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a Ata, "" « as,:dt Un nototenioideo tipico, Trematomus nicolai, vive, si nutre e si ripro- duce presso il fondale marino. Il sottordine nototenioidei, gruppo di 4 pesci ossei simile ai perciformi, è dominante in Antartide e costituisce . circa li vu per cento della fauna ittica che vive quest'area. el n N el febbraio del 1899 la nave bri- tannica Southern Cross fece sbarcare una decina di uomini a Capo Adare, nell'Antartide: ebbe così inizio la prima spedizione organizzata che doveva permettere a un gruppo di ricercatori di trascorrere un anno sul continente più meridionale del nostro pianeta. Tale spedizione inaugurò l'epo- ca «eroica» dell'esplorazione antartica e molti zoologi attribuiscono a essa il me- rito di una scoperta che, da quasi un se- colo, li affascina e incuriosisce: l'habitat marino più freddo del mondo è realmen- te pullulante di pesci. Lo zoologo della spedizione, Nicholai Hanson, morì pri- ma che si completasse l'anno trascorso dal gruppo sopra il continente di ghiac- cio, riuscendo comunque con il suo la- voro a raccogliere esemplari di specie it- tiche fino a quel tempo sconosciute. Quasi un secolo dopo, con altri ricer- catori stiamo ancora tentando di com- prendere a fondo gli adattamenti che permettono ai pesci di sopravvivere in una regione che un tempo si pensava pressoché inabitabile. Di particolare in- teresse risultano gli adattamenti evoluti- vi dei membri del sottordine nototenioi- dei, un gruppo di pesci ossei (osteitti o teleostei) affini ai perciformi, pesci fre- quenti in quasi tutti gli habitat marini. Il sottordine, comprendente dalle 90 alle 100 specie, è soprattutto confinato alla regione antartica, dove certamente rap- presenta il gruppo dominante, costitu- endo - secondo le stime compiute - i due terzi delle specie di pesci presenti e il 90 per cento del numero totale di pesci che vivono in quell'area. Abbiamo concentrato la maggior par- te delle nostre ricerche su due adatta- menti interessanti. Il primo adattamen- to, fondamentale per la sopravvivenza nelle acque fredde, è la capacità di pro- dune sostanze dotate di potenti proprie- tà anticongelanti: composti che abbassa- no il punto di congelamento dei liquidi interni. Il secondo adattamento consiste nello sviluppo della capacità di galleggia- mento passivo, ossia di una «assenza di peso» in acqua, posseduta da certe spe- cie. L'assenza di peso fa risparmiare al pesce la preziosa energia che altrimenti dovrebbe consumare per galleggiare. Pare che proprio questo adattamento abbia permesso ad almeno due specie di nototenioidei di allontanarsi dal fondale marino, dove vive la maggior parte dei pesci del gruppo, per potersi avventura- re e per vivere in acque di media profon- dità, che risultano poco sfruttate. La ragione della schiacciante domi- nanza dei nototenioidei in Antartide può essere spiegata da parecchi avveni- menti geologici e oceanografici. Duran- te la maggior parte della sua storia, l'An- tartide fu congiunta con gli altri conti- nenti meridionali in una grande massa denominata Gondwana. Questo agglo- merato cominciò a fratturarsi forse 80 milioni di anni fa. Nei primi tempi, le acque che circondavano l'Antartide era- no probabilmente abbastanza tiepide, almeno in certi luoghi. In una recente ricerca sui fossili dell'Isola di Seymour, risalenti a 38 milioni d'anni fa, uno di noi (Eastman) e Lance Grande del Field Museum of Natural History di Chicago hanno scoperto che quelle acque costie- re un tempo ospitavano squali, pesci se- ga, razze, chimere, pesci gatto, oltre ad altri gruppi tipici di acque temperate, at- tualmente assenti o poco rappresentati nell'Antartide. Circa nel medesimo periodo in cui si formò il deposito fossile dell'Isola di Seymour, l'Antartide si separò comple- tamente dall'Australia e dalla punta estrema dell'America Meridionale e le sue coste vennero circondate da ampie estensioni di acque oceaniche fredde e profonde. Al raffreddamento delle ac- que antartiche contribuirono mutamenti ambientali complessi. Nell'oceano stes- so, uno di questi mutamenti fu la forma- zione della convergenza antartica, un complesso di correnti oceaniche tra i 50 e i 60 gradi di latitudine sud, che circon- dò il continente appena isolato e, alla fine, divenne una barriera termica for- midabile, impedendo l'entrata di corren- ti calde e in larga misura anche quella dei pesci di acque tiepide, provenienti dalle zone più a nord. È presumibile che il raffreddamento delle acque abbia provocato la scompar- sa dei pesci di acque temperate, ma non dei nototenioidei. Questi pesci iniziaro- no evidentemente a evolversi sotto l'in- fluenza del freddo. Oggi, proprio per questo e per alcuni altri fattori, l'Antar- tide ha una varietà di forme di vita mi- nore persino di quella del Mare Glaciale Artico, che ospita un numero di specie pari a una volta e mezza e un numero di famiglie doppio rispetto a quelli riscon- trati nell'Antartide. Tra gli altri fattori responsabili di questa limitata varietà vi è la scarsità di arcipelaghi e la presenza di una profonda piattaforma continenta- le al bordo dell'Antartide: in altre zone, le acque poco profonde che circondano le isole e le coste continentali costituisco- no infatti un habitat di primaria impor- tanza per la vita di molte specie di pesci. p er raccogliere informazioni sulla na- tura degli adattamenti che hanno consentito ai nototenioidei di evolversi e di prosperare laddove altri pesci non so- no riusciti ad adattarsi, noi e i nostri col- laboratori ci rechiamo periodicamente sull'Isola di Ross, a circa 650 chilometri a sud di Capo Adare. Per circa 30 anni, la National Science Foundation ha man- tenuto una stazione di ricerca biologica su questa minuscola striscia di terra di origine vulcanica, del tutto deserta e se- parata dal continente per mezzo della McMurdo Sound, una baia larga circa 65 chilometri. Uno di noi (DeVries) cominciò a fre- quentare l'isola 20 anni fa, principal- mente per chiarire il meccanismo me- diante il quale i pesci antartici evitano il congelamento. A quel tempo erano già stati raccolti alcuni dati di fondo, riguar- danti le condizioni nella Baia di McMur- do. Per esempio, nel 1961, Jack L. Lit- tlepage, allora ricercatore alla Stanford University, stabilì che la temperatura annuale media della baia era di —1,87 gradi Celsius, con un intervallo di escur- sione termica solo tra —1,4 e —2,15 gra- di. Nell'estate australe, da dicembre a febbraio, le temperature si elevano da —1,9 a —1,8 gradi Celsius. Persino in estate l'acqua che si trova sotto il ghiac- cio riceve meno dell'i per cento della luce solare che giunge in superficie; ma questa è già una situazione migliore ri- spetto all'oscurità totale che prevale per quattro mesi all'anno. Il maggior pericolo per la sopravvi- venza dei pesci antartici non è costituito dal buio o dal freddo, bensì dall'esisten- za di strati multipli di ghiaccio. Qualcosa come due-tre metri, o anche più, di ghiaccio marino «annuale» copre l'acqua per almeno 10 mesi all'anno, fino al bre- ve periodo estivo, allorché le tempeste solitamente frantumano il ghiaccio e ne portano via i blocchi, trascinandoli in mare aperto. Alla superficie inferiore di questo ghiaccio marino annuale si ag- giunge un paio di metri di ghiaccio in forma di piastrine (cioè di cristalli di grandi dimensioni, allungati e aggregati in modo alquanto labile) che scompaio- no a partire da metà dicembre. Per una parte dell'anno, dove le acque non sono più profonde di 30 metri, il fondale della baia è tappezzato da un altro strato di grossi cristalli di ghiaccio, detto ghiaccio di ancoraggio. Il ghiaccio, come ha dimostrato un ri- cercatore negli anni cinquanta, costitui- sce una minaccia perché penetra facil- mente nelle branchie e nel tegumento dei pesci. I pesci, che sono eterotermi, ossia hanno sostanzialmente la medesi- ma temperatura dell'ambiente in cui vi- vono, possono sopravvivere fino a quan- do il loro sangue si raffredda a una tem- peratura di un grado inferiore al punto di congelamento all'equilibrio, che è praticamente il punto in cui si possono formare cristalli di ghiaccio. D'altra par- te, i pesci possono sopportare questo «sottoraffreddamento» e mantenere, la fluidità dei loro liquidi interni solo se nel corpo non entra ghiaccio. Quando vi è del ghiaccio attorno a un pesce che si trova in condizione di sotto- raffreddamento di appena un decimo di grado, questo ghiaccio può rapidamente propagarsi attraverso la cute e far con- gelare i liquidi interni del pesce stesso. In presenza di ghiaccio, la maggior parte dei pesci tropicali e temperati subisce congelamento quando i liquidi interni si raffreddano a circa —0,8 gradi Celsius. I nototenioidei della Baia di McMurdo, invece, congelano solo quando la loro temperatura scende fino a circa —2,2 gradi Celsius. 'Tenendo presenti tutti i dati raccolti, DeVries, assieme ai suoi allievi, ha cominciato a determinare il contributo dato dalle singole sostanze all'abbassa- mento del punto di congelamento dei pesci della Baia di McMurdo. Per la maggior parte dei pesci marini, i sali (particolarmente il cloruro di sodio) con- tenuti nei liquidi interni sono responsa- bili per 1'85 per cento dell'abbassamento I pesci dell'Antartide Mentre la maggior parte dei pesci dell'area si estinse a causa del gelo, i nototenioidei sono riusciti a superare quella fase critica evolvendo meccanismi per risparmiare energia e utilizzando anticongelanti biologici di Joseph T. Eastman e Arthur L. DeVries 68 69

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Un nototenioideo tipico, Trematomus nicolai, vive, si nutre e si ripro-duce presso il fondale marino. Il sottordine nototenioidei, gruppo di

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pesci ossei simile ai perciformi, è dominante in Antartide e costituisce.circa li vu per cento della fauna ittica che vive quest'area.

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N

el febbraio del 1899 la nave bri-tannica Southern Cross fecesbarcare una decina di uomini

a Capo Adare, nell'Antartide: ebbe cosìinizio la prima spedizione organizzatache doveva permettere a un gruppo diricercatori di trascorrere un anno sulcontinente più meridionale del nostropianeta. Tale spedizione inaugurò l'epo-ca «eroica» dell'esplorazione antartica emolti zoologi attribuiscono a essa il me-rito di una scoperta che, da quasi un se-colo, li affascina e incuriosisce: l'habitatmarino più freddo del mondo è realmen-te pullulante di pesci. Lo zoologo dellaspedizione, Nicholai Hanson, morì pri-ma che si completasse l'anno trascorsodal gruppo sopra il continente di ghiac-cio, riuscendo comunque con il suo la-voro a raccogliere esemplari di specie it-tiche fino a quel tempo sconosciute.

Quasi un secolo dopo, con altri ricer-catori stiamo ancora tentando di com-prendere a fondo gli adattamenti chepermettono ai pesci di sopravvivere inuna regione che un tempo si pensavapressoché inabitabile. Di particolare in-teresse risultano gli adattamenti evoluti-vi dei membri del sottordine nototenioi-dei, un gruppo di pesci ossei (osteitti oteleostei) affini ai perciformi, pesci fre-quenti in quasi tutti gli habitat marini. Ilsottordine, comprendente dalle 90 alle100 specie, è soprattutto confinato allaregione antartica, dove certamente rap-presenta il gruppo dominante, costitu-endo - secondo le stime compiute - i dueterzi delle specie di pesci presenti e il 90per cento del numero totale di pesci chevivono in quell'area.

Abbiamo concentrato la maggior par-te delle nostre ricerche su due adatta-menti interessanti. Il primo adattamen-to, fondamentale per la sopravvivenzanelle acque fredde, è la capacità di pro-dune sostanze dotate di potenti proprie-tà anticongelanti: composti che abbassa-no il punto di congelamento dei liquidiinterni. Il secondo adattamento consiste

nello sviluppo della capacità di galleggia-mento passivo, ossia di una «assenza dipeso» in acqua, posseduta da certe spe-cie. L'assenza di peso fa risparmiare alpesce la preziosa energia che altrimentidovrebbe consumare per galleggiare.Pare che proprio questo adattamentoabbia permesso ad almeno due specie dinototenioidei di allontanarsi dal fondalemarino, dove vive la maggior parte deipesci del gruppo, per potersi avventura-re e per vivere in acque di media profon-dità, che risultano poco sfruttate.

La ragione della schiacciante domi-nanza dei nototenioidei in Antartidepuò essere spiegata da parecchi avveni-menti geologici e oceanografici. Duran-te la maggior parte della sua storia, l'An-tartide fu congiunta con gli altri conti-nenti meridionali in una grande massadenominata Gondwana. Questo agglo-merato cominciò a fratturarsi forse 80milioni di anni fa. Nei primi tempi, leacque che circondavano l'Antartide era-no probabilmente abbastanza tiepide,almeno in certi luoghi. In una recentericerca sui fossili dell'Isola di Seymour,risalenti a 38 milioni d'anni fa, uno di noi(Eastman) e Lance Grande del FieldMuseum of Natural History di Chicagohanno scoperto che quelle acque costie-re un tempo ospitavano squali, pesci se-ga, razze, chimere, pesci gatto, oltre adaltri gruppi tipici di acque temperate, at-tualmente assenti o poco rappresentatinell'Antartide.

Circa nel medesimo periodo in cui siformò il deposito fossile dell'Isola diSeymour, l'Antartide si separò comple-tamente dall'Australia e dalla puntaestrema dell'America Meridionale e lesue coste vennero circondate da ampieestensioni di acque oceaniche fredde eprofonde. Al raffreddamento delle ac-que antartiche contribuirono mutamentiambientali complessi. Nell'oceano stes-so, uno di questi mutamenti fu la forma-zione della convergenza antartica, uncomplesso di correnti oceaniche tra i 50

e i 60 gradi di latitudine sud, che circon-dò il continente appena isolato e, allafine, divenne una barriera termica for-midabile, impedendo l'entrata di corren-ti calde e in larga misura anche quella deipesci di acque tiepide, provenienti dallezone più a nord.

È presumibile che il raffreddamentodelle acque abbia provocato la scompar-sa dei pesci di acque temperate, ma nondei nototenioidei. Questi pesci iniziaro-no evidentemente a evolversi sotto l'in-fluenza del freddo. Oggi, proprio perquesto e per alcuni altri fattori, l'Antar-tide ha una varietà di forme di vita mi-nore persino di quella del Mare GlacialeArtico, che ospita un numero di speciepari a una volta e mezza e un numero difamiglie doppio rispetto a quelli riscon-trati nell'Antartide. Tra gli altri fattoriresponsabili di questa limitata varietà viè la scarsità di arcipelaghi e la presenzadi una profonda piattaforma continenta-le al bordo dell'Antartide: in altre zone,le acque poco profonde che circondanole isole e le coste continentali costituisco-no infatti un habitat di primaria impor-tanza per la vita di molte specie di pesci.

per raccogliere informazioni sulla na-tura degli adattamenti che hanno

consentito ai nototenioidei di evolversi edi prosperare laddove altri pesci non so-no riusciti ad adattarsi, noi e i nostri col-laboratori ci rechiamo periodicamentesull'Isola di Ross, a circa 650 chilometria sud di Capo Adare. Per circa 30 anni,la National Science Foundation ha man-tenuto una stazione di ricerca biologicasu questa minuscola striscia di terra diorigine vulcanica, del tutto deserta e se-parata dal continente per mezzo dellaMcMurdo Sound, una baia larga circa 65chilometri.

Uno di noi (DeVries) cominciò a fre-quentare l'isola 20 anni fa, principal-mente per chiarire il meccanismo me-diante il quale i pesci antartici evitano ilcongelamento. A quel tempo erano già

stati raccolti alcuni dati di fondo, riguar-danti le condizioni nella Baia di McMur-do. Per esempio, nel 1961, Jack L. Lit-tlepage, allora ricercatore alla StanfordUniversity, stabilì che la temperaturaannuale media della baia era di —1,87gradi Celsius, con un intervallo di escur-sione termica solo tra —1,4 e —2,15 gra-di. Nell'estate australe, da dicembre afebbraio, le temperature si elevano da—1,9 a —1,8 gradi Celsius. Persino inestate l'acqua che si trova sotto il ghiac-cio riceve meno dell'i per cento dellaluce solare che giunge in superficie; maquesta è già una situazione migliore ri-spetto all'oscurità totale che prevale perquattro mesi all'anno.

Il maggior pericolo per la sopravvi-venza dei pesci antartici non è costituitodal buio o dal freddo, bensì dall'esisten-za di strati multipli di ghiaccio. Qualcosacome due-tre metri, o anche più, dighiaccio marino «annuale» copre l'acquaper almeno 10 mesi all'anno, fino al bre-ve periodo estivo, allorché le tempestesolitamente frantumano il ghiaccio e neportano via i blocchi, trascinandoli in

mare aperto. Alla superficie inferiore diquesto ghiaccio marino annuale si ag-giunge un paio di metri di ghiaccio informa di piastrine (cioè di cristalli digrandi dimensioni, allungati e aggregatiin modo alquanto labile) che scompaio-no a partire da metà dicembre. Per unaparte dell'anno, dove le acque non sonopiù profonde di 30 metri, il fondale dellabaia è tappezzato da un altro strato digrossi cristalli di ghiaccio, detto ghiacciodi ancoraggio.

Il ghiaccio, come ha dimostrato un ri-cercatore negli anni cinquanta, costitui-sce una minaccia perché penetra facil-mente nelle branchie e nel tegumentodei pesci. I pesci, che sono eterotermi,ossia hanno sostanzialmente la medesi-ma temperatura dell'ambiente in cui vi-vono, possono sopravvivere fino a quan-do il loro sangue si raffredda a una tem-peratura di un grado inferiore al puntodi congelamento all'equilibrio, che èpraticamente il punto in cui si possonoformare cristalli di ghiaccio. D'altra par-te, i pesci possono sopportare questo«sottoraffreddamento» e mantenere, la

fluidità dei loro liquidi interni solo se nelcorpo non entra ghiaccio.

Quando vi è del ghiaccio attorno a unpesce che si trova in condizione di sotto-raffreddamento di appena un decimo digrado, questo ghiaccio può rapidamentepropagarsi attraverso la cute e far con-gelare i liquidi interni del pesce stesso.In presenza di ghiaccio, la maggior partedei pesci tropicali e temperati subiscecongelamento quando i liquidi interni siraffreddano a circa —0,8 gradi Celsius. Inototenioidei della Baia di McMurdo,invece, congelano solo quando la lorotemperatura scende fino a circa —2,2gradi Celsius.

'Tenendo presenti tutti i dati raccolti,DeVries, assieme ai suoi allievi, ha

cominciato a determinare il contributodato dalle singole sostanze all'abbassa-mento del punto di congelamento deipesci della Baia di McMurdo. Per lamaggior parte dei pesci marini, i sali(particolarmente il cloruro di sodio) con-tenuti nei liquidi interni sono responsa-bili per 1'85 per cento dell'abbassamento

I pesci dell'Antartide

Mentre la maggior parte dei pesci dell'area si estinse a causa del gelo,i nototenioidei sono riusciti a superare quella fase critica evolvendomeccanismi per risparmiare energia e utilizzando anticongelanti biologici

di Joseph T. Eastman e Arthur L. DeVries

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crioscopico al di sotto dello zero, che,come è noto, è il punto di congelamentodell'acqua pura in condizioni normali.L'altro 15 per cento può essere attribuitoa piccoli quantitativi di potassio, di cal-cio, di urea, di glucosio e di amminoaci-di, tutte sostanze che sono presenti nelsangue e nei liquidi tissutali.

Nei pesci della Baia di McMurdo, iricercatori hanno trovato che il clorurodi sodio e altre molecole di piccole di-mensioni e ioni sono responsabili solo

del 40-50 per cento dell'abbassamentocrioscopico, anche se le concentrazionidi queste sostanze sono un poco più ele-vate rispetto a quelle che si riscontranonelle specie di acque temperate. Il bilan-ciamento dell'abbassamento crioscopicoe, in ultima analisi, la sopravvivenzastessa dei pesci antartici, si basano suotto diverse molecole anticongelanti,che si trovano nei liquidi interni dellamaggior parte delle specie di nototenioi-dei finora studiate. Questo complesso di

sostanze è caratteristico della maggiorparte dei liquidi interni, salvo che dell'u-rina e dell'umore acqueo, e della massadel citoplasma della grande maggioranzadelle cellule; esso corrisponde al 3,5 percento del peso di tutti i liquidi.

Le molecole anticongelanti a cui ab-biamo fatto riferimento sono glicopepti-di. Ciascuna di esse è costituita da unitàdi ripetizione, composte da una moleco-la di disaccaride unita mediante legamecovalente al terzo amminoacido di una

NUOVA ZELANDA

Le caratteristiche oceanografiche che possono aver influenzato l'evolu-zione dei nototenioidei sono una piattaforma continentale stretta e pro-fonda e la convergenza antartica, una zona di repentina variazionetermica (linea in rosso). L'oceano vicino al margine dell'Antartide rag-giunge una profondità di 1000 metri (linea tratteggiata), formando unhabitat poco adatto per molti pesci di acque poco profonde, che potreb-bero altrimenti competere con i nototenioidei. La convergenza antarti-

ca, che costituisce il confine settentrionale dell'«oceano australe» (dovegli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano si uniscono), impedisce alleacque superficiali tiepide di fluire verso sud nella regione antartica.L'attuazione di questa convergenza può aver contribuito al raffredda-damento dell'oceano australe e perciò all'evoluzione dei nototenioideisotto l'influenza del freddo crescente. Oggi la temperatura dell'oceanoaustrale supera ben di rado i due gradi Celsius durante tutto l'anno,

CONVERGENZA ANTARTICA

OCEANI'ATLANTIC•

•--MARE \ n,DI WEDDELL,'

mERiOtONALE

Pr

90°OVEST

BAIA /DI McMURDO

CAPO ADOCEANO

AUSTRALE

o

180°

NH

C -= O

DISACCARIDE CH,

ALANINA ALANINA

TREONINA

H

O

CH, H

O

H

H

C

CH,H CH2OH O

C N

CH2OH

catena peptidica di soli tre amminoacidi(si veda l'illustrazione in alto di questapagina). Le varie molecole differisconosoprattutto nelle dimensioni, e hannouna gamma di pesi molecolari da 33 700dalton (unità di massa atomiche) a 2600dalton. Per chiarezza, a ogni glicopepti-de è stato assegnato un numero, sullabase del peso molecolare: la molecolapiù grossa è contrassegnata dal numerouno, quella più piccola dal numero otto.Nei glicopeptidi da uno a cinque la se-quenza degli amminoacidi è alanina-ala-nina-treonina , mentre negli altri glico-peptidi l'amminoacido prolina sostitui-sce parte dei residui di alanina. L'attivitàanticongelante degli otto composti au-menta con l'aumentare del peso moleco-lare e sembra che tutte le molecole fun-zionino in modo analogo.

Gli anticongelanti dei nototenioideifanno abbassare il punto di congelamen-to dei liquidi in un modo che si può com-prendere meglio confrontando il loromeccanismo d'azione con quello di solu-ti più tipici, presenti nei liquidi interni.Il punto di congelamento della maggiorparte delle soluzioni dipende dalle loroproprietà «colligative», cioè dal numerodelle particelle di soluto presenti più chedalla natura delle particelle stesse. Piùparticelle vi sono e meno probabile è chele molecole d'acqua si aggreghino performare un cristallo di ghiaccio «embrio-nale». Il cloruro di sodio abbassa il puntodi congelamento dell'acqua di un valorepari a circa due volte quello del glucosioin quanto si dissocia in due ioni separati,lo ione di sodio e lo ione di cloro. I gli-copeptidi anticongelanti agiscono, inve-ce, in modo non colligativo cioè abbas-sano il punto di congelamento dei liquidiinterni 200-300 volte di più rispetto al-l'abbassamento crioscopico calcolato so-lamente sulla base del numero di parti-celle. (Anche il punto di fusione vieneabbassato, ma solo leggermente e in mo-do colligativo.)

Qual è il meccanismo mediante il qua-

‘-.1 le questi glicopeptidi dal modo noncolligativo impediscono il congelamentodei pesci della Baia di McMurdo in ac-que stracariche di ghiaccio? I chimicisanno da tempo che le impurezze adsor-bite possono inibire la crescita di piccolicristalli e che, per ragioni non chiare, leimpurezze costituite da un grande nume-ro di subunità molecolari di ripetizionerisultano particolarmente efficaci a taleriguardo. Perciò uno di noi (DeVries) haformulato l'ipotesi che gli anticongelantia base di glicopeptidi potrebbero proteg-gere i nototenioidei dell'Antartide ade-rendo per adsorbimento ai minuscoli cri-stalli di ghiaccio e impedendone in que-sto modo la crescita. Le ricerche com-piute da DeVries e dai suoi allievi, JohnG. Duman e James A. Raymond, cheerano allora alla Scripps Institution ofOceanography, confermano quest'ipo-tesi. Essi hanno scoperto, infatti, che iglicopeptidi vengono adsorbiti proprio

La subunità strutturale fondamentale dei composti anticongelanti dei nototenioidei consiste diuna molecola di disaccaride, legata al terzo amminoacido di una catena tripeptidica (costituitada tre residui di amminoacidi). Le molecole anticongelanti, note come glicopeptidi e costituiteda subunità di ripetizione, vengono identificate da un numero in base al peso molecolare. (Ilnumero uno è la molecola più pesante, con peso molecolare 33 700 dalton, il numero otto è lamolecola più leggera, con peso molecolare 2600 dalton.) Nei glicopeptidi da uno a cinque lacatena peptidica è costituita da alanina-alanina-treonina, come si vede nell'illustrazione, mentrenei glicopeptidi da sei a otto parte dei residui di alanina è sostituita da residui di prolina.

EMBIOTOCIDE DI ACQUE CALDE

NOTOTENIOIDEO ANTARTICO(EMBIOTOCA JACKSON)

PAGOTHENIA BORCHGREVINKI

— 2,20

—————_——

— GLICOPEPTIDI

—— 1,20

— ALTRI— — 1,00 IONI

— E PIC -

— — 0,82 COLE

—— 0,6

— 0,7ALTRI IONI E

MOLE-COLE

—PICCOLE MOLECOLE

— NaCI— NaCI

— 0,01

PRIMA DELLA DOPO LA

PRIMA DELLA DOPO LADIALISI DIALISI

DIALISI DIALISI

Confronti effettuati tra plasma sanguigno di un embiotocide del Pacifico (Embiotoca jacksoni),un perciforme d'acque calde, e plasma sanguigno di un nototenioideo dell'Antartide (Pagotheniaborchgrevinki) mettono in evidenza le differenze nel punto di congelamento e nella composizione.Sono stati confrontati i punti di congelamento del plasma prima e dopo averlo dializzato e filtratoper eliminare le sostanze disciolte con peso molecolare inferiore ai 1000 dalton. Prima della dialisiil punto di congelamento del plasma di embiotocide era di —0,7 gradi Celsius; dopo la dialisi,esso si è elevato a —0,01 gradi, in pratica alla temperatura di congelamento dell'acqua pura (0gradi). Questa variazione dimostra che il cloruro di sodio e altre molecole di soluto di basso pesomolecolare sono le sostanze responsabili del piccolo abbassamento crioscopico del plasma. Ilpunto di congelamento del plasma del nototenioideo prima della dialisi era di —2,20 gradiCelsius, dopo la dialisi esso si è elevato a — 1,20 gradi. Il fatto che l'abbassamento crioscopicopermanga dopo la dialisi dimostra che le molecole dei glicopeptidi sono responsabili di una partesignificativa dell'abbassamento crioscopico del plasma. 1 glicopeptidi hanno un peso molecolaresuperiore a 1000 dalton e incidono all'incirca sulla metà dell'abbassamento riscontrato.

ISOLA DI SEYMOUR r

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GHIACCIO ANNUALEGHIACCIO A PIASTRINE

GHIACCIO DI ANCORAGGIO(FINO A 30 METRI)

/".

‘‘‘..%\%.

PAGOTHENIA BORCHGREVINKITREMATOMUS NICOLA!

PLEURAGRAMMA ANTARCTICUM

GYMNODRACO ACUTICEPS

DISSOSTICHUS MAWSONI

TREMATOMUS BERNACCHII

•TREMATOMUS LOENNBERGII

600

- O

100

200

t 300

o

0

0CC

400

500

-

alla superficie del ghiaccio, mentre que-st'ultimo è in via di formazione.

Gli eventi che si svolgono a livello mo-lecolare sono difficilmente osservabili,ma l'interpretazione proposta da De-Vries e collaboratori appare verosimile.Da parte nostra riteniamo che il ghiaccionon possa propagarsi sopra le molecoledi glicopeptidi adsorbite e che perciò siaccresca soltanto nei piccoli spazi tra diesse (si veda l'illustrazione a pagina 74).Questi fronti d'avanzamento sono, inol-tre, ricurvi e pertanto presentano unagrande superficie in rapporto al loro vo-lume; inoltre cedono molecole d'acquaal liquido circostante e questo fenomenofinisce con l'arrestare la loro crescita.Perché altre molecole d'acqua possanoessere aggiunte alla superficie del ghiac-cio, occorre che la temperatura del liqui-do circostante sia abbassata. In altre pa-role, lo sviluppo di fronti molto ricurvifa abbassare il punto di congelamentodel liquido.

L'ipotesi potrebbe essere interpretatain questo modo: si formerebbero nei li-quidi interni dei pesci cristalli di ghiac-cio, che poi verrebbero arrestati nel lorosviluppo da uno sbarramento di moleco-le anticongelanti. Dopo alcuni esperi-menti più recenti, si è fatta tuttavia stra-da un'altra ipotesi: i nototenioidei postiin acqua priva di ghiaccio non si sonocongelati finché non hanno raggiuntouna temperatura di —6 gradi Celsius.Questo prova che essi non formano cri-

stalli di ghiaccio all'interno del corpo fin-ché il ghiaccio non penetra dall'esterno.Se ne deduce che la più grave minacciaalla capacità di sopravvivenza al freddodei nototenioidei deve perciò proveniredal ghiaccio esterno: la funzione princi-pale dei glicopeptidi appare perciò quel-la di impedire al ghiaccio di propagarsiattraverso la cute. Vi sono altri risultatisperimentali che concordano con que-st'ultima ipotesi. Quando la superficieinterna della cute, priva di scaglie, vienebagnata con una soluzione salina conte-nente molecole di anticongelante, la cu-te nel suo insieme agisce come una bar-riera contro la propagazione del ghiacciodall'esterno. Quando, invece, le mole-cole di anticongelante sono assenti, ilghiaccio si propaga prontamente attra-verso la cute.

Non sappiamo ancora come le mole-cole di anticongelante si leghino al ghiac-cio, in parte perché a nessuno è ancorachiara la precisa struttura tridimensiona-le che tali molecole assumono in soluzio-ne. Sappiamo che i gruppi ossidrilici(—OH) e altri gruppi polari degli anti-congelanti sono rami esterni della catenaprincipale, costituita da atomi di carbo-nio. Riteniamo anche che tali gruppi sia-no siti di legame. Siamo per di più riuscitia dimostrare che, nella componente gli-cidica dei glicopeptidi, essi sono chiara-mente essenziali per la funzione anticon-gelante: infatti, quando vengono spe-rimentalmente inattivati (addizionando

un gruppo acetilico CH3C0— ), le mo-lecole di glicopeptidi perdono l'effettoanticongelante.

I gruppi polari possono formare lega-mi a idrogeno con le molecole d'acqua,che sono disposte, nel reticolo cristallinodel ghiaccio, in file di esagoni con atomid'ossigeno agli «angoli». Affinché la for-mazione di legami a idrogeno avvenga inmaniera ottimale tra il reticolo cristalli-no del ghiaccio e i gruppi polari del gli-copeptide. dovrebbedovrebbe esistere una corri-spondenza spaziale tra reticolo e mole-cole del glicopeptide: in altre parole, igruppi dovrebbero essere separati da di-stanze che corrispondano alle distanzetra gli atomi d'ossigeno su un fronte d'ac-crescimento del reticolo cristallino dighiaccio.

Questo requisito ideale può esseresoddisfatto nella realtà. Nei modelli diglicopeptidi molti ossidrili delle catenelaterali glicidiche risultano distanziati di0,45 nanometri, un valore che corrispon-de proprio alla distanza che separa alcu-ni atomi di ossigeno sul piano orizzonta-le del reticolo di ghiaccio. Un altro modoin cui gli anticongelanti potrebbero le-garsi al ghiaccio è attraverso i gruppi car-bonilici (—CO—) presenti nella catenadegli amminoacidi. Potrebbe darsi che lecatene laterali glicidiche dei glicopeptidimantengano la catena polipeptidica del-la molecola in una conformazione diste-sa. In queste condizioni, ogni gruppocarbonilico su due sporgerebbe dallo

stesso lato del polipeptide e rimarrebbeseparato dal successivo da una distanzadi circa 0,73 nanometri. Una distanzaanaloga separa certi atomi di ossigenopresenti nel reticolo di ghiaccio.

Indipendentemente dal loro meccani-smo d'azione, gli anticongelanti dei

nototenioidei della Baia di McMurdo so-no necessari per tutto l'anno, il che fasorgere un interessante problema. I pe-sci antartici hanno riserve d'energia limi-tate e devono perciò risparmiarle, parti-colarmente nell'inverno australe quandola produttività dell'ecosistema è moltobassa. Come possono quindi questi pescimantenere una scorta adeguata di anti-congelanti senza spendere troppa ener-gia per la loro sintesi?

Il fatto che i nototenioidei non abbia-no molecole anticongelanti nell'urina fasorgere l'idea che esista un meccanismoassociato ai reni e avente la funzione ditrattenere tali molecole. Nella maggiorparte dei vertebrati, ci si aspetterebbeche gli anticongelanti a base di glico-peptidi , che sono molecole relativamen-te piccole, sfuggano di norma nell'urinaattraverso i glomeruli renali, quei capil-lari avvolti a gomitolo che funzionano dafiltri del sangue. La pressione all'internodei glomeruli costringe di solito le mole-cole aventi peso inferiore ai 40 000 dal-ton a passare dal sangue al sistema deitubuli collettori dell'urina. Un pesce conglomeruli potrebbe teoricamente recu-

perare gli anticongelanti prima che que-sti abbandonino i tubuli, scomponendole loro molecole nei costituenti più pic-coli (amminoacidi e monosaccaridi), ri-assorbendo questi ultimi dall'urina e re-stituendoli al sangue, infine risintetiz-zando i glicopeptidi. Il costo del proces-so sarebbe comunque elevato: due unitàdi energia per ciascun legame che si for-ma tra due amminoacidi.

Nel 1972 DeVries e il suo studenteGary H. Dobbs III, allora alla SerippsInstitution, hanno esaminato al micro-scopio i tessuti renali dei nototenioidei ehanno scoperto che 12 specie su 12 nonpossiedono glomeruli. Inoltre, studi sumolecole anticongelanti che erano statemarcate con isotopi radioattivi hanno di-mostrato che i reni impediscono ai glico-peptidi addirittura di passare nell'urina.I pesci privi di glomeruli producono uri-na per mezzo di un processo di secrezio-ne. Le cellule che tappezzano le paretidei tubuli estraggono dal sangue sola-mente sostanze di rifiuto selezionate, la-sciando in circolazione gli anticongelantinecessari. Questo processo elimina lanecessità di una nuova sintesi e perciòpermette di risparmiare energia.

Non si è certi, comunque, che la strut-tura aglomerulare dei reni dei notote-nioidei della Baia di McMurdo si sia evo-luta specificamente per risparmiare so-stanze anticongelanti ed energia: tutta-via, l'importanza assunta dal rene perqueste funzioni è coerente con tale ipo-

tesi. Abbiamo scoperto di recente che laspecie Bovichthys variegatus della Nuo-va Zelanda, uno dei nototenioidei chevivono in acque temperate, possiedemolti glomeruli. Poiché questo pesce ètra i nototenioidei meno specializzati, ilfatto che possieda glomeruli fa pensareche la struttura aglomerulare dei reni de-gli altri nototenioidei sia un adattamentospecializzato, che potrebbe essersi evo-luto per permettere la sopravvivenza an-che in acque con temperatura particolar-mente bassa.

Un altro esempio di adattamento evo-lutivo che ha permesso ai nototenioideiun risparmio di energia è il fenomeno delgalleggiamento passivo (o «assenza dipeso»), osservato in almeno due specie.Abbiamo scoperto questa caratteristicacirca 10 anni fa, a seguito della catturadi parecchi esemplari del più grosso no-totenioideo che si conosca, Dissostichusmawsoni. (Mentre i nototenioidei hannodi solito una lunghezza che varia tra i 15e i 20 centimetri, quest'ultima specie hauna lunghezza di 127 centimetri e un pe-so di 28 chilogrammi.) Nell'intento diraccogliere dati per i nostri studi, aveva-mo calato le lenze a una profondità tra i300 e i 500 metri. All'inizio pensavamoche il pesce, partendo dal suo habitat,presso il fondale marino, si sollevasseper abboccare ai nostri ami. Ci sono ve-nuti dubbi, però, quando abbiamo nota-to che Dissostichus, come Pleuragram-ma antarcticum, il più piccolo dei noto-

Queste sette specie di nototenioidei appartengono alle 14 specie di pesc,i bergii e Gymnodraco acutkeps, vivono sul fondale marino o nelle vici-della Baia di McMurdo e alla novantina che vive nell'oceano australe. " nanze, ma a profondità varie. (I punti indicano i livelli tipici; vi sonoMolti nototenioidei, come Trematomus nicolai, T. bernaccha, T. laenn- pesci con una distribuzione più ampia.) Alcune specie si sono allon-

tanate dal fondale: in particolare, Dissostkhus mawsoni e Pleuragram-ma antarcticum, pesci di media profondità, variabile tra quelle indicatee i 500 metri, e Pagothenia borchgrevinki, una specie che si è adattata

a vivere nel ghiaccio e sotto il ghiaccio a piastrine. Dissostichus, dise-gnato nelle stesse dimensioni degli altri pesci, è in realtà sei volte piùlungo e 250 volte più pesante della maggior parte dei nototenioidei.

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SACCHETTI LIPIDICIINTERMUSCOLARI

NOTOCORDA

SACCHETTI LIPIDICIINTERMUSCOLARI

MUSCOLOCOLONNAVERTEBRALE

Nella sezione trasversale di Pleuragramma si scorgono caratteristiche che contribuiscono algalleggiamento passivo, o assenza di peso, in acqua. Grazie a queste proprietà, Pleuragrammapuò vivere in acque di media profondità senza dover sprecare energia per galleggiare. E notevolela presenza di sacchetti lipidici. I lipidi, o grassi, hanno un peso specifico inferiore a quellodell'acqua di mare. Anche la notocorda, all'interno della colonna vertebrale, contribuisce algalleggiamento passivo, poiché ha un basso peso specifico. Nella maggior parte degli osteitti,invece, le vertebre sono di tessuto osseo compatto e molto pesante. (La fissazione usata per questopreparato microscopico ha fatto staccare dall'osso e restringere notevolmente la notocorda.)

a 41' ASSE c

ASSE aPIANO BASALE

STRATO

GLICOPEPTIDEADSORBITO

FRONTI D'ACCRESCIMENTOLUNGHI E DIRITTI

FRONTID'ACCRESCIMENTOPICCOLIE FORTEMENTERICURVI

ATOMO D'OSSIGENOIN SUPERFICIE

ATOMODI OSSIGENOSU UN PIANOSOTTO LASUPERFICIE

<0,45 NANO -METRi

FILA DI OSSIDRILI LEGATIFILA DI GRUPPICARBONILICI LEGATI

I glicopeptidi adsorbiti alla superficie di un cristallo di ghiaccio ne impediscono probabilmentela crescita, inibendo la normale propagazione dei vari strati di ghiaccio sulla superficie delcristallo (a). Un cristallo di ghiaccio cresce quando le molecole d'acqua nel liquido circostantesi attaccano strato dopo strato al piano basale (orizzontale) del cristallo. I vari strati comincianoa formarsi al centro del piano basale e normalmente crescono verso l'esterno in lunghi fronti daibordi rettilinei (linee tratteggiate). I fronti che incontrano le molecole anticongelanti di glico-peptidi, legate al piano basale dello strato sottostante, si dividono invece in molti piccoli frontiche assumono una notevole curvatura. Tali fronti ricurvi presentano un notevole rapportosuperficie/volume: questo fatto ne arresta la crescita a meno che la temperatura del liquidocircostante non scenda a valori più bassi. Non è ancora chiaro in che modo esattamente lemolecole di anticongelante si leghino a un cristallo di ghiaccio, ma si immaginano due possibilitàper il legame alla superficie del piano basale (b). Le molecole d'acqua nei cristalli di ghiacciosono disposte in anelli più o meno esagonali, ciascuno dei quali ha un atomo d'ossigeno (cerchivuoti) a ogni «angolo». I modelli molecolari permettono di calcolare la distanza di 0,45 nanometriper alcuni gruppi ossidrilici (—OH) delle catene laterali disaccaridiche degli anticongelanti, lastessa distanza che separa gli atomi di ossigeno sul piano basale, disposti in file parallele agli assia (colore intenso). D'altra parte, anche i gruppi carbonilici (—CO--) nella frazione peptidicadelle molecole degli anticongelanti (in colore chiaro) si potrebbero legare al cristallo. Secondo imodelli molecolari, negli anticongelanti a base di glicopeptidi che abbiano una conformazionedistesa, la distanza che separa ogni due gruppi carbonilici è di circa 0,73 nanometri, quasi ugualealla distanza tra gli atomi di ossigeno sul piano basale, disposti in file perpendicolari agli assi a.

tenioidei, che costituiva ben il 70 percento del contenuto gastrico di Dissosti-chus , aveva l'aspetto affusolato, tipicodei pesci di media profondità. Forse Dis-sostichus e la sua preda costituivano unramo profondamente modificato, stac-catosi dal ceppo ancestrale dei notote-nioidei di fondo e adattatosi alla vita nel-le acque di media profondità.

Nel 1978, abbiamo avviato una seriedi ricerche allo scopo di determinare sele due specie sopra menzionate erano ingrado di galleggiare passivamente in ac-que di media profondità e, in caso posi-tivo, qual era l'adattamento che rendevapossibile questo galleggiamento. Il gal-leggiamento passivo è in realtà un valorerelativo, che può essere calcolato divi-dendo il peso di un esemplare nell'acquaper il peso fuori dell'acqua e moltiplican-do il risultato per 100. Quanto più il ri-sultato è vicino allo zero, tanto più ilpesce è in grado di galleggiare passiva-mente. Il risultato medio per Dissosti-chus è stato 0,01 e per Pleuragramma0,6: questi valori sono abbastanza viciniallo zero e pertanto indicano che le duespecie di nototenioidei sono in grado digalleggiare passivamente.

Mediante una semplice dissezione,abbiamo avuto la conferma di quantosupponevamo, e cioè che i pesci sopra-menzionati, similmente alle specie loroaffini viventi sul fondale marino, nonpossedevano una vescica natatoria, queltipico sacchetto pieno di gas che di solitopermette ai pesci di galleggiare passiva-mente. Perciò i nostri risultati richiede-vano una spiegazione diversa. Una pos-sibile spiegazione era che vi fosse statauna riduzione del materiale osseo delloscheletro, che è la componente più pe-sante del corpo. Una conferma in questosenso l'abbiamo avuta utilizzando uncoltello da cucina con il quale abbiamotagliato senza alcuna difficoltà il craniodi Dissostichus, il quale è costituito perla maggior parte di tessuto cartilagineo,e così pure lo scheletro della coda e ilcinto pettorale. La cartilagine ha un pesospecifico nettamente inferiore a quellodell'osso e, pettanto, consente una no-tevole riduzione del peso corporeo.

Per quantificare il grado di mineraliz-zazione dello scheletro, abbiamo poiusato un forno per ridurre in cenere glischeletri di Dissostichus, di Pleuragram-ma e di Bovichthys, un nototenioideoche vive sui fondali: il forno inceneritoreriduce le sostanze organiche allo statogassoso, lasciando solo il residuo mine-rale dello scheletro. Le ceneri dello sche-letro costituivano lo 0,6 per cento delpeso corporeo di Dissostichus e solo lo0,3 per cento del peso corporeo di Pleu-ragramma: entrambi i dati contrastanonettamente con il 3,8 per cento del pesocorporeo rappresentato dalle ceneri del-lo scheletro di Bovichthys.

uesti risultati non ci hanno sorpreso,ma eravamo comunque sul punto di

fare un'ulteriore scoperta. Una bolla

d'aria, che eravamo riusciti a introdurrenella colonna vertebrale di un esemplaredi Pleuragramma parzialmente seziona-to, si muoveva su e giù, all'interno dellevertebre, quando facevamo oscillare ilpesce come se fosse un'altalena. Nellamaggior parte dei pesci questo movi-mento non è possibile, perché la colonnavertebrale è costituita da osso compattoe rappresenta l'aliquota preponderantedel peso dello scheletro. Un esame piùapprofondito di Pleuragramma ha per-messo di accertare che le vertebre diquesto pesce sono essenzialmente cave:un sottile collare osseo circonda unastruttura embrionale gelatinosa (la noto-corda) che persiste nell'adulto.

Oltre alla suddetta riduzione di tessu-to osseo, anche l'abbondanza di triglice-ridi (un tipo di lipidi o grassi con pesospecifico inferiore a quello dell'acqua dimare nella Baia di McMurdo) dovrebbecontribuire al galleggiamento passivo.Sia Dissostichus, sia Pleuragramma pos-siedono depositi di trigliceridi, anche secon forme diverse.

Una sezione traversale di Dissostichusluccica per la presenza di lipidi nelle cel-lule adipose di due sedi principali: lostrato sottocutaneo, dello spessore didue-otto millimetri (che rappresenta il4,7 per cento del peso corporeo) e undeposito più disperso tra le fibre musco-lari del tronco (che rappresenta il 4,8 percento del peso corporeo). Pleuragram-ma, invece, ha un metodo di ritenzionedei lipidi unico per un vertebrato: accu-mula il grasso in sacchetti anziché in cel-lule. Questi sacchetti hanno un diametroche può variare da 0,2 a tre millimetri esono particolarmente abbondanti sottola pelle nella regione pettorale, presso ilcentro di gravità. Quelli di dimensionimaggiori si trovano tra i muscoli, in zonepiù profonde del corpo.

Al momento non siamo ancora riuscitia determinare pienamente quali sono ivantaggi che derivano dall'immagazzi-namento dei lipidi in sacchetti anzichénelle cellule adipose. Originariamentepensavamo che i sacchetti fossero desti-nati esclusivamente al galleggiamento eche le loro scorte lipidiche che contene-vano fossero inutilizzabili come fonte dienergia. Pleuragramma ha poche celluleadipose, le quali sembrerebbero impor-tanti per regolare la rimozione dei lipidi.Abbiamo scoperto di recente che le cel-lule muscolari adiacenti ai sacchetti han-no grossi vacuoli, ossia cavità circondateda membrana, che potrebbero contene-re trigliceridi. Forse i muscoli servono afornire lipidi ai sacchetti per il galleggia-mento o ad allontanare i lipidi dai sac-chetti quando i lipidi diventano necessaricome fonte di energia. Nella prossimaspedizione alla stazione di ricerca dellaBaia di McMurdo ci proponiamo di ve-rificare quest'ipotesi.

Può darsi, dunque, che la riduzionedella componente ossea nello scheletroe l'accumulo di lipidi siano responsabilidel minor peso specifico e della capacità

sia di Dissostichus sia di Pleuragrammadi galleggiare passivamente. L'assenzadi peso, a sua volta, facilita certamentelo sfruttamento delle acque antartiche dimedia profondità. In queste acque, ineffetti, entrambe le specie sono abbon-danti e assai diffuse. È stato accertato,per esempio, che Pleuragramma costi-tuisce la specie dominante nei mari diRoss e di Weddell, come pure nelle ac-que della Baia di McMurdo.

Gli adattamenti che hanno consentito

ai nototenioidei di irradiarsi nelleacque di media profondità ci affascinanoda un punto di vista anatomico; ci colpi-scono, inoltre, le loro implicazioni eco-logiche. È il momento oramai di sotto-porre a revisione gli schemi correnti sullacatena alimentare delle acque di mediaprofondità. Si legge di solito che la cate-na è corta, perché comprende soltantoorganismi vegetali planctonici, krill (cro-

stacei simili a gamberetti), foche e bale-ne. Noi e altri ricercatori abbiamo dimo-strato, invece, che l'immagine sulla com-posizione e sulla complessità della cate-na alimentare che viene normalmentepresentata dovrebbe essere allargata percomprendere i nototenioidei a galleggia-mento passivo e forse anche altri orga-nismi. In effetti, nelle acque antartichedove il krill è scarsamente diffuso, Pleu-ragramma potrebbe prenderne il postonella catena alimentare. Infine, conside-rando ancora un altro punto di vista, noisperiamo che gli studi che stiamo condu-cendo sul galleggiamento e sulle sostan-ze anticongelanti consentiranno di avereperlomeno una visione sommaria dellaportata straordinariamente vasta dell'a-dattamento e dell'evoluzione, avvenutiin condizioni estreme di freddo, in unhabitat marino che una volta si pensavaincompatibile con le forme più significa-tive di vita.

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