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RIFLESSIONE BIBLICO-TEOLOGICA E ANTROPOLOGICA-RITUALE (da un intervento di F.G. Brambilla, del 2004, in occasione del Convegno CEI di presentazione del nuovo Rito del Matrimonio) Fedeltà e fragilità nel mistero di Dio e della coppia umana

Fedeltà e fragilità nel mistero di Dio e della coppia umana

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Fedeltà e fragilità nel mistero di Dio e della coppia umana. Riflessione biblico-teologica e antropologica-rituale ( d a un intervento di F.G. Brambilla, del 2004, in occasione del Convegno CEI di presentazione del nuovo Rito del Matrimonio). Il mistero grande dell’amore. - PowerPoint PPT Presentation

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Page 1: Fedeltà e fragilità nel mistero di Dio e della coppia umana

RIFLESSIONE BIBLICO -TEOLOGICAE ANTROPOLOGICA-RITUALE

(da un intervento d i F.G. Brambi l la , de l 2004, in occas ione de l Convegno CEI d i

presentaz ione de l nuovo Ri to de l Matr imonio)

Fedeltà e fragilità nel misterodi Dio e della coppia umana

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Il mistero grande dell’amore

Nel sacramento del Matrimonio prende forma e carne concreta nella coppia umana il mistero dell’amore di Dio.

Dio, nella sua vita trinitaria, è la fonte e il modello di chi si sposa in Cristo.

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La ricchezza del Lezionario

82 testi che illuminano:

il «mistero grande» dell’amore di Dio rivelato in Cristo

e il suo «segno paradigmatico» nella vita della coppia

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Il Mistero dell’Alleanza

L’amore di Dio, fin dall’inizio della storia dell’Alleanza, si è manifestato con tutte le caratteristiche dell’ «amore nuziale» e ha svelato che proprio nella storia d’amore della coppia trova il suo paradigma più luminoso.

La storia della salvezza è il contesto e l’orizzonte più adeguato per interpretare la propria vita coniugale.

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Il mistero della coppia da Genesi all’Apocalisse

Il desiderio d’amore della coppia è iscritto nella natura umana, fatta a immagine di Dio (Gen 1-2), e il suo perseguimento nella fedeltà, anche se non sempre consapevolmente, è risposta alla chiamata divina alle nozze eterne con lui (Ap 19-22).

L’incontro uomo-donna, voluto da Dio, è il luogo di una grazia promettente

e di una cura amorevole di Dio.

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Tra promessa e compimento

L’incontro originario uomo-donna contiene una «promessa» che apre un cammino di comunione per un comune destino.

La promessa chiede «fiducia e affidamento»,il cammino comune è soggetto al «vaglio del

tempo»

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Il paradigma dell’Esodo

Il cammino della coppia conosce, come quello del popolo di Dio, il «deserto», cioè quel tempo e quel luogo dove la meraviglia dell’inizio deve passare attraverso il prezzo della fedeltà.

Fedeltà = prestar credito alla promessa, non solo sulla base dell’esperimento,

ma sulla fiducia della parola scambiata e della Parola di Dio che invita a procedere nel

cammino (contro ogni tentazione di tornare indietro!)

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L’esperienza del deserto

«deserto»= momento in cui i beni offerti dall’altro ci sono e non ci sono, non ne posso far conto

e disporre come voglio.

L’uomo (la coppia) è saggiato nel suo cuore, nella verità della sua libertà e decisione, è messo alla prova nella verità della sua dedizione all’altro.

Tempo «educativo» per non cullarsi sui beni (sperimentati ma indisponibili) e continuare ad affidarsi ad una promessa

più grande (l’altro e la sua ricchezza ancora sconosciuta).

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La fedeltà e la legge

Nel «deserto» la fedeltà del cammino è duramente messa alla prova, perché il cuore dell’uomo fatica a restare attaccato alla promessa (l’amore-donazione dell’altro) e aderisce più facilmente ai beni disponibili (quello che l’altro mi dà o non mi dà ora).

Per questo viene data la legge che protegge il carattere di promessa contenuto nei doni,

perché ad esso ci si affidi sempre nella fedeltà del cammino.

La legge rivela la fragilità del cuore dell’uomo, anche di fronte al credito prestato alla Parola di Dio.

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La fedeltà di Dio, l’infedeltà dell’uomo

I profeti descrivono la storia di alleanza nei termini di un rapporto nuziale, nelle sue ore splendide e nelle sue infedeltà (Is 54;62; Ez 16; Os 2).

In particolare la storia dell’alleanza nuziale di Dio con il suo popolo rivela:

La fedeltà di Dio: la sua cura inesauribile, la sua ricerca appassionata, la sua tenera volontà di riaccoglierlo

L’infedeltà dell’uomo: il peccato come adulterio, tradimento,

rottura della relazione, perdita della relazione vitale.

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Gesù e la nuova immagine nuziale

Gesù riconduce il matrimonio al suo originario splendore di «chiamata divina» all’amore e alla vita eterni, e si propone come sorgente dell’amore divino, a cui attingere per superare le fragilità dell’amore umano e camminare nella fedeltà a se stessi e al proprio destino comune nelle nozze eterne.

Così l’immagine è capovolta: non più l’amore sponsale umano

che rimanda alla comunione con Dio, ma l’amore con cui Gesù ama tutti noi

che diventa sorgente, misura e criterio dell’amore che i due sposi si promettono liberamente.

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Il «mistero grande» dell’amore

Ora il «mistero grande» ha raggiunto la sua pienezza nell’amore di Cristo-sposo per la Chiesa, sua sposa (Ef 5).

E il sacramento del matrimonio è diventato un «segno efficace», perché in esso

si rende presente l’amore di Cristo per la sua Chiesa: un amore unico, di donazione totale e senza ritorno.

L’esperienza pasquale (l’amore di Cristo per la Chiesa fino al dono totale di sé) è l’origine ultima in rapporto alla quale si può dire e compiere il «mistero grande» dell’amore uomo-donna.

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Il sacramento del matrimonio

E’ la buona notizia che pervade il «libero legame» degli sposi, sostenendolo e rafforzandolo perché il loro amore possa superare la sfida della fedeltà.

E’ «mistero di salvezza» : è sorgente di grazia,

antidoto al peccato, all’infedeltà dell’amore umano, alla debolezza del cuore e della carne umani.

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La grammatica dell’amore umano

L’incontro d’amore tra uomo e donna è dato da due movimenti che si devono integrare a vicenda:il desiderio/bisogno e l’incontro/comunicazione.

Il primo movimento (il desiderio/bisogno) nasce spontaneo come un evento fatale

che «stordisce» la libertà e deve quindi maturare, facendo evolvere

il secondo movimento (l’incontro/comunicazione), che permette alla libertà di ritrovarsi e realizzarsi.

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L’amore come desiderio/bisogno

Il desiderio di stare con l’altro, l’attrazione per l’altro che non è solo fisica, ma anche psicologica e spirituale, nasce come bisogno di sottrarsi alla solitudine mortale.

Questo primo movimento dell’amore si muove secondo una dinamica molto schematica

che riproduce indefinitamente il circolo di desiderio-appagamento-sazietà.

Se l’amore fosse solo così, sfiorirebbe presto, perché si stancherebbe, non saprebbe rinnovare i tratti della sua bellezza, assorbirebbe l’altro nel cerchio del proprio bisogno.

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L’amore come incontro/comunicazione

Il bisogno e l’attrazione sono occasione di incontro e dialogo interpersonale, che a poco a poco evolvono nella comunicazione di sé: essa coinvolge tutte le facoltà corporee e diventa luogo di una scelta, ovvero la propria decisione consapevole e responsabile di donazione di se stessi.

Questo secondo movimento è più complesso e profondo del primo

ed esige un lungo apprendistato, richiede di superare l’idea romantica

dell’amore come evento fatale che capita.

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Il lungo apprendistato dell’amore

L’amore nasce come accadimento sorprendente non voluto, ma dischiude davanti a sé il cammino della nostra libertà, che deve assoggettarsi all’esperienza del tempo, entrare nella dinamica della fedeltà, distendersi in un «libero legame», che avviene nel gioco delle libertà.

L’incontro amoroso dei due esige di diventare una scelta di vita consapevole e responsabile.

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L’amore luogo di una decisione etica

L’amore è il luogo di una decisione «etica», che ha a che fare con il bene:

il bene dei due, il bene della vita (non solo del momento),

il Bene che precede e chiama (la volontà di Dio).

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L’amore, un tesoro in vasi di creta

Nell’esperienza sorprendente dell’amore, la coppia scopre il «tesoro» che la vita dona all’uomo perché venga custodito: un tesoro che ciascuno porta in vasi di creta, fragili e deboli, affidati alle mani incerte della libertà, ma che non potrebbe essere portato senza responsabilità, senza il sì personale che si decide continuamente per il Bene,e che si realizza nella decisione di affidarsi giorno per giorno a quei beni che fanno della vita a due un dono da riscoprire e ricreare continuamente.

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Non c’è fedeltà senza l’Altro

C’è sempre il rischio di ricadere nella logica del bisogno e di sottoporre il bene dell’altro all’esperimento immediato.

L’esperienza dell’amore si apre dal di dentro all’invocazione di un Qualcosa che sostenga il sì

dell’uomo e della donna scambiato il giorno del matrimonio.

Il cammino della fedeltà ha bisogno della Parola di Dio (cfr. la legge nel deserto), che dà senso al dono d’amore dell’altro come qualcosa che è sempre «oltre» e «altro»e sollecita la libertà a risceglierlo sempre come nuovo.

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L’Amore sorgente dell’amore

Questo «Altro», irrinunciabile per essere fedeli all’amore, è l’Amore con cui Cristo ci ha amato nella sua Pasqua e ci ama nel suo Spirito.

La forza della Pasqua di Gesù è necessaria al centro della vita matrimoniale,

non alla sua periferia, non solo nel momento del bisogno e del fallimento, non

solo quando il vaso si è rotto, ma per sostenere in positivo il cammino della libertà.

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Il Sacramento sorgente di fedeltà

E’ dunque il mistero pasquale di Cristo, presente nei Sacramenti, la sorgente di fedeltà all’amore coniugale.

Il sacramento del Matrimonio, vissuto a partire dalla celebrazione del suo Rito, e sostenuto dall’Eucaristia e dalla Riconciliazione, è la

possibilità autentica dell’amore di coppia non solo di vivere nella fedeltà, ma anche di compiersi

nell’Amore eterno.

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Il Mistero grande dell’amore

Il contesto pasquale-sacramentale di Ef 5 ci dice che:il «mistero grande dell’amore» non è solo l’Amore di Cristo sposo per la Chiesa sua sposa, ma anche l’amore degli sposi cristiani, che si pongono in relazione con l’amore di Cristo.

San Paolo chiede che le relazioni tra uomo-donna, culturalmente determinate dai ruoli di allora,

devono essere vissute «nel Signore», nella sfera e nella forza del Risorto.

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RIFLESSIONI VARIE

dal l ibro «La f ragi l i tà d i D io» a cura d i B . Sa lvaran i de l 2013,

che raccogl ie intervent i d i var i autor i ( teo logi , fi losofi e let terat i , c r is t ian i cat to l i c i e protestant i , ebrei , l a ic i ) ,

a segui to de l terremoto in Emi l ia -Romagna

Fragilità di Dio e fragilità dell’uomo

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La fragilità è un tabù

«Questo lo sperimentiamo per quanto riguarda l’aspetto, il corpo, la parte materiale del nostro essere, ma anche per le fragilità della nostra anima. Non possiamo concederci la paura, l’incertezza, la disapprovazione dello sguardo altrui»

Maria Pia Cavani, giornalista del «Nostro Tempo»

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La fragilità della persona

«Ci sono fragilità diverse nella persona ma se ci si colloca al livello più profondo dell'esistenza, badando alle qualità della persona vista nell'esercizio del suo relazionarsi agli altri, la fragilità può diventare addirittura una qualità positiva, perchè dice che uno è capace di condivisione e di lasciarsi modificare. Dice anzi che egli non è insensibile, ma vulnerabile, cioè disposto a lasciarsi ferire. Per vivere e crescere in una relazione bella e giusta con l'altro e con gli altri, in effetti, bisogna mettere in conto la possibilità della “ferita dell'altro”»

Piero Coda, teologo cattolico

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La potenzialità della crisi

«Scorgere la possibilità, la potenzialità insita nella crisi non è facile, ma è l'unico modo per affrontare la vita in modo nuovo e creativo. Le crisi hanno la funzione di rompere un equilibrio per spingerci a un equilibrio superiore, che a sua volta dovrà essere messo in crisi, e così all'infinito. Tutto cambia, tutto si modifica e deve modificarsi; se così non è, non vi è vita. E questo vale a livello naturale, così come a livello spirituale ed esistenziale. La crisi è un duro, durissimo aiuto a uscire dai nostri schematismi, dai nostri attaccamenti, dalle nostre rigidità »

Marco Valli/Osel Dorje, insegnante, psicoterapeuta e lama buddista

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Dio è una rocca

«Dio non è solo forte, stabile come una roccia, non è solo potente, ma onnipotente. Così lo confessa la fede cristiana nel primo articolo del suo Credo: è più potente di qualsiasi potenza umana e terrena, ma anche delle potenze del male. Tutto questo è vero e resta vero...eppure si può parlare anche del Dio biblico e cristiano come di un Dio “debole” o “fragile”, senza paura di contraddirci, perchè in Dio l'onnipotenza e la debolezza non sono alternativi, ma due facce della stessa medaglia.»

Paolo Ricca, teologo e pastore valdese

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La forza di Dio è nella sua debolezza

«Il Dio biblico è un Dio che parla: che crea con la sua Parola, che chiama, che invoca, che cerca qualcuno che lo ascolti. Il Dio che affida il suo essere alla fragilità della parola è il Dio che si espone all'alterità dell'uomo e cerca comunicazione e relazione con lui. Fin dal principio Dio è un mendicante di ascolto: chiede all'uomo di fargli la carità di un'accoglienza, di dargli vita entrando in relazione con lui. Perché Dio stesso vive di relazione. Senza l’uomo, egli non è. La forza di Dio è nella sua debolezza, nel coraggio di condividere la propria debolezza, di farsi prossimo all'uomo senza imporgli la propria prossimità, ma mendicando la sua vicinanza e accettando il suo rifiuto: “La Parola venne tra i suoi, ma i suoi non l'hanno accolta” (Gv 1,11). .»

Luciano Manicardi, monaco di Bose

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La fragilità di Dio

«La fragilità di Dio è l'essenza stessa del Dio biblico che fin dall'inizio, nell'atto della Creazione, facendo essere l'altro da sé – il mondo e l'uomo - si autolimita e rinuncia al proprio potere; abbandona l'onnipotenza e si rende partecipe della fragilità umana. Fin dalle prime battute, il Dio biblico vive di relazione: tesse legami, sperimenta la dipendenza, il dover fare i conti con l'altro. Il racconto poetico della nascita del mondo ci rivela un Dio che cerca la relazione.»

Lidia Maggi, teologa, pastora battista

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La potenza fragile del Dio biblico

La Parola di Dio, non accolta, non cessa tuttavia di parlare. Il Dio inascoltato, resta il Dio che parla. La forma del suo parlare, infatti, è il promettere. Il Dio che promette dà forma al futuro, impegna se stesso al futuro. Promettere è sempre promettere se stessi. Che altro è la storia del popolo di Israele se non la storia della promessa di Dio, fragile eppure sempre rinnovata? E dunque sempre risorgente dalle proprie ceneri? Dio come promessa: ecco la potenza fragile del Dio biblico. Ecco la parola che trae forza dalla propria fragilità. La parola che assume il negativo e il male della storia e dell'uomo e non se ne lascia scoraggiare, ma continua a dirsi al di là di ogni fine, risorgendo dopo ogni morte. .»

Luciano Manicardi, monaco di Bose

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La fragilità di Dio

«Dio è fragile, è debole, perchè ama e l'amore rende vulnerabili, esposti al rischio di essere rifiutati. Dio è fragile. Non può contare sulla nostra adesione incondizionata. E' sottoposto alla severa verifica del suo operato, alle nostre valutazioni sui vantaggi della relazione con lui. E quando i conti non tornano, perchè Dio ci delude e risulta inadempiente, noi non gli rinnoviamo il contratto. Le ragioni di tale licenziamento in tronco possono essere serissime; e tuttavia il fatto di poter decidere di smettere di credere in lui e di poter recidere il patto, mette in chiara luce come sia inadeguata l'immagine classica di un Dio Onnipotente. Egli è piuttosto un lavoratore precario, costretto a rinegoziare continuamente il contratto stabilito con noi. Dio è fragile: la sua immagine in noi può esplodere in mille frammenti, quando attraversiamo le tempeste della vita »

Lidia Maggi, teologa, pastora battista

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Il Dio «debole»

«Dio è tanto pazzo (d'amore) da sacrificare il Figlio, per riconciliare il mondo a sé. Dio non è mai tanto debole come quando nel suo Figlio muore sulla croce: la morte è per chiunque debolezza estrema e irrimediabile. Il “Dio debole” è il “Dio crocifisso” che costituisce, insieme alla risurrezione, il cuore della Rivelazione cristiana. Ma la debolezza di Dio si era già manifestata il giorno in cui Gesù nacque da una ragazza madre di nome Maria di Nazaret. Nulla al mondo, come sappiamo, è più fragile di un neonato. Così la debolezza di Dio non caratterizza solo la fase finale del mistero terreno di Gesù, ma anche quella iniziale.»

Paolo Ricca, teologo e pastore valdese

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I tratti del Dio «debole» in Gesù

«Gesù, in tutta la sua vita, dall'inizio alla fine, manifesta i tratti di un “Dio debole”: fa miracoli come Dio, ma nessuno in favore suo, soprattutto non fa quel miracolo risolutivo e decisivo che avrebbe fugato tutti i dubbi sull'identità divina... Il “Dio debole” appare anche nel fatto che Gesù non è un “sacerdote”, non occupa gli spazi della religione, quelli che lo renderebbero “evidente” nella sua “divinità”, ma un “laico” qualunque, che vive la sua identità nella profanità della vita di tutti i giorni, in maniera per così dire nascosta, lasciando che siano gli uomini a scoprirlo attraverso la relazione profonda con lui. Infine il Dio debole appare nel fatto che Gesù non cancella la debolezza degli uomini con la sua potenza, ma la condivide, vivendola lui stesso con noi, soffrendo con l'uomo che soffre, portando su di sé tutto il dolore del mondo .»

Paolo Ricca, teologo e pastore valdese

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Lo sguardo di Dio sulla nostra fragilità

«Lo sguardo di Dio sulla nostra fragilità (che noi non vogliamo accettare) è quello che Gesù rivolge all'adultera, alla samaritana al pozzo o al giovane ricco: uno sguardo d'amore, che accoglie la fragilità, che conosce anche nell'intimo ogni esitazione, ogni sbavatura, ogni errore e ogni deviazione e ama a partire da quelle stesse caratteristiche che noi vorremmo negare, in primo luogo a noi stessi. E' lo sguardo di un Dio-fratello che sceglie la via dello stare accanto e del mostrare, per insegnarci l'amore, la vita.»

Maria Pia Cavani, giornalista del «Nostro Tempo»

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La fragilità ci avvicina a Dio

«L'esperienza della fragilità, se la leggiamo con gli occhi di Gesù, ci avvicina a Dio. Anzi ci fa entrare nel mistero del suo amore, che è amicizia e libertà. E' questo, a ben vedere, che la fede cristiana esprime confessando che Dio è Trinità e cioè amore donato, accolto e a piene mani, senza distinzioni, ovunque, e in ogni caso testimoniato (Cfr.1 Gv 4, 9-12) .»

Piero Coda, teologo cattolico