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Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di personalità Vincenzo MANNA Medico, Psichiatra, Psicoterapeuta Direttore f.f. UOC DSM ASL ROMA 6 [email protected] cell. +39 333 36 25 218 ASPETTI CLINICI FONDAMENTALI DEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA' La definizione diagnostica del Disturbo Borderline di Personalità (DBP) inserito nell’Asse II del DSM III dell’American Psychiatric Association (1) è stata caratterizzata dall’intento di distinguerlo dal disturbo schizotipico di personalità (2). Il preteso impianto diagnostico ateoretico, cui s’ispirava il DSM III, non si è dimostrato, in realtà, tale. I criteri diagnosti ci del DBP sono, infatti, un insieme non del tutto coerente di tratti e di comportamenti, evidenziati e studiati con differenti e non sempre compatibili orientamenti clinici (3). Selezionare alcuni criteri diagnostici provenienti da diverse impostazioni teoretiche e cliniche di studio aveva l’intento di permettere una valutazione più obiettiva e condivisibile per clinici con orientamenti teorici e impostazioni differenti. Gli otto criteri diagnostici selezionati nel DSM III sono risultati numericamente pochi e, sostanzialmente, astratti e semplicistici, al punto di non permettere al clinico di cogliere il nucleo psicopatologico del DBP (4-5). I criteri del DSM III R (6) per il DBP hanno fatto riferimento a cinque diverse aree diagnostiche: 1. diffusione d’identità con stati d’animo disfunzionali come labilità dell’umore, rabbia intensa e incontrollabile, sensazione di vuoto e noia; 2. relazioni interpersonali disturbate come relazioni interpersonali caratterizzate da ipervalutazione, idealizzazione e successiva repentina svalutazione; 3. paura d’abbandono reale o immaginario; 4. comportamento impulsivo; 5. comportamento autodistruttivo e suicidario. Secondo Stone (3), questi criteri diagnostici derivavano dagli studi di Kernberg su identità, impulsività, vuoto e noia, nonché dagli studi di Gunderson su relazioni interpersonali intense e instabili, impulsività, rabbia, autolesività, instabilità emotiva, paura e disagio in condizioni di solitudine e/o abbandono (7- 13). ASPETTI SINDROMICI DEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’ L’insieme dei sintomi, utilizzati come criteri, proposti per la diagnosi del DBP dal DSM III e dal DSM III R, risultano provenire da diversi orientamenti teorici e clinici alla psicopatologia. Essi si sono dimostrati poco utili sia in ambito clinico sia in ambito di ricerca, per la scarsa coerenza interna. Una serie di criteri diagnostici con più forti correlazioni reciproche risulta essere più razionale dal punto di vista teorico e più utile in ambito clinico e terapeutico. Lo studio del DBP, tanto in ambito psicologico e familiare quanto nella ricerca di correlati genetici e neurobiologici, necessita di cluster di sintomi, con un’intrinseca validità di costrutto (construct validity). Gli interventi terapeutici farmacologici per dimostrare la loro efficacia hanno bisogno, per esempio, di valutare variazioni obiettivabili di tratti comportamentali, con una coerente struttura interna. Gli otto criteri diagnostici per il DBP, proposti dal DSM III, sono stati raggruppati in tre cluster, in uno studio su un campione di 465 pazienti borderline (14). Secondo questi Autori, le relazioni costanti e coerenti tra i criteri diagnostici, raggruppati in cluster, avrebbero potuto indicare la presenza di fattori ezio-patogenetici sottostanti comuni, indicando, consensualmente, possibili target terapeutici (15). Un primo raggruppamento di criteri diagnostici (cluster), il cluster degli impulsi, comprende l’impulsività in due o più aree, nonché il comportamento autolesivo. Un secondo cluster, il cluster degli affetti, include i sintomi correlati alla labilità affettiva, alla rabbia impulsiva e alle relazioni interpersonali instabili, caratterizzate da ipervalutazione, idealizzazione e svalutazione. Il terzo cluster, il cluster dell’identità, è composto dai criteri d’Asse II riguardanti la diffusione d’identità, le sensazioni di vuoto e noia, e la scarsa tolleranza della solitudine. TAB. 1 Cluster sintomatologici del disturbo borderline di personalità A. Cluster degli impulsi l. Impulsività 2. Ricorrenti tentativi di suicidio ed episodi d’autolesionismo B. Cluster degli affetti

Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

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Page 1: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di personalità

Vincenzo MANNA Medico, Psichiatra, Psicoterapeuta Direttore f.f. UOC DSM ASL ROMA 6 [email protected] cell. +39 333 36 25 218

ASPETTI CLINICI FONDAMENTALI DEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA'

La definizione diagnostica del Disturbo Borderline di Personalità (DBP) inserito nell’Asse II del DSM III dell’American

Psychiatric Association (1) è stata caratterizzata dall’intento di distinguerlo dal disturbo schizotipico di personalità (2). Il

preteso impianto diagnostico ateoretico, cui s’ispirava il DSM III, non si è dimostrato, in realtà, tale. I criteri diagnostici del

DBP sono, infatti, un insieme non del tutto coerente di tratti e di comportamenti, evidenziati e studiati con differenti e non

sempre compatibili orientamenti clinici (3). Selezionare alcuni criteri diagnostici provenienti da diverse impostazioni

teoretiche e cliniche di studio aveva l’intento di permettere una valutazione più obiettiva e condivisibile per clinici con

orientamenti teorici e impostazioni differenti. Gli otto criteri diagnostici selezionati nel DSM III sono risultati

numericamente pochi e, sostanzialmente, astratti e semplicistici, al punto di non permettere al clinico di cogliere il nucleo

psicopatologico del DBP (4-5).

I criteri del DSM III R (6) per il DBP hanno fatto riferimento a cinque diverse aree diagnostiche: 1. diffusione d’identità

con stati d’animo disfunzionali come labilità dell’umore, rabbia intensa e incontrollabile, sensazione di vuoto e noia; 2.

relazioni interpersonali disturbate come relazioni interpersonali caratterizzate da ipervalutazione, idealizzazione e

successiva repentina svalutazione; 3. paura d’abbandono reale o immaginario; 4. comportamento impulsivo; 5.

comportamento autodistruttivo e suicidario. Secondo Stone (3), questi criteri diagnostici derivavano dagli studi di

Kernberg su identità, impulsività, vuoto e noia, nonché dagli studi di Gunderson su relazioni interpersonali intense e

instabili, impulsività, rabbia, autolesività, instabilità emotiva, paura e disagio in condizioni di solitudine e/o abbandono (7-

13).

ASPETTI SINDROMICI DEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’

L’insieme dei sintomi, utilizzati come criteri, proposti per la diagnosi del DBP dal DSM III e dal DSM III R, risultano

provenire da diversi orientamenti teorici e clinici alla psicopatologia. Essi si sono dimostrati poco utili sia in ambito clinico

sia in ambito di ricerca, per la scarsa coerenza interna. Una serie di criteri diagnostici con più forti correlazioni reciproche

risulta essere più razionale dal punto di vista teorico e più utile in ambito clinico e terapeutico. Lo studio del DBP, tanto in

ambito psicologico e familiare quanto nella ricerca di correlati genetici e neurobiologici, necessita di cluster di sintomi,

con un’intrinseca validità di costrutto (construct validity).

Gli interventi terapeutici farmacologici per dimostrare la loro efficacia hanno bisogno, per esempio, di valutare variazioni

obiettivabili di tratti comportamentali, con una coerente struttura interna.

Gli otto criteri diagnostici per il DBP, proposti dal DSM III, sono stati raggruppati in tre cluster, in uno studio su un

campione di 465 pazienti borderline (14). Secondo questi Autori, le relazioni costanti e coerenti tra i criteri diagnostici,

raggruppati in cluster, avrebbero potuto indicare la presenza di fattori ezio-patogenetici sottostanti comuni, indicando,

consensualmente, possibili target terapeutici (15). Un primo raggruppamento di criteri diagnostici (cluster), il cluster degli

impulsi, comprende l’impulsività in due o più aree, nonché il comportamento autolesivo. Un secondo cluster, il cluster

degli affetti, include i sintomi correlati alla labilità affettiva, alla rabbia impulsiva e alle relazioni interpersonali instabili,

caratterizzate da ipervalutazione, idealizzazione e svalutazione. Il terzo cluster, il cluster dell’identità, è composto dai

criteri d’Asse II riguardanti la diffusione d’identità, le sensazioni di vuoto e noia, e la scarsa tolleranza della solitudine.

TAB. 1 Cluster sintomatologici del disturbo borderline di personalità

A. Cluster degli impulsi

l. Impulsività

2. Ricorrenti tentativi di suicidio ed episodi d’autolesionismo

B. Cluster degli affetti

Page 2: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

3. Rabbia inappropriata, intensa e/o incontrollata

4. Relazioni interpersonali intense ed instabili

5. Labilità dell’umore ed instabilità affettiva

C. Cluster dell’identità

6. Disturbo d’identità

7. Sentimenti cronici di vuoto e di noia

8. Scarsa tolleranza alla solitudine con tentativi frenetici di evitare l’abbandono

Tali cluster hanno origine non teoretica ma empirica e risultano essere dotati di validità interna evidente. La diffusione

d’identità si correla direttamente alle sensazioni di vuoto. La scarsa tolleranza alla solitudine si correla significativamente

al bisogno di rapporto e sostegno interpersonale.

Il cluster degli affetti evidenzia il coesistere in questi pazienti di rabbia, labilità emotiva, espressioni interpersonali di

collera irragionevole. Inoltre, gli atti impulsivi, riguardanti cibo, alcol, droghe e sesso promiscuo si correlano alle azioni

suicidarie e autolesive. Il cluster dell’impulsività include comportamenti veri e propri, quindi, variabili nel tempo, e non

solo aspetti pervasivi e costanti di personalità. Invece, il cluster sindromico affettivo si presenta com’espressione di

un’insufficiente modulazione degli affetti con instabilità emotiva. Il cluster d’identità si correla, significativamente, ad

aspetti più costanti nel tempo, di strutturazione problematica dell’identità personale. Nell’analisi del paziente borderline i

comportamenti impulsivi sembrano non essere parte della struttura di personalità, ma, piuttosto, comportamenti

sintomatici fluttuanti nel tempo.

Un paziente necessita di cinque degli otto criteri per la diagnosi DSM-III-R di DBP. Egli potrebbe, perciò, essere

classificato come “borderline” con un numero variabile dei sintomi e dei cluster citati.

I pazienti, cui più frequentemente è diagnosticato un disturbo borderline di personalità, sono quelli che presentano i

sintomi psicopatologici prevalenti, raggruppati nel cluster affettivo ed in quello impulsivo.

Naturalmente, i pazienti con DBP più gravemente disturbati sono coloro che hanno i sintomi presenti in tutti e tre i

cluster. Questi pazienti presentano disturbi del comportamento (cluster degli impulsi), disturbi degli affetti (cluster

dell’instabilità affettiva), e disturbi d’identità (cluster d’identità).

I pazienti borderline meno gravi presentano sintomi afferenti al cluster degli affetti e/o dell’identità.

Il DSM IV (16) definisce il DBP come una modalità pervasiva d’instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di

sé e dell’umore con una marcata impulsività, comparse nel corso della prima età adulta e presenti in vari contesti, come

indicato da cinque o più dei seguenti elementi:

1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;

2. un quadro di relazioni interpersonali instabili ed intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi

d’iperidealizzazione e svalutazione;

3. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;

4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di

sostanze, guida spericolata, abbuffate;

5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante;

6. instabilità affettiva dovuta a marcata reattività dell’umore (p.es. episodica intensa disforia, irritabilità o ansia che di

solito durano poche ore e soltanto raramente più di pochi giorni);

7. sentimenti cronici di vuoto;

8. rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (p.es. accessi di ira, rabbia costante, ricorrenti scontri

fisici, etc.);

9. ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.

L’ideazione paranoide è stata aggiunta tra i criteri diagnostici, nel DSM IV (17). L’inclusione di una sintomatologia simil-

psicotica è stata materia di controversia tra gli studiosi sin dalla stesura del DSM III (2,11,18). La versione originaria di

questo criterio includeva numerosi e diversi sintomi della serie psicotica, quali: idee di riferimento, ideazione paranoie,

distorsioni percettive ipnagogiche, allucinazioni, distorsioni delle immagini corporee (19).

La definizione accettata dal DSM IV pone l’accento solo sui sintomi dissociativi e sull’ideazione paranoie, stressandone

la natura reattiva. Il criterio “episodi simil-psicotici occasionali e transitori con illusioni intense” risulta essere, secondo i

criteri dell’IC-10, caratteristico del disturbo schizotipico di personalità, anziché del DBP (20). Gunderson et al. (10-13)

sostengono, tuttavia, che questo criterio differenzi significativamente il DBP dal disturbo schizotipico, sulla base di studi

pilota. Secondo quest’ottica, le anomalie cognitive e percettive riscontrabili nel disturbo schizotipico risultano essere più

stabili e durature, rispetto a quelle brevi, transitorie e reattive dei pazienti con DBP (10, 21).

La risposta terapeutica, dopo tempi sufficientemente prolungati, ottiene, in primo luogo, alcuni cambiamenti nel

comportamento impulsivo, seguiti da un qualche controllo della modulazione degli stati d’animo, e, infine, cambiamenti

graduali e progressivi negli aspetti dell’identità.

Page 3: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

EZIOLOGIA DEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ

Eterogeneità eziologica e patogenetica del DBP.

I fattori eziopatogenetici coinvolti nell’insorgenza del disturbo borderline di personalità erano ricercati in una prospettiva

restrittivamente psicologica, sino circa venti anni fa.

Secondo Masterson e Rinsley (22) per esempio, la psicogenesi del DBP era dovuta alle madri che interferivano con i

bisogni dei propri figli, impedendo loro di raggiungere una condizione di autonomia emotiva e di matura

individualizzazione.

Masterson aveva evidenziato che le madri dei pazienti con DBP erano state, di frequente, a loro volta, affette da DBP e

aveva sostenuto che il disturbo fosse psicologicamente “trasmissibile”.

Altri autori hanno sostenuto una trasmissibilità non psicologica ma genetica, giacché un numero elevato di madri (più

elevato di quanto prevedibile) dei pazienti con DBP, presentano lo stesso disturbo (23).

Altri studi hanno evidenziato nelle famiglie di soggetti affetti da DBP una predisposizione familiare verso lo spettro dei

disturbi affettivi (24-25). Non esistono, però, prove per sostenere che per tutti i pazienti con DBP tale fattore familiare sia

rilevante. Alcuni studiosi hanno evidenziato la presenza di una patologia affettiva familiare soltanto in una percentuale di

pazienti con DBP. Tale fattore può, perciò, rappresentare un fattore aspecifico, in quanto comune nelle famiglie con

soggetti affetti da altri disturbi di personalità (26-27).

Negli ultimi anni le ipotesi ezio-patogenetiche sono state orientate diversamente. Le cause del DBP sono state cercate

nelle varie forme d’abuso infantile intrafamiliare, sul piano psicologico, fisico e/o sessuale.

Numerosi ricercatori ritengono che l’ambiente familiare caratterizzato da episodi d’abuso sia un elemento specifico nelle

storie di pazienti borderline, non altrettanto comune nelle vite di pazienti con altri disturbi di personalità, se si esclude il

disturbo antisociale di personalità (28).

Molti soggetti borderline ed antisociali hanno la tendenza a mettere in atto, in età adulta, proprio quei comportamenti

che, durante l’infanzia, hanno maggiormente contribuito allo sviluppo di un disturbo di personalità. I soggetti abusati in

età infantile potrebbero, infatti, sviluppare cronici sintomi d’irritabilità e rabbia. Questi individui in età adulta, spesso

compromettono, con la loro impulsività ed aggressività, le situazioni lavorative e le relazioni affettive. Le difficoltà

coniugali e la perdita dell’impiego diventano “eventi di vita” ulteriormente stressanti che peggiorano la condizione clinica

di questi soggetti con disturbi di personalità (29).

Nella patogenesi del DBP si sommano e s’intersecano diversi fattori: una componente genetica e costituzionale, la figura

materna eccessivamente opprimente, una storia d’abuso in epoca infantile nell’ambito familiare. L’importanza relativa di

ognuno di questi fattori, nella storia clinica d’ogni specifico paziente con DBP resta ovviamente da stabilire.

E’ opportuno esaminare i dati clinici e di ricerca relativi da un lato ai traumi infantili e dall’altro ai correlati neurobio logici.

Traumi infantili

Molti pazienti con DBP hanno subito gravi traumi psicologici nei primi anni di vita. Storie d’incesto sono relativamente

frequenti tra le donne con DBP ricoverate (3, 30-31). In alcuni studi, tale frequenza varia dal 33% al 70%, in pratica, da

due a quattro volte superiore rispetto alla frequenza osservata negli studi epidemiologici sulla popolazione generale (32).

Esistono alcune evidenze (30) che dimostrano una frequenza d’incesto più elevata nelle pazienti con DBP e disturbo

antisociale, rispetto a donne con altri disturbi di personalità. Qualora altri studi epidemiologici confermassero tali dati, su

campioni più numerosi, verrebbe suffragata l’ipotesi di un rapporto causale tra comportamenti incestuosi tra

padri/patrigni e figlie, disturbo da stress post-traumatico cronico e lo strutturarsi di un disturbo antisociale e borderline di

personalità.

Le violenze subite da parte di un genitore potrebbero facilitare l’insorgere di un quadro clinico persistente o cronico con

irritabilità e rabbia particolarmente evidenti (30-33). I maschi sembrano essere vittime di tali abusi infantili più

frequentemente delle femmine. L’incesto genera solitamente rabbia e senso di colpa, mentre, la violenza genera rabbia

intensa, e, solo raramente, senso di colpa. Un quadro di DBP, che consegue a questi fattori patogenetici, presenta una

forte tendenza alla violenza eterodiretta anziché all’autolesionismo. I maschi che hanno subito abusi fisici e che

sviluppano un DBP, presentano spesso diversi comportamenti antisociali. E’ frequente, in psichiatria forense, una tale

combinazione di fattori patogenetici, nella biografia di famosi pluri-omicidi e serial killer, cui era stato diagnosticato un

sottostante DBP, spesso associato con comportamenti antisociali (34).

A livello fenotipico gli effetti d’ereditarietà e ambiente culturale non possono essere separati, se non a fini euristici. In

alcune società l’incesto è molto raro (35). Varia da cultura a cultura anche la tolleranza del comportamento impulsivo e

aggressivo. Il DBP potrebbe essere proporzionalmente meno frequente, per esempio, in certe società asiatiche, in cui i

comportamenti incestuosi sono impediti e puniti fortemente.

In queste culture, temperamenti geneticamente più miti potrebbero essersi sommati, nel corso delle generazioni, ad

un’educazione dei bambini meno violenta, con effetti di minore incidenza del DBP.

Page 4: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

In questa prospettiva, i soggetti con un numero sufficiente di fattori di rischio che hanno sviluppato un DBP nella nostra

cultura, avrebbero potuto avere uno sviluppo diverso se fossero stati educati in un differente ambiente socio-culturale,

magari sviluppando altri e diversi quadri psicopatologici, ma non il DBP.

Per verificare il ruolo causale di tali fattori culturali nell’esordio del DBP sarebbe opportuno un lavoro epidemiologico,

condotto in nazioni con diverse culture.

Disturbi del tono dell’umore

Il rapporto tra BPD e disturbi del tono dell’umore è stato ripetutamente studiato. Va sottolineato che è importante tenere

nel giusto rilievo non solo l’eterogeneità eziologica, ma anche la variabilità dei campioni esaminati in questi studi. Nel

gruppo di pazienti con DBP che ha partecipato ad uno studio di follow-up (P.I.-500) le storie d’abuso erano scarsamente

presenti, mentre un disturbo affettivo tra parenti di primo grado era invece piuttosto frequente e circa l’8,5% dei pazienti

con DBP ha sviluppato, dopo vari anni dalla dimissione, una malattia affettiva unipolare o bipolare (25, 36). In oltre la

metà di un campione di pazienti australiane è stata riscontrata una storia d’incesto. Includendo anche l’abuso fisico e le

estreme umiliazioni, da parte di chi avrebbe dovuto prendersi cura di loro in età infantile, il fattore “abuso” era presente

nella storia di circa il 90% dei pazienti (3, 30, 35). In questo studio, la presenza di una malattia affettiva grave è stata

rilevata in un numero limitato di parenti di primo grado dei pazienti con DBP, inoltre, nei pazienti con disturbi depressivi,

era difficile dirimere l’effetto patogenetico dei fattori biologici dall’effetto degli eventi stressanti di vita. In Giappone, hanno

evidenziato che tali pazienti presentano comportamenti suicidari aggravati dalla solitudine e/o dalla lontananza dagli

stretti legami familiari oppure in rapporto al rifiuto subito in una relazione sentimentale, diversamente da entrambi i gruppi

dei pazienti con DBP già citati (37). Inoltre, in Giappone è raro riscontrare una storia d’abuso fisico o sessuale

nell’infanzia di questi pazienti con DBP. Queste considerazioni dimostrano come diversi studiosi tendono ad attribuire

diversa rilevanza a differenti fattori eziopatogenetici coinvolti nelle genesi del DBP, anche in funzione della diversa

cultura di provenienza. Nessuna teoria del quadro causale del DBP sarà possibile formulare fino a quando non si riuscirà

ad allontanarsi da orizzonti di ricerca ristretti, valutando i campioni raccolti in diverse società e culture. Un consistente

numero di pubblicazioni tratta il complesso problema del rapporto tra la patologia affettiva e il DBP (37). La comorbidità

tra DBP e disturbo affettivo è talmente frequente da aver indotto numerosi studiosi a formulare l’ipotesi che il DBP

rappresenti solo una forma cronica e sottosoglia di disturbo affettivo. I pazienti con DBP e distimia hanno bisogno di un

più alto numero di ricoveri e manifestano una maggior frequenza di sintomi di scissione, sintomi suicidari, dipendenza e

noia, rispetto ai pazienti con DBP che non manifestano distimia concomitante (38). Tal evidenza ha portato questi

studiosi alla conclusione che il DBP è eziologicamente eterogeneo ed include, probabilmente, diverse varietà di disturbi

depressivi e di personalità, con differenti livelli di funzionamento socio-lavorativo e d’outcome.

Comportamenti aggressivi ed impulsivi

Una delle principali caratteristiche sintomatologiche del DBP è rappresentata dalla rabbia inappropriata, intensa ed

incontrollata. Questa rabbia può presentarsi con diverse espressioni cliniche, come: ostilità omnipervasiva, esplosioni di

rabbia transitoria ed incontrollabile, permalosità eccessiva. Secondo alcuni studiosi, tale aggressività potrebbe avere

correlati rilevanti di tipo neurologico (39).

L’ambiente clinico è sicuramente indicato per esaminare i tratti comportamentali costanti ma non per valutare i tratti

comportamentali episodici, secondo Gardner e Cowdry (40).

Lo studio del flusso ematico cerebrale e l’utilizzo della metodica PET (positron-emission tomography) per ovvi motivi

clinici ed etici, non sono stati applicati su pazienti con DBP, in un momento d’esplosione di rabbia. Ciò nonostante,

recenti studi in letteratura sull’aggressività prendono in considerazione la sintomatologia aggressiva presente nei

soggetti affetti da DBP.

In uno studio su 128 carcerati violenti, Merikangas (41) ha enucleato tre fattori principali alla base del comportamento

aggressivo: 1. il fattore pulsionale (drive), 2. la suscettibilità allo stimolo (soglia) e 3. la capacità d’inibizione della risposta

(controllo). Alti livelli pulsionali, bassa soglia di reazione e incapacità d’inibire la risposta aggressiva erano tutti fattori

associati a più frequenti atti di violenza. Era, talora, evidente una suscettibilità patologica che induceva a rispondere in

modo aggressivo anche a minacce minime.

Frequentemente sono presenti epilessia, anomalie bioelettriche cerebrali e altri segni di danno cerebrale. Simili anomalie

sono state evidenziate da Andrulonis et al. (42) nel loro campione di pazienti affetti da DBP, costituito in prevalenza da

giovani maschi, con episodico disturbo del controllo degli impulsi, rappresentato, soprattutto, da aggressività impulsiva.

Applicando il suo modello di “information processing” per l’aggressività, Huesman (43) sostiene l’ipotesi dell’esistenza di

stili di comportamento aggressivo (copioni compor-tamentali) acquisiti nell’infanzia e tendenti a resistere ad ogni

cambiamento.

Alcuni soggetti, inoltre, dopo aver subito violenze o dopo esserne stati diretti testimoni, diventano aggressivi e

presentano la tendenza ad evocare risposte aggressive negli altri, con atteggiamenti di derisione o di minaccia,

difendendosi, così, dalla paura latente evocata dal rapporto sociale e rinforzando, in se stessi, la convinzione acritica che

Page 5: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

“gli altri sono sempre pericolosi” (44).

Se non è criticato questo tipo d’apprendimento reiterato può costruire una modalità d’interpretazione delle comunicazioni

sociali tendenzialmente persistente, che induce al comportamento aggressivo.

I soggetti con DBP, soprattutto quelli che hanno subito violenze fisiche o sessuali, tendono a reagire a stimoli sociali

neutri, interpretati come potenzialmente pericolosi, con comportamenti aggressivi subitanei volti a prevenire e/o punire

atteggiamenti altrui potenzialmente negativi, in una sorta di cortocircuito comportamentale, ispirato ad una sorta di

filosofia di vita del tipo “chi aggredisce per primo si salva”.

In alcune situazioni, tale modalità di risposta impulsiva ed immediata, acquisita per apprendimento e, probabilmente,

condizionata da fattori neurobiologici, può condurre a comportamenti gravemente violenti. Fra i 285 pazienti “borderline”

inclusi nello studio P.I.-500, quattro maschi avevano ucciso una o più volte nel periodo di follow-up.

Il comportamento aggressivo è un comportamento arcaico, volto alla sopravvivenza dell’individuo, controllato da strutture

cerebrali filogeneticamente antiche. Ciò nonostante presenta una sua intrinseca complessità declinandosi in diversi

aspetti, secondo Valzelli (45). L’aggressività territoriale, quella competitiva, quella predatoria, quella protettivo-materna, e

quella protettivo-difensiva possono essere significativamente differenti sul piano psico-comportamentale e

neurobiologico. Nell’ambito di ciascuno di questi aspetti possono essere coinvolte diverse strutture cerebrali, con alcune

specificità per un tipo particolare d’aggressività, ma anche con alcune sovrapposizioni neuro-funzionali tra le diverse

forme d’aggressività.

L’aggressività protettivo-difensiva è particolarmente rilevante nello studio dei soggetti con DBP. Questa forma

d’aggressività è evocata dall’attacco, reale o presunto, di un avversario. In laboratorio si studia dopo aver somministrato

stimoli dolorosi o avversivi ad animali da esperimento solitamente ristretti in coppia in un unico ambiente. L’aggressività

protettivo-difensiva solitamente si presenta con intensità sproporzionata allo stimolo offensivo (l’accesso di rabbia

reattiva del paziente con DBP), ma, anche, con la tendenza ad aggredire non chi direttamente reca un’offesa, ma spesso

solo chi n’esprime un innocuo equivalente simbolico.

Nei soggetti con DBP gli abusi subiti nell’infanzia potrebbero plasmare nel sistema nervoso una circuitazione paleo-

archi-corticale, in costante preallarme, predisposta a reagire sul piano comportamentale, in tempi rapidissimi e con

modalità eccessive, a minacce reali o presunte. Le strutture neurologiche correlate funzionalmente a questi pattern

d’attivazione e reattività del Sistema Nervoso Centrale (SNC) sono state studiate, negli ultimi decenni, con risultati

interessanti sul piano euristico e clinico.

FATTORI GENETICI E STUDI SULLE FAMIGLIE

Negli studi sulla famiglia, se una maggior prevalenza di un disturbo psicopatologico si manifesta nei parenti naturali dei

probandi, portatori di tale disturbo, ne viene confermata la familiarità (46). Gli studi sulla famiglia non differenziano i

fattori ambientali da quelli genetici. La ricerca di tale differenziazione richiede altri metodi e campi di ricerca, come gli

studi su gemelli o sulle adozioni.

Alcuni ricercatori hanno svolto studi sulla famiglia per verificare se il DBP è più frequentemente nelle famiglie di pazienti,

in cui qualche componente è affetto da DBP. Questi studi (23, 47-50) hanno evidenziato anche una maggiore frequenza

in queste famiglie d’altri disturbi del controllo degli impulsi. In tutti questi studi è stata evidenziata una maggior

prevalenza di DBP tra i componenti delle famiglie di pazienti con DBP.

I parenti di primo grado di pazienti con DBP sono stati messi a confronto con i parenti di primo grado di pazienti con altri

disturbi di personalità e con i parenti di primo grado di pazienti schizofrenici maschi (51). L’instabilità affettiva cronica e

l’impulsività cronica sono risultate significativamente più evidenti nei parenti di pazienti con DBP rispetto ai gruppi di

controllo. Questi Autori hanno suggerito, perciò, per gli studi futuri, un esame più approfondito dei tratti comportamentali

di base anziché la mera diagnosi di DBP. Vari studi hanno evidenziato una prevalenza del disturbo borderline di

personalità nei parenti di primo grado, del paziente designato.

Gli studi familiari hanno evidenziato, inoltre, nelle famiglie dei pazienti con DBP più alta incidenza di:

· schizofrenia (52);

· disturbi affettivi (25);

· abuso di sostanze e personalità antisociale (10).

In sintesi diverse osservazioni cliniche rilevanti hanno dimostrato che:

1. il DBP si manifesta più frequentemente nelle famiglie di pazienti con DBP, che nelle famiglie di pazienti affetti da

schizofrenia, disturbo bipolare, distimia, personalità schizotipica o antisociale;

2. nelle famiglie di pazienti con DBP c’è solo un aumento lieve della prevalenza di schizofrenia;

3. nei parenti di primo grado di pazienti con DBP si manifestano frequentemente tendenze all’alcolismo e all’abuso di

sostanze;

4. la maggior parte delle prove non evidenzia un rapporto specifico fra DBP e disturbo affettivo, tranne che per pazienti

borderline con storia di concomitante depressione maggiore.

Studi su gemelli, adozioni e analisi di segregazione.

Page 6: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

Torgersen (27), in uno studio su gemelli, ha valutato il peso dei fattori genetici nello sviluppo del disturbo di personalità

schizotipico e/o borderline. Le diagnosi psicopatologiche dei gemelli erano state effettuate in accordo con i criteri del

DSM-III. Il clinico in fase diagnostica non sapeva del carattere di monozigosi o dizigosi dei gemelli. Su 69 probandi con

diagnosi di disturbo di personalità, solo dieci presentavano un DBP. I risultati non sembrano sostenere un’eziologia

genetica del DBP. Infatti, nessuno dei tre rispettivi gemelli monozigoti di probandi con DBP e solo due dei sette rispettivi

cogemelli dizigoti presentavano il DBP.

Altri efficaci metodi di ricerca, utilizzati per evidenziare il contributo rispettivo dell’ereditarietà e dell’ambiente nell’ezio-

patogenesi dei disturbi psicopatologici, sono rappresentati dagli studi sulle adozioni (53). Sono stati effettuati diversi studi

specifici, con differenti metodologie.

Negli “studi della famiglia naturale degli adottati problematici” vengono confrontati i parenti naturali di figli adottivi

patologici, con il gruppo di controllo, di parenti naturali di figli adottivi non patologici. La diversa prevalenza fra i parenti di

famiglie naturali e di controllo fornisce una valutazione dei fattori genetici e ambientali.

Negli “studi sugli adottati” sono confrontate le prevalenze di un disturbo fra figli adottivi nati da genitori patologici e non

patologici.

Negli studi “cross-fostering” i figli adottivi, nati da genitori patologici, sono confrontati con i figli adottivi, nati da genitori

non patologici, ma cresciuti con un genitore adottivo affetto dal disturbo in esame (53). Gli studi sulle adozioni hanno

evidenziato l’importanza dei fattori genetici nell’eziologia dell’alcolismo, tuttavia, prove meno consistenti sono state

raccolte per sostenere che anche il disturbo antisociale di personalità sia geneticamente trasmesso. Non è stato ancora

pubblicato alcuno studio sulle adozioni che abbia valutato con rigore scientifico genitori o figli adottivi con diagnosi di

DBP. L’adozione di figli di genitori borderline avviene frequentemente. Soprattutto alla madre borderline è spesso negata

la tutela dei propri figli. In un campione di gemelli dello stesso sesso, Torgersen (27) ha studiato, in differenti disturbi di

personalità, il ruolo svolto da fattori ereditari e ambientali. Il fattore denominato “impulsività-aggressività” fu considerato,

da quest’autore, fattore ambientale, derivante dal contesto familiare e educativo, nonché dal modello culturale di

riferimento, più che da fattori genetici.

I quattro principali modelli genetici dell’ereditarietà (autosomico dominante, autosomico recessivo, poligenico e legato al

cromosoma X) sono stati sottoposti ad analisi di segregazione. Questi modelli sono stati applicati nella ricerca della

comparsa di malattia psichiatrica, nei parenti di primo grado, di pazienti con DBP. Nessuno di questi modelli è stato

validato nel confronto tra prevalenze ed incidenze attese e osservate di fratelli/sorelle o figli con psicopatologia in atto.

Queste considerazioni non vanno considerate come definitive. Esse rilevano la necessità d’ulteriori studi su gemelli e

adozioni, alla ricerca del ruolo dei fattori genetici nell’ezio-patogenesi del DBP. Va rilevata la più alta incidenza di DBP

nelle famiglie di pazienti con DBP. Rimane ancora incerta la presenza di uno specifico fenotipo, quale espressione della

patologia ereditata nel DBP. Una critica più radicale alla ricerca di correlati genetici del DBP va fatta, in quest’ambito, al

concetto diagnostico stesso di DBP. Probabilmente esiste una specifica ereditarietà per aspetti sintomatici specifici, quali

impulsività, instabilità emotiva, disturbi dissociativi, aggressività, ma non per il DBP, in quanto tale. Ciò non dovrebbe

portare alla conclusione di una ininfluenza dei fattori genetici nella ezio-patogenesi del disturbo. Al contrario, dovrebbe

far riflettere i clinici sulla stessa esistenza del DBP, in quanto entità nosografica. Probabilmente, il futuro della ricerca

genetica, in questo settore, ma anche in tutto l’ambito diagnostico psichiatrico, ci fornirà informazioni rilevanti e

rivoluzionarie. In quelle che attualmente consideriamo entità nosografiche psichiatriche potrebbero svolgere un ruolo

specifico diversi quadri eziologici genetici. D’altronde, non è improbabile che uno stesso danno genetico possa

contribuire alla vulnerabilità specifica per diversi disturbi psicopatologici, nosograficamente distanti nelle convenzioni

diagnostiche, che sono oggi largamente condivise, in ambito clinico.

I dati di ricerca, attualmente disponibili, sembrano maggiormente orientati a sostenere l’ipotesi che gli eventi traumatici,

quindi i fattori ambientali, svolgano un ruolo ezio-patogenetico nell’insorgenza del DBP (54). Diverse evidenze

scientifiche dimostrano che la presenza di uno o più genitori affetti da psicopatologia può associarsi significativamente

ad episodi d’abuso infantile. In breve, numerose prove raccolte indicano che il DBP consegue all’aver vissuto la propria

infanzia con genitori affetti da una patologia mentale. La malattia psichiatrica genitoriale, l’instabilità affettiva e i

conseguenti comportamenti traumatizzanti sarebbero, in questa prospettiva, elementi predittivi di un significativo disturbo

dello sviluppo nell’infanzia e nell’adolescenza e, quindi, di un conseguente disturbo borderline di personalità, nell’età

adulta. Non va, comunque, sottovalutato, anche in quest’ambito di ricerche, il ruolo della vulnerabilità specifica e delle

basi genetiche che a questa vulnerabilità possono essere sottese.

DISFUNZIONI CEREBRALI CORRELATE AL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’

Le disfunzioni cerebrali, presenti nel DBP, includono:

· i danni cerebrali neurologici;

· i deficit neuropsicologici;

· la specifica neuro-biologia del disturbo con lo studio delle anomalie neuro-comportamentali e delle alterazioni del

funzionamento cerebrale, in risposta al trattamento.

Page 7: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

L’associazione fra personalità borderline e disfunzioni cerebrali è stata valutata, con diversi metodi di ricerca

sperimentale, su pazienti e gruppi di controllo. Alcuni studi hanno confrontato la prevalenza di danni cerebrali, in pazienti

con DBP, confrontandola con la prevalenza, di tali danni, in pazienti con altre diagnosi. Altri studi hanno utilizzato

tecniche investigative e diagnostiche specifiche, per verificare la presenza di una disfunzione cerebrale nei pazienti con

personalità borderline.

Presenza di disfunzioni cerebrali in pazienti con DBP rispetto ad altri pazienti

Alcuni dati preliminari hanno suggerito la presenza di un danno cerebrale nel 29% delle femmine e nel 56% dei maschi

affetti da DBP (42). Questo gruppo di pazienti con “danno d’organo” poteva essere distinto in due sottogruppi. Un

sottogruppo, con disfunzioni cerebrali minime, includeva pazienti con anamnesi positiva per il disturbo da deficit

dell’attenzione e per le difficoltà d’apprendimento. Un secondo sottogruppo includeva pazienti che avevano danni

cerebrali conseguenti o correlabili ad epilessia, traumi ed encefaliti.

In uno studio, i pazienti borderline con “danno d’organo” presentavano:

- esordio precoce della malattia;

- frequenti acting out;

- alta incidenza d’abuso di sostanze in famiglia.

Questo studio riguardava un gruppo di pazienti resistenti al trattamento, trattati in aperto, in cui non era stato previsto un

gruppo di controllo (55).

In uno studio di follow-up sono stati studiati pazienti con DBP e pazienti con diagnosi di schizofrenia, secondo i criteri

previsti dal DSM-III, accoppiati per sesso ed età (56). La percentuale di pazienti con DBP, maschi e femmine, che

avevano avuto un danno cerebrale, era sostanzialmente sovrapponibile alla percentuale riscontrata in precedenza (42). I

pazienti schizofrenici avevano meno danni cerebrali, rispetto ai pazienti con DBP (56).

Andrulonis e Vogel (57) hanno studiato l’incidenza di “danno d’organo”, confrontando i pazienti con DBP, con due gruppi

di controllo, uno costituito da pazienti con schizofrenia e uno costituito da pazienti con disturbi affettivi. I pazienti con

personalità borderline presentavano un danno d’organo nel 40% dei maschi e nel 14 % delle femmine. Solo il 25% dei

pazienti schizofrenici e solo i1 7% dei pazienti con disturbi affettivi avevano segni, sintomi o storie di danno cerebrale

acquisito. La prevalenza di danni cerebrali, riscontrata nei borderline maschi rispetto alle femmine, non fu evidenziata nei

gruppi di controllo, che non avevano differenze legate al sesso.

Soloff e Millward (58-59) hanno esaminato un gruppo di pazienti selezionati con l’Intervista Diagnostica per Borderline

(60), a confronto sia con pazienti con diagnosi di depressione maggiore sia con pazienti con diagnosi di schizofrenia. Gli

elementi significativamente più frequenti tra i soggetti con DBP risultarono essere le complicazioni prenatali, con un

17,8% dei pazienti con DBP vs 0,05% dei pazienti schizofrenici e 4,8% dei soggetti di controllo depressi. Questo studio

non manca di qualche significativo “bias”, cioè l’assenza di un’osservazione in cieco, un’eccessiva fiducia nei dati raccolti

in modo retrospettivo e criteri diagnostici poco definiti, per i disturbi dello sviluppo neurologico.

Un gruppo di pazienti, affetti da un disturbo borderline di personalità, ricoverati in un ospedale per veterani, è stato

studiato da Van Reekum e collaboratori (39). Secondo questo studio retrospettivo 1’81% dei pazienti con DBP, rispetto

al solo 22% dei pazienti di controllo (P<0,0001), presentava una storia certa di ritardo dello sviluppo (44% dei pazienti

con DBP) oppure di danno acquisito al Sistema Nervoso Centrale (58% dei pazienti con DBP). Nell’ambito del “ritardo

dello sviluppo” erano inclusi: il disturbo da deficit dell’attenzione, il disturbo dell’apprendimento e gli altri ritardi dello

sviluppo mentale. I danni al SNC acquisiti includevano gli effetti di traumi, le crisi epilettiche e altre lesioni del SNC, quali:

tumori; idrocefalo; encefalite. Questo studio presenta risultati largamente simili a quelli di Andrulonis et al. (42) e

presenta, anch’esso, dei limiti metodologici legati alla mancanza di un disegno in cieco e di uno studio dei fattori che

potrebbero aver influenzato la scelta del campione e la disponibilità dei dati anamnestici necessari.

La comorbidità tra DBP ed epilessia è stata studiata (61-62). Mendez et al. (63), in uno studio su quest’associazione,

hanno esaminato pazienti ricoverati presso l’University Hospital of Cleveland, negli anni fra il 1981 e il 1987, in seguito a

tentativi di suicidio, per overdose. Il 45,5% dei pazienti epilettici presentava un DBP, contro il 13,6% dei soggetti di

controllo (P<0,0l). Una maggior prevalenza di psicosi (P = 0,06) ed una minor capacità d’adattamento (P<0,05) è stata

evidenziata, nel gruppo di pazienti epilettici, rispetto al gruppo di controllo. L’incidenza di depressione e disturbi

dell’umore era sostanzialmente sovrapponibile nei due gruppi.

Studi neurologici prospettici del disturbo borderline di personalità

Uno studio ha rilevato una maggior presenza d’anomalie bioelettriche cerebrali all’elettroencefalogramma (EEG) in

soggetti con DBP, rispetto a soggetti di controllo depressi (64). Un altro studio ha evidenziato una prevalenza d’anomalie

all’EEG in pazienti borderline, rispetto a soggetti di controllo distimici (65). Una più marcata prevalenza d’anomalie

bioelettriche cerebrali è stata riscontrata in altri studi che hanno confrontato pazienti con DBP e pazienti con altre

diagnosi psichiatriche, incluse le diagnosi di Asse II (66). La prevalenza delle anomalie bioelettriche cerebrali, di

qualsiasi natura ed entità, nei soggetti con DBP, è risultata variare dal 18,8% al 59% (66). Anomalie bioelettriche più

specifiche o gravi sono state registrate in percentuali incluse tra il 13% (66) ed il 41% (64). Nei pazienti borderline non

sono stati evidenziati specifici aspetti, per sede o natura, delle anomalie EEG. Inoltre, non è conosciuto il tipo di

Page 8: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

relazione esistente tra queste anomalie bioelettriche cerebrali e le alterazioni psico-comporlamentali tipiche del paziente

con DBP.

La prevalenza di crisi epilettiche parziali complesse è stata studiata da Cowdry et al. (64) in una popolazione di pazienti

con DBP. La raccolta di prove cliniche, a favore del fenomeno epilettico, ha supportato un’interpretazione, in senso ezio-

patogenetico, delle anomalie bioelettriche cerebrali, presenti nei soggetti con personalità borderline, secondo questi

autori.

La ricerca d’anomalie cerebrali strutturali in pazienti con DBP è stata effettuata con la metodica della tomografia

computerizzata (TC) (67-68). Snyder et al. (69) hanno esaminato le TC di pazienti con DBP senza riscontrare anomalie

anatomiche. Schulz (68) ha confrontato le TC di pazienti con DBP, di un gruppo di pazienti schizofrenici e di una

popolazione normale di controllo. Il volume dei ventricoli cerebrali dei pazienti schizofrenici è risultato significativamente

maggiore, rispetto agli altri due gruppi. In particolare, i soggetti con DBP e i soggetti normali di controllo non

presentavano differenze significative. In uno studio in cieco, Lucas et al. (70) hanno studiato pazienti con DBP e soggetti

di controllo normali, senza evidenziare differenze significative nelle dimensioni dei ventricoli cerebrali, né altre variazioni

anatomiche, degne di nota. Solo in un piccolo gruppo di pazienti con DBP, sottoposto ad esame TC, van Reekum et al.

(39) hanno evidenziato una più alta presenza d’anomalie. La mancata rilevazione alla TC di segni patologici, nei soggetti

con personalità borderline, non esclude la possibilità che nel DBP è presente una sottostante patofisiologia cerebrale.

Molti altri disturbi cerebrali, spesso associati al disturbo borderline di personalità, quali gli esiti di danno cerebrale su

base traumatica, l’epilessia, il disturbo da deficit dell’attenzione, i disturbi dell’apprendimento non presentano specifici

quadri patologici alla TC.

Sono stati condotti studi più sofisticati d’approfondimento diagnostico neurofisiopatologico. Chapin et al. (71) hanno

studiato i tempi di reazione, confrontando fra loro pazienti con DBP e pazienti affetti da altre quattro diverse psico-

patologie. In questo studio i pazienti con DBP presentavano risultati, significativamente diversi, dai pazienti schizofrenici

e dai pazienti con disturbo schizotipico di personalità. I tempi di latenza dei soggetti con DBP differivano

significativamente da quelli dei pazienti schizotipici e da quelli dei soggetti di controllo normali. I dati raccolti, su pazienti

con DBP, non differivano da quelli raccolti, su pazienti con depressione maggiore. Gli autori hanno, quindi, concluso che

i soggetti con personalità borderline hanno pattern neurofisiopatologici diversi dai soggetti schizotipici.

Kutcher et al. (72), studiando la P300 e altri potenziali evocati cerebrali a lunga latenza, hanno dimostrato, nei pazienti

con DBP e nei pazienti schizofrenici “disfunzioni di neuro-integrazione acustica”. I pazienti con DBP presentavano una

latenza della P300 più lunga con un’ampiezza più bassa. Questi dati sono stati evidenziati nei soggetti con DBP e nei

soggetti schizofrenici, in contrasto con quanto registrato nei soggetti normali, nei depressi e nei pazienti con disturbi di

personalità non borderline. Questi dati non identificano spazialmente la disfunzione cerebrale e non chiariscono il

significato delle affinità neuro-biologiche tra DBP e schizofrenia.

Gardner et al. (73) hanno esaminato, in aperto, un gruppo di donne con DBP, valutando i segni neurologici minori, in

confronto con soggetti normali di controllo. Il gruppo di soggetti con DBP aveva più numerosi ed evidenti segni

neurologici minori rispetto ai soggetti sani di controllo (P<0,02). Una differenza significativa tra i soggetti con DBP (65%)

e i soggetti di controllo (32%, P<0,05) è stata evidenziata, utilizzando un cut-off di due o più segni neurologici minori.

(74-75)

In sintesi, gli studi sui correlati neuro-biologici del DBP suggeriscono la presenza di una disfunzione cerebrale, lieve, non

focale, in assenza di grossolane alterazioni strutturali anatomiche. I dati raccolti sono, comunque, non sufficienti per

permettere una chiara interpretazione dei risultati. Saranno opportuni ulteriori e più sofisticati studi, con l’utilizzo di

tecnologie più sensibili, nell’esplorazione del funzionamento cerebrale, in quest’ambito di ricerca, nel futuro.

Studi di neuropsicologia del DBP

Pochi studi sono stati effettuati alla ricerca dei correlati neuro-psicologici del DBP. Cornelius et al. (55) li hanno studiati,

escludendo dal loro campione di pazienti con DBP, i pazienti in cui era verosimile riscontrare una “organicità manifesta”

ed i pazienti con deficit intellettivo. In questi pazienti, affetti da DBP “non organici”, le prove di memoria, linguaggio,

funzionamento motorio e visuo-spaziale sono risultate normali. Tali risultati non devono meravigliare, considerati i criteri

d’inclusione nello studio del campione esaminato. I disturbi clinici dei pazienti con DBP non suggeriscono la presenza

d’anomalie motorie, del linguaggio, della memoria e del funzionamento visuo-spaziale. Al contrario, ciò che è più

evidente, nei pazienti con DBP, è l’impulsività, il comportamento auto-mutilante, l’instabilità emotiva ed affettiva. Tali

comportamenti suggeriscono un coinvolgimento funzionale, nella loro genesi, delle regioni limbiche e frontali.

Van Reekum et al. (39) hanno studiato un gruppo di l0 soggetti con DBP, somministrando una serie di tests

neuropsicologici. I risultati, interpretati in cieco rispetto alla condizione di DBP, hanno evidenziato, su nove pazienti che

avevano completato la batteria di tests, che ben sette presentavano segni neuropsicologici di deficit frontale. I deficit

ineludevano: impulsività; bassa elasticità cognitiva; insufficiente autocontrollo; tendenza alla perseverazione. Questi dati

sono stati ottenuti mediante Wisconsin Card Sort (76), Trails B (77), test della Figura Complessa di Rey Osterreith (78).

Gli altri test neuropsicologici somministrati non hanno dato risultati patologici. Questi dati, in conclusione, sembrano

confermare la presenza di deficit neuropsicologici, correlati alla regione frontale.

Page 9: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

Studio della correlazione tra danno cerebrale e DBP.

La forza dell’associazione tra disfunzioni cerebrali e disturbo borderline di personalità può essere valutata, utilizzando i

criteri di causalità formulati da Hill, nel 1965, (79) vale a dire:

· forza dell’associazione;

· coerenza dei risultati;

· specificità causale;

· rapporto temporale;

· gradiente biologico;

· plausibilità biologica;

· risultati sperimentali e clinici.

Gli studi epidemiologici, le ricerche neurofisiopatologiche e neurologiche, i test neuropsicologici evidenziano una

possibile associazione tra danno cerebrale e disturbo borderline di personalità. Una larga percentuale degli studi

effettuati ha evidenziato una disfunzione cerebrale in un largo numero di pazienti con DBP. Ad oggi manca la certezza di

un rapporto causale specifico. La complessità delle variabili e delle loro interazioni, sin qui evidenziate, giustificano,

almeno in parte, le diverse ipotesi patogenetiche avanzate. Deficit cerebrali specifici sono stati ipotizzati nell’ezio-

patogenesi d’altri disturbi psicopatologici, come il disturbo antisociale di personalità e la schizofrenia. Lo studio del

rapporto temporale tra disfunzione cerebrale e successivo esordio del DBP richiede studi prospettici, attualmente non

disponibili, nella letteratura scientifica internazionale. È verosimile, inoltre, che il disturbo del controllo degli impulsi,

associato, per esempio all’abuso di sostanze, possa indurre, nei pazienti con DBP, danni cerebrali organici o traumatici.

In tal caso, la presenza di disfunzioni cerebrali potrebbe conseguire al disturbo e non causarlo. Ciò nonostante, i danni

cerebrali potrebbero accentuare i tratti di carattere e, probabilmente, potrebbero necessitare di un trattamento integrato

multimodale, specifico e personalizzato (80-85).

L’esistenza di un gradiente biologico, per cui ad un aumento delle disfunzioni cerebrali si associa un aumento della

gravità del DBP, è stato evidenziato solo da van Reekum et al. (39) che hanno correlato direttamente il numero di

disfunzioni cerebrali con il punteggio ottenuto alla DIB (Intervista Diagnostica per Borderline), nel loro campione di

pazienti studiati.

La plausibilità biologica dell’ipotesi per cui una disfunzione cerebrale può indurre effetti comportamentali è già acquisita

in base ai numerosi studi sul danno traumatico cerebrale, sull’epilessia e sulle alterazioni dello sviluppo neuro-cognitivo.

Numerose scale di valutazione clinica del DBP, per esempio, presentano un significativo “overlapping” con quelle

utilizzate per valutare gli effetti comportamentali dei danni cerebrali (86-87). I dati degli studi neuro-psicologici indicano la

presenza di deficit frontali e, soprattutto, del sistema orbito-limbico-frontale. Questo dati sono, sostanzialmente, in

accordo con gli effetti evidenziati in seguito a danno traumatico cerebrale (88) ed in rapporto al disturbo da deficit

dell’attenzione (89-91). Per esempio, la descrizione clinica fornita da Cummings (92) sugli effetti comportamentali delle

lesioni orbito-frontali è molto simile al comportamento dei pazienti con DBP. “Lesioni in questa regione sembrano

separare i sistemi di controllo frontali dall’input limbico, dando come risultato una sindrome di comportamenti disinibiti, in

cui gli impulsi sono agiti senza alcuna considerazione delle loro conseguenze, e, in cui si manifestano azioni antisociali e

con labilità emotiva molto evidente”. È, quindi, verosimile che una disfunzione del sistema orbito-limbico-frontale (93-95)

possa essere considerato il principale fattore ezio-patogenetico del DBP, almeno in una sottopopolazione di soggetti con

personalità borderline.

Le verifiche sperimentali, sul ruolo svolto dalla disfunzione cerebrale nell’ezio-patogenesi del disturbo borderline di

personalità, sono fortemente limitate da fattori etici. In alcuni studi osservazionali clinici, l’uso di diversi trattamenti

farmacologici ha indotto a considerazioni significative, anche in termini d’interpretazione ezio-patogenetica. Alcuni

studiosi hanno evidenziato l’efficacia del metilfenidato su un paziente con disturbo borderline di personalità e

consensuale disturbo da deficit dell’attenzione (96). In uno studio controllato, altri studiosi hanno evidenziato un

miglioramento soggettivo e comportamentale, in un gruppo di pazienti con disturbo da deficit dell’attenzione, in età

adulta, dopo analogo trattamento (97). In un altro studio clinico randomizzato in doppio-cieco è stato evidenziato un

miglioramento clinico, somministrando carbamazepina, su 16 soggetti, di sesso femminile, con DBP (64). Una verifica

sperimentale specifica potrebbe derivare da studi che correlassero i miglioramenti della disfunzione cerebrale con il

miglioramento del funzionamento comportamentale. In analogia con quanto provato per il disturbo antisociale di

personalità, disturbo frequentemente sovrapposto al disturbo borderline di personalità (98), i risultati di questi studi

osservazionali, dopo somministrazione di trattamenti farmacologici, dimostrano come la disfunzione cerebrale svolga un

ruolo patogeneticamente rilevante nel disturbo borderline di personalità (99).

Ruolo ezio-patogenetico delle disfunzioni cerebrali nel determinismo clinico del DBP

I risultati di numerosi studi in letteratura scientifica suggeriscono che le disfunzioni cerebrali possono influire

significativamente sui comportamenti psico-patologici del DBP, inducendoli o aggravandoli. L’ipotesi che le disfunzioni

cerebrali possano determinare i comportamenti psico-patologici può essere sostenuta sulla base degli studi effettuati

sulle lesioni orbito-frontali (92). E’ plausibile, comunque, che, per indurre stabili cambiamenti comportamentali, le

Page 10: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

disfunzioni cerebrali debbano interagire con fattori legati all’ambiente ed all’apprendimento (93-95). Quest’interazione

risulta, ovviamente, di difficile studio, senza adeguati studi prospettici, che permettono, contemporaneamente, la

valutazione, qualitativa e quantitativa, delle disfunzioni cerebrali, dei fattori ambientali e dei fattori d’apprendimento

implicati.

Ciò nonostante, nei pazienti con DBP, disturbi cerebrali e deficit cognitivi sono stati, ripetutamente, evidenziati ed

andrebbero sempre ricercati, nella pratica clinica. Tali anomalie neuro-funzionali potrebbero essere, frequentemente,

riscontrate nei pazienti con più gravi disturbi comportamentali.

Queste considerazioni ezio-patogenetiche hanno, infatti, evidenti implicazioni clinico-terapeutiche Linehan (100). La

riabilitazione comportamentale dei pazienti con DBP dovrebbe, infatti, permettere modificazioni clinicamente rilevanti dei

deficit cognitivi e comportamentali, d’ogni paziente. Un trattamento farmacologici, specifico e personalizzato, dei disturbi

neuro-biologici sottostanti risulta, in questa prospettiva, opportuno e necessario. I pazienti con deficit dell’attenzione ed

iperattività (101) potrebbero giovarsi dell’assunzione di metilfenidato e psicostimolanti. I pazienti con disturbo epilettico

potrebbero essere trattati con carbamazepina ed altri antiepilettici, stabilizzatori dell’umore (99).

La prevenzione degli “acting-out” e dei più importanti disturbi impulsivi, in soggetti con disturbi cerebrali ad alto rischio,

potrebbe avvalersi dello specifico trattamento del disturbo cerebrale, associato con opportuni interventi psico-

educazionali sulla famiglia e/o psicoterapeutici, utilizzando strumenti d’intervento fruibili, anche da chi presenta

limitazioni cognitive evidenti.

NEURO-BIOLOGIA DEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ.

L’ipotesi di un’eziologia neuro-biologica del disturbo borderline di personalità sottintende che nell’individuo ci siano dei

fattori endogeni, su base genetica o acquisiti, che provocano disfunzioni cerebrali e, di conseguenza, specifici disturbi

comportamentali.

Una visione dell’uomo, che non tenga conto dell’influenza esercitata sul comportamento sia da fattori ambientali sia da

fattori costituzionali, è sicuramente riduttiva e semplicistica.

Di seguito saranno esaminati i dati ottenuti dalla ricerca scientifica, sui fattori genetici implicati nell’eziologia del disturbo

borderline di personalità, ma, anche, i dati sulle disfunzioni cerebrali acquisite che possono svolgere un ruolo ezio-

patogenetico sull’insorgenza del disturbo.

Verranno, inoltre, considerati i marker biochimici, che potranno rivelare eventuali fattori patogenetici comuni fra DBP e

altri disturbi psicopatologici, suggerendo i possibili meccanismi fìsiopatologici sottesi al DBP. Ciò può contribuire alla

comprensione di come fattori genetici o acquisiti possano interagire nello sviluppo del DBP.

Alcuni segni patologici minori di tipo neurologico sono stati associati alle anomalie comportamentali, nei pazienti con

DBP da Gardner et al. (73).

Anomalie del potenziale evocato acustico P300 nel DBP sono state correlate all’aggressività impulsiva, che si osserva

nel DBP (102). Il potenziale evocato acustico P300 sembra essere in rapporto con il processo d’elaborazione cognitiva

degli stimoli (103). Non è stata, però, dimostrata una specificità di questo dato neuro-fisiologico nel differenziare i

pazienti affetti da DBP dai pazienti con altri disturbi di personalità o con altri disturbi affettivi. Ulteriori studi saranno

necessari per determinare se le alterazioni del P300, riscontrate nei pazienti con DBP, siano conseguenti all’espressione

clinica del disturbo oppure rappresentino un vero e proprio marker di vulnerabilità (104). Una latenza P300,

particolarmente lunga, si correla con l’incapacità di strutturare risposte condizionate a stimoli ambientali specifici. Tale

anomalia nei soggetti con DBP potrebbe essere correlata a difficoltà nell’apprendimento operante, in altre parole,

nell’acquisizione di nuovi e diversi repertori comportamentali, in risposta a stimoli ambientali già conosciuti, una sorta

d’incapacità a modulare i propri comportamenti condizionati, spesso appresi in età infantile. Inoltre, potrebbe essere alla

base del fenomeno di ricerca di sensazioni nuove e forti (sensation seeking) (105-106), un aspetto presente in molti

pazienti con DBP, soprattutto in quelli che manifestano comportamenti antisociali.

In uno studio sui potenziali evocati, in soggetti normali che cercano sensazioni forti sono state evidenziate variazioni

marcate, in funzione dell’ampiezza e dell’intensità dello stimolo, della componente acustica evocata N1/P2 (107).

Quest’aspetto neuro-fisiologico potrebbe essere correlato al “bisogno di nuove ed eccitanti sensazioni”, alla riduzione

d’interesse veloce per stimoli ripetuti e, quindi, ad un’elevata tendenza a sperimentare noia. Probabilmente, molti dei

pazienti ciclotimici e con diagnosi di Cluster-B, in Asse II, potrebbero presentare simili correlati neuro-fisiologici,

considerato che tendono a mostrare analoghe modalità di ricerca di sensazioni.

Il comportamento dei pazienti con DBP è condizionato, principalmente, dall’ultima impressione sensoriale, insorta in un

rapporto interpersonale, piuttosto che da tutto il vissuto precedente (3). E’ come se essi vivessero in un eterno presente

reattivo, senza le modulazioni comportamentali normalmente dettate dalla memoria affettiva. Anni di rapporti amorevoli

con un partner possono, in un solo istante, essere rimossi dalla memoria ed il soggetto, con DBP, può reagire all’ultima

interazione sociale interpretata, a torto o a ragione, come disturbante, con un’esplosione di rabbia incontrollata.

Un soggetto con DBP si comporta come se i rapporti tra memoria a breve e memoria a lungo termine, soprattutto per

quanto attiene ai rapporti interpersonali ed affettivi, fossero gravemente deficitari. Le conoscenze sul processo di

memorizzazione e sui sistemi neuronali coinvolti sono ancora molto parziali e ben lontani dal fornirci strumenti di

Page 11: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

interpretazione del comportamento dei soggetti con personalità borderline (108).

Il funzionamento mnesico è regolato da vari ormoni, alcuni dei quali sono rilasciati in seguito ad esperienze avversive,

che attivano, per esempio, i recettori noradrenergici all’interno del complesso amigdaloideo (109). Le esperienze

traumatiche del passato potrebbero lasciare tracce mnesiche, talmente forti nella memoria emozionale d’alcuni pazienti

con DBP, da indurre, in seguito a successivi stimoli, che evocano anche solo lontanamente tali esperienze, risposte

comportamentali incongrue. Sarebbe minimizzata la rilevanza di successive esperienze gratificanti, indipendentemente

da quanto intense e costanti possano essere state.

Ciò potrebbe essere l’espressione, quindi, di un disturbo primitivo del sistema omeostatico di gratificazione, dei soggetti

con DBP, che potrebbero essere affetti, in altre parole, da una “disedonia” di fondo (110).

Le caratteristiche della memoria emozionale ed i comportamenti connessi indicano nell’amigdala e nel sistema limbico,

in generale, la regione cerebrale più direttamente coinvolta, nelle varie manifestazioni cliniche del DBP.

La procaina e.v. attiva le strutture del lobo temporale e del sistema limbico, in pazienti con malattie affettive, DBP e

soggetti normali di controllo, provocando distorsioni cognitive e sensoriali, una maggior increzione di cortisolo ed

aumento dei ritmi rapidi elettroencefalografici nei lobi temporali (111).

Nel gruppo con DBP non è stata evidenziata alcuna significativa correlazione tra il grado di attivazione EEG, indotta dalla

procaina, e il grado di miglioramento indotto dalla successiva somministrazione di carbamazepina. La procaina potrebbe

essere uno strumento farmacologico di valutazione della funzionalità del sistema limbico. I dati scientifici in nostro

possesso non permettono, però, di sapere se tale strumento può differenziare specificamente il DBP dagli altri disturbi di

personalità.

Una sovrapposizione diagnostica tra disturbi del lobo temporale, crisi epilettiche parziali e DBP è stata frequente, in

passato. Analogamente il disturbo da personalità multipla ha ricevuto diagnosi di DBP e, a volte, di manifestazioni di crisi

epilettiche parziali.

La personalità multipla può essere efficacemente differenziata dalle crisi epilettiche parziali, utilizzando la Dissociative

Disorders lnterview Schedule (112). Il disturbo da personalità multipla non è, semplicemente, un disturbo del lobo

temporale. I pazienti con crisi epilettiche parziali però, talvolta, soddisfano i criteri diagnostici per il DBP e/o per il disturbo

da personalità multipla. Questa constatazione rende ancora più difficile determinare, se la presenza di un disturbo del

lobo temporale, almeno in un sottogruppo di pazienti con DBP, non possa avere una specifica importanza patogenetica

(42). In quest’ottica, il DBP, il disturbo da personalità multipla e le crisi epilettiche parziali complesse potrebbero avere

alcuni fattori patogenetici ed alcuni correlati neuro-biologici in comune, senza che questo faccia perdere ad ognuna di

queste condizioni cliniche la sua specificità.

La personalità multipla sembra essere indotta da gravi episodi d’abuso e rappresenta una “scissione” estrema, affine, ma

non sovrapponibile, a quanto avviene nel DBP.

Le crisi epilettiche parziali possono essere conseguenza di un trauma cranico, ma non sempre tra trauma e sindrome

comiziale esiste un nesso di causalità. Così l’esistenza di una correlazione patogenetica tra DBP e disturbi, anatomici o

funzionali, del lobo temporale è possibile, sebbene non clinicamente rilevata con sufficiente frequenza.

Il sistema limbico è parte del più complesso sistema di risposta allo stress limbico-ipotalamo-ipofisi-surrenalico (LIIS)

(113). Il coinvolgimento del sistema neuroendocrino LIIS è stato evidenziato, in risposta allo stress acuto, ma, anche, in

relazione ai disturbi depressivi (114).

Considerato il livello di stress, sopportato e indotto, dai soggetti con DBP, gli steroidi e i peptidi implicati nel sistema

neuro-endocrino LIIS potrebbero presentare variazioni significative, anche se non sono stati studiati, specificamente, in

questi pazienti.

I gangli della base, precisamente, caudato e putamen, sembrano contribuire al cosiddetto “habit” o sistema di memoria

procedurale (115). Tali strutture neuro-biologiche sembrano svolgere un ruolo centrale nel processo di memorizzazione

dei pattern cognitivo-comportamentali, non verbali, che includono le convinzioni non criticate e le identificazioni formatesi

nell’infanzia.

Prove cliniche e sperimentali sostengono che il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) è associato alla funzione di tale

sistema mnesico (116-117). Una comorbidità per il DOC è stata evidenziata, in alcuni pazienti con BPD. In tali soggetti,

le convinzioni irrazionali sembrano esercitare un evidente effetto sui processi di pensiero razionale. Nei pazienti

anoressici e bulimici, possono essere esempi di tal effetto, la distorsione irrazionale e non criticabile dell’immagine

corporea, nonché la paura dei cambiamenti, che, su tale immagine corporea, possono essere indotti, da variazioni delle

loro abitudini alimentari.

I soggetti con DBP, sessualmente, fisicamente e verbalmente abusati negli anni dell’infanzia, tenderebbero, in questa

prospettiva a strutturare “habit”, pattern cognitivo-comportamentali di percezione e di reazione, conseguenti alla loro

condizione di vittime degli abusi. Tali “habit” possono essere fortemente disadattivi nei rapporti interpersonali, nel corso

della vita. Ciò nonostante, questi soggetti sono così acriticamente e fortemente legati alle loro distorsioni cognitive, da

accettare raramente interpretazioni del reale più adeguate.

Negli ultimi anni, sono stati proposti approcci terapeutici volti a riprogrammare il sistema mnesico abitudinario, di questi

pazienti, con nuovi strumenti di trattamento, che includono la somministrazione di farmaci serotoninergici e forme

specifiche di terapia cognitiva e di gruppo. In particolare la terapia di gruppo s’ispira a quanto acquisito dai gruppi d’auto-

Page 12: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

mutuo-aiuto, orientati al controllo di specifici impulsi disturbanti, come per gli Alcolisti Anonimi.

Il suicidio e l’aggressività sono, spesso, associati a bassi livelli di serotonina nel SNC. La serotonina è uno dei neuro-

trasmettitori coinvolti nella modulazione dell’inibizione comportamentale. Un deficit di serotonina è associato solitamente

a disinibizione comportamentale (118-119).

La clorimipramina e la fluoxetina, per esempio, sembrano migliorare i sintomi di DOC. Ciò ha aumentato l’interesse per

lo studio di tale neurotrasmettitore anche nel DBP (120). I pazienti bulimico-anoressici spesso presentano tratti di tipo

ossessivo-compulsivo, ed entrambe tali sindromi sono presenti in alcuni sottogruppi di pazienti con DBP.

L’aggressività impulsiva, con tentativi plurimi di violenta auto ed etero diretta, è tipica dei pazienti con DBP. Alcuni

pazienti con DBP manifestano una riduzione dell’aggressività dopo la somministrazione di farmaci, che accrescono i

livelli di serotonina, come clomipramina, SSRI e, indirettamente, carbamazepina (99).

Le donne con DBP, spesso, manifestano distimia e disforia, con tendenza alla depressione e all’irritabilità, durante la

fase premestruale. Le donne con disturbi alimentari possono manifestare sintomi bulimici o anoressici, più intensi, in fase

premestruale. Ulteriori studi sul coinvolgimento funzionale del tono serotoninergico centrale, in funzione del ciclo

mestruale, potrebbe fornire risultati interessanti sui correlati fisio-patologici di tale fenomeno.

Deficit neurologici aspecifici, incluso il disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività, ed eventi stressanti infanti li, quali

abusi verbali, fisici o sessuali, sembrano svolgere un ruolo ezio-patogenetico nella genesi del DBP. Alcuni fattori

prenatali, inoltre, sembrano in grado di predisporre al DBP. L’abuso cronico, nell’infanzia, può lasciare tracce mnesiche

emotive e indurre risposte comportamentali stereotipate, per mezzo d’effetti attivanti sul SNC, tanto marcati e resistenti

alle terapie, quanto lo sono quei disturbi comportamentali, che originano da fattori organici.

La sintomatologia clinica, d’alcuni pazienti con disturbi di personalità, non presenta affinità con i quadri psicopatologici

d’Asse I. Non è irrazionale ipotizzare, però, alla luce della più recente letteratura scientifica sull’argomento, che, almeno

alcuni sintomi, presenti in un sottogruppo di soggetti con disturbo di personalità, possano essere patogeneticamente

correlati ai disturbi mentali maggiori (121).

I disturbi psico-comportamentali presenti nel DBP sembrano correlarsi funzionalmente, almeno in parte, con il sistema

limbico, che in circostanze normali funziona come un filtro emozionale, attraverso cui passano stimoli e risposte (122).

Un sistema limbico eccessivamente reattivo, in risposta a stimoli interpersonali minimi, che possono essere vissuti come

stressanti o come minacce all’incolumità personale, può sollecitare risposte comportamentali estreme, di tipo aggressivo

auto ed eterodirette. Le interpretazioni psicologiche non sempre sono in grado di interpretare queste reazioni improvvise

ed estreme, a stimoli spesso poco significativi, ma aiutano a definire, in modo relativamente utile e preciso, le modalità di

interazione sociale, che innescano tali risposte impulsive. Le frustrazioni infantili possono essere più o meno rilevanti, sul

piano ezio-patogenetico, nella genesi del DBP, in rapporto ad un substrato neuro-fisiologico più o meno anomalo. Una

vulnerabilità neuro-biologica di fondo, sostanzialmente correlata ad un deficit funzionale del sistema omeostatico di

gratificazione, la “disedonia” (110), può essere alla base del DBP. Un disturbo del sistema di memoria procedurale,

sembra svolgere un ruolo in tale vulnerabilità, nella modulazione di risposte comportamentali del tipo “tutto-o-nulla”

tipiche del disturbo borderline di personalità. Ulteriori ricerche potrebbero facilitare, in futuro, la diagnosi di DBP, con

markers più specifici, la sottotipizzazione dei pazienti, nonché la predisposizione di trattamenti integrati più efficaci, in

un’ottica bio-psico-sociale.

COMORBIDITA’PSICHIATRICA E MARKERS NEURO-BIOLOGICI DEL DISTURBO BORDERLINE DI

PERSONALITA’

Diversi indici neuro-biologici sono stati studiati alla ricerca di possibili markers del disturbo borderline di personalità. I

risultati di tali studi presentano importanti implicazioni, sul piano diagnostico, interpretativo e terapeutico. La presenza di

markers neuro-biologici comuni a diversi disturbi psico-patologici induce a formulare l’ipotesi della presenza di

un’analoga pato-fisiologia alla loro base. Ciò non può non indurre ad una radicale revisione del concetto di diagnosi in

psichiatria. Inoltre, la conoscenza dei meccanismi neuro-biologici, alla base di diversi quadri psico-patologici, potrebbe

facilitare la ricerca di nuovi approcci psico-farmacologici e terapeutici integrati, per il loro trattamento.

Sono stati effettuati studi che hanno utilizzato tre diverse metodologie di ricerca nello studio dei markers neuro-chimici e

neuro-biologici nel disturbo borderline di personalità. La metodologia più diffusamente utilizzata è stata quella

d’investigare la prevalenza di questi markers, in vari gruppi di pazienti, con diversa psicopatologia in atto, confrontandola

con la loro prevalenza nei soggetti con personalità borderline (121-123). Un’altra metodologia di ricerca ha utilizzato i

risultati degli studi psico-farmacologici, osservazionali e clinici, per comprendere la fisio-patologia del disturbo borderline

di personalità (40). In ultimo, sono stati predisposti specifici trattamenti sperimentali psico-farmacologici nella ricerca di

tali markers del DBP (124).

Riassumeremo, in breve, l’utilizzo dei markers neuro-chimici e neuro-biologici nella ricerca delle possibili associazioni

ezio-patogenetiche tra DBP ed altri quadri psico-patologici.

Disturbi del tono dell’umore

Page 13: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

Il rapporto tra disturbo borderline di personalità e disturbi del tono dell’umore, è stato, probabilmente, quello più studiato.

I markers neuro-biologici più ricercati si sono avvalsi dello studio del test di soppressione al desametazone (DST), dello

studio del sonno, nonché dell’efficacia di specifici stimoli farmacologici.

In pazienti con DBP, il test di soppressione al DST ha una sensibilità piuttosto bassa, variabile da circa il 10% all’85% e

una specificità che varia dal 37,5% al 92,3 % (121). I problemi tecnici e i criteri di selezione del campione di studio,

quando si utilizza il test di soppressione al DST, rendono la valutazione dei dati, così raccolti, circa questo marker neuro-

biologico, poco affidabili nella valutazione dei pazienti borderline. I pazienti borderline hanno, spesso, disturbi alimentari

e/o disturbi da abuso d’alcol e droghe che inficiano la validità dei risultati ottenuti al test.

I disturbi affettivi, soprattutto la depressione maggiore, si correlano ad una diminuzione della latenza del sonno REM. La

comorbidità tra DBP e depressione maggiore si correla a significative anomalie della latenza e dell’intensità dei

movimenti oculari rapidi (sonno REM). Tale ambito di ricerca sembra confermare l’affinità fisio-patologica esistente tra

disturbi affettivi e disturbo borderline di personalità. Tale associazione non è stata, però, confermata con l’utilizzo d’altri

marker biologici, come il DST e le risposte a stimoli farmacologici specifici (123).

Gli studi sperimentali con l’utilizzo tests psicofarmacologici non hanno dimostrato una significativa associazione tra il

disturbo borderline di personalità e i disturbi affettivi. Alcuni studi, su pazienti con DBP, non hanno evidenziato alcuna

risposta dei sintomi depressivi al trattamento con triciclici. Un solo studio ha dimostrato una certa risposta dei sintomi

affettivi al trattamento con inibitori della monoaminossidasi (99). Non risulta, comunque, verificato che esista un rapporto

tra le risposte dei sintomi bersaglio e il tipo di farmaco utilizzato.

Sindromi schizofreniche

Diversi markers neuro-biologici sono stati studiati nella ricerca della comorbidità tra schizofrenia e disturbo borderline di

personalità. In particolare, lo studio del tracciato oculare di inseguimento visivo (smooth pursuit eye tracking), i potenziali

acustici evocati, l’elettroencefalografia computerizzata ed il dosaggio della monoaminoassidasi piastriniche.

In alcuni studi, sono stati evidenziati in soggetti con DBP potenziali evocati a lunga latenza acustica P300 simili a quelli

registrati in individui schizofrenici (125). Questo marker biologico differenziava significativamente i pazienti con DBP dai

pazienti depressi di controllo.

Alcuni studi hanno evidenziato un coinvolgimento del tono dopaminergico nell’ezio-patogenesi del DBP. Una risposta

disforica alle amfetamine è stata evidenziata da Schulz et al.(101). Effetti analoghi sono stati registrati dopo

somministrazione di metilfenidato da Lucas et al. (70). Dati clinici attendibili hanno evidenziato l’efficacia dei neurolettici,

a basso dosaggio, sui sintomi psico-patologici, dei soggetti con personalità borderline.

In sintesi, alcuni risultati sembrano sostenere che potrebbe esistere un’associazione significativa, sul piano fisio-

patologico tra schizofrenia e DBP. Un rapporto tra queste due entità nosografiche, sul piano ezio-patogenetico, potrebbe

coinvolgere anche alcuni sintomi della sintomatologia schizotipica. Ulteriori studi sono necessari per chiarire i rapporti

esistenti tra questi diversi quadri sindromici.

Disturbi del controllo degli impulsi

Il disturbo borderline di personalità si associa, spesso, ad un disturbo del controllo degli impulsi (10). Una diminuzione

del release di prolattina, in risposta al trattamento con fenfluramina, è stata evidenziata in pazienti aggressivo-impulsivi

(118-119). I risultati ottenuti in questo gruppo di pazienti suggeriscono la presenza di una riduzione del tono

serotoninergico centrale. Questa riduzione del tono serotoninergico centrale è indirettamente confermata dall’efficacia

clinica del litio versus placebo e desipramina (124,126). Il litio tende a diminuire l’aggressività, la rabbia e i

comportamenti etero ed autoaggressivi impulsivi. Al contrario, la desipramina tende ad aumentare tali sintomi (126).

Probabilmente, il trattamento con sali di litio potrebbe avere un effetto terapeutico, sugli aspetti impulsivi del DBP,

modulando il tono serotoninergico. La carbamazepina, farmaco antiepilettico, ma, anche, stabilizzatore dell’umore, è

risultata efficace nel contenere gli aspetti comportamentali di perdita del controllo sugli impulsi, tipici del DBP.

In conclusione, non è ancora possibile stabilire chiare correlazioni fisio-patologiche tra disturbi psicopatologici d’Asse I e

disturbo borderline di personalità, sulla base dei markers neuro-biologici, sino ad oggi studiati. In futuro, tale approccio di

ricerca dovrebbe permettere anche di comprendere le fluttuazioni della sintomatologia di questi pazienti. Inoltre,

variazioni dei diversi marker biologici potrebbero essere correlati agli eventi ambientali stressanti, inclusi i traumi infantili

ed i conseguenti quadri dissociativi, oltre che a condizioni di vulnerabilità e predisposizione, geneticamente determinati.

CRITICA AL CONCETTO DI DIAGNOSI IN PSICHIATRIA.

Una domanda provocatoria: esistono le malattie mentali? Una seconda domanda provocatoria: il concetto di diagnosi in

medicina ed in psichiatria ha lo stesso valore euristico? In Medicina una diagnosi clinica presuppone la conoscenza dei

fattori ezio-patogenetici e di decorso clinico di un disturbo, con chiari correlati organici, fisio-patologici ed anatomo-

patologici (tavolo autoptico). A tutt’oggi, in Psichiatria una diagnosi clinica nasconde la mancata conoscenza dei fattori

Page 14: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

eziologici e patogenetici della malattia, nonché, una sostanziale incapacità di predire il decorso nel tempo, di un disturbo,

che non ha chiari correlati patologici organici. Il concetto di comorbidità in Medicina presuppone la presenza nello stesso

paziente, con sovrapposizione temporale, di due o più specifici quadri patologici (aventi specifiche ezio-patogenesi, fisio-

patologia, decorso, prognosi, etc.). La diagnosi psichiatrica è, per sua natura, una descrizione sindromica, un insieme di

sintomi, raggruppati convenzionalmente in specifici disturbi, nosograficamente rilevanti, sulla cui ezio-patogenesi,

decorso, prognosi etc. poco ancora sappiamo. La comorbidità in Psichiatria nasce dal sovrapporsi, nello stesso paziente,

di segni e sintomi sufficienti per porre diagnosi, presenti in diverse entità nosografiche psichiatriche, che restano

convenzionalmente identificate. Lo sviluppo della ricerca in campo psico-biologico e psico-farmacologico ha evidenziato

variazioni di parametri largamente sovrapponibili in disturbi mentali nosograficamente distanti. Numerosi studi neuro-

morfologici, neuro-fisiologici, neuro-endocrinologici e d’andamento inter-generazionale delle malattie mentali depongono

per una continuità patologica tra i diversi disturbi dello spettro schizofrenico. I disturbi d’ansia ed i disturbi dell’umore

potrebbero essere interpretati come entità distinte o come un fenomeno dimensionale unico. Da un lato è possibile

evidenziare l’esistenza di dimensioni patologiche trans-sindromiche, dall’altro l’approccio categoriale non permette di

cogliere le similarità sintomatologiche parcellari tra sindromi diverse che potrebbero sottendere comuni meccanismi

patogenetici. “Le categorie diagnostiche in psichiatria erano null’altro che ampi cesti che contenevano una varietà di

sindromi più o meno collegate tra loro, non certo entità patologiche genuine” (127). Si è passati da un approccio

diagnostico/ terapeutico rigidamente categoriale (depressione / antidepressivo; ansia / ansiolitico, psicosi / antipsicotico)

ad un approccio dimensionalistico che tende a non considerare come entità reali le categorie diagnostiche psichiatriche

(ipersemplificazioni del reale), considerando i diversi sintomi autonomamente, in un continuum trans-nosografico. Negli

ultimi anni si va, perciò, verso una visione psicopatologica disfunzionale, cambiando l’approccio diagnostico a favore di

una visione dimensionalistica dei disturbi mentali, anziché rigidamente categoriale.

CRITICA DEL CONCETTO DI EZIOLOGIA IN PSICHIATRIA.

Nel concetto di “eziologia” di un disturbo in Medicina e, ancor più, in Psichiatria vi sono diverse questioni implicite e date

per scontate, ma che invece devono essere sempre prese in considerazione nella pratica clinica.

La prima considerazione generale va riferita al concetto stesso di causalità. In termini epistemologici già da molti anni il

mondo scientifico, soprattutto nell’ambito della fisica teoretica (relatività, teoria quantistica) ha messo in crisi il concetto di

spazio-tempo e di causalità lineare. Senza entrare in sottili disquisizioni fisico-filosofiche, una concezione della causalità

in termini di linearità di relazione tra un agente causale (eziologico) ed un effetto conseguente (malattia) è messo in crisi

dalla clinica quotidianamente. Non sempre, forse mai, l’esposizione allo stesso agente patogeno induce quadri clinici

perfettamente sovrapponibili in due soggetti diversi. Ciò dipende, ovviamente, dal complesso rapporto che viene a

crearsi tra un agente patogeno, spesso esogeno ed ambientale, ed organismo inteso come sistema organico, con

specifiche caratteristiche geneticamente determinate, in relativo equilibrio omeostatico (salute). In Medicina, la malattia,

intesa come perdita dell’equilibrio omeostatico bio-psico-sociale dell’individuo, nasce dall’interazione complessa tra

fattori esogeni e fattori endogeni, in un determinato ambiente. In Psichiatria, il modello concettuale, cui ci si riferisce più

diffusamente nella teorizzazione ezio-patogenetica dei disturbi mentali, prevede l’interazione complessa di fattori

ambientali esogeni (agenti stressanti) con le capacità adattive dell’individuo (vulnerabilità). L’esposizione allo stesso

agente stressante può indurre effetti psicopatologici diversi in soggetti diversi, analogamente a quanto avviene negli altri

ambiti clinici, studiati dalla diverse branche mediche. Ogni condizione ambientale può divenire più o meno stressante sul

piano psico-patogenetico, in rapporto alla specifica sensibilità di soglia del soggetto. Non solo, ma lo stesso stimolo

soggettivamente stressante può avere diversa valenza psico-patogenetica, nello stesso individuo, in tempi diversi oppure

in contesti diversi. Lungi dal considerare il rapporto eziologico come relazione lineare tra un evento antecedente ed un

disturbo mentale conseguente, bisogna approcciare con estrema cautela l’universo dei rapporti che intercorrono tra

stimoli ambientali, più o meno soggettivamente stressanti, e malattie mentali, cui si è più o meno vulnerabili.

I problemi legati alla ricerca e alla discussione dell’eziologia di una condizione psico-patologica diventano,

obiettivamente, inestricabili se vi è un’estrema difficoltà nel verificare, se tale quadro patologico esiste come entità a se

stante. La ricerca eziologica è ulteriormente ostacolata dalla definizione stessa del quadro clinico psico-patologico, in

senso clinico e diagnostico-nosografico. Se “esiste in sé”, come definire o delimitare il quadro patologico, in modo

soddisfacente? Come si può cercare le cause di qualcosa se non sappiamo di cosa si tratta e, soprattutto, quando non

sappiamo se è una cosa sola? Paradossalmente la ricerca delle cause di una condizione clinica, volta a stabilire e

definire la condizione clinica medesima, si è dimostrato essere un metodo molto utile in ambito medico. La ricerca

d’eventi antecedenti e di correlazioni passate e presenti, nonché la previsione di andamenti evolutivi futuri, aiuta a

definire più precisamente le ipotesi ezio-patogenetiche, a dirimere raggruppamenti sindromici disomogenei, associati

casualmente, ma anche a strutturarne altri, inizialmente poco evidenti. Comunque, nella ricerca di fattori eziologici del

DBP ci sono delle intrinseche difficoltà, in assenza di un costrutto teoretico e di un metodo esterno di validazione. Si

crea, infatti, una certa circolarità tra quale aspetto specifico della psicopatologia borderline è considerato fondamentale,

nella definizione del disturbo, e quali fattori causali sono privilegiati nella ricerca e nella selezione del campione di

individui, definiti come borderline.

Page 15: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

Gli studiosi che definiscono il DBP, stressandone gli aspetti clinici affettivi, trovano più evidenti meccanismi affettivi alla

base del disturbo. Coloro che definiscono il DBP, sottolineandone i sintomi dissociativi ed i comportamenti autolesivi,

sono più inclini ad evidenziare in senso patogenetico le esperienze di abuso sessuale infantile come fattore causale

principale del disturbo. Chi definisce il DBP come un disturbo da perdita del controllo sugli impulsi, tende a considerare

come principale fattore patogenetico la stessa impulsività, evidenziando con più enfasi i rapporti tra sintomi clinici e loro

correlati neuro-biologici.

Il paziente borderline può far emergere le contraddizioni ed i conflitti esistenti, in senso clinico ed interpretativo, tra

formazione e prassi clinica ad indirizzo biologico ed approcci clinico-terapeutici di ispirazione psicologica, non solo tra i

diversi membri dell’equipe psichiatrica, ma anche stressare, in questo ambito, la vulnerabilità specifica del singolo

terapeuta.

Il tentativo scientifico-nosografico di catalogare ed interpretare, in senso ezio-patogenetico, il DBP facilita, più del solito, il

confliggere d’atteggiamenti interpretativo-terapeutici di diversa impostazione teorica. Trattare la conflittualità e

contraddittorietà intrinseca alla patologia borderline induce, quasi contagiosamente, conflittualità tra gli operatori

psichiatrici di diversa formazione clinico-terapeutica, e confusione negli operatori con doppia formazione, medica e

psicoterapeutica. Questa conflittualità psichiatrica coinvolge da un lato gli aspetti clinico-terapeutici a orientamento

biologico, che considerano i fattori genetici e costituzionali le cause principali delle malattie mentali, privilegiando gli

interventi curativi farmacologici, dall’altro la formazione di ispirazione psicologica, che, assiomaticamente, interpreta i

disturbi mentali come conseguenti ad esperienze esistenziali negative e, quindi, gli interventi psicoterapeutici, quali

fondamentali metodi di cura.

L’esagerata dicotomia tra ognuna di queste posizioni teoretiche tende a sostenere un’interpretazione ezio-patogenetica

riduzionistica del disturbo borderline, sia nell’ottica neuro-biologica, sia in quella psico-socio-ambientale.

Tale dicotomia porterà gli operatori psichiatrici di diversa formazione, nel migliore dei casi ad un confronto dialettico, con

tendenza ad una progressiva “sintesi” inclusiva di diverse interpretazioni, nel peggiore dei casi all’enunciazione di “verità”

inconciliabili ed alla conflittualità esplicita.

Un’ulteriore considerazione critica va avanzata alla assegnazione, in ambito psichiatrico, di una causa specifica ad

eventi o comportamenti non specifici. La medicina ed ancor più la psichiatria si configura come una clinica della

complessità. Ogni essere umano è, per sua natura unico ed irripetibile nelle sue caratteristiche squisitamente individuali,

tanto genetiche che esperienziali. Ogni esperienza di vita è particolarmente complessa e ricca di sfumature, largamente

soggettive. Gli esseri umani sono, per loro natura, molto versatili e capaci di notevole adattamento. Le nostre esperienze

di vita sono esperite all’interno di una complessa rete di rapporti interpersonali, in contesti socio-culturali diversi ed

estremamente variabili. Gli stessi psichiatri non possono esimersi dal partecipare della natura umana, in un determinato

contesto sociale e culturale, nonché in una complessa relazione interpersonale con il paziente, su cui proporre diagnosi

e ricerche ezio-patogenetiche, non scevre da preconcetti e da errori prospettici ed interpretativi.

Ipotizzare semplicisticamente che un evento qualsiasi o un fattore costituzionale qualsiasi è causa di un qualsiasi

aspetto del comportamento umano, è, in sé, fuorviante. Nonostante la consapevolezza della intrinseca complessità,

sottesa al comportamento umano, è pur sempre vero che la clinica psichiatrica, ma anche la scienza nella sua interezza,

tende a isolare il meccanismo mediante il quale un “fattore eziologico” è il necessario e sufficiente antecedente di un

determinato disturbo psico-comportamentale. La questione di una causalità lineare è ovviamente molto più problematica

per le “scienze” del comportamento rispetto ad altri settori della ricerca scientifica e della stessa prassi medica, in altri

settori della clinica. Se un qualsiasi fattore eziologico fosse necessario e sufficiente per indurre il DBP si dovrebbe

correttamente affermare che in ogni paziente affetto da disturbo borderline di personalità dovrebbe sempre essere

riconoscibile la presenza di tale fattore causale. L’inversione dell’ordine dei fattori risulta, nella pratica clinica,

impossibile. Non si può, cioè, sulla base della diagnosi di DBP prevedere quale specifico fattore eziologico lo abbia

causato, in tutti i pazienti riconosciuti come affetti da una personalità borderline.

La presenza per esempio di un disturbo affettivo può essere condizione necessaria ma non sufficiente per l’insorgere di

un DBP, tant’è che non tutti i pazienti con disturbi affettivi sviluppano una personalità borderline. Il disturbo affettivo

potrebbe essere una concausa, in senso ezio-patogenetico, quindi uno dei fattori implicati nella genesi del DBP, in un

sottogruppo di pazienti, ma non può essere considerato “tout court” il fattore causale, forse neanche in un singolo

paziente.

Tali considerazioni possono essere riproposte con la stessa validità per i traumi infantili, i disturbi del controllo degli

impulsi ed i correlati neuro-biologici. In altri termini, il DBP può essere eziologicamente correlato al disturbo affettivo

maggiore, al trauma infantile, al discontrollo degli impulsi, alla disedonia, senza che uno solo di tali quadri sindromici

possa essere considerato il fattore eziologicamente specifico per il BPD.

In questa ottica, ha più senso parlare di concause diversamente combinate tra loro che possono contribuire in soggetti

con specifica vulnerabilità all’insorgere di un DBP.

Paul Meehl (128) ha studiato questi aspetti delle eziologia del DBP enfatizzando il concetto di “forte influenza”.

L’assenza dei fattori eziopatogenetici suddescritti rende improbabile l’insorgenza di un DBP. La loro presenza non è

necessaria e sufficiente ad indurre sicuramente e direttamente un DBP, ma aumenta fortemente la probabilità di

un’insorgenza del disturbo borderline.

Page 16: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

La ricerca sull’eziologia del DBP deve coinvolgere, perciò, una serie di fattori concausali, che possono contribuire,

parzialmente, con maggiore o minore incisività, sullo sviluppo del disturbo borderline.

Qualsiasi teoria eziologica deve, inoltre, tenere in debito conto il principio cognitivo-comportamentale, secondo cui i

comportamenti gratificanti e/o rinforzati diventano abituali e stabili, talora quasi indipendentemente dalle condizioni di

stimolo, che li hanno generati. Alcuni comportamenti, apparentemente disadattivi, come l’infliggersi ferite superficiali

multiple o i disturbi dell’alimentazione possono rispondere ad una disturbo di fondo di tipo disedonico, ma anche essere

considerati soggettivamente, nel tempo, come efficaci meccanismi di riduzione delle tensioni, non più legati alle

condizioni specifiche, che ne hanno prodotto, in origine, l’insorgenza.

La varietà delle ipotesi eziologiche si correla alla varietà delle terapie logicamente conseguenti a ciascuna di queste

impostazioni teoretiche.

La dicotomia tra le diverse teorie eziologiche del DBP sembra ripercorrere in termini clinici l’annosa disputa filosofica tra

ciò che è innato e ciò che è appreso, nell’ambito del comportamento umano, normale e patologico. E’ ovvio che ciò che

ogni essere umano è e diventa viene determinato tanto dalle diverse esperienze esistenziali, quanto da fattori

costituzionali e genetici. La dicotomia innato-appreso si esprime, perciò, nella diversa valenza che viene data ai diversi

fattori ezio-patogenetici suddescritti su particolari aspetti clinici del DBP.

In termini puramente logici, una plausibile teoria eziologica dovrebbe chiarire il rapporto causale tra fattori ezio-

patogenetici e sintomi del DBP, fornendo prove scientificamente valide di tale rapporto. La diversa gravità dei fattori ezio-

patogenetici presenti dovrebbe, inoltre, indurre diversi livelli di gravità del disturbo, secondo un continuum dimensionale

prevedibile. Una teoria ezio-patogenetica completa dovrebbe anche dare razionali spiegazioni della variabilità di decorso

del DBP. Infine, l’efficacia clinica degli approcci terapeutici dovrebbe essere comparabile e correlabile, logicamente, ai

fattori eziologici ipotizzati.

Diversi autori hanno prodotto dati clinici che corroboravano i loro assunti assiomatici di partenza rispetto all’ezio-

patogenesi del DBP.

Van Reekum e coll., studiando i rapporti tra neuroscienze e quadro clinico del DBP, hanno proposto un’analisi

particolarmente suggestiva ed obiettiva. (39)

La trasmissione genetica del DBP non è stata provata scientificamente. Ciò nonostante, sulla base di studi effettuati

negli U.S.A. su gemelli separati (129), che hanno studiato l’ereditarietà del temperamento e di tratti della personalità o di

predisposizioni comportamentali, tra i quali l’esposizione al rischio e la prudenza (avoidance) è emersa una certa

influenza genetica, alla base di alcuni tratti comportamentali, che svolgono un ruolo nello sviluppo del DBP. In altre

parole, probabilmente non esiste una genetica del DBP, ma esiste un genetica di fattori comportamentali, più elementari,

dal cui sommarsi deriva il DBP.

Alcune disfunzioni cerebrali si verificano più frequentemente nei soggetti con DBP, rispetto alla popolazione di controllo.

Ciò si correla all’importanza del ruolo patogenetico svolto dall’impulsività e dalla perdita del controllo sugli impulsi, nel la

genesi del DBP.

Van Reekum et al. (39) hanno precisato, comunque, nei loro studi su quest’argomento, che le prove scientifiche anche in

questo settore restano insufficienti.

130Altri studiosi hanno sottolineato nei pazienti con DBP l’importanza relativa dei comportamenti di tipo impulsivo, quali

aggressività, autodistruttività, disturbi della condotta sociale, disturbi della condotta alimentare ed abuso di sostanze.

Zanarini et al. (19) hanno, inoltre, evidenziato l’importanza relativa dei substrati biochimici e neurofisiologici dei tratti

maladattivi di personalità, come l’impulsività, nell’ezio-patogenesi del DBP, come suggerito anche da Soloff (130).

I soggetti con disturbo borderline di personalità presentano difficoltà nel controllo degli impulsi, ma anche iperreattività a

stimoli apparentemente irrilevanti e scarsa modulazione delle espressioni emozionali. Tali sintomi possono presentare

specifici ed autonomi substrati biologici, sostanzialmente non differenti dai substrati biologici che controllano quegli stessi

comportamenti, anche in soggetto sani (3, 131-132).

Molti studi sui fattori ezio-patogenetici ambientali sottesi al DBP utilizzano come prove gli studi retrospettivi.

I rischi della falsificazione retrospettiva sono alti (37, 133-135) con alti rischi di ipersemplificazione. L’ingiustificata e

popolare ipotesi sull’abuso, come fattore principale nella genesi del DBP, suggerisce un semplice e diretto rapporto tra

abuso subito e personalità borderline. Tali interpretazioni ezio-patogenetiche risultano sicuramente le più diffusamente

accettate fra tutte le altre ipotesi attualmente proposte dagli studiosi.

Le prove che identificano nell’abuso il principale fattore ambientale in grado di indurre o facilitare l’insorgere di un DBP

sono forti, molto più dei fattori in origine ipotizzati, ma non adeguatamente verificati in ambito clinico, da Masterson

(136).

Il persistere di forti adesioni alle ipotesi interpretative di Masterson e la scarsa rilevanza data all’abuso infantile,

nell’ambito della ricerca di fattori ambientali alla base del DBP, insegna quanto sia umano prediligere il pensiero astratto

sistematico alla ricerca operativa sul campo, che fornisce dati reali, ma parziali, anziché visioni d’insieme rassicuranti,

ma meno aderenti alla realtà.

L’ipotesi dell’abuso infantile, come fattore eziopatogenetico ambientale del DBP non è immune da critiche, soprattutto

riguardo alla specificità del rapporto che intercorre tra abuso e genesi delle personalità borderline. Non tutti i soggetti con

DBP hanno subito abusi infantili e non tutti i bambini che hanno subito abuso sono divenuti, da adulti, soggetti borderline.

Page 17: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

Abuso è un termine troppo aspecifico che può includere esperienze traumatiche molto diverse, per tipo, durata ed

intensità soggettiva dell’esperienza. Inoltre, gli eventi traumatici hanno diversa risonanza affettiva, in soggetti diversi ed

in contesti diversi (25, 131, 137). L’episodica violenza subita da un bambino o da un adolescente, può essere meno

destruente dell’ambiente affettivo-relazionale in cui queste violenze vengono perpetrate, avvelenato da abuso di alcol e

droghe, trasgressioni, violenze ripetute, inversione del ruolo genitore-figlio, trasformazione di una figura familiare

protettiva in una fonte di pericolo e di allarme, relazioni affettive e sessuali caotiche. In questi contesti familiari disturbati

e disturbanti, l’interiorità del bambino che ha subito violenza viene irrimediabilmente segnata. Non esistono più relazioni

interpersonali sicure, né figure di riferimento e rifugio. Non si può fuggire ai propri pensieri ed ai propri sogni, che

ripropongono continuamente, nella mente del bambino la scena della violenza, tutte le sue conseguenze reali o

immaginarie, il senso di colpa, la confusione, l’autoaccusa, la vergogna, il senso di indegnità, l’autocondanna.

L’abuso infantile o adolescenziale può non essere episodico, ma protrarsi per tempi ed in ambiti diversi. L’abuso può,

quindi, influire sia sullo sviluppo di personalità, sia sull’insorgere di sintomi specifici. L’ipotesi dell’abuso è suggestiva

soprattutto perché correla gli eventi infantili con i sintomi e la personalità adulta. Uno degli effetti dell’esposizione ad

eventi stressanti, singolo o ripetuti, significativi per l’individuo può essere rappresentato dalle esperienze simil-psicotiche

transitorie, legate allo stress. Ciò si correla alle alterazioni cognitive e alle esperienze dissociative dei pazienti borderline,

con qualche affinità con la sindrome post-traumatica da stress.

Il problema della specificità resta in ogni caso ancora aperto. Non tutti i bambini violentati divengono poi borderline.

L’abuso infantile associarsi anche ad altri quadri psicopatologici. Alcuni studi hanno mostrato che una percentuale

variabile tra il 25 % ed il 50% delle pazienti affette da patologia psichiatrica ha subito violenza sessuale o fisica in età

infantile e/o adolescenziale (138-148). L’abuso in se stesso, senza qualifiche ulteriori, non è sufficiente a giustificare

l’insorgere specificamente di un disturbo borderline.

Sarebbe, perciò, necessario studiare il rapporto esistente tra le caratteristiche del trauma (tipo, intensità, frequenza, età

d’inizio e durata degli abusi, rapporti con la figura specifica del responsabile dell’abuso) con specifici quadri clinici

psicopatologici (134,135,137,149).

A prescindere da questioni nosografiche è probabile che tutti o quasi i bambini vittime di abusi che hanno superato una

specifica e, forse, individuale soglia di violenza, coercizione, intrusività e durata, sviluppino impulsività, comportamenti

autolesivi, instabilità nelle relazioni affettive, labilità di umore, episodi dissociativi post-traumatici e problemi di identità.

D’altro canto non tutti i bambini che hanno subito violenza sviluppano necessariamente un disturbo psichiatrico

clinicamente rilevante o un disturbo borderline di personalità. Tali soggetti sono meno vulnerabili allo stress, in pratica

con migliori capacità d’adattamento e migliori capacità di recupero dopo eventi traumatici. I meccanismi che possono

svolgere tali funzioni potrebbero avere base genetica, ma esprimersi anche nella capacità di stabilire una relazione con

un’altra persona, che ha fornito un sostegno, un attaccamento ed un accadimento sufficiente a compensare la violenza e

l’abbandono subito.

In tal senso, nella ricerca delle basi ezio-patogenetiche della personalità borderline può essere necessario prendere

nella giusta considerazione il rapporto reciproco esistente tra basi biologiche del comportamento e fattori esperienziali.

Il problema metodologico principale con cui bisogna confrontarsi in questo tipo di ricerca è quello della falsificazione

retrospettiva.

Le tracce mnesiche subiscono vari gradi di distorsione. I pazienti borderline tendono a idealizzare e a svalutare le figure

sociali principali di riferimento. L’esperienza pratica con questi pazienti insegna che spesso le loro critiche ed i loro

rancori, comprese quelle rivolte al terapeuta, sono ingiustificate e distorte. Qual è il grado d’attendibilità di questi pazienti

nella rievocazione d’eventi, emotivamente significativi, ma avvenuti 20 o 30 anni prima? Probabilmente molti pazienti

borderline non hanno trascorso un’infanzia terribile con i loro genitori, anche se la descrivono soggettivamente come

tale. Le distorsioni mnesiche diventano perciò estremamente rilevanti.

I limiti metodologici succitati, circa la ricerca dei fattori eziopatogenetici ambientali, sottesi all’insorgere di una personalità

borderline, sono presenti, evidenti e rilevanti negli studi psicoanalitici.

Le varie teorie psicoanalitiche proposte da Kernberg (150-155), Masterson (136), Rinsley (156), e Adler (157) ipotizzano

gravi disturbi dello sviluppo, prevalenti nella fase (18-30 mesi d’età) di separazione-individuazione.

In sintesi, la psicopatologia della madre non permetterebbe, secondo queste interpretazioni, una sana separazione /

individuazione e non permetterebbe lo sviluppo di un’introiezione autoconsolatoria. In conseguenza di ciò, le componenti

libidiche e aggressive delle rappresentazioni del sé e dell’oggetto non verrebbero integrate. Le emozioni negative, in

quest’ottica, non possono essere tollerate. Ne deriverebbe un fragile senso d’identità e il persistere di difese primitive

(scissione e identificazione proiettiva) nella vita adulta.

Purtroppo non è mai stata portata alcuna prova sperimentale e scientifica a sostegno di tali complesse interpretazioni

psicoanalitiche. Nessuno ha mai dimostrato che i pazienti borderline hanno effettivamente avuto una problematica fase

di separazione-individuazione, né che tale gruppo di pazienti n’abbia avuto in maniera significativamente diversa rispetto

ai pazienti con altri problemi psichiatrici. Nessuno ha mai dimostrato scientificamente che le difficoltà incontrate a 18-30

mesi d’età sono stati più rilevanti nella genesi del disturbo borderline rispetto a esperienze stressanti successive. Il

paradosso, in questo tipo di studi, è rappresentato non dal fatto che le prove raccolte siano dubbie o contraddittorie, ma

che non sia presentata né ricercata nessuna prova diversa dalla ricostruzione psicoanalitica di ricordi e rievocazioni

Page 18: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

anamnestiche del paziente adulto A tal proposito Gedo (158) scrive: “Quando ci si impegna a stabilire una serie di

assunti teorici, l’uso potenziale dei dati osservabili si restringe a un esercizio paragonabile all’indossare vestiti ‘pret a

porter’ con l’idea che siano fatti su misura”.

Sulle cause sociali e culturali della condizione borderline molto è stato detto, sebbene, ancora una volta, poco è stato

dimostrato scientificamente rispetto alla specificità dell’eventuale rapporto causale. Le nuove condizioni sociali che

riducono e conflittualizzano i rapporti tra genitori e figli, la perdita di coesione durata dell’istituto familiare e delle altre

istanze sociali, più stabili e rassicuranti in epoche e società diverse da quella occidentale moderna, non possono essere

chiamate semplicisticamente a giustificare l’insorgere del DBP. L’apparente aumento del numero di soggetti con

personalità borderline può, però, dipendere dalla perdita delle capacità familiari di contenimento ed integrazione dei

sintomi che costituiscono il quadro borderline. L’odierna perdita di senso dei valori sociali e del valore sociale

dell’individuo è un dato di facile constatazione. Tuttavia, forse da sempre, ogni generazione ha guardato alla

generazione successiva come fonte di deterioramento dei valori tradizionali. Sebbene le condizioni sociali non sono

cause specifiche dello sviluppo del DBP, la perdita dei valori sociali fondanti è, contemporaneamente, causa ed effetto

dell’instabilità delle famiglie, della perdita di un solido e condiviso senso morale e della inconsapevole legittimazione

dell’egoismo. Tali condizioni possono predisporre la nostra gioventù a sintomi e comportamenti di tipo borderline (159-

162).

Il DBP resta storicamente figlio della cosiddetta “schizofrenia pseudonevrotica” (52), così definita per inquadrare

nosograficamente quei pazienti “difficili”, che durante la psicoterapia peggioravano (163-164). Parte della popolazione

borderline è stata inquadrata, in questa categoria diagnostica, quindi, sulla base degli strumenti terapeutici dei clinici.

Non va sottovalutata, in questa prospettiva una componente iatrogena, ma non un fattore eziologico propriamente detto,

nella genesi del fenomeno borderline.

Sulla base dei dati anamnestici e d’evoluzione clinica del DBP possono essere distinguibili due principali sottogruppi di

soggetti con personalità borderline: I. coloro che hanno subito abusi nell’infanzia e nell’adolescenza, affetti da una sorta

di disturbo post-traumatico da stress cronico, con particolari aspetti temperamentali e caratteriali; II. coloro che

presentano un rapporto stretto tra disturbi del tono dell’umore e sintomi borderline nell’adolescenza e nella prima parte

dell’età adulta e che normalmente presentano una sintomatologia in regressione entro la quarta decade di vita. Tutti i

fattori ambientali incidono, comunque, su esseri umani, frutto di una lunghissima e complessa evoluzione biologica. Va

sempre considerato, perciò, con attenzione il ruolo svolto dalla neuro-biologia nella patogenesi dei sintomi, in ogni

soggetto affetto da personalità borderline, come in ogni altra condizione psicopatologica (165-174).

CONCLUSIONI

In conclusione si può ipotizzare l’esistenza di quattro possibili modelli ezio-patogenetici per il disturbo borderline di

personalità.

I. Un danno cerebrale, prevalente a livello della regione orbito-limbico-frontale, potrebbe causare un disturbo del

controllo degli impulsi, instabilità emotiva ed affettiva, disfunzioni cognitive specifiche ed una vulnerabilità allo

scompenso psicotico. La condizione neuro-biologica predisponente potrebbe dipendere da danni anatomo-funzionali

(175), disfunzioni cognitive ed iperattività limbica, con o senza crisi epilettiche (64), oppure ad alterazioni neuro-chimiche

monoaminiche, coinvolgenti il tono serotoninergico e dopaminergico cerebrale (176). La sintomatologia clinica, sociale e

interpersonale, verrebbe, comunque, modulata, successivamente, da fattori sociali, educativi e traumatici (177-187).

II. I pazienti con DBP potrebbero convivere nella loro infanzia con altri membri della famiglia, spesso i genitori stessi, con

il medesimo disturbo. Ciò esporrebbe i pazienti a comportamenti disturbanti quali l’abuso di sostanze, l’instabilità delle

figure genitoriali, la conflittualità espressa tra genitori, nonché episodi di ‘abuso fisico e/o sessuale. Comportamenti di

questo genere possono alterare persistentemente lo sviluppo psico-sessuale normale ed indurre modelli

comportamentali disfunzionali attraverso l’apprendimento per imitazione. L’insorgere di una personalità borderline

potrebbe conseguire, in tale prospettiva ad un disturbo dello sviluppo del paziente per esposizione a comportamenti

aggressivi, messi in atto da membri della famiglia, con analogo disturbo dello sviluppo. Paradossalmente, lo sviluppo di

tale disturbo di personalità potrebbe essere adattivo al contesto familiare in cui il paziente è vissuto in età infantile e

adolescenziale.

III. Il disturbo borderline di personalità è da considerarsi alla stregua di un disturbo di controllo degli impulsi, con aspetti

di predisposizione genetica. Lo scarso controllo degli impulsi faciliterebbe il rischio di danni cerebrali, traumatici o da

abuso di sostanze, che, a loro volta, possono peggiorare il preesistente disturbo di controllo degli impulsi (188) con

conseguenti e secondari deficit cognitivi. In alcuni pazienti, la disfunzione cerebrale potrebbe non dipendere da un

precedente disturbo del controllo degli impulsi, svolgendo, in questa sottopopolazione di pazienti con DBP il ruolo di

causa principale ed organica dell’impulsività. I comportamenti impulsivi e gli aspetti cognitivi connessi, in assenza di

capacità d’autocontrollo e modulazione nei rapporti interpersonali, indurrebbero ripetuti fallimenti nelle relazioni affettive

e sociali, associandosi in seguito, a depressione, rabbia ed episodi dissociativi.

IV. La strutturazione evolutiva della personalità potrebbe necessitare di un livello minimo di funzionamento cognitivo, e

quindi, di un livello minimo di integrità funzionale del SNC. Qualsiasi fattore esogeno o endogeno sufficiente ad indurre

Page 19: Fattori ezio-patogenetici del disturbo borderline di

danni cognitivi, superiori a questo livello minimo di funzionamento, potrebbe indurre lo sviluppo di una personalità

borderline. Infatti, i danni cerebrali, in soggetti con precedenti elevati livelli di funzionamento, influiscono poco sui

comportamenti e sulla strutturazione di personalità rispetto a quanto gli stessi insulti cerebrali possano influire nel caso di

individui in età evolutiva e con minori capacità cognitive. Una predisposizione genetica, la contemporanea presenza di

un disturbo affettivo o di una vulnerabilità psicotica, ma anche le conseguenze di un’esperienza traumatica, episodica o

ripetuta nel tempo, potrebbero condurre allo sviluppo di una personalità borderline (189-198).

Tali ipotesi interpretative possono non essere reciprocamente alternative. Si può, cioè, ipotizzare che sussistano nel

singolo paziente diversi fattori neuro-biologici di predisposizione e diversi fattori ambientali, educativi e traumatici, che

abbiano svolto un loro specifico ruolo nella genesi del disturbo di personalità. Razionalmente, non tutti i pazienti con lo

stesso disturbo “finale” di personalità devono, perciò, necessariamente presentare una sequenza rigida di fattori

predisponenti, causali o concausali rispetto allo sviluppo psicopatologico (199-201). La condizione di personalità

borderline potrebbe essere, perciò, generata da fattori diversi in soggetti diversi, sebbene i principali fattori patogenetici,

implicati in questo sviluppo psicopatologico, possano essere riconosciuti tra quelli trattati in questa breve rassegna.

Un’interpretazione causale lineare è semplicistica e riduttiva nelle scienze fisiche, alla luce delle più moderne

teorizzazioni scientifiche, che trattano, ormai, di causalità circolare. In medicina ed ancor più in psichiatria la ricerca di

una causalità rigidamente lineare risulta, nei fatti, anacronistica e lontana dalla realtà clinica.

Tali considerazioni conclusive risultano essere gravide di conseguenze cliniche sia sul piano diagnostico sia sul piano

terapeutico. Ulteriori sforzi vanno riservati alla valutazione obiettiva dei risultati terapeutici ottenuti con l’applicazione di

strumenti di intervento sia psicoterapeutici sia farmacologici, in una ottica ampia di tipo bio-psico-sociale (202-210).

Summary

In the last few years, many clinical and experimental studies investigated the role of different factors in the etiology and

pathogenesis of the Borderline Personality Disorder (BPD). In the search of the BPD etio-pathogenesis the relative

importance of biological, psychological and social factors were evidenced by different Authors, with divergent theoretical

approach to the mental disease. So, childhood life events, childhood sexual and physical abuse, affective disorders,

impulse disorders, dissociative disorders, post-traumatic aspects of the behaviour and organic brain dysfunctions were

considered important factors in the genesis of the personality disorder. The role and the significance of selected

neuropsychiatric abnormalities in the etiology of borderline personality disorder seems related strongly to the theoretical

point of view of the different Authors. The interaction of heredity and childhood environment results relevant in the

genesis of the BPD. Behaviours analogous to frontal lobe dysfunction in children with attention deficit/hyperactivity

disorder and in patients with BPD were evidenced. In this update review, a psychobiological theory of borderline

personality disorder is presented in the light of the hedonic homeostatic dysregulation (dysedonia). Some critical

considerations about diagnostic validity in psychiatric illness and a heuristic approach to the etiology of the human

psychopathology were also proposed

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