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LUMH LIBERA UNIVERSITÀ DI STUDI PSICOLOGICI MICHEL HARDY FAIP FEDERAZIONE delle ASSOCIAZIONI ITALIANE di PSICOTERAPIA - Counselor in Discipline Psicologiche Empiriche - IL “POSTO LEGITTIMO” ACCEDERE AL PROPRIO POSTO CON L APPROCCIO EMPIRICO Dora De Stefano Giugno 2012

Il posto legittimo - Dora DE STEFANO

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Tesi F.A.I.P. di Dora DE STEFANO.

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Page 1: Il posto legittimo - Dora DE STEFANO

LUMH

LIBERA UNIVERSITÀ DI STUDI PSICOLOGICI MICHEL

HARDY

FAIP

FEDERAZIONE delle ASSOCIAZIONI ITALIANE di

PSICOTERAPIA

- Counselor in Discipline Psicologiche Empiriche -

IL “POSTO LEGITTIMO”

ACCEDERE AL PROPRIO POSTO CON L’APPROCCIO EMPIRICO

Dora De Stefano

Giugno 2012

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... e in questo modo,

con un misto di riserva e di audacia,

di sottomissione e di rivolta ben concertate,

di esigenze estreme e di concessioni prudenti,

ho finito per accettare me stesso.

“Le memorie di Adriano”

Marguerite Yourcenar

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I N D I C E

Pag.

INTRODUZIONE 6

1. L’APPROCCIO EMPIRICO 10

2. IL POSTO LEGITTIMO 14

3. VIVERE FUORI DAL PROPRIO POSTO: 16

3.1 Senso di inadeguatezza 16

3.2 Senso di colpa 18

3.3 Separazione da sé, separazione dagli altri 20

3.4 Paura 22

3.5 Rabbia 24

3.6 Ipertrofia della mente (la compensazione empirica) 26

4. OGNI COSA AL SUO POSTO: 28

4.1 Le forze Yin e Yang e la compensazione armonica

come movimento esterno all’uomo 28

4.2 Il codice Yin e il codice Yang nell’approccio empirico 31

4.3 La compensazione armonica interna 33

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Pag.

5. LONTANO DAL PROPRIO POSTO 35

5.1 La compensazione disarmonica dell’assetto emotivo 35

5.2 La metamorfosi empirica 36

5.3 I ruoli alterati 38

5.4 I ruoli alterati femminili 39

5.5 I ruoli alterati maschili 44

6. IL PERCORSO PER TORNARE AL PROPRIO POSTO 49

6.1 Il coraggio della verità 49

6.2 Essere disponibili al dolore 51

6.3 Rendersi consapevoli 52

7. I MACIGNI DA RIMUOVERE 54

7.1 Riconoscere la propria rabbia e affrontarla 54

7.2 Recuperare le radici 57

7.3 Il campo familiare 59

7.4 Il debito di base 61

7.5 Riscattare il debito e accettare “il testimone” 63

8. PROSEGUENDO NEL PERCORSO 66

8.1 Dare vita al corpo 66

8.2 Ridimensionare il potere della mente 72

8.3 Eliminare la critica e il giudizio 74

8.4 Nutrire l’anima 76

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5

Pag.

9. IN CIMA ALLA VETTA 78

9.1 Provare amore per se stessi 78

9.2 Accedere alla capacità di sentire 80

9.3 Accogliere ciò che è 81

9.4 Vivere nel libero fluire 82

10. LA MIA ESPERIENZA CON L’APPROCCIO EMPIRICO 85

RINGRAZIAMENTI 89

BIBLIOGRAFIA 91

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INTRODUZIONE

C’era una volta una bambina solitaria, seria, immersa nei suoi pensieri, con

la costante percezione di sentirsi incompresa, lontana, sola.

All’età di quattro anni il suo divertimento più grande era giocare con le

ombre che la luce del sole lasciava sui gradini delle scale che portavano a

casa. Pomeriggi senza fine, trascorsi in piena solitudine a dare un volto e

fantasticare su tutti quei giochi di luce.

Poi finalmente la salvezza: la scuola. E, con essa, un “posto” in cui sentirsi,

esprimersi, valere.

Era orgogliosa di essere la prima della classe, con tanti apprezzamenti e

“10 e lode” a profusione.

Ma, nonostante tutto, i lunghi pomeriggi continuavano ad accompagnarla

nella solitudine delle letture e dei pensieri senza sosta.

Non è la trama di un romanzo strappalacrime (alla Oliver Twists per

intenderci) o ancor meno il prologo di una favola new-age, ma è ciò che ho

vissuto e che torna alla mia mente ogni qualvolta i ricordi vanno ad

agganciare gli anni della mia prima infanzia: la sensazione costante di non

essere amata, di non essere accettata, di essere “fuori posto”.

Nata in una famiglia numerosa, con il padre a lavorare e la madre

troppo oberata dai suoi doveri per poter dedicare a ciascuna figlia la

dovuta attenzione, ero stata l’ultimogenita fino all’età di sette anni quando,

con la nascita di Alessandra, mi era stato scippato il ruolo della “più

piccola”.

Fin dalla più tenera età, ricordo di aver percepito mia madre e le

sorelle come un “blocco unico”, distante e impenetrabile. Mia madre,

sensibile e severa, schiva e fortissima, era un enigma per me. Donna

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introversa, orgogliosa, annullatasi nel matrimonio e nella maternità. Aveva

contratto una seria malattia durante la mia gestazione, e secondo i medici

al momento del parto era altissima la probabilità che una di noi due non

sarebbe sopravvissuta. I giorni precedenti la mia nascita aveva pulito a

fondo tutta la casa per lasciare in ordine, in caso non fosse tornata.

Quante giornate angosciose avrà vissuto al pensiero di lasciare i suoi figli

orfani ....

Non conto più le volte in cui ho pensato che la sua inconfessabile e

giustificatissima paura sia stata la strada maestra che mi ha sradicato con

ineluttabile forza dal mio posto.

Le sorelle: mi sentivo diversa da tutte loro, incapace di parlarci o

ascoltarle. Non mi piacevano le loro bambole, non capivo la loro

complicità, e a tratti scampavo alla mia solitudine – che sentivo “imposta”

– nel rapporto con mio fratello Luigi, anagraficamente più vicino. Era il mio

unico compagno di giochi. Mi appropriavo del suo triciclo, gli rubavo i

trenini, giocavo con il go-kart ... mi immedesimavo così tanto nel ruolo di

maschio al punto di pretendere di vestirmi con i suoi vestiti e indossare le

sue stesse scarpe!

Mi stava stretto il ruolo di “femmina”e lo rifiutavo con tutte le mie

forze: per allontanarmene giocavo a pallone con i maschietti, organizzavo

giochi acrobatico-atletici nel cortile sotto casa fortemente temuti dai

partecipanti - ovviamente solo maschi -, partivo per “esplorazioni” in

campagna (in cui puntualmente perdevamo l’orientamento) dove mio

fratello, stufo, sarebbe tornato di corsa a casa ed io avrei proseguito ad

oltranza per “andare all’avventura”. Ma nonostante tutto questo attivismo,

la sensazione di solitudine era sempre lì, ancorata alla mia anima.

Nell’età cosiddetta adulta, mentre le scelte professionali sono state

tutte all’insegna del “successo”, quelle sentimentali sono state plasmate

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dal non voler imitare in alcun modo il modello materno. Sono stati anni in

cui il cuore gonfio di solitudine e la ben nota sensazione di non avere un

posto hanno dominato la mia vita interiore fino a quando ho finalmente

compreso che occorreva buttar via la maschera. Attraversando dolori,

sbagli e delusioni è venuta lentamente alla luce una donna adulta e

consapevole, che imparato a prendere in mano la sua vita e a rassicurare

quella bambina desiderosa d’amore.

Non è stato facile. Il percorso di conoscenza e di riappacificazione

con se stessi è lungo e accidentato, affascinante e doloroso, esaltante e

carico di promesse. Due passi avanti e uno indietro, cadute e accelerazioni

improvvise, pause di riflessione e rincorse liberatorie. Proprio come un

percorso di montagna.

Amo la montagna e la gioia di camminare. Quando si parte e non si

pensa alla vetta, ché è troppo lontana. Sarebbe un atto di superbia

pensarci. Ci si incammina e basta, assaporando idealmente il gusto della

conquista e della soddisfazione che ti aspetta.

Chiudo gli occhi e accolgo le sensazioni: il silenzio, il freddo pungente, il

sole che spunta dietro ai picchi mentre il cielo cambia i suoi colori. Le

rocce, la sensazione di potenza, lo spaziare dello sguardo lontano. La

libertà di confrontarsi con difficoltà, tornanti e discese ... in fondo con la

paura: quel brivido, quella vertigine che avvolge le gambe e inebria nelle

prove più dure.

E, come traguardo, la possibilità di essere autentici e liberi.

Fin dai primi momenti dedicati alla scrittura di questa tesina, ho

percepito la straordinaria analogia tra il percorso di crescita interiore e il

percorso di montagna. Entrambi richiedono perseveranza, impegno, e la

volontà di superare i propri limiti.

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Cosa ho messo nel mio zaino nel percorso verso il mio posto? Sul

fondo, ben piazzate, tutte le esperienze vissute, piacevoli e meno

piacevoli; al centro, anni di lento avvicinamento a me stessa con gli

strumenti dello yoga, della bioenergetica, del reiki, del canto, della

psicoterapia. Sulla sommità l’approccio empirico, che ha letteralmente

polverizzato le false certezze che l’ego si ostinava a trattenere. Il “fare”

come molla per vivere a livello esperienziale i propri conflitti rapportandosi

alla propria matrice di eccellenza, è stata la strada maestra per

raggiungere la consapevolezza.

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1. L’APPROCCIO EMPIRICO

La matrice di riferimento del presente lavoro è la “Grammatica

dell’Essere”, approccio empirico elaborato da Michel Hardy. In questo

capitolo vengono illustrati sinteticamente i principi fondanti di tale

approccio, per elaborare nei capitoli successivi il concetto di “posto

legittimo” e il percorso necessario per accedervi.

Nel corso della storia l’uomo ha elaborato un sistema di regole di

natura sociale, legislativa, scientifica e religiosa ispirandosi ai canoni

dell’ordine naturale. Questo sistema di regole stabilisce divieti,

concessioni, diritti e obblighi che riguardano ambiti specifici ma sono

spesso slegati da un contesto generale in cui far convergere le sue varie

componenti.

La teoria dell’ordine sistemico di Michel Hardy prende a riferimento

il sistema che da sempre regola ogni movimento e moto vitale al di là

delle regole stabilite dall’uomo, e spesso proprio in contrasto con esse.

Il sistema riconosce la funzionalità come esclusivo criterio per

determinare l’evoluzione delle cose, ed è governato dal principio di causa-

effetto. Le sue dinamiche rappresentano la vita in tutte le sue espressioni:

dalla nascita alla morte, passando per tutti gli atti vitali insiti nel concetto

evolutivo della specie, del tempo e dell’universo.

L’ordine empirico1 ha parametri senza tempo e determina tutto

ciò che è, sia nel mondo materico sia in quello sottile, integrando e

utilizzando le leggi della natura come moti principali. L’ordine gestisce

1 I termini “ordine empirico”, “sistema empirico”, “ordine sistemico” sono utilizzati in modo equivalente poiché con essi si intende l’armonia naturale a cui giungono effettivamente tutte le situazioni e i rapporti quando vengono rispettati i principi del sistema stesso.

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altresì le dinamiche nascoste (i moti dell’anima) insite in ogni tipo di

rapporto che l’uomo stabilisce con se stesso e con gli altri.

Il sistema non ha inizio né fine ma esclusivamente un processo di

trasformazione all’interno del proprio fluire. Essere in armonia con l’ordine

equivale a vivere nel “libero fluire” e porta l’uomo ad uno stato che

Michel Hardy definisce integrato: colui che non infrange l’ordine non

accumula debito e vive nell’assenza di ogni conflitto. La sua anima non

conosce sentimenti di paura, rabbia o rancore ed è collegata al flusso

sistemico essendone parte integrante: per questo vive una grande

sofferenza quando è costretta a scollegarsi.

Il sistema prevede per ogni individuo dei ruoli empirici, che

variano a seconda del periodo biologico di vita, che racchiudono in sé i

diritti e i doveri che l’individuo è chiamato ad assolvere. Ogni ruolo

empirico ha la sua matrice di eccellenza, vale a dire gli elementi

oggettivi che rappresentano il copione ideale per ciascun ruolo in rapporto

ad una determinata situazione vitale. I ruoli vanno di pari passo con la vita

biologica dell’individuo e con i molteplici aspetti della sua vita personale. Il

primo ruolo di base è quello del bambino, seguono poi l’adulto, l’anziano e

i sottoruoli di moglie, marito, padre, madre (i principali), zia, nipote,

collega, e tantissimi altri.

A monte dei ruoli di base la biologia presenta i due ruoli primari di

uomo o donna.

Le leggi sistemiche si rivelano solo dopo il loro compimento in

quanto l’ordine riconosce soltanto ciò che il singolo mette effettivamente

in atto e ignora le intenzioni che, in quanto tali, sono soltanto atti

inespressi. L’ordine non giudica l’uomo ma lo obbliga a prendersi

responsabilità precise per le sue azioni; non lo prevarica, poiché non ha

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una personalità da difendere; non lo punisce, ma lo riporta ad uno stato di

“debito” ogni qualvolta l’uomo vìola le sue regole.

L’ordine tende all’equilibrio naturale, per cui ogni moto empirico

viene risolto dalla legge di compensazione: essa si verifica

indipendentemente dall’individuo e si sostanzia nei meccanismi nascosti

con cui la coscienza personale rimuove i traumi emotivi accumulati nel

corso della vita. Attraverso la coscienza personale si aggira lo stato di

sofferenza con meccanismi di autoinganno che però allontanano

l’individuo dal proprio sentire e quindi dal libero fluire.

Strutturato sul principio del libero arbitrio, l’ordine lascia l’uomo

libero di sbagliare e di prendere decisioni disarmoniche; gli indicatori

empirici (rabbia, paura, senso di colpa, tristezza) sono lo strumento con

cui il sistema, a fin di bene, segnala all’individuo l’avvenuta infrazione per

permettergli di individuarla e porvi rimedio.

L’emozione guida che chiamiamo indicatore attivo è un

meccanismo compensativo per nascondere e camuffare gli indicatori

passivi che hanno un peso analogo o anche maggiore. Chi vive la sua vita

nella modalità rabbiosa cerca di soffocare la paura e l’inquietudine, mentre

chi si lascia guidare dalla paura rinnega la propria spinta rabbiosa. Gli

indicatori attivi sono i moti predominanti del proprio carattere, quelli

passivi costituiscono la propria parte più repressa, ovvero il lato ombra.

Con l’aumento delle violazioni delle leggi sistemiche l’individuo si

allontana dal modello “integrato” per assumere un ruolo “alterato”: più

ingente è il suo debito più velocemente egli degenera attraverso dinamiche

invisibili di deterioramento all’interno della metamorfosi empirica, di cui

tratteremo oltre.

Un assunto di base dell’approccio esperienziale di Michel Hardy è

che non è possibile sanare il debito attraverso un mero percorso

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intellettivo, poiché i principi del sistema possono essere acquisiti e fatti

propri soltanto dopo averli “sentiti”. Soltanto attraverso il “fare” l’individuo

può confrontare il proprio “falso” sentire con un sentire nuovo, in linea con

i parametri dell’ordine, dandosi così la possibilità di diminuire il divario fra

la sua realtà personale e la realtà empirica.

Nei vari seminari del percorso empirico, da “La terapia della rabbia”

al “Linguaggio dell’anima” al “Teatro del sé” – solo per citarne alcuni – ogni

partecipante è chiamato a mettere in gioco parti di sé inedite, aspetti della

personalità mai rivelati neppure a se stesso, emozioni ignote. Soltanto in

quei momenti di forte sollecitazione il corpo riesce ad esprimere tutto ciò

che l’ego tenta disperatamente di nascondere, lasciando venire a galla

quelle verità che fino a quel momento la persona aveva nascosto con cura

in fondo al suo essere.

Nel “provvidenziale” momento di crisi l’individuo riesce a contattare

la parte di sé più autentica: quando si dà il permesso di farla esprimere

(pianto, sfogo di rabbia, sentimenti repressi, oppure sensazione di

leggerezza, amore, gioia) può avere inizio il processo di “ristrutturazione”

del suo sistema emotivo-corporeo.

Tutti i seminari del percorso, pur affrontando tematiche diverse,

vanno nella stessa direzione: permettere a ciascuno di prendere

coscienza, ognuno con i suoi tempi, delle proprie strategie vitali e ripulire il

proprio piano sensoriale. Il lavoro di gruppo amplifica la potenza

dell’approccio empirico, in quanto lo scambio e il confronto con gli altri

agevola e rafforza il riconoscimento di ogni parte di sé e la presa di

contatto con le proprie strategie corporee e sensoriali.

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2. IL POSTO LEGITTIMO

L’ordine concepisce ogni suo principio sotto forma di diritto. I diritti

empirici sono strutturati su dinamiche nascoste, tutelando ogni necessità e

bisogno dell’individuo senza manifestarsi apertamente, e rivelano la

propria esistenza solo nel caso di una loro violazione. Ognuno avverte

l’esistenza di tali leggi per il solo fatto che esse esistono e sono alla base

di ogni bisogno vitale.

Il posto legittimo si manifesta come il diritto ad “essere” poiché

l’ordine sistemico lo contempla: un bambino è al suo posto legittimo

quando riceve una degna qualità di amore, un adulto (uomo o donna) è al

suo posto legittimo quando ha ricevuto integra la consegna del codice del

proprio sesso biologico, una azione è al suo posto legittimo quando è

allineata ai parametri dell’ordine e l’individuo se ne assume le

responsabilità.

L’individuo che riesce a vivere nell’armonia che il sistema ha in sé in

quanto portatore delle regole delle dinamiche evolutive accede ad una

serenità naturale e si lascia trasportare dalla corrente: sta nel libero fluire,

nel suo posto legittimo.

Ogni persona ha il diritto di vivere nell’armonia e sentire di “essere

al proprio posto”. Vive al “proprio posto” chi non è condizionato dal peso

del debito accumulato nel tempo e può sperimentare uno stato di serenità

che gli permette di restare collegato al proprio sentire anche quando

l’ambiente lo contrasta.

La felicità dell’uomo non è qui intesa come soddisfacimento dei suoi

desideri materiali bensì è data dalla qualità delle sue percezioni, ossia da

come riesce a vivere tutti gli avvenimenti della sua vita. Più il piano

sensoriale di un individuo è allineato al sentire sistemico, più egli ha la

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capacità di distinguere le occasioni “giuste” da quelle “ingannevoli”, di

saper effettuare delle scelte o di trovare la “giusta distanza” a prescindere

dal contesto che lo circonda.

Molto spesso però l’individuo è “anestetizzato” poiché il predominio

della parte razionale ostacola la qualità del suo sentire: il conflitto tra i moti

dell’ordine e gli schemi personali genera l’aumento degli indicatori con cui

il sistema segnala le infrazioni avvenute. E così la persona,

inconsapevolmente, si allontana sempre di più dal suo posto legittimo

poiché la rabbia, le paure, le aspettative personali vanno ad imporsi sui

suoi moti genuini.

Anche le azioni dell’uomo hanno un posto legittimo all’interno del

sistema, rappresentato dalla matrice di eccellenza, insita in ogni

situazione, ovvero una scala di valori che contiene i parametri oggettivi del

bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. Ogni azione ha una carica

empirica - armonica o disarmonica a seconda se sia in linea o meno con

le leggi dell’ordine - e rivela la sua natura quando si confronta con la

matrice di eccellenza. Poiché il sistema non prevede definizioni o concetti

inflessibili che costituirebbero un limite al libero fluire, la matrice di

eccellenza pur conservando il suo valore profondo, si modula ad ogni

contesto interpretandolo al meglio, assumendo un significato diverso in

relazione al momento e alle condizioni in cui si svolge.

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3. VIVERE FUORI DAL PROPRIO POSTO

E’ motivo di profondo dolore per ogni persona attraversare la

propria vita con la percezione di non essere amata per il solo fatto di

esistere, di non riuscire ad esprimere appieno se stessa e le proprie

potenzialità, nell’impossibilità di sentirsi collegata all’armonia naturale.

Proviamo ad analizzare cosa vive l’individuo sradicato dal suo posto

legittimo.

3.1 Senso di inadeguatezza

Il senso di inadeguatezza colpisce chi non ha molta stima di sé o chi

l'ha persa, e si lascia sopraffare dagli altri e dagli eventi della vita. E’

quella sensazione di non sentirsi mai all'altezza, di esser sempre fuori

posto, ovunque si è, come se gli altri fossero sempre migliori di noi.!

Perché spesso ci sentiamo inadeguati, sbagliati, pieni di carenze,

mentre gli altri ci appaiono perfettamente adattati, sempre capaci di

gestire le relazioni sociali, e anche simpatici nei loro piccoli difetti, al punto

che siamo sempre pronti a perdonare tutti, tranne che noi stessi?!!

Da bambini impariamo ad adattarci all'ambiente dove cresciamo; i

nostri familiari sono il nostro primo riferimento, e in qualche modo intuiamo

di dipendere totalmente da loro. Il piccolo uomo è fragile, incapace di

sopravvivere senza i genitori: non potrebbe nutrirsi, scaldarsi, aver cura di

sé. Diversamente dalle altre specie, quella umana è particolarmente

soggetta al pericolo di vita in assenza di accudimento.

!!I bisogni dell'uomo non sono solo di natura concreta: cibo, acqua.

Noi abbiamo strutturalmente bisogno di calore umano, riconoscimento,

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affetto: l’ordine sistemico lo contempla come un nostro diritto. La nostra

sopravvivenza è fortemente collegata alla prossimità affettiva: è stato

dimostrato che il neonato è in grado di riconoscere la madre dall'odore e

dal ritmo del battito cardiaco, e istintivamente la predilige a qualsiasi altra

figura.

Il bambino piccolo impara presto ad assumere dei comportamenti

adattati all'ambiente, in modo da garantirsi il riconoscimento e l'affetto dei

genitori. E' un processo alla base dell'educazione: “se io divento come tu

mi vuoi, ho la certezza di non esser rifiutato”. !!

Per vari motivi, a volte slegati dalla qualità della genitorialità, spesso

il bambino va incontro ad un iperadattamento, che finisce col diventare

disfunzionale. Il "come tu mi vuoi" prende il sopravvento sullo sviluppo

dell'identità, e la persona non si impossessa della normale capacità di

auto-riconoscimento, necessario ad un sano sviluppo dell'autostima. !

Frequentemente, l'eccessiva dipendenza dal giudizio dell'altro prende una

forma inversa, di ribellione e rifiuto: apparentemente dà la sensazione di

prendere le distanze dalle richieste ambientali, e dà l'illusione di

differenziarsi, ma in realtà essa è solo l'altra faccia della dipendenza che

impedisce il libero sviluppo dell'identità. !!Il senso di inadeguatezza che ne

deriva è legato alla sensazione di non esser mai "abbastanza" bravi,

adattati, educati, vivaci, brillanti, a seconda delle richieste del passato.!

Chi si sente inadeguato ha un grande bisogno di essere considerato

e amato, e spesso molte coppie fondano il loro relazionarsi sul desiderio di

ricevere dal partner quello che non si è avuto da piccoli. Tali rivendicazioni

sono insensate, destinate a restare frustrate e ad alimentare un forte

rancore verso il coniuge che ci delude.

Per uscire da questo circuito doloroso che si autoalimenta, è

necessario riprendere contatto con se stessi e con le proprie risorse, per

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sganciarsi dal giudizio degli altri e trovare il proprio modo di auto-

guardarsi.!

3.2 Senso di colpa

Il senso di colpa è una emozione che permette di contenere le

pulsioni distruttive e di prendere coscienza della sofferenza dell'altro.

Identificato in questa modalità può avere anche sfumature costruttive,

perché mette in guardia qualora si stiano oltrepassando i limiti, costringe

ad una messa in discussione e ad un'assunzione di responsabilità. Il senso

di colpa, sperimentato spesso da ogni persona sensibile e responsabile, è

un meccanismo della coscienza che, se non è deformato, segnala un

disagio e ci rimprovera quando facciamo qualcosa che infrange il nostro

codice morale, perseguitandoci fino a quando non ci attiviamo per

rimediare con un gesto riparatore.

Cercare di "evitare" il senso di colpa significa comportarsi in modo

da evitare di fare del male ad un'altra persona. Il senso di colpa è una

reazione naturale ad una nostra azione cattiva, illecita, crudele o

disonesta: una volta riconosciute le proprie responsabilità e prese le

misure correttive, il campanello d'allarme della mente ha terminato la sua

funzione.

Il sentimento di colpevolezza nasce dal nostro "giudice interiore"

che ci mette di fronte agli insegnamenti che abbiamo ricevuto dai nostri

genitori, dalla religione e dalla regole sociali, come se si dovesse pagare

un prezzo in termini di sofferenza interiore per avere osato desiderare

qualcosa di vietato. Infatti basta solo aver pensato di violare una "regola"

per vivere una sensazione di disagio, per non sentirsi più la coscienza

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pulita. Il bambino impara molto presto a sentirsi in colpa per non aver

soddisfatto le aspettative degli altri e spesso quando è spettatore di un

divorzio, di una malattia o di una sofferenza dei genitori, si convince di

essere responsabile, come se effettivamente tutto ciò che è doloroso o

"negativo" fosse, per qualche ragione, colpa sua.

Il sentimento di colpevolezza può celare un senso di onnipotenza ("è

tutta colpa mia!"), una specie di volontà di controllo sugli altri e su ciò che

si vive, un meccanismo perverso che ci costringe a vivere nella

dipendenza, lasciando agli altri il potere di liberarci. La maggior parte delle

persone che si sentono "colpevoli" soffrono, in qualche modo la paura

dell'abbandono, il timore di perdere un amore o l'approvazione degli altri. Il

sentimento di colpevolezza infatti induce ad adottare una certa condotta in

funzione della fedeltà al gruppo di riferimento, al di fuori del quale ci si

sentirebbe persi. La possibilità di fare una scelta fuori dal coro spaventa

ed è forte la tentazione di rimanere fedeli al gruppo rinunciando a se stessi

e alla propria vera identità. Crescere vuol dire anche liberarsi dai

condizionamenti e dalla paura di infrangere imposizioni e regole,

adottando un comportamento rispettoso verso il gruppo, ma senza

rinunciare a sé.

Alcune madri sono esperte nel far leva sui sensi di colpa dei figli e

sanno, meglio di chiunque altro, come ottenere da loro quello che

vogliono, riuscendo a colpirli proprio là dove sono più vulnerabili. Frasi

taglienti, apparentemente innocue, creano mostruosi sensi di colpa,

malessere e senso di inadeguatezza e hanno il potere di trasformare il

figlio in un "bambino cattivo”. L'operazione più difficile per un figlio è

quella di comprendere profondamente che è la propria mamma ad attivare

una manipolazione, e che non è lui ad avere torto.

E' difficile proprio perché la madre che colpevolizza lo fa da sempre,

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e ormai il senso di colpa si è completamente impossessato del figlio che

fatica a vedere il vero e proprio abuso di potere che la madre mette in atto.

Da adulto, si vedrà costretto ad affrontare la paura di essere rifiutato se

non soddisfa puntualmente i bisogni della madre.

3.3 Separazione da sé, separazione dagli altri

Più aumentano le violazioni delle leggi empiriche più l’anima si

chiude in se stessa tentando di difendersi da ogni ulteriore dolore e si

distacca dal libero fluire. Nello stesso tempo subentra anche una

separazione evidente tra la persona e le sue qualità empiriche Yin o Yang2.

La separazione altera tutti gli atteggiamenti e le strategie vitali, anche se

l’individuo sente erroneamente di mettere in atto qualità assolute.

Tale condizione di separazione a volte viene vissuta in forma

rabbiosa, a volte invece in maniera più sottomessa e vittimistica, a

seconda delle proprie strategie di compensazione. Ciò porta una profonda

solitudine, che non significa essere soli ma sentirsi soli, e si verifica

dovunque la persona si trovi: tra amici, all’interno di una coppia, o in

mezzo ad una folla. Si tratta di un vuoto interiore, che si manifesta

attraverso l’impossibilità di nutrire l’anima.

2 Secondo il Thao, i due poli opposti dell’universo, maschile e femminile, che non possono fare a meno l’uno dell’altro e si rincorrono in modo perpetuo, a simboleggiare il continuo evolversi e trasformarsi dell’universo.

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La persona “anestetizzata” quasi sempre non è consapevole di tale

separazione, e vive nell’illusione di avere uno stato di presenza forte e

articolata. Procede in maniera “automatica” ma non è in grado di percepire

moti reali, sia come genitore che come uomo, donna, marito o in qualsiasi

altro ruolo empirico.

Mettendo in atto un’ampia serie di strategie di rimozione grazie alle

quali non riconosce le proprie “patologie”, l’individuo estromesso

dall’ordine adotta moti surrogati che formano, con l’andare del tempo, un

vero e proprio copione. Parliamo dei ruoli compensatori, ossia degli

alibi mentali escogitati dalla coscienza personale nel tentativo di

proteggere l’individuo dalla sua disperazione.

Talvolta, per non sentire il vuoto della propria vita affettiva, la

persona si rifugia dietro una molteplicità di impegni sociali e attività

lavorative in grado di assorbirla completamente. Con il passare del tempo

tali strategie di compensazione vengono talmente assorbite nel proprio

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bagaglio personale da essere scambiate per il proprio carattere e la

propria personalità.

Chi è separato dall’ordine vede velocemente crescere uno stato di

insoddisfazione e di aspettative tradite all’interno della coppia, che

puntualmente attribuisce al partner di turno. I rapporti alterati presentano

diverse forme di patologie riguardo ai legami affettivi; possono trasformarsi

in un rapporto di co-dipendenza emotiva, attraverso la continua richiesta

di nutrimento, o si manifestano attraverso un atteggiamento morboso che

oscilla tra odio e amore.

3.4 Paura

La paura è un’emozione primaria di difesa comune sia alla specie

umana sia a molte specie animali, ed è causata da una situazione di

pericolo che può essere reale.

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La paura può essere anticipata dalla previsione di un pericolo,

evocata da un ricordo o prodotta dalla fantasia. Spesso è accompagnata

da reazioni organiche di cui è responsabile il sistema nervoso autonomo,

che ha il compito di preparare l’organismo alla situazione di emergenza

attraverso atteggiamenti di lotta e fuga.

La paura può assumere varie forme, che vanno dalla fobia - quando

si riferisce ad oggetti o animali non considerati paurosi -, all’angoscia -

che indica una certa situazione di attesa del pericolo, che può essere

sconosciuto -, allo spavento, che designa lo stato di chi si trova di fronte a

un pericolo senza esservi preparato.

A livello sistemico, la paura è un indicatore empirico, inteso come

moto interiore autonomo e auto-rigenerante, che costituisce il binario del

sentire della persona fino a quando il proprio debito non viene estinto.

Nel momento in cui la paura perde la funzione sana e vitale di

“campanello d’allarme” e diventa la compagna costante del sentire

dell’individuo, essa rappresenta l’espressione di uno stato vitale alterato,

in cui la persona si sente minacciata anche in situazioni che in realtà non

recano alcuna minaccia. Il debito personale accumulato è diventato

talmente ingombrante che la persona legge la realtà non più per quella che

è effettivamente, ma con la lente di ingrandimento della sua paura, della

sua angoscia, della sua scarsa autostima, spesso della sua depressione.

Quanto più la persona sperimenta la pressione emotiva causata

dall’indicatore della paura, tanto più sviluppa strategie di rimozione e di

difesa, assumendo il ruolo della “vitt ima” che non è capace di parlare a

proprio sostegno, non si sente a suo agio tra le persone e vive una

percezione di solitudine persistente. La vittima si pone in modo

prevalentemente passivo, è in continua esitazione, e ogni suo approccio

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con il mondo evidenzia il suo senso di inferiorità e di non merito, per

quanto possa far finta del contrario.

3.5 Rabbia

La rabbia è una emozione improvvisa, travolgente, “precoce”, tanto

da poter essere sperimentata anche dai bambini in tenera età. Essa è

caratterizzata da una tendenza all’azione: quando siamo arrabbiati viviamo

una tensione che sentiamo di dover scaricare al più presto per ritrovare

uno stato di benessere. Una frustrazione e una costrizione sia fisica che

psichica possono far nascere una reazione rabbiosa, infatti ci si arrabbia

quando qualcuno o qualcosa si oppone alla realizzazione di un nostro

bisogno.

Page 25: Il posto legittimo - Dora DE STEFANO

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Al pari della paura, anche la rabbia è un’emozione primaria

dell’uomo ed è indispensabile per la sua sopravvivenza, perché gli

permette di reagire ad un’ingiustizia o a qualcosa che lo mette realmente in

pericolo. Può essere utilizzata in modo costruttivo se dà energia ad una

richiesta basata sui propri desideri. E’ importante imparare ad esprimere la

propria rabbia perché in questo modo ci si può avvicinare ai propri bisogni

reali, esprimere se stessi e costruire relazioni più autentiche.

Quando la rabbia però non è legata ad uno specifico momento, ma

diventa la modalità primaria di rapportarsi alle situazioni che la vita ci

mette di fronte, essa perde la sua funzione sana e vitale di affermazione

del proprio io.

La persona emotivamente “obbligata” a rapportarsi con aggressività

esprime un debito personale ingente, allo stesso modo di chi vive la vita

accompagnato dalla paura. Il suo sentire alterato lo porta ad affrontare la

vita con reazioni che vanno dalla rabbia all’ira, alla collera, alla permalosità,

adottando il ruolo di “carnefice” e dimostrando in tal modo la sua

separazione dal sistema.

Il carnefice si sente al sicuro esclusivamente se esercita il suo

copione di aggressore. Per quanto soffra per la sua aggressività che

semina il vuoto intorno a sé, non può fare a meno di affrontare il mondo

sempre pronto all’attacco, non accettando di sentirsi disarmato. In questo

modo il suo copione alterato è la causa della sua sofferenza e al contempo

la sua sicurezza più importante.

Page 26: Il posto legittimo - Dora DE STEFANO

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3.6 Ipertrofia della mente (la compensazione empirica)

L’individuo “integrato” sperimenta un sentire assoluto che gli

permette di interpretare ogni situazione per ciò che essa realmente

comporta e di agire e reagire conseguentemente, senza la necessità di

dover togliere o aggiungere nulla.

Se tale sentire assoluto è mancante, la mente tenta di capire

laddove il sentire non più in grado di accedere, “elaborando” tutto ciò a cui

non riesce a risalire spontaneamente: si tratta di una vera e propria

sostituzione di facoltà sensoriali con quelle intellettive. Parliamo di

compensazione empirica, atta a garantire la sopravvivenza dell’uomo,

nascondendo tutto ciò che il singolo non riuscirebbe a sopportare

altrimenti, in quanto lo porrebbe dinanzi ai propri limiti.

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L’individuo che ha un piano sensoriale alterato affida alla mente il

compito di decifrare la realtà, ma la mente agisce con arroganza,

pretendendo di essere sempre nel giusto. Ciò crea l’illusione di avere il

controllo della propria vita, per il semplice fatto di percepire una data

situazione come tale, pretendendo che essa sia reale.

Con il tempo però tale superbia della mente porta all’accumulo di un

arretrato empirico ingente, che si manifesta con malessere, sia fisico che

psichico o emotivo.

Se da un lato la compensazione empirica rafforza le strategie vitali

dell’uomo, evitandogli il confronto diretto con ciò che gli procurerebbe

dolore, dall’altro gli impedisce di poter risalire alle proprie carenze emotive

e alle ferite acquisite, allontanandolo da una possibilità di guarigione.

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4. OGNI COSA AL SUO POSTO

La forza immanente della natura che si manifesta in tutte le sue più

composite manifestazioni ci rimanda alle verità e ai principi inconfutabili

dell’ordine sistemico.

4.1 Le forze Yin e Yang e la compensazione armonica come movimento esterno all’uomo

I termini Yin e Yang hanno un’origine molto antica (IV secolo a.C.) e

probabilmente la loro nascita si deve all’osservazione empirica

dell’alternanza dei fenomeni naturali, come giorno/notte, caldo/freddo,

luce/ombra; infatti la loro espressione grafica contiene nello Yin l’elemento

che richiama l’ombra sul versante freddo della montagna, e nello Yang

l’elemento “Sole” che evoca la luce sul versante soleggiato del monte.

Simbolo del Thao

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Secondo la tradizione, lo Yin e lo Yang sono soffi cosmici che si alternano

e si mescolano incessantemente. Il vento invece rappresenta il “Chi”

emanato dal Cielo e la pioggia non è altro che il suo discendere sulla Terra.

Oscurità e luce, analogamente, sono ulteriori espressioni fisiche

dell’energia cosmica.

Nell’uomo, il Chi si trova in una forma grezza che include i liquidi

sessuali e l’energia psichica ad essi collegata. L’energia circola attraverso

“canali” speciali (i meridiani energetici) e insieme al sangue dà nutrimento

agli organi vitali e regola il flusso Yin/Yang, determinando lo stato di salute

fisica e spirituale dell’individuo. L’ordine sistemico, per mezzo dei suoi due

principi dinamici fondamentali Yin/Yang – un movimento tra coppie di poli

opposti e complementari l’uno all’altro - mantiene l’ordine naturale delle

cose e consente all’incessante processo di trasformazione nell’universo di

realizzarsi.

Yang, ovvero il polo positivo della coppia di opposti, è connesso alla

mascolinità, al movimento, al calore e alla luce; Yin, il principio negativo, è

collegato alla femminilità, alla passività, al freddo e all’oscurità.

Le forze Yin e Yang lottano continuamente tra di loro per prevalere

l’una sull’altra, ma soltanto la loro compensazione ed integrazione

permette di giungere all’armonia naturale. Così come i giorni e le notti si

alternano gradualmente, lo Yang cresce con il progredire delle ore diurne e

declina lentamente con il crepuscolo mentre contemporaneamente la

proporzione di Yin aumenta. Allo stesso modo si compenetrano le stagioni

nel corso della progressione dei mesi: con l’equinozio di primavera i due

principi (giorno/notte, freddo/caldo) si equilibrano. Poi i giorni si allungano,

lo Yang comincia a crescere e raggiunge la sua massima espansione con il

solstizio d’estate. A quel punto la durata del giorno diventa via via più

breve fino a riequilibrarsi con la notte nell’equinozio d’autunno. Tocca poi

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allo Yin predominare fino alla notte del solstizio d’inverno, per poi

decrescere e ritrovarsi in perfetto equilibrio con lo Yang al momento

dell’equinozio di primavera dell’anno seguente.

Ogni essere, ogni espressione del cosmo, ogni fenomeno della

natura è un punto di equilibrio tra Yin e Yang: quando c’è armonia tra Yin

e Yang nell’universo tutto procede in modo spontaneo e tra gli uomini

regnano felicità e pace. Nel momento in cui si verificano degli

sbilanciamenti energetici (insufficienza di Yin, insufficienza di Yang,

eccesso di Yin, eccesso di Yang), l’equilibrio e l’armonia s’incrinano e

l’energia comincia a circolare in modo disordinato, caotico e pericoloso,

scatenando da un lato malattie e squilibri psichici nell’uomo, dall’altro

catastrofi naturali nell’ambiente – come il diluvio (eccesso di Yin) o la

siccità (eccesso di Yang).

Il principio dell’attrazione fra i poli opposti Yin e Yang trova la sua

applicazione nell’attrazione fisica tra i due sessi biologici, l’attrazione tra il

genere maschile e quello femminile. L’attrazione fra gli amanti che si

attirano grazie alla tensione vitale tra i loro poli empirici opposti porta al

concepimento di una nuova vita, in quanto entrambi portano un potenziale

energetico indispensabile l’uno all’altro. Il meccanismo della

compensazione della forza maschile e di quella femminile permette una

convivenza armoniosa fra i due sessi, che è l’unica garanzia di una crescita

sana della prole, indispensabile per la sopravvivenza della specie.

I talenti dello Yin e dello Yang, le loro qualità empiriche, le loro virtù,

ma anche i difetti e le mancanze svolgono una precisa funzione all’interno

della coppia. Entrambi sono portatori di qualità empiriche differenti ma

sinergiche, condizione indispensabile ai fini di ogni rapporto funzionale.

Soltanto rimanendo nei rispettivi ambiti l’uomo e la donna possono entrare

in un rapporto di compensazione anziché di competizione, trovando

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ciascuno il suo posto all’interno della coppia, permettendosi così di vivere

in armonia con le leggi dell’ordine e sperimentare la pienezza dell’essere

uomo o dell’essere donna.

4.2 Il codice Yin e il codice Yang nell’approccio empirico

Un principio cardine dell’approccio empirico è rappresentato

dall’assunto che, analogamente a quanto avviene per la materia, le

dinamiche e le espressioni dell’universo che sono contenute dalle forze Yin

e Yang, così anche per l’individuo sono i codici Yin e Yang a definire i moti,

i comportamenti e le emozioni insiti nei due ruoli biologici.

Il codice è composto da principi guida, ovvero le qualità più

significative da cui scaturiscono tutti gli altri principi attivi. La totalità dei

principi e delle strategie del codice discendono dai “moti di base” che

sono la “spinta in avanti” per il codice Yang e la “forza che sostiene”

per il codice Yin, energie esplicitate al meglio nell’atto sessuale.

Il codice Yin appartiene alla femmina e ha come

principi guida l’amore incondizionato, l’accoglienza, la cura, la morbidezza,

la dedizione, l’arrendevolezza, la fiducia, la forza di sacrificio nonché uno

spiccato lato sensoriale, introspetttivo, estetico e spirituale. Il suo codice

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le dà il diritto alla maternità (la massima espressione dell’autorealizzazione

femminile), alla propria forza incondizionata, fragilità, purezza, tenerezza, il

diritto ad essere poco razionale e ad avere parametri maggiormente

sensoriali, la spontaneità, la fantasia, una certa dose di leggerezza e di

frivolezza. Oltre alla parte luce, la parte ombra del codice Yin dà alla

femmina il diritto di avere paura (l’equivalente della spinta rabbiosa del

maschio), di essere triste, perfida, vendicativa, poco determinata,

tendente a subire, con difficoltà a sostenere le proprie opinioni.

Il codice Yang appartiene al maschio e ha come

principi guida il diritto di essere guerriero (spinta all’azione), di fare la guida

al proprio nucleo familiare, di esprimersi attraverso la concretezza e la

progettualità (il fare), o di farsi valere attraverso la propria autorità ed

autorevolezza. Il suo codice gli dà diritto alla autorealizzazione al di fuori

del nucleo familiare, di proteggere e difendere chi ama, di accedere alla

propria autorità, al potere, unitamente al diritto di essere calcolatore,

spigoloso, brusco, prepotente, interessato. Nello stesso tempo, in

aggiunta a questa parte luce, il diritto all’ombra conferisce al maschio la

rabbia, l’aggressività, l’arroganza, la durezza, la superficialità, l’abuso di

potere, la possessività, la gelosia, la sfrontatezza, la durezza, il sarcasmo.

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4.3 La compensazione armonica interna

La stessa compensazione che avviene al di fuori dell’individuo

creando l’attrazione con un’altra persona avviene anche su un piano

interiore. All’interno di ogni individuo, infatti, esistono una parte maschile e

una parte femminile che si compensano e si sostengono in maniera

sinergica. Il proprio sesso biologico costituisce la parte principale,

formando la carica primaria che è bilanciata e sostenuta da quella

dell’altro sesso sotto forma di carica secondaria.

Ogni donna porta con sé un patrimonio Yin inerente al suo sesso

biologico, ma che necessita contemporaneamente di una carica Yang

(definita da Jung “Animus”) per potersi muovere nella vita in modo pieno

ed autosufficiente.

Allo stesso modo ogni maschio, portatore naturale di un patrimonio

Yang, ha bisogno di integrare la propria carica primaria con quella Yin

(definita da Jung “Anima”) per essere armonico. Entrambe fanno parte

dell’interezza dell’uomo e hanno bisogno di svilupparsi in maniera

sequenziale, lasciando la precedenza alla carica primaria.

Soltanto l’espressione e la sinergia di entrambe le cariche

permetterà forza ed equilibrio ad ogni essere maschio o femmina.

Entrambi i sessi, nonostante i confini precisi tra il ruolo Yin e quello Yang,

hanno bisogno di saper accedere anche al codice empirico dell’altro, per

quanto in maniera ed entità diversa. Se la persona non accede alla propria

carica secondaria non è in grado di sostanziare neanche quella primaria,

ed esprime pertanto una carica vitale scarsa e priva di energia.

Il maschio e la femmina centrati nelle loro rispettive cariche primarie

e secondarie vengono identificati nell’approccio empirico come

“integrati” e rappresentano modelli di eccellenza della loro specie.

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Quando l’individuo è in equilibrio, quando percepisce se stesso e il

mondo esterno con un sentire pulito, quando avverte la reale carica

empirica di ogni cosa e agisce in armonia con essa, si può definire

“integrato”. L’uomo yang integrato e la donna yin integrata hanno

acquisito una carica primaria e secondaria piena e ben sviluppata durante

l’infanzia, sono in grado di riconoscere i parametri armonici in maniera

intuitiva e spontanea, rimanendo così sempre in contatto con il proprio

codice, sia nella luce sia nell’ombra.

L’uomo yang integrato e la donna yin integrata sono modelli sani,

non alterati: sono al loro “posto legittimo”, in grado di poter entrare in

relazioni autentiche ed appaganti e di poter accedere al libero fluire.

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5. LONTANO DAL PROPRIO POSTO

5.1 La compensazione disarmonica dell’assetto emotivo

Non sempre i codici Yin e Yang sono integrati nella persona in modo

corretto.

Quando i moti emotivi predominanti deviano dal suo codice di base,

l’individuo tradisce il proprio progetto di vita e perde ogni legittimazione

all’interno del sistema. Non è al suo posto legittimo. La donna che ha

acquisito moti dominanti maschili e l’uomo che si esprime

prevalentemente attraverso qualità femminili non rispettano la matrice di

eccellenza del proprio codice.

Qualora la carica primaria di una persona si evolva in maniera non

integra e sufficiente, il meccanismo della compensazione empirica porta

la carica secondaria a prendere il posto vacante. In questo modo la

persona viene “inquinata” e deviata nel proprio codice di base, vale a dire

che sviluppa un maschile o femminile debole e ciò si riverbera sul suo

intero stato vitale. Essa viene influenzata al punto che i principi guida del

proprio sesso vengono spesso “sopraffatti” e degradati dai principi

sostitutivi, dando vita a veri e propri ruoli alterati e ibridi.

I modelli femminili e maschili non seguono più un iter naturale ed

organico, ma cercano di interpretare al meglio nuove esigenze e ruoli

sociali. Questo processo è particolarmente incoraggiato dalla cultura

moderna che ha perso il concetto dell’inclusione, dell’accettazione di tutto

quello che non brilla a prima vista. L’efficienza esasperata, l’ambizione, la

competizione, l’inseguire modelli esteriori e il raggiungimento del successo

a tutti i costi hanno allontanato sempre più l’uomo e la donna dalle loro

qualità naturali e la loro funzione all’interno dell’ordine.

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Qualora la carica primaria e quella secondaria non siano integrate

l’uomo e la donna, indipendentemente dal sesso biologico, presentano

un’alterazione – Ying o Yang – a seconda di ciò che binario del proprio

sentire li porta a percepire come moto prevalente.

Ogni principio attivo Yin e Yang non esercitato si trasforma in debito

poiché compromette il mondo emotivo della persona, allontanandola dalla

sua matrice originaria e portandola a scegliere per compensazione un

partner a sua volta “alterato”.

5.2 La metamorfosi empirica

La mancata integrazione della carica primaria con quella secondaria

genera un aumento del debito che l’individuo non radicato nel suo sesso

biologico accumula. Nel tempo tale accumulo lo porta, secondo un

andamento sistemico prestabilito, a subire una trasformazione del suo

carattere a causa di un inevitabile degrado del suo profilo emotivo.

Tale trasformazione, definita “metamorfosi empirica” accade a

prescindere dalla volontà della persona e si sostanzia in dinamiche

invisibili di deterioramento indotte dal catalizzatore empirico della

rabbia. Con l’aumentare del debito l’individuo sperimenta ruoli alterati

passando da un ruolo all’altro, attraverso gli stadi intermedi della vittima

rabbiosa.

Dalla donna yin alterata o dall’uomo yin si giunge fino al ruolo

estremo, senza ritorno, della donna yang o dell’uomo yang alterato.

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La metamorfosi empirica può durare un’intera vita e l’unico modo

per fermarla, riportando l’individuo nel libero fluire, è rappresentato dal

riscatto del proprio debito.

Nell’ambito del processo di risoluzione del debito l’indicatore

passivo prende il sopravvento e la parte Yin o Yang carente può emergere,

creando un bilanciamento e il conseguente avvicinamento ad una

situazione di equilibrio. Portare alla luce l’indicatore passivo è una forte

leva che permette di accedere ad una percezione corretta della vita, di

abbandonare le strategie compensative, di dissolvere il vortice emotivo

obbligato e di avvicinarsi alla propria carica primaria: soltanto in questo

modo l’uomo si riavvicina al suo patrimonio Yang e la donna inizia a

valorizzare le sue caratteristiche Yin.

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5.3 I ruoli alterati

I ruoli alterati si dividono in due grandi gruppi: quelli con l’eccesso

di carica Yang (Yang alterato) e quelli con l’eccesso di carica Yin (Yin

alterato).

L’indicatore genuino dell’eccesso Yang è la rabbia, la cui presenza

(come anche ogni tentativo di reprimerla) identifica il suo portatore come

appartenente a tale gruppo. I portatori di un eccesso Yang rivestono il

ruolo del “carnefice”, tendono ad atteggiamenti compulsivi generalmente

legittimati come irascibilità ed irruenza, o atteggiamenti invasivi e

prevaricanti. Il carnefice ha l’aggressività come indicatore attivo, mentre

l’indicatore passivo è rappresentato dalla paura, qualità del codice Yin che

ha rinnegato e rimosso.

L’indicatore genuino dell’eccesso Yin è la paura, unita alla tristezza

con una forte tendenza alla malinconia. I portatori di un eccesso Yin

rivestono il ruolo di “vitt ima” e subiscono la vita in modo più o meno

palese. L’indicatore passivo della vittima è rappresentato dalla rabbia e

dalla forza, qualità del codice Yang che ha rinnegato e rimosso.

Chi detiene un’eccedenza Yin rappresenta il ruolo femminile, chi

invece è portatore di un eccesso Yang incarna il ruolo maschile, a

prescindere dal proprio sesso biologico.

L’ordine contempla anche una terza figura, quella della “vittima

rabbiosa”. Tale ruolo esiste sia in versione femminile che maschile, e

segnala sempre un processo di trasformazione in atto. Tutti i membri del

gruppo Yin alterato sperimentano una grande quantità di rabbia che,

costituendo il loro indicatore passivo, è temuta e rinnegata per tutta la vita.

Se l’individuo insiste a non voler vedere e affrontare la propria spinta

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aggressiva, con il passare del tempo la rabbia è destinata ad aumentare,

trasformando inesorabilmente coloro che prima si distinguevano per il loro

eccesso Yin, portandoli all’interno di un ruolo alterato Yang.

In ogni caso, tutti i ruoli empirici alterati non possono fare

riferimento in maniera sana né alla carica primaria né a quella secondaria,

poiché se una è compromessa anche l’altra non si può sviluppare in

maniera autentica. Essi sono “orfani empirici”, ossia di individui ai quali è

mancato il sostegno che scaturisce dalle radici genitoriali.

5.4 I ruoli alterati femminili

Donna yin alterata

La bambina che ha ricevuto dall’eredità materna una consegna

debole e compromessa non può accedere pienamente alla sua carica

primaria. Non avendo ricevuto nutrimento adeguato a livello emotivo, il suo

sviluppo si è bloccato nella fase adolescenziale e non le consente di

attingere in maniera sana dal codice yin e di acquisire i principi guida

femminili.

La donna yin alterata ostenta i principi yin in modo eccessivo, sia

nell’aspetto che nei comportamenti dimostrandosi dolce, attenta, dedita

alla famiglia e accogliente con tutti. Potrebbe per questo apparire una yin

integrata, soltanto che quest’ultima utilizza le sue qualità femminili come

espressione della sua forza, mentre la yin alterata usa la sua carica

femminile come difesa per nasconderne le carenze.

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La donna yin alterata è priva del sostegno della carica secondaria,

yang. Tende a subire la vita perché non capace di dire no e manca della

forza vitale e della spinta genuina; anche nella sfera sessuale presenta una

libido debole o addirittura inesistente che la porta a subire il rapporto con il

partner. Riveste il ruolo di “brava bambina” al fine di ricevere consensi, si

esprime con il “sì automatico”, non ponendosi mai in atteggiamenti in cui

dovrebbe esprimere le sue opinioni. Ha troppa paura di porsi in contrasto

con gli altri ed evita accuratamente tutti gli argomenti scomodi e i contesti

in cui è chiamata a prendere una posizione.

Ritenendo che per ottenere l’amore occorra necessariamente

soddisfare bisogni e desideri altrui, la donna yin alterata esprime in modo

forzato le sue doti femminili: è accondiscendente, dolce e disponibile in un

modo eccessivo al punto da diventare invadente, quasi stucchevole. E’

convinta di dare troppo, sia nei rapporti interpersonali che in amore; nella

coppia non si sente mai corrisposta in maniera appagante ritenendo di non

essere ricambiata a sufficienza rispetto a tutto quello che lei dà.

Vive rapporti affettivi di dipendenza e crea a sua volta dipendenza

da sé, tende a fare tutto in prima persona per poter successivamente

“presentare il conto”.

Tutti questi atteggiamenti da vittima la portano ad accumulare una

rabbia sempre maggiore che, aumentando il suo debito empirico, la fanno

passare nel ruolo della vittima rabbiosa e accedere al ruolo di finta yin.

Donna finta yin

In maniera impercettibile, la rabbia e il rancore accumulato nello

stato alterato agiscono da indicatore passivo e vanno ad aggiungersi alla

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paura e al senso di colpa che sono gli indicatori attivi della donna yin

alterata.

Nasce così nella donna finta yin un sentimento di rivalsa sempre più

forte che però è sempre mascherato dall’immagine della “brava bambina”

vittima innocente, dolce e disponibile che usa ancora l’eccesso di amore

come valore di scambio. In realtà nei suoi atteggiamenti cominciano ad

evidenziarsi stonature e dissonanze che sono una diretta conseguenza

della sua incapacità di controllare la spinta rabbiosa sempre più forte.

L’aggressività che comincia a spuntare dalle pieghe più nascoste

della sua personalità poco si concilia con il senso di colpa, per cui la

donna finta yin evidenzia un comportamento altalenante fra atteggiamenti

aggressivi ed altri più accondiscendenti, fra la tendenza alla critica e il

giudizio (valvola di sfogo che lei però tenta di occultare) e improvvise

esplosioni di dolcezza.

Con il crescere della spinta rabbiosa, la donna finta yin sperimenta

una vita sessuale più piena e soddisfacente, superando il senso di colpa e

vivendo con maggiore libertà la sua vita intima.

La donna finta yin è vittima e carnefice allo stesso tempo: il suo io

diventa ipertrofico grazie al senso di onnipotenza conferitogli dalla rabbia,

ma nel profondo lei si sente ancora una ragazza inerme costretta a

difendersi da un mondo cattivo. Ritiene che siano sempre gli altri a farle

del male, e che lei sia costretta a colpire soltanto per non soccombere.

Donna finta yang

Dal punto di vista sistemico, la donna finta yang è la vittima rabbiosa

progredita che tende a coprire la propria fragilità attraverso la maschera

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aggressiva. Utilizza la forza maschile per difendersi, ma a livello profondo è

ancora una bambina innocente e spaventata.

La donna finta yang vive un forte conflitto interiore poiché ha

bisogno di salvare la sua innocenza e non può sentirsi “cattiva”, ma nello

stesso tempo non è più in grado di trattenere la sua rabbia ormai uscita

allo scoperto.

Con il tempo la tendenza a subire della finta yin si trasforma in

spinta ad agire: la donna finta yang diventa quindi più intraprendente e

decisa, assumendo atteggiamenti autenticamente maschili che le servono

per difendersi nel mondo. La donna finta yang è comunque capace di

esprimere doti femminili, come la cura e l’amore anche se in genere si

aspetta qualcosa in cambio. Nella sfera affettiva si dimostra autonoma e

indipendente, e attrae un partner finto yin del quale compensa la

mancanza di sicurezza. Una volta che la relazione è consolidata, la donna

finta yang rivela tutta la sua fragilità e la dipendenza, sebbene sia portata a

delegittimare e denigrare il partner dimostrando così tutta la sua ostilità

verso il maschile.

La donna finta yang è sempre pronta a combattere, sempre pronta

all’azione, impossibilitata a fermarsi. La sua vita è organizzata fin nei

minimi dettagli al fine di tenere tutto sotto controllo. Il suo bisogno di

predominio la porta a scegliersi un partner disposto a farsi maltrattare,

anche se vorrebbe per sé un partner forte. Questo non fa che aumentare il

suo livello di rabbia, ma la sua dipendenza emotiva è troppo grande e non

le consente di abbandonare il partner.

La donna finta yang a livello profondo sente fortemente il suo essere

donna, e per questo ha sviluppato grandi capacità seduttive, ma in realtà è

segregata nel proprio femminile. Grazie alla sfida continua riesce a liberarsi

delle inibizioni che nascondevano un desiderio di vendetta non soltanto

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verso il maschile ma anche verso il femminile per il quale prova un grande

rancore.

Donna yang

La donna yang rappresenta l’ultimo stadio della metamorfosi

empirica e dal quale è impossibile fare ritorno: essa ha sostituito

completamente le caratteristiche yin con quelle yang. Pur mantenendo

spesso un aspetto esteriore seduttivo e femminile, la donna yang si è

allontanata del tutto dalla sua capacità di donare amore, tipica qualità yin,

ed è sprofondata completamente nel lato ombra.

La donna yang ha bisogno di soddisfare uno smisurato bisogno di

vendetta; la sua anima ha subìto un indurimento irreversibile, si è

totalmente chiusa per difendersi dal dolore e si è distaccata

completamente dall’ordine.

La donna yang spesso indossa la maschera di donna gentile,

evoluta e disponibile e rivela una grande abilità di stratega per soddisfare

la sua sete di vendetta. A tal fine, utilizzando tutti i principi ombra sia yin

che yang senza alcuno scrupolo, essa mette in atto strategie di vendetta e

di annientamento delle persone che ritiene ostili. E’ un’esperta

manipolatrice, e spesso attira l’altro nella sua trama con il suo fascino e la

sua generosità al fine di delegittimarlo e togliergli ogni autonomia e dignità.

La donna yang è spavalda fino a sfiorare comportamenti autolesivi e

dimostra spesso un forte disprezzo per la vita. A livello professionale,

raggiunge i massimi livelli di eccellenza e posizioni di potere grazie alle sue

modalità prive di scrupoli e di rispetto per gli altri.

Page 44: Il posto legittimo - Dora DE STEFANO

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5.5 I ruoli alterati maschili

Uomo yin

Come per la donna yin alterata, l’uomo yin manca del modello

genitoriale sano di riferimento e presenta una carica primaria debole.

L’uomo yin subisce la vita e sperimenta come condizione principale

il dubbio e l’indecisione, la difficoltà a prendersi le proprie responsabilità e

a sostenere le proprie opinioni. Analogamente alla donna yin alterata,

l’uomo yin vive un forte senso di inferiorità che spesso tenta di camuffare

in senso opposto, vergognandosi di manifestare le sue carenze e le sue

debolezze.

La mancanza di spinta vitale e l’incapacità di sostenere la carica

aggressiva tipica dello yang costringe l’uomo yin ad assumere un copione

virile fittizio per sostenere il quale si circonda di status symbol importanti e

un abbigliamento particolarmente ricercato.

L’uomo yin si arrabbia raramente, è simpatico senza avere mai il

coraggio di essere diretto, è un buon amico ma non sempre è in grado di

sostenere l’altro nelle difficoltà a causa della sua mancanza di

progettualità e decisionalità. Presenta una spiccata sensibilità e dolcezza,

unita ad una grande capacità di adattamento e un’eccessiva

accondiscendenza.

Analogamente alla donna yin alterata, l’uomo yin tende a non

trasgredire le regole, a comportandosi da “bravo bambino” e nella

professione tende a scegliere ruoli in cui non siano previste responsabilità

dirette ma esecuzione di ordini.

Page 45: Il posto legittimo - Dora DE STEFANO

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Nella vita affettiva tende a prediligere un legame madre-figlio, per

cui si sente attratto da una donna forte che gli dia sicurezza, una donna

finta yang o yang, da cui dipende completamente. La sua timidezza e

incapacità di sentirsi degno lo portano a dare più che a ricevere, ritenendo

ciò un atto di amore. In realtà egli non può accedere a questo sentimento

in quanto la sua sfera sensoriale è totalmente bloccata dalla paura, e

anche la sua vita sessuale spesso è caratterizzata da problemi di chiusura.

Uomo finto yin

L’uomo finto yin rappresenta la naturale evoluzione dell’uomo yin.

Egli non si sente più puro e innocente come l’uomo yin ma inizia invece a

percepire rabbia e un forte desiderio di rivalsa per ciò che ritiene, a causa

del suo stato alterato, ingiustizie subite.

Il finto yin cerca di mantenere in apparenza le sue caratteristiche yin

e di mascherare la sua rabbia, ma con il passare del tempo ciò diventa

sempre più difficile: accanto ai comportamenti dolci e gentili si affiancano

improvvisi moti di stizza e di ribellione accompagnati da ansia, nervosismo

e permalosità. Egli stesso si vergogna di tali “fuoriuscite” di rabbia e cerca

di esprimere la sua irritazione soprattutto nelle situazioni in cui sente di

avere il controllo.

La naturale evoluzione dell’uomo finto yin lo porta a passare nel

ruolo di vittima rabbiosa, e in tale condizione egli ha sempre maggiori

difficoltà a nascondere il suo essere autentico.

A livello affettivo, l’uomo finto yin è portato a scegliere una donna

finta yang che lo rassicuri con la sua sicurezza e svolga nella coppia il

ruolo maschile di guida.

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L’uomo finto yin tende ad essere moralista e dispensatore di verità,

ma spesso lascia irrisolte problematiche affettive e di relazione, in

particolare criticando a spron battuto la partner da cui è totalmente

dipendente.

L’uomo finto yin è dominato dalla paura che frena ogni sua spinta

vitale unitamente all’ansia, alla malinconia e alla tristezza per la sua

mancanza di forza propositiva.

L’aumento della rabbia e del senso di rivalsa porta il finto yin lungo

l’inevitabile passaggio dallo stato yin allo stato yang. E’ questo il

passaggio più significativo della metamorfosi empirica che si svolge

all’insegna della “mascolinizzazione” e lo porta nel ruolo del finto yang.

Uomo finto yang

Questo importante passaggio vede il finto yin guadagnare maggiore

stabilità e acquisire un nuovo potere, più vicino alle sue radici empiriche.

Pur se ancora alterata, questa fase lo avvicina allo stato di yang integrato.

In realtà il finto yang è un uomo yin che si traveste da “macho” e ostenta

una forza maschile che ancora non è in grado di sostenere

autenticamente, ma che ha cominciato a “fiutare” dandosi il permesso di

esprimere la propria rabbia.

L’uomo finto yang ha un grande bisogno di rivalsa che non riesce

più a contenere; ha bisogno di esaltare il suo potere di guida e spesso, pur

con grande dispendio di energia e anche a discapito della sua salute,

tende a forzare i suoi limiti.

L’uomo finto yang è un uomo di successo, sia nel lavoro che a livello

sociale, iperattivo con forte attitudine al controllo; spesso non ha scrupoli

e usa tutto ciò che è in suo potere per manifestare la sua virilità. Il finto

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yang cura molto la sua immagine esteriore cui affida il compito di

testimoniare il suo successo.

Rispetto all’uomo finto yin, l’uomo finto yang adotta un diverso

strumento di difesa, sempre al fine di nascondere la sua paura originaria: si

“lancia” nel ruolo maschile, e in tal senso potrebbe essere scambiato per

l’uomo yang integrato, almeno a livello di immagine esteriore. In realtà tali

comportamenti nascondono un morboso bisogno di affetto e grande

tristezza e angoscia (indicatori passivi dell’ombra yin), a testimonianza che

il finto yang non ha ancora radicato nel profondo i principi attivi del codice

yang e non ha integrato in modo sano la carica secondaria.

Lo stato di finto yang è l’ultimo punto dal quale è possibile tornare

indietro e intraprendere il percorso di recupero dello yang integrato, prima

di sprofondare nel baratro dello yang alterato da cui non c’è ritorno.

Uomo yang alterato

I dittatori e i carnefici di ogni epoca rappresentano lo stato estremo

di alterazione, lo yang alterato.

L’uomo yang alterato ha spazzato via ogni ragionevolezza e senso

della misura. E’ completamente anestetizzato dalle sue emozioni, la sua

anima ha subito un indurimento irreversibile sviluppando un livello di

cinismo e freddezza da non avere più rispetto per niente e nessuno.

L’enorme stato di sofferenza e di disagio hanno portato lo yang

alterato a blindare la sua anima dentro una cecità che gli impedisce ogni

compassione e ogni sentimento. L’uomo yang alterato ha sviluppato il suo

dolore trasformandolo in una mente diabolica e spietata che sfida la morte

e soddisfa la propria brama di vendetta senza porsi più alcun limite e in

totale assenza di scrupoli.

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Il potere esercitato con cinismo e in spregio della sofferenza altrui, il

disprezzo totale delle regole e della vita umana sono gli unici principi che

regolano la vita dello yang alterato, che sfida la morte ad ogni suo moto in

un meccanismo perverso ai limiti della follia.

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6. IL PERCORSO PER TORNARE AL PROPRIO POSTO

Torniamo alla metafora della montagna, ai suoi percorsi, ai suoi misteri.

Abbiamo finalmente deciso: siamo pronti ad affrontare il sentiero, e lo

faremo con grande umiltà e rispetto.

La prima operazione da fare è preparare lo zaino con l’attrezzatura, senza

la quale non sarebbe possibile muovere neanche un passo. Abbiamo

bisogno di metterci dentro tutto, e prevedere anche qualche indumento di

ricambio, in caso di improvvisi rovesci e cambiamenti di clima: in

montagna si va preparati, non si può improvvisare.

Analogamente, per affrontare il nostro percorso empirico di crescita

abbiamo bisogno di essere equipaggiati perfettamente, per far fronte alle

difficoltà inevitabili e ai momenti di sconforto che rischiano di far vacillare

la nostra determinazione ad andare avanti. Cominciamo a riempire il nostro

zaino, vediamo cosa è indispensabile portare.

6.1 Il coraggio della verità

Quando il sistema personale dell’individuo si discosta pesantemente

dai valori empirici del libero fluire, egli non percepisce più il bene e il male

come tali, e spesso confonde questi due moti. Si sente attratto da moti

morbosi e allo stesso tempo rifiuta movimenti armonici poiché li ritiene non

adatti a sé, e con il tempo tende ad essere dominato da tali deviazioni.

Non è facile districarsi in questo groviglio di comportamenti alterati,

azioni e reazioni empiricamente inadatte o fuorvianti; soprattutto non è

facile cogliere i segnali che la nostra coscienza ci invia per farci capire che

siamo su una rotta sbagliata. Tendiamo a rimuovere fino a quando,

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schiacciati dal peso del nostro debito, troviamo il coraggio di mettere in

discussione il nostro modo di stare al mondo, partendo dalle ferite emotive

più dolorose.

Il coraggio della verità arriva quando ci rendiamo conto che non

vogliamo più veder scorrere la nostra vita in una direzione sempre più

lontana da quello che vorremmo, che tendiamo a ripetere sempre gli stessi

comportamenti e a porre in essere situazioni deviate, attribuendo il perché

di tutto questo agli altri, alla sfortuna o al destino.

Il coraggio di guardare le cose come stanno: osservare la nostra vita

da molto vicino, come fa l’entomologo con l’insetto davanti alla sua lente

di ingrandimento ....

Il coraggio ci dà la forza di guardare le nostre ferite, che partono da

lontano, consentendoci di togliere quell’infinità di maschere che via via

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abbiamo cucito sulla nostra pelle: la brava bambina, la prima della classe,

la simpaticona, il maschiaccio, la donna seduttiva, la donna in carriera, la

campionessa dell’efficienza, la donna autosufficiente a qualsiasi costo.

Il primo passo della rinascita e dell’avvicinamento alla parte

autentica e vitale del nostro essere è il coraggio di ammettersi di aver

toccato il fondo e che continuare questa recita è troppo dispendioso.

6.2 Essere disponibili al dolore

Affrontare il dolore è un’esperienza ardua e al limite della nostra

comprensione. E’ un salto nel buio e nelle ferite profonde che ci portiamo

addosso da sempre, da quando abbiamo coscienza di noi, dalla nostra

infanzia. Il nostro debito è diventato per noi una seconda pelle, un

“destino” da accettare e portare sulle spalle.

Quando l’ingente quantità di debito ci obbliga a gettare via la

maschera, siamo costretti a vivisezionare il nostro dolore, e nel farlo

abbiamo bisogno comunque di deporre sull’altare sacrificale i nostri

malesseri fisici, emotivi, o psichici. Siamo così costretti ad ammettere che i

nostri genitori ci hanno dato una qualità di amore insufficiente ai fini

empirici, che la consegna familiare ereditata è stata malsana. Siamo

obbligati a rivedere tradimenti ed abbandoni subiti, dolori che noi stessi

abbiamo inflitto, responsabilità empiriche per azioni o non-azioni verso noi

stessi o verso gli altri. Siamo chiamati a smantellare la montagna di

atteggiamenti deviati che nel corso della vita, giorno dopo giorno, abbiamo

accumulato e occultato tenacemente.

E’ questa l’unica via per poter imparare ad accettare e neutralizzare

il dolore che ci ha portato fuori strada; e, ancor più importante, abbiamo

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bisogno di comprendere che questo processo necessita di tempo per

essere integrato e trasformato. Aumentando lo spazio del cuore

impareremo anche a contenere il nostro dolore e anche il dolore degli altri

senza spaventarci. Soltanto le esperienze emotivamente forti e

impegnative ci fanno progredire nella consapevolezza e ci permettono di

ampliare il campo di azione delle nostre potenzialità vitali.

6.3 Rendersi consapevoli

Affrontare la risoluzione del proprio debito porta con sé la necessità

di assumersi le proprie responsabilità.

Il sistema contempla vari ruoli che ciascuno di noi può interpretare

nel corso della sua vita, passando dal ruolo di base del figlio o della figlia a

quello dell’adulto. Quello del figlio è l’unico ruolo per cui non sono previste

responsabilità attive: rientrando nella categoria del “piccolo”, il figlio ha

soltanto diritti. Molto spesso accade però che il nostro debito ci costringa

a rimanere nel ruolo di figlio anche quando la nostra età biologica ha

superato di gran lunga tale fase, in cui invece saremmo chiamati ad entrare

nel ruolo dell’adulto.

Rendersi consapevoli comporta la necessità di rinunciare

all’innocenza (tipica del bambino) e prendere atto delle azioni compiute

facendosi carico dei propri errori. Siamo chiamati a rispondere anche

delle azioni mancate, a prescindere se lo volessimo o meno: non possiamo

nasconderci dietro il gruppo, la famiglia, o nucleo nel quale siamo inseriti

in quanto l’ordine prevede esclusivamente responsabilità individuali.

Siamo responsabili anche se siamo stati coinvolti in un’azione senza

che fossimo d’accordo, per non aver avuto la forza di tirarci indietro e

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affermare la nostra volontà: per ogni carnefice pronto a recare dolore e

violenza c’è sempre una vittima che non riesce a parlare a proprio

sostegno e badare alla propria difesa.

Diventando consapevoli delle conseguenze delle nostre azioni o

delle nostre azioni mancate, siamo costretti ad alzare lo sguardo e

riconoscere finalmente tutti gli alibi che la nostra mente ha confezionato

nel tempo.

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7. I MACIGNI DA RIMUOVERE

Lo zaino è pronto. Si parte.

Il sentiero si snoda davanti a noi con i suoi molteplici tornanti, che

ovviamente non siamo in grado di vedere: siamo tenuti ad affrontarli uno

ad uno, quando si paleseranno dinanzi a noi. E’ fondamentale accantonare

il pensiero del tempo che impiegheremo per raggiungere la vetta, perché

questo ci distoglierebbe dal vivere appieno l’esperienza in cui ci stiamo

avventurando.

Il passo è lento e cadenzato e il respiro è collegato: la mente, il cuore e il

corpo sono accordati all’unisono.

Ecco il primo tornante, alla fine di questo viale ....

7.1 Riconoscere la propria la rabbia e affrontarla

Non è facile riconoscere la rabbia, quel segnale che ci avverte che

qualcuno ci sta facendo del male, violando i nostri diritti impedendoci di

soddisfare adeguatamente i nostri bisogni e desideri. Le donne

soprattutto, con l’educazione ricevuta nella famiglia e nella società, non

sono mai state incoraggiate a riconoscere la propria rabbia e a

manifestarla apertamente. Sono state educate per essere buone mogli e

buone madri, tranquillizzare la famiglia e mettervi pace, risolvere ogni

genere di guaio, accontentando, proteggendo e placando gli animi delle

persone che stanno loro attorno.

E’ difficile sentire la propria rabbia perchè il solo riconoscere di

essere in collera potrebbe portare ad un rifiuto o alla disapprovazione da

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parte degli altri. E allora, per paura di perdere l’amore, impariamo a

trattenerla .

Perché si accumula la rabbia?

Il bambino che non si sente amato prova rabbia perché subisce il

reato più grave contro quello che la sua memoria ha codificato come

diritto indelebile e fondamentale, ovvero quello di essere amato per il solo

fatto di esistere. Anche il bambino educato senza regole, in maniera troppo

permissiva, vive questo stato come mancanza d’amore.

Il bambino che si sente abbandonato vive l’impotenza che genera il

profondo senso di ingiustizia che è alla base della spinta rabbiosa,

analogamente al bambino che subisce maltrattamenti e che per questo

non può accedere al suo diritto di vivere il suo spazio interiore con

l’intensità e i passaggi giusti.

Prova rabbia il bambino che per guadagnarsi l’amore dei genitori è

costretto ad essere il più bravo, il più intelligente, il più efficiente rispetto

agli altri. Oltre a vivere l’ansia di essere sempre il primo della classe,

sperimenta una notevole quantità di rabbia che lo costringe ad un

atteggiamento sempre sfidante nei confronti del mondo, sempre pronto ad

essere più bravo di chiunque e mai convinto di esserlo abbastanza.

Prova rabbia il bambino il cui padre ha abusato della propria autorità

e non gli ha permesso di codificare l’atteggiamento autoritario come segno

d’amore nei suoi confronti, bensì come separazione tra loro. Il bambino

vivrà o nel pieno impedimento ad accedere alla propria forza maschile -

che evoca terrore e risentimenti mai superati - o seguirà fedelmente le

orme del padre, rivelandosi aggressivo e brutale nello stesso modo.

Prova rabbia la vitt ima, che non sa accettare le esperienze della

propria vita come fatti contingenti e li rifiuta non riuscendo ad integrarli. La

vittima non si prende mai le responsabilità delle sue azioni e vive la vita

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con frustrazione, amarezza e rancore che si autoalimentano a livello

profondo del proprio inconscio e si tramutano sempre in rabbia arretrata.

Non perdonando se stessa, non lasciando andare le situazioni che hanno

generato i traumi, la vittima rimane intrappolata in una prigione emotiva,

senza nessuna via di fuga.

Riuscire a “sentire” la grande quantità di rabbia che abita dentro

di noi è la prima tappa del nostro percorso di consapevolezza, che ci

porterà a comprendere le strategie vitali che abbiamo messo in atto nella

nostra vita.

Affrontare la propria rabbia arretrata permette di trasformarla in

forza costruttiva e in atteggiamenti propositivi, non trattandola più quindi

come un’emozione negativa ma come una insostituibile sorgente di forza

vitale, che allontana la paura e permette di riappropriarsi del proprio

equilibrio emotivo.

L’approccio empirico consente di portare in superficie la rabbia

arretrata che viene poi espulsa utilizzando adeguati ed efficaci metodi di

rilascio emotivo; il corpo è l’attore principale di questo processo di

purificazione, in cui la rabbia viene richiamata dalle profondità del nostro

essere e scaricata all’esterno. Mediante diverse tecniche corporee di

autoascolto è possibile successivamente elaborare ed integrare la scarica

emozionale.

Facendo leva sulla rabbia arretrata del singolo, l’approccio empirico

tende a ristabilire l’equilibrio naturale della propria appartenenza biologica.

Non è un percorso che si esaurisce in un’unica tappa ma necessita di

svariati appuntamenti nel tempo, per svuotare completamente e

definitivamente il “serbatoio” di rabbia arretrata.

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Per l’uomo, entrare in contatto con la propria parte aggressiva

equivale ad avvicinarsi al proprio patrimonio emotivo Yang. Ripristinare

tale energia non significa introdurre nella propria quotidianità

atteggiamenti aggressivi e violenti, ma attingere alle parti positive del

potenziale maschile (affrontare una situazione, prendere delle decisioni).

Anche la donna ha bisogno di risolvere il problema della propria

rabbia arretrata. Anche se questo può sembrare una contraddizione, per

poter accedere integralmente alla sua parte più ricettiva e femminile la

donna ha bisogno di allearsi al principio Yang rappresentato dall’emozione

della rabbia.

Fino a quando la figlia non ha risolto i suoi conflitti con i genitori non

può accedere ai valori Yin poiché rimane intrappolata nella rabbia, tipica

della eredità Yang.

7.2 Recuperare le radici

"Sembra che al giorno d'oggi all'uomo stiano veramente crescendo le ali, tanto

si vola in alto; il progresso e la scienza stanno facendo passi da gigante ma

contemporaneamente a tutto ciò purtroppo aumentano le guerre, le catastrofi

ambientali e le paure dell'uomo. Le ali ci sono, mancano le radici".

(da “Senza radici non si vola”, Bertold Ulsamer)

Le nostre radici familiari costituiscono un’entità importante da

affrontare ed assimilare.

L’approccio empirico si ispira al metodo delle “Costellazioni

familiari” dello psicoterapeuta Bert Hellinger e alla terapia sistemica della

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famiglia. La terapia sistemica aiuta a scoprire le dinamiche nascoste che

legano una persona alla propria famiglia, offrendo l’occasione di

conoscere meglio la propria realtà e quella degli altri membri familiari e

indicando un modo più appropriato e soddisfacente di rapportarsi a loro.

Le costellazioni familiari sembrano provare che ogni famiglia, ogni

stirpe, ha un proprio campo cosciente con il quale si può entrare in

contatto per avere importanti informazioni su ciò che disturba o favorisce

l’equilibrio nelle relazioni affettive. Le costellazioni familiari si basano sulla

partecipazione di svariate persone, in grado di rappresentare il campo di

influenza di una famiglia: esse aiutano l’individuo a scoprire le dinamiche

nascoste che lo legano agli altri membri familiari e spesso lo obbligano a

vivere a sua insaputa il destino di uno di loro. !!

L’approccio sistemico tende a restituire ad ogni persona la propria

dignità, spesso reintegrando nel sistema coloro che sono stati condannati,

esclusi o dimenticati, in modo che possano anche sostenere l’evoluzione

degli altri. Le persone presenti alle costellazioni sentono che c’è qualcuno

o qualcosa che le tocca nell’intimo e le aiuta a riconoscere e ad

assecondare i moti più profondi del cuore, nel pieno rispetto della dignità e

del destino di ogni membro della famiglia o del sistema a cui

appartengono, in sintonia con ciò che è.!

L’approccio empirico - attraverso una sorta di mappa fisico-emotiva

dalla quale ricostruire le dinamiche interne di gruppo e personali –

permette di esplorare e comprendere i rapporti familiari. Una volta

riconosciuto il legame esistente con essa e una volta viste e condivise

chiaramente le responsabilità è possibile staccarsi dalla propria famiglia e

sentirne la forza alle spalle. Solo a quel punto la persona si può alleggerire

e può dedicarsi a sé stessa, non più oppressa e prigioniera del passato.

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7.3 Il campo familiare

L’approccio empirico considera la famiglia come un sistema o campo

energetico relazionale, governato da regole precise che si perpetuano nel

tempo, nel corso di generazioni. Possiamo paragonare la famiglia ad un

sistema dinamico, dove ad una disarmonia avvenuta in un certo momento

segue una reazione tesa a ristabilire l’equilibrio. Accade così con i

sentimenti non espressi, con i sensi di colpa o con i membri della famiglia

allontanati ingiustamente. I nuovi arrivati percepiscono quel tipo di energia,

la accolgono e la vivono, possono provare gli stessi sentimenti o assumere

comportamenti simili ai propri antenati, spesso restando attaccati tutta la

vita a comportamenti che di fatto non sono i loro. Bert Hellinger definisce

questo fenomeno “irretimento”.

L’irretimento agisce al di sotto della consapevolezza e si verifica

allorché un componente della famiglia interpreta un ruolo non suo, ma

quello di una persona che energeticamente ha lasciato un “vuoto”. I

bambini possono rimanere irretiti fino all’età adulta nei rapporti con questi

familiari, ed a questo si possono far risalire fenomeni quali depressioni,

sensi di colpa, disturbi psichici o anche la tendenza al suicidio. Causa di

irretimento può essere, ad esempio, la morte precoce di un membro della

famiglia, crimini e colpe gravi, destini particolari e abbandoni.

Queste energie rappresentano un marchio a livello inconscio, per la

propria evoluzione ed i propri sentimenti; Hellinger definisce “anima” la

parte inconscia che fa in modo che i valori ed i destini dei predecessori

continuino ad agire in un’altra persona, a vibrare in lei, spingendola a

realizzare quel dato destino.

La vita fluisce ai figli tramite i genitori, ma ognuno è responsabile del

proprio destino, ed in una condizione armonica nessuno può prendere il

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posto di un altro. Per Bert Hellinger: «ciò che accade per amore e che

grazie all’amore viene conservato, può essere annullato solo nell’amore».

In una famiglia i figli portano su di sé energie ed irretimenti sempre e

solamente per amore.

I motivi della compromissione del rapporto fra padri e figli derivano in

genere dal sistema di origine: una causa sistemica importante è data, per

quanto possa sembrare stupefacente, dai compagni precedenti dei

genitori; talvolta può accadere che un ex partner venga “sostituito”

inconsapevolmente da un figlio, e ciò crea grandi problemi relazionali

qualora non si ripristina l’ordine dovuto.

Essere genitori è un atto di grande responsabilità, nei rapporti di

coppia i genitori dovrebbero sempre prendersi la responsabilità delle loro

azioni, riconoscendo in modo consapevole quanto di bello e di meno bello

è stato da loro condiviso, lasciando così i figli fuori da ogni decisione

riguardante il loro stare insieme come coppia.

L’uomo che non rispetta la sua donna non potrà rispettare il principio

femminile neanche in sua figlia. Un figlio fa sì che si costituisca un legame

molto forte per la coppia, ma è fondamentale comprendere che l’amore

per il partner viene prima dell’amore per il figlio. Là dove il figlio è nato

dall’unione della coppia, in caso di separazioni la gerarchia dei valori si

modifica. Se compare un nuovo partner, l’amore per il figlio ha la

precedenza sull’amore per il nuovo partner.

Se non si segue tale ordine si andrà incontro ad un insanabile

discordia.

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7.4 Il debito di base

Chiunque abbia possibilità di studiare l’effetto di una madre dotata di genuino

amore per se stessa, può vedere che non c’è niente di più utile che dare a un

bambino l’esperienza di ciò che è amore, gioia, felicità, che solo può ricevere il

bambino amato da una madre che ama se stessa."!

(da “L’arte di amare”, Erich Fromm)

La violazione del diritto legittimo del bambino di essere amato, di

essere al suo posto nel ruolo di “piccolo” si trasforma in debito e da adulto

lo porterà ad avere attrazione per l’ombra, mentre se avrà ricevuto una

degna qualità di amore sarà attratto dai moti dell’amore.

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Di solito il bambino acquisisce il debito per l’incapacità dei genitori

di potergli donare una qualità d’amore sufficiente ai fini empirici. I genitori

possono insegnare al figlio soltanto ciò che essi stessi hanno appreso dai

loro genitori. Quando il figlio nasce da una coppia alterata, ovvero proviene

da un rapporto di co-dipendenza, neanche lui potrà accedere all’amore

quando sarà grande.

La cosa più preziosa che i figli prendono dai propri genitori, a

prescindere da chi essi siano e da cosa potrebbero aver fatto, è la

possibilità di vivere. Ricevendone la vita, i bambini acquisiscono i loro

genitori, che sono per loro i soli possibili. I figli non possono aggiungere,

sottrarre o scartare nulla dalla vita che ricevono, ed è altrettanto

impossibile che i genitori aggiungano o trattengano alcunché quando

donano se stessi ai propri figli.

Tra le cose che i genitori non devono dare ai figli, e che i figli non

devono accettare, ci sono i debiti, le malattie, gli obblighi, il carico di

situazioni pesanti, le ingiustizie patite e perpetrate. E’ compito dei genitori

proteggere i figli dagli effetti negativi di queste cose, e i figli devono poter

contare sul fatto che i genitori affronteranno il proprio destino nel modo

che riterranno più opportuno.

I bambini si comportano come se l’amore non possa prevedere

alcuna differenza tra loro e i genitori, e l’essere diversi possa invece

portare alla separazione e alla perdita. Questo assunto inconscio

sull’amore fa nascere nel bambino il bisogno istintivo di stabilire un forte

legame con i genitori attraverso la somiglianza. Spesso i bambini piccoli

imitano apertamente i loro genitori, a volte anche nella sofferenza; in tal

modo, pur trattandosi di un processo inconscio, essi perpetuano le

sventure dei genitori copiando i loro comportamenti.

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Talvolta i figli sono portati a prendersi cura dei genitori facendosi

carico dei loro problemi. Ma ciò è dannoso poiché, comportandosi come

loro e cercando di dare invece di ricevere (diritto empirico di ogni

bambino), invertono il flusso degli scambi, e senza volerlo, alimentano la

sofferenza. L’amore si realizza al meglio nella famiglia in ciascuno ha il suo

ruolo: i genitori fanno i genitori e i figli fanno i figli.

Talvolta i figli temono di avere lo stesso destino dei genitori pur

amandoli. Esternamente li rifiutano sforzandosi di essere diversi da loro

ma, segretamente, li emulano attirando situazioni di vita in cui fanno

un’esperienza simile a ciò che i genitori hanno vissuto.

L’ordine del dare e del ricevere di una famiglia viene stravolto

quando i genitori non hanno avuto abbastanza dai loro genitori, o quando

come coppia hanno avuto pochi scambi. Allora si aspetteranno che siano i

figli a soddisfare i loro bisogni emotivi, costringendoli a sentire il peso di

questa responsabilità.

7.5 Riscattare il debito e accettare “il testimone”

Il debito di base costituisce una matrice empirica ben precisa, in

quanto collega l’individuo sia all’ombra che all’eredità della stirpe. Per

riscattarlo, egli ha bisogno di allontanare la sua paura di rivivere lo stesso

abbandono del passato.

Non è facile accettare la realtà e prendere atto che i nostri genitori -

senza esserne consapevoli - ci hanno ferito rendendoci insicuri, timorosi,

deboli o al contrario aggressivi oltre ogni ragionevolezza. Occorre avere la

forza dell’adulto per contenere tale sentimento, e finché restiamo bloccati

nel ruolo empirico del figlio continuiamo ad incolpare i nostri genitori,

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anche se abbiamo abbondantemente superato quell’età. In questo modo

non possiamo accedere all’amore: l’amore adulto – a differenza dell’amore

del piccolo che è sempre basato sulla pretesa e sul bisogno - si basa

sull’accettazione.

Prendendo il coraggio di vedere le cose per come realmente sono,

sapremo trasformare il nostro bisogno nella capacità stare al nostro posto.

Vedremo i fallimenti dei nostri genitori, i loro limiti e le loro delusioni,

augureremo loro di affrontare il proprio destino come meglio possono e

comprenderemo che hanno fatto quello che potevano essendo anche loro

obbligati da un forte debito. Aprendo il cuore alla compassione, ci

inchineremo dinanzi a loro per ristabilire l’equilibrio e l’ordine. Saremo

finalmente in grado di andare oltre, e godere della vita che da loro è

passata a noi.

In quel momento avremo risolto il nostro debito con l’accettazione di

tutto ciò che ci ha tramandato la nostra stirpe, nel bene e nel male.

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Grazie all’amore saremo capaci di invertire la rotta della nostra

stirpe: il testimone che prenderemo in mano sarà più “pulito” e chi lo

riceverà da noi avrà una vita senza debito arretrato. Una volta riscattato il

debito, i nostri comportamenti – non più obbligati - si modificheranno e ciò

contribuirà a portare chiarezza nei rapporti familiari generando nuova

energia che si riverbererà positivamente in tutta la famiglia.

Arriviamo al perdono, dopo essere passati dalla consapevolezza del

debito, alla sua accettazione, alla sua risoluzione. Perdoniamo i genitori e

perdoniamo noi stessi per essere stati incastrati per così lungo tempo

nella spirale di risentimento e aspettative tradite. Il perdono ci renderà

finalmente liberi.

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8. PROSEGUENDO NEL PERCORSO

8.1 Dare vita al corpo

Lo stile di vita attualmente prevalente a livello sociale ci ha portato

ad essere sempre più dissociati dal nostro corpo. La vita del corpo è il

sentire: sentirsi vivo, vibrante, buono, eccitato, irato, triste, gioioso,

soddisfatto. E’ la mancanza del sentire o la confusione riguardo a questo

aspetto che porta la sofferenza.

La cultura “civilizzata” ha generato e alimentato in modo sempre

crescente la dicotomia fra corpo e mente. E la maggior parte delle culture

hanno dovuto sviluppare un modo per mantenere il flusso vibrante della

vita del corpo, contrastando le esigenze opposte della vita intellettuale.

Una delle vie principali adottate dalle culture occidentali per mobilitare e

lanciare una sfida al corpo è stata quella dello sport; i Greci, che furono i

primi a capire l’importanza della vita del corpo, davano un’importanza

enorme all’attività sportiva.

Oggi purtroppo l’atteggiamento legato al corpo è pesantemente

incrostato di considerazioni legate all’io: la soddisfazione dello sport passa

in secondo piano rispetto alla soddisfazione che l’io trae dalla vittoria. La

competizione, la pulsione dell’io al successo spesso negano direttamente

il valore di stimolazione e liberazione del corpo.

E’ necessario invece mantenersi costantemente in contatto con il

proprio corpo per mantenere la vita: esercizi di bioenergetica, di yoga, di

respirazione possono contribuire a promuovere l’espressione di sé, a

schiudere la vita interiore del corpo alimentando al tempo stesso la sua

estensione nel mondo.

Emozioni e desideri, aspettative e proiezioni, pensieri ed abitudini

hanno sempre un duplice aspetto: sono vissuti dal corpo e dalla mente. In

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ogni emozione c’è una parte corporea, in ogni pensiero succede qualcosa

sul livello scheletrico, muscolare, ormonale ed organico. Il corpo ha binari

emotivi, istinti, abitudini, fame, intuizioni, voglie, intelligenza corporea,

strategie del nostro fare. Il corpo comunica con esitazione, agitazione,

rabbia, tristezza, letargia, percezioni, movenze, sentire, fame, sudore,

voglie ...

Per capire ciò che accade quando reprimiamo le emozioni, è

necessario comprendere di più riguardo alla circolazione di energia nel

corpo. Nell’arte medica cinese dell’agopuntura, antica di 5.000 anni, la

teoria è che ogni organo produce un tipo di energia specifica, chiamata

“Chi”. Questo “Chi” è trasportato nelle migliaia di cellule e tessuti di tutto il

corpo, e questo processo è compiuto attraverso un elaborato sistema

conosciuto come “meridiani”, che possono essere quindi considerati come

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percorsi di energia attraverso il corpo. L’essenza dell’energia è differente a

seconda di quale organo la produce: l’energia del fegato, ad esempio, ha

una specifica vibrazione rispetto alla vibrazione dell’energia dei reni.

Il concetto più interessante che possiamo imparare dalla medicina

tradizionale cinese è quanto siano connessi gli organi e le emozioni. Le

emozioni irrisolte si riverberano sugli organi e sui tessuti che

corrispondono e sono collegati ad essi: ad esempio, una frustrazione

prolungata e mal gestita può portare come conseguenza calcoli alla

cistifellea o malattie alla cistifellea.

Nel percorso di riavvicinamento e di “riscoperta” del nostro corpo

possiamo stabilire un appuntamento quotidiano, al mattino o alla sera, in

cui proviamo a guarire i nostri disturbi fisici o problemi emotivi e blocchi

attraverso tecniche di acupressione e stimolazione dei meridiani. Ciò

aiuterà il “Chi” a circolare attraverso il corpo e a portare in equilibrio

l’energia degli organi. Picchiettando o massaggiando i vari meridiani

possiamo focalizzarci sul disturbo fisico o sul problema emotivo e

possiamo associare una affermazione specifica, ripetuta per ogni

meridiano. “Io amo e accetto completamente me stesso con la mia paura

al livello più profondo, fin dalla prima volta che ho sperimentato questa

paura, e ora scelgo di lasciar andare questa paura e tornare

completamente nel mio potere di fiducia.” Questa frase di entrata, sempre

uguale, sarà adattata alla emozione o alla qualità relativa ad ogni

meridiano (rigidità, rabbia, frustrazione, mancanza di autostima, dubbio,

ecc.). Al pari di un mantra, essa arriverà direttamente al nostro cervello,

rappresentando un potente messaggio positivo.

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Imparare a “sentire” le parti del proprio corpo

Alleniamoci a percepire il cuore, che meccanicamente è una pompa ma

emotivamente è la sede dei nostri sentimenti, il canale di comunicazione

con gli altri e dell’affettività.

Com’è il nostro cuore? Aperto al mondo o chiuso e distante? Riusciamo a

percepire le nostre mani, le nostre braccia che si protendono per toccare?

L’amore che nasce dal cuore fluisce nelle mani, che sono fortemente

cariche di energia: basti pensare al tocco dolce, tenero e carezzevole della

mano materna. Un altro canale di comunicazione fra il cuore e il mondo

passa per la vita e per la pelvi, per arrivare agli organi genitali, al sesso.

E’ di primaria importanza rendersi consapevoli delle tensioni muscolari

croniche che bloccano il libero fluire dell’espressione dell’energia vitale e

dei sentimenti, comprendendo il momento in cui il corpo attua strategie di

apertura o al contrario di chiusura.

Come ci poniamo nei confronti del mondo?

Con la testa ben ferma, le spalle morbide, il torace aperto, il bacino in

avanti, le articolazioni sciolte, i piedi ben piantati per terra?

O al contrario, con le mandibole contratte, le spalle e i trapezi in tensione,

il collo rigido, il torace chiuso, il corpo proteso in avanti (in difesa), il

diaframma bloccato, le cosce in tensione e l’articolazione del ginocchio

contratta?

Lavorare sul proprio respiro

La respirazione muta in base alle emozioni che proviamo: l’ansia blocca il

respiro, l’ira e la passione lo accelerano, la concentrazione nella lettura o

nella meditazione lo rallenta, la stanchezza o la noia impongono uno

sbadiglio, indice della necessità per il corpo di assorbire un quantitativo

supplementare di ossigeno, cioè di energia.

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Imparando a respirare a fondo e ad espirare - svuotando bene addome e

torace - ci verrà naturale anche inspirare a fondo. Ci potremo allora

appropriare della corrente di energia che entra nel nostro corpo.

Assorbendola, saremo pronti ad affrontare con calma e determinazione

anche le situazioni più difficili.

La respirazione è un atto automatico, ma la possiamo controllare con la

nostra volontà: impareremo quindi ad aumentare la nostra

consapevolezza, le nostre difese immunitarie e conosceremo meglio noi

stessi.

Affinare i nostri cinque sensi

Con il tatto ci impadroniamo delle cose e stabiliamo una relazione con gli

altri, accettando o meno di entrare in contatto; la vista, importante per la

consapevolezza, ci può permettere, oltre al “vedere”, anche di

comprendere. L’olfatto, canale raffinatissimo, ci collega istantaneamente

alle emozioni: un profumo, un odore possono realizzare nella mente una

serie di reazioni inaspettate, risvegliandoci all’uso di sensi considerati di

ordine inferiore ma che ai primordi della vita hanno avuto una importanza

fondamentale (si pensi al neonato che con l’olfatto sente il profumo del

seno materno, sua fonte di vita). L’olfatto ci guida nell’attrazione sessuale

con altre persone, nel momento in cui avviene il riconoscimento olfattivo di

sostanze prodotte dall’organismo e liberate attraverso i pori della pelle.

Anche l’udito può essere allenato a discernere le vibrazioni che possono

arrivare o meno dentro di noi. Possiamo decidere di escludere tutto quello

che non ci serve sentire, concentrandoci solo sui rumori o suoni che ci

fanno sentire in armonia con la natura e con noi stessi.

Acquisire la conoscenza della nostra voce.

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Com’é la nostra voce? Il gioco delle domande per scoprire la nostra voce è

un importante passaggio verso la consapevolezza.

Parliamo con una una voce piatta, “grigia”, oppure con una voce “a colori”,

simbolo di un’ampia modalità di autoespressione e di una ricca vita

interiore? La nostra voce ha un tono unico, monocorde, che denota un

carattere spento e con poca vitalità, oppure invece ha varietà nella gamma

dei toni, indice di energia e coraggio nell’affrontare il mondo?

Con quanto volume parliamo? Parliamo a voce alta perché vogliamo

essere ascoltati oppure ci nascondiamo perché non abbiamo il coraggio di

far uscire la nostra voce e di portarci quindi al centro dell’attenzione?

Porre attenzione al nostro rapporto con il cibo

Il rapporto con il cibo ci dice qualcosa della nostra capacità di relazionarci:

non sentirsi mai sazi di cibo è come non sentirsi mai sazi dell'amore che ci

donano gli altri, giudicato sempre insufficiente. Si crea una grande

dipendenza dagli altri e soprattutto una grande mancanza di fiducia e

autostima, si mangia per riempire vuoti di affetti e ci si sente in colpa

subito dopo per non riuscire ad aderire ai canoni dettati dalla società in

tema di immagine.

E’ importante imparare a gustare un pasto come momento di puro piacere,

selezionando con cura quello di cui il nostro corpo ha bisogno, e onorando

gli alimenti che andranno a nutrirci.

La “scoperta” del nostro corpo rappresenta la strada maestra per

riappropriarci della nostra vita ed è il più bel dono che ciascuno di noi può

fare a se stesso. Attraverso l’osservazione delle sue molteplici ed

affascinanti modalità di espressione possiamo permetterci di ritornare alla

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centralità del corpo inteso come l’espressione tangibile della creazione e

sentirci nuovamente collegati all’energia del libero fluire.

8.2 Ridimensionare il potere della mente

Mentre il corpo si esprime attraverso le strategie del fare, la mente si

esprime attraverso i pensieri e le parole. Mentre il corpo non mente, la

mente, spesso, mente.

Partendo da questo assunto, possiamo affermare che per arrivare a

“sentire” e “percepire” in modo autentico è necessario come prima

istanza mettere a tacere la mente. Non è un’impresa facile, perché la

mente riveste un’importanza grande nella nostra vita, e la sua attività non

conosce sosta.

Nelle società occidentali soprattutto, la tendenza generale degli

ultimi decenni verso un’autonomia e un individualismo sempre maggiori ha

portato fra l’altro ad una minore disponibilità alla solidarietà e ad una

maggiore competitività che a volte può diventare brutale, come ad

esempio in ambiti universitari o lavorativi.

Questa esasperazione dell’intelligenza razionale ha generato la

pericolosa illusione che l’intelletto da solo potesse fungere da timone nella

nostra vita: ma ormai ben sappiamo che la mente ha una visione parziale e

fallace della realtà, e che i suoi limiti vanno necessariamente integrati con i

moti della sfera emotiva, corporea e sensoriale.

La persona che presenta un sentire alterato non percepisce la realtà

per quello che essa rappresenta realmente, e di conseguenza agisce e

reagisce in modo inappropriato. Essa tenta di “capire” laddove il sentire

non è più capace di accedere, ”inventando” tutto ciò a cui non riesce a

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risalire spontaneamente. Talvolta la mente aggiunge o toglie qualcosa di

suo, e devia in questo modo il senso armonico della situazione stessa.

In questa modalità alterata la mente si rafforza sempre più e

consolida la sua pretesa di voler interpretare la realtà con i soli mezzi

intellettivi, rifiutando ogni dubbio riguardo alla propria attendibilità. Ciò non

fa altro che allontanare l’individuo dal libero fluire per continuare a fare “di

testa propria”, aumentando il suo debito.

Nel percorso empirico di evoluzione personale, lungo i vari tornanti

del sentiero che ci avvicina al nostro posto c’è una tappa molto

importante, ed è quella in cui la persona acquisisce la capacità di

riconoscere il momento in cui la mente razionale prende il sopravvento su

quanto essa non vuole vedere.

Procedendo nella sua crescita, l’individuo ha imparato a dare fiducia

al suo corpo e a rispettare i suoi segnali e si lascia guidare, si affida alle

sue sensazioni con molta fluidità. Ha acquisito la capacità di entrare in

contatto con il suo respiro: è dunque in grado di porsi in ascolto con il

desiderio di dare attenzione a tutte le percezioni e le vibrazioni che

arrivano da ogni punto del suo essere. Ha imparato ad essere onesto con

se stesso e ad assumersi le responsabilità delle sue azioni o non-azioni.

La lezione è molto chiara: perché dirsi bugie quando poi queste

presentano inesorabilmente il conto? Accade allora che la persona riesce

a percepire in un lasso di tempo sempre più breve se si sta auto-

ingannando aggiustandosi la versione dei fatti, e il perché questo sta

accadendo: in quel momento è libera di scegliere se affrontare o meno ciò

che si cela dietro questo inganno.

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8.3 Eliminare la critica e il giudizio

Esiste una importante differenza fra la parola “critica” e la parola

“opinione”: la prima è gratuita e ha una valenza in genere accusatoria,

mentre la seconda è un atto di confronto e viene fornita solo su richiesta,

all’interno di un contesto che lo richiede. La critica si rivela come tale

quando viene esplicitata senza che la situazione lo richieda, invadendo in

questo modo lo spazio altrui senza avere avuto il permesso per questo.

Non esiste la critica costruttiva: la critica è sempre negativa, non solo per

gli altri, ma anche per se stessi perché interferisce gratuitamente con la

sensibilità altrui e propria.

Molte persone hanno fatto di critica e giudizio un modo di vita.

A prescindere dai critici di professione, non interessanti ai fini della

presente trattazione, ci sono persone che hanno un bisogno - quasi vitale -

di criticare e giudicare sempre, in qualsiasi situazione. Tale atteggiamento

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rivela un debito di base ingente: chi critica e giudica “a prescindere” è in

costante atteggiamento di difesa, vive adottando strategie di chiusura, e

ha bisogno della prontezza per controbattere ai presunti attacchi altrui.

Questo tipo di approccio induce normalmente la persona ad

aspettarsi sempre il peggio dagli altri, interpretando ogni moto nei propri

confronti come un probabile affronto.

Un proverbio popolare recita “Il gatto della dispensa quello che fa

degli altri pensa” ... Un’affermazione semplice, come lo sono tutti i

proverbi, ma estremamente veritiera ed efficace. Così, coloro che vedono

dietro ogni azione di un altro la tendenza ad imbrogliare sono

tendenzialmente sempre pronti a ingannare a loro volta; le persone che

interpretano abitualmente male il comportamento altrui, evidenziandone la

visione più negativa, hanno la tendenza essi stessi a comportarsi in tale

maniera. Chi vede sempre un doppio senso a scopo sessuale dietro ogni

affermazione altrui compensa in tal modo la propria insoddisfazione in tale

ambito. In tutte queste situazioni spesso la persona avverte la presenza

del proprio debito come un peso insostenibile, per quanto sia pronto ad

usarlo a proprio vantaggio; ma la sua assoluta necessità di controllo, la

negazione del libero fluire non fanno altro che aumentare il suo debito.

Coloro che tendono sempre a criticare e giudicare gli altri adottano

anche verso se stessi lo stesso atteggiamento: anche questo è indice di un

debito ingente, in cui la rigidità e l’inflessibilità denotano separazione da sé

e mancanza di compassione verso le proprie debolezze o mancanze.

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8.4 Nutrire l’anima

Un’altra fondamentale tappa del percorso di avvicinamento al

proprio posto è rappresentata dal nutrimento dell’anima, che ha bisogno di

essere alimentata e fortificata con amore e costanza per potersi sentire

legittimata e rafforzata.

Abbiamo visto come il nostro corpo, che è un sistema energetico,

venga intaccato dalla tossicità di pensieri negativi, dalle emozioni negative

irrisolte, dai copioni personali che portiamo avanti a nostra insaputa e che

ci allontanano dalla nostra essenza.

Occorre prendere confidenza con la nostra parte spirituale, e anche

se indubbiamente questo prenderà del tempo, è bene non lasciarsi

intimorire dalla mancanza di confidenza e approcciare con amore e

determinazione.

Sarà possibile sperimentare nella nostra vita equilibrio, gioia vera, armonia

e amore incondizionato quando i nostri corpi fisico, mentale, emozionale e

spirituale saranno allineati su un livello di frequenze superiori, più “sottili”.

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Riallineare le nostre frequenze significa fare un’operazione simile

all’accordare le corde di uno strumento fino ad ottenerne il suono perfetto.

Più elevate sono le frequenze che emettiamo, più autentiche saranno le

esperienze di vita che saremo in grado di attirare.

E’ auspicabile inserire nella nostra routine giornaliera uno spazio

dedicato alla meditazione, un appuntamento fisso con noi stessi – ad

esempio la mattina appena svegli - in cui sia possibile estraniarci dal

contesto familiare e delle incombenze pratiche di tutti i giorni. E’ di

fondamentale importanza essere costanti, non farsi distrarre dagli agenti

esterni, dal suono del telefono, dai familiari, dall’idea di “non farcela”: con

il tempo e la pazienza saremo in grado di acquisire la pratica e i risultati

non tarderanno ad arrivare.

La meditazione, pratica antica usata da migliaia di anni per rilassare

il corpo fisico, calmare le emozioni e zittire la mente, è uno dei mezzi più

potenti per stare nel grande silenzio dentro di noi, ogni giorno. Oltre a

facilitare un riallineamento effettivo dell’energia, la meditazione ci permette

di aprirci alla nostra guida interiore, di imparare ad ascoltare la quieta voce

del nostro sé divino, fino a sentirla forte e chiara.

Attraverso la meditazione entriamo in contatto con il nostro respiro,

ci colleghiamo con l’universo al di fuori di noi, e possiamo relazionarci con

i nostri cinque sensi, uno ad uno; usando l’immaginazione possiamo creare

delle visualizzazioni, esattamente come accade ad un pittore a cui viene

data una tela bianca. La nostra immaginazione - il pennello e i colori - è

semplicemente uno strumento, un mezzo per un fine. Qualsiasi cosa su cui

ci focalizziamo avrà la possibilità di crescere e manifestarsi, alla stregua di

semi che piantiamo oggi per la nostra realtà di domani.

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9. IN CIMA ALLA VETTA

Ho lasciato l’ultimo tornante alle mie spalle, sono giunta alla fine del

sentiero!

Il corpo è tramortito dalla fatica, le gambe sono malferme per la

stanchezza, ma sotto la pelle ogni cellula del mio corpo esulta per la gioia

e la soddisfazione di essere arrivata fin qui.

Dalla vetta si distende un paesaggio di una bellezza che toglie il fiato: i

profili delle montagne si stagliano contro il sole, grappoli di nuvole si

rincorrono in una danza incessante, corsi d’acqua corrono a nutrire la terra

per poi finire in mare...

****************

Sono tante e preziose le consapevolezze che ho acquisito nel mio

appassionante percorso di crescita per ritornare al mio posto attraverso

l’approccio empirico. Sento con certezza che le porterò con me, sempre.

9.1 Provare amore per se stessi

L’individuo che sta al proprio posto ha appreso l’amore per se

stesso, che è l’unica chiave per interpretare l’armonia e la completezza

del libero fluire. Non possiamo entrare in contatto con l’immensità della

creazione e con le altre creature che la compongono se non proviamo un

sincero amore per noi stessi, unito al rispetto e all’accettazione.

E’ fin troppo facile per ciascuno di noi accettare la nostra parte

“luce”, la parte di noi di cui siamo fieri e che esibiamo senza remore. Essa

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contiene i nostri talenti e le qualità empiriche che più si avvicinano ai

principi genuini del nostro essere: l’amore, la gioia di vivere, l’entusiasmo.

Più difficile è accettare il rovescio della medaglia, la nostra parte

“ombra”. Essa si sostanzia nei moti legittimi della cattiveria, perfidia,

paura, aggressività, violenza, prepotenza, a seconda del proprio sesso

biologico. La parte ombra viene percepita come troppo minacciosa o

insopportabile, motivo per cui si tende a nasconderla, se ne ha troppa

paura. Allontanando la sua ombra, l’individuo rinnega una parte di sé

senza comprendere che essa gli appartiene tanto quanto la parte luce, e

soprattutto lo riguarda da vicino perché è l’espressione dei nodi non

risolti del suo vissuto.

L’individuo che è al suo posto legittimo ha realizzato uno dei principi

fondamentali dell’ordine empirico, quello dell’inclusione: egli ha avuto il

coraggio di attraversare la propria ombra, consapevole che ciò gli

avrebbe arrecato dolore e disorientamento, ed è riuscito ad accettarla per

quello che è.

Rientrati al proprio posto non ci si può esimere dall’acquisire il

proprio potere personale, per quanto grande possa essere la paura di

prenderlo in mano. Essere in possesso del proprio potere significa saper

parlare a proprio sostegno, sempre, avendo però potuto evolvere la

propria coscienza. Significa prendersi lo spazio senza invadere, ma con la

convinzione di meritarlo.

Colui che è al proprio posto è finalmente uscito dalla gabbia del

perfezionismo a tutti i costi, e ha accompagnato con fermezza alla porta il

suo giudice interiore. Ha compreso che la perfezione è un alibi che

paralizza ogni tentativo di fare e qualsiasi espressione dei suoi potenziali

talenti, e che l’essere umano è unico nella sua imperfezione.

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La persona che ha appreso l’amore per se stesso ha imparato a

portare a termine i suoi progetti: ha superato l’angoscia della perdita che

vive il bambino quando termina un compito a lui affidato ed è diventato un

adulto costante e perseverante nella realizzazione dei suoi obiettivi,

sperimentando così un senso di pienezza e di autorealizzazione.

9.2 Accedere alla capacità di sentire

Recuperare il proprio sentire è la conditio sine qua non per tornare

in ascolto di se stessi e per mettere a tacere la mente. In un’epoca di

ipertrofia mentale come la nostra, in cui ogni aspetto della nostra vita

viene passato al setaccio della mente razionale e della connessa velocità

di pensiero, la strada per ritrovare il proprio “posto” passa per la tappa

obbligata del controbilanciamento della mente e del suo delirio di

onnipotenza.

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E’ fondamentale per la propria sopravvivenza ridimensionare la

presenza assillante della mente e ristabilire un equilibrio tra essa e le altre

componenti della propria coscienza. La mente deve tornare al suo posto -

quello dell’intelligenza analitica - accanto al quale è necessario coltivare

e far crescere l’intelligenza empirica, che può compensarla, essendo alla

base di ogni nostro fare, di ogni moto interiore e relazionale.

La persona che sperimenta l’unione ha raggiunto l’armonia con se

stessa, passando per la disciplina del corpo, della mente, dell’intelligenza

e della coscienza. Ha la consapevolezza di sé e la porta con naturalezza

nel mondo esterno a sé: si percepisce come un organismo sano e vivo,

parte del corpo dell’umanità intera.

9.3 Accogliere ciò che è

Accogliere ciò che è, accettando senza giudicare anche le proprie

parti di ombra: questa è l’unica condizione in grado di generare uno stato

naturale di serenità e di pace interiore, a prescindere dalle circostanze

esterne. Soltanto chi ha integrato la propria ombra è capace di non farsi

inghiottire da essa e di vivere forme di entusiasmo e di leggerezza,

riuscendo a trarre le proprie risorse da una profonda fiducia nel fluire

della vita. L’individuo che ha affrontato e risolto il proprio debito

sistemico riesce a sentirsi vivo, dinamico e grato verso la vita, poiché è in

grado di accettare i propri limiti sia fisici che morali.

Accogliere ciò che è significa affrontare l’esistenza senza troppe

aspettative, atteggiamenti morbosi o compulsivi, perché la persona ha

già scoperto e debellato le proprie strategie di autoinganno. Essa riesce a

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mantenere l’equilibrio tra la mente, la sua forza totalizzante e gli spazi del

proprio sentire, e non cade nella trappola della paura o della rabbia.

9.4 Vivere nel libero fluire

L’individuo che è al “suo posto” all’interno dell’ordine armonico

sperimenta la condizione del libero fluire, ossia dell’equilibrio naturale, e

vive il senso di appagamento che gli deriva dall’amore, la massima e più

naturale espressione di ogni slancio vitale alla base degli atti dell’individuo.

La condizione di pienezza e di gioia di vivere si riflette in tutti gli

ambiti della sua esistenza, e l’individuo è in grado “naturalmente” di

rispettare l’ordine.

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Nell’approccio empirico il concetto di amore non viene inteso solo

nella sua accezione romantica di legame affettivo e sentimentale, ma

essenzialmente come disponibilità della persona a mettere in atto strategie

di apertura e di flessibilità. Imparare a perdonare, lasciare andare le

situazioni o le persone che ci hanno ferito, e accettare gli altri come sono,

e non fingere di apprezzare qualcosa che in realtà non ci piace.

Allargando lo spazio del cuore, coltivando l’ascolto attivo e

l’empatia, potremo imparare a contenere le nostre emozioni per essere in

grado a nostra volta di contenere le emozioni altrui senza farci travolgere.

L’amore rende possibile coltivare l’arte della fiducia e della pazienza,

concedendo alle nostre consapevolezze di maturare dentro noi stessi con i

nostri tempi.

Cercando di sperimentare il “qui e ora possiamo vivere e godere

del nostro presente, senza farci distrarre dal passato o da proiezioni per il

futuro. Diciamo completamente “sì” all’esperienza che stiamo facendo nel

momento in cui la facciamo e rimaniamo immersi nel presente.

Impariamo dai bambini che si immergono completamente nei loro giochi

dimenticandosi di sé.

“Io sono”, e non “io sono stato” o “io sarò”.

Nella prima affermazione c’è già tutto, il nostro corpo fisico unito alla

scintilla del divino, in quanto ogni essere umano è unico e perfetto nella

sua imperfezione.

Come afferma Wayne Dyer: “C’è già un David di Donatello in ognuno di

noi, basta liberarlo del marmo in eccesso”.

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Espandere la nostra coscienza individuale fino a sentirci parte

dell’universo, l’immenso mondo della forma nel quale, giorno dopo giorno,

ci troviamo a pensare e a respirare. Cercare di andare oltre la nostra storia

individuale per confluire in un organismo più grande e sentirsi parte

integrante di esso.

Vivere la nostra dimensione di unicità e nello stesso tempo sentire di

appartenere insieme agli altri alla medesima totalità, pensando all’umanità

come un unico essere a noi stessi come singole componenti collegate fra

loro.

Come affermava Albert Einstein:

“Un essere umano è una parte del tutto che chiamiamo “Universo”, una parte

limitata nello spazio e nel tempo. Egli sperimenta se stesso, i propri pensieri e

sentimenti, come qualcosa di separato dal resto, in una sorta di illusione ottica

della coscienza. Questa illusione è una sorta di prigione che ci restringe ai nostri

desideri individuali e all’affetto per le poche persone che ci sono vicine. Abbiamo

il compito di liberarci da questa prigione allargando il cerchio della compassione

fino ad abbracciare tutte le cose viventi e l’intera natura nella sua bellezza.”

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10. LA MIA ESPERIENZA CON L’APPROCCIO EMPIRICO

Il percorso con l’approccio empirico elaborato da Michel Hardy e i

rispecchiamenti che ne derivano mi ha portato, come ho già affermato in

precedenza, moltissime consapevolezze e ha ripulito la mia anima da tutta

la cenere che si era depositata negli anni.

Tuttavia, le resistenze sono dure a morire. A conclusione di questo

mio lavoro, chiedo ancora qualche istante alla pazienza del lettore per

raccontare l’ultimo tranello che la mia coscienza mi ha teso, liberandomi

per sempre quando ho saputo disinnescarlo.

Qualche anno fa, ad un passo dalla scrittura della tesina conclusiva,

ho di colpo interrotto il mio percorso. Pur consapevole e grata all’universo

per aver messo lungo la mia strada Michel Hardy, senza un vero perché

ritenevo fosse arrivato il momento di volgere lo sguardo altrove. Credevo

che, rispetto a tutte le importantissime consapevolezze sostanziali

acquisite, scrivere e discutere una tesina fosse a quel punto una pura

formalità.

Dietro un comportamento che fino a quel momento avevo ritenuto

naturale e istintivo si celava uno schema di autoboicottaggio che partiva

da molto lontano nella mia infanzia.

Quando avevo dodici anni e ottime possibilità nell’atletica leggera, in

una gara di mezzofondo, ad un passo dal traguardo e in netto vantaggio

sulle avversarie, mi fermai di scatto e mi sedetti per terra con le braccia

incrociate aspettando che la concorrente successiva, a decine di metri di

distanza, mi sorpassasse incredula e vincesse al mio posto.

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A nulla servirono le urla con cui l’allenatrice mi incitava ad alzarmi e

finire la corsa. Io vedevo solo mio padre, impassibile accanto a lei, e lo

guardavo con occhi trionfanti e sfidanti. Lui - come sempre di fronte ai miei

successi - non mi avrebbe fatto nessun complimento per la mia

“scontata” vittoria.

E allora perché concorrere? Perché sentire l’ennesimo pugno allo

stomaco al suo solito commento: “Hai fatto la quarta parte del tuo

dovere”? Basta, stavolta decidevo io. Non mi interessava il riconoscimento

del mondo esterno, mi bastava sapere che ero in grado di vincere.

Dopo una lunghissima gestazione, l’ultimo sprint del percorso è

stato folgorante e mi ha fatto comprendere perché tante volte nella mia

vita avevo evitato di “chiudere” i miei percorsi e delle false giustificazioni

che mi davo.

La svolta è arrivata quando ho sentito che non mi calzava più il

ruolo di figlia: non volevo più ripetere lo schema della bambina che si

distrae con mille cose e custodisce gelosamente i suoi talenti tenendoli

tutti per sé. Desideravo invece agire da donna adulta che porta a termine i

suoi progetti, “chiude” il cerchio e si rigenera con l’energia di tale scelta.

Portare a termine il percorso significava onorare me stessa per l’impegno,

la dedizione e il coraggio messi in campo.

Non potevo assolutamente immaginare come, da questa

consapevolezza, potessero per incanto scaturirne tante altre, al pari di

semi lanciati nella terra, piantati, germogliati e fioriti in un colpo solo.

Sento il carattere definitivo di quest’ultimo passaggio: ho accettato

ed integrato la mia parte ombra, riconoscendo che spesso la mia prima

reazione è la paura di non essere all’altezza delle aspettative, e ho sentito

che quella parte andava ascoltata, non evitata. La parte donna, adulta,

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cresciuta dentro di me in questi anni – e che alimento con grande cura – si

è fatta spazio ed è arrivata per rassicurarmi. Si è messa al mio fianco con

dolce fermezza, suggerendomi di lasciar vivere la mia parte autentica.

“non mi interessa che tu sia brava,

mi interessa che tu sia vera”.

Questa percezione sottile ma decisa è diventata la mia alleata,

sostenendomi e donandomi la possibilità di accedere finalmente ad una

dimensione molto più naturale e gratificante.

Oggi posso affermare che la scrittura di questa tesina è stata

“esperienziale” e non poteva essere diversamente, visti gli anni di lavoro

con Michel Hardy che tanto mirabilmente mi ha insegnato a “sentire”.

Agli inizi del percorso empirico mi sentivo enormemente “in credito”

con la vita in tutti i campi: affettivo, lavorativo, nei rapporti interpersonali,

sia con i familiari che con gli amici. Come abbiamo visto nel diagramma

relativo alla metamorfosi empirica, ero nel ruolo della vitt ima rabbiosa.

La psicoterapia classica mi aveva aiutato a far luce sui diversi

aspetti della mia vita fornendomi delle chiare risposte. Esse però restavano

per me ancora acquisizioni “teoriche”; l’orgoglio, la rabbia, il

perfezionismo, il senso di sfida che permeavano i miei atteggiamenti erano

ancora presenti.

L’approccio empirico, ponendo al centro della sua metodica

l’esperienza e il “sentire” come molla per ripercorrere e rivivere i propri

conflitti, mi ha portato ad entrare in contatto con i miei fantasmi attraverso

il corpo, strumento principe per sperimentare le emozioni. Il corpo è

entrato direttamente nelle mie zone d’ombra e mi ha fatto percepire in

modo “totale” le mie difficoltà.

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Ora che il percorso mi ha indicato chiaramente qual’è il mio posto,

scopro con grande piacere che la scrittura di questa tesina non

rappresenta soltanto un traguardo ma è per me una nuova affascinante

partenza. Chiuso un cerchio, se ne stanno aprendo tanti altri in un moto

concentrico, a prescindere dalla mia volontà. Sta affiorando una

sconosciuta ed entusiasmante sensazione di creatività unita al desiderio di

“dare” agli altri, di emozionare.

Se una delle qualità Yin è il dare forma alla struttura, sono pronta.

Sento e vivo con grande naturalezza questa forza inarrestabile che si è

messa in moto e che reclama il suo diritto di “plasmare” un contenuto che

la mia vita ha reso molto denso e variegato e altro non chiede se non di

essere rivelato.

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RINGRAZIAMENTI

Dal profondo del cuore, un ringraziamento immenso a Michel, che con

amore e rispetto mi ha svelato una formidabile modalità per avvicinarmi al

mio mondo interiore e risolvere i miei conflitti.

Ho avuto almeno tre vite prima di quell’estate del 2002 che mi ha portato

ad incrociare la mia strada con la sua. Questa nuova vita è la più bella e la

più vera di tutte, non voglio cambiarla per niente al mondo!

Grazie Michel per aver sostenuto le mie ribellioni e grazie per la tua

pazienza. Qualche volta l’ho messa a dura prova, specie nell’approccio

con la tecnologia ...

Grazie a Giorgio, il mio compagno che l’universo mi ha concesso di

incontrare in quello che per me è il “tempio” della consapevolezza, la sede

di Ischia dove d’estate si svolgono i villaggi estivi della LUMH.

La sua delicata fermezza, il suo appoggio costante e sincero, il suo amore

mi hanno permesso di espandere i miei orizzonti e la mia sicurezza.

La sua anima, la sua musica fanno il resto.

Grazie Giorgio di essere al mio fianco.

Grazie a tutte le persone che ho incontrato lungo il percorso, con le quali

ho condiviso momenti intensissimi e unici, di gioia come di sofferenza,

svelando gli aspetti più profondi ed autentici dei nostri cuori.

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Ognuno di loro mi ha donato qualcosa, tanti granelli di sabbia che sono

andati ad appoggiarsi l’uno sull’altro dando vita ad una immensa distesa di

anime sorridenti.

Grazie a tutte le persone che fanno parte della mia vita, dai familiari, agli

amici, alla vicina di casa ultranovantenne che mi sorride e mi augura ogni

bene tutte le volte che mi sente arrivare dalle scale.

Grazie a me.

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BIBLIOGRAFIA

La grammatica dell’essere – Michel Hardy

Bioenergetica – Alexander Lowen

I due volti dell’amore – Bert Hellinger

Riconoscere cio che è – Bert Hellinger

Intelligenza emotiva – Daniel Goleman

Credere per vedere – Wayne Dyer

La formula per la vita - Roy Martina

L’albero dello yoga – B.K.S. Iyengar