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Il lago che fluisce nella Grande Bellezza Gente Bracciano Aprile 2014 numero 0* di C’è ancheillagodiBraccianonellaGrandeBellezzada oscar di Sorrentino. L’acqua che scroscia nella prima scena arriva dal lago. E lì infatti al Fontanone del Gianicolo che termina l’acquedotto, voluto dal pontefice Paolo V per dare acqua ad una parte di Roma. Un inter- vento idrico che ricalcava quello voluto da Traiano nel 109 d.C.. Sulla mostra dell’Acqua Paola progettata da Giovanni Fontanaeultimatanel1610unaiscrizioneconferma:PAVLVS QVINTVS PONTIFEX MAXIMVS/ AQVAM IN AGRO BRACCIANENSIS/SALVBERRIMIS E FONTIBVS COL- LECTAM/VETERIBVS AQVAE ALSIETINAE DVCTIBVS RESTITVTIS/NOVISQVE ADDITIS/XXXV ABMILLIARIODVXIT.Roma, oggi come allora, beve e si impreziosisceconl’acquadel lacus sabatinus. E mentre, omeo- paticamenteparlando,l’acquahamemoriaePaoloVsalutavala “saluberrima”fonte,oggil’Aceatace,sicompiaceenonringrazia.

Gente di bracciano aprile 2014

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Dopo la buonissima accoglienza al numero 0 ecco il numero 0*

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Page 1: Gente di bracciano aprile 2014

Il lago che fluiscenella Grande Bellezza

GenteBracciano

Aprile 2014 numero 0*

di

C’èanche il lago di Bracciano nella Grande Bellezza da

oscar di Sorrentino. L’acqua che scroscia nella

prima scena arriva dal lago. E lì infatti al Fontanone del

Gianicolo che termina l’acquedotto, voluto dal pontefice

Paolo V per dare acqua ad una parte di Roma. Un inter-

vento idrico che ricalcava quello voluto da Traiano nel 109

d.C.. Sulla mostra dell’Acqua Paola progettata da Giovanni

Fontana e ultimata nel 1610 una iscrizione conferma: PAVLVS

QVINTVS PONTIFEX MAXIMVS/ AQVAM IN AGRO

BRACCIANENSIS/SALVBERRIMIS E FONTIBVS COL-

LECTAM /VETER IBVS AQVAE ALSIETINAE

DVCTIBVS RESTITVTIS/NOVISQVE ADDITIS/XXXV

AB MILLIARIO DVXIT. Roma, oggi come allora, beve e si

impreziosisce con l’acqua del lacus sabatinus. E mentre, omeo-

paticamente parlando, l’acqua hamemoria e Paolo V salutava la

“saluberrima” fonte, oggi l’Acea tace, si compiace e non ringrazia.

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La lezione di Enrico30 anni fa la scomparsa del segretario del PCI Berlinguer

Non riesco a parlare di EnricoBerlinguer senza che il mio pensiero

vada subito a suo padre Mario, sociali-sta, del quale fui compagno ed amicocarissimo e che condivise con me tantebattaglie democratiche e tanti rischi.

Enrico l’ho conosciuto ancora ragaz-zo, taciturno e riflessivo fin da allora.L’ho sempre considerato una persona difamiglia e m’è difficile mettere da parte ilegami di amicizia per dare un giudiziodistaccato su di lui. Certo è però questo:che se il Partito Comunista Italiano ècosì profondamente radicato nella nostrarealtà politica lo si deve anche e direisoprattutto alla sua opera. Desidero soloricordare tre aspetti della sua personali-tà che mi hanno colpito: l’incessante tor-mentato impegno di ricerca nello sforzodi aprire vie nuove al suo partito e aduna società come la nostra, pluralista,democratica, in rapida trasformazioneed evoluzione; il grande rigore morale, ilsignificato altissimo che egli attribuivaal tessuto di solidarietà, che, al di làdelle collocazioni parlamentari, delledivisioni e anche degli scontri, tieneassieme tutte le forze politiche democra-tiche italiane. Questo legame, a suo giu-dizio, costituiva oltre che il dato caratte-ristico di una grande civiltà democrati-ca, uno scudo della nostra democrazia,contro ogni crisi ed ogni aggressione.

do contemporaneamente l’attacco calun-nioso e mistificante di tutta (quasi) lastampa italiana. La battaglia sindacaleera perduta, conseguenze assai pesanti.

Ma la presenza di Berlinguer allaFiat, e proprio nel momento più duro,parve allora a me, e pare ancora oggi, unpegno per il futuro. Se una così grandeparte del popolo, indipendentementedalla posizione politica, pensa oggi condolore e tenerezza alla morte di quest’uo-mo, questo nasce dal modello politico eumano che egli ci ha offerto».

Roberto Benigni scriveva che avreb-be voluto avere studiato medicina. Essereun grande medico, saltare su quel palcodove Berlinguer s’era sentito male men-tre parlava, salvarlo in pochi istanti.«Andiamo all’ospedale di corsa dicendoalla folla di aspettare. Faccio stendereBerlinguer, usciamo. Sta benissimo.“Grazie” dottor Benigni. “Niente”,Berlinguer. Ti voglio bene…In questigiorni s’è bruciato il firmamento, adessoso che si dirà: Berlinguer è vivo andiamoavanti. Io invece vorrei dire: Berlinguer èmorto, torniamo indietro. Caro Enrico.Troppo presto. Morire a sessantadue anniè come nascere a ventiquattro mesi: unonon ci crede. E io sono sicuro che maga-ri fra una settimana Berlinguer appariràalla televisione con una bella camiciahawaiana. Io aspetto. Chissa!».

La sensazione che avevamo io e lamia compagna era che si bruciavano, conla morte di Berlinguer, i nostri sogni diun mondo migliore. L’hanno avuta milio-ni di italiani. Abbiamo pensato non sol-tanto, che era avvenuta “una tragediapolitica”, ma che la sua morte era perognuno di noi una disgrazia personale,una perdita intima, qualsiasi fosse il colo-re politico di ognuno di noi. Un comuni-sta ammirato e stimato, anche dagliavversari politici, per la sua forza mora-le. La sua straordinaria libertà mentale, lasua rettitudine, il suo coraggio e queldono che aveva di parlare alla gente, didominare la folla senza mai assumere iconnotati e le striglie del potere.

I giovani di oggi dovrebbero conoscerela storia di un grande leader di fine ’900,nel quale le speranze di milioni di italia-ni erano riposte.

E questo è anche il mio convincimen-to. Con questi sentimenti ho seguito aPadova la sua agonia e ho pianto la suamorte. Sentivo che perdevo un fraternoamico ed un compagno di lotta sicuro.

E la sua perdita la sento oggi in modoamaro ed acuto. Sandro Pertini

Nell’anniversario trentennale dellascomparsa del segretario del partitocomunista italiano, Enrico Berlinguer,ricordo, leggendo L’Unità, organo delpartito, le testimonianze di personalitàitaliane e straniere. Ho conservato i gior-nali di quei tragici giorni. Era per tutti unmomento particolare, Scriveva LuigiPintor: «sento quello che è successo co-me una tragedia politica. È una bruttaespressione retorica, eppure è così».

Vittorio Foa scriveva: «RicordoBerlinguer a Torino, nella vertenza Fiatdei 35 giorni, 1980. Mi parve allora chenessun dirigente del movimento operaioavrebbe avuto il suo coraggio, in unasimile situazione di tempesta, affrontan-

Uomini di buone maniere ma di cattive abitudini. Classe diri-gente che si è allontanata dal popolo, lo ha abbandonato, inca-pace di altro se non di seguire la propria ideologia e di scivola-re verso la corruzione. Gesù li chiamava “sepolcri imbiancati”.

Dall’omelia di Papa Francesco del 27 marzo 2014

Perché “Gente di Bracciano”

Come nasce questo giornale. Un gruppo di amici, voglioso di fare informazione,riscopre la necessità di rifare memoria storica indirizzata ai giovani e agli anzia-ni di Bracciano. Può sembrare un atto fuori dal tempo. Siamo talmente sommer-si dalla retorica della rete, del web, che scrivere può sembrare una cosa inutile,al massimo giuoco per vecchi demodé. Ci siamo messi insieme, per raccontare,in ogni numero, le storie di vita delle famiglie e dei personaggi di Bracciano,affettuosamente presenti nella memoria degli abitanti di questa città. Ci siamomobilitati con il giusto entusiasmo in questa avventura con il desiderio di scri-vere la vita vissuta da chi è disposta/o a raccontare la sua storia bella, brutta, dif-ficile, tra amore e dolore, dalla adolescenza alla maturità fino al traguardo dellavecchiaia. Iniziamo da questo numero con il raccontare la storia di “Zio Pietro”,pisciarelliano doc, con i suoi splendidi 93 anni, con i ricordi della sua guerra,della sua vita, dei suoi dolori e dei suoi amori.Dopo circa due mesi dall’uscita del numero zero che abbiamo presentato al CaffèGrand’Italia, con l’entusiasmo per il lavoro svolto da ognuno di noi e, per il suc-cesso avuto alla presentazione, con la partecipazione di un centinaio di convenu-ti interessati all’evento, usciamo con un nuovo numero del giornale, con il solitoimpegno di tutti noi. Inoltre con l’adesione dei nuovi entrati, felici di parteciparecon la passione di chi crede di aver realizzato qualcosa di importante. Certamenteil nostro entusiasmo potrebbe scemare se non dovessimo trovare, per proseguirela pubblicazione del giornale, “sponsor” per la pubblicità stampata di esercizicommerciali, professionisti, artigiani, enti, piccoli imprenditori, sindacati, partiti,ecc. Inoltre chiunque voglia contribuire alla stabilizzazione di un giornale tuttobraccianese, con lettere, poesie, brevi racconti, aneddoti, piccole novelle e segna-lazioni riguardanti problemi di vivibilità della città e dintorni, utili alla conoscen-za e alla informazione degli abitanti di questa bellissima cittadina.Chiudo questo editoriale con un pensiero di Vasco Pratolini: “Il pane del pove-

ro è duro, e non è giusto dire che dove c’è poca roba, c’è poco pensiero. Al con-

trario. Stare a questo mondo è una fatica, soprattutto saperci stare”. (Metello)Claudio Calcaterra

GenteBraccianodi

Aprile 2014 Numero 0*

Dedicato

a Giovanni

Editore: Claudio Calcaterra

Direzione: Graziarosa Villani

Redazione: Francesco Mancuso,Mena Maisano, Vittoria Casotti,Massimo Giribono, David Antonelli.

Contatti:[email protected]. 349 1359720

Stampato in propriosu carta riciclata

L’11 giugno 1984 dopo un malore durante un comizio moriva a Padov

Claudio Calcaterra

Aprile 2014 Gente di Bracciano

Page 3: Gente di bracciano aprile 2014

na e appare la sua ortografia, bella, ordi-nata, quasi un affresco: “se la vita fosse

come un libro io ne straccerei le pagine

dolorose giacchè non è fare e cerco di

dimenticare i tristi giorni, Palermo 6

maggio 1941”. Non sa dire se sono sueparole o qualche brano tratto da qualcu-no dei libri che ama leggere.

Dopo un breve soggiorno viene tra-sferito a Corleone. La centralina erasituata in una villa, proprietà di unanobildonna inglese, una spia, mormo-rava il popolo, nel suo bisogno d’incan-to e d’inganno. Zio Pietro si ferma unattimo, sta mettendo a fuoco un episo-dio accaduto al suo maggiore, poi rac-conta. Il maggiore aveva una bellafigliola di cui s’invaghì il suo autista,un siciliano verace. Il maggiore, capital’antifona firmò il foglio di trasferi-

mento del suo autista, che, offeso nel-l’onore, si presentò a casa della suabella con una pistola in pugno, se nonl’avesse potuta avere lui allora nessunaltro e le sparò. Fu la mamma a salvarela figlia, al momento dello sparo labuttò in terra e il proiettile s’infisse nelmuro, allora l’autista si sparò. I colpifurono uditi fino alla villa e la vicendanon riuscì a rimanere chiusa nei casset-ti. Come se un nesso legasse i due episo-di racconta di seguito come fu salvato dauna vecchia contadina del luogo. Unamattina arrivò trafelata strillando che gliamericani erano sbarcati e che i lorocarri armati avevano ormai sotto tiro lavilla, per distruggere la centralina di tra-smissione fascista. Pochi tedeschi ingiro e si arresero di buona lena. Non tro-vando un lenzuolo bianco per dichiarare

le loro intenzioni presero il manico diuna scopa, legarono un po’ di camicie euscirono allo scoperto dichiarando cosìla loro “voglia” di arrendersi. Zio Pietroha un soprassalto e, orgoglioso della suamemoria, dichiara che il generale deldistretto si chiamava Caratti, Caratticonferma più volte.

Il comando americano trasferì i pri-gionieri nella piana di Catania, unprato, dei pali a delimitare il territorio,sentinelle che a chiunque provasse auscire dal perimetro tracciato dai pali,filo spinato non ce n’era, sparavano unprimo colpo ai loro piedi, del secondonon ce ne fu mai bisogno. Il campo eravicino a un piccolo aeroporto di fortu-na. Due piloti prigionieri decisero difuggire con un piccolo aereo a elicaposteggiato nel campo, proposero a zioPietro di seguirli, fu un no, aveva pauradi volare.

Ogni tanto zio Pietro si ferma, quasiche stesse sbobinando il nastro dellasua guerra, un flash e ricomincia a nar-rare. Dopo qualche giorno furonoimbarcati su una nave cargo, rimaserotre giorni alla fonda, poi partenza per laTunisia. Al porto zio Pietro narra chefurono accolti premurosamente da ungruppo di donne siciliane che offrironoai prigionieri acqua e pane, comepotessero essere lì quelle care femminenon ha saputo dirlo, ma ricorda nitida-

Palermo, 6 maggio 1941

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Si chiama Pietro de Santis, detto“scatizza”, l’attizza-fuoco, ed è

nato a Pisciarelli nel 1921. Il sopranno-me se lo guadagnò a scuola, era ilmigliore nell’attizzare dispetti ed eral’unico che riusciva a tenere testa al“deputà”, un monello invasivo, a volteprepotente. Andò alle elementari in unacasa rustica, proprietà del principe, lasua maestra, Emma, la ricorda con pia-cere, poche bacchettate sulle mani etanta pazienza con quei monelli, figli dicontadini. Mi mostra con orgoglio lasua pagella delle elementari, sette inortografia e storia, la sua materia predi-letta. La pagella è da incorniciare, tuttaghirigori perfetti e una scrittura chesembra uscita da un’antico testo copia-to a mano da un monaco benedettino.

Papà e mamma erano orgogliosi delloro figliolo e un giorno lo vestirono afesta con la divisa da balilla, lui ne fucontento, ma non troppo, la divisa gliimpediva di “scatizzare” come a luipiaceva. La sua memoria di quei tempiè lontana, batte il bastone a terra iratoquando qualche nome, qualche fattonon gli torna alla mente con la necessa-ria precisione. Poi, piano, piano comin-cia a raccontare “la sua guerra”.

Il racconto inizia con la fotografiadi tre giovani scanzonati in divisa.

Quello al centro è lo zio Pietro. Daora in poi lo chiamerò così, “zioPietro”, una forma d’affetto che la co-munità braccianese gli riconosce per isuoi splendidi 93 anni. Sono in posa, indivisa, l’aria di tre giovani che sfidanola vita, forse non del tutto consapevolidel dramma che sta vivendo l’Europa,attraversata dalla ferocia del nazismo edel suo alleato italico, il fascismo.

Dietro s’intravede la Palermo di queitempi, lì sono stati comandati in un cen-tro trasmissioni del regio esercito.

Con le mani tremanti gira la cartoli-

Zio Pietro va in guerraI ricordi del pisciarelliano doc

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17 novembre 1947Pietro De Santis

Aprile 2014 Gente di Bracciano Aprile 2014 Gente di Bracciano

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mente quel loro fraseggiare siciliano,mentre offrivano ristoro alle loro golesecche e pance vuote. Poi in trenoverso l’Algeria, tappa al porto diOrano. Quel viaggio lo tormenta anco-ra. Racconta, con gli ancora impauriti earrabbiati, che a ogni stazione torme disoldati marocchini e di algerini li face-vano segno di sputi e di sassate, di sputie di sassate, di sputi e di sassate, ripeteancora indignato più volte, nessunatraccia di una domanda assassina, per-ché tutto quell’odio nei loro confronti?Poi un sorriso lo illumina e racconta diBruno di Verona, che, non potendonepiù abbassò il vetro e i pantaloni emostrò il suo membro sberleffo agliinsultanti. Dovette intervenire ilcomando americano per impedire guaipeggiori, portarono via Bruno e, dicezio Pietro, avemmo tutti cattivi presen-timenti. Dopo un’oretta Bruno uscì sor-ridente dal comando con due enormivaligie tra le mani, una di sigarette,l’altra di cioccolata e scatolette. Misteridelle guerre.

Giunti a Orano gli americani propo-sero ai prigionieri un’alternativa alcampo di prigionia già pronto, quella diaiutarli a scaricare le navi che giunge-vano al porto, vettovagliamento e armileggere per la guerra nel deserto, 40cents al giorno e qualche libertà.

Fu così che Zio Pietro cominciò ascaricare merci dalle navi.

Nuova pausa di Zio Pietro, sta rin-correndo la sua guerra, puntiglioso,richiama la memoria al presente, vuolenarrarla, raccontarla.

Dopo qualche mese a Orano furononuovamente imbarcati, destinazioneMarsiglia. Giunti vicino al porto suonòl’allarme, c’era il rischio di bombarda-menti aerei. La nave attraccò al largo efurono sbarcati su silenziose scialuppe,qualcuno si buttò in mare, una fugaacquatica, ma zio Pietro non sapevanuotare. Sbarcato sul molo si trovòdinanzi la statua di Garibaldi, un soffiod’Italia dopo tante traversie.

A Marsiglia incontrò un chirurgoamericano che operava negli ospedaliferiti agli occhi, alla gola, e quant’altro,gli serviva un assistente e capitò a zioPietro. Cominciò a viaggiare per ospe-

dali da campo, a lui toccava reggere lalampada mentre il chirurgo operava.

Per lui non fu particolarmente diffi-cile vivere tra ferite, sangue e morti.

Era vaccinato dal fatto che a casa glicapitava spesso di aiutare nella macel-lazione degli animali che pascolavanonei suoi campi.

In quel momento ho chiesto a zioPietro quali pensieri accompagnavanoquel suo peregrinare. Una fessura degliocchi, un refolo di voce e la risposta èstata “non pensavo a nulla, né alla miavecchia casa a Pisciarelli, né al futuro,ero troppo impegnato a sopravviveregiorno dopo giorno”.

In uno dei suoi viaggi per ospedalicapitò a zio Pietro d’incontrare la lineache i francesi avevano costruito perimpedire l’avanzata dei tedeschi, unlungo muro di pietra, la linea Maginot.

Non servì a nulla, il piano di invasio-ne tedesco del 1940 (nome ufficiale FallGelb, ma spesso indicato anche comeSichelschnitt - “colpo di falce”) vennepianificato tenendo in grande considera-zione la Linea Maginot. Una forza civet-ta si appostò davanti alla Linea, mentrela vera forza d’attacco tagliò attraversoil Belgio e i Paesi Bassi, attraverso laForesta delle Ardenne a nord delle dife-se principali dei francesi. In questomodo la forza d'attacco fu in grado diaggirare la Linea Maginot.

Dopo alcuni mesi il chirurgo finì ilsuo lavoro e zio Pietro si ritrovò tra i“liberi”, sempre al servizio del coman-do americano. Questa volta fu impe-gnato in un lavoro “dolorante”. La mat-tina partivano dei camion per i paesitedeschi conquistati, con alcuni nativiche indicavano loro le abitazioni deinazisti che avevano imperversato inquella zona. Il compito era di razziarele loro case, trasferire il materiale neicamion e portarli in un magazzino.

A questo punto le parole di zio Pietrosono rimaste come sospese, “a volte,malgrado gli ordini degli ufficiali ameri-cani fossero perentori, lasciavamo nelle

case quello che potevamo, colpiti datante donne e bambini angosciati, terro-rizzati, affamati”. Piccoli atti di umanità,pur in una tragedia biblica come quellache fu l’orrore del nazismo e del suoalleato italico, il fascismo.

Zio Pietro si ritrovò così a Man-nheim che sorge nel punto in cui ilReno riceve l'affluente Neckar.

Mannheim è un importante snodoferroviario ed il principale porto inter-no della Germania. È anche l'unica cittàtedesca col centro a pianta quadrango-lare (come ad esempio Torino o NewYork) iscritta in un cerchio incompleto.

Le due strade principali sono per-pendicolari tra loro e attraversano ilcentro come i diametri del cerchio a

formare una croce. Qui passò alcunimesi zio Pietro. Qui fece stragi di cuori,quasi a risarcirsi del silenzio degli annipassati. Ingemarie, Brunilde, Rositafurono le sue conquiste. Un sorrisoantico solca il volto di zio Pietro men-tre ricorda le sue fiamme. Poi abbassail tono e parla di Rosita. Anni dopo gliarrivò una lettera che gli annunciavache aveva avuto un figlio con lei.

Non ci credette, ma il dubbio loportò a pensare che quell’incredulità fufonte di profonde traversie che attraver-sarono poi la sua vita.

Da Mannheim arrivò in camion aReims, poi in treno a Marsiglia, poi in

nave a Livorno, infine in treno a Roma,da dove raggiunse la sua vecchia casa aPisciarelli “capannora”, così sopranno-minata, spiega, perché ogni casa avevaattorno capanne per il ristoro dellebestie e l’immagazinamento del granoe degli ortaggi.

Prende fiato zio Pietro. È contentodi aver ricostruito la sua guerra. Poi unriso abbozzato e narra che la madre,quando se lo vide davanti, pensò a unoscherzo, stentò a riconoscerlo. Ripresel’attività lasciata prima della guerra, ilpapà aveva 30 vacche e terreni da col-tivare, le nuove braccia furono prezio-se. Riprese colore e chili. Una fotogra-

fia lo mostra con quella sua aria dadolce conquistatore, lineamenti fini eocchi languidi, un acchiappa femmine.

Ancora una sosta per riannodare ipensieri, poi riprende forza e raccontadel suo bisogno di riprendersi la gioiadella vita, il piacere della vita. Con lasua 350 Peugeot, la sua motociclettarombante, andava spesso a Cerveteri,dove incontrò la donna della sua vita,Quinta. Racconta delle lunghe passeg-giate, accompagnate irrimediabilmentedalla sorella più piccola, così si usava.

La domenica al cinema a Bracciano,venti minuti lungo la ferrovia e via agustare il mistero del cinema.

Ricorda due film che lo appassiona-rono, “L’assedio di Alcatraz e il CidCampeador”, due film di guerra e d’av-ventura, questa volta visti sgranocchian-do noccioline e pop corn. E poi le partitea carte, briscola e tresette, all’osteria, traprese in giro e bicchieri di vino.

La chiacchierata con zio Pietro ter-mina con una fotografia, una foto digruppo del 17 novembre del 1947.Dietro con un’ortografia impeccabile èscritto: Quell’onda che nel mare sifrange e spuma, perché l’annegato vi èbattuto ovunque; perché non vi è toltoda tal martirio chi al mondo…forza conmia sorella! I puntini scrivono due treparole illeggibili, ma la poesia del restorimane a memoria di questa bellachiacchierata. Grazie zio Pietro!

Francesco Mancuso

(Ha collaborato Mena Maisano)

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Bracciano

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Aprile 2014 Gente di Bracciano Aprile 2014 Gente di Bracciano

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Controcorrente 2: equilibri vò cercandoGlobale e locale devono imparare a convivere

mangiare, ma questo è talmente lentoche rischiano di morire di fame.

Guerra e pace sono anch’essi precon-cetti in opposizione. Va detto che anchein questo caso, nel corso dei secoli c’èstato chi pensava la guerra fosse ineludi-bile per costruire la pace - Eraclito - e chipensava che fosse solo fonte di barbarie- Erasmo da Rotterdam -. Si può pensar-la come si vuole, ma i fatti storici ci dico-no che non è esistito un solo giorno dellastoria dell’umanità senza guerre.

Proviamo a ricapitolare, con qual-che forzatura: guerra, globale, velocitàcontro pace, locale, lentezza. Il buonsenso di noi occidentali che non faccia-mo la guerra dalla fine della secondaguerra mondiale, seppure la facciamo oaiutiamo a farla in tante parti delmondo, direbbe che sarebbe “bello”:pace, locale, lentezza.

Una possibilità o un sogno irrealiz-zabile? Essendo alla continua ricercadel pessimismo della ragione e dell’otti-

mismo della volontà, sento che lo sforzodovrebbe essere quello di indagare iconfini tra gli opposti alla ricerca diequilibri, sempre in movimento, semprein mutazione. Devo ammettere, però,che è molto più facile essere rinunciata-ri o estremisti, una bolla di sapone dovepossiamo non farci domande, perché ladomanda morde, chiede mutamenti,aggiustamenti, a volte ferisce, fa male,ma almeno si vive, I hope.

Francesco Mancuso

menti pazienti, un’intuizione istantaneache appena formulata assume definiti-vità di ciò che non poteva essere altri-menti”. Pensiamo all’apologo che chiu-de il capitolo su rapidità e lentezza.

Un imperatore cinese fa costruire unmuro che più lungo e più alto non èpossibile immaginare. Vuole che il piùgrande pittore del mondo lo dipingacon il miglior affresco del mondo, a suaimperitura memoria. Il pittore giunto acorte si ferma davanti al muro, disponea terra pennelli e colori e comincia aguardarlo. Per ben sette anni lo rimira,poi, in una notte dipinge il più bell’af-fresco mai dipinto al mondo. Sette anniper pensare, una notte per fare.

Penso che anche globale e localesiano due preconcetti agli antipodi eanch’essi nelle varie epoche in tantihanno tentato di spiegarli, pendendo divolta in volta per l’uno o per l’altro.

Oggi criticare i processi indottidalla globalizzazione è sinonimo diarretratezza, di pensiero negativo, d’in-capacità di leggere l’innovazione, la“modernità”. Nella sua sfrenata corsaalla conquista di mercati, la globalizza-zione mangia luoghi di lavoro, abbattediritti, promuove enorme ricchezza peri detentori delle leve finanziarie chemuovono questa roulette russa.

Dall’altra i fautori del localismoinvocano chiusure protezioniste delleloro merci e chiudono ogni spiraglioall’avvento di nuovi soggetti, persone,che si muovono nel mondo alla ricercadi una terra perduta. Due opposti checreano odi, guerre, revanscismi perico-losi, che la storia ha già vissuto.

Bauman, un sociologo tedesco cheda anni studia i cambiamenti sociali afronte della globalizzazione, affermache la tormentosa sfiducia esistenzialeche caratterizza l’uomo dell’Occidente,il suo senso di solitudine e precarietà è“come quella dei passeggeri di unaereo che si accorgono, improvvisa-mente, che la cabina di pilotaggio è

vuota, e che la voce rassicurante delcapitano è soltanto la ripetizione di unmessaggio registrato molto tempoprima”. Oggi la politica non sa che direche questo non è il migliore dei mondiimmaginabili, ma il solo mondo reale,tutti gli altri sono peggiori. La politicaha perso la sua dimensione di sogno, hasmesso di farsi domande. Neanchel’avvicendarsi degli schieramenti poli-tici diviene un fattore decisivo per“cambiare”, per provare a cambiare; almassimo, è un'increspatura sulla super-ficie di un fiume che scorre ininterrot-tamente, uniformemente, inesorabil-mente nella propria direzione, spintodalla forza propulsiva dei grandi finan-zieri, dei grandi potentati economici.

E non servono a molto i tentativi deigoverni di concentrare questa inquietu-dine sul solo tema della sicurezza per-sonale, delle guerre giuste, del chiuder-si in casa. Si fa sempre più urgente,invece, la necessità di ridare il giustospazio alla collettività e ridefinire lalibertà individuale partendo dall’impe-gno collettivo. La politica deve ritrova-re il suo spazio. Bauman lo individuanell'antica “agorà”, luogo privato epubblico al tempo stesso. Qui l’uomooccidentale potrà tornare a interrogarsi,e le sofferenze private potranno esserefinalmente pensate e vissute come pro-blemi condivisi, comuni e politici.Globale e locale devono imparare aconvivere.

Qualche studioso parla della necessi-tà di politiche “glocali”, ma questa sem-bra più un’azzeccata trovata linguistica,più che una proposta per trovare unequilibrio tra le due contrapposizioni.

Freud, rispondendo ad Einstein chegli chiedeva come fosse possibile libe-rarsi della guerra, rispondeva, con qual-che fatica, con l’incivilimento delle per-sone, aggiungendo, subito dopo, che la“velocità” di questo processo è eguale aquella di quei contadini che hanno por-tato grano al mulino per avere farina e

Lentezza e velocità sono due precon-cetti agli antipodi che, con il passa-

re del tempo, attraversando intere epo-che, tanti hanno cercato di spiegare,pendendo, talvolta da una parte, talvol-ta dall’altra.

Nella società della globalizzazione,questi due termini possono risultaretanto simili quanto differenti. Difatti,nella vita di tutti i giorni, la velocità èdiventata un fattore talmente importan-te che, a volte, non riusciamo a conce-pire il contrario, poiché risulta quasiimpossibile rallentare il ritmo freneti-co, sfrenato, che ci accompagna in ognimomento della giornata. Per quantoriguarda, invece, la lentezza, essa èconsiderata, attualmente, un lussodestinato solo a pochi fortunati, bastapensare all’otium dei romani.

Nonostante l’ambiguità presentenell’opposizione dei due termini, siamoin presenza di modalità d’azione e dipensiero entrambi indispensabili achiunque.

Proviamo a immaginare cosa sia lavelocità che tiene in pugno la nostragiornata: l’esserci, il vincere, l’arrivareprimi, l’essere sempre e comunque ilnumber one, caratteristiche che appar-tengono al genere umano da sempre.Ciò che rende oggi difficile trovare unequilibrio tra i due termini è che la len-tezza è vista come una perdita ditempo, come un danno alla creazione diricchezza, e non come una condizionenella quale riordinare le idee e i pensie-ri, spesso molto confusi, proprio perchéla velocità rischia spesso di smarrirli.

Il dualismo che si è venuto a crearetra lentezza e velocità ha ispirato mol-tissimi nel creare storie, racconti esituazioni su tale tema. Nelle sueLezioni americane, Italo Calvino parladella rapidità come valore solo e sol-tanto se compendiato dalla stessa len-tezza, in alternanza e compresenza, alloscopo di produrre “un messaggio d'im-mediatezza ottenuto a forza d'aggiusta-

“Abbiamo succhiato il nostro dialetto fin dall’infanziacome il latte materno, lo abbiamo assorbito e lo

avremmo voluto parlare liberamente perché era quello chesentivamo tra i vicoli dei Monti e del Fossaccio, al Borgo oalle Cartiere, al Giardino Pubblico o al Lago, che giungevaspontaneo alle nostre orecchie e da lì scivolava rapido sullanostra lingua”. Cosi Giovanni Orsini introduce nel suo libroVocabolario del dialetto Braccianese il tema della“Braccianesità”.

“Ma a noi – aggiunge Orsini – non era consentito e se lousavamo eravamo subito corretti”. Ed ancora “è un po’ comeandare in bicicletta; impari da piccolo e anche se poi non ticapita più di salirci, quando la inforchi dopo tanto tempo,pedali spedito senza cadere”.

Così in questo lavoro si rinserra il binomio dialetto-infan-zia. Per molti braccianesi il lavoro edito per Tuga Edizioni èmolto più che una semplice raccolta di lemmi locali ormaidestinati all’abbandono. E’ un ritrovare se stessi, è riscoprire,anche con un po’ di goliardia, le proprie radici e la propriaidentità.

“Tornare indietro di quarant’anni, quando a piazzaSaminiati – scrive Sergio Amici nella prefazione - le bambineche giocavano a campana gridavano brucio o al giardino pub-blico i ragazzini preparavano la pista per sfidarsi a vetrole”.

“Parole – commenta ancora Amici – ma anche e soprattut-to luoghi, tradizioni, ricordi, che Giovanni Orsini tira fuori daquello scrigno mai così ben nascosto da poter essere dimenti-cato, che è la memoria di una comunità. Antiche radici, fortu-natamente non completamente essiccate, vengono rinvigorite

e tornano a infondere linfa vitale ad anziani che ancora rico-noscono il suono del campanone del Duomo, ad adulti dimezza età che non hanno più tempo per conoscersi e ricono-scersi in piazza; ad adolescenti e bambini che non hanno unnonno o un genitore che sa o può raccontare loro dei dolci fatticon il lievito mondiale”.

Interessanti le note riguardanti le origini del dialetto brac-cianese che risulta “influenzato da correnti linguistiche prove-nienti dalla Tuscia Viterbese, dalla Toscana meridionale,dall’Umbria occidentale, dall’Abruzzo e dalla Marche”.

Una analisi attenta sulla lingue popolari è stata presentatain un recente convegno di studi sul tema “I 121 dialetti salva-ti dei comuni della provincia di Roma”. Dalle relazioni si èevidenziato che anche il dialetto nel Lazio e attorno Romacorre lungo le principali consolari, in una regione dove ilTevere fa da confine anche linguistico, e dove nella poesia dia-lettale ci si ispira, come ha osservato il professor Cosma Siani,a due filoni “la linea Belli-Pascarella-Trilussa, che racchiudein sé la tradizione come forma stilistica e contenuti, e la lineaDell’Arco-Marè, che rappresenta l’innovazione della poesiaromanesca, fino all’esperimento modernistico”.

Molti i lemmi nel dialetto braccianese derivanti dalla linguafrancese che si rifanno al periodo napoleonico. La sapienzapopolare traspare poi dalla non esaustiva raccolta di proverbi chechiude il volume di Orsini. Detti e motti in gran parte comuni alcomprensorio del lago di Bracciano. Tra quelli “meteorologici”citiamo: “Quann’è nuvolo a Maccarese, pija la zappa e va’‘r paese”. Ed ancora il braccianese ammonisce che proprio se ènecessario “Fatte ’mmazza da m boja capace”. G,V,

Sotto il campanone del DuomoLa riscoperta della “braccianesità” di Giovanni Orsini

Aprile 2014 Gente di Bracciano Aprile 2014 Gente di Bracciano

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Stefano Rosso: un trasteverino a BraccianoIl menestrello di via della Scala

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Da via della Scala a via dell’Arazzaria.Non solo toponomastica. Ma due

mondi allo stesso tempo vicini e lontani.Dalla Trastevere anni ’70 alla Brac-

ciano anni Novanta. Deve essere comun-que l’aria del vicolo, le pietre “vive” delcentro storico, ad attrarre a Bracciano unodegli interpreti del sound italiano anniSettanta come Stefano Rosso. Una forma-zione musicale al celeberrimo Folkstudiodi Trastevere accanto ad artisti come DeGregori, Venditti, Locasciulli.

Stefano Rosso, l’autore di Letto 26(1976) che in tanti cantavamo conoscen-dola come “via della Scala”, è lo stesso.

Barba lunga, cappello e un rapportostretto stretto con la chitarra, quasi fossela sua vera ed unica compagna di vita.

“La chitarra – confessò in una intervi-sta del 1997 a Viviana Vitale – è lo stru-mento che mi piace d più perché è sangui-gna è istintiva come la musica”.

Da giovanissimo era diventato padro-ne di questo strumento. “Suonavo la chi-tarra classica” raccontava. Ed è sullecorde di questo strumento che Rossocompone brani che in qualche modohanno fatto parte della colonna sonora diuna generazione.

Un’atmosfera di goliardia, di amicizia,di comitiva. “Che bello, due amici, unachitarra e uno spinello”. Si cantava. Testiscritti per lo più in una sorta di deliriocreativo lasciando andare la mente e leemozioni. “Comporre non è un processocontrollabile: entri in una specie di statodi delirio dal quale emerge l’ispirazione”.

A Bracciano Rosso è una meteora. Lopuoi incontrare su via Umberto I con unabusta della spesa in mano, poi lo vediscomparire nel suo appartamento su stra-da, tappezzato alle pareti di strumentimusicali. Pochi i rapporti con la città senon quello di insegnare. Cosa? Musicaovviamente. Ai ragazzi della scuola diCastel Giuliano. Trastevere per lui chel’ha vissuta pietra su pietra, resta sempreperò nel suo cuore. “Romano de Roma”vive il quartiere romano per eccellenzacosì le sue canzoni parlano dei suoi vicolidelle sue osterie. Rosso così sembra vive-re Bracciano come un esilio dalla suaTrastevere dove invece ha lasciato il cuoree l’anima. Continua a comporre ma non aincidere. Ed alcuni suoi lavori esconopostumi per l’impegno di un amico,Andrea Tarquini. Il cd “Reds” uscito nel2013, prodotto artisticamente da PaoloGiovenchi chitarrista di Francesco DeGregori, ne raccoglie molti. È un po’ il suotestamento musicale. E non a caso Rossoricorda il bar della sua vita. In “C’è unvecchio bar” ricorda “il non plus ultra –si legge in una nota stampa - della realtàtrasteverina: il famoso Bar San Callisto.Una canzone mai registrata in studio eche l’autore suonava in quel ritrovo dihiteppy e varia umanità giovanile, ovverole scale della fontana di Piazza Santa.Maria in Trastevere”.

Da “Reds” traspare anche l’impegnopolitico, mai ostentato dall’artista.

In “Bologna ’77”, scritta insolitamenteal pianoforte, scrive di Giorgiana Masi,studentessa diciottenne e militante radica-le, rimasta uccisa il 12 maggio del 1977durante un corteo che attraversava PonteGaribaldi a Roma. Dagli esordi con il fra-tello con duo Romolo e Remo con il qualevinse nel 1968 il Festival degli Sco-nosciuti di Ariccia (al suo attivo anche unTelegatto nel 1977), fino alle ultime note,ad animare Rosso è stata sempre e comun-que la voglia di raccontare, quasi fosse unmenestrello, un aedo dei tempi moderni.Una forza alla quale non si poteva sottrar-re. “Faccio il cantautore – ammise nel-l’intervista a Vitale – perché è bello poterraccontare. Se mi si togliesse la possibili-tà di prendere la chitarra e suonare quan-do voglio non mi sentirei più un essereumano”. Rosso e la sua musica. Rosso e isuoi versi. Rosso e la sua Trastevere eduna parentesi braccianese che pare nonlasciare traccia.

A quasi 60anni, nel 2008, muore. Intanti lo salutano nella chiesa di SantaMaria in Trastevere….”Via della Scala èsempre là”…

Graziarosa Villani

Sempre benenun se po’ sta,sempre male nemmeno

Saggezza romanesca

Bracciano Nuova: servizi e integrazione

Bracciano ieri ed oggi. A tracciarne un profilo Giuliano Sala, sinda-co al quarto mandato. Bracciano conta oggi circa 20mila abitanti

e sconta i problemi di un incremento demografico che è andato in cre-scendo. Ai braccianesi di una volta si aggiungono oggi i nuovi brac-cianesi. Una contaminazione che di recente si sta trasformando in unavera integrazione tra vecchi e nuovi cittadini in un processo che nonpuò che far bene a tutti.

Sindaco Sala come è cambiata Bracciano in questi anni e qualisono le sfide che si aprono in vista della nuova città metropolitanadi Roma?

Bracciano negli anni Ottanta e Novanta è stato senz’altro il cen-tro di riferimento dell’intero comprensorio. Un centro importante,conosciuto a livello nazionale per la scuola di artiglieria e mondia-le per il castello Orsini-Odescalchi, sede di servizi di rilievo dalpunto di vista giudiziario, con la Pretura prima e lasezione distaccata del Tribunale di Civitavecchiapoi, e dal punto di vista sanitario per la presenzadell’ospedale. Rispetto ad una crescita ulte-riore la nostra scelta è stata quella di ridi-mensionarne l’incremento demograficoriducendo di 10mila abitanti la previsio-ne che era stata fatta col PianoRegolatore Generale del 1980, conl’approvazione del nuovo PRG appro-vato dalla Regione Lazio nel dicem-bre 2009. In questi anni ritengo cheBracciano sia cambiata in meglio.Dal punto di vista culturale possiamovantare oggi un nostro Museo Civico,un archivio storico tra i migliori delLazio, un auditorium per spettacoli econcerti e presto anche un vero e proprioteatro. Abbiamo inoltre molte strutturededicate allo sport. Bracciano comunquenon è rimasta immune dalle scelte dellacosiddetta spending review che ha portato oggialla chiusura del tribunale. Anche per l’ospedale,dopo la battaglia vinta al Consiglio di Stato, emergonodelle criticità dovute al fatto che la Regione Lazio deve comun-que mantenere fede ai controlli del ministero delle Finanze.Riguardo la città metropolitana mi auguro che siano fatti e nonparole. Siamo l’unica provincia d’Italia che ad oggi non ha un’am-ministrazione eletta, ma un commissario.

Il processo di integrazione con Bracciano Nuova non è statofacile.

Oggi possiamo dire che l’integrazione è un fatto compiuto. Sistava realizzando una lottizzazione convenzionata ad alto insediamen-to abitativo, priva di servizi e con le opere di urbanizzazione non ter-minate. Il nostro sforzo in questi anni è stato quello di superare il pro-blema della carenza di servizi dei nuovi quartieri. Per queste ragioniabbiamo ritenuto opportuno collocare a Bracciano Nuova una impor-tante serie di servizi pubblici quali la farmacia comunale, il tribunaleper il quale ci siamo fatti carico delle spese dei locali, il comando deivigili urbani e inoltrare una sollecitazione alle Poste affinché aprisse-ro un nuovo ufficio postale. Bracciano Nuova oggi è un luogo dove èstata costruita una nuova chiesa, dove abbiamo realizzato un centrocivico che avrà attività polifunzionali a servizio del quartiere.

Abbiamo cercato di dare a Bracciano la dignità che doveva avere.

Come vede l’adozione del Piano di Assetto del Parco diBracciano-Martignano?

È un momento importante che può creare assolutamente un mec-canismo virtuoso tra coloro che hanno sempre considerato il Parcocome una limitazione e solo vincoli e coloro che al contrario hannointeso il Parco, e tra questi noi, come uno strumento di sviluppo nellatutela. È chiaro che lo strumento urbanistico va integrato con un serioe funzionale Piano di Sviluppo Economico, valutando bene quali atti-vità vanno sviluppate all’interno del Parco, che credo prioritariamen-te debbano essere quelle agro-silvo-pastorali e quelle turistiche. Devodire però con amarezza che questo momento importante si scontraoggi con le difficoltà economico-finanziare generali che portano taglidelle risorse disponibili per i Parchi Regionali del Lazio. Sarà neces-sario pertanto ricercare nuove fonti di finanziamento guardando,

come abbiamo sempre fatto, ancora di più ai fondi europei.La battaglia contro l’Acea c’è o non c’è?

Sto verificando che la tendenza è quella di andareverso il superamento degli Ambiti Territoriali

Ottimali. La recentissima legge sulla tuteladell’acqua come bene comune è una norma-

tiva importante per chi come noi gestisce inproprio il servizio idrico. Anche per quan-to riguarda la gestione dell’acqua dellago è necessario cercare di trovare glistrumenti per armonizzare una reciprocaconvenienza.La discarica di Cupinoro riaprirà ono?La questione Cupinoro si inserisce oggiin un contesto regionale caratterizzato da

situazioni di grande difficoltà complessiva.Il presidente regionale Zingaretti per la

prima volta ha emesso un’ordinanza permantenere aperta una discarica. Il prefetto di

Roma ha annunciato che non si possono portarerifiuti negli impianti riconducibili alla gestione del-

l’avvocato Cerroni, che è oggi agli arresti domiciliari.Roma porterà i propri rifiuti a Soriano sul Rubicone impe-

gnando fondi per 27 milioni di euro.Da parte nostra avevamo messo a punto un Piano industriale che proba-bilmente, stante le difficoltà ad ottenere la nuova AutorizzazioneIntegrata Ambientale, dovrà essere rivisto.

Penso che nella situazione in cui ci troviamo, con la discarica chiu-sa dal 31 gennaio per esaurimento delle cubature autorizzate, è necessa-rio, riguardo Cupinoro, attivarci per definire una strategia che ci permet-ta la gestione post operativa in accordo con la Regione Lazio poiché alcontrario si manifesterebbero forti difficoltà di carattere ambientale.

Va fatto presente che la Bracciano Ambiente dal 2004 ad oggi si ètrovata a gestire un milione e 600mila metri cubi di rifiuti che sono staticonferiti durante la gestione della società Sel.

Sono state effettuate spese complessive per 20.428.485 euro utiliz-zando risorse che appartenevano al fondo post mortem e all’ecotassa chedoveva essere versata alla Regione.

Abbiamo fatture probanti di questo.È chiaro che chiuso il bacino operativo ed inibita ad oggi l’opportu-

nità di realizzare l’impiantistica proposta, la gestione post operativadiventa una grandissima difficoltà per i territori, che non può essere incapo solo alla Bracciano Ambiente e al Comune di Bracciano.

A colloquio col sindaco Giuliano Sala

Il cantautore con la sua inseparabbile chitarra

La copertina del disco postumo

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L’hotel Villa Clementina è una presti-giosa dimora immersa nel verde del

parco di Bracciano, a 200 metri dalle rivedel lago, progettata nei minimi particolaridal proprietario e pittore Dimitri Bonetti.

Villa Clementina fu dimora e atelier dipittura dell'indimenticabile Maestro Lo-renzo (Renzo) Vespignani dove vi soggior-nò fin dagli anni ‘60.

Vespignani nacque a Roma il 19 febbra-io 1924 da Guido Vespignani ed EsterMolinari, bisnipote di Virginio Vespignani,famoso architetto. Dopo la morte del padre,stimato chirurgo e cardiologo, dovette, gio-vanissimo, trasferirsi con la madre nellazona proletaria di Portonaccio, adiacente alquartiere San Lorenzo, dove crebbe.

Qui, durante il periodo di occupazionenazista della capitale, alla macchia cometanti suoi coetanei, cominciò a disegnare,cercando di rappresentare la realtà crudele,sporca e patetica attorno a lui: lo squalloredel paesaggio urbano di periferia, le rovinee le macerie causate dai bombardamenti, ildramma degli emarginati e la povertà delquotidiano. Ma la sua arte non si limitò allasola esperienza pittorica, fu illustratore dimoltissimi capolavori. Come incisore pro-dusse più di quattrocento titoli in acquafor-te, vernice molle e litografia.

Iniziò a dipingere durante l'occupazionenazista, nascosto presso l’incisore LinoBianchi Barriviera, suo primo maestro.

Il suo lavoro, tra il ‘44 e il ‘48 descriveil volenteroso e maldestro tentativo diresurrezione di un'Italia umiliata, affamatae distrutta dalla guerra.

Nel 1956 fonda, con altri intellettuali, larivista Città Aperta, incentrata sui problemidella cultura urbana. I soggetti delle sueopere sono città, porti, ferrovie e stazioni,spiagge, cui si associa sempre l’analisi deldegrado subìto; ma su tutto domina la figu-ra umana, disegnata con perfetta cognizio-ne e immersa in una tipica luce che, se aiutaa connotarla impietosamente, la intrideanche di valenze simboliche. Dopo alcunidipinti con riferimenti a Bacon, dall'ultimoterzo degli anni ‘60 Vespignani esegueritratti di personaggi del mondo politico eculturale romano ed inizia una significativa

zione: quello stilistico e quello ideologico.

Assunto il mondo popolare come oggetto,

magari solo di pura denuncia o di dolorosa

descrizione, egli avrà sempre la possibilità

della “mimesis”, in cui far rivivere nella sua

vita, far parlare nella sua lingua, quel

mondo. Il pittore - Vespignani - ha fermo,

nelle sue linee esterne, davanti a sé, quel

mondo: i luoghi dove il proletariato lavora,

soffre, ha le sue disperate allegrie, i suoi tre-

mendi grigiori, le sue tristezze senza fondo:

riprodurlo significa necessariamente giun-

gere a una contaminazione stilistica».La pittura di Vespignani è estremamen-

te realista, e vuole essere testimonianza edenuncia sociale contro la progressiva alie-nazione dell’uomo, prima umiliato dagliorrori della guerra e poi soffocato dagliscempi edilizi. Secondo Vespignani, infatti,la ricostruzione del dopoguerra fece emer-gere l’avidità della nuova borghesia deditaalla speculazione e allo sfruttamento dellanatura e degli individui, in un contesto incui si affermava come dominante il model-lo liberista. E il suo fu un grido di dolore edi speranza.

Vittoria Casotti

sequenza di autoritratti.Dal 1969, Vespignani lavora a grandi

cicli pittorici dedicati alla crisi della socie-tà del benessere: Imbarco per Citera

(1969), riguardante il ceto intellettualecoinvolto nel ‘68; Album di Famiglia

(1971), uno sguardo polemico sulla suapersonale quotidianità; Tra due guerre

(1973-1975) un’analisi inflessibile sul per-benismo e l’autoritarismo piccolo-borghesein Italia; Come mosche nel miele (1984)dedicato a Pier Paolo Pasolini.

Strettissimo il suo rapporto con la lette-ratura. Vespignani illustra il Decameron delBoccaccio, poesie e prose del Leopardi, leOpere Complete di Majakowskij, i QuattroQuartetti di Eliot, i Racconti di Kafka, iSonetti del Belli, le Poesie del Porta, ilTestamento di Villon e La Question diAlleg. Nel 1999 viene eletto Presidentedell’Accademia Nazionale di San Luca enominato Grand’ufficiale dell’Ordine almerito della Repubblica Italiana.

Scrive di lui il suo grande amico PierPaolo Pasolini: «Per uno scrittore, almeno

apparentemente, parrebbe più facile il far

coincidere i due momenti di razionalizza-

Renzo Vespignani: artista del realeIl suo atelier sul lago

L’impegno sul territorio

Esponente importante della cosiddetta ScuolaRomana che riuniva tra gli anni tra le dueguerre molti artisti che lavoravano nellacapitale, Renzo Vespignani, a Bracciano non èstato un artista che si rinchiuso nel suo doratoatelier di via San Celso ma, con discrezione,ha preso parte anche ad alcuni momenti dellavita collettiva del paese. In molti ricordano ilsuo interessamento per la produzione di carri diCarnevale. La città poi lo omaggiò con unamostra personale che venne ospitata, presenteil pittore, al palazzo comunale. Vespignani fuanche uno dei protagonisti dell’asta collettiva“L’arte della speranza” per la raccolta fondidestinata al progetto di recupero di ex tossicodi-pendenti Giacomo Cusmano di Anguillara.Portò non solo i suoi quadri ma anche altrilavori di Guttuso, Cagli, Calabria. “Non so dicosa mi dobbiate ringraziare” ha detto inquell’occasione. “Salvare una persona – com-mentò Vespignani - anche solo una vita umana èfantastico”.

Appunti per un autoritratto

La Camera

dei Deputati oggi

In questo numero del giornale vorremmo iniziare una rubricarivolta a tutti per far conoscere il sistema politico ed istituzio-nale così come stabilito dalla Costituzione italiana. Sarebbe,inoltre, nostro desiderio proseguire il lavoro, nelle prossimeuscite, occupandoci delle regole e delle normative delParlamento europeo. In ogni nuova edizione della rubrica,cercheremo di descrivere con parole semplici quali sono icompiti ed i poteri di ciascun organo costituzionale, come siapprovano le leggi e quali sono i rapporti fra le diverseIstituzioni. Una puntata speciale sarà dedicata al Parlamentoeuropeo ed al settore istituzionale dell’Unità Europea.

Ogni 5 anni, se non avviene prima lo scioglimento antici-pato, la Camera viene rinnovata. I deputati (630) vengo-

no eletti dai cittadini che abbiano compiuto 18 anni. Per esse-re eletti, invece, è necessario aver compiuto 25 anni di età.

Dal 2006 12 deputati vengono eletti da cittadini italianiresidenti all’estero.

La Camera esamina e approva le leggi di iniziativa delGoverno, di iniziativa parlamentare, di iniziativa popolare edi iniziativa del Consiglio Nazionale dell'Economia e delLavoro o dei Consigli regionali. Durante il Procedimentolegislativo, ogni testo è esaminato da una delle 14Commissioni permanenti o da una Commissione speciale,prima di essere discusso dall'Assemblea. La Camera delibe-ra anche su ogni revisione della Costituzione.

I deputati

Per la Costituzione (art. 67) “ogni membro del Parlamentorappresenta la Nazione” ed esercita le sue funzioni senza vin-colo di mandato, cioè le sue decisioni non sono vincolate adun compito specifico, ma sono del tutto libere. Inoltre, secon-do l’art. 68 della Costituzione, i membri del Parlamento, nonpossono essere chiamati a rispondere delle opinioni espressee dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.

Il lavoro dei deputati comprende la partecipazione alleattività parlamentari: Assemblea, Giunte, Commissioni e

Il Parlamento nel disegno della Costituzione (Schema tratto dal sito della Camera dei deputati )

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Gruppi di appartenenza; la presentazione di atti la cui inizia-tiva è loro riconosciuta (progetti di legge, emendamenti,interrogazioni, interpellanze, mozioni, ecc.). Il loro lavoro sisvolge anche al di fuori della Camera: presso i partiti, leassociazioni di cittadini e le circoscrizioni elettorali.

Mena Maisano

Gente di Bracciano: laboratorio culturale

Il debutto di Gente di Bracciano, la nuova rivista che avete tra le mani, è avvenuto l’11 gennaio 2014 (sopra due momenti dell’iniziati-va) nel corso di uno speciale evento di presentazione che si è tenuto al Caffè Grand’Italia. Gli ideatori, Claudio Calcaterra in primis,

hanno illustrato ai tanti intervenuti l’idea, il progetto e le finalità del progetto editoriale che mira a valorizzare il tessuto socio-culturaledi Bracciano e non solo, a dare spazio alla memoria, locale e non, a lanciare spunti di riflessione. Un laboratorio culturale in primo luogoaperto a tutti coloro che vogliano condividere gli stessi impegni.

Aprile 2014 Gente di Bracciano Aprile 2014 Gente di Bracciano

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Storia di un quartiere mai nato

L’ingresso di Bracciano nel Regnod’Italia nel 1870 segnò l’inizio di una

profonda trasformazione urbanistica volta adadeguare il paese alle nuove esigenze delloStato Unitario. Molti di questi progetti venne-ro realizzati (Scuola Elementare, ristruttura-zione radicale del Palazzo Comunale, Matta-toio Comunale solamente per citarne alcuni)mentre altri rimasero sulla carta. Ed è propriodi uno di questi che ora parleremo leggendo idocumenti conservati nell’Archivio StoricoComunale: il progetto di un nuovo quartierenella zona di Prato Terra.

Il Consiglio Comunale con deliberazionedel 28 giugno 1876 aveva deciso di concede-re gratuitamente ai cittadini “l’area al Prato

Terra di proprietà Comunale ad effetto di

Fabbricarvi, in questa zona che verrà stabili-

ta da apposito Regolamento…Il Consiglio

incarica l’ing. Sig. Martucci di redigere

apposito tipo del terreno da concedersi, e la

Giunta Municipale di approvare il regola-

mento in parola, il tutto d’approvarsi poi da

questo Consiglio”.L’ing. Martucci il 25 aprile 1877 presenta

al Consiglio il piano “onde fabbricare nel

Prato Terra e il disegno relativo, accompagna-

to da una sua relazione”. L’approvazione delpiano viene però rinviata sine die in quantoalcuni consiglieri fanno osservare che nelladeliberazione precedente l’ing. Martucci erastato incaricato solamente di redigere “un tipo

del terreno, e non un piano come quello pre-

sentato dal Sig. Martucci” e che inoltre nonera stato presentato e approvato dalla Giuntacomunale alcun regolamento così come indi-cato nella stessa precedente deliberazione.

Il piano verrà approvato definitivamentedal Consiglio Comunale nella seduta del 10gennaio 1880 ma il quartiere non sarà mairealizzato.

Ma come doveva essere questo nuovoquartiere? Esso doveva essere formato da seirettangoli uniti tra di loro per comporre ununico grande rettangolo “Detto rettangolo,

secondo la pianta in progetto, è di metri 70 x

100 = uguale a metri quadrati settemila, for-

mandosi così una Piazza ragguardevole e

maestosa da aggiunger maggior pregio a

quest’Illustre Città. Siccome detta Piazza

sarebbe inutilmente spaziosa, si è ideata la

costruzione di un giardino di lusso, o comu-

ne… Questo giardino dovrebbe avere due

ingressi principali da chiudersi con cancelli

di ferro, ed intorno essere recinto da siepe di

mortella per potere impedire in ogni tempo,

quando si voglia, la comunicazione a tutti”.

All’interno del giardino si sarebberodovute costruire “due vasche ad uso fontana

non solo per ornare, ma per innaffiare altresì

il giardino medesimo”. Per quanto riguarda icaseggiati, questi avrebbero dovuto essere nelnumero di 20 e “costruiti lungo i quattro lati

del grande rettangolo, occupando ciascuno la

lunghezza di metri 15 e la larghezza di metri

12, per una superficie di 180 metri qua-

drati…ciascuna delle dette 20 case da fabbri-

carsi non deve oltrepassare i limiti stabiliti in

Pianta, vale a dire metri 15 di lunghezza, e

metri 12 di larghezza.. si raccomanda, anzi si

prescrive l’uniformità non tanto per la Pianta

(che da ciascun proprietario, che vorrà fabbri-

carvi, potrà essere divisa e subdivisa in quanto

ai vani interni, come meglio gli parerà, e pia-

cerà) quanto per il prospetto, che dovrà essere

totalmente simile…perché quest’Illustrissimo

ed intelligente Comune desidera non solo l’ul-

tilità pubblica, ma benanche il maggior decoro

ed ornamento di questa città, sempre alla pub-

blica utilità connessa”.

Massimo Giribono

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Foto di Tiberio Ferri

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Lo spettacolo promosso dall’ammini-strazione comunale di Bracciano per

l’otto marzo, giornata internazionale delladonna, è stato scritto da BiancamariaAlberi e messo in scena all’auditoriumcomunale di Bracciano dalla regista MarinaGarroni. Le due protagoniste GiulianaMangione e Benedetta Rustici, in circaun’ora di spettacolo, hanno dato espressio-ne alla forza universale delle emozionifemminili, uguali a se stesse al di là di ognitempo e di ogni luogo, a partire dai mitigreci, fino alla vita contemporanea.

La presenza nello spettacolo diGianpiero Nardelli, unico attore uomodella piéce, ha arricchito il panorama narra-tivo con la testimonianza dello sgomentomaschile di fronte alla determinazioneestrema dimostrata dal mondo femminile.Quello che lo spettacolo ha raccontato èl’eternità delle emozioni provate e vissutedalle donne che, dal mondo delle tragedie

“Donne fatali”: emozioni eterneMedea e le altre e il confronto con l’oggi

classiche, restano vive ancora oggi informe diverse, spesso anche deformate, masaldamente ancorate ad un modo di sentireconnaturato all’essere femminile. Si è trat-tato di un contributo originale che ha messoa confronto figure mitologiche con perso-naggi di donne contemporanee, che si sonoavvicendate nella narrazione teatrale met-tendo in evidenza lo stretto legame tra laloro vita e la potenza del fato. Da qui il tito-lo “Donne fatali” che traduce il senso del-l’appartenenza ad un destino comune checontraddistingue, nel bene e nel male, lanatura stessa delle donne. Così adAntigone, simbolo del sacrificio, è seguitoil monologo della testimone di un caso difemminicidio; a Medea, regina rifiutata dauna terra straniera, ha fatto eco il raccontodel viaggio di una donna africana versol’Italia; ad Elettra, figlia che odia la madree vive per vederla morta, è stata accostatal’esperienza di una ragazza moderna chesceglie di fare la escort. Infine, l’ultimopersonaggio, Pentesilea, la regina delleAmazzoni, è stato messo in parallelo conl’esperienza di una terrorista italiana deglianni ’80 attraverso gli occhi di un suo vec-chio amico. Lo spettacolo ha registrato unsuccesso di pubblico che ha testimoniato il

proprio apprezzamento con applausi ascena aperta e commenti positivi sulla qua-lità culturale della piéce teatrale e sulla bra-vura delle attrici e dell’attore.

Lo spettacolo replica il 15 maggio pros-simo alle 21 al Nuovo Teatro Stabile“Maurizio Fiorani” di Canale Monterano.

Nel 1876 la concessione dell’area al Prato Terra

Il lago

Il paesaggio ci serrain una radiosa bellezza.La natura prepotente,primordiale, si rifugiatra verde lussureggiantee castello incantatoe l’uomo si rifugianell’inebriante panoramache la natura dona.Sopraffatto si trascinain un subliminale paesaggiodi bellezza e di quiete.di naturale splendore.

Essenza della vecchiaia

Ho sentito una voce,in mezzo a tante voci.Diverse, chiare, forti,opache, lontane sbiadite…Ma questa voce,non somiglia a nessuna.E’ una voce speciale,che sa accarezzare.Ti può far pensarea cose lontane,che non credevipiù di poter ricordare…

Composizionidi Claudio Calcaterra

I consigli di una lettrice

Gente di Bracciano dovrebbe dare voce alla ricchezza di questo paese, alle persone nate o chehanno scelto di viverci che lo arricchiscono con la loro cultura, il loro impegno e la loro vitalità.

Penso che la rivista dovrebbe dedicare spazio ai personaggi celebri di Bracciano, allemanifestazioni tradizionali, alla letteratura, raccontando di autori locali e recensendo libridelle case editrici locali. Altri argomenti da trattare, a mio avviso, dovrebbero essere l’ar-te - raccontando delle attività di varie associazioni come la Forum Clodii, la Cerqua o divari singoli artisti -, la musica con i vari gruppi corali, bandistici e musicali, il teatro, ilNovo Cine, ma anche compagnie teatrali, attori o maestri di teatro. Fondamentale ancheparlare di scuola, con articoli a cura di numerosi eccellenti docenti in pensione oppuredegli attuali dirigenti scolastici su temi riguardanti l’istruzione, il sapere, la conoscenza ela gioventù da crescere. Interessante anche valorizzare l’economia locale a chilometro zeroraccontando l’impegno di allevatori e produttori agricoli del territorio. Da mettere in risal-to poi l’attività delle associazioni di volontariato, in particolare Farò e Acquaria, l’una perla ricerca oncologica e l’altra per progetti in Paesi di sviluppo, dando voce ai loro obietti-vi, per aprire il cuore e la mente a ciò che supera le nostre pure esigenze personali. InfineGente di Bracciano dovrebbe occuparsi di ambiente e turismo, scrivendo delle ricchezzeche rendono questo nostro paese gioiello naturalistico. Luigia de Michele

329 4251067 - 345 3449836

Le attrici Benedetta Rustici e Giuliana Mangione

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