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«Italia contemporanea», giugno 1981, fase. 143 Studi e ricerche Femminismo e socialismo in Anna Kuliscioff. 1890-1907 Analizzare l’impegno della Kuliscioff per l’emancipazione della donna comporte- rebbe in realtà tracciarne l’intera biografia. La militanza rivoluzionaria in patria, l’iscrizione all’Università di Zurigo la scelta di una « libera unione » con Costa e di una maternità non legittima, nonché la laurea in medicina faticosamente con- seguita a Napoli2 e la specializzazione in ginecologia non sono altro che gli episodi più vistosamente emergenti di una coraggiosa testimonianza di « femminismo ». I caratteri peculiari della figura della rivoluzionaria russa3 emigrata in Europa —• comuni, oltre che alla Kuliscioff, a tutta una generazione di militanti socialiste — sono stati messi in risalto da Haupt: « La femme révolutionnaire russe — egli af- ferma — ayant conquis f...| l’égalité avec l’homme dans tous les domaines de l’activité sociale, L...| exerce une fascination toute particulière. Elle n’est pas seule- ment éngagée, mais cultivée, politiquement formée. Elle est [...] la personnification de la femme émancipée »4. Le studentesse russe rappresentavano, dunque, in occi- dente, verso la fine dell’800, l’immagine stessa della donna « moderna » e ciò trovava conferma nel fatto che — come testimoniano il caso di Jaclard, Liebknecht Questa ricerca è stata condotta nel quadro del programma Cnr su « Il Psl: struttura, organizza- zione, ideologia dalle origini al fascismo » diretta da M.G. Rossi. 1 JAN M. meier, Knowedge and Revolution. The Russian colony in Zuerich (1X75-1X95). A con- tribulion to thè study of Russian Populism, Assen, Von Gorcum, 1955, pp. 72-73. 2 La Kuliscioff fu la prima donna laureatasi in medicina e chirurgia all’Università di Napoli (Cfr. melanie lipinska, Histoire des femmes médecins, Paris, Librairie G. Jacques & C., 1900, p. 467); sugli studi universitari della Kuliscioff, v. luigi bulloni, Anna Kulisciojf allieva del Ca- toni e del Golgi e le sue ricerche sull’etiologia della febbre puerperale, in « Physis », 1978, pp. 337-348; per quanto riguarda la specializzazione in ginecologia cfr. camjllo golgi. Sui mi- crorganismi dei lochi normali. Studi fatti dalla sig.ra Anna Kuliscioff nei laboratori di patolo- gia generale, in « Bollettino della Società medico-chirurgica di Pavia », 1886, pp. 62-64 e in « Gazzetta degli Ospitali », 1886, p. 639. 3 RICHARD STITES, The women’s Liberation Movement in Russia, Feminism, Nichilism and Bolschevism (1X60-1930), Princeton, University Press, 1977; cathy porter, Donne in rivolta nella Russia zarista, Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 92 sgg.; Christine faurè, Quatres femmes terroristes contre le Tz.ar. Vera Zasoulic, Olga Loubatovitch. Elisabeth Kovalskaia, Vera Figner, Paris, Ma- spero, 1978; K. waliszewski, Le femme russe, Paris, Plon, 1926, pp. 1-11. 4 Cfr. la relazione tenuta da Georges Haupt su Emigrés et réfugiés: leur róle dans la dif- fusion des idées socialistes à Tépoque de la llème Internationale al Convegno storico interna- zionale su Anna Kuliscioff, Milano, 16-18 dicembre 1976. ora solo parzialmente riprodotta in aa. vv., Anna Kuliscioff e l’età del riformismo. Atti del Convegno di Milano, 1976, Roma, ed. Avanti!, 1978, pp. 59-69; dello stesso autore vedi anche, a proposito degli esiliati russi. Róle de l’exile dans la diffusion de l'image de Tintelligentsia révolutionnaire, in « Cahiers du monde russe et sovietique », 1978, n. 3, p. 237.

Femminismo e socialismo in Anna Kuliscioff. 1890-1907 · 2019. 3. 5. · Femminismo e socialismo in A. Kuliscioff 13 e i principi cangiandosi con essi, e modificando i rapporti degli

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«Italia contemporanea», giugno 1981, fase. 143

Studi e ricerche

Femminismo e socialismo in Anna Kuliscioff. 1890-1907

Analizzare l’impegno della Kuliscioff per l’emancipazione della donna comporte­rebbe in realtà tracciarne l’intera biografia. La militanza rivoluzionaria in patria, l’iscrizione all’Università di Zurigo la scelta di una « libera unione » con Costa e di una maternità non legittima, nonché la laurea in medicina faticosamente con­seguita a Napoli2 e la specializzazione in ginecologia non sono altro che gli episodi più vistosamente emergenti di una coraggiosa testimonianza di « femminismo ».I caratteri peculiari della figura della rivoluzionaria russa3 emigrata in Europa —• comuni, oltre che alla Kuliscioff, a tutta una generazione di militanti socialiste — sono stati messi in risalto da Haupt: « La femme révolutionnaire russe — egli af­ferma — ayant conquis f...| l’égalité avec l’homme dans tous les domaines de l’activité sociale, L...| exerce une fascination toute particulière. Elle n’est pas seule­ment éngagée, mais cultivée, politiquement formée. Elle est [...] la personnification de la femme émancipée »4. Le studentesse russe rappresentavano, dunque, in occi­dente, verso la fine dell’800, l’immagine stessa della donna « moderna » e ciò trovava conferma nel fatto che — come testimoniano il caso di Jaclard, Liebknecht

Questa ricerca è stata condotta nel quadro del programma Cnr su « Il Psl: struttura, organizza­zione, ideologia dalle origini al fascismo » diretta da M.G. Rossi.1 JAN M. m eier , Knowedge and Revolution. The Russian colony in Zuerich (1X75-1X95). A con- tribulion to thè study of Russian Populism, Assen, Von Gorcum, 1955, pp. 72-73.2 La Kuliscioff fu la prima donna laureatasi in medicina e chirurgia all’Università di Napoli (Cfr. melanie lipin sk a , Histoire des femmes médecins, Paris, Librairie G. Jacques & C., 1900, p. 467); sugli studi universitari della Kuliscioff, v. luig i bulloni, Anna Kulisciojf allieva del Ca­toni e del Golgi e le sue ricerche sull’etiologia della febbre puerperale, in « Physis », 1978, pp. 337-348; per quanto riguarda la specializzazione in ginecologia cfr. camjllo golgi. Sui mi­crorganismi dei lochi normali. Studi fatti dalla sig.ra Anna Kuliscioff nei laboratori di patolo­gia generale, in « Bollettino della Società medico-chirurgica di Pavia », 1886, pp. 62-64 e in « Gazzetta degli Ospitali », 1886, p. 639.3 RICHARD STITES, The women’s Liberation Movement in Russia, Feminism, Nichilism and Bolschevism (1X60-1930), Princeton, University Press, 1977; cathy porter, Donne in rivolta nella Russia zarista, Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 92 sgg.; Christine faurè , Quatres femmes terroristes contre le Tz.ar. Vera Zasoulic, Olga Loubatovitch. Elisabeth Kovalskaia, Vera Figner, Paris, Ma- spero, 1978; K. w a lisze w sk i, Le femme russe, Paris, Plon, 1926, pp. 1-11.4 Cfr. la relazione tenuta da Georges Haupt su Emigrés et réfugiés: leur róle dans la dif- fusion des idées socialistes à Tépoque de la llème Internationale al Convegno storico interna­zionale su Anna Kuliscioff, Milano, 16-18 dicembre 1976. ora solo parzialmente riprodotta in aa.vv., Anna Kuliscioff e l’età del riformismo. Atti del Convegno di Milano, 1976, Roma, ed. Avanti!, 1978, pp. 59-69; dello stesso autore vedi anche, a proposito degli esiliati russi. Róle de l’exile dans la diffusion de l'image de Tintelligentsia révolutionnaire, in « Cahiers du monde russe et sovietique », 1978, n. 3, p. 237.

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e Fritz Adler — il matrimonio con le rivoluzionarie russe era assai frequente negli ambienti socialisti, a partire dagli anni ottanta sino alla prima guerra mondiale 5.L’esempio personale, l’impronta carismatica sono quindi elementi non irrilevanti nella rappresentazione della donna e della femminista russa dell’epoca, tanto più in Italia, dove le donne straniere avevano esercitato — come rilevava Pasquale Villari — un ruolo di primo piano nella storia del rinnovamento del costume6 7. Assai interessante sarebbe perciò raccogliere il suggerimento dello stesso Haupt che, traendo spunto dal rapporto tra Costa e la Kuliscioff, segnalava l’opportunità di condurre uno studio incentrato sulla « coppia socialista » del tempo.Se il campo del « privato » può offrire, comunque, spunti originali per una storia del costume 7 è quello « pubblico » che prevale nella biografia del personaggio. Ed è di fondamentale importanza, per la ricostruzione di un’immagine complessiva della Kuliscioff, ricordare, oltre alle elaborazioni teoriche e alle prese di posizione politiche, l’attività pratica — di cui si trovano vari accenni nel carteggio con Costa 8 — che essa svolse fra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta in qualità di ginecologo e di medico 9, nell’ambulatorio creato a Milano dalla Ra- vizza 10 11, nelle cliniche e negli ospedali di Napoli, di Como e di Milano.Ma già nel 1880, nel Programma della « Rivista internazionale del socialismo » ” , redatto insieme a Costa, traspariva l’interesse precipuo della Kuliscioff per i pro­blemi delia donna e in particolare per il suo status sociale. Il Programma conte­neva già in nuce la futura impostazione kuliscioviana della problematica emanci- pazionista, priva di accentuazioni « antimaschiliste » — per usare un’espressione corrente —, engelsiana ante litteram e, peraltro, fortemente influenzata dal pen­siero saint-simoniano 12. La rivista si rivolgeva « agli operai, alla gioventù, alle donne » e proseguiva:

Diciamo le donne e non per vuota galanteria, ma perché importa che esse parteci­pino all’attività sociale. Non lo fecero mai sino ad ora [...]; ma ciò avvenne, a parer nostro, perché le riforme introdottesi nei tempi moderni nell’orientamento sociale non ebbero carattere generale ed umano, ma, le condizioni di vita cangiandosi e gli ideali

5 g . h a u pt , Emigrés, cit., p. 30.6 pasquale villari, Le memorie di Margherita Fuller Ossoli, in Scritti vari, Bologna, Zani­chelli, 1911, (prima edizione 1894) pp. 231-259.7 Per la ricerca compiuta in questo campo dalla recente storiografia v. in particolare erica scroppo, Donna, privato e politico. Storie personali di 21 donne del Pei, Milano, Mazzotta, 1979 e danilo montaldi, Militanti politici di base, Torino, Einaudi, 1971.8 Anna Kuliscioff. Lettere d’amore ad Andrea Costa, a cura di Pietro Albonetti, Milano, Fel­trinelli, 1976, pp. 290, 292, 305-6, 316.9 Sulla figura del medico socialista v. l’interessante studio di tommaso detti, Medicina, demo­crazia e socialismo in Italia tra ’800 e ’900, in « Movimento operaio e socialista », 1979, n. 1, pp. 3-49; luig i faccini, Storia sociale e storia della medicina, in « Studi storici », 1976, pp. 257- 64; l u isa dodi, I medici di fabbrica. Prime linee di ricerca, in « Classe », 1978, n. 15, pp. 21-64.10 Cfr. Enzo Santarelli, Alessandrina Ravizza, in II movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, Editori Riuniti, 1978, voi. IV, p. 305. a Milano la Kuliscioff era regolarmente iscritta all’Albo dei medici (cfr. gaetano savallo, Guida di Milano nel 1889, Milano, Agenzia Savallo Edit., Tipografia degli operai, 1889, p. 517).11 « Rivista internazionale del socialismo », 1880, n. 1, pp. 1-4.12 Tra le teorie utopistiche che sostenevano l’eguaglianza della donna è probabilmente quella di Saint Simon ad avere più influenza sulla Kuliscioff che a Zurigo, nel 1871-72, aveva fatto parte del gruppo San Zebunista di chiara ispirazione saintsimoniana. La stessa definizione del socialismo come « la più ampia espressione della perfettibilità umana » (v. Programma, cit., p. 3) appare derivata dal pensiero di Saint Simon, la cui influenza si avverte, inoltre, nell’articolo di eugenie Pierre, Libere unioni, pubblicato sul secondo numero della rivista di Costa e della Ku­liscioff (pp. 1-9), che accoglieva del resto anche un lungo articolo di Pistoiesi su Saint Simon e la sua scuola (1880, n. 6, pp. 5-15).

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e i principi cangiandosi con essi, e modificando i rapporti degli uomini fra loro, noi non possiamo non comprendere la donna nell’epoca rinnovatrice a cui i tempi e le convin­zioni nostre ci chiamano, se vogliamo che non si trasformino solo le condizioni esteriori ed apparenti della vita, ma i rapporti personali e famigliari ed il Socialismo si insinui nella vita di ogni giorno e cangi in meglio le abitudini, i costumi, insomma tutto l’es­sere umano » ii * 13.

Si osserva inoltre come la coscienza dell’importanza del ruolo sociale delle donne cominciasse a manifestarsi un po’ dappertutto. In Russia esse partecipavano quanto e forse più degli uomini all’attività politica, militando nei partiti rivoluzionari; in Francia avevano esercitato un ruolo di primo piano al congresso operaio di Mar­siglia; nel Belgio, rimpiangendo la poca attenzione prestata alle donne, si ricono­sceva la necessità di propagare fra di loro il socialismo e anche in Italia comincia­vano a manifestarsi i sintomi di un risveglio politico e culturale delle donne: esse scrivevano libri e collaboravano a giornali, iniziavano a frequentare l’università, erano arrestate e processate come cospiratrici.Indirizzandosi alla donna come « persona », in tutto e per tutto alla pari con l’uomo, il Programma della rivista appare particolarmente interessante e non tanto perché permette di retrodatare l’inizio dell’attività politica della Kuliscioff a favore dell’emancipazione femminile, quanto perché costituisce un’inequivocabile testi­monianza della necessità di attenuare il giudizio storiografico che presenta la posi­zione della Kuliscioff come meramente « economicistica » e « meccanicistica ».Con ciò non si vuol affermare che un certo determinismo sia — come vedremo in seguito — del tutto estraneo alla formazione ideologica kuliscioviana, che si colloca pur sempre in un contesto secondinternazionalista, ma piuttosto restituire una dimensione di problematicità alla ricostruzione storica dell’iter intellettuale del personaggio, che si presenta in realtà quanto mai complesso ed articolato. A questo scopo, più che inoltrarsi nella valutazione della maggiore o minore presenza della componente economicistica nel pensiero della Kuliscioff e di una sua contrappo­sizione con il libertarismo di Anna Maria Mozzoni — tematica su cui si incentra l’intervento di Franca Pieroni Bortolotti al convegno di Milano del 1976 14 — sem­bra opportuno privilegiare, approfondendo lo studio iniziato da Aurelia Campa­rmi 15, l’analisi del faticoso travaglio interiore che sottende la posizione della Ku­liscioff, cercandone il collegamento con l’ambiente politico e culturale del tempo 16.Nonostante l’attenzione per la questione femminile rappresenti una costante all’in­terno del pensiero della Kuliscioff è forse il periodo compreso fra l’ultimo decen­nio del secolo e i primi anni del ’900 quello in cui il suo impegno sui problemi delle donne è più intenso e proficuo, ed è appunto su tale periodo che intende soffermarsi l’attuale ricerca.In questi anni l’attività della Kuliscioff si riallacciava a due ordini di motivi, per­

ii « Rivista Internazionale del socialismo », 1880, n. 1, p. 3.U franca pieroni bortolotti, La Kuliscioff e la questione femminile, in Anna Kuliscioff el'età del riformismo, cit., pp. 104-139.15 aurelia camparini, La questione femminile come problema di classe, in Anna Kuliscioff,cit., pp. 309-320.16 Per quanto riguarda il tentativo compiuto dalla Kuliscioff ne II monopolio dell’uomo di uscire dalle secche della cultura positivistica cfr. Eugenio Garin, La questione femminile (cento anni di discussioni), in « Belfagor », 1962, n. 1, pp. 35-36. Sulla figura della Kuliscioff in generale si vedano inoltre: franco venturi, Anna Kuliscioff e la sua attività rivoluzionaria in Russia, in « Movimento operaio », 1952, p. 277 sgg.; il saggio introduttivo di Pietro Albonetti, in anna k u liscio ff , Lettere d’amore ad Andrea Costa, cit.; Brunello vigezzi, Giolitti e Turati. Un in­contro mancato, Milano, Ricciardi, 1976.

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sonali da un lato, in corrispondenza di un’attività sociale a livello individuale; politico-economici dall’altro, in quanto è tra la fine degli anni novanta — nella transizione cioè dal Partito operaio al Partito dei lavoratori italiani — che l’agita­zione delle donne impiegate nell’industria inizia ad assumere un peso politico, po­nendo d’altro canto sul tappeto il problema della necessità del collegamento di queste prime manifestazioni di protesta « spontanea » 17 con le rivendicazioni delle categorie operaie cittadine inquadrate nelle società di resistenza che, avendo acqui­sito una più matura coscienza sindacale attraverso le esperienze di lotta, avrebbero potuto fornire un contributo importante sul piano organizzativo e della direzione 18.Si trattava del resto del periodo in cui il peso della manodopera femminile all’in­terno della classe operaia italiana era più massiccio, data la netta predominanza, nella prima fase di sviluppo del capitalismo, dell’industria leggera e dell’industria tessile in particolare 19.L’aumento vertiginoso delle donne lavoratrici è il dato che la Kuliscioff maggior­mente valorizza nelle sue analisi. Nella conferenza, tenuta il 27 aprile 1890 su Il monopolio dell’uomo essa osserva, con un’estrema precisione nella rilevazione dei dati, tratti dall’inchiesta dell’EIlena20, come su 382.131 operai, il 27,10 per cento fossero uomini e il 49,32 per cento donne, come cioè, a parte i fanciulli, la classe operaia italiana fosse composta da 103.562 uomini e 188.486 donne, impie­gate, per la maggior parte, nell’industria tessile.Nel corso di un’altra conferenza sul Proletariato femminile2l, del 1893, essa ne

17 La mancanza di regolarità, il carattere impulsivo degli scioperi avrebbero a lungo caratte­rizzato le rivendicazioni operaie nelle fabbriche dove predominavano le maestranze femminili (Cfr. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Statistica degli scioperi avvenuti nell’in­dustria e nell'agricoltura nel 1905, Roma, 1906, p. 4 (cit. in adriana lay, dora marucco, maria l u isa pesante, Classe operaia e scioperi, ipotesi per il periodo 1880-1923, in « Quaderni storici », 1973, pp. 105-106).18 enzo Santarelli, Donne e lotte di massa in Italia, in « Critica marxista », 1978, n. 5; p. I l i sgg.; lu isa osnaghi dodi, Sfruttamento del lavoro nell'industria tessile comasca e prime esperienze di organizzazione operaia, in « Classe », 1972, pp. 134-136; adalberto nascim bene, Il movimento operaio lombardo tra spontaneità e organizzazione (1860-1890), Milano, Sugarco, 1976, pp. 356-363; dello stesso autore v. Il movimento operaio in Italia. La questione sociale a Milano dal 1890 al 1900, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1972, p. 67.» Stefano merli, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano: 1880- 1900, Firenze, La Nuova Italia, 1972, p. 35 sgg.; Valerio castronovo, L ’industria laniera in Pie­monte nel secolo XIX, Torino, ILTE, 1964, pp. 553 e sgg., v. in particolare i prospetti n. 149, p. 558; n. 150, p. 559; n. 151, p. 560; n. 152, p. 662; n. 153, p. 563; n. 154 e n. 155, p. 565 sulla ripartizione degli operai: uomini, donne, fanciulli negli opifìci piemontesi; dello stesso autore v. L ’industria cotoniera in Piemonte nel secolo XIX, Torino, ILTE 1965, pp. 345-351 e in parti­colare i prospetti n. 96, p. 346; n. 97, p. 350; n. 98, p. 350 sulla ripartizione degli operai: uomini, donne e fanciulli negli opifici piemontesi; v. anche Leopoldo sabbatini, Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Milano, Milano, Hoepli, 1893, pp. 98-105.20 Cfr. Vittorio ellena, La statistica di alcune industrie italiane, in « Annali di statistica », serie II, voi. XIII, Roma, 1880, p. 29.21 Cfr. fra gli appunti della Kuliscioff per la conferenza sui Proletariato femminile conservati presso l’Istituto Giangiacomo Feltrinelli, Fondo Turati, bob. n. 37 (d’ora in poi IGF), la seguente tabella:

Lavoratorifilatura dei cotone 149.105tessitura 113.607preparazione lana e filatura 99.406tessitura lana 45.124industria serica 172.356

Donne e fanciulli 143.071 96.678 92.119 31.469

156.972Gli stessi dati sono riportati in l. belloc, D u travail des femmes et des enfants dans les ateliers, fabriques et dans les mines en Italie (Congrès internationale des accidents du travail à Milan), Milan, Impr. Henri Reggiani, 1894, p. 12.

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specifica la collocazione nei vari rami dell’industria, rilevando la maggior presenza femminile nel settore serico22 e, sulla base dei dati relativi all’occupazione nel Comasco e nel Biellese, sottolinea come, con la legge del 1886 che proibiva il lavoro dei fanciulli al di sotto dei nove anni, fosse cresciuto ancora di più il numero delle donne nelle industrie. Nell’arco di dieci anni, il contingente di forza-lavoro femminile nell’industria tessile era aumentato proporzionalmente più di quello ma­schile e le donne avevano superato il numero degli uomini anche in cifre assolute.La « invasione della donna nell’industria » non si limitava, comunque, alle lavo­razioni della seta e della lana, ma investiva anche le manifatture tabacchi, le indu­strie di fiammiferi, della carta e le miniere, per non parlare delle donne impiegate nella piccola industria come nastraie, cravattaie, stiratrici, guantaie, sarte, cucitrici. « E questo — osservava ancora la Kuliscioff — si verifica non solo in Lombardia (e in Piemonte) [...], ma anche nelle altre province del Regno, escluse soltanto le province centrali e [...] meridionali dove l’industria è quasi in embrione » 23.

Le caratteristiche che accomunavano tutte le varie categorie del proletariato fem­minile erano il regime di bassi salari, lo sfruttamento intensivo e spesso il carattere stagionale e saltuario delle prestazioni. È sempre la Kuliscioff ad osservare come dagli scioperi delle filatrici del Bergamasco e del Cremonese fossero emerse notizie « da far rizzare i capelli »: « La giornata di lavoro — essa prosegue — è dalle 4 del mattino alle 8 di sera. Le ragazze ricevono 42 centesimi al giorno, le sposate di 20 anni 40 centesimi, perché il lavoro della donna sposata presenta più rischi. Dopo 7 anni di lavoro nello stabilimento il salario può essere aumentato di un centesimo al giorno » 24.La precarietà del posto di lavoro determinava inoltre, per le operaie di fabbrica,

22 ig f , Fondo Turati, a. k u lisc io ff , Proletariato femminile, cit., cfr. la tabella relativa all’in- dustria serica della provincia di Como:

1879 1891bambini al di sotto di 9 anni 1.977

» da 9 a 12 anni 9.389 ragazzi da 9 a 15 anni 9.505» da 12 a 16 anni 10.686

totale 22.052donne 14.852 20.695uomini 3.103 2.070Per quanto riguarda l’industria della lana del Biellese cfr., ibidem., i seguenti dati:

1878 1888uomini 3.244 4.619donne 2.877 5.506Sui principali centri dell’industria tessile in Italia cfr. i recenti studi d L. osnaghi dodi, Sfrutta­mento del lavoro nell’industria tessile comasca, cit. e franco ramella, Industria e trasformazioni sociali. Appunti per una ricerca sui tessitori del biellese, in «Quaderni Storici», 1973, p. 192 sgg. 23 Vedi in proposito la tabella riportata dalla Kuliscioff in II monopolio dell'uomo, Milano, 1890, in aa.vv. , Anna Kuliscioff in memoria, Milano, Tip. E. Lazzari, 1926, p. 233:

uomini donnePiemonte 22.617 40.388Lombardia 24.438 78.743Veneto 11.151 21.257Emilia 4.487 6.144Marche 2.753 6.218Toscana 7.759 11.386Cfr. al riguardo anche le statistiche di A. Bodio, riportate da Gerolamo boccardo, La donna e il socialismo, in « Nuova Antologia », 1892, pp. 698-99.24 ig f , Fondo Turati, a. kuliscio ff Proletariato, cit.; per più ampie notizie sui salari maschili e femminili nell’industria tessile, dagli anni ’70 agli anni ’90 v. ersilia majno bronzini, Relazione sul lavoro delle donne, Milano, Tipografia Milanese, 1900, pp. 6-9; cfr. anche Ministero dell’In- terno. Direzione generale di statistica, Annuario statistico italiano, Roma, 1898, pp. 160 sgg.

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il permanere di saldi legami con la terra25: fenomeno che, se da un lato rappre­sentava un ostacolo al processo di una presa di coscienza di classe, dall’altro garantiva livelli minimi di sussistenza.Ma il campo di osservazione della Kuliscioff — che anche in quest’occasione mo­strava il proprio distacco dall’ottica provinciale dei quadri socialisti — non si limitava all’Italia. In Inghilterra e in Irlanda — essa rilevava — nel 1861 erano occupate nelle manifatture 467.561 donne contro soli 308.273 uomini e la cifra delle donne operaie, secondo i dati di Leroy Beaulieu 26, era aumentata, negli ultimi dieci anni, del 60 per cento. Dal censimento del 1875 risultava infatti che in Inghilterra il numero delle donne impiegate nell’industria tessile giungeva già a 541.937, mentre quello degli uomini a soli 233.537. Sempre in Inghilterra, nel 1861 le donne impiegate nella produzione di materia prima erano circa 300.000 e gli uomini mezzo milione. In soli sette anni queste cifre si erano invertite, con qualche vantaggio, anzi, per le donne. A Parigi, nell’industria della moda la proporzione delle donne agli uomini, come affermava Edward Watherston nel suo studio su State of labour in Europe (1887), era di 3 a 1. Il grande opificio dei Gobelins e la Imprimerie nationale francese non impiegavano che donne 27.« Né fanno eccezione — conclude la Kuliscioff — le cosiddette industrie insalubri e pericolose. Basti dire che (la donna) si trova nelle miniere, nella lavorazione dei metalli, nelle fabbriche ove si producono le intossicazioni croniche da esalazioni chimiche e velenose » 28.Negli anni novanta il problema dello sfruttamento indiscriminato della manodopera femminile e minorile nel processo capitalistico era dunque all’ordine del giorno in tutta Europa. La conferenza internazionale sui problemi del mondo del lavoro, tenutasi a Berlino nel 1890, dedicava ampio spazio alla questione del lavoro delle donne e dei fanciulli29 e altrettanto avveniva al congresso di Liegi (7-10 settem­bre 1890), nel corso del quale i rappresentanti cattolici deliberavano che « per le giovanette tutti i lavori nocivi e pericolosi alla salute dovessero essere vietati », così come il lavoro notturno e nelle miniere 30.Significativo, per quanto riguarda l’Italia, il programma elettorale comune, concor­dato dal Fascio dei lavoratori e dal Consolato operaio di Milano, in cui la que­stione femminile assumeva una posizione di primaria importanza. Si richiamava la necessità di un’uguale retribuzione per entrambi i sessi, di norme sul lavoro femminile, l’opportunità di una legge sul divorzio, sulla protezione ed educazione dell’infanzia abbandonata31. Il riconoscimento dell’eguaglianza giuridica e politica della donna e la parola d’ordine « a eguale lavoro eguale salario » erano inoltre

25 Sulla mobilità della manodopera femminile impiegata nel settore tessile v. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, « Bollettino dell’Ufficio del Lavoro », voi. XII, n. 1, gennaio 1910, p. 2; cfr. inoltre la Relazione dei Prefetti, annessa al disegno di legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, presentato alla Camera dal ministro Lacava, in Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, legislaz. XVIII (1893), a. I, documento n. 242 all. A.26 Paul Leroy bea ulieu , Le travail des femmes au dixneuvième siècle, Paris, Charpentier, 1887, pp. 28-29.27 Per quanto riguarda l’occupazione femminile in Francia v. in particolare madeleine g u il- bert, Les fonctions des femmes dans ¡’industrie, Paris, Mouton, 1966, pp. 21-71.28 a. k u liscio ff , Il Monopolio dell'uomo, in aa.vv., Anna Kuliscioff, cit., pp. 234-235.29 La cronaca del congresso è pubblicata su « Il pungolo », 3-4 aprile 1980 (cit. in a. nascim- bene, Il movimento operaio in Italia, cit., p. 77).30 Paola gaiotti de biase , Alle origini del movimento cattolico femminile, Brescia, Morcel­liana, 1963, p. 26.31 Cfr. « Il secolo », 11-12 ottobre 1890.

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parte integrante del programma che, sulla base di quello di Erfurt, il Partito dei lavoratori italiani aveva formulato a Genova 32.

Sarebbe tuttavia un errore supporre che le dichiarazioni ufficiali dei partiti socialisti e democratici33 trovassero corrispondenza nel livello culturale nella società del tempo. Se negli anni novanta si mostrava una generale apertura e disponibilità nei confronti della donna lavoratrice, in realtà la presa di coscienza, da parte della società civile in generale, della classe operaia e degli stessi quadri socialisti era lenta e inadeguata alla gravità dei problemi. È indicativo il fatto — osservato dalla Rebérioux — che le donne che emergevano ai congressi della II Internazio­nale si potevano contare sulle dita di una mano e ancora più significativa la con­statazione che queste pochissime donne fossero intellettuali e straniere come la Kuliscioff e la Luxemburg, nel paese in cui militavano, o « bruscamente sradicate dalla repressione », come la Zetkin. Talvolta la loro fama era il riflesso di quella dei loro mariti, come nel caso della moglie di Van Kol e di quella di Kautsky, ma tutto l’opposto avveniva per le mogli dei capi di estrazione operaia, come ad esempio Julie Bebel che, in occasione della morte del marito, veniva per l’appunto lodata per aver rispettato « i ruoli femminili » 34.

Per quanto riguarda l’Italia, l’antifemminismo tipico della cultura tradizionale tro­vava la conferma più evidente nel proliferare, in quegli stessi anni, di una pubbli- cistica che, facendo proprie le implicazioni più conservatrici di quella filosofia « positiva » così lenta a scomparire nel nostro paese, si profondeva in dottissime disquisizioni sul calcolo volumetrico di crani e cervelli, sul presunto biologismo dei rapporti sociali, nonché sulle evidenti manifestazioni somatiche dell’infanti­lismo femminile 35.D’Aguanno — per citare solo un esempio fra i tanti — nel suo saggio su La donna e la legislazione italiana, che appariva nel 1890 sulla « Rivista di filosofia scien­tifica » affermava:

« Cominciando dall’istruzione femminile è da notare che se con l’istituzione delle scuo­le normali e di altri studi superiori di perfezionamento s’è pensato di arricchire la mente delle donne di cognizioni per loro pressoché inutili, come sarebbe la matematica e la fisica, s’è trascurato invece ciò che esse dovrebbero indispensabilmente conoscere per divenire ottime spose e madri intelligenti. È necessario pertanto spastoiare l’istruzione femminile dalla gretta pedanteria in cui oggigiorno è avvolta e renderla sempre più adatta alla missione che la donna è chiamata a compiere nella società » 36.

Anche sulla « Critica sociale », per tutta la prima metà degli anni novanta — con le poche eccezioni rappresentate dagli scritti della Kuliscioff e dall’intervento di Cabrini sulle risaiole 37 — il confronto con il positivismo rappresenta il principale

32 In « Lotta di classe », 21 agosto 1892.33 Cfr. in « La Lombardia », 17 novembre 1892 le dichiarazioni del Tribunato dei lavoratori di Milano in cui si sosteneva la completa parità di diritti tra uomo e donna.34 madeleine rebérioux, La questione femminile nei dibattiti della Seconda Internazionale, in aa.vv., Anna Kuliscioff e l’età del riformismo, cit., p. 151.35 paolo mantegazza, Fisiologia della donna, Milano, Treves, 1893; Giu se pp e d’aguanno , La missione sociale della donna secondo i dati dell’antropologia e della sociologia, I: I dati antro­pologici, in « Rivista di filosofia scientifica », 1890, pp. 449-78. Gli scritti di Enrico Morselli sulla donna sono raccolti nel volume postumo Sessualità umana secondo la psicologia, la biologia e la sociologia. Scritti scelti, a cura di A. Morselli, Torino, Bocca, 1931; fra essi particolarmente indicativo è quello dedicato a Sesso e cervello (pp. 1-32).35 Ibid., p. 629.37 a . k u lisc io ff , La santità della famiglia, in « Critica sociale », 1891, n. 1, p. 9, Candi­dature femminili, ibid., 1892, n. 11, p. 167, Il sentimentalismo nella questione femminile, ibid.,

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terreno di analisi della questione femminile. Nel 1893 Adolfo Zerboglio tesseva l’elogio sulla rivista del libro di Lombroso e di Ferrerò su La donna delinquente, la prostituta, la donna normale, volume che costituiva una summa dei pregiudizi antifemminili dell’epoca. L’inferiorità intellettuale della donna, la sua tendenza innata alla menzogna erano gli assiomi di partenza, mentre la sostanziale affinità biologica della « donna normale » con la « donna delinquente » e la « prostituta » implicava il riconoscimento di una latente potenzialità di devianza insita in ogni donna38. L’affermazione pii! clamorosa, che lo stesso Turati si sente in obbligo di postillare, è quella della presunta equivalenza della prostituzione femminile con la delinquenza maschile 39. Ma sia la postilla di Turati che la recensione di Zer­boglio non costituivano, in realtà, che due diverse gradazioni del positivismo: da un positivismo razionalistico con influenze marxiste al piti retrivo darwinismo sociale 40.La maggior apertura della rivista nei confronti della questione femminile risiedeva nell’inserimento nella Biblioteca di propaganda, oltre alle opere della Mozzoni (Alle fanciulle e / socialisti e l’emancipazione della donna) e di Majocchi (La donna), del volume di Bebel La donna e il socialismo — che in Germania era arrivato all’undicesima edizione, con una tiratura di 26.000 esemplari — il quale veniva, per l’occasione, venduto al prezzo speciale di tre lire e mezzo invece che al prezzo normale di cinque lire 41. Per il resto la problematica veniva affrontata dalla « Cri­tica sociale » in chiave più o meno utopistica, con le analisi di Turati, Gnocchi Viani e Corradino della famiglia « aperta » del futuro 42. Nella stessa direzione si collocava La donna e il socialismo di Stackelberg. Un elemento significativo di conferma del peso dell’« utopia» nell’impostazione socialista è inoltre lo stretto accostamento di « Critica sociale » dell'opera di Bebel al romanzo di Bellamy La vita nel 2000, la cui edizione italiana, ad indicare il valore paradigmatico della raffigurazione dell’autore e il suo significato politico, è corredata di un indice per argomenti in cui figurano numerose voci attinenti al problema della donna: « amore, donna, faccende domestiche, esercito industriale femminile, governo della casa, matrimoni » ecc.La sostanziale diffidenza e le resistenze degli ambienti intellettuali e degli stessi quadri socialisti — ripetutamente denunciate dalla Kuliscioff nel 1892 e nel 1898 43 — è del resto magistralmente evidenziata àz\V Inchiesta sulla donna con-

1892, n. 9, p. 141; v. anche angiolo cabrini, La vita delle risaiole: episodio della tratta delle bianche nella democrazia capitalistica, ibid., 1891, n. 12, pp. 180-182.38 Adolfo zerboglio, La donna delinquente, la prostituta, la donna normale, ibid., 1893, I: n. 13, pp. 205-207; II: n. 14, pp. 222-223; III: n. 15, pp. 236-39.39 Cfr. « Critica sociale », 1893, n. 15, p. 239. La firma è La Direzione, ma l’articolo è, a mio avviso, chiaramente attribuibile alla penna di Turati.40 Cfr. in proposito Giovanni landucci, Darwinismo a Firenze. Tra scienza e ideologia (1860- 1900), Firenze, La Nuova Italia, 1977, pp. 129 sgg.41 II volume veniva segnalato in « Critica sociale », 1892, n. 2, p. 29. Nel 1892 appariva la prima traduzione italiana del volume di a . bebel, Die Frau und der Sozialismus ( la edizione, Berlin, 1873), ma nel 1889 il volume di lorenzo von ste in , La donna nella pubblica economia, che esaltava la figura della donna di casa, era già arrivato alla 6“ edizione (cfr. ernesta Miche­langeli, La vera missione della donna, Bologna, Zanichelli, 1901, p. 46).43 Filippo turati, Unioni libere, in « Critica sociale », 1892, n. 10, p. 154; osvaldo gnocchi viani, La famiglia, ibid., 1892, n. 2, p. 24; Corrado corradino. La famiglia nello stato socialista, ibid., 1893, n. 12, p. 187.43 A . k u lisc io ff , Candidature femminili, cit., p. 167. « Ho partecipato a due congressi socia­listi — affermava la Kuliscioff nel corso del suo processo per i fatti del ’98 ■— sempre per portare la mia parola in difesa della donna e del fanciullo lavoratore [...]. Il partito di questa questione, però, si occupò assai poco ed allora cominciai una personale propaganda per conqui-

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dotta nel 1899 dall’avvocato repubblicano Guglielmo Gambarotta44. Tra i vari personaggi intervistati, Sombart45 nega recisamente il diritto di voto alla donna e formula marcate discriminazioni morali sul comportamento sessuale; assai scettico ed ironico il Rapisardi dichiara: « abbiano le donne libertà ed egualità giuridica illimitata, ma non pretendano uscire dal loro campo [...]! » 46 e lo storico Bertolini: « la donna maritata deve portare la sua attività al governo della casa: fuori di ciò non ci sono né doveri né diritti per lei » 47, Letourneau è contro l’estensione del diritto di voto48; Enrico Ferri poneva la donna ad un livello intermedio tra il fanciullo e l’uomo49; Achille Loria dichiarava: « La donna abbia bensì il diritto di addirsi ad ogni professione, o ad ogni arte, ma se ne valga soltanto quando si senta capace di uno studio indefesso ed alieno dalla vita coniugale; in caso diverso lasci l’aula, la penna e la toga e si consacri all’augusto ufficio della maternità » 50.Di una posizione meno reazionaria, oltre agli anarchici, che non solo dichiaravano la completa eguaglianza della donna, ma si mostravano assai spregiudicati anche nel campo della morale sessuale, affrontando il problema dei rapporti plurimi, si facevano portatori solo Réclus, Ingegnieros, Vaierà e pochi altri 51.Molto simile appariva del resto la situazione in Francia, dove alcuni anni prima la parigina « Revue naturiste » aveva preso un’iniziativa del genere. Dopo aver intervistato vari personaggi tra cui Paul Alexis, Maurice Barrés, Henry Bauer, George Clemenceau, Marc Lafargue, Max Nordau, Emile Zola, Armand Silvestre e Maurice Le Blond, la redazione aveva dovuto concludere ancora una volta che: « La très grande majorité des répondant — trois seulement, en effet envisagent avec complaisance la femme féministe — considère qu’il faut conserver à la femme sa fonction et que [...] les théories féministes sont funestes et impraticables, étant opposées à celles même de la nature » S2.A livello di base la realtà non era molto diversa, come ha sottolineato recente­mente Hobsbawm, rilevando un notevole calo della partecipazione femminile nelle lotte del movimento operaio rispetto alle forme di lotta preindustriale dei poveri; il paradosso del movimento operaio stava nel fatto che esso sosteneva un’ideologia di emancipazione e di eguaglianza sessuale, mentre nella pratica scoraggiava la partecipazione paritaria di uomini e donne nel processo produttivo 53.

stare alle mie speciali convinzioni in merito le interessate » (cit. in maria biggi cabrini, La base di tulio, in Almanacco socialista 1899, Milano, Tip. Golio, 1899, p. 67).‘A Cfr. anche Mario pilo, La questione muliebre, in « Critica sociale », 1899, I: L ’inchiesta del Gambarotta. Il voto alle donne. La lotta di sesso. L'emancipazione economica, n. 18, pp. 283- 284; II: I diritti equivalenti. L ’inferiorità naturale. La riforma del matrimonio, n. 21-24,pp. 338-340.45 Guglielmo gambarotta, Inchiesta sulla donna, Torino, Bocca, 1899, p. 222.« Ibid., p. 223.47 Ibid., p. 219.4S Ibid., p. 212.49 Ibid., p. 191.50 Ibid., p. 95.51 Per quanto riguarda le posizioni degli anarchici vedi l’intervento di Cipriani, Ibid., p. 153;cfr. inoltre le dichiarazioni di Réclus, Ibid., p. 213; di Ingegnieros, Ibid., pp. 193-207 e di Vaierà,pp. 208-209. Per quanto concerne la morale sessuale nell’ideologia anarchica cfr. Maurizio anto- nioli, Il movimento anarchico milanese agli inizi del secolo, in aa.vv., Anna Kuliscioff e l'età del riformismo, cit., p. 275 sgg.52 « Revue naturiste », 1897, n. 5, p. 242.53 eric hobsbawm, Uomo e donna nell’iconografia socialista, in « Studi storici », 1979, p. 718.Sulla partecipazione delle donne alle agitazioni sociali in epoche precedenti v. Edward p. Thomp­son, The Maral Economy of thè English Crowd in thè Eighteenth Century, in «Past» & Present», 1971, n. 50, pp. 76-136 e luisa accati. Vive le roi sans taille et sans gabelle. Una discussione

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L’ostilità degli operai sindacalizzati inglesi nei confronti dell’ingresso della donna nell’industira era ampiamente illustrata da Sidney e Beatrice Webb, nel 1897 54 e, in Italia, eloquente era l’aperto rifiuto dell’Associazione dei tipografi non solo alla militanza sindacale delle donne, ma persino alla loro ammissione nei settori più qualificati del lavoro 55.Dagli atti del congresso di Marsiglia del 1879 — l’unico, in questi anni, in Fran­cia, in cui la questione femminile fu al centro di un vivace dibattito — balza agli occhi l’avversione, forse ancora più marcata, del movimento operaio francese per il lavoro extradomestico della donna. Fare la casalinga era ancora considerato l’unico ruolo adatto a lei: « Nous croyons — affermava Douthier — que la place actuelle de la femme n’est pas dans l’atelier, ou dans l’usine, mais dans le ménage, dans l’intérieur de la famille » S6. Si sottolineavano ripetutamente i danni irrepa­rabili, fisici, ma soprattutto morali del lavoro delle donne nell’industria: le ragazze, si affermava, «y perdent leur candeur et leur naïveté», le donne «sont en butte aux caprices honteux du patron et des contre-maîtres » 57. Ma anche l’uso delle macchine e in particolare della macchina da cucire potevano mettere a dura prova — secondo i socialisti francesi — la pudicizia e l’onore femminili, provocando: « Une excitation génitale assez vive pour mettre (les ouvrières) dans la nécessité de cesser momentanément tout travail [...] et d’avoir recours à des lotions d’eau froide » 58.Il cucito era, secondo la maggioranza dei rappresentanti operai riuniti a Marsiglia, « l’util féminin par excellence », mentre il luogo migliore per esercitare tale mis­sione era la casa. Non solo, ma dopo accurate analisi, le principali concorrenti delle donne della classe operaia erano individuate nelle suore che, producendo abiti a basso prezzo, determinavano lo scarso valore, sul mercato, del lavoro fem­minile. La donna, ancora succube di un’educazione religiosa, era considerata natu­ralmente estranea alle questioni di ordine politico e sindacale, ed anzi il principale ostacolo all’impegno maschile, virilmente esercitato nonostante le abili seduzioni delle mogli per trattenere i mariti all’interno delle mura domestiche.Questo panorama dei pregiudizi antifemminili del movimento operaio trovava, del resto, una corrispondenza nella particolare configurazione che, sia per motivi eco-

sulle rivolte contadine, in «Quaderni storici», 1972, p. 1078. Osservazioni interessanti sulla graduale esclusione delle donne prima dai luoghi di ritrovo, poi dalle assocazioni politiche e sindacali del movimento operaio si trovano in dorothy Thompson, Women and Nineteenth Century Radicai Polilics: A lost Dimension in The Righi and Wrongs of Women, New York, Penguin Books, 1976, p. 116 sgg.54 sidney e beatrice webb, Industriai Democracy, London, Longhans and Co., 1897, p. 496.55 II congresso di Firenze, del 1893, istitutivo della Federazione del libro aveva dichiaratol’opposizione della federazione medesima all’ammissione delle donne al lavoro di composizione (cfr. giuliano procacci, La lotta di classe in Italia agli inizi del secolo X X , Roma, Editori Riu­niti, 1972, p. 30). Sulla subalternità delle donne nelle organizzazioni del Partito operaio, v. felice anzi, Battaglie d’altri tempi 1882-1892, Milano, Lib. ed. Avanti!, 1917, pp. 123-125.56 Cfr. Séances du Congrès Ouvrier Socialiste de France. III session tenue à Marseille du 20au 31 octobre 1879 à la salle des Folies Bergères, Marseille, 1880, p. 185.57 Ibid., p. 203. Oltre agli atti del convegno cfr. anche « La défense des travailleurs » e « Leforçat» negli anni 1883-1887 (cit. Michelle perrot, L'éloge de la ménagère dans les discours des ouvriers français au X IX siècle, in «Romantisme», 1976, nn. 13-14, p. 111. Per quanto concerne il concetto diffuso, nella mentalità operaia, del rischio costante corso dalla donna del popolo di essere sedotta dagli uomini della borghesia, cfr. Christiane dufrancatel, La femme imaginaire des hommes. Politique, idéologie et imaginaire dans le mouvement ouvrier, in aa. vv., Histoire sans qualités, Paris, ed. Galilée, 1979, pp. 170 sgg.58 Séances..., cit., p. 176.

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nomici che per motivi di costume, assumeva l’occupazione femminile. Il lavoro della donna nell’industria non sembrava infatti aver alterato sostanzialmente la struttura della famiglia tradizionale, anche perché la collocazione dei primi stabi­limenti industriali nelle campagne aveva mantenuto inalterati gli equilibri familiari di stampo contadino, la cui salvaguardia rappresentava, d’altra parte, per il na­scente proletariato di fabbrica un’ancora di salvataggio, una forma di autodifesa nei confronti dello sfruttamento capitalistico.Il lavoro femminile nell’industria conservava quindi nell’800 molti tratti della società rurale59: concepito come lavoro d’appoggio, si effettuava, nella maggior parte dei casi, in stretto rapporto alle esigenze familiari ed era perciò intermittente, in dipendenza del matrimonio e del numero dei figli. Le ragazze iniziavano a lavo­rare molto giovani e continuavano fino al giorno del matrimonio o, tutt’al più, fino alla nascita del primo bambino, riprendendo eventualmente un po’ più tardi, o per la morte del marito. Esse, nel frattempo, contribuivano al bilancio familiare con dei lavori di cucito a domicilio, qualche lavoro in casa e qualche « giornata a servizio ». Dalle statistiche industriali appare assai raro che la donna prolun­gasse la sua attività in fabbrica al di là dei trent’anni; nella maggior parte dei casi il matrimonio comportava la fine del rapporto di lavoro; la percentuale delle mari­tate sulle occupate era infatti di circa 1/4 60. Rispetto, anzi, all’economia agricola pre-capitalistica, basata sul valore d’uso, sembra possibile avanzare l’ipotesi di un calo del prestigio dell’attività femminile nella realtà operaia, che, basandosi invece sui valori di scambio, comportava una svalutazione del lavoro domestico ed una minor considerazione del lavoro extradomestico della donna in quanto peggio pagato di quello maschile 61.È dunque legittimo concludere, con la Perrot, che alla fine dell’800 la famiglia restava comunque una grande realtà nella vita operaia. E alcuni tratti nuovi la avvicinavano addirittura, per certi versi, al modello borghese descritto da Philippe Ariès62: la valorizzazione dei figli e della loro salute, l’educazione, l’avvenire, diventano le preoccupazioni prioritarie, la vita familiare diventa più intensa e vengono, in generale, accettate forme legali di matrimonio. Di contro a questi elementi, che confortano l’immagine di una continuità sociale, non è tuttavia pos-

59 m. perrot, L ’éloge de la ménagère, cit., pp. 117-118; joan scott e louise tilly, Emanci­pazione e integrazione: il lavoro femminile nell’Europa del X IX secolo, in « D.W.F. », 1976, n. 4, pp. 11 sgg.; hans medick, The Proto-industrial Family Economy: thè Structural Function of Household and Family during thè Transition from Peasanl Society to Industriai Capitalism, in « Social History », 1976, n. 3, pp. 291-315.5° Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, La donna nell'industria italiana. Studi di demografia e di economia industriale, Roma, 1905, p. 56, Prosp. XXV; Le condizioni generali della classe operaia in Milano: salari, giornate di lavoro, reddito ecc. Risultati di un’inchiesta compiuta il 1° luglio 1903, Milano, 1907 (Pubblicazione dell’Ufficio del Lavoro della Società Uma­nitaria), p. 137; fausto Pagliari, La donna nell’industria italiana, in « Critica sociale », 1905, n. 18, p. 281. La situazione si ripeteva press’a poco immutata in Inghilterra e in Francia: v. in proposito David Charles Marsh, The Changing Social Structure of England and Wales 1871-1961, London-New York, Routledge & Paul-Humanities Press, 1965, p. 129 e i dati del censimento francese del 1896, cit. in m . perrot, Éloge de la ménagère, cit., p. 118.51 Per un’analisi delle forme della struttura familiare dei ceti salariati e dei mutamenti in relazione al processo di industrializzazione cfr. « Le mouvement social », 1978, n. 105: mono­grafico su Travaux des femmes dans la France du X IX siècle; agopik manoukian, Introduzione a Famiglia e matrimonio nel capitalismo europeo, Bologna, Il Mulino, 1973; aa.vv., Famiglia e mutamento sociale (a cura di M. Barbagli), Bologna, Il Mulino, 1977.55 Philippe ariès, Histoire des populations françaises et de leurs attitudes devant la vie depuis le XV111 siècle, Paris, Self, 1948, pp. 479-493; dello stesso autore cfr. Padri e figli nel­l ’Europa medievale e moderna, Bari, Laterza, 1968, pp. 474-481.

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sibile ignorare — come mette in evidenza Shorter, instaurando tuttavia una corre­lazione troppo immediata e meccanica tra comportamenti sessuali e fenomeni di carattere economico — resistenza di fattori di segno completamente opposto: nascite illegittime, abbandono dei figli e concubinaggio 63 64.Assai difficile è, in realtà, valutare l’effettivo significato, contingente o strutturale di questi sintomi di « demografia selvaggia » e ancor più difficile andare oltre la semplice indicazione degli elementi di contraddizione che caratterizzano la realtà sociale italiana nella seconda metà deH’800. Un reale mutamento dell’istituto familiare tradizionale può forse essere collegato al fenomeno migratorio — sia interno che estero — che in questi anni cominciava a interessare fasce sempre più vaste di lavoratori M. Ma anche il valore dirompente di quest’esperienza non dev’essere sopravvalutato. Gli emigranti erano spesso orientati, nella scelta della nuova sistemazione, dai legami di parentela .he fornivano loro gli epicentri dei rapporti, dei canali d’informazione e di aiuti. Da alcune autobiografie operaie si viene a conoscenza dell’abitudine di periodici ritorni al villaggio e del duplice circuito di donne e di relazioni sessuali che si tende a stabilire: in città concu­binaggio e ricerca della prostituzione 65, ma matrimonio al paese e conservazione di una regola in cui gli usi e i costumi tradizionali, il ruolo della famiglia, hanno molta importanza 66.Il panorama sociale degli anni novanta si presentava dunque assai complesso, specchio di un delicato momento di transizione, i cui effetti erano probabilmente arrivati a scalfire appena l’istituto tradizionale della famiglia, riprodottosi nell’am­biente operaio, ma avevano forse più fortemente investito i ceti piccolo e medio borghesi, in seguito anche al fenomeno — denunciato dalla Kuliscioff stessa — della comparsa di considerevoli presenze femminili nel terziario67.A ciò corrispondeva, da un punto di vista ideologico, la convivenza di istanze diverse e contrastanti che andavano dal conservatorismo tipico del darwinismo so­ciale al paternalismo borghese, alle punte estremamente illuminate di un femmi­nismo di élite, alle varie gradazioni del positivismo, più o meno intessuto di razio­nalismo e di materialismo di gran parte degli intellettuali socialisti.In un tale contesto culturale la conferenza della Kuliscioff su II monopolio del­l’uomo del 1890 rappresentava un importante elemento di rottura per un duplice ordine di motivi: in primo luogo per il rovesciamento che essa operava della teoria positivista, affermando che l’inferiorità fisica e mentale della donna è conseguenza di un antico servaggio, di un costume e non ne è né la causa sufficiente, né la ragione giustificante, in secondo luogo perché rappresentava il primo vero tenta-

63 Edward shorter, Illegitimacy, Sexual Revolution and Social Change in Europe 1750-1900, in «Journal of Interdisciplinary History», 1971, n. 2, pp. T il-212 e, dello stesso autore, Female Emancipation, Birth Control and Fertility in European History, in « American Historical Review », 1973, n. 3, pp. 605-640.64 Sandra Puccini, Condizione della donna e questione femminile (1892-1922), in aa.vv., La questione femminile in Italia dal '900 ad oggi, Milano, Angeli, 1979, p. 17; ercole sori, L'emi­grazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 189 sgg.65 Cfr. in proposito alain corbin, Les filles de noce. Misère sexuelle et prostitution (XIX- X X siècles), Paris, Aubier Montaigne, 1978, p. 278 sgg.66 Martin nadaud. Mémoires de Léonard, ancien garçon maçon, 1895, n.e. Paris, Hachette, 1976; jean Baptiste Du may , Mémoires d'un militant ouvrier da Creusot (1841-1905), Grenoble, Maspéro, 1976.67 II censimento del 1901 registrava quasi 3000 telegrafiste e telefoniste e 169.278 commesse (cfr. s. buccini, Condizione della donna, cit.).

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tivo di compromesso tra le rivendicazioni massimalistiche dell’impostazione liber­taria e la reale arretratezza culturale del socialismo italiano 68.Per comprendere questo modo di impostare la questione femminile è del resto necessario rifarsi all’interpretazione dell’esperienza del nihilismo russo degli anni sessanta. Le nihiliste insistevano sulla totale liberazione dal giogo della famiglia tradizionale (sia come figlie che come mogli), sulla libertà dei rapporti e sulla eguaglianza sessuale: in breve sull’emancipazione dell’individuo, i cui presupposti principali erano individuati nell’educazione e nel lavoro, svolto sotto forma di attività cooperativa negli artel e nelle comuni. Rispetto alla « femminista », la donna « nigilistka » viveva poi con uno slancio assai maggiore la propria missione sociale, tanto che questa adesione ideale influenzava spesso il comportamento di tutta una vita, assumendo talvolta anche aspetti drammatici69.Le tracce di un’esperienza così psicologicamente intensa non sarebbero scomparse, nel caso della Kuliscioff, neanche nell’età matura. L’autonomia, ma non il rifiuto del ruolo maschile e, nello stesso tempo, la scelta di una collocazione sociale tipicamente riservata per tradizione all’uomo, l’aspirazione ad un’eguaglianza fra i sessi, quindi la teorizzazione di un’emancipazione femminile che passi attraverso la tappa forzata del lavoro e dell’indipendenza economica costituiranno infatti sempre il nucleo centrale del suo discorso.Dall’innesto su questo sostrato nihilista dei principi del materialismo storico nasce Il monopollo dell’uomo. La lotta di classe viene individuata come il mezzo neces­sario al fine del raggiungimento dell’emancipazione economica, obiettivo primario, ma non esclusivo per giungere ad una risoluzione complessiva del problema fem­minile. Nell’ambito marxista essa si ricollegava non a caso al discorso più avan­zato: quello di Bebel nel Die Frati. Il tessuto ideologico sul quale si sviluppa la concezione kuliscioviana della questione femminile è sostanzialmente affine all’im­pianto bebeliano articolato, in sintesi, su due piani: da un lato la concezione della questione femminile come un aspetto della questione sociale, dall’altro l’evidenzia- zione del diverso carattere dell’oppressione della donna da quella dell’operaio.Se l’importanza del Die Frau, a livello internazionale, per quanto riguarda l’impo­stazione socialista della questione femminile è incalcolabile — come sottolinea la Rebérioux 70 — la Kuliscioff si rivela indubbiamente, tra i quadri socialisti italiani, la più sensibile, la più aperta a recepirne l’insegnamento e a diffonderne il conte­nuto. E II monopolio dell’uomo può essere considerato una vera e propria volga­rizzazione, un adattamento alla realtà italiana del volume di Bebel. Vari brani della conferenza appaiono addirittura come citazioni letterali dal testo tedesco; ad esem­pio il paragrafo dedicato da Anna Kuliscioff alle Cause odierne che spingono la donna al lavoro non è che una sintesi di quello che Bebel intitola Altri freni e impedimenti al matrimonio: la proporzione numerica dei sessi, sue cause e suoi effetti 71.

6* Sempre della Kuliscioff vedi anche 11 parassitismo morale delia donna, in « Cuore e critica », 1890, pp. 104-105. Per un giudizio complessivo sulle posizioni della Kuliscioff in questo periodo cfr. Eugenio Garin, La questione femminile (Cento anni di discussioni), in « Belfagor », 1962, n. 1, pp. 35-36.69 Cfr. in proposito richarp stites , The Women’s Liberation Movement in Russia. Feminism, Nihilism, Bolshevism, Princeton, University Press, 1978, p. 100; v. anche s. stepniak-kraw- cinsk ij, La Russia sotterranea, Milano, Treves, 1896, pp. 6 sgg.; petr alekseevic kropotkin, Memorie di un rivoluzionario, Roma, Editori Riuniti, 1968, p. 171 sgg.70 m . rebérioux, La questione femminile, cit., p. 141.71 L’influenza del Die Frau (v. ediz. italiana La donna e il socialismo, Roma, Savelli, 1977, pp. 18-23) si avverte anche ne lì sentimentalismo e la questione femminile, cit., pubblicato in

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Anche in quest’occasione essa mostrava così di collegarsi direttamente alle elabo­razioni della II Internazionale ed in particolare alla linea di cui, grazie all’opera della Kautsky e della Zetkin, si faceva portatrice la socialdemocrazia tedesca. La Kuliscioff aveva partecipato al congresso di Bruxelles del 1891 72 e nel ’93 faceva parte della delegazione italiana al congresso di Zurigo, del quale non a caso le veniva assegnata la presidenza nel corso dell’ultima giornata dei lavori 73. Al con­gresso, le cui deliberazioni avrebbero fatto testo fino alla guerra, si definiva il principio della protezione legislativa delle operaie, cui in larga parte si sarebbe ispirato, successivamente, il progetto di legge Kuliscioff per la tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli. Ed è interessante notare come in quella sede fosse stata proprio la socialista russa a farsi portavoce dell’istanza paritaria, proponendo un emendamento per l’applicazione del principio « a eguale lavoro eguale salario », che veniva anch’esso inserito nella mozione votata al congresso 74.Non altrettanta corrispondenza essa trovava, tuttavia, all’interno del Partito socia­lista italiano. Si può notare che già da questi primi anni la posizione della Kuliscioff (che intavolerà nel 1910 un’aspra polemica con Turati stesso sulla questione del suffragio universale) non fossero affatto allineate con quelle ufficiali del movi­mento socialista. Quando il Fascio dei lavoratori di Milano — dopo che gli scio­peri dei metallurgici avevano visto l’attiva partecipazione delle operaie — aveva presentato nelle liste elettorali per le amministrative del 1892 anche una candi­datura femminile, la Kuliscioff con un intervento sulla « Critica sociale » criticava apertamente una linea politica che, invece di inserire l’estensione del suffragio al­l’elettorato femminile tra i punti di forza del proprio programma, si limitava a interventi sporadici e privi di significato, definibili come veri e propri palliativi. La via da seguire era quella della socialdemocrazia tedesca: appena da dieci anni l’Spd aveva iniziato un’attiva propaganda fra le donne ed esse avevano immedia­tamente risposto con una entusiastica partecipazione alla vita politica, particolar­mente evidente durante le elezioni del 1890 7S.Per la mobilitazione del proletariato femminile la Kuliscioff si impegnava in prima persona in occasione delle amministrative del ’97. Con una piattaforma di rivendicazioni ben precisa — tutela legislativa del lavoro femminile, riduzione delle spese militari, abolizione del protezionismo doganale e dell’esoso sistema tribu­tario della tassazione indiretta — si proponeva di spronare le donne a cooperare coi socialisti nell’agitazione elettorale76. Partecipando attivamente alla battaglia elettorale le donne avrebbero acquistato un peso politico di cui sarebbe stato impossibile in futuro non tener conto, non solo da parte dei ceti dominanti, ma anche dei socialisti stessi.

Noi donne dobbiamo più di tutto temere — aveva sottolineato essa stessa qualche anno

« Critica sociale », 1892, n. 9, pp. 141-143 e ne La santità della famiglia, ibid., 1891, n. 1, pp. 9- 10 (cfr. anche La donna e il socialismo, cit., p. 227).72 Cfr. in proposito Congrès International ouvrier socialiste tenu à Bruxelles du 16 au 31 août 1891. Rapport publié par le Secrétariat Belge, Bruxelles, 1893, pp. 84-85 e 246-247.72 Cfr. Il congresso di Zurigo, in « Lotta di classe », 19-20 agosto 1893; v. ancora « Lotta di classe » 29-30 luglio 1893; cfr. inoltre la Sintesi del congresso di Zurigo, in « Critica sociale », 1893, n. 16, pp. 241-243 e Ancora sul congresso di Zurigo, ibid., n. 19, pp. 300-304.74 Les Congrès socialistes internationaux, ordres du jour et résolutions (publié par le Bureau socialiste International de Bruxelles), Gand, 1902, p. 71.75 Federazione socialista milanese, Alle donne italiane. Per le elezioni politiche (a cura del gruppo delle donne socialiste milanesi), Milano, 1897 (l’opuscolo è attribuito alla Kuliscioff in aa.vv., Anna Kuliscioff in memoria, cit., p. 267), pp. 13-14.76 Ibidem, pp. 8 sgg.

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prima — che caso mai venisse il quarto stato, che è il proletariato maschile al potere, noi non rimanessimo nelle condizioni del quinto stato, senza diritti di nessun genere e sempre piene di doveri come lo è stato fino adesso [...]. La nostra battaglia è doppia; contro il capitalismo accanto agli uomini da una parte e dall’altra abbiamo una lotta da sostenere che è diversa da quella degli uomini. Prima di tutto 1) a lavoro uguale uguali salari; 2) divorzio; 3) ricerca della paternità; 4) voto politico e amministrativo. Non vorrei essere uccello di cattivo augurio — essa proseguiva nel corso della confe­renza tenuta al circolo « Genio del Lavoro » — ma credo fermamente che neppure una re­pubblica socialista, semmai venisse presto, ci avrebbe reso quella giustizia che ci spetta. La donna, avvenisse anche una rivoluzione economica, sarà considerata dalla maggioran­za degli uomini come un’ignorante, un cervello di paglia; tale e quale come fece la borghesia con la classe operaia che, dopo tutte le rivoluzioni fatte con il sangue del­l’operaio, in nome della libertà e dell’eguaglianza, trionfante, lasciò all’operaio la li­bertà di morire di fame e la sua uguaglianza la collocò in Paradiso [...]. L’emancipazio­ne del proletariato non potrà avvenire che per opera dei lavoratori di ambedue i sessi. Ma l’emancipazione della donna non potrà avvenire che per opera della donna stessa11.

È interessante notare come nelle prese di posizione ufficiali, in qualità di rappre­sentante del partito, la Kuliscioff si muovesse quasi sempre con molta cautela77 78, mentre nel discorso « in famiglia » la prospettiva si allargasse fino ad accogliere le istanze proprie del femminismo borghese.Nella stessa conferenza, tenuta nel 1893, si prendevano in esame vari punti del codice civile e penale da cui traspariva una netta discriminante antifemminista. Con la freschezza e nello stesso tempo con l’incisività che caratterizzano i suoi migliori interventi, la socialista rilevava, citando alcuni avvenimenti di cronaca, come la legge italiana punisse paradossalmente con molta più severità il furto di tre sedie che non le sevizie inflitte da un marito alla propria moglie. Per ottenere poi la separazione legale, che formalmente avrebbe dovuto tutelare la donna nei confronti delle violenze del coniuge, — senza tener conto dell’insufficienza dei salari femminili per la sopravvivenza e dei danni morali e materiali che, in caso di separazione, erano l’unica eredità della donna — sottolineava ironicamente come da parte di quest’ultima « bastasse semplicemente lasciarsi quasi ammazzare e per giunta in presenza di testimoni ». Per quanto riguardava, infine, la fedeltà coniu­gale, la Kuliscioff ribadiva la discriminazione nei confronti della donna che poteva essere dimostrata adultera per un semplice « biglietto dolce » trovatole in tasca, mentre l’uomo poteva commettere ogni tipo di adulterio, bastava che non avvenisse sotto il tetto coniugale. « La moglie deve seguire il marito e il marito? Se la segue è per ricondurla a casa coi carabinieri nel caso volesse infrangere la catena matri­moniale [...]. La donna viene continuamente offesa — essa concludeva — nella sua dignità e persino nella sua maternità e finché le leggi saranno fatte dagli uomini, fossero anche socialisti ed i migliori uomini del mondo, le leggi saranno sempre a vantaggio loro e svantaggio nostro ».Queste asserzioni della Kuliscioff — già in parte anticipate ne II monopolio del­l’uomo — non si conciliano evidentemente con le più note prese di posizione contro il femminismo borghese (che nel 1908 raggiungeranno toni acidi e sprez­zanti 79) e contrastano con l’economicismo secondinternazionalista, verso cui essa

77 a. k u liscio ff , Proletariato femminile, cit. IGF, Fondo Turati.78 Cfr. in particolare a. kuliscioff, Il femminismo, in « Critica sociale », 1897, n. 12, pp. 185-187.79 f. turati-a. kuliscioff, Carteggio (1900-1909), voi. II, tomo II, Torino, Einaudi 1977, pp. 898, 901, 915, 1007.

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stessa si era mostrata accondiscendente in altre occasioni80. In realtà, la posizione della socialista russa è molto più complessa e problematica di quanto non sia apparsa fino ad oggi. Il continuo sforzo di conciliazione fra l’analisi degli aspetti « strutturali » della questione femminile e quindi la sostanziale riduzione dei pro­blemi della donna a quelli della donna lavoratrice, la cui soluzione si collocava immediatamente all’interno della lotta di classe e la percezione delle implicazioni non classiste del problema, la realtà dell’oppressione domestica, assumevano tal­volta l’aspetto di un’alternativa dilacerante.Le oscillazioni e le contraddizioni che si riscontrano leggendo gli scritti della Kuliscioff risultano del resto comprensibili solo tenendo conto delle particolari difficoltà che la donna socialista incontrava nell’affrontare la questione femminile. Essa era infatti nella tipica condizione di chi si trova « tra due fuochi »: da una parte il nemico femminismo borghese, dall'altra l’altrettanto nemico movimento operaio. Spesso si finiva così col difendersi dall’uno ed essere sopraffatti dall’altro avversario. Al congresso di Zurigo del 1893, ad esempio, il comportamento della Zetkin da un lato e della Kautsky dall’altro esemplificano perfettamente questa situazione di empasse del « femminismo socialista » di quegli anni — e anche degli anni successivi. Louise Kautsky, preoccupata soprattutto di coinvolgere la social- democrazia tedesca nella battaglia per l’emancipazione della donna, assumeva una posizione rassicurante nei confronti dei membri del partito sostenendo unicamente il principio della protezione della donna lavoratrice, « non nell’interesse suo pro­prio, ma di tutta la società » 8I; la Zetkin invece, probabilmente mossa dal timore di poter in qualche modo far risuscitare le vecchie posizioni della I Internazionale sul divieto del lavoro femminile, si opponeva — come del resto gli operaisti e le femministe — a qualsiasi tipo di protezione del lavoro della donna 82.Per quanto riguarda in particolare la Kuliscioff, la contraddizione è ricomposta secondo la logica della diversa destinazione politica dei vari interventi: una costante preoccupazione tattica trapela dalle righe e spesso la spinge a indicative correzioni apportate al testo delle sue conferenze — significativo, ad esempio, della costante censura che essa operava su se stessa è il fatto che, dopo aver scritto e persino sottolineato, nella relazione sul Proletariato femminile: « la questione della donna non è un aspetto della questione sociale, è la questione sociale medesima », finisse col cancellare il tutto e riprendere il discorso in tono molto meno combattivo.Non si può dunque perdere di vista, anche per quanto riguarda specificamente le risposte date dal movimento socialista italiano ai problemi della questione femmi­nile, il quadro generale della vita politica degli anni novanta. In particolare è necessario tener conto dei riflessi che su queste elaborazioni più o meno avverse al « libertarismo » borghese aveva il difficile e contraddittorio rapporto con i partiti democratici. L’umore mutevole della Kuliscioff stessa era in buona parte determi­nato da questo rapporto, che da un lato comportava la necessità, per il Psi, di

80 Vedi in particolare L ’invasione della dolina nell’industria, in « Il sole dell’avvenire », 4 settembre 1890, in cui si collegava, con un certo meccanismo, il peso politico della questione femminile all’incidenza numerica delle donne all’interno della classe operaia.81 Cfr. Protokoll des Internationalen Sozialistischen Arbeiterkongresses, Zurich, 1894, p. 97 (cit. in ANNiK m ah aim , ALix holt, jaqueline h einen , Femmes et mouvement ouvrier. Allemagne d’avant 1914. Revolution russe. Revolution espagnole, Paris 1979, pp. 45-46).82 Ibid., p. 46. Sull’atteggiamento della I Internazionale nei confronti della questione fem­minile vedi Maurizio Maddalena, La condizione della donna nei dibattiti della Prima Interna­zionale, in « Movimento operaio e socialista », 1974, n. 2-3, p. 157 sgg. A proposito del radi­calismo delle prime posizioni della Zetkin, cfr. jan h . quataert, Reluctant feminists in German Social Democracy 1885-1917, Princeton, University Press, 1979, p. 65 sgg.

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individuare un’ideologia propria, che lo differenziasse immediatamente da quella delle forze dell’Estrema, dall’altro risentiva dell’urgenza di un’intesa, di una coali­zione democratica di fronte ai ripetuti episodi di reazione governativa, prima di Crispi, poi di Di Rudinì e di Pelloux.Nonostante tutte le difficoltà cui la battaglia emancipazionista andava incontro, a dispetto della necessaria subordinazione al vario atteggiarsi delle forze politiche, questo periodo rappresenta tuttavia uno dei momenti più intensi e fecondi della biografia politica della Kuliscioff. Dopo aver presentato al circolo « Genio del lavoro » la relazione sul Proletariato femminile, interveniva infatti all’inaugurazione della bandiera di San Benedetto P o 83, teneva comizi per le sarte e le tabaccaie milanesi84 e prendeva parte alle iniziative della Camera del lavoro di Milano e di Monza 85 per organizzare il proletariato femminile.L.o schema bivalente degli interventi della Kuliscioff, da un lato volti a combattere i pregiudizi diffusi all’interno del movimento operaio e, dall’altro, animati da uno spirito sinceramente socialista, riappare anche nel corso di questa serie di confe­renze. Il primo obiettivo che essa si poneva era pur sempre quello di fornire una risposta alle proteste per la « concorrenza » della manodopera femminile sul mercato del lavoro che si levavano da più parti all’interno della stessa classe operaia86.Agli operai la Kuliscioff prospettava la risoluzione del problema non con l’estro­missione della donna dall’industria, ma con l’equiparazione dei salari femminili a quelli maschili e così illustrava loro il retroscena della competizione fra uomo e donna creata dal sistema capitalistico:

La donna da principio offre sul mercato la sua merce lavoro a minor prezzo perché va soggetta più dell'uomo a probabilità d’interruzione del lavoro come la gravidanza e il parto ed il capitalista, s'intende, è ben felice di poter profittare di coteste necessità fi­siche della donna per spingerla nel vortice della concorrenza al lavoro dell’uomo. La donna deprezza il lavoro dell’uomo, questo per necessità è costretto a offrire le brac­cia più a buon mercato; ciò a sua volta influisce sulla diminuzione del salario della donna e cosi i salari dell’uno e dell’altra cadono al punto di non bastare neppure più a sostentare la famiglia ed allora viene in scena un terzo elemento di concorren­za, il bambino, così tutta la famiglia, per vivere, deve offrirsi al vampiro del capitale 87.

Nonostante le resistenze opposte dal movimento operaio stesso, essa non rinun­ciava, d’altro canto, a prospettare la necessità di un’intensa campagna politica condotta dal partito in mezzo al proletariato femminile. Era infatti, a suo avviso, compito dei socialisti convincere la gran parte delle operaie stesse della possibilità di opporsi allo sfruttamento disumano cui erano sottoposte, sia nelle grandi che nelle piccole industrie. L’appello rivolto in questo senso dalla Kuliscioff Alle sarte di corso Magenta — oltre a presentare uno squarcio assai interessante della vita del tempo — è senz’altro uno dei più vivaci e convincenti. Forse proprio perché, 88

88 II testo manoscritto dell’intervento della Kuliscioff è conservato presso l’Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis - Amsterdam, Fondo Turati, b. n. 63 (d’ora in poi IISG).84 Cfr., Ibid., a. kuliscioff, Alle sarte di Corso Magenta (appunti per una conferenza) s.d. (il titolo è stato successivamente apposto da Alessandro Schiavi) e Appunti (privi di titolo e di indicazione di Schiavi — probabilmente per una conferenza alle operaie della Manifattura tabacchi).85 Per l’attività svolta a Milano v. Ibid., a. kuliscioff, Alle sarte di Corso Magenta, cit. 19-20 febbraio 1898.86 Cfr. in particolare 1’« Avanti! » dei tipografi (cit. in « Lotta di classe », 20-21 gennaio 1894).87 ig f , Fondo Turati, a. k u liscio ff , Proletariato femminile, cit.

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insieme alle domestiche, le varie categorie di orlatrici, lavoranti di bianco, ricama­trici, costituivano il contingente di forza lavoro femminile che più si prestava ad essere assorbito dalle organizzazioni cattoliche38. E questo a causa del carattere artigianale del lavoro, del forte legame mantenuto con la famiglia e della disper­sione in piccoli laboratori che precludeva loro quella presa di coscienza della propria condizione di sfruttate che per altre categorie di lavoratrici era immedia­tamente tangibile.Rivolgendosi alle sartine milanesi riunite nella Camera del lavoro — di cui molte si erano dichiarate « soddisfatte » della propria condizione di vita — la Kuliscioff ribadiva dunque con particolare incisività, cifre alla mano, l’impossibilità di so­pravvivenza di un’operaia che non potesse ricorrere agli aiuti degli uomini di casa, venissero questi dal padre, dal fratello o dal marito.

Ammettiamo — essa affermava — che il salario medio sia molto superiore a 1 lira e 25 centesimi, ammettiamo che sia di 2 lire e facciamo un po’ i conti di quanto si guada­gna all’anno. Se escludete le domeniche, le quattro grandi feste, la stagione morta che in tutti i rami di confezione è non meno di tre mesi l’anno, la vostra annata di lavoro si ridurrà press’a poco a 230 giorni e nella migliore delle condizioni guadagnerete non più di 500 lire l’anno. Ammettiamo che nella stagione morta, con qualche lavoro a casa e andando a lavorare in qualche famiglia a giornata aggiungerete un altro centi­naio di lire. Ripeto che i conti sono molto più larghi di quello che sono in realtà e con tutto ciò una sartina, nella più fortunata circostanza, non ha che [...] 50 lire al mese. Pensate come si può vivere a Milano con 50 lire? Il fitto, il lume, la biancheria da lavare, le scarpe e poi... ci vuole un abito decente perché le padrone esigono che abbiate bella presenza [...]. Ognuna di voi ha famiglia [...] un angolo per dormire e una minestra alla meglio non vi mancano [...]. Ma immaginate per un momento che siate sole al mondo, credete voi che sarebbe possibile che possiate vivere con la paga che vi danno le vostre padrone? Le sartine, in media ricevono da 75 centesimi a 1 lira e 25 centesimi al giorno [...], fate i conti e vedrete che per mangiare non vi rimarranno che 50 centesimi al giorno. È un salario della fame, delle privazioni, delle umiliazioni continue. Come nutrirsi? Salvo che non vi accontentiate dei resti [incomprensibile] che in una società senza miserie sarebbero destinati ai cani. [...] Immaginate poi se aveste una madre da mantenere, o rimaneste sole con bambini, allora è l’abisso della mise­ria profonda, la mendicità, la congregazione di carità e forse qualche cosa ancora di peggio 89.

Facendo dunque leva su fatti elementari, sui dati più immediatamente recepibili da un auditorio impreparato ad accogliere un linguaggio politico, la relatrice ricordava alle sartine, come del resto alle operaie tessili e alle tabaccaie, l’incalcolabile au­mento del potere contrattuale che avrebbero potuto ottenere con l’associazione e con il risparmio. Alla debolezza organizzativa e all’incapacità materiale di sottrarsi ai ricatti dei capitalisti erano infatti da imputare gli illegali quanto impuniti ricorsi, da parte padronale, a sevizie e a vessazioni inaudite, in occasione dei primi ten­tativi delle operaie di reagire ad un disumano regime di fabbrica.

A Ciserano, nel Bergamasco — ricordava la Kuliscioff a San Benedetto Po — [...] si sono viste [...] scene obrobriose. In un filatoio una ragazza fu trascinata pei capelli lungo tutto il laboratorio perché ha osato esprimere speranza che verrà anche per loro un po’ di luce, dopo gli scioperi vittoriosi di Bergamo città. Ad altre due ragazze, per la stessa ragione, vennero strappati gli orecchini insieme con una parte delle orecchie, *

*8 Notizie riguardo all’organizzazione da parte dei cattolici di questa categoria sono fornite, ad esempio, negli articoli: Vita romana: le lavoranti dell'ago, in « Pro familia » (Bergamo), 19 dicembre 1903, e Per le lavoranti dell’ago, in « Il garofano bianco » (Livorno), 23 gennaio 1904. 85 iisg , Fondo Turati, A. kuliscioff. Alle sarte di corso Magenta, cit.

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un’altra doveva stare delle ore inginocchiata davanti alla maestra per chiedere scusa e così via di seguito [...].

La proposta della Kuliscioff era quindi quella di creare associazioni di resistenza che, con un contributo individuale di 20 centesimi la settimana, avrebbe potuto permettere di raccogliere in una cassa comune — magari affidata in un primo momento ai più esperti amministratori della Camera del lavoro — il necessario per sostenere uno sciopero di diverse settimane. A questa prima fase sarebbe seguita l’organizzazione di società di resistenza miste che sarebbe stato possibile racco­gliere in un secondo tempo in una federazione tramite le Camere del lavoro medesime 90.Obiettivo primario doveva essere l’abolizione del cottimo e la fissazione della gior­nata lavorativa ad un massimo di dieci ore 91. Una conquista che la classe operaia inglese aveva del resto conseguito già da lungo tempo. Dal punto di vista delle condizioni di lavoro, la situazione delle operaie italiane alla fine dell’800 non si distaccava infatti sostanzialmente, se ci si basava sulla descrizione fatta da Marx nel primo libro de II Capitale e in particolare nella sezione dedicata a La giornata lavorativa, da quella delle lavoratrici negli opifici inglesi al tempo della prima rivo­luzione industriale 92.La ricostruzione del processo storico che aveva visto la conquista, da parte della classe operaia inglese, della riduzione della giornata di lavoro, sancita dal Factory Act del 1878 assumeva così un significato pressoché paradigmatico per l’Italia93. E la lezione che da queste analisi si poteva trarre — come aveva affermato lo stesso Marx nella Prefazione alla prima edizione de II Capitale — stava nella con­statazione del fatto che erano le classi dominanti stesse a trovarsi costrette, nel proprio interesse, « ad abolire tutti gli ostacoli che impediscono lo sviluppo e la conservazione della classe lavoratrice ». A spingere infatti un governo di Lords e di borghesi a creare una legge sulle fabbriche per imporre la limitazione della giornata di lavoro, aveva sì contribuito l’organizzazione del proletariato in società di resistenza, ma soprattutto erano state determinanti: « Certe epidemie periodiche che menavano, in quell’epoca varie stragi in mezzo ad una popolazione deperita ed estenuata all’ultimo grado. Le leggi furono una necessità per prevenire la spo­polazione, come è necessario il concime sui campi quando un cieco ed ignorante agricoltore esaurisce il suolo » 94.

11 fattore della « degradazione della specie » diventava dunque anche in Italia il punto di forza attorno al quale articolare la battaglia per la legislazione sociale ed in particolare per la riduzione degli orari di lavoro in fabbrica. Nella elabora­zione del progetto di legge del 1900 sulla tutela del lavoro delle donne e dei bambini i fattori di carattere igienico-sanitario giocavano così — anche per questo

90 Ibid., A. kuliscioff, Per l ’inaugurazione della bandiera di San Benedetto Po, cit.91 Ibid., « La prima cosa che si propone la società è di abolire la vera barbarie delle ore non fisse di lavoro, conquistare le 10 ore di lavoro, per quanto siano ancora troppe, sarebbe poi un vero trionfo per voi ».92 igf, Fondo Turati, A. kuliscioff, Appunti (per una conferenza su li Capitale al circolo dei « Figli del lavoro », 1893).93 Ibid., « La situazione inglese descritta da Marx e da Engels trova la sua riproduzione nelle inchieste sul lavoro fatte ultimamente in Austria e in Germania e qui in Italia, quando leggiamo le tristi narrazioni dei corrispondenti dei giornali. Marx quindi aveva ragione quando, nella sua Prefazione a 11 Capitale, disse che si diffondeva molto sui risultati della legislazione del lavoro in Inghilterra perché ogni nazione deve imparare dalle altre ».94 Ibid.

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più vasto significato storico che venivano ad assumere — un ruolo di primo piano. Non si trattava del resto di un interesse isolato da parte della Kuliscioff che, nella sua qualità di medico, poteva essere portata a privilegiare questo aspetto della questione.Nell’ultimo decennio deH’800 la medicina del lavoro aveva fatto importanti pro­gressi anche in Italia95 e contemporaneamente, sia da parte borghese che per ini­ziativa socialista si susseguivano le inchieste sulle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia96. Questa diffusa attenzione per gli argomenti di carattere socio-sanitario corrispondeva da un lato ad un atteggiamento di incondizionata fiducia nella scienza, di stampo positivista, dall’altro, probabilmente, all’esigenza degli stessi socialisti di mantenere un costante rapporto con la base che, in seguito alla prima comparsa della grande industria, dopo il decollo industriale del ’96, era andata soggetta a notevoli trasformazioni, sia per quanto riguardava lo status che la composizione sociale.Tra le varie ricerche che venivano condotte in quegli anni, particolarmente utile sarebbe stato poter disporre dei risultati dell’inchiesta sul lavoro delle donne che la Federazione femminile socialista di Milano aveva iniziato nel 1897, ma purtroppo, nonostante gli sforzi della Kuliscioff97, l’indagine non aveva potuto essere portata a termine.Dati allarmanti per quanto riguardava l’impiego della manodopera femminile nel­l’industria erano stati, del resto, forniti dallo stesso Ufficio di statistica del mini­stero di Agricoltura, Industria e Commercio che, avendo fatto per il 1890 e il 1895 la classificazione dei morti per età e professione, constatava che tra i filatori di cotone e fra le filatrici e tessitrici specialmente, le morti in età giovane fossero più numerose che non nel complesso degli individui occupati nelle altre profes­sioni 98. E le conseguenze di questo dilagante fenomeno del deperimento fisico delle operaie iniziavano a interessare anche le nuove generazioni, come osservava Ersilia Majno nella sua Relazione sul lavoro delle donne. La mortalità infantile era in aumento 99 100 e già le statistiche di leva registravano un numero sempre cre­scente di riformati (56.683 nel 1887 e 65.507 nel 1896) e di rivedibili (72.381 nel 1887 e 111.753 nel 1896) 10°.11 problema della rapida diffusione delle malattie professionali, soprattutto fra il proletariato femminile, era dunque all’ordine del giorno e particolarmente signi­ficative si rivelavano le descrizioni fornite in proposito dagli ispettori industriali. Il Coetsen, ad esempio, osservava che le operaie esposte all’inalazione di un’enorme quantità di polvere, come le cenciaiole, le lavoranti in cappelli, pellicce, spazzole, pennelli e specialmente le operaie cotoniere contraessero, lavorando in questi am-

95 Cfr. L. dodi, I mudici in fabbrica, c it., p. 37 sgg.96 volker h unek e , Statistiche operaie borghesi e proletarie nel secolo XIX, in « Studi sto­rici », 1973, pp. 373-403; cfr. l'inchiesta condotta da luig i fila sulla tessitura nel Biellese (cit. da Francesco co leiti,' Inchieste borghesi e operaie, in « Critica sociale », 1893, n. 1, pp. 6-9 e l’Inchiesta della Camera del lavoro di Milano sulle condizioni di lavoro nel Cremonese (cit. dalla k u liscio ff , Appunti per l’intervento al Congresso internazionale degli infortuni sul lavoro, in iis g , Fondo Turati).97 Cfr. in proposito « Lotta di classe », 3-4 luglio 1897.95 Cfr. la Tabella riportata da Silvio crespi, Disposizioni da adottarsi intorno al lavoronotturno nelle fabbriche e a! lavoro delle donne e dei fanciulli, in « Annali dell’industria e del Commercio », Roma, 1897, p. 14, cit. da s. merli, Proletariato di fabbrica, cit. p. 284.99 Cfr. « Lotta di classe », 24-26 dicembre 1897.100 E. majno bronzini, Relazione sul lavoro delle donne, cit., p. 15.

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bienti, dei catarri cronici: la cosiddetta « pneumonie cotonneuse », assai pericolosa nel periodo dello sviluppo e i cui tassi di guarigione erano particolarmente bassi (4 su 250) 101. Sempre per le operaie cotoniere, canapine, lanaiole, il 25 per cento dei decessi era determinato dalla tisi 102 103. Fra le setaiole si diffondeva la clorosi e l’anemia, mentre nelle campagne imperversava la pellagra ,03. Dalla relazione del dottor Bordoni Uffreduzzi sulle condizioni di salute nel Comune di Milano risultava che il maggior contingente di morti per tubercolosi (circa 1/6 del totale) era reclu­tato fra le cucitrici, sarte, ricamatrici e modiste e che, nel complesso, il 77 per cento dei morti affetti da tisi polmonare appartenevano alle classi povere 104. Per le operaie occupate nelle fabbriche di trine, carte colorate, fiori artificiali, inoltre, i frequentissimi avvelenamenti professionali, dovuti al contatto con sostanze dan­nose come piombo, mercurio, arsenico, rame, stagno, sulfuro di carbonio e fosforo, si dimostravano assai più pericolosi che per gli uomini, a causa dell’altissima per­centuale di aborti che ne conseguivano (su 141 operaie addette alla lavorazione del piombo, 82 avevano abortito, 8 avevano avuto parti prematuri e 5 avevano partorito feti morti) 105. Sulle impiegate nelle fabbriche di fiammiferi gravava la periostite cronica, nelle manifatture di tabacchi la nicotina produceva indeboli­mento della vista e malattie polmonari in generale 106.La fortuna, del resto, che il filantropismo, l’umanitarismo e le stesse idee socialiste incontravano, in quegli anni, fra i medici 107 contribuiva a creare in campo socia­lista (anche se nella maggior parte dei casi la preoccupazione maggiore non era per la donna ma per i suoi figli) un clima di attenzione per questo genere di pro­blemi 108 109. È sintomatica l’attiva partecipazione socialista al Congresso internazionale degli infortuni del lavoro, tenutosi a Milano, nell’ottobre 1894 lw. In quell’occasione Greulich interveniva sulla questione dell’ispezione negli stabilimenti e Lazzari riba­diva che i più elementari mezzi preventivi erano adottati dai capitalisti solo dove fossero indispensabili per il funzionamento dell’industria. La Kuliscoff sottolineava infine — introducendo un concetto di estrema modernità che sarebbe stato inserito nel programma di rivendicazioni di varie Camere del lavoro 110 — la necessità di estendere l’accezione di infortunio sul lavoro anche alle malattie professionali, tra cui la più pericolosa era:

Specialmente per le donne e pei fanciulli [...] il logorio precoce della vita dovuto alle condizioni generali di lavoro (orari, salari, igiene degli stabilimenti ecc.) [...]. Data la lunghezza della giornata di lavoro — essa affermava — [...] eccessiva per l’organismo della donna, l’agglomeramento delle operaie in ambienti ristretti, dove l’aria è guastata

101 Ibid., p. 12.102 a. m e r k e l , Malattie professionali. Malattie per inalazione di polveri, in aa.w ., Trattato d’igiene sociale e delle malattie professionali, Napoli, Jovene, 1892, voi. 1, parte III, p. 722.103 Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Direzione generale di statistica, Annuario statistico italiano, Roma, 1898, p. 62.104 g uido bordoni u f f r e d u z z i, I servizi d'igiene e sanità del Comune di Milano. Relazione al sindaco, Milano, E. Reggiano, 1903, pp. 112-113.105 e . majno br onzini, Relazione sul lavoro delle donne, c it., p. 13.106 l . HIRT, Malattie professionali. Malattie prodotte da inalazione di gas ed avvelenamentiprofessionali, in aa.w ., Trattato d’igiene sociale, cit., pp. 622-623 e 629-30.107 t . d e t t i. Medicina, democrazia e socialismo in Italia, cit., p. 21 sgg.; v. anche Tullio rossi doria, Medicina sociale e socialismo. Scritti per l ’educazione politica e igienica dei lavo­ratori, Roma, Mongini, 1904.IO*1 Cfr. « Lotta di classe », 20-21 novembre 1894 e 8-9 gennaio 1898.109 Cfr. « Rivista d’igiene e sanità pubblica », 1894, n. 23, pp. 203-4 e « Lotta di classe »,6-7 ottobre 1894.HO l. dodi, / medici di fabbrica, cit., p. 44.

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dalla presenza di tante persone, di sostanze in fermentazione (setifici) e di pulviscoli (cotonifici e lanifici), il lavoro di moltissime donne in piedi, la necessità per moltissi­me di fare vari chilometri di strada per recarsi al lavoro e ritornare in casa in tutte le stagioni, la poca nutrizione (polenta ammuffita), in causa di bassi salari, facilmente si comprende tutto il danno che deriva alle operaie. In queste condizioni, anche alla superficiale osservazione, senza essere medico, si constata il deperimento fisico, anemia, che sono, dato l’ambiente senza nessuna cura dell’igiene elementare, causa di tuberco­losi, scrofola, e le generazioni che vengono non possono essere che scrofolose e ra­chitiche [...]. Gli ufficiali sanitari dei vari luoghi sono tutti concordi che le malattie pre­dominanti fra le filatrici sono quelle causate dall’esaurimento dell’organismo che di­venta così un terreno adatto a tutte le cause morbose [...] ul.

Se i medici erano d’accordo nell’indicare l’assoluta necessità di una legislazione di tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, che limitasse in primo luogo la giornata di lavoro e impedisse il lavoro notturno e festivo 112, non altrettanto con­vinti dell’utilità di una legislazione sociale erano gli imprenditori, che continuavano a sfruttare indiscriminatamente un potenziale di manodopera a basso prezzo che in Italia era ancora consistente.L’intervento dello stato, in materia di regolamentazione del lavoro, cercando di accontentare gli uni e gli altri, si era rivelato totalmente inefficace: dal 1877 le proposte di legge si erano susseguite l’una all’altra per concretizzarsi in un progetto insufficiente come quello del 1886 sulla protezione del lavoro dei fanciulli113. Lo stesso progetto Lacava, che pur costituiva, secondo la Kuliscioff, un progresso rispetto a quelli precedenti, concedeva larghi margini alla trasgressione padronale. Sarebbe bastato guardare l’esempio dell’Inghilterra, ribadiva la socialista, per ren­dersi conto che la legislazione di tutela non aveva avuto altra conseguenza, a dispetto delle previsioni catastrofiche di Senior e di Ure 114, che quella di rinvi­gorire le forze produttive dell’industria: lo sviluppo dell’industria inglese dopo il 1848, quando la giornata lavorativa era stata portata a dieci ore, si era dimostrato, infatti, molto superiore a quello precedente, quando la giornata lavorativa era di 12 ore 115.Ma anche rispetto alle altre nazioni europee, l’Italia, pur essendo — come ricor­dava la Majno — la nazione che impegnava nelle sue fabbriche il maggior numero di donne e fanciulli, per il grande sviluppo della sua principale industria, quella

Ul iis g , Fondo Turati, a. k u lisc io ff , Appunti, per l’intervento al Congresso internazionale degli infortuni del lavoro, cit.112 Cfr. anche Camera del lavoro di Milano, Resoconto del Congresso sugli infortuni del lavoro, in rapporto all’igiene, al lavoro delle donne e dei fanciulli e all’istruzione obbligatoria, Milano, Tip. degli operai, 1895.113 liso, Fondo Turati, A. k u lisc io ff , Appunti, per l’intervento al Congresso, cit.: «Fin dal ’77 è sorta già con Costa la voce al Parlamento perché sia protetto il lavoro dei fanciulli e delle donne nelle miniere di zolfo, i progetti si seguirono l’uno all’altro: al progetto Cairoli del ’79 segue quello di Luzzatti (1879), poi quello di Morelli (1880), poi di Berti nell’84, che fu molto superiore ai progetti di legge anteriori e che finì poi nell’86 con un voto del Senato e della Camera d’una legge, vero aborto, sul lavoro soltanto dei fanciulli, legge che, per confessione dello stesso autore fu poi violata dagli industriali ». Cfr. in proposito renato monteleone, La legi­slazione sociale al Parlamento italiano, la legge del 1886 sul lavoro dei fanciulli, in « Movimento operaio e socialista », 1974, n. 4, p. 229 sgg.'U nassau William senior, Lettres on thè Factory A et as it affeets thè cotton manijacture, addressed, in thè spring of 1837, to thè righi honourable thè President of thè Board of Trade, by Nassau W. Senior, London, Followes, 1844; andrew u r e , Capitoli estratti dall'opera Filosofia delle manifatture, in Biblioteca dell’economista, ser. II (trattati speciali), Torino, UTET, 1863.115 u s o , Fondo Turati, a. k u lisc io ff , Appunti, per l’intervento al Congresso, cit.

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della seta "6, era la più arretrata in fatto di legislazione sociale e la Kuliscioff riportava in proposito dati assai precisi secondo cui la giornata lavorativa risul­tava fissata in Austria, Olanda e Francia a 11 ore, in Portogallo e in Norvegia a 10 ore fino ai 21 anni, in Danimarca fino a 18 anni e in Inghilterra fino a 16 a .8 ore, in Russia a 6 ore per i fanciulli da 12 a 15 anni, in Spagna fino a 14 anni a 5 ore e dai 14 ai 17 a 8 ore. In Svizzera e in Germania la giornata lavorativa era di 11 ore, ma nei giorni precedenti le feste si riduceva a 10 ore e in Svizzera, per le operaie dai 15 ai 16 anni, nell’orario di 11 ore era compresa anche l’istru­zione obbligatoria. Il lavoro notturno, i lavori sotterranei e quelli pericolosi e insa­lubri erano in generale vietati alle^tónne ”7.Data poi la particolarità delle leggi italiane, quella cioè di essere fatte per non essere applicate Ils, si ricordava che, oltre a impegnare una battaglia per ottenere la legge, obiettivo precipuo dei socialisti sarebbe stato quello, altrettanto impor­tante, di pretendere una seria applicazione delle ispezioni del lavoro. L’ordine del giorno che la Kuliscioff presentava a Milano, proponeva così al congresso di avanzare la richiesta che si creasse al più presto possibile anche per l’Italia:

Una legislazione protettrice del lavoro delle donne e dei fanciulli e dell’igiene indu­striale in genere, cominciando dalle industrie ove prevale l’elemento femminile e infan­tile; legislazione che non lasci nessun adito a venire elusa mediante eccezioni e consi­derazioni di speciali necessità industriali ed arbitrio di chicchessia e la cui severa os­servanza sia guarentita da sufficiente numero di ispettori tecnici eletti dalle classi in­teressate alla tutela e retribuiti dallo Stato con pieni poteri di vigilanza 119.

Non solo di fronte all’avversario di classe la Kuliscioff doveva però farsi carico della campagna a favore della legislazione di tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli. Anche all’interno del partito, nonostante i consensi formali che la sua proposta riscuoteva, essa si scontrava col disinteresse e la passività dei compagni: i suoi interventi al congresso di Reggio Emilia del 1893 e di Bologna del 1897 erano infatti restati lettera morta 12°.Sarà solo a partire dal congresso di Roma del 1900 121 che il Psi intraprenderà seria­

li'' E. majno bronzini, Relazione sul lavoro delle donne, cit., p. 5. Sulla base della rileva­zione di Belloc Des Travails des femmes, cit., p. 12 la Majno riporta i seguenti dati relativi all’industria della seta in Italia: operaie adulte, 120.000; ragazze, 34.000; ragazzi sotto i 15 anni, 2.300.117 uso, Fondo Turali, a. k u liscio ff , Appunti, per l’intervento al Congresso, cit.118 Ibid.: « Certo questo progetto alla lettura superficiale può sembrare un gran progresso di fronte all’assenza completa di leggi protettive del lavoro delle donne e dei fanciulli. Ma al­l’attenta analisi non è difficile scoprirvi subito il lato debole. Ed infatti tutte le disposizioni più im­portanti sono accompagnate da eccezioni che neutralizzano la legge perché è ben noto che le eccezioni, nell’applicazione diventano legge e le leggi, viceversa, delle eccezioni. Prendiamo ad esempio l’articolo 4) del progetto: la legge dev’essere tassativa, non si ammettono eccezioni, colla frase elastica della necessità tecnica ed economica, gli industriali troveranno sempre questa ne­cessità e la legge non verrà applicata che per eccezione ».115 Cfr. « Lotta di classe », 6-7 ottobre 1894.120 Sul Congresso di Reggio Emilia vedi luig i cortesi, Il socialismo italiano tra riforme e rivoluzione (1892-1921), Bari, Laterza, 1969, pp. 22-41. Per quanto riguarda il Congresso di Bolo­gna cfr. « Lotta di classe », 25 e 26 settembre 1897, in cui si dà notizia della relazione Kuliscioff contro lo sfruttamento delle donne e dei fanciulli. Sullo stesso giornale iniziava, a partire dagli ultimi mesi del 1897 la rubrica « Proteggiamo la donna, proteggiamo il fanciullo » e sul numero 20-21 novembre si pubblicava uno schema del progetto di legge Kuliscioff, da sottoporre all’esame delle Camere del lavoro e delle associazioni operaie — a questo si limitava, sostanzialmente, l’iniziativa socialista —. Cfr. anche Per le lavoratrici, in « Avanti! », 3 luglio 1897; Contro lo sfruttamento delle donne e dei fanciulli, ibid., 17 febbraio 1898 e A. k uliscio ff , Per la donna e per il fanciullo, in « Lotta di classe », 22-23 ottobre 1898.

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mente una campagna di propaganda per la legge Kuliscioff 121 122. A sollecitare tale iniziativa concorrevano varie cause: sul piano internazionale le deliberazioni del congresso per la protezione operaia, svoltosi nell’agosto del 1897 a Zurigo 123 e, a livello nazionale, l’intensificarsi, verso la fine degli anni novanta, degli scioperi del proletariato femminile, tra cui particolare rilievo avevano assunto quello delle trecciaiole di Firenze, delle risaiole di Molinella, delle filatrici e tessitrici di Monza, del Milanese e del Cremonese 124. Anche i moti del ’98 avevano visto una parte­cipazione femminile particolarmente numerosa 125.Da queste agitazioni, che investivano con accresciuta profondità e capillarità interi ambienti urbani e rurali, si diramavano inoltre le radici di un movimento organiz­zato nelle campagne, in buona parte femminile, che avrebbe dato luogo alla crea­zione di leghe, di organizzazioni di resistenza e, poco dopo al formarsi della Fede­razione dei lavoratori della terra. Nelle Camere del lavoro erano sorte, con ege­monia socialista, le prime commissioni femminili, organizzate per lo più da donne della piccola borghesia e, soprattutto fra le insegnanti elementari, si erano andati reclutando i primi quadri sindacali126.Un’influenza determinante sull’iniziativa socialista doveva aver esercitato inoltre la prospettiva, delineatasi col ministero Saracco 127 e poi rafforzata da Zanardelli, di una nuova fase di riformismo politico, nonché, d’altro, canto, l’intensificarsi della concorrenza da parte delle forze cattoliche a livello Sociale.Nel corso del XVII congresso cattolico nazionale, che si teneva a Roma, nel set­tembre 1900, contemporaneamente a quello socialista, veniva infatti sancita uffi­cialmente la proposta di Toniolo di creare unioni professionali e la questione del­l’organizzazione femminile cattolica assumeva nella discussione un peso rilevante 128. Dopo l’ondata repressiva del ’98, si era assistito del resto, soprattutto per iniziativa

121 a. k u lisc io ff , Organizzazione economica. Per una legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli (Relazione presentata al VI congresso nazionale del Partito socialista italiano, Roma, 8-11 settembre 1900). Milano, Tip. degli operai, 1900.1 2 2 Nel corso del 1902 saranno convocati dalla Federazione delle Camere del lavoro ben 250 comizi. Cfr. «Le Arti tessili», 1° marzo 1902; v. anche l’articolo Agitiamoci e agitate!, in «La battaglia », 9 febbraio 1902, (cit. in luisa osnaghi dodi, L ’azione sociale dei cattolici nel Mila­nese (1878-1904), Milano, Sugarco, 1974, p. 223).123 angiolo e maria cabrini, Il Congresso Internazionale di Zurigo per la protezione operaia (23-24 agosto 1897) e il dovere del proletariato italiano, Milano, ed. della Camera del lavoro, 1898.124 Per quanto riguarda lo sciopero delle trecciaiole di Firenze cfr. nicla capitini maccabruni, La Camera del Lavoro nella vita politica e amministrativa fiorentina (dalle origini al 1900), Fi­renze, Olshki, 1965, pp. 265-305. Cfr. inoltre a. lay, d. marucco, l . pesante , Classe operaia e scioperi, cit., p. 102; vedi anche s. m erli, Proletariato di fabbrica, cit., pp. 568-69.125 Cfr. in proposito paolo valera, Le terribili giornate del maggio ’98, Bari, De Donato, 1973, pp. 38-42.126 e . Santarelli, Donne e lotte di massa in Italia, cit., p. 114; Anna maria mozzoni mala- testa covo, La donna nelle industrie, negli studi, nelle professioni e negli impieghi in Italia, in aa.vv., Operosità femminile italiana, Roma, Rosy Amadori edit., 1902, pp. 195-215. Cfr. anche Le donne si svegliano, in « La Brianza lavoratrice », 19 febbraio 1898. Il 15 giugno 1901 ini­ziava, inoltre, le pubblicazioni a Ferrara « Èva », il primo periodico femminile socialista.127 Cfr. in proposito F. turati, 1 teppisti dell’ordine, in « Critica sociale », 1900, n. 16, p. 241.128 Atti e documenti del decimosettimo congresso cattolico italiano tenutosi a Roma nei giorni 1-5 settembre 1900, parte I, Atti, Bergamo, Tip. della «Riscossa», 1901, p. 206 (cit. in Mario g. ro ssi, Le origini del partito cattolico. Movimento cattolico e lotta di classe nell’Italia liberale, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. 51); cfr. anche p gaiotti de biase , Alle origini del movimento cattolico femminile, cit., p. 7.

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dei democratici cristiani, ad un forte rilancio delle organizzazioni cattoliche 129 * e nel corso del 1900 i fasci e i circoli democratici cristiani si moltiplicavano in tutta l’Italia settentrionale, nel Napoletano e in Sicilia uo.Oltre che fra i contadini, com’è noto, la presenza cattolica si faceva maggiormente sentire tra le maestranze femminili del settore tessile. Indicativo è il fatto che al I congresso professionale cattolico dell’Italia settentrionale, tenutosi nel gennaio del 1902, su circa 500 gruppi professionali e su un totale di 103.668 iscritti 44.524 fossero operai, 35.394 contadini e 23.750 donne 131. La fortuna delle organizza­zioni cattoliche in mezzo al proletariato femminile trovava poi definitiva conferma nella costituzione, nel maggio dello stesso anno, della Federazione nazionale cat­tolica delle arti tessili, che raccoglieva 15.000 adesioni, mentre già nel 1901 erano sorti a Milano il Fascio femminile democratico cristiano e la Lega cattolica fem­minile per la rigenerazione del lavoro 132.Per far fronte alla massiccia penetrazione democratico cristiana fra le donne lavo­ratrici, il Partito socialista scendeva dunque anch’esso in campo, impegnandosi per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle donne e dei minori nel­l’industria.Nei primi anni del ’900 sulla «Critica sociale» e sull’« Avanti! » da una parte, e su « Il domani d’Italia » e la « Cultura sociale » dall’altra, si susseguono un gran numero di articoli sulla legislazione di tutela delle donne e dei fanciulli133.Sia democratici cristiani che socialisti si trovavano sostanzialmente d’accordo nel- l’avanzare la richiesta di una legge che riducesse ad un massimo di 48 ore la settimana di lavoro e vietasse l’impiego delle donne nei lavori insalubri, pericolosi, notturni, nelle ultime sei settimane della gravidanza e nelle prime sei del puer­perio, durante le quali si rimarcava l’importanza dell’istituzione di una Cassa di maternità. Si chiedeva inoltre che si proibisse l’impiego dei fanciulli fino a 15 anni e fino a 20 il lavoro notturno e nelle industrie insalubri e pericolose. Da 15 a 18 anni la giornata di lavoro non doveva eccedere il massimo di sei ore, con l’inter-

129 Valente nel Programma di Torino e Murri sulla «Cultura Sociale» avevano già posto, nel 1899, l’accento sulla necessità di una rete sottile di organizzazioni professionali (cfr. m .g. ro ssi, op. cit., pp. 46-48), v. anche Giu se pp e are, I cottoli e la questione sociale in Italia 1894-1904, Milano Feltrinelli, 1963, pp. 281-306; lorenzo bedeschi, Il modernismo e Romolo Murri in Emilia e Romagna, Parma, Guanda, 1967, p. 34 e sgg.; L. osnaghi dodi, L ’azione so­ciale dei cattolici nel Milanese, cit. p. 139.>3° Sergio zo ppi, Romolo Murri e la prima democrazia cristiana, Firenze, Vallecchi, 1968, pp. 84-93.131 Una folta rappresentanza del proletariato femminile era data dalle lavoratrici di Monza e di Casalbuttano e dalle filatrici di Olate, di Galbiate, di Luino, di Vill’Albese, di Varese e di altri centri minori: cfr. in proposito II congresso professionale cattolico dell’Alta Italia. 4.500 lavoratori al Fossati, in « L’Osservatore cattolico », 27-28 gennaio 1902 (cit. in L. osnaghi dodi, L ’azione sociale dei cattolici, cit., p. 166).132 m .g . ro ssi, Le origini del partito cattolico, cit., p. 74; p. gaiotti de biase , Le origini del movimento cattolico femminile, cit., p. 36.133 Cfr. in particolare II lavoro delle donne e dei fanciulli, in « Cultura sociale », 1900, n. 24, pp. 382-383; I democratici cristiani e il lavoro delle donne e dei fanciulli, in « Il domani d’Ita­lia », 20 marzo 1902 e Alessandro cantone, Il lavoro delle donne nelle officine, in « Cul­tura sociale », 1902, n. 18, pp. 297-98. Vedi inoltre II lavoro delle donne e dei fanciulli, in «Avanti!», 14 gennaio 1901; Ettore reina, Conquistiamo la legge, in «Avanti!», 20 gen­naio 1901; a partire dal 1° febbraio l’organo socialista pubblicava la rubrica Per la protezione della donna e dei fanciulli-, v. anche F. turati-a. k u lisc io ff , Pel lavoro delle donne e dei mino­renni. Un buon sintomo, in « Critica sociale », 1901, n. 12, pp. 177-179; Sul lavoro delle donne e dei minorenni, ibid., 1901, n. 9, pp. 133-35; La legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, ibid., 1902, n. 7, pp. 110-12.

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vallo di due ore di riposo e, nell’arco di tempo destinato agli studi elementari e professionali si richiedeva la refezione scolastica 134.La posizione dei cattolici si differenziava tuttavia da quella socialista per quanto riguardava un aspetto chiave della legge — su cui la Kuliscioff aveva già a suo tempo insistito 135 — la tassatività cioè della legislazione di tutela e la necessità della sua estensione a tutto il territorio nazionale, cui si contrapponeva la discre­zionalità di « Istituti locali forniti della libertà e dell’autorità necessarie » 136. Con ciò si intendeva evidentemente accontentare un po’ tutti: venire incontro alle esi­genze delle classi lavoratrici, dando l’immagine di una chiesa rinnovata e presente nella realtà sociale in salvaguardia degli oppressi137 e, nello stesso tempo, assicu­rarsi il favore dei ceti imprenditoriali i cui interessi non sarebbero stati sostan­zialmente intaccati.Ma la più forte demarcazione tra le posizioni democratico cristiane e quelle socia­liste risiedeva nelle finalità che gli uni e gli altri attribuivano alla legislazione di tutela. Mentre infatti nelle dichiarazioni ufficiali del Partito socialista, fatte dalla Kuliscioff sulle colonne della « Critica sociale », con la protezione del lavoro delle donne si intendeva inserire in maniera più stabile il proletariato femminile nel sistema di produzione capitalistico, sottraendolo ad un disumano sfruttamento, negli intenti murriani la legislazione di tutela costituiva un primo passo per il riassorbimento della donna all’interno della famiglia 138.Ciò che costituiva per i cattolici una speranza, era del resto, agli occhi di alcuni socialisti o di persone che, come la Mozzoni, gravitavano nell’area del partito, oggetto di preoccupazione e di dissenso 139. Preoccupazione che non si rivelava in fondo immotivata. Al di là degli intenti della Kuliscioff, che non erano indubbia­mente animati dall’auspicio dell’estromissione della manodopera femminile dall’in­dustria, lo spirito che animava gli stessi sostenitori socialisti della legislazione pro­tettiva non era certo dei più favorevoli all’estensione del lavoro della donna. E un atteggiamento di questo tipo traspare chiaramente dalle pagine della « Critica sociale » laddove, citando delle statistiche sull’occupazione femminile e minorile negli Stati Uniti, si segnalava come dato positivo la diminuzione degli indici di attività, sia per quanto riguardava i fanciulli che le donne 14°. Ricalcando l’impo­stazione delle socialiste francesi — che, al momento della presentazione della legge Millerand-Colliard sulle 11 ore di lavoro sia per gli uomini che per le donne, si erano dichiarate contrarie a qualsiasi forma di « protezione » del lavoro femmi­nile 141 — Emilia Mariani era così intervenuta nel dibattito sostenendo che la

•34 a. cantono, Il lavoro delle donne nelle officine, in « Cultura sociale », cit., pp. 297-298; Il lavoro delle donne e dei fanciulli, in « Cultura sociale », cit., pp. 382-383; emilio gal- lavresi, Il lavoro delle donne e dei fanciulli, Bergamo, ed. Gatti, 1900, p. 12; cfr. anche Francesco cecchini, Il femminismo cristiano, Roma, Editori Riuniti, 1979, p. 40.•35 iis g , Fondo Turati, a. k u liscio ff , Appunti, per l’intervento al Congresso internazionale sugli infortuni del lavoro, cit.136 r.c., Il lavoro delle donne, cit., p. 383; sul carattere paternalistico attribuito dai cattolici alla legislazione, v. l. osnaghi dodi, L'azione sociale dei cattolici nel milanese, c it., pp. 213-214.137 romolo m urri, Proletariato femminile cristiano, in « Il domani d’Italia », 25 maggio 1902.138 paolo arcari, Femminismo cristiano, in Almanacco - Manuale democratico cristiano pel1901, Roma, 1901, p. 47 (cit. in f .m . cecchini, Il femminismo, cit., p. 80), e anche a. cantono, Femminismo cristiano?, in « Cultura sociale », 1901, n. 5, p. 71.139 a. mozzoni, La legislazione o difesa delle donne lavoratrici, in « Avanti! », 7 marzo 1898.140 Cfr. « Critica sociale », 1902, n. 127, in cui si commenta lo studio di angelo mosso su L'educazione della donna negli Stati Uniti, apparso in « Nuova Antologia », 1902, pp. 193-207.141 Sulle colonne dell’« Aurore », 21 gennaio 1900 le Groupe féministe socialiste affermava: « Quant à la femme, il y a un avantage indiscutible à ce qu’elle soit assimilée à l’homme dans

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legge aveva il difetto di avvicinare troppo la donna al fanciullo, imprimendole un marchio di inferiorità. Mentre per i fanciulli era giusto invocare un simile provve­dimento, le donne avrebbero dovuto essere protette, in linea di massima dalle stesse leggi che proteggevano il lavoro degli uomini, in modo che fosse ben chiaro che esse, a differenza del fanciullo, avevano diritto al lavoro 142.Anche in quest’occasione le due anime della questione femminile, l'intransigenza « borghese » e l'economicismo socialista si trovavano dunque a confronto. Come al congresso di Zurigo la Kautsky, a Roma era la Kuliscioff ad assumere una posizione nettamente secondinternazionalista ,4\ La richiesta di una legislazione di tutela della donna lavoratrice, che nel corso degli anni novanta era affiancata e completata da una serie di rivendicazioni diverse — il diritto di voto, la riforma del codice penale, il divorzio, la ricerca della paternità 144 — appariva adesso l’unico punto di forza della linea sostenuta dalla Kuliscioff ed è indicativo che venga accantonato, in quest’occasione, anche l’appello, da lei stessa formulato a Zurigo, al principio « a eguale lavoro eguale salario ».La rinuncia ad un tipo di istanze « paritarie » era probabilmente il prezzo che essa aveva dovuto pagare per mobilitare il partito attorno al problema della donna lavoratrice, ed era già un successo esserci riuscita.Inoltre per la Kuliscioff la tutela del lavoro delle donne, portando un migliora­mento delle condizioni di lavoro e quindi una maggior educazione e sensibilizza­zione del proletariato femminile, assumeva la connotazione di premessa neces­saria per una successiva presa di coscienza a livello politico. E anche la sua resa di fronte alla « ragion di stato » non era stata così cieca come può apparire a prima vista. Prima di farsi promotrice della legislazione di tutela essa si era premurata di verificare gli effetti che l’introduzione delle leggi protettive aveva avuto negli altri paesi europei e ne aveva tratto dati rassicuranti, per quanto riguar­dava il mantenimento del posto di lavoro per le donne l45.

l’effort du travail, attendu que le grand nombre des femmes que le capitalisme a industrialisé ne doivent pas être différenciées de l’homme parce que cela aggrave l’état d’infériorité au quel les ont réduites les lois et les préjugés qu’ont accumulés des siècles d’ignorance » (cit. in Char­les sow erine, Les femmes ei le socialisme, Paris, Presse de la Fondation nationale de Scien­ces politiques, 1978, p. 93).U- Emilia mariani, Il 1" maggio delle donne lavoratrici. Conferenza. Torino, Sezione femmi­nile di propaganda, 1897, p. 52: « Le sole leggi che possono difendere e tutelare il lavoro delle donne sono quelle che stabiliscono un legale e limitato tirocinio per le fanciulle impiegate nei magazzini e nelle officine, che proibiscono il lavoro della donna nel periodo della maternità e che sanciscono il principio che a uguale lavoro deve essere data mercede uguale alla donna come all’uomo [...]. Gli uomini hanno in mano un’arma sicura, che è il voto, ed è grazie ad esso che ottengono ciò che chiedono. Anche noi dobbiamo batterci per ottenere il voto » (cit. in Luciana capezzuoli, grazia cafpabianca, Storia dell’emancipazione femminile, Roma, Editori Riuniti, 1964, p. 67).143 Per quanto riguarda la discussione sulla legge svoltasi all’interno del partito e il suo det­tagliato iter parlamentare si rimanda agli studi di oriella antozzi, I socialisti e la legislazione sul lavoro delle donne e dei fanciulli, in « Movimento operaio e socialista », 1974, n. 4, p. 285 sgg. e di franca peroni bortolotti, Socialismo e questione femminile in Italia, ¡892-1922, Milano, Mazzotta, 1974, p. 69 sgg.144 La rivendicazione della ricerca della paternità faceva parte del programma di riforme giuridiche proposte già da molti anni da A.M. Mozzoni (cfr. a.m . mozzoni, La donna e i suoi rapporti sociali, Milano, Tip. Sociale, 1864, ora in a.m . mozzoni, La liberazione della donna, a cura di F. Pieroni Bortolotti, Milano, Mazzotta, 1975, pp. 81-89 e, della stessa autrice, La don­na nella famiglia, nella città, nello Stato, discorso detto a Bologna il giorno 16 novembre 1890, Bologna, Pongetti, 1891. p. 15) per ovviare alla discriminazione della legge italiana che, mentre negava alla donna la possibilità di esercitare la patria potestà, in presenza del marito, la sob­barcava da sola all’obbligo di provvedere alla prole, in caso di filiazione naturale.145 « Se le statistiche non sono una fiaba — affermava la Kuliscioff in polemica con quanto

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La validità delle previsioni della Kuliscioff, nel caso specifico dell’Italia, non è facile da appurare. Data la complessità dell’argomento e la difficoltà di una verifica dei dati forniti dalle fonti ufficiali dell’epoca, sulle conseguenze della legislazione di tutela sull’occupazione femminile, è possibile formulare in questa sede solo un’ipotesi, che dovrà essere avvalorata da studi successivi. È opinione corrente in campo storiografico 146 che, all’inizio del secolo, all’introduzione delle leggi sul lavoro delle donne, fosse seguita una forte flessione della manodopera femminile nell’industria. Prendendo invece in esame da un lato il Censimento del 1901 147 e, dall’altro, la Statistica industriale del 1903 148, successiva all’entrata in vigore della legislazione nel 1902 si può osservare — come rileva Procacci149 — che la percentuale delle donne era addirittura aumentata, passando dal 27 per cento al 39 per cento dei lavoratori salariati. E se, del resto, negli anni successivi sarebbe apparso nelle rilevazioni statistiche un calo della percentuale relativa al lavoro femminile, ciò è piuttosto da imputare alla diminuzione complessiva del peso del settore tessile, rispetto alla nascente industria pesante lso.Partendo dunque dall’ipotesi che gli effetti dell’applicazione della legislazione di tutela siano stati pressoché irrilevanti, se ne possono ricercare le cause nel perpe­tuarsi, da parte imprenditoriale, dell’abitudine, ormai consolidata, di evadere le leggi che regolavano il lavoro 1SI, ma è altresì necessario ricordare che in realtà i provvedimenti contenuti nei progetto Carcano erano molto più timidi di quelli richiesti nella proposta di legge Turati-KuliscioffI52.L’età minima per l’assunzione dei fanciulli in fabbrica era portata non a 15, ma a 12 anni, il congedo per puerperio era ridotto a soli 28 giorni, la giornata di lavoro stabilita dalla legge per i minorenni era sensibilmente più lunga (otto ore dai 10 ai 12 anni, mentre i socialisti chiedevano sei ore per i ragazzi dai 15 ai 18)

aveva scritto la Mozzoni nell’articolo Legislazione a difesa delle donne lavoratrici (v. « Avanti! », 6 marzo 1898) — l’eloquenza delle cifre basterebbe a chiudere la nostra contesa. Dopo il Factory Act, in Inghilterra, dal 1850 al 1875, nell’industria tessile, la prima industria protetta [...] le donne da 204.466 aumentarono a 506.989 [...]. Parimenti in Germania, dopo l’introduzione delle 11 ore di lavoro, le donne operaie aumentarono di numero e non si è affatto verificata una diminuzione di salari [ ...] » (a. k u lisc io ff , In nome della libertà, laissez-faire, laissez-passer, in « Avanti! », 19 marzo 1898).146 a. camparini, La questione femminile come problema di classe in Anna Kuliscioff, in aa.vv., Anna Kuliscioff e l ’età del riformismo, cit., p. 312; F. pieroni bortolotti, Socialismo e questione femminile, cit., p. 107.147 Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Direzione generale di statistica, Censi­mento della popolazione del Regno d’Italia al 10 febbraio 1901, Roma, 1904, p. LXXXV.148 Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Direzione generale di statistica, Stati­stica industriale. Riassunto delle notizie sulle condizioni industriali del Regno, Roma, 1905, I, prosp. VI, p. 18.149 g. procacci, La lotta di classe in Italia agli inizi del secolo X X , cit., pp. 9-10. Se­condo le analisi condotte da S. Merli, relativamente ai vari settori industriali, nell’industria della lana e della seta l’impiego della manodopera femminile, nel 1903, era in netto aumento (in Proletariato di fabbrica, cit., p. 100 e p. 103), mentre diminuivano nel settore cotoniero (Ibid., p. 102) e nella macinazione dei cereali (Ibid., p. 105).150 A Milano questo andamento è presente già all’inizio del secolo (cfr. a. nascim bene, Il movimento operaio in Italia, cit., pp. 41-43).151 Sull’applicazione della legge del 19 giugno 1902 cfr. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Ufficio del Lavoro, Notizie sull'applicazione della legge 19 giugno 1902, n. 242 sul lavoro delle donne e dei fanciulli, Roma, 1906, da cui risulta che nel periodo compreso tra il 1° luglio 1903 e il 30 giugno 1905 numerose furono le infrazioni alla legge e le relative contravvenzioni (cfr. G. procacci, op. cit., p. 11).Vedi anche thomas okey, Labour Laws of Women in Italy, s.l., 1908, pp. 6-7.152 Cfr. Sul lavoro delle donne e dei minorenni, in « Critica sociale », 1902, n. 2, pp. 20-22; « Avanti! », 25 e 27 marzo 1902 e « Le Arti tessili », 1° agosto 1903.

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e la giornata di lavoro della donna adulta era fissata a 12 ore. Non venivano inoltre accolte dal progetto ministeriale le richieste dei socialisti relative all’istitu­zione della Cassa di maternità e all’estensione dei provvedimenti di legge al pro­letariato agricolo.Nel progetto dei socialisti per la protezione della donna nell’industria l’istituto della Cassa di maternità aveva invece un’importanza fondamentale. Il parto era infatti il momento più drammatico dell’intero periodo di lavoro dell’operaia che, in occasione della nascita di un bambino si trovava di fronte all’alternativa di ritornare immediatamente in fabbrica, con gravi conseguenze per la salute propria e del figlio appena nato, o di protrarre l’assenza dal lavoro, andando incontro, nella maggior parte dei casi, al licenziamento.La legge Carcano concedeva 30 giorni di riposo nel periodo del puerperio, ma prive di qualsiasi forma di tutela, le donne operaie non avrebbero potuto conce­dersi questo lusso e si sarebbe ricreata la situazione precedente.Per la creazione delle Casse di maternità i socialisti si sarebbero dunque battuti con particolare energia negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della legge Carcano. Nel corso del 1903 e soprattutto del 1904 « Critica sociale » pubblicava sull’argomento vari articoli del medico socialista Giulio Casalini 153 e sempre nel 1904 lo stesso Turati, sulla base dei dati ricavati dall’inchiesta dell’Uf­ficio del lavoro (secondo cui sarebbe stato possibile assicurare un sussidio di 3/4 del salario, la cui cifra non doveva essere comunque inferiore a 1 lira, durante i 30 giorni del riposo obbligatorio) presentava al Consiglio superiore del lavoro una relazione Per la riforma della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, in cui si tracciavano le linee generali del nuovo istituto e si richiedeva l’estensione dei benefici della Cassa, nei limiti del possibile, al periodo della gravidanza che -pre: cede immediatamente il puerperio 154.Allo scopo di fornire al proletariato femminile l’occasione di una più diretta presa di coscienza e di incrementare la solidarietà di classe fra le donne, nonché di rendere meno sgradita la proposta alla classe imprenditoriale, i socialisti propo­nevano che i fondi necessari alla Cassa fossero raccolti con i contributi sia degli industriali che delle operaie.Nonostante ciò le deliberazioni del Consiglio superiore del lavoro non giunsero alla Camera; nel maggio 1905 l’onorevole Rava, allora ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, avrebbe presentato un altro disegno di legge che non si distaccava sostanzialmente dal testo del Consiglio superiore del lavoro — pur limitando da 54 a 50 anni il limite di età delle assistite —, ma il progetto, nono­stante fosse passato in Commissione abbastanza facilmente, veniva successiva­mente insabbiato. Iniziava in tal modo — secondo un’espressione adottata da Casalini — la lunga « via crucis » della legge sulla Cassa di maternità, che sarebbe stata poi approvata solo nel 1912 15S.

153 g iu u o ca sa lin i, A difesa delle madri operaie, in « Critica sociale », 1903, n. 7-8; dello stesso autore, Le Casse di maternità, I: La protezione della maternità nella legislazione sociale, Ibid., 1904, n. 11, pp. 165-168; II: L ’assistenza libera della maternità, Ibid., n. 12, pp. 183-186.154 f . turati, Per la cassa operaia di maternità, in « Critica sociale », 1904, n. 10, pp. 150-153.155 Sul tormentato iter parlamentare della legge cfr. G. casalini, La via crucis della cassa di maternità, in « Critica sociale », 1910, n. 2, pp. 23-25; v. anche rinaldo rigola, La cassa di ma­ternità, in « Avanti! », 20 gennaio 1912.

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Ma quello che più colpisce non è tanto la lunghezza dell’iter parlamentare della legge, quanto il fatto che, a dieci anni di distanza dal progetto Carcano, dai bene­fici della legislazione sociale restasse completamente esclusa queU’ampia fascia di lavoratori che costituiva il proletariato agricolo.La vicenda della Cassa di maternità finiva col denunciare, in altre parole, una delle debolezze di fondo della linea politica adottata da Turati: la subordinazione cioè del riformismo alle scelte di Giolitti, che comportavano una preordinata limi­tazione degli effetti della legislazione sociale alle « aristocrazie operaie » delle in­dustrie settentrionali. E se il grosso merito della Kuliscioff, in questi anni, era quello di aver individuato questa debolezza congenita della politica riformista, la questione della legge sulle risaie, che, a partire dal 1904 si delineava sull’orizzonte politico italiano, si sarebbe rivelata l’occasione opportuna per tentare di opporvi dei correttivi.La battaglia che la Kuliscioff intraprendeva per il miglioramento della legge sul lavoro risicolo, frutto della convergenza dell'interesse specifico per i problemi del lavoro delle donne e dell’impegno per il rinnovamento di un riformismo che cominciava a dar segni di stanchezza, acquista dunque, in quest’ottica, un rilievo del tutto nuovo, sia da un punto di vista politico che sociale.Nel carteggio Turati-Kuliscioff il problema della riforma della legge sulle risaie -— finora passato pressoché inosservato dalla storiografia sul riformismo italiano — emerge, negli anni 1904-1907 con particolare vigore. « Fra tutte le leggi da te accennate, quella che mi pare la più sentita ed urgente è quella sul lavoro nelle risaie », scriveva la Kuliscioff nel febbraio 1904 l56; e successivamente ribadiva in una lettera a Turati: « Hai fatto benissimo di assumerti la briga di difendere le risaiole, se i socialisti non facessero neppur questo, che cosa starebbero a fare là a Montecitorio? Sacrificherei tanti altri impegni pur di battersi per quelle povere ragazze sfruttate a sangue. Plaudo dunque il tuo slancio e non importa se la “Critica” uscirà lunedì o martedì » l57.Nel corso del 1904 la questione delle leggi sul lavoro risicolo incontrava del resto un’ampia risonanza a livello nazionale. Il dibattito era sorto in seguito alla richie­sta, avanzata dai risaioli, dell’applicazione delle norme igieniche e di tutela conte­nute nella legge Cantelli del 1866 e nei regolamenti provinciali del 1869 che non avevano visto mai una reale applicazione 158. La risposta padronale era stata l'immediata convocazione di un convegno dei risicultori a Mortara, nel corso del quale si erano susseguite una serie di relazioni sia di carattere tecnico che igienico più o meno abilmente manipolate allo scopo di dimostrare, come affermava Casa­lini: « Che la risaia è poco meno che un Paradiso terrestre e che le scoperte della scienza [...) erano riescite tutte negli interessi dei risicultori e contro i pregiudizi dei risaioli » 159 160.Per confutare le argomentazioni padronali l’Umanitaria aveva quindi condotto un’inchiesta sulle condizioni di vita in risaia portandone alla luce gli aspetti meno pubblicizzati ,6°. Per quanto riguardava, ad esempio, i contratti di lavoro, che in

156 F. t u r ari-A. k u liscio ff , Carteggio, cit., voi. Il, tomo I, p. 147; Ibid., p. 148: «Ti dissi già fin da principio che, secondo me, si doveva insistere soltanto sulla legge delle risaie; legge sentita, aspettata, indispensabile e di massima importanza politica ».157 Ibid., p. 504.158 g. casalini, Leggi sociali in gestazione. La legge sul lavoro risicolo. I precedenti, in « Critica sociale », 1904, n. 4, p. 56.159 ibid., p. 56.160 Giovanni lorenzoni, I lavoratori delle risaie. Inchiesta sulle condizioni del lavoro nelle

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alcuni comuni prevedevano una giornata di otto ore, il Lorenzoni osservava come questa brevità fosse solo apparente, dal momento che i risaioli, dopo aver inter­rotto il lavoro in un fondo, passavano a lavorare, prestando il cosiddetto « terzo di giornata », o nelle loro terre, se erano piccoli proprietari, o nei fondi dei medi risicultori, per cui la giornata di lavoro arrivava in realtà, nelle risaie, fino a 14 ore e mezzo e la giornata di riposo non era rispettata 161. Oltre che allo sfrutta­mento degli agrari, dall’Inchiesta risultava poi come i lavoratori delle risaie — « l’e­sercito della malaria e della morte », li aveva definiti Cabrini sulla « Critica so­ciale » 162 — fossero sottoposti anche a quello degli intermediari, che oltre a trat­tenere per sé una parte della somma stanziata dal padrone per i contadini, preten­devano prestazioni gratuite di lavoro per il vitto (sempre di pessima qualità) che fornivano loro e per le spese di viaggio che anticipavano ai lavoratori venuti da fuori. Il tempo a disposizione per i pasti era il minimo indispensabile, le condi­zioni igieniche degli alloggi erano le peggiori e non veniva presa nessuna misura di sicurezza per evitare il contagio della malaria che, pur rivelandosi mortale solo in un limitato numero di casi, costituiva una grave minaccia per i risaioli, tra cui trovavano, del resto, la massima diffusione le malattie gastrointestinali e le dermatiti 163. Particolari inconvenienti presentava l’operazione di mondatura del riso per le donne, che costituivano, secondo i dati forniti dal Lorenzoni, il 75 per cento della massa dei lavoratori ,64. Soprattutto in periodo di gravidanza il lavoro in risaia era esiziale a causa dell’umidità e della posizione sempre piegata: lo stesso dottor Ragazzi riconosceva che i parti prematuri e gli aborti erano assai frequenti e ricordava il caso, da lui stesso osservato, di una donna che, sorpresa dai dolori del parto mentre mondava, aveva avuto appena il tempo di ritirarsi dalla squadra e aveva partorito in mezzo alla risaia 165.La fama della miseria della vita nelle risaie aveva, del resto, un’ampia eco nella cultura popolare dell’epoca e anche la letteratura, da Ada Negri a Carducci, aveva immortalato la mondina come la figura della « sfruttata » e della « sofferente » per antonomasia. Particolarmente significativa era l’immagine che lo stesso Cabrini ne dava sulle colonne di « Critica sociale »:

Con le ossa rotte, bruciate e polverose arrivano al cascinale stabilito, ove l’acqua di un fossato le lava e le disseta e dove l’ampia cascina tutte le accoglie sopra un metro di paglia, tutte e tutti senza distinzione di età e di sesso [e] quante volte il pove­ro medico condotto chiamato al letto di una fanciulletta quindicenne — reduce dalle risaie — ne constata una gravidanza [...]. La mattina alle 4 la voce grossa del negriero fa sveglia implacabile [...]. Le poverette, con le gonne tirate su fino al ginocchio e le teste in giù fino al livello del ventre, aspirano i miasmi che salgono dalla terra mal­sana, piena di mosche e di ranocchie e, fortunatamente di sanguisughe. Fortunatamen­te? Eh, sicuro [...]. La risaiola trae lucro anche dalla sanguisuga. Ella se la lascia attaccare alla pelle, le permette di succhiare un po’ di sangue poi, taffetà! l’afferra e

risaie della Lomellina, del Vercellese e del Novarese (a cura dell’Ufficio del Lavoro della Società Umanitaria), Milano, Ufficio del Lavoro edit., 1904.1̂1 Ibid., p. 58; in proposito cfr. anche G. casalini, Leggi sociali in gestazione, la legge sullavoro risicolo. L'ambiente economico. Alcune premesse, in «Critica sociale», 1904, n. 5, p. 79.162 a. ca brini, La vita delle risaiole, cit., in « Critica sociale », 1891, n. 12, pp. 180-182.163 c. casalini, Leggi sociali in gestazione. La legge sul lavoro risicolo. Il lavoro risicolo e l’igiene, in « Critica sociale », 1914, n. 8, p. 127.164 g . lorenzoni, I lavoratori delle risaie, c it., p. 25.■65 L a relazione del dott. Ragazzi è citata da G. ca sa lin i, Leggi sociali in gestazione. Lalegge sul lavoro risicolo. L ’ambiente economico. Alcune premesse, in « Critica sociale », 1904, n. 5, p. 78.

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la rinchiude in una bottiglietta. E va a vuotare — la domenica — il recipiente nella farmacia del villaggio vicino, aggiungendo alla paga qualche centesimo in più I66.

Il permanere nelle risaie di condizioni di lavoro così arretrate era in realtà conse­guenza del potere contrattuale estremamente esiguo della categoria, e non tanto per il fatto che essa fosse costituita in gran parte da manodopera femminile, quanto per 1’esistenza di un immenso « esercito industriale di riserva », cui il padronato poteva ricorrere, data la caratteristica eminentemente stagionale dell’operazione di monda. Si veniva così a creare una spaccatura tra lavoratrici « locali », che soprat­tutto grazie all’opera dei contadini di Mortara conducevano una battaglia per la limitazione della giornata di lavoro e per un aumento salariale I67, e « forestiere », che si prestavano al crumiraggio e non aderivano alle organizzazioni sindacali168.Ciò nonostante, a partire dal 1904, le agitazioni fra le mondine si facevano sempre più frequenti e la « Critica sociale » dava un ampio resoconto degli scioperi nelle risaie dei mandamenti di Novara, Vercelli e Mortara, che si erano nel complesso conclusi con notevoli conquiste da parte dei risaioli, sia per quanto riguardava l’orario di lavoro che il salario, anche se non si era arrivati ad ottenere l’obiettivo massimo, cui tendeva il Comitato federale dell’organizzazione contadina: le otto ore di lavoro e i 25 centesimi all’ora 169. Ma gli scioperi più massicci — le cui vicende venivano puntualmente seguite dalla Kuliscioff — si sarebbero verificati alcuni anni dopo (1907) nel Vercellese: «Non so perché ti addombri [sic] — essa commentava in una lettera a Turati del 3 marzo 1907 — per lo sciopero del Ver­cellese. Ormai i proprietari sono alla disperazione per l’abbandono del bestiame e per pietà delle bestie diventeranno un po’ meno feroci col bestiame umano. Voi fate l’azione legale e il proletariato lasciatelo esprimere i suoi desiderata come meglio può. Mi pare che le due azioni si completano e un movimento così vasto non può che rinforzarvi » 17°.Era poi sempre la socialista russa ad incalzare Turati con consigli e sollecitazioni perché si battesse in Parlamento per la modifica della legge sulle risaie 171 e sarà ancora lei, nel mese di maggio, a stimolare il compagno — di cui si impegnava a far pubblicare integralmente la relazione sulla « Critica sociale » 172 — ad una più netta opposizione al disegno di legge Giolitti-Cocco 'Ortu 173.

166 a. cabrini, La vita delle risaiole, cit., p. 181. Sulle condizioni di vita in risaia cfr. anchelu ig i faccini, L ’economia risicola lombarda dagli inizi del XVIII secolo all’Unità, Milano,Angeli, 1976, p. 145 sgg.167 Alessandro schiavi, Per le 8 ore in risaia, in « Critica sociale », 1904, n. 16-17, p. 262.168 Per risolvere questo annoso contrasto si teneva, nel dicembre 1906, a Pavia, il congresso nazionale dei lavoratori della risaia, in cui veniva approvato un ordine del giorno che, ricono­scendo nel crumiraggio uno dei maggiori ostacoli al successo delle rivendicazioni operaie locali, stabiliva una severa regolamentazione del lavoro delle emigrate, tramite il ricorso agli uffici di collocamento e l’adeguamento alle tariffe stabilite dalle organizzazioni locali (cfr. Il Congresso dei risaioli di Pavia, in « L’Umanitaria per i lavoratori dei campi », 30 dicembre 1906. V. inoltre Lotte agrarie in Italia. La Federazione Nazionale dei lavoratori della terra. 1901-1926, a cura di R. Zangheri, Milano, Feltrinelli, 1960, pp. 168-170.169 a. schiavi, Per le 8 ore in risaia. Gli scioperi della primavera del 1904, in « Critica so­ciale », 1904, n. 15, pp. 229-231.170 f . turati-a. k u liscio ff , Carteggio, cit., p. 507.171 Per quanto riguarda la discussione sulla legge sulla risicultura v. Atti Parlamentari. Di­scussioni sulla Camera dei Deputati, leg. XXII (1907), voi. XII, pp. 14527-14551, 14635-14673. Per la proposta di legge socialista sulle risaie cfr. anche « La Giustizia » (settimanale), 10 marzo 1907.172 F. turati, Le utopie dei conservatori. La controrelazione sul disegno di legge per la risicultura, in « Critica sociale », 1907, n. 10, pp. 155-160; cfr. anche Trappola smontata, Ibid., 1907, n. 11, pp. 161-162.173 F- turati-a. k u liscio ff , Carteggio, cit., pp. 520-521: « I tuoi scrupoli su! progetto

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Questa attenzione nei confronti delle donne impiegate nell’agricoltura era in realtà un fatto nuovo per la Kuliscioff e stava a dimostrare come, a differenza delle prime analisi degli anni novanta, in cui veniva presa in esame e valorizzata, sulla scia dell’esempio dei paesi più sviluppati e soprattutto della Germania e dell’In­ghilterra, unicamente la realtà del lavoro di fabbrica, nel corso dell’età giolittiana, la visione politica della socialista russa, adattandosi alle condizioni economiche e sociali dell’Italia, si fosse andata facendo sempre più autonoma.Con l’impegno per le leggi sulla risicultura può dunque considerarsi conclusa una prima fase dell’attività della Kuliscioff a favore delle donne, attività che avrebbe ripreso, a partire dal 1910, con un taglio in parte mutato, in un’ottica cioè più specificamente politica, con la battaglia per il suffragio e la successiva fondazione del primo giornale femminile del Partito socialista, « La difesa delle lavoratrici ».

MARIA CASALINI

riveduto e corretto sulle risaie mi paiono un po’ esagerati. Tu stesso ammetti che, per quanto migliorato, è pur sempre animato di puro spirito reazionario; può essere meno peggio della legge capestro, ma rimarrà pur sempre, credo, un meno peggio che si presta ad essere combattuto con fervore ed energia. Il riformismo dei socialisti, se non sono essi al potere, e non c’è neppure la democrazia, consiste appunto di scongiurare i grandi tradimenti di classe da una parte, e tenere viva l’opposizione a tutta quella parte di tradimento che si nasconde in una legge sociale portata e sostenuta dai proprietari ».