calabria. Viene presentata la storia dellaciviltà greca d’Occidente, dalle scoperte dell’età illuminista fino a quelle più recenti .Vasi, statuette in terracotta, rare sculture in marmo, utensili, oreficerie, corredi funerari, iscrizioni,libri antichi, incisioni e quadri provenienti dai principali musei archeologici dell’Italia meridionale ed’Europa. Più di ottocento i reperti che vengono esposti. Dalle tavole bronzee di Eraclea rinvenutenel 1732 sino alle ultime scoperte. Per l’esposizione è stato adottato un criterio cronologico con lesezioni – “L’inizio della storia”, “I fondatori”, “La Magna Grecia oggi” – mettendo anche in evidenzail prezioso contributo di importantissimi archeologi tra i quali Paolo Orsi, Quintino Quagliati eUmberto Zanotti Bianco.I visitatori possono ammirare il materiale miceneo di Rocavecchia in Puglia, i corredi arcaici di SanMontano a Ischia, come anche il famosissimo Trono Ludovisi - uno dei prestiti - forse realizzato inquesta zona nel 470 a.C.

Statuetta di satiroBronzoSeconda metà del IV secolo a.C.Da ArmentoMonaco StaalicheAntikensammlungen

6 foroellenico

quelle, considerate universali, del romano Vitruvio.Le Tavole di Eraclea (scoperte nel 1732) rivelaro-no anche agli antiquari più avidi di nuovi testi anti-chi quali tesori potessero celarsi nel sottosuolodella Magna Grecia, e gli scavi di Ercolano ePompei, città romane ma ricchissime di rimandialla cultura greca, fecero della Campania (in un’e-poca in cui i viaggi in Grecia erano rari e difficili) ilpiù prezioso scrigno archeologico dell’antichità.L’unità d’Italia venne qualche decennio dopo l’indi-pendenza della Grecia, che non solo ne avevaaperto le frontiere ai dotti di tutta Europa, maaveva subito generato un nuovo impulso a studia-re, con indagini archeologiche non meno che sto-riche, la storia antichissima di quel nuovo Paese.L’identità della nuova Grecia venne in tal modo acostruirsi, con l’ausilio della scienza archeologica,riannodando il filo con la Grecia classica, e can-cellando tendenzialmente ogni traccia intermedia.La riscoperta dell’arte greca di Grecia coinvolse inquelle generazioni archeologi e dotti di tutti i paesieuropei (specialmente Germania, Francia eInghilterra), fecondando e rinnovando profonda-mente gli studi di archeologia classica. Ma a que-sto processo gli italiani parteciparono, all’inizio,tutto sommato assai poco. Gli studi di archeologiagreca, infatti, di per sé non erano organici al pro-blema dominante allora in Italia, quello della defi-nizione di un’identità nazionale che il giovanePaese, formatosi come entità statale fra il 1859 e il1870, sentiva il bisogno di fondare e di legittimareproiettandola all’indietro.A questo scopo “serviva” assai di più il passatoautoctono, romano, italico o etrusco. La grecità, alcontrario, non era un buon ingrediente per la nuovacoscienza nazionale dell’Italia unita (che aveva in

Roma il suo centro di gravità), e si prestava maleanche alla definizione di coscienze locali, contraddit-torie rispetto all’idea unificante di un’Italia tuttagovernata da Roma. Le antichità regionali della peni-sola furono, ciò nonostante, esplorate come compo-nenti di una futura identità nazionale; ma quellagreca non poteva essere che una fra esse (come lasarda, l’italica, la veneta, l’etrusca), e in ogni casointeressava solo l’Italia meridionale e la Sicilia.Su questo sfondo, le antichità che si venivanoriscoprendo in Italia meridionale e in Sicilia furonoviste più nel quadro della conoscenza delle antichi-tà nazionali che in quello di uno studio generaledella grecità. In molti studi italiani del Novecento,l’arte magnogreca è stata vista come particolar-mente originale in quanto impregnata di elementiformali e stilistici di origine “italica” (o comunquelocale); in altre tradizioni (soprattutto in Germania)si è preferito classificarla come marginale rispettoagli sviluppi stilistici di Atene e della Grecia “pro-pria”. Approcci solo in apparenza opposti, che con-dividono l’idea di una netta separatezza, di unKunstlandschaft (paesaggio d’arte) magnogreco inqualche misura modificato da mescolanze etnico-culturali con gli “indigeni”, e perciò radicalmentediverso da quello della Grecia “propria”.Origini e senso di questa e altre distinzioni siapprezzano solo nel contesto della storia deglistudi e delle scoperte, nonché della loro recezione.Ma a essa appartengono anche le immagini“popolari” della Magna Grecia, le opposte retorichedi cui all’inizio si è detto. Non meno degli studiarcheologici, esse mostrano con eloquenza che lostudio della civiltà magnogreca e la memoria stori-ca e “identitaria” che se ne è venuta costruendo fraOtto e Novecento hanno, e per molto tempo avran-no, cittadinanza speciale in Italia. Un Paese, ilnostro, per eccellenza “classico”, ma non solo permerito di Roma, bensì anche perché ebbe, e puòancora indagare e coltivare, una propria “Greciainterna”. Integrarne sempre più lo studio nell’ambi-to di quello dell’intera grecità è un compito ricor-rente degli specialisti. Non lo è meno l’esigenza didestare la coscienza di tutti i cittadini alla conser-vazione e alla promozione dei resti di quellaGrecia più “nostra” di ogni altra, poiché non puòesservi tutela se non condivisa e concepita comeelemento potante della società civile e dell’identitàcivica. Nel Sud d’Italia, la promozione della ricercaarcheologica come strumento di autocoscienza edi progresso ha una storia illustre, che il nome diUmberto Canotti Bianco simboleggia al meglio.Questa mostra, che non a caso culmina in scoper-te e studi recenti a opera prima di tutto degli orga-ni di tutela, ha l’ambizione di contribuire non soloalla conoscenza della civiltà della Magna Grecia,ma all’impegno di indagarne e tramandarne letracce alle generazioni che seguiranno.

da “il Sole 24 Ore” del 19/06/2005

Pinax votivo con Hermes e Afrodite sul carro Argilla 470-760 a.C. da Locri Epizefiri, santuario di Persefone ReggioCalabria, Museo Nazionale

Come si può “riscoprire”, guardare da una nuovaangolazione, una realtà come quella della MagnaGrecia? Qual’è la logica, il filo conduttore nellamostra di Catanzaro?

Quello che ho voluto fare, è far vedere come unastagione culturale così importante, come quelladella Magna Grecia per l’Italia meridionale, fossestata completamente dimenticata. Come la memo-ria culturale si può perdere e si puòanche riacquistare. Dal settecentoin poi, c’è una riscoperta. Tutta lastruttura della mostra, presentaquesta riscoperta della civiltà dellaMagna Grecia. L’abbiamo divisa intre sezioni: un primo pezzo in cui siparla dei collezionisti, una secondaparte dei pionieri dell’ archeologiasul luogo, nel tardo ottocento eprimo novecento, e una terza, chepresenta l’attività di tutela dellesopraintendenze. Questa è lanostra “trama narrativa”.

L’ Italia meridionale di oggi, comedialoga col suo passato?

Dialoga con una consapevolezzache è enormemente aumentata,correndo tuttavia un rischio: diusare la propria tradizione comeuna bandiera, ma senza guardarsirealmente dentro. È ovviamentegiusto essere fieri della tradizione,ma bisogna anche essere consa-pevoli della responsabilità di man-tenerla. Bisogna continuare a tute-larla, proteggerla, studiarla. Peresempio, la speculazione edilizia,nelle zone archeologiche dell’Italia meridionale, ancora non èstata fermata e questo è senzadubbio un controsenso. Si può fareinoltre anche molto di più per tra-smettere questo sapere ai giovani,attraverso la scuola, mostre, pro-getti educativi. Forma e contenutodella Magna Grecia, sono ben rap-presentati, nella nostra mostra, daun Kuros di marmo, materialeabbastanza raro in Magna Grecia.Un’ opera molto bella, perchè con-serva tracce della policromia anti-ca, recuperato grazie alla Guardia

di Finanza. Era finito in una casa privata in modoillecito. Un ulteriore messaggio per dire che questeopere devono appartenere al patrimonio pubblico,per essere godute da tutti.

La Magna Grecia, agli occhi degli studiosi, è quasiun miracolo culturale. Una parte di Italia che èriuscita a gareggiare in eccellenza con la madrepatria per quanto riguarda la produzione culturale.

foroellenico 7

A colloquio col professor Salvatore Settis, curatore dellamostra, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa

Trono Ludovisi - Marmo tasio465-455 a.C.Roma, Museo Nazionale Romano,Palazzo Altemps

A colloquio col professor Salvatore Settis, curatore dellamostra, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisadi Teodoro Andreadis Synghellakis

8 foroellenico

È un’immagine che trova conferma anche neglistudi più recenti?

Secondo me sì. Io sarei ancora più radicale: le cittàgreche della Magna Grecia e della Sicilia, così comequelle, per esempio, dell’Asia Minore, di Marsiglia edella Grecia, formavano una grande unità culturale.Si sentivano parti del medesimo contesto. È chiaroche c’era una differenza tra la madre patria e le colo-nie, ma gli abitanti erano intimamente greci comequelli di Atene o di Corinto. Pitagora, quando era aCrotone, non era meno greco di quando era a Samo.I prodotti culturali della Magna Grecia, avevano lostesso valore. A Siracusa, ad esempio, la gente perle strade, sapeva a memoria le tragedie greche reci-tate ad Atene l’anno prima. Arrivavano scritte e igreci di Siracusa le imparavano subito a memoria.Siamo noi che tendiamo a distinguere più radical-mente di quanto facessero i greci antichi, accen-tuando le differenze. In realtà era una grandiosaunità culturale, da cui nascono moltissime idee cheper fortuna sono ancora vive.

Si è appassionato nel curare questa mostra?

Essendo calabrese, la mia storia personale è radi-cata in queste terre della Magna Grecia. Nellazona della Calabria da cui vengo si parlava grecofino al 1.400, il dialetto è fortemente impregnato di

greco. C’ è una tradizione che si è in parte persa,perchè i dialetti si vanno via via uniformando gli uniagli altri. Bisogna cercare di tenere viva la nostratradizione, anche attraverso le la parole greche eanche questa mostra è un modo per rinsaldare illegame con il passato.

Secondo lei potrebbe essere utile portare questamostra in Grecia, chiedendo magari uno scambio?

Sarebbe sicuramente una cosa utile. Purtroppoperò molti reperti ci sono stati concessi in prestitoper quattro mesi e non oltre. Organizzare tuttaviadelle nuove mostre sulla Magna Grecia in “madrepatria” sarebbe molto positivo, non perchè gliarcheologi greci abbiano bisogno di qualcuno chegli spieghi cose che già conoscono benissimo, maper far essere ancora più consapevole il pubblicogreco di questa grande unità culturale. È una dellepiù importanti eredità europee, che oggi, parlandoappunto di Europa, bisogna ricordare. I confinidelle culture antiche andavano ben oltre quellidelle nazioni moderne. Dobbiamo essere in gradodi ricrearli anche per il futuro.

sopra Neck-amphora a figure rosse Ceramica 340-330 a.C.Da Paestum, necropoli presso Porta Aurea Napoli,Museo Archeologico Nazionale

sotto Acrolito di Apollo AlaiosMarmo greco 440-430 a.C.

da Cirò Marina, Punta Alice, antica Krimisia,cella del tempio di Apollo Aleo

Reggio Calabria, Museo Nazionale

foroellenico 9

Una fiaba. Un lungo ricettario di cucina. Un tratta-to dei difficili rapporti tra Greci e Turchi negli anniSessanta. Un film che fa ridere e piangere e un’e-sperienza che coinvolge tutti i sensi,nelle paroledel suo regista Tassos Boulmetis che abbiamoincontrato a Roma per la presentazione del suofilm Politiki Kouzina. Un tocco di zenzero il titoloitaliano, uscito l’anno scorso in Grecia con note-vole successo. Successo che il film ha replicato inAmerica dopo essere stato presentato al Tribecafilm festival di New York e aver commosso nonsolo i greco-americani, anche se Boulmetis conla sua innata modestia continua a dirsi “sorpreso,perché il successo del film era qualcosa che nonsi aspettava”. In effetti non era da aspettarsi tantiapplausi per una storia, in primo luogo, così sem-plice e così immediata. Dopo i titoli di testa, in cuiun aggraziato ombrello rosso naviga nel firma-mento, ci appare il personaggio di Fanis Iakovidis(Georges Corraface da adulto, Markos Osse dabambino), un astrofisico di Atene, che torna aCostantinopoli, sua città natale, a trovare il nonnoin fin di vita. Mentre una barella viene veloce-mente trasportata in rianimazione, la voce diFanis ripercorre la sua esistenza e le immaginisfilano in una veduta aerea sui tetti e le cupole daMille e una notte di quella città magica che oggisi chiama Istanbul. Due persone hanno segnatoFanis bambino: l’adorato nonno Vassilis (TassosBandis), un filosofo, proprietario di una bottegadi spezie, uomo di forti principi e di grande sag-gezza, che insegnava al nipote i segreti dellacucina e gli effetti delle spezie sull’animo umano,introducendolo inoltre all’astronomia che è pursempre una ‘gastronomia’; e l’amica coetaneaSaime, unico amore della sua vita, che ballavaper lui, strappandogli segreti di cucina.Un’infanzia felice quella di Fanis, fino alla trage-dia dell’espulsione della famiglia dalla Polis. Fanisadulto si troverà a fare i conti con il proprio pas-sato e ritornerà in Turchia, sulle tracce del nonnoe di Saime.Storia semplice ed immediata, dicevamo, ma sicu-ramente coinvolgente solo come le favole dellanonna possono esserlo. Ma passiamo alla nostrachiacchierata con il regista Tassos Boulmetis, checi saprà spiegare meglio le ricette della “sua”Politiki Kouzina.Boulmetis. È questo il punto da cui vorrei partire:

il titolo originale è POLITIKI KOUZINA che ha undoppio significato in greco, quasi intraducibile. Ilgioco di parole è fra la cucina della Polis, dellaCittà per antonomasia cioè Costantinopoli e lacucina politica.Da una parte volevo parlare delle tradizioni culi-narie della minoranza dei greci in Turchia e dal-l’altra mostrare, attraverso il rito del cucinare,come la politica possa interferire nella vita priva-ta.

Non le sembra un po’ difficile da far capire ad unpubblico non greco?

Boulmetis: La Storia con la S maiuscola dovreb-be interessare un po’ tutti. E poi quella pagina poli-tica per noi Greci significa molto. Come dice ad uncerto punto il personaggio di Fanis: “I Turchi ci cac-ciano in quanto Greci, mentre i Greci ci accolgonocome Turchi”. Insomma potete comprenderne l’im-portanza.

Quanto questo suo film è autobiografico?

Boulmetis: Per un 80%! Quando sono stato obbli-gato a trasferirmi in Grecia, per trent’anni non hopiù messo piede in Turchia, nonostante Atene distida Istanbul 50 minuti d’aereo. Quando mi sonoreso conto che si trattava di un blocco psicologico,causato dal trauma infantile, sono partito e, in una

Con un tocco ...di Zenzero

Di Nikos Roumeliotis

Con un tocco ...di Zenzero

Il Film

10 foroellenico

sola ora, avevo recuperato tutti i luoghi e i ricordidell’infanzia, sono persino tornato nella mia vec-chia scuola elementare dove mi ha aperto la miamaestra. Il film è nato quel giorno, dopo aver vis-suto nel passato ho cominciato a riconciliarmi e avivere nel presente: ci ho messo dieci anni a scri-vere questa favola di cucina, amore e storia.

Ma Politiki Kouzina è un film pensato per chi èandato via da quei posti oppure per chi è rimasto?

Boulmetis: Non mi sono posto questo problema.Credo che i temi siano piuttosto universali.

Ed è proprio cosi. Vedere un film come Un toccodi zenzero mentre vivi e lavori all’estero puòavere un effetto doppio: da una parte benefico,fatto di ricordi e sapori tanto richiesti quanto ago-gnati, ma dall’altra anche il suo contrario, rabbiaed insieme tristezza per qualcosa di irrimediabil-mente perduto, rimasto relegato in qualche ango-lo remoto della memoria. E dobbiamo essere con-tenti per tutte e due le situazioni. In fondo ci appar-tengono. Ho usato le parole “ricordi” e “sapori” maanche “rabbia, tristezza e memoria” non a caso:sono quelle che fanno capolino nel film diBoulmetis.

Quale è l’allegoria che si nasconde dietrola storia?

Boulmetis: Perché c’è una allegoria?(ride)

Insomma e solo la storia del cibo e dellacucina di Istanbul…

Boulmetis: Il film è diviso in tre parti: gliantipasti, il piatto principale e il dessert.Gli antipasti e il piatto principale li ho vis-suti in prima persona, il dessert me losono inventato ed è forse la parte piùpolitica del film.

Lei ama cucinare e cosa in particolare?

Boulmetis: Io so cucinare ma non lo fac-cio mai solo per me. Cucino per i mieiamici quando li invito a cena. Non cucinoper nutrirmi perché la mia vita ha preso

un ritmo intenso che non mi permette di trovare iltempo. Conosco un paio di piatti di Istanbul e quel-li faccio. In particolare amo il fegato fritto con lecipolle e un piatto a base di fagioli rossiIn Politiki Kouzina si potrebbe pensare che il pro-tagonista principale sia il cibo. Per più di unasequenza si ha l’impressione di stare seduti atavola aspettando l’arrivo delle varie portate. Iblocchi narrativi si succedono rispettando precisa-mente la sequenza di un lungo e prelibato convi-vio fatto di antipasti, piatti principali seguiti daldessert finale. Un tocco di zenzero è l’altra fac-cia di Super Size Me e Mondovino. Mentre i duedocumentari indipendenti denunciano i pericoliper la salute del fast food e gli effetti nocivi dellaglobalizzazione sul mercato vinicolo, il film diBoulmetis riconcilia con i sapori e gli odorigenuini del cibo, con il valore che può avere undeterminato modo di mangiare e bere nei rappor-ti umani, esistenziali, sentimentali. Tema, questodel cibo, che alcuni film veramente memorabilisono riusciti a sviluppare anche di più rispetto alfilm del nostro: pellicole come Il Pranzo diBabette del danese Gabriel Axel e L’età dell’in-nocenza con i suoi pranzi rituali dell’americanoMartin Scorsese. Nella pellicola greca invece ilcibo riveste, certo, una parte importante all’inter-no della pellicola ma svolge, per lo più, una fun-zione di accompagnamento. È un contorno allestorie dei personaggi e nello stesso tempo segnail passaggio da un momento comico ad uno dram-matico o viceversa. Ciò che, invece, vuole fare ilregista è sviluppare l’idea di una separazione. Inquesto caso è il distacco dalla sua città natale e lalontananza da persone che il tempo non è stato ingrado di cancellare. Tema piuttosto caro a tantocinema greco.

A proposito le piace il titolo italiano del film?

Boulmetis: Sì, trovo che sia molto ben scelto ed

Tassos Boulmetis

efficace. In Italia è un tocco di zenzero, in Spagnadi cannella, nei paesi anglofoni è un tocco di spe-zie... Sapete, una delle più grandi soddisfazioni diun cineasta è quella di vedere i poster dei varipaesi in cui il proprio film viene distribuito con ledifferenti versioni del titolo! A proposito dell’Italia,vorrei dire una cosa: Un tocco di zenzero è statospesso paragonato proprio a un film italiano,Nuovo cinema Paradiso, ed io ne sono estrema-mente lusingato.

Politiki Kouzina ha un aspetto visionario, pieno dicolori forti. Si è ispirato a qualche film per questasua dimensione?

Boulmetis: C’è un film da cui posso dirmi diretta-mente ispirato, ma non ci trovereste vere e proprieanalogie con Un tocco di zenzero: è Radio Daysdi Woody Allen. Io amo molto Allen, e ammiro ilfatto che, pur parlando di una comunità esiguacome quella degli intellettuali, prevalentementeebrei, di Manhattan, riesca sempre a comunicaresentimenti universali È vero che non sono molti i film greci che riesconoa fare “carriera” all’estero ma Politiki Kouzinariesce finalmente ad andare oltre. Oltre un cinema

a volte chiuso in se stesso e forse criptico, chenon sempre riesce a interessare chi è estraneoalla cultura greca. Così Tassos Boulmetis, portanella sua pellicola un soffio di novità: da una partel’universalità di un cinema come quello di TeoAnghelopoulos, ma sostituendo il Mito con lafiaba, e dall’altra parte il “genere”, componenteormai dimenticato nel cinema ellenico.

Costantinopoli, Istanbul, è fotografata in manieraparticolare nel film: è grigia, cupa, piovosa. E’ un’e-sigenza estetica o serve a commentare uno statod’animo?

Boulmetis: Entrambe le cose, era un’esigenzaestetica e drammatica. Volevo che l’Istanbul con-temporanea apparisse così, e tra l’altro è stato unproblema, abbiamo aspettato a lungo perché sipresentasse con quel clima.

Torniamo a parlare di politica e dei suoi maneggi.Le relazioni tra Grecia e Turchia sono semprestate difficili. è cambiato qualcosa negli ultimitempi?

Boulmetis: Nella Turchia contemporanea ci sonomolti conflitti tra gruppi e culture diverse. Si desi-dera guardare all’Europa ma c’è anche un’attra-zione verso Oriente, in particolare i nostalgici diKemal. La maggior parte della classe benestantesostiene queste nostalgie, mentre la popolazionepiù povera è pro Islam e vede con scetticismo laconvivenza della Turchia in Europa. Secondo me civorranno ancora anni perché la Turchia abbia un’i-dentità veramente europea.

Perché non c’è un happy end?

Boulmetis: Volevo che il finale del film fosse qual-cosa di più rispetto ad una storia d’amore. Volevoche assumesse un significato politico.

Una visione non solo “greca” visto che itemi come quello del “nostos” e dell’amo-re perduto sono temi affrontati da moltocinema mediterraneo, come quelloappunto di Boulmetis, che usa persinol’arma del sentimentalismo non conintenti ricattatorii, anche se qualche lacri-ma viene versata da tutti coloro checonoscono bene una realtà come quelladel film, il distacco. Realtà riconoscibileche si fa strada attraverso temi socioan-tropologici e filosofici come il valore del-l’arte culinaria; il tutto con la semplicità diun bambino che ama passare il suotempo tra i fornelli del nonno. In fondoPolitiki Kouzina parla di tutti noi e dellanostra memoria.

foroellenico 11

Innanzitutto, qual’è lo stato di salute della cucinamediterranea?

Dal punto di vista dell’immaginario collettivo,senza dubbio buono. La gente ne parla molto, ocomunque ne sente molto parlare. Credo però chese uno andasse veramente a fondo, per vederecos’è esattamente la dieta mediterranea, avrem-mo sicuramente delle sorprese. Non penso che laconoscenza sia davvero approfondita. Dovremmopassare dai convegni scientifici, ad una informa-zione più di massa, con varie iniziative, come adesempio i “master of food” che organizziamo, peruna scuola popolare di gastronomia. Quando fac-ciamo delle domande, ci sentiamo rispondere chedieta mediterranea vuol dire mangiare pesce epomodori. Invece la situazione è un po’ più compli-cata. Tutto il discorso delle verdure, della pasta,dell’olio d’oliva, soprattutto nel Nord Italia, non ècosì ben percepito. È una bella immagine, chemerita di essere approfondita nei suoi contenuti.

Da responsabile dei prodotti tipici, avrà una pro-fonda conoscenza anche della cucina greca. Cosaapprezza maggiormente, cosa la attrae?

La cucina greca è abbastanza simbolica, rispettoal “melting pot” di cucine del Medio Oriente.Questa è la cucina popolare, quella che i turistiincontrano andando in Grecia: lo tzatziki, l’insalata“choriatiki”, le melanzane, la taramosalata - cremadi uova di pesce - eccetera. Secondo me, la cuci-na greca merita di essere studiata di più, rispettoalla parte non turistica. Le sue radici storiche sonopoco note. Io la conosco da lungo tempo e pensoche dovremmo tutti compiere uno sforzo per anda-re oltre questa patina di sette-otto piatti famosissi-mi, che coprono tutto il resto.Consiglio tutti i piatti dell’interno, dell’entroterra,che meritano più attenzione: la cucina delle erbe,dell’agnello, la cucina delle carni, delle verdure.Bisogna uscire dall’immagine stereotipata, chelimita i confini e le conoscenze, un po’ come suc-cede per l’Italia degli spaghetti, quando va a finireche si identifica la cucina italiana con la pasta...

Quali sono secondo lei i punti di contatto più fortitra le due cucine?

Sicuramente l’olio d’oliva, il vino e il pane. Le radi-ci della cucina mediterranea, anche perché siamonel cuore storico della cultura dell’ulivo e della vite.Anche se l’Italia è tuttora abbastanza divisa in due,mentre in Grecia feta ulivo e vino li troviamo a tuttele latitudini. Da noi invece già a Nord del Po si ini-zia a cucinare col burro, comincia la cucina deigrassi e del maiale. Ma il centro-Sud ha fortissimevicinanze con la cucina greca, intorno ai nuclei fortidella cucina mediterranea. E ci vorrebbe un tenta-tivo comune di valorizzazione, per ritrovare le pro-prie radici: i legumi, i ceci, le cicerchie, le fave, tuttala cucina che ruota intorno a capra agnello ecapretto, questo è il centro della cucina mediterra-nea, prima ancora della pasta fresca, che è di deri-

Slow Food: riscoprire il piacere del mangiareSlow Food: riscoprire il piacere del mangiaredi Teodoro Andreadis Synghellakis

Piero Sardo

12 foroellenico

Pietro Sardo, Presidente della fondazione Slow Food per la Biodiversità, esperto di pro-dotti tipici, ci parla della comune eredità delle cucine mediterranee, dello sforzo per man-tenere vive le abitudini alimentari caratteristiche di ogni regione, delle tante affinità tra latradizione culinaria greca ed italiana

vazione araba. Senza dimenticare ovviamentelo scambio intensissimo che c’è stato con ipaesi del Medio Oriente. La vera cucina medi-terranea, la troviamo nel Sud Italia, in Grecia,in Turchia e in Libano, anche se con delle diffe-renze.

La filosofia dello Slow Food si può rifareanche a delle usanze delle civiltà contadinedove il mangiare era vissuto con altri tempied altri ritmi, quasi come un rito?

Sì, ricordando però che lo Slow Food èun’associazione internazionale, quindi difatto, dobbiamo tener conto delle radici ditutti i nostri soci, dalla cucina della rennaper i norvegesi, a quella del vino e del paneper i soci greci. È chiaro però che dal nostropunto di vista, di soci italiani, questo legamec’è ed è fortissimo e credo che questo nonvada assolutamente sottovalutato. Anche seè altrettanto importante riuscire a spogliarsidi questa visione “mediterraneocentrica”quando si devono dare giudizi su altre cuci-ne, per capire anche che ci sono altre tradi-zioni, altri modi di accompagnare le vivan-de, che non sono i nostri. Penso alla birra, aglialcolici, ai distillati di patate. Noi soci mediterra-nei, possiamo però creare un nucleo forte, perfare chiarezza sulle nostre radici, e sul concettodi dieta mediterranea, che è stato usato in modoun po’ mistificatorio. Basti dire che tendiamo aincludere il pomodoro, che è si ormai un elemen-to essenziale, ma non fa certo parte delle nostreorigini culinarie. Vorrei che riuscissimo ad andareoltre una visione, diciamo così “hollywoodiana”della cucina mediterranea, senza per questodemonizzarla, per riscoprire l’accompagnamentodelle erbe spontanee, l’uso delle verdure, deilegumi anche come accompagnamento.

Qual’è il messaggio fondamentale dello SlowFood, dalla Grecia all’Islanda?

Dalla Grecia, transitando per l’Italia, attraversoRoma, è passato questo concetto di cucina come

attività nobile dell’uomo. Non solo come merasopravvivenza, come ricerca della derrata più tra-sportabile e conservabile, ma come momento diconvivialità. Come Slow Food, siamo partiti daquesto concetto, da questa idea totalmentegreca: il fatto che intorno a una mensa, l’uomonon mangia solo per sopravvivere, ma anche peril piacere, per mettersi in rapporto con gli altri edil territorio nel quale si trova. Questo è un mes-saggio universale, che può passare e funzionareattraverso moltissime culture alimentari.

E per concludere, posso sapere le sue impressio-ni e le sue emozioni, da “spettatore esperto” delfilm “Un tocco di zenzero”?

È un film che sono andato a vedere con grandepassione. Riuscire a capire come attraverso lespezie si sia creato un legame così forte con laStoria, i sentimenti, con le vicende umane, le sof-

ferenze dell’Asia Minore, è statauna ulteriore prova di come permezzo del cibo si possa raccon-tare la storia del mondo. Anchegrazie a cibi molto semplici,senza grandi ricerche e analisidi sociologia. A volte basta più“Un tocco di zenzero” per com-prendere più a fondo un popoloche non con grandi trattati oenciclopedie. È un film che mi èpiaciuto moltissimo, malgradoqualche ingenuità, perché ci hotrovato molta forza e consonan-za di sentimenti.

foroellenico 13

...ci vorrebbe un tentativo comune di valorizzazione, per ritrovare

le proprie radici: i legumi, i ceci, le cicerchie, le fave...

14 foroellenico

A me la cucina greca piace molto. A cominciare dalcaffè, metafora di quella dolce lentezza del vivereche è una delle più belle qualità dello spirito medi-terraneo. Così è il caffè. Non bisogna fare l’erroredi mandarlo giù tutto di un colpo, come si farebbecon un “espresso”, ma si deve lasciare alla polve-re il tempo di posarsi sul fondo della tazzina; quin-di si può sorseggiarlo pian piano, con calma.Metrio è il mio preferito, né dolce né amaro: giusto.Così come “giusta” è la cucina greca, dove uningrediente non prevale mai sull’altro, dove unasalsa non appesantisce ma accompagna, dove isapori sono pieni, netti, riconoscibili.Le materie prime, del resto, sono quanto di meglioesprime la tradizione mediterranea. I cetrioli, peresempio, io li mangio solo in Grecia, nello tzatziki,con tante fette di pane bianco e salato; quelli ita-liani proprio non li digerisco. Potrei dire che uncerto gusto ce l’ho nel sangue o magari nellamemoria inconscia, chissà… A casa Tiliacos - vadetto - non si mangiava greco. Mia madre Ottavia,romana di origini marchigiane, era ed è tuttorafedele al suo ricettario familiare, peraltro apprez-

zatissimo da mio padre Nicola, che pur soffriva diqualche nostalgia gastronomica. C’è da dire che aquei tempi – parliamo degli anni Sessanta – pro-curarsi materie prime e ingredienti greci era prati-camente impossibile, se non previa spedizionedalla madrepatria. Così era per l’olio, il potente,piccante olio d’oliva che circa una volta all’anno civeniva spedito dalla cugina di papà, che era torna-ta a vivere a Kalimnos. Un olio tanto diverso, perfi-no troppo saporito e profumato per noi bambini dicittà, abituati all’olio comprato dal droghiere!L’odore di quell’olio si spandeva in tutta casa e sechiudo gli occhi mi riempie ancora le narici.Senonché serviva a condire ricette italiane anchea casa dei nonni paterni, grecissimi kalimnioti. Mianonna Maria Kalavròs era troppo avanti con glianni per dedicarsi alle faccende domestiche. Suafiglia, la zia Maria, era notoriamente una golosache però si teneva ben alla larga dai fornelli, senon altro perché era impegnatissima con il nego-zio di via Quattro Fontane. Anche a casa di nonna,quindi, si cucinava (o meglio, la sua governantecucinava) all’italiana. Papà non si dilettava ai for-nelli: però un bel giorno prese l’iniziativa di inse-gnarci a mangiare lo yogurt come se fosse unaminestra, cosa davvero stravagante per chi, comenoi bambini, conosceva soltanto lo yogurtino ane-mico della centrale del latte. Per qualche tempoandammo avanti con il barattolo dei fermenti latticisul tavolo di cucina… poi per una distrazione siruppe, e l’esperimento finì lì. Peccato.Qualcosa dalla terra madre, dicevo, ogni tanto arri-vava. Un parente in visita o magari la stessa ziaMaria che di ritorno dai suoi viaggi riportava, per lagioia di noi bambini, una scatola di cartone checonteneva dei grossi canditi quadrati, di un belcolore rosa acceso o bianco: i lukumi (o “luccumi”,come dicevamo noi bambini Tiliacos, estasiati), ingenere comprati all’aeroporto di Atene poco primadi imbarcarsi. La prima volta che andai in Greciaanch’io riportai quel souvenir gastronomico chetanto piaceva a mio padre, ghiottissimo di dolci.Talvolta papà veniva sorpreso mentre infilava ilcucchiaio da minestra (!) in un certo barattolocolmo di vaniglia, altro peccato di gola conseguen-te alla visita di qualche cugino di passaggio daRoma.Parliamo di tanti anni fa ma non è che adesso siapoi così facile trovare a Roma i prodotti greci,

per sempre il migliore......il primo boccone di Grecia

per sempre il migliore...di Cristina Tiliakos, giornalista gastronomica

...su tavolo imbandito di ogni ben di Diofeci la conoscenza con i mezedes, mentre bicchieri ripieni di ouzo

tintinnavano in un brindisi senza fine...

anche nelle grandi gastronomie si resta un po’delusi di fronte alla scelta limitata di delikatessenelleniche. Certo, una buona taramosalata in vaset-to nella boutique alimentare si trova senz’altro. Manon sarà mai come quella lentamente assaporatain quel ristorantino con i tavolini sull’acqua nelporto veneziano di Chaniá, a Creta, con il profumodella crema rosata e compatta che si spandevatutt’intorno in una tiepida sera d’aprile. E fu semprea Creta che assaggiai un salume eccezionale, unaloukanika di carne di maiale speziata e tagliata acubetti invece che macinata. Ma veniamo al primoe indimenticabile pranzo greco. Ventenne, comemeta per la mia prima vacanza all’estero scelsi(ma in realtà non scelsi, era implicito) la Grecia.Tanto per cominciare quella più vicina, dirimpet-taia: Paxos nelle Isole Ionie. Con il tempo mi sareiformata una cultura gastronomica che allora nonavevo, anzi ero piuttosto “sospettosa”, poco inclineagli esperimenti gastronomici.. Le timidezze svani-rono appena messo piede nel giardino della picco-la taverna di Gaios, davanti a uno spiedo doverosolava il più buon capretto arrosto che abbia maimangiato: il primo boccone di Grecia, per sempreil migliore.L’apoteosi fu la grande cena della notte diFerragosto, quando su tavolo imbandito di ogniben di Dio feci la conoscenza con i mezedes, men-tre bicchieri ripieni di ouzo tintinnavano in un brin-disi senza fine. E che cena, poi! Keftedes, dolma-des, moussakà, insalata greca, agnello arrostocon delle meravigliose patate dolci tagliate a gran-di pezzi... Su tutto un vino rosato e leggermenteabboccato, fatto in casa, che fece sentire tutta lasua potenza... Avevo sperimentato l’ospitalità

omerica. Che omerica rimane, anche nel terzo mil-lennio. I miei cugini di Kalimnos, ad esempio, cuci-nano dei veri e propri banchetti. A casa loro, allafine di una vacanza che mi è costata una taglia inpiù, ho assaggiato cose raffinatissime come tim-balli di pasta fillo ripieni di verdure mai viste, son-tuosi spezzatini di agnello cotti nello yogurt, pollistufati con riso e uvetta… Quando ricordo queipiatti penso che nell’immaginario collettivo lagastronomia ellenica è un po’ prigioniera degli ste-reotipi, come se si limitasse ai pur buoni souvlaki eall’insalata con la feta… Personalmente mi incuriosiscono anche i tanti for-maggi a denominazione d’origine controllata,come pure i vini; devo ancora togliermi un bel po’di curiosità, e presto voglio tornare al mercato diAthinàs, che è per la capitale greca quello che è laVucciria per Palermo.Faceva caldo, la prima volta che mi feci largo nel-l’ordinato caos di botteghe e botteghine dove sivende di tutto, tra cumuli di merce esposta sul mar-ciapiedi, centinaia di sacchetti di erbe secche,dolci di mandorle ed (eccoli!) gli amati lukumi dellamia infanzia. E ancora spezie, frutta secca, gliinsaccati e i formaggi più vari, salse, montagne diolive, acciughe sotto sale, sardine, sgombri, bac-calà e, naturalmente, tanta rosea taramà da com-prare a peso, montagne di uva bianca e nera,cocomeri piccoli e dolcissimi, grandi pesche gialle,pomodori e pomodorini… E anche quelle melan-zane bianche piccole e allungate, che mio cuginoJannis fa ripiene di riso condito con cipolla, mentae prezzemolo e stufate con succo di limone e aglio.

foroellenico 15

16 foroellenico

Per quale motivo un professore si occupa cosìtanto di cucina? Quanto stretto è in realtà il rap-porto della cultura con la gastronomia?

Il mio lavoro di cattedratico, in origine, non avevaun rapporto diretto con la gastronomia. Hanno gio-cato un ruolo più importante, le tante esperienzefatte durante i miei viaggi e la mia abitudine aconoscere la gente attraverso la cucina, in mododiretto e profondo. Poi, in effetti, ho deciso di inte-grare questo aspetto nel mio lavoro all’università,come una delle caratteristiche più importanti dellacosidetta “cultura materiale”.Ovviamente, non manca anche una tendenza epi-curea, godereccia, verso il buon cibo. Il mio mae-stro Epicuro diceva chiaramente che il piaceredella pancia è un affare molto importante, dava daallora alla gastronomia il posto che le spetta.Permettetemi anche, un aneddoto personale: all’i-nizio degli anni novanta, ho realizzato una serie ditrasmissioni per la tv, insieme alla giornalistaMalvina Karali, prematuramente scomparsa.Ricordo alcune delle lettere che avevo ricevuto dadelle casalinghe. Mi scrivevano che con l’impegnoe la passione che ci mettevamo, davamo ad unpratica quotidiana - al cucinare - un valore, una

nobiltà, spesso negata . È un complimento che miha fatto davvero gioire, uno dei più belli che abbiaricevuto in vita mia.

In cosa si differenzia la cucina greca da quelle delMedio Oriente?

Spesso, la cucina greca viene confusa con quel-la turca e quella persiana. La differenza principa-le, è che queste due tradizioni gastronomiche,non sono di origine popolare, ma “alte”, di palaz-zo. Al contrario, la cucina greca contemporaneaha un carattere popolare, non ha origini aristo-cratiche. Non c’è la ricercatezza e la rielaborazio-ne della cucina delle corti. Noi, inoltre, non fac-ciamo un uso così massiccio delle spezie e delleerbe aromatiche, abitudine assai diffusa in MedioOriente. I nostri cibi vengono preparati in modomolto semplice, direi essenziale: la cottura al car-toccio, alla brace, con il carbone. È così che sicucina anche il pesce, o, in alternativa, in unazuppa molto leggera. Parlerei, quì, di una “sem-plicità sorprendente”. Malgrado ciò, non si posso-no negare alcune somiglianze. Anche da noi ilgrado di elaborazione sale quando aumentano leinfluenze borghesi, cittadine. Ad esempio, ilpesce alla maniera di Spetses, la maionese pre-parata ad Atene, il pasticcio, la mussakà.Riguardo poi alle cucine nordafricane, la differen-za fondamentale con quella greca, e che da noinon esiste la tradizione del “sweet and sour”, deldolce e acido. Componente essenziale, invece,delle ricette marocchine. Se vogliamo ricercare leorigini della cucina greca, dobbiamo fare riferi-mento ad alcuni “rapporti filiali” con la GreciaClassica e con Bisanzio. I dolmades, certamente,con il riso e le foglie di vite, usate per prepararegli involtini, sono un’eredità bizantina. Ma più chealtro, dobbiamo guardare agli ingredienti, pura-mente mediterranei. E per tornare all’anticaGrecia non possiamo non citare il pasteli, il “croc-cante” con sesamo, miele e mandorle, che erauno dei cibi più diffusi ed è arrivato fino a noi. Oanche il pane, visto che nei “Sofisti a banchetto”,Ateneo, cita più di cinquanta tipi di pane: al for-maggio, all’origano, alle olive, ecc. Al contrario, ilcontrasto dolce-acido, presente nella cucina

La forza delle “materie prime” La forza delle “materie prime” Dimitris Potamianos, docente di cultura materiale all’Università Panteio di Atene,esperto viaggiatore ed autore di volumi sull’identità e la tradizione culinaria, ci dàla sua immagine della gastronomia greca, ci parla della “forza della semplicità” eci propone piatti che rischiano di non essere mai conosciuti dal vasto pubblicodi Teodoro Andreadis Synghellakis

Dimitris Potamianos

foroellenico 17

dell’Atene classica, si è perso col passare deisecoli...

Gli ingredienti ci portano automaticamente a par-lare delle comunanze con la gastronomia italia-na...

Naturalmente. Si tratta di due cucine basate sull’o-lio, specialmente se teniamo conto delMezzogiorno italiano. Mentre quella turca ed anchela nordafricana, prediligono il burro. Una comunan-za che ci mostra anche come la tradizione cambiae si integra col passare del tempo: i piatti mediter-ranei per eccellenza, oggi, cioè le patate, i pomo-dori, le melanzane, non sono prodotti autoctoni.Sono “immigrati” dall’India - nel caso delle melan-zane - o dei pomodori, dal Nordamerica. L’unicafamiglia di verdure mediterranee, se guardiamoall’antica Grecia, sono le zucchine. Se uno peròvuole preparare il briam, le nostre verdure al forno,o il minestrone italiano, non può fare a meno diusare questi “straordinari immigrati”.

Oltre alla pasta, quali sono gli scambi più evidentitra Italia e Grecia?

Nel corso degli ultimi anni, gli italiani ci hanno inse-gnato a mangiare la pasta con le vongole, lecozze, gli scampi. Ci sono piaciute tanto, chesiamo voluti andare oltre, e abbiamo creato lefamose “αστακοµακαροναδες ”, la pasta con l’ara-gosta. Un’abitudine nuova, dovuta al lavoro di alcu-ni chef arrivati dall’Italia, a iniziare da FabrizioBuliani, che hanno lanciato queste ricette, congrande successo, nei primi anni ’90. Gli italiani poi,ci hanno riinsegnato ad usare le erbe aromatichefresche. Prima di tutto il basilico, ingrediente basedel vostro pesto. In Grecia, fino a poco tempo fa, locoltivavamo solo nei vasi, quello riccio, per goderedel suo forte aroma e per tenere lontane le zanza-re. Grazie al pesto, ci siamo ricordati di questaimportante “risorsa”, che potrebbe venire usataquasi quanto il prezzemolo. Spero che si arrivi pianpiano anche alla riscoperta della salvia, del rosma-

rino, e di molte altre erbe, per affiancare il basilico,il prezzemolo e l’origano secco.

Cosa si deve fare per diffondere anche molti piattinuovi della cucina greca, che non vengono di soli-to proposti ai turisti?

DobDobbiamo rbiamo r iuscire a promiuscire a promuouovvere la qualitàere la qualitàdei prodotti che usiamodei prodotti che usiamo, f, far conoscere alcuniar conoscere alcuniprodotti prodotti locali straordinari, che aumentano il loro“valore aggiunto”, quando vengono cucinati inmodo semplice. Per esempio i pomodorini diSantorini, dal sapore ineguagliabile. O i germoglidella vite, che si possono raccogliere dal 20 diAprile, sino al 15 di maggio. Putroppo, è una pro-duzione molto limitata, anche se eccellente, senzadiserbanti. Ci sono poi anche alcune olive di gran-dissima qualità. Per quanto riguarda la carne, dob-biamo insistere sulla preparazione: il già citato car-toccio, che riesce a conservare a ad esaltare l’aro-ma del cibo. O la γα′ στρα, un utensile di cocciomolto particolare, chiuso ermeticamente, col car-bone acceso che viene posto sopra e non sotto ilpiano di cottura. Ed ovviamente, il forno a legna,che in Italia usate per la pizza e dove noi prepa-riamo i pomodori ripieni, le verdure briam, di cui hogià parlato, o anche la mussakà. Bisogna insisteresulla forza delle materie prime, anche le menopubblicizzate, come la verdura di Creta e di Egina,e il modo di preparare i cibi. Senza pensare perforza a ricette troppo elaborate.

Lei aveva anche parlato di un piatto ideale per gliospiti delle Olimpiadi....

Avevo proposto una insalata con la gramigna , esardine con foglie di vite. Si tratta di una ricettamolto semplice, con sale grosso e cottura allabrace, con uno strato di foglie sopra e uno sotto.Non si tratta di dolmades, in questo caso le foglienon sono commestibili, sono troppo dure.Riescono però ad assorbire il grasso delle sardinee a lasciar emergere un sapore molto gentile.Anche quì ho voluto basarmi sulla semplicità.

La ricetta che lei ama di più?

I fagiolini, con i quali si può preparare un’insalatadavvero saporita, ma anche i carciofi, buonissimianche quelli “alla romana”. E ovviamente il pesce,l’aguglia al forno, con olio e origano o con sedanoe porri. Un pesce che viene considerato di secon-da scelta, ma che vi assicuro, non ha niente dainvidiare all’orata.

I nostri cibi vengono preparati in modomolto semplice, direi essenziale: la cottura al cartoccio, alla brace, con il carbone.

È così che si cucina anche il pesce...

L’opinione di Gianfranco Vissani, chefQuali sono le ricette greche che predilige?

Io penso che la cucina greca non abbia certo bisogno di pubblicità. È una grande terra con fortissime tra-dizioni. Amo molto la Mussakà, un prodotto-principe che ha conquistato gli alberghi più famosi e la granderistorazione, come anche la feta, con il suo sapore immediatamente riconoscibile. Non potrei dimenticare ilgyros-pitta, anche nella sua versione con lo tzatziki o un po’ più piccante. Una nuova sfida, potrebbe esse-

re un grande ricettario, alla conquista della gastronomiainternazionale. Io poi, sono un estimatore dell’uvetta diCorinto, che si ritrova anche in piatti italiani, anche sesono pochi quelli in grado di riconoscerla. Le nostre duecucine sono dei veri e propri vasi comunicanti: basti pen-sare, ad esempio, alla conoscenza e all’uso delle man-dorle. Ci vuole una vera alleanza tra chef e giornalisti chesi occupano di cucina, per far conoscere, anche nel casodella Grecia, quegli aspetti meno noti, più nascosti. Epuntare sull’unione della tradizione culinaria con l’innova-zione, la rielaborazione, seguendo, in parte, l’esempiodella Spagna. È un bisogno di vitalità e di creatività, quel-lo che si esprime spesso attraverso le ricette. La Greciaha molto ancora da farci conoscere e mi riprometto, attra-verso i miei programmi, di fare certamente la mia parte.

Anche l’occhio vuole la sua parte!L’opinione di Licia Granello, La Repubblica

Sono una donna curiosa anche a tavola. E la cucina greca è una delle più varie, saporite, colorate (anche l’oc-chio vuole la sua parte!) che si possano assaggiare. In più, vivendo a Milano, dove le proposte di etno-gastro-nomia abbondano, non mancano certo le occasioni per gustare piatti in arrivo da tutto il mondo. La Grecia, inparticolare, è molto ben rappresentata: in città i locali di cucina ellenica sono tanti, e molti di loro, davvero buoni.Qualche giorno fa, per annunciare una serata a tema, un giornale ha titolato “Ouzo, feta e sirtaki”. Come flash,richiamo d’attenzione, era perfetto. Forse, però, non rendeva giustizia alla complessità e vivacità dell’offertaculinaria greca. A cominciare dai mezedes.Io adoro gli stuzzichini, quel saltabeccare goloso da un antipasto all’altro, andando di boccone in boccone,ritornando su quelli che mi hanno convinto di più. A patto di avere sempre a disposizione tre ciotoline: unacon la taramosalata, una con lo tzatziki e la terza piena di carnose olive kalamata.Di lì in poi, mi piace tutto o quasi: i rotolini di pasta fillo - grande new entry nella mia cucina di casa! - ripie-ni di formaggio, quelli fatticon le foglie di vite e il riso.Trionfale la mussaka, e poi lepolpettine speziate, la spa-nakopita - che buone le tortesalate greche! - la zuppa dilenticchie.Non impazzisco, invece, peri dolci, che trovo, appunto,troppo dolci. E nemmeno peri vini. Ma si tratta di dettagli,a fronte di tanta, freschissi-ma bontà.

Testo raccolto da T.A.S.

18 foroellenico

Gianfranco Vissani

foroellenico 19

Come la cucina italiana ha conquistato i greciFabrizio Buliani, chef, originario di Tolmezzo,nel Friuli Venezia Giulia, lavora da quindicianni in Grecia. Prima ad Atene ed ora in ungrande complesso alberghiero della Calcidica

Come mai un cuoco italiano ha deciso di andare alavorare in Grecia?

Nei primi anni della mia vita ho girato moltol’Europa. Quindi, per ragioni di lavoro sono stato inGermania e Francia per degli stage, e così, dopo,non è così facile fermarti. In Grecia mi ha portatol’ex proprietario dell’Aek, Pavlos Lukás. Aveva aper-to un ristorante italiano nel 1989, e dopo un anno,mi ha chiesto di dargli una mano. Così da Monaco,cove lavoravo all’“Hosteria Italiana”, sono sceso adAtene. Dovevo rimanere sei mesi, ma poi ho decisodo restare, per contribuire a costruire la gastrono-mia italiana, che nel 1990 era quasi inesistente.

Come spieghi questo grande entusiasmo dei greciper la cucina italiana?

A parte il fatto, che come dicono tutti, siamo “unafaccia - una razza”, penso che avendo le stesseradici culturali ed avendo vissuto storicamentemolte vicende in comune, ci sia una forte vicinan-za di base. Oltre ciò, è palese anche l’esigenza divalorizzare i prodotti che hanno un forte legamecon la terra, e quindi con il proprio territorio. Lacucina delle isole, Creta, Cipro, Sicilia e Sardegna,hanno davvero molto in comune. La diffusionedella moda, della lingua e della cucina italiana,dagli anni ’80 in poi, hanno trovato quindi terrenofertile. Io, comunque, non faccio proprio “cucinaitaliana pura”. Faccio cucina italiana con le coseche mi mette a disposizione il mercato greco.

Cosa intendi in concreto?

Adopero gli asparagi greci, seleziono determinatitipi di pomodori o di verdure. Mi interesso a quellecose che abbiamo in comune come il cretamo, lafoglia di capperi o i pomodori secchi, che nel 1990non usava nessuno anche se sono ben presenti. Ilegami tra le due cucine sono molto forti, a livellopopolare.

Fino a che punto si può modificare una cucinasenza snaturarla?

Bisogna conoscere la tecnica. Utilizzare tecnichemoderne, così come abbiamo fatto per “alleggeri-re” la cucina tradizionale italiana. Lo stesso si puòfare anche per quella greca. I prodotti buoni cisono, bisogna solo indirizzare, i produttori, in ogniposto, verso la direzione giusta. Ad esempio,anche in Grecia, l’olio biologico, ora è ben presen-te. Bisogna innovare rispettando la tradizione.

In questi quindi-ci anni di per-manenza inGrecia, qualisono i maggioric a m b i a m e n t iche hai notato?

Una esaltazione dei vini incredibile. Molti italianisono venuti quì a cercare nuovi prodotti. Molti por-cini che si vendono in Italia, sono dell’Epiro. Unodei più grandi fornitori di asparagi del mercatotedesco sono la Macedonia, Agrinio e la Tracia.Modificazioni che non vengono solo dall’interno,anche compagnie straniere esprimono un forteinteresse per una vasta gamma di prodotti, dallivello popolare a quello più ricercato.

Il tuo rapporto con la cucina greca?

Meraviglioso. la cosa che amo di più e il Dákos,parente stretto della frisella pugliese e dei panisecchi calabresi. È la base, il segno della croce. Ei pomodori ripieni col riso, “Τα γεµιστα′ ”, che espri-mono anche bene il carattere dei greci, il loromodo di vivere. Un modo rilassato, fresco, con unsenso di leggerezza verso la vita e una predilezio-ne per l’estate.

Cosa diresti di questi quindici anni in Grecia?

Lo rifarei. Anche se devi cercare i produttori, i con-tatti, i clienti, i camerieri... Una fatica che però èstata ampiamente ripagata.Quando cammino ad Atene, non mi riconosconoper quello che sono ma mi rispettano per quelloche faccio.

E per concludere: quali sono tre ricette che haiproposto e alle quali sei più legato?

Un pesce spada che faccio marinare nella cipollanel limone nel rosmarino e nel sedano e lo servocome carpaccio, con l’olio e il limone solamente.Sceglierei poi l’insalata di carciofi con le scaglie diparmigiano, e un dolce che faccio che si chiamaAb-Fab: una crema catalana sospesa, senza con-tenitore, che sta in piedi da sola.È un lavoro tecnico, solo crema di latte, con ilrosso dell’uovo. I greci, d’altronde, impazzisconoper la crema e il cioccolato, siete gente godurio-sa.

Fabrizio Buliani

20 foroellenico

Nicoletta Xanthopoulou, associazione culturale “Itaca”Roma Prati

Come sono arrivata a Itaca? Che percorso ho fatto? Quantianni ho impiegato? Perché ho voluto raggiungere Itaca? Perrivelarla a chi?Itaca è il luogo dove ho potuto realizzare una parte dei mieisogni giovanili, accumulati dall’età bambina all’età adulta.Mescolata tra le tante persone che facevano parte della miafamiglia e non solo, che passavano per la porta di casaentrando ed uscendo, portando con loro suoni, colori, odori esapori, che sostavano nel cortile sgranocchiando fistikia,qualche volta olive, che inzuppavano il pane nello tzatziki, chesorseggiavano il tsipouro che io annusavo arricciando il naso,tra le gambe di mia nonna che cucinava la zuppa di grano alpomodoro - il trahanà - nel negozio di Stelios e nel mercato diSerre, stordita dalle spezie e dall’odore di pasturmà, arrivaticome noi da Trapesunta, intorno a mio padre che preparava“ta tursià” dal sapore acido e le alici sottosale, ero cresciutatra questi sapori ed odori per portarmeli appresso per tutta lavita. Anche quando sarei andata lontano, in un altro Paese,sarebbero stati il mio bagaglio personale, senza peso e senzavolume, ma solo negli occhi, nel palato nelle narici e nel tatto.Avrei dovuto ritrovare un giorno quella parte di me che avevoconservato in segreto e l’avrei rivelata a chi avrebbe volutoapprezzarla.E arrivò Itaca, il luogo che tutti vorrebbero raggiungere primao poi nella propria vita, che per me significava solo il postodove avrei continuato a spargere quegli stessi odori e saporicon cui ero nata e cresciuta.La mia Itaca è solo una Cucina, ma ognuno può trovarci di più,dove hanno ripreso vita tutti i piatti di allora, quelli che sonoancora chiusi nelle case dei greci, che ripetono il rito dellacucina tradizionale, con gli ingredienti di allora, con i tempi diallora, per i miei amici di oggi, italiani e greci, italiani che sco-prono un po’ dell’oriente mescolato con sapori ed odori medi-terranei e i greci di Roma che ritrovano la loro casa, seduti agustare le salse, taramosalata, melanzanosalata, l’humus, latirokafterì e la regina delle salse lo tzatziki, i dolmàdes di fogliedi vite e di verza con i ripieni di riso e carne, la mussakà, sfor-mato di melanzane e carne con profumo di cannella e altrespezie, lo yourtlù di polpette al cumino coperte di yogurt, l’imam baildì infarcito di verdure al forno, l’exohi-kò, cartoccio al forno di carni, feta e verdure. Ma anche lo spetsofai al tegamino, con trance di salsicce,melanzane e peperoni, lo iuvetsi al coccio con l’abbacchio cotto affogato nelle pastina ad aghi, il lemona-to, di abbacchio e patate al forno, e la spanakopita e kolokithopita, la feta al forno, la skordalià servita coni peperoni di Florina e le rape rosse, sorseggiando uso, rakì, tsipouro e retsina, con le note del rebetico insordina che accompagna sapori e odori, di tavolo in tavolo.

La cucina greca a RomaIn alcuni locali della capitale è possibile assaggiare i piatti tipici della cucina tradizionale ellenica

...ero cresciuta tra questi sapori edodori per portarmeli appresso pertutta la vita, sarebbero stati il miobagaglio personale, senza peso e

senza volume, ma solo negli occhi,nel palato nelle narici e nel tatto

Taverna EgeoGiorgio Deftereos, Mario Galeanoe Mario Marincasa - Roma Pigneto

Abbiamo scelto il nome “Egeo”, per due motivi: prima ditutto per l’antica civiltà del mare, immediatamente indivi-duabile negli idoletti protocicladici. Secondo poi, per laforza del suo blu intenso, che racchiude tutto il fascino eil magnetismo del nostro paese. L’Egeo, è per ogni italia-no, sinonimo di Grecia, delle sue spiagge, dei suoi colori,dei suoi sapori. Insieme alla nostra associazione cultura-le italoellenica “Hellas” di Trastevere, proponiamo pietan-ze che vanno dallo tzatziki alla Moussakà, dal Ghiros alSaganaki, con diversi rustici, carne e spiedini alla piastra.Ai prodotti tipici, ogni venerdì e sabato, affianchiamo unospettacolo di musica e danze. Pensiamo che la culturagreca, si esprima innanzitutto attraverso la lingua e ladanza, ed è per questo che abbiamo creato degli apposi-ti corsi. Finora, i risultati sono stati molto incoraggianti.Intendiamo proseguire, prendendo parte, sempre piùspesso, con i nostri musicisti e il nostro gruppo di danzecaratteristiche, a numerose manifestazioni, a Roma e nelresto d’Italia.

foroellenico 21

Akropolis, di Antonio MilitsisRoma Trastevere

Abbiamo aperto dal 1999, forti della tradizione della taverna di mio padre, “nata” a Creta, a Eraklion,ormai cinquant’anni fa. I sapori, gli aromi, sono esattamente gli stessi. Anche perché sappiamo beneche gli italiani sono dei giudici severi in materia di arte culinaria, molto più dei tedeschi o degli inglesi.Nel mio laboratorio uso il cumino, la cannella, la noce moscata. Il mio amore per le spezie ha delle radi-ci profonde: mio nonno era proprietario di un ristorante, a Smirne, città cosmopolita e con un gran gustoper il mangiare. Dopo l’emigrazione forzata del 1922, si trasferì a Creta. Se mi adatto ai gusti e alle pre-ferenze dei miei clienti? qualche piccola concessione bisogna farla...Per esempio non esagero con l’a-glio nello tzatziki, ho constatato che ha più successo un sapore delicato, non troppo forte, anche all’in-terno del Gyros - Pitta, che siamo stati i primi ad offrire, a Roma. Ho ideato la Mussakà vegetariana,per chi vuole mangiare “etnico”, senza tradire la dieta. Propongo inoltre i kolokithokeftedes e i spana-kokeftedes, delle polpettine con la feta, amalgamata con le zucchine tritate, o gli spinaci. La mia cuci-

na è greca, con ben distinguibile il gusto e la tradizionelocale di Creta, ed alcune ascendenze dell’Asia Minore.Ho partecipato a molte trasmissioni televisive, tra cui“Alle falde del Kilimangiaro” e “La vecchia fattoria”. Agiugno, ho avuto anche il piacere e l’onore di rappre-sentare il mio paese ad una manifestazione gastronomi-ca internazionale, svoltasi a Spoleto. Anche quì ho pun-tato sui prodotti caratteristici: la Masticha, degli alberidell’isola di Chios, il miele, i formaggi feta e manuri, ipistacchi di Egina. Aprire questa taverna, era un sognoche coltivavo sin dal 1981...Volevo portare a Roma, unpezzo della nostra identità, della nostra storia, attraver-so la vera cucina popolare. Credo di essere riuscito nelmio intento ed ovviamente, i progetti per il futuro nonmancano...

22 foroellenico

Sarà poi casuale che gli sviluppi nel “dietro le quinte”della politica, sianochiamati “µαγειρε′µατα ”, maneggi culinari? Sarà casuale che un attac-co di successo sferrato da un politico venga accompagnato dalla frasepiena di vanagloria “τον ε′ϕαγα ” - me lo sono mangiato - o “τον ε′καναπατσα′ ”, l’ho ridotto una trippa?Dagli antichi simposi fino alle orge romane, partendo dalle cene impe-riali per arrivare al locale storico di Atene Bairaktaris, la politica ha lega-to intimamente le sue sorti con il mangiare. D’altra parte, la via dellegrandi decisioni, in politica, è inscindibilmente unita al piano dei sensi.Il mangiare, essendo uno dei principali piaceri degli uomini, una com-ponente culturale insuperabile, apre le loro anime, cambia la loro dis-posizione, cosicchè tutto può accadere. Gli eventi più piacevoli e più tra-gici nella nostra vita quotidiana, sono connessi al mangiare. Molte volte,“µεταξυ′ τυρου′ και αχλαδι ′ου” - tra il formaggio e la pera -, da un piat-to all’ altro, e nel mezzo di discussioni “περι′ ανε′µων και υδα′ των” - suiventi e sulle acque -, apparentemente non inerenti al contesto, sonostate prese importanti decisioni o sono stati firmati accordi di rilevanzastorica. Dalle cene sono emersi capi, sono caduti governi e sono statecreate alleanze di governo.Lo scopo di questo libro è di mettere in risalto i più importanti incontri tra politici degli ultimi anni, intorno ad un tavo-lo. In...cene segrete e feste pubbliche, in pranzi riservati o al caffè delle dieci, incontri in cui sono state prese impor-

tanti decisioni, sono stati condizionati futuri sviluppi, sonostate delineate strategie e sono naufragate speranze.Interessandomi con un criterio puramente politico alle riunio-ni segrete... più palesi, ho capito improvvisamente quale rile-vanza abbia avuto ogni volta il menù. Ogni portata con la suasemiologia, la sua precisa posizione, con ogni menù il padro-ne di casa ha voluto mandare il suo messaggio. Non avvienecosì, d’altronde, anche nella vita? Quando si attende il propriodirettore ci si prepara in un modo ed in un altro per il primoappuntamento galante a cena.Le cuoche delle cene politiche di cui mi sono occupata, sape-vano bene che lo scopo non era solo compiacere la ghiottone-ria degli ospiti, ma anche il bisogno di farli rilassare, cambiaredisposizione d’animo, senza appesantirsi. Ritornando a tuttequeste storie e parlando con molti dei protagonisti, sono emer-si particolari che nella fretta del reportage, quando era preval-sa la cronaca politica, non erano stati considerati. Ora, a distan-za di tempo, posso constatare che anche i particolari hannoavuto il loro peso. I politici, conoscendo bene le regole dellacomunicazione, hanno gestito con maestria i pranzi e le cene.Seguite anche voi le regole che si confanno ad ogni situazione,e chissà che non riusciate a raggiungere il vostro scopo...

Eleni Kalogheropoulou

MANEGGI POLITICO-CULINARIEdizioni Livanis, Atene

MANEGGI POLITICO-CULINARIEdizioni Livanis, AteneLa giornalista greca Eleni Kalogheropoulou, che da anni segue gli sviluppi politici delpaese, la formazione dei nuovi governi, i viaggi dei primi ministri all’estero, i loroincontri al vertice, ha deciso di scrivere un libro a metà fra gastronomia e arte dellapolitica. Quali sono le ricette più amate dai politici? Quanto la cucina riesce a influen-zare l’arte del buon governo? E quanto una buona chiacchierata a margine di una cena ufficiale, può aiuta-re la reciproca comprensione? A queste e molte altre domande, vuole rispondere il libro ΠΠοολλιι ττιικκαα′′µµααγγεειιρρεε′′µµαατταα che noi abbiamo tradotto - forse non troppo fedelmente - col titolo “maneggi politico-culinari”.Ecco a voi l’introduzione, a firma dell’autrice e due ricette, appunto, “politico-culinarie”.

CARCIOFI ALLA MANIERA DI COSTANTINOPOLI

(piatto preferito di Vasso Papandreou, deputato del Pasok, exministro)

Ingredienti

- mezzo chilo di piccole patate, sbucciate- una tazza da the di olio d’oliva- mezzo chilo di cipolle piccole da stufato- 3 cipolline fresche tagliate sottili- 2 cucchiai da minestra di aneto sminuzzato- 2-3 carote tagliate a rotelle sottili- succo di 2-3 limoni- sale, pepe

Puliamo i carciofi e li immergiamo in acqua con un po’ di sale esucco di limone (per non farli scurire). Puliamo le cipolline da stu-fato intere, le patate, le carote e le immergiamo nell’acqua di un’al-tra pentola. Mettiamo a scaldare l’olio in una pentola più larga efacciamo rosolare un poco le cipolline intere e quelle fresche. Aggiungiamo 2 tazze d’acqua e le carote, facendo bollire il tutto.Aggiungiamo un’altra tazza d’acqua ed il succo di un limone, equando hanno iniziato a bollire, buttiamo le patate intere con l’a-neto. Subito dopo aggiungiamo i carciofi con i gambi verso l’alto. Sale, pepe, e copriamo con carta oleosa, tagliata precedentemen-te, secondo la forma della pentola. Pratichiamo un foro al centrodella carta. Copriamo la pentola (i carciofi devono essere quasiinteramente ricoperti dall’acqua) e lasciamo bollire il tutto a fuocolento per circa un’ora senza aggiungere altro olio.

INSALATA DI RAPE

(piatto preferito di Antonis Samaràs, eurodeputatodi Nuova Democrazia, ex ministro)

Ingredienti

1 chilo di rape4 spicchi d’aglio tagliati fini

un po’ di maggiorana sminuzzataun po’ di basilico sminuzzatoun po’ di aceto20 noci in pezzi grossi 1 tazza da the di yogurtun poco di succo d’aranciasale, pepe

Bolliamo le rape, e dopo che si sono raffreddate,le spelliamo, le tagliamo e le disponiamo in unvassoio. In una ciotola facciamo amalgamare tutti gli altriingredienti e versiamo le rape. Alla fine aggiun-giamo anche le noci.

Il Libro

foroellenico 23

Dossier

Memoria identità e contaminazioniScrittori e poeti greci e di origine greca all’estero

Scrittori e poeti greci e di origine greca dalle identità fluide, molteplici, dove le originisono un punto di partenza, di arrivo, o uno stimolo in più per ricercare nella realtà

anche una dimensione “altra”, più profonda o semplicemente, meno evidente. Percorsicreativi dei sensi e della memoria, che Foroellenico ha cercato di seguire

In un pomeriggio di fine estate, a Mantova può accadere di imbattersi in un premio Pulitzer che passeggia nel Cortiledella Cavallerizza, di assistere alla presentazione di un altro Pulitzer e, volendo esagerare, di riuscire a fare un’unica mafondamentale domanda ad uno dei due Premi. Jonathan Franzen sembra un adolescente, vestito con una polo a righedi quelle che andavano di moda venti anni fa. All’evento di Jeffrey Eugenides Franzen prova a fare lo spettatore, primadi essere assalito dal pubblico e ricondotto tra i VIP. Eugenides invece arriva da scrittore di successo, circondato dall’e-stablishment Mondadori, presso cui ha pubblicato Le vergini suicide e il famosissimo Middlesex. Lo aspetto al varco, miapposto dietro una curva per intervistarlo. Lo aggredisco in un inglese talmente sciolto da risultargli inizialmente incom-prensibile. Prima che una rabbiosa addetta stampa mi cacci via, riesco a chiedergli “Cosa pensa del Festivaletteratura?”;mi risponde, dall’alto verso il basso: “I like it”. La presentazione del libro è focalizzata sui temi tipici dell’Autore, quali latrasformazione delle identità (il protagonista di Middlesex nasce donna e continua uomo), l’immigrazione, la cultura ame-ricana, la cultura classica. Eugenides nasce a Detroit, città centrale nei suoi romanzi, in una famiglia greca asiatica eirlandese. Compie studi classici, dichiarando che l’Eneide e Anna Karenina sono tra i suoi dieci libri fondamentali e para-gonandosi, non senza umiltà, a Tolstoij. A Mantova l’Autore ha spiegato che nei dieci anni di gestazione necessari peril secondo romanzo ha dovuto studiare storia, genetica e immigrazione. Il protagonista, Calliope poi Call, nasce in unafamiglia greca poi americana, ermafrodito per colpa di un gene impazzito. Poi ha letto brani di Middlesex, difficili ma rit-mati, conquistando il pubblico numeroso e l’altro Autore da Premio.

Ma quello di Jeffrey Eugenides è un vero e proprio “caso lettera-rio”. Esordisce nel 1993 con Le vergini suicide, un romanzo cheincontra subito il favore del pubblico. L’anno successivo viene pub-blicato in Italia da Mondadori nella traduzione di Cristina Stella edal ‘93 ad oggi è stato tradotto in 15 lingue. Il suo successo vieneconsacrato definitivamente nel 1999 quando Sofia Coppola, figliadi Francis Ford Coppola, riadatta il romanzo per il grande scher-mo. Neanche a dirlo, il film avrà un grande successo di pubblico.Nel 2002, a nove anni di distanza dal primo romanzo, JeffreyEugenides pubblica Middlesex, che vince il Premio Pulitzer per lanarrativa ed entra nell’Olimpo dei best sellers. Si tratta di unromanzo-evento che Mondadori pubblica nel 2003 nella traduzio-ne di Katia Bagnoli. Qualcuno ha detto: “valeva la pena aspettarenove anni per leggere questo capolavoro!”.Eugenides è nato nel 1960 a Detroit da madre americana di origi-ni anglo-irlandesi e da padre nato in America da genitori greci ori-ginari dell’Asia Minore. Oggi vive a Berlino con la moglie e la figlia.Le vergini suicide è un avvincente romanzo di 250 pagine circa in cui un narratore ‘collettivo’, voce di un gruppo di ado-lescenti maschi, rievoca a vent’anni di distanza la vicenda delle cinque giovani sorelle Lisbon, oggetto proibito del lorodesiderio, che nel breve spazio di un anno si sono tutte tolte la vita. Il romanzo è costruito su un enorme corpus diprove raccolte dai ragazzi per comprendere il gesto delle cinque sorelle. È un’indagine destinata al fallimento perché,nonostante tutto il materiale e le testimonianze raccolte, i ragazzi non riusciranno mai a capire i motivi del suicidio e

L’esperienza di Jeffrey Eugenidesdi Tiziana Cavasino, neogrecista

L’esperienza di Jeffrey Eugenides

24 foroellenico

saranno condannati per tutta la vita a ricordare edesiderare le sorelle Lisbon.La vicenda delle cinque sorelle è però anche unpretesto per realizzare un affresco dell’Americasuburbana degli anni ‘70: l’ambientazione èGrosse Pointe, un quartiere suburbano di Detroit ei protagonisti sono tutti i suoi residenti.Uno degli abitanti più affascinanti di questo quar-tiere è senz’altro la vecchia signora Karafilis: unicarappresentante greca (insieme al nipote Demo) nelgrande affresco multietnico delle Vergini suicide èil primo di una lunga serie di ritratti di greci immi-grati in America dall’Asia Minore che Eugenidestratteggerà nel suo romanzo successivo. Nellamemoria del gruppo di adolescenti-voce narrante,la signora Karafilis ha sempre vissuto “in attesadella morte” nel seminterrato della casa del figlio aGrosse Pointe in una:

“stanzetta che ... aveva arredato in modo cheassomigliasse all’Asia Minore. Dal graticcio delsoffitto pendevano grappoli di uva di plastica; sca-tole ornamentali alloggiavano bachi da seta; lepareti di cemento Portland erano dipinte nell’esat-ta sfumatura cerulea dell’aria della madrepatria.Cartoline incollate con il nastro adesivo servivanoda finestre aperte su un altro tempo e un altro spa-zio, quelli in cui la signora Karafilis si ostinava avivere ... Quando ci vedeva diceva: ‘spegnete laluce, bambolini mou’, e noi, obbedienti, la lascia-vamo al buio, a farsi aria con il ventaglio inviato inomaggio ogni Natale dall’impresa di pompe fune-bri che aveva sepolto suo marito ... Oltre che perfare il bagno, la vecchia Karafilis saliva al piano disopra – una fune legata intorno alla vita, il padre diDemo che la issava con cautela, Demo e i fratellipronti a intervenire – solo quando in televisionedavano Il treno per Istanbul, cioè ogni due anni.Sedeva sul divano, eccitata come una ragazzina, eallungava il collo aspettando i dieci secondi dellascena in cui il treno sferragliava in mezzo ad alcu-ne colline verdi dove lei aveva lasciato il cuore.Sollevava entrambe le braccia e cacciava uno stril-lo da avvoltoio proprio mentre il convoglio, semprenello stesso modo, spariva nella galleria” 1.

Come si vedrà più avanti, il personaggio dellasignora Karafilis contiene in nuce tutte le caratteri-stiche che Eugenides convoglierà, ampliandole eapprofondendole, nell’indimenticabile personaggiodi Desdemona, nonna del/della protagonista diMiddlesex.Se infatti nel primo romanzo la voce narrante è un‘noi’ di sesso maschile molto informato sui fatti, nelromanzo successivo è un narratore che oscilladalla prima alla terza persona, dal genere femmi-nile a quello maschile e che conosce nei minimidettagli tutti gli avvenimenti narrati, anche quelli

avvenuti prima della sua nascita, e i sentimenti ditutti i personaggi che si avvicendano nell’intricatastoria che si dipana nello spazio di 600 pagine.Calliope/Callie/Cal, il protagonista di Middlesex, ènato nel quartiere suburbano di Grosse Pointe aDetroit (come le sorelle Lisbon e i loro ammiratorisegreti) ed è figlio/figlia di genitori nati in Americada una famiglia greca proveniente dall’Asia Minore(come i nonni dell’autore).Scambiata per una femmina alla nascita, a quattor-dici anni Calliope scopre di essere un ermafrodita edecide di scappare di casa e di vivere come unragazzo. Non contento delle teorie genetiche chespiegano il suo caso con la recessione del quintocromosoma, Cal, ormai adulto e residente aBerlino (come l’autore), ricostruisce la storia dellasua famiglia nel tentativo di far risalire il suo desti-no alle colpe dei padri. Inizia così l’epopea degliStephanides, che comincia in Asia Minore conLefty (Eleutherios) e Desdemona, che fuggono dafratello e sorella dall’incendio di Smirne e si ritrova-no marito e moglie negli Stati Uniti d’America.L’abitudine a sposarsi tra congiunti non si arrestacon Lefty e Desdemona: il loro primogenito, Milton,sposerà Tessie, sua cugina di secondo grado. Tuttaquesta consanguineità non poteva che avere effet-ti devastanti sui discendenti degli Stephanides e apagarne le conseguenze sarà proprio Cal, nato conun apparato genitale misto, ermafrodita appunto.In un paio di interviste Eugenides afferma che l’i-dea di raccontare le vicende di una famiglia greca,e quindi della sua famiglia, è nata solo in un secon-do momento, solo dopo l’idea originaria di parlaredi un ermafrodita:

“Non ho mai avuto l’intenzione di scrivere una saga‘greco-americana’. All’inizio volevo semplicementescrivere le memorie immaginarie di un ermafrodita.Questo ha evocato altri ermafroditi della letteratura,come Tiresia. L’ermafroditismo mi ha portato alclassicismo. Il classicismo all’ellenismo. E l’elleni-smo alla mia famiglia. Ho usato le mie origini gre-che perché funzionavano nella storia che volevoraccontare, e non al contrario. Ma con un nomecome Eugenides cosa vi aspettavate?” 2.“Contrariamente al modo in cui gli ermafroditi sonostati descritti in passato in letteratura – per lo piùcome figure mitologiche, come Tiresia – io volevoparlare di un vero ermafrodita. Volevo essere pre-ciso sui fatti medici. Sono andato in bibliotechemedico-scientifiche e ho letto un sacco di libri. Ilfattore genetico risultò essere una mutazionerecessiva che si verifica soltanto in comunità iso-late dove si riscontra un certo numero di matrimo-ni tra familiari. A quel punto io vidi la possibilità diinserire parte della storia della mia famiglia, la sto-ria di greci provenienti dall’Asia Minore, e mi resi

(1) Eugenides Jeffrey, Le vergini suicide, Milano, Mondadori,Piccola Biblioteca Oscar 1999, pp. 178-179

(2) Intervista rilasciata da Jeffrey Eugenides a JonathanSafran Foer e consultabile nel sito del Bomb Magazine(http://www.bombsite.com).

conto di avere per le mani una vasta epopea” 3.

Può anche darsi che da un punto di vista raziona-le i temi ispirativi di Middlesex siano affiorati nellamente di Eugenides proprio nell’ordine qui sopradichiarato. Tuttavia, leggendo questa epopea di600 pagine sorge il sospetto che a livello irrazio-nale l’autore avesse la necessità di parlare dellesue profonde origini greche (la generazione deinonni), delle idiosincrasie tra le due opposte cultu-re (la generazione dei genitori) e del graduale pro-cesso di ‘ibridazione’ degli Stephanides con lapopolazione multietnica degli Stati Uniti d’America(la generazione attuale).La storia, gli usi e i costumi, le tradizioni e le cre-denze dei greci dell’Asia Minore e della comunitàgreco ortodossa di Detroit vengono descritti fin neiminimi dettagli: assistiamo ai riti della Pasqua e delNatale e alla celebrazione del battesimo, del matri-monio e del funerale greco-ortodossi, osserviamole abitudini gastronomiche dei greci dell’AsiaMinore e dei loro discendenti, ci imbeviamo dellecredenze popolari greche e ripercorriamo la storiadella letteratura greca attraverso i molteplici riferi-menti ad Omero e ai tragici greci.In breve, la Grecia fa capolino ovunque: nella formamentis dei personaggi (le idee nella mente diDesdemona scorrono come le perline del koboloi,pag. 41), nelle metafore (l’antica Brussa vista dallacasa degli Stephanides in Asia Minore sembra unatavola di tavli, pag. 31; Callie che fuma marijuanasembra la pizia dell’Oracolo di Delfi, pp. 429-430; idue occhi grandi di Callie ricordano quelli di un’ico-na bizantina, pag. 557), nel nome della catena dichioschi di hot dog creata da Milton (gli HerculesHot Dog) e persino nello squallore del Sixty-Niners,il locale sexy in California dove il giovane Cal lavo-ra (la vasca in cui Cal si esibisce insieme al trans-essuale Carmen e all’ermafrodito Zora viene para-gonata al laghetto incantato dedicato alla ninfaSalmacide dove un giorno, Ermafrodito, un bellissi-mo giovinetto andò a fare il bagno e diventò tutt’u-no con la ninfa, pp. 549, 559).Anche in Middlesex i personaggi più affascinantisono quelli della generazione più vecchia, quelli incui le origini greche sono più forti, più visibili. Ad untempo divertente e tragico il personaggio diDesdemona che vive con il marito nella mansardadella casa del figlio a Grosse Pointe e, in seguito,nella casetta degli ospiti di Middlesex, la nuovacasa del figlio, dove, dopo la morte del marito, vivràsegregata a letto in attesa della morte. Le affinitàcon la signora Karafilis sono evidenti, anche nellacomune l’abitudine ad usare il ventaglio:

“A Desdemona il mio aspetto non interessava. Erala mia anima a preoccuparla. ‘La bambina ha duemesi’ disse a mio padre in marzo, ‘perché non l’haiancora battezzata?’. ‘Non voglio farla battezzare’

rispose lui. ‘Sono tuttefregature’...Desdemona ricorsealla sua arma segre-ta, cominciò a farsiaria col ventaglio ...Prese il ventaglio dicartone con la scrit-ta ‘atrocità turche’ ...Desdemona posse-deva sei ventaglidelle atrocità: lacollezione comple-ta. Ogni annomandava un oboloal patriarcato diCostantinopoli equalche settima-na dopo ricevevaun ventaglio nuovo con iparticolari del presuntogenocidio ... Assente dalventaglio quel giorno, maciò nondimeno denunciato,c’era il crimine più recente,non commesso dai turchima dal suo stesso figlio, ungreco che si rifiutava di dare allafiglia il giusto battesimo ortodosso. QuandoDesdemona si faceva aria non si limitava a muove-re il polso avanti e indietro, l’agitazione le nascevadall’interno ... Milton cercò riparo dietro il giornale,ma l’aria mossa dal ventaglio agitava le pagine. Laforza sprigionata dal movimento della mano diDesdemona veniva percepita in tutta la casa; face-va vorticare la polvere sulle scale, stormire le per-siane e naturalmente, visto che era inverno, facevavenire i brividi a tutti. Dopo un po’ sembrava che l’in-tera casa fosse in iperventilazione” 4.

Il modo in cui Eugenides descrive il personaggio diLefty Stephanides tradisce un affetto profondo euna forte nostalgia per nonno Eugenides:

“Tessie ... a poco a poco, grazie al fatto che soffri-va di una leggera forma di claustrofobia, finì perapprezzare le vetrate di Middlesex.Era Lefty a pulirle. Desideroso come al solito direndersi utile, si fece carico della fatica di Sisifo ditenere pulite tutte quelle superfici moderniste. Conla stessa concentrazione con cui studiava l’aoristodei verbi antichi – un tempo così pieno di stan-chezza da specificare azioni che non sarebberomai state portate a termine – adesso Lefty pulivale enormi finestre ... Io e Chapter Eleven ci arram-picavamo ovunque. Lefty lavava un vetro e cinqueminuti dopo io e mio fratello ci appoggiavamo lemani. Il nostro nonno alto e muto, che in un’altravita avrebbe potuto essere un professore ma in

(3) Intervista rilasciata da Jeffrey Eugenides a Dave Weich econsultabile nel sito http://www.powells.com.

(4) Eugenides Jeffrey, Middlesex, Milano, Mondadori, Oscarbestsellers 2004, pp. 253-254.

foroellenico 25

26 foroellenico

questa teneva in mano un sec-chio e uno straccio, vedendo leditate sorrideva e ripuliva dacca-po” 5.

È lo stesso autore a dichiarareesplicitamente la presenza diriferimenti autobiografici nel suosecondo romanzo:

“Ho cercato di essere scrupolosonella ricostruzione degli eventistorici nel romanzo, dall’incendiodi Smirne nel 1922 alle rivolte diDetroit nel 1967. Ho trascorso unsacco di tempo nelle bibliotechea leggere microfiche. Ho visitatomusei di storia per vedere chetipo di radio ascoltava la gentenel 1932 ... Una delle gioie pro-vate scrivendo il libro è stata quella di impararecose nuove sui miei nonni attraverso l’atto diimmaginare i loro contemporanei. I miei nonnisono morti quando io ero relativamente giovane,quindi questo è stato per me un modo per rincon-trarli da adulto…Durante la stesura di Middlesex ho eliminato alcu-ne parti che avrebbero potuto ferire i miei familiari.Forse ci sono ancora delle cose che possono feri-re. Ma per quanto mi riguarda adesso è tutto risol-to. Io mescolo realtà e finzione in maniera tale chetutto sembri completamente vero e, allo stessotempo, impersonale” 6.

Lo scontro culturale tra la Grecia e l’America èspesso anche uno scontro generazionale tra icomponenti della famiglia Stephanides:

“... un cucchiaio d’argento. Lo legò a un pezzetto dispago e chinandosi in avanti lo fece oscillare soprail ventre gonfio di mia madre. E, per estensione,sopra di me.Fino a quel momento Desdemona poteva vantareuna media eccellente: ventitré pronostici azzecca-ti su ventitré. Aveva indovinato che Tessie sarebbestata una femmina. Aveva previsto il sesso di miofratello e di tutti i bambini delle amiche di chiesa ...e dopo un’iniziale esitazione il cucchiaio cominciòa oscillare da nord a sud: maschio ...Però quando il grido ‘È maschio’ raggiunse miopadre, lui si precipitò in cucina per dire alla nonnache il suo cucchiaio, per lo meno in quel caso, sisbagliava. ‘E tu come lo sai?’ gli chieseDesdemona. Al che lui gli rispose quel che avreb-be risposto la maggior parte degli americani dellasua generazione:‘È la scienza, mamma.’ ...Quando seppe che ero femmina ... Desdemona siincupì. Quel suo figlio nato in America aveva avutoragione e, a causa della nuova sconfitta, il vecchio

paese in cui lei si ostinava avivere malgrado i seimila chilo-metri e i trentotto anni di lonta-nanza, si allontanò ancora dipiù” 7.“È la domenica di Pasqua del1959. Il fatto che la nostra religio-ne segua il calendario giuliano ciha lasciati ancora una volta fuorisincronismo con il vicinato. Duesettimane fa mio fratello è rimastoa guardare i bambini del quartiereche cercavano le uova coloratenei cespugli. Ha visto gli amicistaccare la testa dei coniglietti dicioccolato a morsi e gettarsi man-ciate di gelatine dentro bocchespalancate come caverne. (Inpiedi dietro la finestra a guardare,

più di ogni cosa al mondo mio fratello desiderava cre-dere in un Dio americano risorto il giorno giusto)” 8.

Il romanzo sembra quindi volerci dire che tre gene-razioni (e tre case: quella di Hulburt Street dellaprima generazione, quella di Grosse Pointe dellaseconda generazione e quella di Middlesex in cuiCal e Chapter Eleven, la terza generazione, diven-tano grandi) sono state necessarie affinché gliStephanides si sentissero pienamente integratinella società americana. Solo Calliope/Cal, discen-dente di terza generazione di una famiglia di immi-grati, riesce finalmente a conciliare in sé la disso-ciazione vissuta dai suoi progenitori. Soltanto Cal,un ibrido anche geneticamente, si sente greco maanche pienamente e felicemente americano, pie-namente e consapevolmente ‘doppio’: un ermafro-dita greco-americano.Cal Stephanides come Jeffrey Eugenides è l’unicoa considerare Middlesex e Detroit la sua verapatria, l’unico a sentire nostalgia di casa e a sentir-si finalmente a casa dopo la parentesi della Florida:

“Se sei cresciuto a Detroit capisci come va ilmondo ... Di solito mi deprimeva tornare a Detroitda climi soleggiati, invece adesso ne ero felice. Ildegrado alleviava il dolore per la perdita di miopadre, lo faceva rientrare nel normale stato dellecose. Almeno la città non si prendeva gioco del miodolore mostrandosi scintillante o affascinante ... Ilmio corpo reagiva alla vista di casa. Dentro spriz-zavo scintille di felicità. Era una reazione canina,bisognosa di amore e sorda alla tragedia. Eccocasa mia, Middlesex. Lassù, a quella finestra, suldavanzale piastrellato avevo passato ore a leggeremangiando le more strappate dal gelso” 9.

Lo stesso Eugenides dichiara apertamente il suoamore per Detroit, la città natale in cui ha ambien-

(5) Middlesex, pp. 300-301.

(6) Intervista rilasciata a Jonathan Safran Foer.

(7) Middlesex, pp. 14, 28.

(8) Middlesex, p. 25.

(9) Middlesex, pp. 588, 590.

tato entrambi i suoiromanzi:

“Me ne sono andatoda tempo, ma neimiei racconti nonvedo alcuna ragioneper lasciare Detroit.Questa città è emble-matica di molte realtàamericane che a mesembrano importanti... Provo un amoreperverso per Detroit,dovuto al fatto, credo,di esserci cresciuto.Mi sento molto legatosentimentalmente a

questa città e i miei ricordi sono molto vividi.Nessun luogo mi commuove alla stessa maniera,anche se non ci vado spesso. Forse proprio il fattodi essermene andato mi ha permesso di fissarla neltempo” 10.

Tornando quindi alle sopra citate dichiarazioni diEugenides riguardanti la sua idea originaria inMiddlesex, potremmo a questo punto dire che lospunto iniziale era probabilmente quello di parlaredell’essere due cose diverse allo stesso tempo:greco e americano, uomo e donna, bambino e adul-to, figlio e padre. Parlare di più temi d’ispirazionenon ha senso se pensiamo che ad un certo punto levarie storie, i vari personaggi e i loro sentimenti sisovrappongono e si confondono l’uno con l’altro.La scissione della personalità provocata inCalliope dalla scoperta di non essere più quellache aveva sempre creduto di essere e che erastata educata ad essere fino all’età di quattordicianni e cioè di non essere più una femmina omeglio, di non essere più ‘soltanto’ una femmina,rimanda alla disgregazione dell’io vissuta da chi èstato sradicato dalle proprie radici, dalla propriacultura, dai propri punti di riferimento. È significati-vo accostare la scena in cui Desdemona muove iprimi passi nella sua nuova patria e quella in cuiCal muove i primi passi nel suo nuovo io:

“Desdemona fissava la sua scatola dei bachi conle guance rosse per la vergogna e il furore patitinelle ultime trentasei ore.‘Questa è l’ultima volta che qualcuno mi taglia icapelli.’‘Stai bene’ disse Lefty senza guardarla ‘Sembriuna amerikanidha.’Io non voglio sembrare una amerikanidha.’Nell’area di ammissione di Ellis Island Lefty l’ave-va convinta a entrare in una tenda del YWCA.Desdemona era entrata con lo scialle e la testacoperta dal fazzoletto e quindici minuti dopo erauscita con un vestito a vita bassa e un cappello a

forma di vaso da notte. Sotto la cipria era rossa dirabbia. Per completare la trasformazione le signo-re del YWCA le avevano tagliato le lunghe trecceda immigrata.Per la trentesima o quarantesima voltaDesdemona toccò compulsivamente, come qual-cuno potrebbe fare con un buco nella tasca, loscalpo nudo sotto il cappello floscio” 11.“Imprecazioni, rasoi a mano libera, pennelli dabarba, fu questo il mio benvenuto nel mondomaschile ... Chiusi gli occhi ... mi aggrappai aibraccioli e aspettai che il barbiere facesse il suolavoro ... non c’era più ritorno, lo capii anche aocchi chiusi. La macchinetta tosò da una parteall’altra dello scalpo. Tenni duro mentre i mieicapelli cadevano a strisce. ...I miei nonni avevano abbandonato la loro casa percolpa di una guerra. Adesso, quasi cinquantadueanni dopo, io stavo abbandonando me stesso. Unmodo di salvarsi non meno definitivo. Scappavosenza molti soldi in tasca e il nuovo sesso cometravestimento. Non sarebbe stata una nave a por-tarmi dall’altra parte dell’oceano, una serie di auto-mobili mi avrebbero fatto attraversare un continen-te. Stavo diventando una persona nuova, propriocom’era successo a Lefty e Desdemona, e nonsapevo che cosa mi sarebbe capitato in quelnuovo mondo in cui ero entrato” 12.

La conclusione del romanzo è, a questo proposito,estremamente significativa. Ad un anno dalla suafuga, Cal ritorna finalmente in quella che conside-ra la sua vera casa nel quartiere di Detroit dal-l’emblematico nome Middlesex, ormai rassegnato,dopo tante sofferenze e peripezie, ad accettare lasua condizione di ermafrodita. Ed è questo ilmomento in cui alla fine Cal scopre l’origine di tuttii suoi affanni: Desdemona ormai vecchia e quasiincosciente gli rivela la consanguineità del propriomatrimonio e di quello di Tessi e Milton, genitori diCal. È questo il momento della riconciliazione tra laprima e la terza generazione, tra l’essere greco el’essere americano, tra l’essere donna e uomo allostesso tempo. La nonna rivela finalmente il segre-to che l’aveva tormentata per una vita intera conun castrante senso di colpa e chiede perdono alnipote che le risponde con parole rassicuranti:

“Fissandomi gridò: ‘Calliope!’ ...‘Adesso sei un ragazzo, Calliope?’‘Più o meno.’ ...‘È tutta colpa mia.’ Scosse la testa mestamente ...‘Mi dispiace, caro. Mi dispiace che sia capitato a te’.‘Non importa.’‘Mi dispiace tesoro mou.’‘La mia vita va bene’ le dissi, ‘Avrò una vita sere-na’ 13” .

(10) Intervista rilasciata a Dave Weich.

(11) Middlesex, p. 100.

(12) Middlesex, pp. 504-505.

(13) Middlesex, p. 600.

foroellenico 27

28 foroellenico

Una schiera di donne: amanti, nonne, tate, madri.Le ritroviamo nei due romanzi di Filomila Lapatà,per le edizioni di Atene Kastaniotis, sono giunti allatredicesima edizione il primo, Οι κο′ ρες του νερου′(Le figlie del fiume) alla settima il secondo,Lacryma Christi.

Da alcuni anni, l’autrice vive a Napoli e il suo terzoromanzo, che sta per arrivare nelle librerie, si svol-ge nella metropoli del Sud Italia. A causa degliimpegni legati all’edizione e alla promozione diquest’ultimo libro, abbiamo dovuto “parlare” viaposta elettronica, anche se ci siamo ripromesse diincontrarci alla prima occasione, dal momento chenulla può sostituire il contatto umano diretto.

Come abbiamo sottolineato, i racconti di FilomilaLapatà, ruotano attorno a personalità femminilidiverse tra loro, sempre molto importanti. Nelprimo libro, “Le figlie del fiume”, le quattro storie diquest’opera articolata, prendono in prestito il titolodai nomi delle protagoniste. Gli uomini, con le lorodebolezze e le loro peculiarità, sembrano nonavere coscienza del potere riservatogli dalla socie-tà patriarcale e si muovo all’ombra delle donne,dipendendo dalle loro forti personalità o dal lorofascino, poichè viene riservato un ruolo di primopiano anche all’amore, a volte apertamente carna-le, altre volte idealizzato.

Le storie si svolgono all’interno delle cucine, dellecamere da letto, dei salotti e delle sale da ballo,mentre il passare del tempo viene misurato ingenerazioni, con il vestito di taffetà rosso scuro, ilprimo approccio in occasione di un ballo ed altriparticolari avvincenti di un microcosmo che sem-bra non venire influenzato dai cambiamenti epoca-li che si registrano tutt’intorno. Questa autoreferen-zialità è più evidente nel secondo libro, che si con-centra maggiormente sulla lotta interiore della pro-tagonista per arrivare all’autocoscienza. Il suomondo sembra più impenetrabile agli stimoli ester-ni, anche forse a causa della realtà in cui vieneambientata la storia, quella dell’Italia del Sud, conla società “chiusa” della Sardegna e della Sicilia.Nel suo primo libro, la scrittrice segue il peregrina-re dei suoi avi, che inizia da Braila, in Romania,per arrivare sino ad Anversa, passando perVienna, Marsiglia e Costantinopoli.Malgrado la Storia rimanga sullo sfondo delle

storie personali, il modo in cui vengono presen-tati i diversi periodi, in entrambi i libri, sembraessere frutto di un’elaborazione analitica dellefonti.

Dopo anni di ricerca della nostra identità naziona-le nel “nostro Oriente” la letteratura volge lo sguar-do alla zona del Danubio e del Ponto, dove perdecenni è fiorita la grecità degli aristocratici e deicommercianti, prima di disperdersi, a metà circadel XX secolo, a causa dello spostamento dei cen-tri di sviluppo economico e degli stravolgimentipolitici e sociali avvenuti in quest’area. Nel caso diFilomila Lapatà, che rivolge la sua attenzioneanche alle zone della Magna Grecia, vediamoanche il fascino esercitato dalla città dove la scrit-trice ha scelto di vivere.

Il suo racconto solitamente segue uno sviluppolineare, segue cioè l’ordine temporale degli eventi,mentre la pre-economia della scrittura ci svelaspesso “ex ante” fatti e situazioni, senza che ciòfaccia scemare l’interesse per lo sviluppo della sto-ria.: “...solo quando ha partorito Natalìa, ma ciòavvenne molto più tardi...” pag. 27, “...in seguitoavrebbero l’avrebbero ricordata questa parola...”.

Filomila Lapatà: la voce femminile della diasporaDi Sissy Athanasopoulou, docente di lingua e letteratura neogre-ca all’ Università Suor Orsola Benincasa, Napoli

Filomila Lapatà

pag.140, “Le figlie del fiume”. “ Si sarebbe ricorda-ta le parole della maga, molti anni dopo, mentreesalava l’ultimo respiro...” pag. 51, “Molti annidopo, sarebbe morta accoltellata...” pag. 297,“Lacryma Christi”.

Il racconto è in terza persona nel primo libro, men-tre nel secondo, che si sviluppa sotto forma diautobiografia, viene usata principalmente la primapersona. L’unico contrasto che si ritrova ne “Lefiglie del fiume” è quello tra i due sessi. In LacrymaChristi viene inserito anche l’elemento popolare,col personaggio di Marìka Cara e di suo padre,rude e conservatore, del mastro ferraio ClementeCara. Il contrasto tra la classe popolare e quellaaristocratica, non diventa la spinta principale per losviluppo dell’azione (le donne, pur provenendo daclassi sociali diverse, sono in rapporto assoluta-mente armonico) ma la base per una contrapposi-zione politica e sociale.

La personalità dell’eroina del secondo romanzo,viene sviluppata in modo più completo di quella delprimo. Nel secondo libro, troviamo anche un tenta-

tivo di interpretazione psicanalitica del suo com-portamento. L’introduzione dell’elemento magicoattraverso il personaggio di fata Efigia, costituiscela vera novità di Lacryma Christi, mentre rimanel’interposizione di parole straniere (principalmentedall’Italiano e dai suoi dialetti).

Potremmo dirci pienamente autorizzati a parlare di“romanzo incentrato sui costumi della borghesia”.Filomila Lapatà presenta inoltre un aspetto scono-sciuto della Storia attraverso lo sguardo delledonne vissute nei due secoli passati, che hannotrovato il modo di soddisfare le loro passioni e i loroistinti, superando le limitazioni di ordine sociale ereligioso. Con una presenza piena nel loro ambien-te cosmopolita, hanno fatto sentire la loro vocesenza oltrepassare un certo limite, senza arrivarea delle ribellioni, senza voler segnare pienamenteun’epoca. Così, sono state riscoperte dalla memo-ria e dalla fantasia della scrittrice, senza falsi“imbellettamenti”, per raccontarci la loro storia, chein alcuni casi sembra lontana, ed in altri si incontracon le nostre peregrinazioni in luoghi della terra edell’anima.

Cosa l’ha portata a scrivere libri?

La scrittura è stata sempre la mia grande passio-ne. Una passione dell’età della fanciullezza,nascosta in seguito sotto l’aspetto serio degli annidella giovinezza, quando si desidera affrontare lavita in modo più pratico. L’esperienza mi ha peròinsegnato che se non abbandoniamo i nostrisogni, arriva il momento in cui siamo chiamati arealizzarli. Per me è arrivato sette anni fa, quandomi sono stabilita a Napoli.

Cosa la spinge ad andare avanti? So che sta perdare alle stampe il suo terzo libro...

Facendo parte della grecità della diaspora, anch’io,ho deciso di dedicarle un grande romanzo, sottoforma di trilogia storica. Ho iniziato dalla storia dellamia famiglia, col mio primo romanzo dal titolo Οικο′ ρες του νερου′ (Le figlie del fiume), ispirato agliavvincenti percorsi di vita dei miei avi, che eranogreci del Ponto ed hanno onorato le loro radici.Hanno contribuito con la loro vita allo sviluppo diuna parte molto importante della diaspora greca, edanche della cultura internazionale. Ho continuatocon il secondo romanzo dal titolo “LACRYMA CHRI-STI”, incentrato sul cammino di una donna grecaparticolare, verso la conoscenza più profonda di sè,nel quale presento la grecità della Sardegna e dellaSicilia del diciannovesimo secolo, col suo profilo cul-

turale. Concludo lamia trilogia con ilracconto Εις τοο′ νοµα της µητρο′ ς,(Nel nome dellamadre), il quale èdedicato ai greci diNapoli del secoloscorso.

Da quanto tempo sitrova in Italia?Pensa di esserestata influenzatadalla sua vita inquesto paese - e sesì quanto - nellasua opera di scrit-trice?

Vivo stabilmente inItalia da sette anni.Napoli, la quale èun continuo palcoscenico, mi ha influenzato inmodo determinante, fornendomi l’ispirazione perdue dei miei tre romanzi, ed in special modo per ilterzo, ambientato in questa città.

Quali autori italiani preferisce?

Amo molto l’opera della scrittrice Dacia Maraini.

foroellenico 29

A COLLOQUIO CON FILOMILA LAPATÀ

30 foroellenico

Leggo anche Umberto Eco, Salvatore Niffoi(Adelphi), Roberto Calasso (Adelphi) MargaretMazzantini (Mondadori). Inoltre, faccio in modo diessere sempre aggiornata sulle novità editoriali.

Che peso hanno nella sua opera le storie perso-nali e familiari e quale invece la realtà circostante?

Il mio primo romanzo, Οι κο′ ρες του νερου′, (Le figliedel fiume) è basato sulle vite dei miei avi, mentregli altri due sono frutto dell’immaginazione. Ingenerale, però, traggo ispirazione ogni giorno,dalla vita stessa. La vita è piena di mistero, di stra-ne coincidenze e di storie personali, che attraver-so la loro complessità, si tramutano in trameromanzesche. Io cerco di immaginarmi la vita diqueste persone, le loro scelte, cosa provano e lepossibilità che hanno di essere felici. Tutto puòaccadere ai miei personaggi. Sono io a decidere,sempre però in base alla mia verità emotiva. Inogni mio romanzo, il nocciolo di verità è costituitodalla storia dei miei sentimenti.

Qual’è il ruolo dei luoghi e la loro storia? Sonodeterminanti - e quanto - per i suoi personaggi?

I luoghi e la loro storia giocano un ruolo essenzia-le nei miei romanzi. Dopo una ricerca continua einsistente, i luoghi, col loro carattere culturale,sono il canovaccio sul quale sviluppo le mie storie.

La presenza femminile è determinante per la suaopera. Come lo spiega?

Credo che le donne siano l’origine, il calco delmondo. Sono i ponti emotivi che ci collegano alnostro passato. Sono le donne quelle che trasmet-tono la conoscenza e le tradizioni di generazionein generazione.

Qual’è il suo rapporto con la Grecia e i suoi scrit-tori? Segue l’evolversi della letteratura greca e glieventi culturali a grandi linee o in modo più detta-gliato?

Non ho mai tagliato i ponti con la Grecia. Vivo sta-bilmente in Italia, ma ogni due mesi circa, torno nel

mio paese per presentare la mia opera, interviste,per la promozione dei libri, e per rimanere infor-mata sulle nuove edizioni e la vita culturale. Loscrittore, prima di tutto, è un grande lettore. Ioadoro la lettura e quando visito la Grecia ritornocon una valigia piena di libri.

La condizione di profugo ha costituito un tema dasviluppare ma anche un’occasione di creativitàper molti suoi colleghi greci. Quanto è stato di ispi-razione per lei? Si sente cittadina del mondo o unagreca della diaspora?

Sento di essere una greca cittadina del mondo .Ufficialmente mi ha portato in Italia il lavoro di miomarito. Voglio però credere che sia stata la vitastessa, la quale, in un modo molto strano, mi haportato sin quì per realizzare il mio sogno, che erasempre quello di scrivere delle storie. Le esperien-ze che ho acquisito come greca della diaspora, mihanno reso emotivamente più ricca, una personamigliore, e mi hanno dato la possibilità di stimare ilmio paese. Mi hanno aiutato poi in modo determi-nante per i miei tre libri dedicati alla grecità delladiaspora. Ma più di ogni altra cosa, quello che hocompreso come cittadina del mondo, e che riportonel mio libro ΕΙΣ ΤΟ ΟΝΟΜΑ ΤΗΣ ΜΗΤΡΟΣ(Nelnome della madre) è che la nostra sola nazionali-tà è quella umana e che non esistono confini,eccetto quelli che poniamo a noi stessi per paurae preconcetto.

Qual’è il suo rapporto con la poesia?

Amo molto la poesia e ammiro sempre quelli chehanno il talento per potersi esprimere in modo cosìdiretto e conciso. Io personalmente non ne ho maiscritte, spesso però inserisco nei miei libri dellepoesie che mi piacciono e sono funzionali allatrama dei miei romanzi.

Quali sono i messaggi che vorrebbe far arrivare ailettori attraverso i suoi libri?

Il messaggio principale è che nella vita non esisto-no ricette magiche. La ricetta è una: CONOSCERESE STESSI, ed ha sempre effetti magici! I mieiromanzi costituiscono una proposta per affrontarela vita in modo positivo. La vita, purtroppo, non sipuò controllare. Non ha senso cercare di metterlain riga. Nel mezzo del nostro tentativo, ci ammalia-mo, ci innamoriamo, divorziamo. Quello che tutta-via dipende assolutamente da noi, è il modo in cuiaffrontiamo tutti questi avvenimenti. La vita è unmistero. La chiave per aprire la porta di questomistero si trova nella conoscenza più profondadella nostra anima. Spero che con i miei libri, conle scelte e le vite dei miei personaggi, i lettori pos-sano riconoscere aspetti di se stessi, e che abbia-no l’occasione di riconsiderare ed apprezzare laloro vita.

Sissi Athanassopoulos

Ho conosciuto Sofia Demetrula Rosati poco più diun anno fa in una libreria di Trastevere in occasio-ne della presentazione di un libro di poesia greca.Oggi mi verrebbe da dire che non esiste luogo piùappropriato per fare la sua conoscenza, forse l’u-nico luogo reale e metaforico dove è possibileincontrarla: un luogo in cui poesia e grecità siincontrano per diventare una cosa sola.Mi colpì per la sua raffinata eleganza, per i suoimodi gentili e soavi, per il suo sguardo intenso eper la sua mitezza. Una mitezza che nasconde untemperamento forte e una tenace forza di volontà.La rividi qualche mese più tardi nella sua piccolacasa-gioiello sul tetto di un palazzo del settecentoromano. Su quella terrazza, tra biancheria stesa alsole caldo di mezzogiorno e piante di cedri e limo-ni, è facile dimenticare di trovarsi nel centro diRoma, è facile sentirsi catapultati in una biancaterrazza dell’Egeo, dove Dimitra1 usa trascorrere imesi più caldi dell’anno.La casa è arredata con gusto decisamente orien-tale: ceramiche e arazzi provenienti dal mediterra-neo uniti però alla funzionalità e alla tecnologiatipicamente occidentali. Una ricca libreria inerpica-ta su un piccolo soppalco accoglie una vasta col-lezione di libri di poesia, tutti i poeti italiani e greci,ma non solo. La collezione di cd musicali com-prende, tra le altre cose, la discografia completa dialcuni tra i maggiori compositori contemporanei,soprattutto greci, come Manos Hadjidakis, MikisTheodorakis, e Eleni Karaindrou.Sofia Demetrula Rosati è nata nel 1964 aWiesbaden in Germania da madre greca e padreitaliano. La lingua materna, parlata durante l’infan-zia, è dunque il greco che verrà in seguito sop-piantato dall’italiano quando all’età di cinque annisi trasferirà con la famiglia a Roma dove svolgeràtutti gli studi fino alla laurea in Scienze Politiche.Ha lavorato per anni come giornalista free-lance.Attualmente svolge la professione di ricercatrice.Ma questa è solo la professione ufficiale, quellache ogni mattina la porta nel suo ufficio nel centrodi Roma dove lavora a diversi progetti di interessenazionale in collaborazione con l’Unione europea,Università, Enti di ricerca, docenti universitari ericercatori. Il resto del suo tempo, quello privato eintimo, Dimitra lo dedica, da sempre, alla poesia,alla filologia e alla filosofia. Scrivere poesie è unapassione iniziata molto presto – nel 1972, a setteanni, ha vinto il suo primo premio di scrittura poe-tica con una poesia pubblicata nel giornalino dellascuola – e coltivata in tutti questi anni nella solitu-

dine delle quattro mura domestiche lontano dalclamore della carta stampata e condivisa soltantocon pochi, intimi, amici.La produzione poetica della maturità comprende,tra le altre cose, quattro compiute e bellissime rac-colte dal titolo: Maggio inquieto di desideri,Quotidiano sopra-vivere, Quando preferisce lamorte... e Parlando con te. Quest’ultima raccolta èstata recentemente recensita nella rivistaPassages 2 ed è in corso di pubblicazione.La scissione dunque è una caratteristica chesegna più di un aspetto della sua vita: da bambinaSofia Demetrula ha imparato a pensare e ad espri-mersi secondo le strutture sintattiche della linguagreca, strutture radicalmente diverse da quelle del-l’italiano, la lingua appresa in età scolare che hapoi preso il sopravvento relegando in un angolo,intimo e affettivo, l’uso del greco. Il tutto è compli-cato da una terza lingua, il tedesco, imparatoanch’esso da bambina, negli anni trascorsi inGermania. A questo proposito, in uno dei nostripiacevolissimi colloqui, Dimitra mi ha rivelato:

“Il rapporto con le mie lingue d’infanzia è molto com-plesso. La lingua madre è la lingua del grembomaterno, per definizione. E mia madre parlava grecoe io parlavo greco con lei. Poi c’era la lingua pater-na, l’italiano, e questa è la lingua che usavo con lui.Infine c’era la lingua dell’ambiente in cui vivevo e alquale sentivo di appartenere, ovvero il tedesco, ecosì, con l’ambiente esterno alla mia famiglia parla-vo il tedesco. Tutto questo accadeva con estrema

foroellenico 31(1) Come ama essere chiamata… in veste di poetessa.

(2) “Parlando con te” di Sofia Demetrula Rosati, Passages n.2, maggio-agosto 2004, Passigli Editori, pp. 295-297.

Sofia Demetrula Rosati,Volere e non voler-si

Sofia “Dimitra” Rosati

32 foroellenico

naturalezza... Credo, però, che la lingua madre sia lasola effettivamente in grado di fornire un imprintinginiziale, un particolare schema di codifica legatoall’interpretazione emotiva del proprio vissuto. E taleimprinting resta al di là della lingua che, via via, neltempo, si deve o si vuole utilizzare. E quindi le mieemozioni parlano greco pur utilizzando in prevalen-za parole italiane. E sono convinta che le mie poesieparlino greco, più che ogni altra lingua. E poi il grecoè la lingua madre per eccellenza e nel mio esserepoeta lo sarebbe a prescindere dalle mie origini.”

L’altra spaccatura riguarda la sua doppia profes-sione: quella pubblica e corale esercitata di giornoin un ufficio affollato e rumoroso e quella intima epersonale coltivata di notte nella solitudine e nelsilenzio della sua casa. Alla mia domanda “Comeconcilia il suo lavoro ufficiale e, oserei dire, piùsuperficiale, con la professione, ben più profonda,di poetessa?,” ha risposto così:

“Non si conciliano. L’essere poetessa è appunto un‘essere’ e non una professione. La professione èqualcosa che ha a che fare con delle mansioni piùo meno complesse ma pur sempre ‘mansioni’. Aposteriori non ci verrebbe in mente di chiedere aKafka o a Kavafis come conciliavano la loro artecon lo svolgere mansioni burocratiche. Noi vedia-mo solo la perfezione della loro arte e riusciamo aimmaginarli ‘intenti in nessun altro fare’. Certo l’i-deale sarebbe poter ‘svolgere’ solo il proprio esse-re artistico... Per questo l’immagine dell’artista chevive di stenti pur di vivere solo della propria arte, èentrata nell’immaginario collettivo. Ma non è unafinzione. Anche oggi, come in tutte le epoche sto-riche, l’artista può permettersi di non ‘lavorare’ soloa due condizioni: vivere di rendita (o con forme dimecenatismo che, detto in termini moderni, chia-meremmo sponsorizzazioni) o vivere di stenti.”

“Dovessi indicare il nucleo tematico di Demetrula”,leggiamo nella recensione su Passages, “direi chel’attenzione al corpo, all’erotico e alla nostalgia del

presente costituisce la cifra personale di Parlandocon te e dell’intera sua poetica”3. Io direi di più, ecioè che la sensualità è senz’altro l’elementodominante delle sue poesie e che essa è spessoassociata al desiderio non corrisposto e all’attesadi qualcosa, di qualcuno in grado di rispondere aun desiderio così intenso. Nella poesia Volevo,tratta dalla raccolta Maggio inquieto di desideri, ilverso finale (“Volere e non voler-si”) dichiara espli-citamente l’attesa inutile di un desiderio che nonpuò essere condiviso: “Mille miglia / da casa miaalla tua / ma non esistono campanelli / per farsiriconoscere // Mille notti / che aspetto nel mio letto/ ma il desiderio non / s’incammina // Mille verbi /scarabocchiati e raccontati / ma tutti in-transitivi /Volere e non voler-si”.L’attesa e il desiderio non corrisposto costituisconoil tema centrale anche della poesia Disponibilità:“Ti ho atteso / dentro la mia stanza / Ma / non c’ero// Le braccia tese / a dimora // Uno scialle di vellu-to rosso / come vessillo // I seni nudi / per nutri-mento // Ti ho atteso / fuori dalla porta / Ma / nonhai aperto” (da Quotidiano sopra-vivere). Anchequi, come nella poesia precedente, una porta chenon si apre, un campanello che non si trova. Ilrosso dello scialle di velluto non è casuale, nessundettaglio in questa lingua essenziale e compattarappresenta un abbellimento, nessun aggettivo sitrova lì per caso, ogni parola è soppesata “mille”volte prima di trovare posto in questi versi densi econdensati. I colori, usati con parsimonia daDimitra, sono sempre veicoli semantici. Se il“rosso” è il colore della sensualità e della passio-ne, il “grigio” della poesia che segue è indice di ari-dità e indifferenza: “Avevo preparato un / letto di /bianche lenzuola e / rosse passioni // Ma sei tor-nato in / letto / grigio e liso / di spenti desideri” (daMaggio inquieto di desideri). Qui, come in tantissi-me altre poesie, l’uso del trattino per spezzare,alterare e sdoppiare il significato delle parole ci fariflettere su un senso più profondo di quello lette-rale: l’uomo atteso non è semplicemente tornato“...in letto grigio e liso di spenti desideri”, i suoidesideri sono sempre stati spenti essendo eglinato in un “letto grigio e liso”.Nella poesia Due e venti del mattino, trattaanch’essa da Maggio inquieto di desideri, c’èun’altra porta che non si apre, un’altra vana attesa:“Due e venti / del mattino / La mente non / dialogacol sonno / Si incammina / per la città / vuota e de-solata / Si ferma davanti alla / tua porta / bussa edi-spera / parlarti // Il sonno, pietoso / la riaccom-pagna / a casa”. Anche qui due parole spezzate daun trattino. La città è desolata, priva di vita e movi-mento, ma è anche de-solata, priva di sole e diluce. Il de- privativo al settimo verso richiama ine-vitabilmente il di- del decimo: non è solo la città adessere stata privata delle sue caratteristicheessenziali, la solitudine e il senso d’abbandono

(3) Ibid. p. 297.)

“In mare respiro // A riva sommergo” da Parlando con te

“In mare respiro // A riva sommergo” da Parlando con te

sono anche i sentimenti che guidano la donnainsonne a incamminarsi per la città addormentatae a sperare e disperare insieme in un contatto chela faccia sentire un po’ meno sola.La sensualità non corrisposta e un ennesimo letto‘sterile’ fanno la loro comparsa anche nella poesiaTi ho sognato tratta dalla stessa raccolta: “Ti hosognato / bambino nel mio / letto di madre / In posi-zione fetale / curato e / non-curante // Mi ha sve-gliato / il desiderio di / corpo di donna / Accanto altuo / amato e / non-amante”. Anche qui il gioco diparole (curato/non-curante, amato/non-amante)non è fine a se stesso, non è puro esercizio di stile.L’apparente bisticcio di parole sottolinea un contra-sto ben più profondo, un’opposizione che va ben aldi là del caso specifico di una donna non amata etrascurata dal proprio uomo. Qui sicuramente pos-siamo intravedere la secolare contrapposizione trai due sessi, tra una donna-madre che si prendecura del proprio uomo-bambino e un uomo incu-rante e indifferente a tante attenzioni consideratescontate da lui come, del resto, dal bambino.L’idea dell’attesa richiama alla memoria la figura diPenelope, la personificazione mitologica delladonna che attende il proprio uomo e che, nell’atte-sa, deve gestire la sua sensualità e i suoi preten-denti: “Per quanto tempo / Penelope ha / dimoratoin me // Lacrime sulla / tela odiata // E il desiderio/ fuori dalla porta / Insieme ai Proci” (Thira 13luglio, da Parlando con te).Ma la donna poetica di Dimitra non sempre si iden-tifica con Penelope. A volte si schiera decisamen-te contro di lei e diventa una sua rivale, come nellapoesia che segue, tratta da Maggio inquieto didesideri: “Bramavo / Ulisse sul mio corpo / Donartinon / l’approdo di Itaca / Ma mediterraneo di / pas-sioni da osare / E Penelope nella / sua tela per /sempre avvolta / Fartela dimenticare”.Qui Dimitra ‘osa’ un ribaltamento della mitologiache rievoca un altro capovolgimento del mito diUlisse realizzato da un greco illustre: quel “medi-terraneo di passioni da osare” ci riporta immedia-tamente alla memoria gli “approdi mai visti prima”,gli “empori dei fenici”, “la bella mercanzia” e gli“aromi sensuali” della celeberrima Itaca diCostantino Kavafis, autore amato da SofiaDemetrula Rosati. Ma se Kavafis suggerisce aUlisse – e all’uomo comune – di allungare più chepuò il viaggio e di approdare ad Itaca ormai vec-chio, Dimitra ‘osa’ di più: lei ad Ulisse vuole fardimenticare sia l’approdo ad Itaca che Penelope.La tela di Penelope non è solo lo strumento checonsente alla donna in attesa di far passare iltempo, è anche il filo che la tiene legata al suouomo. Una tela “odiata” che “avvolge” e coinvolge.La tela della donna poetica di Dimitra è, invece,ben più esile e per nulla soffocante: “Non mi / pen-sare / ragno / Ma la / sua tela / che al soffio di /vento // vola via!” (da Parlando con te). La tela è ciòche ci tiene legate all’amore ma è anche il filo checi lega alla vita nei momenti di maggior smarri-

mento, quando ci sentiamo perse nel mondo edestranee a tutto ciò che ci circonda, come inAppesa a un filo: “Allontanarsi // Solle-vare lo /sguardo dal / mondo e / appesa a un / filo /Cercare me / persa” (da Quotidiano sopra-vivere).Il luogo della passionalità finalmente vissuta dopotanta sensualità in attesa è il Mediterraneo, laGrecia, l’Egeo, le Cicladi, Thira: “Oleandro in /mediterranei / paradisi / gongolo al / vento e /aspergo // erotico desiderio” (Thira 17 agosto2003, da Parlando con te).Il mare nelle poesie di Dimitra ha, come in greco ediversamente dall’italiano, connotazioni femminili. LeOnde sono: “Lento / primordiale / continuo / irre-quieto / irrefrenabile / movimento / coitale” (Thira 18agosto 2003, da Parlando con te) e ΗΗ θθααλλαασσσσαα è:“Liquido amniotico di / terra sempre / gravida //Piacere immenso / mi penetra / E nuova / vita gene-ra / in me // Nuova gioia / senza travaglio tra / le miebraccia” (Thira 18 agosto 2003, da Parlando con te).La Grecia del resto non è solo il luogo in cui si puòfinalmente dare libero sfogo alla propria sensualitàe in cui sentirsi finalmente a proprio agio, è,soprattutto, e “da sempre”, il luogo per eccellenza.Il luogo in cui non si giunge ma si sta, da sempre:“In questo posto che / non è più un posto / ma esi-stenza // Io / Da sempre // E qualsiasi cosa / è giàstata // Non devo / ag-giungere nulla / Solo con-fermare” (Thira 28 giugno 2003, da Parlando conte). In queste ultime poesie, e a differenza delleprecedenti, osserviamo l’indicazione del luogo edel giorno in cui la poesia è stata concepita e scrit-ta. Incuriosita da questo dettaglio, che a noi profa-ni potrebbe sembrare un vezzo, ne ho chiestospiegazione all’autrice:

“Mi piace sottolineare il luogo e il mese sotto alcu-ne poesie per dare delle coordinate in più al letto-re. Le immagini poetiche devono essere limpide,costituite di tratti essenziali, non ci deve essere

Una stellami ha incendiato la casa(da Corpo nudo di Ghiannis Ritsos)

Luce e caloreimmenso

Fuggire dovrei opiuttosto

incantatarestare

E accecatae inceneritasolo amare

(da Quotidiano sopra-vivere)

foroellenico 33

34 foroellenico

nulla di superfluo, non uno spazio di troppo, unavirgola scivolata. E certi luoghi sono evocativi diimmagini perfette.L’autunno è assoluto a Berlino. E quando sorridi aParigi, sorridi alla vita. Solo poggiando le propriemani tra la polvere di un’arena greca o restando afissare l’Egeo, all’infinito, si possono percepireeros e thanatos come estremi di un immutabilemoto circolare.”

Se la Grecia è il luogo in cui si può finalmente vive-re appieno la propria sensualità, allora l’attesa di unapassionalità realmente vissuta è anche attesa dimare e di Grecia. La donna poetica di Dimitra sop-porta l’inverno solo perché, ad un certo punto, arrival’estate. Sopporta la terraferma-Italia solo perché,dopo, potrà raggiungere il mare-Grecia. Sopportal’attesa solo perché essa non è eterna: “In marerespiro // A riva sommergo” (da Parlando con te).Come abbiamo visto, il mito greco è una presenzacostante nella poesia di Sofia Demetrula Rosati.Bellissima la poesia Visite nella raccolta Parlandocon te: “È venuta / Afrodite e / mi ha detto / ‘se tipiace / prendilo’ // E Artemis / ‘se ti rifiuta / uccidi-lo’ // E Arianna / ‘se si smarrisce / muori’.” (Thira 13luglio). Ma il mito e la Grecia sono indissolubil-mente connessi e la poesia è indissolubilmenteconnessa al mito, come afferma la stessa Dimitra:

“La Grecia è la terra del mito. Ha un tale potere evo-cativo che per quanto ci si possa sforzare di guar-darla nella sua modernità, finisce sempre col pre-valere la visione che ciascuno si porta dentro rispet-to a questa terra. Si tratta delle immagini che costi-tuiscono le fondamenta dell’inconscio collettivo.Immagini primordiali. La Grecia è una nostalgiaeterna, uno struggimento infinito per i suoi suoni, isuoi colori, quei volti scolpiti. È l’Egeo il mare danavigare in cerca di se stessi. Itaca la terra promes-sa... Karin Boye, poetessa svedese tra le più grandidel novecento (anche se quasi sconosciuta inItalia), il 23 aprile 1941, quando fu ormai evidentel’esito dell’offensiva italo-tedesca contro la Grecia, ilmitico simbolo dell’idea di bellezza da lei appassio-natamente nutrito, si tolse la vita. Aveva 41 anni...Nessun poeta è riuscito a prescindere dal sognodell’Ellade. Ed essere poeta e avere sangue greconelle proprie vene è qualcosa di più di una felicecoincidenza. È dono e devozione al tempo stesso.”

La Grecia, quindi, è una delle principali fonti d’ispira-zione per Dimitra. Ma non è l’unica. L’altra vera gran-de fonte cui l’autrice attinge a piene mani sono lepoesie ‘altrui’. L’amore per l’opera dei grandi poeti 4

è tale da averle fatto elaborare negli anni una formaoriginalissima di composizione poetica in cui i suoiversi si intrecciano e richiamano quelli di tutti i gran-di, da Whitman alla Szymborska, da Baudelaire aRitsos, che vengono citati in exergo alle sue poesie.A questo proposito Dimitra mi ha rivelato:

“Devo dire che questa forma poetica mi appassio-na moltissimo. È un modo che mi permette di dia-logare con tutti i grandi poeti che aleggiano tra lepagine dei libri, sparsi a migliaia intorno a me. E ildialogo tra poeti non può che essere giocato sulleimmagini costruite per restituire emozioni. Mi piacecogliere l’emozione che il poeta mi comunica etentare di restituirla attraverso un’immagine diver-sa, tentando un gioco di assonanze. Sylvia Plath eKarin Boye mi hanno insegnato a dialogare con lamorte, loro che la morte l’hanno scelta con unatale determinazione da averla descritta minuziosa-mente nelle loro liriche. La Dickinson mi ha inse-gnato a parlare delle piccole cose, a descriverel’infinitamente grande attraverso l’infinitamentepiccolo. Ritsos mi ha presa per mano e mi ha por-tata a conoscere i personaggi del mito, per guar-darli negli occhi e assaporarne la fragilità umana.Baudelaire mi ricorda che c’è sempre un lettore, lìdall’altra parte del testo, pronto a giudicarmi. E poitutti gli altri... Yeats, Basho, Leopardi, Ungaretti,Keats, Elytis, Kavafis, Saffo…..”.

di Tiziana Cavasino

(4) Dimitra è un’appassionata lettrice e studiosa dell’operapoetica altrui. Recentemente ha curato la presentazione criticae la traduzione di alcuni testi della poetessa Katerina AnghelakiRooke per due riviste: Passages (n. 4, settembre-dicembre2004, Passigli Editori, pp. 7-63) e Poesia (Crocetti Editore, inuscita nel prossimo numero di ottobre 2005).

Come splendidi corpi di defunti sempreverdipianti a sepolti dentro un mausoleola testa fra le rose, coi gelsomini ai piedi –tali a noi sembrano i desideri che passaronosenza avverarsi mai; e non uno che trovassela sua notte di voluttà o un suo mattino lieto.(Desideri di Costantino Kavafis)

Desidero lapi-darequel sentire che nonascolta ma ri-chiede

a l’in-finitoun termine

(da Quando pre-ferisce la morte... )

La Grecia è una nostalgia eterna, uno struggimento infinito per i suoisuoni, i suoi colori, quei volti scolpiti

La Grecia è una nostalgia eterna, uno struggimento infinito per i suoisuoni, i suoi colori, quei volti scolpiti

Minas Savvas è Professore di letteratura inglese ecomparata alla San Diego State University(California), ma se la lingua e la letteratura ingleselo impegnano nella sua vita professionale, la lin-gua, la letteratura e la cultura greca colmano moltialtri aspetti della sua esistenza. L’insegnamento egli studi accademici sono infatti solo una partedella sua intensa attività che spazia dalla poesiaalla critica letteraria e alla traduzione.Savvas è nato in Grecia da genitori greci prove-nienti dall’Asia Minore e si è trasferito negli StatiUniti all’età di tredici anni. Un madrelingua greco,quindi, che, nell’età dell’adolescenza e dopo i primianni di scolarizzazione obbligatoria, si ritrova avivere in una comunità anglofona, dove svolge glistudi superiori, universitari e post-universitari1.Ha scritto circa 50 articoli apparsi in prestigiose rivi-ste letterarie su argomenti che spaziano dalla lette-ratura (inglese, russa e soprattutto greca) all’arte,dalla politica alla teoria della traduzione. Ha recen-sito le opere di oltre 40 autori della letteratura neo-greca (Kavafis, Ritsos, Kazantzakis, Seferis,Vassilikos, Zografou, Alexiou, Liberaki, Sinopoulos,Veloudis, Mavroudis, Roussos, Bramos, Ganas,Anghelaki-Rooke e tanti altri). Ha pubblicato unasessantina di singole traduzioni dal greco all’ingle-se [Kavafis2, Elytis, Seferis, Livaditis, Kavadias,Pontikas, Samarakis, Lazarou, Kapernaros e,soprattutto, Ritsos], dall’inglese al greco (AndrewMarvel, John Donne, Coleman Barks, TheodoreRoethke, Robert Herrick) e dallo spagnolo al greco(Federico Garcia Lorca, Ramon Lopez Velarde) superiodici e riviste negli USA e in Grecia. Ha tradot-to e pubblicato 4 volumi di poesie di GhiannisRitsos (Chronicle of Exile 1977, The SubterraneanHorses 1980, The House Vacated 1989, PeculiarGestures 2002). Ha scritto e pubblicato poesie suesu varie riviste, alcune delle quali sono oggi raccol-te nel volume intitolato Scars and Smiles 3.Ha ricevuto svariati premi e riconoscimenti negliStati Uniti e in Grecia, tra cui un’importante onori-ficenza dal Ministero della Cultura Greca el’Alexandrian Award rilasciato dalla HellenicCultural Society.

In questa presentazione ci limiteremo a parlaredella sua produzione poetica e, in particolare, dellepoesie contenute nella raccolta Scars and Smiles.Alcune poesie rivelano un dichiarato impegno politi-co. Come vedremo nell’intervista all’autore di segui-to riportata, gli anni della sua infanzia in Grecia furo-no anni segnati da violenti scontri politici e dallasanguinosa Guerra Civile. L’autore si schiera deci-samente a sinistra, parteggia per i partigiani che lot-tano contro le dittature e per gli oppositori dei regi-mi autoritari. Particolarmente interessante è la poe-sia The safety of masks scritta ad Atene nell’aprile1972 durante la Giunta Militare dei Colonnelli. Inessa l’autore denuncia l’ipocrisia del regime edesalta il valore degli oppositori confinati dai colon-nelli nelle isole greche:

“The maskmakers / are doing well in Greece. /Masks that laugh / hide well the wrinkles / carvedby fear and anger. // The ‘proud Greek’ masks / soldby the old woman / outside the police station / selllike paper flags / during the Independence parade.// In the unemployment line / hundreds look pro-sperous, the soldiers look brave, / the police polite,/ the politicians stoic. // Masks smile back at masks,/ papered pride nods at itself, / masks of success

foroellenico 35

(1) B.A. e M.A. presso la University of Illinois nel 1964 e1965;Ph.D presso la University of California nel 1971.

(2) Sulle traduzioni di Kavafis realizzate da Minas Savvas vedi“Minas Savvas” in Kavafis in inglese: le traduzioni delle poesie,tesi di laurea di Tiziana Cavasino, anno accademico 1998-1999,Università degli Studi di Padova, pp. 281-285.

(3) Savvas Minas, Scars and Smiles, Atene, Diogenes Press 1975.

Minas Savvas la sincerità della poesia

Minas Savvas

36 foroellenico

greet / unflinching masks of soldiers. / Only on theislands / no masks are sold. / The naked faces ofexiles / reveal the features / of proud Greece.”

Nella poesia Modern Greek analogue, scrittaanch’essa ad Atene nel 1972, Savvas ricorre allamitologia classica e, nella fattispecie, al mito diUlisse, per esprimere la condanna del potereoppressivo e l’esaltazione di chi resiste e attende ilmomento opportuno per ripulire Itaca dai proci:

“After Circe’s angry lust / was left behind us, / afterseeing our comrades / leave for midnight / inLaestrygonian spears, / we survived. // We movedthrough Scylla and Charybdis, / the crushing rocksand Hades’ lampshades, / more than once theSirens’ song / penetrated the wax / into our sea-tortured souls -- / but we survived. // Calypso’ssperm-floating eyes / did not numb our nostalgia, /the wine-dark waves / never obscured our purpo-se, / our selfhood would not sink / though godsand men tried. // We have been ‘nobodies’ only bychoice / and the Cyclops now know / the meaningof our secret strength; / Posiedon certainly hasknown it / and, in spite of his thunderbolts, / wehave survived. // Still Penelope’s sighs hide lon-ging / and Telemachos can fight to win. / It remainsto cleanse / Ithaca of the suitors – // and this is whynow we have / disguised ourselves as beggars.”

L’idea di Ulisse lontano dalla sua patria, si ricollegain qualche modo ad un altro tema ricorrente nell’o-pera di Savvas. Sentirsi ‘stranieri’ e ‘turisti’ nel luogoin cui si vive è il tema affrontato con tocco lieve edelicato nella poesia Nature Poem. L’America è unaterra in cui un immigrato, per quanto integrato, sisente solo, uno straniero in attesa di un contatto:“The wind’s language to trees / resist translation. /

The lines of sun reverberate / quiet wisdom known tonone. / Clouds form answers, occult charts / teasingus with ancient riddles. / Earthworms sing silent glo-rias / which birds occasionally try to imitate. // We aretourists here, / lonely foreigners hoping for contacts.”Questi due temi, quello dell’estraneità al luogo incui viviamo e quello della resistenza politica si fon-dono insieme nella commovente poesia Elegy forKyra-Soula, pubblicata per la prima volta nel 1972nella rivista Cafeteria. È una sorta di canto funebrescritto in lingua straniera (l’inglese) e in un paesestraniero (l’America) per la morte della signoraSoula, ex vicina di casa dell’adolescente Savvas inGrecia, che contribuì alla liberazione del suopaese aiutando i partigiani contro il regime. Unadonna che tutti i partigiani chiamavano ‘mana’ eche, nell’immaginario del poeta, assurge a simbo-lo di tutte le donne greche:“Twenty years and the sea between us, / Kyra-Soula, and now they tell me / that you’ve gone,good neighbor. // My mind summons you again... /lively, kind: woman of Greece: // you would knockon our wall for quiet / when my brother and I wrest-led to keep warm // you would send us bread /wrapped in newspapers that told / of hunger and

executions // when your Stelios was snuffed out /you followed the bier ever tearlessly / singing thesame song that he sang / as he faced the firingsquad // the partisans called you ‘mana’ / as youtended their wounds / and you cried one day, Iremember, / when they brought you a bouquet / ofwild green flowers with a note: / ‘Mana, freedomhere cannot die / for it lives in women like you.’ //You cried deeply, Kyra-Soula that day-- / forStelios, for children, for harmless partisans, / forgroaning Greece, for everything... / I had neverseen you cry before that day, / but as I became aman, brave memory, / I came to learn the meaningof those rare tears. // Twenty years and the seabetween us, / Kyra-Soula, each of us in a strangeland. / Since wild Greek flowers cannot grow here/ and since I’ve learned not to cry, / I offer insteadthese prosaic words / so that someone may hearof you in this alien tongue.”Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza in Greciasono stati per Savvas anni dolorosi sotto tutti i puntidi vista: le vicende politiche, la povertà, la perditadella madre e un padre che, incapace di reagirealla perdita della moglie e alle avversità della vita,finisce per generare altro dolore. Significativa è lapoesia To my father in Greece, pubblicata per laprima volta nel 1970 nella rivista College English:

“Father, I know you pierced the howling ground /for the turnips of our survival. / I know that from thebread of our agony / you ate the moldiest chunk. /I know you saw, we saw, your wife / scorching likepine-wood / during one of the birthday of unrea-son. / I even know that you needed / to irrigate yourentrails with retsina. // And yet father, I still do notknow / why you had to lash me so mercilessly / onthat rainy night of March 3, 1945.”

Estremamente suggestiva anche la poesiaThursday morning, già pubblicata nel 1973 nellarivista Cafeteria, in cui l’immagine dello stelo dicamelia che ‘abbraccia’ il bastone di legno evocacon infinita tenerezza il bisogno istintivo del bam-bino della protezione e dell’affetto paterni non-ostante il rapporto già lacerato:

“Thursday morning / I took the sturdy long stick /drove it in the flower pot / and tied the feeble came-lia stem / with a strip of cloth from a torn T-shirt. //Saturday morning / the camelia stem / took on newvigor, hugging the stick / as a child hugs his fatherin the cold. // I didn’t separate them – / somehowthey belonged together, / and though winter wasvery far, / June breezes can be as compulsive / asprecocious children. // The same night / the stormcharged with a thousand fists – / it trampled thefence of the porch / and the flowerpot smashed onthe street. // Such things happen. // Yet -- / no otherporch was disturbed / no other plant destroyed.”

Ciò che risolleva l’autore (e il lettore) da tanta sof-ferenza e da tanto pessimismo è la sua straordi-naria capacità di vedere la vita e i suoi aspetti più

foroellenico 37

dolorosi con un’ironia mordace. Poesie come Thepoet, Calendar e Birthday thought presentano temimalinconici con un sorriso amaro che non diventamai sarcastico. In Calendar Savvas affronta il temadella morte e del deterioramento del corpo conrassegnata e ironica tristezza:

“The tube of toothpaste / is half-empty now, /squeezed each yesterday / to protect the teeth /that are sure to survive me. // Squeezing it is likewaking up, / a necessary habit / hasting to finalexhaustion. // I acknowledge each sunrise / with a

squeeze (measuring / my life in toothpaste) / andmy teeth smile / knowing they will survive me”;

in The poet è il destino del poeta ad esseredescritto con rassegnata ironia:

“The poet is a saint / Giving himself / For all eter-nity. // But in the past / They crucified / and stonedsaints. / Today we render / A more satanic pain: /We ignore them.”

di Tiziana Cavasino

Quanto sono state importanti per la tua vita le tueorigini greche ?

La mia grecità è importante in molti aspetti dellamia vita, in buona parte della mia vita sociale eampiamente nella mia vita intellettuale. Non possoevitarlo (non che io ci abbia mai provato).

I tuoi genitori erano entrambi greci?

Sì, erano entrambi greci provenienti dalle‘Chamenes Patrides’ (Asia Minore). Sono arrivatiin Grecia quand’erano adolescenti, senza una lirae senza radici, da Isparta in Turchia.

Quali aspetti della tua personalità sono chiara-mente greci?

La mia vita sociale, direi. La mia grecità si rivelanella conversazione, credo, per esempio con il mioessere diretto e franco e con una certa dose divolubilità.

Hai nostalgia della Grecia? Cosa ti manca di più?

Non ho nostalgia della Grecia nella maniera con-creta in cui ce l’hanno altri. Vengo da una famigliapovera e i miei anni in Grecia sono stati anni diconflitti intestini e dolorosa incertezza. Mia madreè stata uccisa durante la Guerra Civile quando ioavevo 7 o 8 anni. Non sono uno di quelli che hanostalgia della propria casa, della propria famigliae del proprio giardino. Se mi manca qualcosa,quella è la Grecia che ho costruito nella miamente, leggendo e ammirando le sue bellezzenaturali nei miei viaggi da adulto.

Che rapporto hai con la lingua greca?

Sono arrivato negli Stati Uniti all’età di 13 anni (51anni fa) e sebbene il mio greco sia povero, anemi-co e limitato, è sicuramente migliore del greco checonoscevo negli anni ’50. Ho l’abitudine di scriver-mi le parole che non conosco in modo da amplia-re il mio lessico e leggo frequentemente riviste e

libri in greco (spesso gli editori me li mandano perfare le recensioni).

L’inglese sembra essere il tuo principale strumentodi comunicazione. La tua raccolta di poesie Scarsand smiles è in inglese. Però tu sei un traduttoredal greco all’inglese e dall’inglese al greco. Perchéquindi non hai mai pubblicato poesie in greco? Haimai pensato di scrivere poesie nella tua linguamadre o di tradurre le tue poesie in greco?

A colloquio con Minas SavvasA colloquio con Minas Savvas

La mia grecità si rivela nella conversazione, credo, per esempio,

con il mio essere diretto e franco e con una certa dose di volubilità

Nei primi anni 60’ e 70’ ho scritto (e pubblicato)poesie in greco. Poi, con i miei studi, l’inglese hapreso il sopravvento, si è piazzato in prima linea,per così dire. Tuttavia riesco ancora a scrivere (e leho scritte senza pubblicarle) poesie in greco.

I tuoi figli parlano greco?

Ho un figlio di 17 anni e parla greco, ma non cosìbene come vorrei.

Perché secondo te ci sono così tanti scrittori greciinteressanti ma quasi del tutto sconosciuti al grandepubblico internazionale? Non pensi che la linguagreca sia stata in qualche modo d’ostacolo per loro?

Penso che ciò sia dovuto al fatto che la Grecia èun paese piccolo e che ci sono troppi altri paesiche ci hanno riempito gli scaffali di libri e hanno

oscurato i Greci. Siamo pieni di scrittori dall’Italiaalla Nigeria, dal Brasile alla Svezia, dal Canada alSud Africa, non credi? La lingua greca di per sénon rappresenta un ostacolo (fintantoché esistonobravi traduttori).

Gli editori statunitensi pubblicano letteratura grecacontemporanea?

Gli editori negli USA sono riluttanti a pubblicarequalsiasi cosa non faccia loro guadagnare soldi. Equesto vale per ogni tipo di letteratura, per ognipaese e per ogni genere letterario. Ogni tanto qual-che casa editrice universitaria si accolla il rischio. LaNorthwestern è un buon esempio. Il loro ufficiostampa mi ha appena chiesto una consulenza perun volume di brevi storie (prosa, ancora una volta...)di Thanasis Valtinos. Verrà presto pubblicato.

Quando hai cominciato a scrivere poesie?

Scrivo poesie dalla mia adolescenza. Inizialmentescrivevo poesie in greco, pubblicate su TheNational Herald, un settimanale greco-americanodi New York. La mia prima poesia in inglese si inti-tolava To my father in Greece, ed è stata pubblica-ta su College English.

Cos’è la poesia per te?

Bella domanda! Ci vorrebbe un altro forum perrispondere meglio. La poesia per me è molte cose.Queste sono alcune:

1) una manifestazione dell’anima;

2) un flash di identificazione;

3) “un complesso di pensieri ed emozioni in unistante di tempo” – questa è di Ezra Pound –;

4) un confessionale di gioia o dolore, soprattuttodolore;

5) Qualcosa che solleva il velo dai segreti nascostidel mondo, della vita e dell’esperienza.

T.C.

Love-tourist

I reject and am rejectedAbandoned and abandoningFrom fragrance to fragrance

Breast became memoriesCunts became snapshots

Words are souvenirs forgottenSmiles are like tickets stubs to

foreign theatres.

Here I am, alone,a tourist in women’s lives.

Birthday Thought

At thirty-two last weekI successfully transplantedthree camelias. I fixed the cupboards, rescued a fly

from a spider’s web, picked a broken bottle off the road,

put a smile on my woman’s face,twisted my ankle while helping the neighbor, and offered my

car’s warmth to a young hitchhiker.

It now occurs to me thatChrist was really thirty-two when he saved the world.

38 foroellenico

L’hanno chiamato “l’ambasciatore culturale dellaGrecia in Europa”. L’Istituto Ellenico di Venezia,che quest’anno festeggia i suoi cinquant’anni distoria, di cultura e di ricerca, rimane finora l’unicocentro greco di ricerca scientifica all’estero. Ed èquesto fatto che lo rende ancora piu importante eprezioso, almeno per noi, i suoi borsisti che abbia-mo avuto l’opportunità di imparare l’arte dellaricerca in una delle città più belle del mondo.Per quel che riguarda la sua storia, l’IstitutoEllenico di Studi Bizantini e Postbizantini diVenezia (www.istitutoellenico.org) venne fondatonel 1951 in seguito ad un accordo culturale tra laGrecia e l’Italia, che prevedeva anche la riaperturadella Scuola Archeologica italiana e dell’IstitutoItaliano di Atene. Gia nel 1953 la storicaConfraternita dei Greci Ortodossi di Venezia deci-se di concedere all’Istituto la gestione del suopatrimonio, a condizione che garantisse la sussi-stenza della Confraternita stessa.In questo modo l’Istituto è diventato l’erede dellaConfraternita, che è stata la piu celebre comunitàgreca all’estero. Infatti la storia dei Greci a Venezia

comincia molti secoli prima, già all’epoca dell’ImperoBizantino. Fu però nel 1498, pochi decenni dopo lacaduta di Costantinopoli, che i greci di Veneziaottennero l’autorizzazione della SerenissimaRepubblica di Venezia necessaria per poter formarela Confraternita dei Greci Ortodossi o NazioneGreca (Scuola). Nel periodo della sua massima pro-sperità, per quattro secoli, intorno alla chiesa di SanGiorgio dei Greci, nel cosidetto Campo dei Greci, sisviluppò in un importante centro commerciale e cul-turale, un ponte tra il Levante e l’Occidente, un puntodi riferimento sia per i greci che si trovavano sotto ildominio straniero che per quelli lontani dalla madrepatria.Verso la metà del XVII secolo la Confraternitaha usufruito dell’eredità dell’avvocato corfiotaTommaso Flanghinis per fondare una delle piuimportanti istituzioni culturali ed educative, il CollegioFlanghinis, che vantava un regolamento simile aquello dei Collegi Greci di Padova e di Roma.L’obiettivo principale del Istituto Ellenico, che hasede nel palazzo del Collegio, è lo studio della sto-ria bizantina e post bizantina. Soprattutto della sto-ria dei territori greci sotto dominazione latina, in

foroellenico 39

L’avamposto della cultura grecain ItaliaI cinquant’anni dell’Istituto ellenico di Veneziadi Maria Mondelou

particolare veneta. Rimane l’unico centro scientifi-co della Grecia all’estero, con un prestigio ricono-sciuto dalla comunità scientifica internazionale.Di fondamentale importanza è la ricerca negli archi-vi e nelle biblioteche italiani ed in particolare nei ric-chi archivi veneziani, svolta da laureati greci cheusufruiscono di una borsa di studio, dopo aversuperato gli esami dall’Accademia di Atene. Loscopo è preparare dottorati di ricerca e altri studi suargomenti di storia, d’arte e letteratura delle regionigreche che hanno conosciuto la dominazione vene-ziana, ma anche su materie riguardanti la storia el’attività della Confraternita greca. L’Istituto offrealtresì ospitalità a ricercatori da tutto il mondo per-chè possano effettuare le loro ricerche a Venezia.Ma la sua attività non è limitata alla ricerca sul pas-sato. È anche l’erede di tesori monumentali, artisti-ci e archivistici di grandissimo valore e di docu-menti che hanno collezionato i profughi greci arri-vati dopo la caduta di Costantinopoli nella città diSan Marco, come ha spiegato la sua attuale diret-trice, la professoressa dell’Università di Atene,Chrissa Maltezou, in occasione delle manifestazio-ni per i cinquant’anni dell’Istituto.Nello storico Campo dei Greci, la sede di palazzoFlanghinis, la chiesa di San Giorgio dei Greci,(costruita nel XVI secolo), il campanile e laConfraternita di San Nicolò del XVII secolo, forma-no un elegante complesso monumentale. La sededella Confraternita, dove era alloggiato l’Ospedaledei Poveri Greci fino al XIX secolo, è stata trasfor-mata in museo, unico nel suo genere, di iconebizantine e post bizantine, dove spiccano quelledella rinomata Scuola Cretese.L’Istituto possiede una ricca biblioteca, con circaduemila libri antichi, stampati dalle tipografie grechedi Venezia dal XVI fino al XVIII secolo, ed una colle-zione di manoscritti greci, alcuni di epoca bizantina.I libri più recenti coprono i campi della storia e filo-logia bizantina e postbizantina, della storia venezia-na, del dominio veneto, della storia e letteratura ita-liana ed europea. L’Archivio dell’Istituto è ricco difonti importantissime per la storia dellaConfraternita, per la vita sociale ed economica deigreci a Venezia, con riferimenti all’arte, l’istruzione e

la storia ecclesiastica.Dalla sua fondazione ha avuto comeresponsabili, rinomati professori universita-ri: Sofia Antoniadi, che ha ristrutturato ilpalazzo Flanghinis e fondato il Museo delleIcone, Manoussos Manoussakas, che haposto le sue fondamenta scientifiche, tra-sformandolo in un centro di ricerca di famainternazionale, Nikolaos Panagiotakis, cheha organizzato una serie di convegni emanifestazioni, arricchendo l’attività edito-riale e Chrissa Maltezou, che continua aelevare il livello dell’attività svolta.Per iniziativa dell’Istituto e del Ministerodegli Affari Esteri greco sono state orga-nizzate di recente manifestazioni in occa-sione del suo cinquantennio. Nel Palazzo

della Musica di Atene si sono incontrati i responsa-bili, i borsisti e gli amici dell’Istituto, i rappresentantidel Ministero, molti professori a capo delle principa-li fondazioni scientifiche e culturali, per presentarele attività dell’importante centro scientifico greco diVenezia e discutere sul suo futuro, ispirati dalle notedi alcune opere musicali del XVI e XVII secolo. Eper conoscere meglio le attività, gli archivi, i tesori ele personalità che hanno collegato la loro vita e laloro professione all’Istituto Ellenico di StudiBizantini e Postbizantini, si può consultare l’edizio-ne speciale per i cinquant’anni dalla sua fondazio-ne.Da non dimenticare l’intensa attività editoria-le, nell’ambito della quale spicca la Rivista“Θησαυρι′σµατα ” (Thesaurismata).Tutti i suoi borsisti, dopo aver trascorso circa treanni all’Istituto Ellenico, ma anche, più in generalei suoi ospiti, concordano sul fatto che la loro per-manenza ha costituito un’esperienza molto impor-tante, non solo per la loro vita professionale. Laborsa di studio ha offerto a ognuno di noi la possi-bilità di muovere i primi passi nella ricerca,nell’Archivio di Stato di Venezia, nella BibliotecaMarciana e nell’Archivio dell’Istituto, di avvalercidell’aiuto scientifico dei suoi direttori e della colla-borazione dei tanti professori e ricercatori chehanno soggiornato per breve o lungo tempo nellasua sede, di comunicare le nostre inquietudiniscientifiche e le scoperte fatte negli archivi. Di dis-cutere sull’andamento dei nostri dottorati di ricer-ca, di creare delle amicizie che a distanza di annirimangono vive e ci fanno sentire di apparteneread una comunità che condivide pensieri e ambi-zioni. Abbiamo avuto la fortuna di passare alcunidegli anni piu belli della nostra vita a Venezia, dovesi ha la possibilità, anche durante un’intensa gior-nata di studio nell’Archivio di Stato, di passeggiarenei canali e nei campi, di visitare la vicina chiesa diSanta Maria dei Frari, di fare una pausa nei tanticaffé della città, spesso sognando di vivere inun’altra epoca.