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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 11 MARZO 2012 NUMERO 367 CULT La copertina UMBERTO ECO Dal dibattito sulla fine del postmoderno al realismo minimo La recensione LEONETTA BENTIVOGLIO La scrittrice che racconta l’Urss di Stalin e l’anoressia All’interno Teatro ANNA BANDETTINI Carlo Cecchi tra democrazia e integralismi sceglie la satira Il libro ALESSANDRO BARICCO Una certa idea di mondo: Coetzee ci insegna avedere ilpaesaggio SAN FRANCISCO A rrivano ogni sera su enormi pullman-limousine bianchi con i ve- tri oscurati, supernavette silenziosissime con movimenti sinuo- si da balena, che li trasportano dalla Silicon Valley in città. Sono i nuovi “maghi della rete”, crescono di numero ogni giorno; tra di loro un migliaio di ragazzi, tra poco, avrà in tasca un milione e mezzo di dol- lari a testa. È il management di Facebook, il social network fondato da quattro ragazzi nel 2004 per scambiarsi notizie tra ex studenti universitari, e oggi ali- mentato da 845 milioni di persone. (Per intenderci, Facebook è quella strana co- sa che raccoglie soldi per un trapianto di reni, consiglia ricette di cucina, rin- traccia compagni di scuola, e in sei mesi ha fatto saltare Ben Ali, Mubarak, Ghed- dafi e Saleh in Yemen). Facebook sarà ufficialmente quotato alla borsa di New York tra poche settimane; il suo valore è stimato tra gli ottanta e i cento miliardi di dollari, che ne farà una delle più grandi compagnie del pianeta. Chi ci lavora da qualche anno ha avuto, oltre al salario, le stock options che ora potrà fare va- lere. Li incontri da Starbucks o a qualche festa. E non diresti che sono milionari. Parlano di lavoro, Zynga che si sta rendendo autonoma da Facebook; della de- bolezza di Facebook perché troppi ormai si collegano dall’iPhone, che però non ha il banner pubblicitario laterale. Zuckerberg che è rimasto «un innovatore», Sheryl Sandberg che è considerata «monetizzatrice». Richard Straver è arrivato dall’Olanda, ha fondato la sua compagnia, la Tinypay, ed è felice per aver trova- to un appartamento di venti metri quadri per 2.500 dollari d’affitto al mese a Noe Valley. Ha anche l’uso di una terrazzina dove può fumare. (Il primo risultato del nuovo boom è lo sconvolgimento del mercato della casa a San Francisco). (segue nelle pagine successive) ENRICO DEAGLIO “Non è un’azienda, è una missione” A San Francisco tra i giovani miliardari di Mark Zuckerberg Tutti i ragazzi di Facebook Addio Moebius, disegnatore di mondi paralleli L’immagine GIPI e LUCA RAFFAELLI Effetto “Don”, quando l’America scoprì “Il Padrino” Spettacoli ERNESTO ASSANTE e VITTORIO ZUCCONI “Sei tu la rockstar” Se Noel Gallagher incontra Balotelli L’attualità NOEL GALLAGHER L’intervista ANTONIO MONDA Chad Harbach “Attraverso lo sport faccio la storia degli Stati Uniti” Repubblica Nazionale

LA DOMENICA - download.repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2012/11032012.pdf · traccia compagni di scuola, e in sei mesi ha fatto saltare Ben Ali, Mubarak, Ghed-

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 11MARZO 2012

NUMERO 367

CULT

La copertina

UMBERTO ECO

Dal dibattitosulla finedel postmodernoal realismo minimo

La recensione

LEONETTA BENTIVOGLIO

La scrittriceche raccontal’Urss di Staline l’anoressia

All’interno

Teatro

ANNA BANDETTINI

Carlo Cecchitra democraziae integralismisceglie la satira

Il libro

ALESSANDRO BARICCO

Una certa ideadi mondo:Coetzee ci insegnaavedere ilpaesaggio

SAN FRANCISCO

Arrivano ogni sera su enormi pullman-limousine bianchi con i ve-tri oscurati, supernavette silenziosissime con movimenti sinuo-si da balena, che li trasportano dalla Silicon Valley in città. Sonoi nuovi “maghi della rete”, crescono di numero ogni giorno; tra

di loro un migliaio di ragazzi, tra poco, avrà in tasca un milione e mezzo di dol-lari a testa. È il management di Facebook, il social network fondato da quattroragazzi nel 2004 per scambiarsi notizie tra ex studenti universitari, e oggi ali-mentato da 845 milioni di persone. (Per intenderci, Facebook è quella strana co-sa che raccoglie soldi per un trapianto di reni, consiglia ricette di cucina, rin-traccia compagni di scuola, e in sei mesi ha fatto saltare Ben Ali, Mubarak, Ghed-dafi e Saleh in Yemen). Facebook sarà ufficialmente quotato alla borsa di NewYork tra poche settimane; il suo valore è stimato tra gli ottanta e i cento miliardidi dollari, che ne farà una delle più grandi compagnie del pianeta. Chi ci lavorada qualche anno ha avuto, oltre al salario, le stock options che ora potrà fare va-lere. Li incontri da Starbucks o a qualche festa. E non diresti che sono milionari.Parlano di lavoro, Zynga che si sta rendendo autonoma da Facebook; della de-bolezza di Facebook perché troppi ormai si collegano dall’iPhone, che però nonha il banner pubblicitario laterale. Zuckerberg che è rimasto «un innovatore»,Sheryl Sandberg che è considerata «monetizzatrice». Richard Straver è arrivatodall’Olanda, ha fondato la sua compagnia, la Tinypay, ed è felice per aver trova-to un appartamento di venti metri quadri per 2.500 dollari d’affitto al mese a NoeValley. Ha anche l’uso di una terrazzina dove può fumare. (Il primo risultato delnuovo boom è lo sconvolgimento del mercato della casa a San Francisco).

(segue nelle pagine successive)

ENRICO DEAGLIO

“Non è un’azienda,è una missione”A San Franciscotra i giovanimiliardaridi MarkZuckerberg

Tuttii ragazzidi Facebook

Addio Moebius,disegnatoredi mondi paralleli

L’immagine

GIPI e LUCA RAFFAELLI

Effetto “Don”,quando l’Americascoprì “Il Padrino”

Spettacoli

ERNESTO ASSANTE

e VITTORIO ZUCCONI

“Sei tu la rockstar”Se Noel Gallagherincontra Balotelli

L’attualità

NOEL GALLAGHER

L’intervista

ANTONIO MONDA

Chad Harbach“Attraverso lo sportfaccio la storiadegli Stati Uniti”

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 32

DOMENICA 11 MARZO 2012

Sono giovani, sono ricchi e con la quotazione in borsadel social network più famoso del pianeta lo sarannoancora di più. Sono arrivati a San Francisco per cambiare il mondo E ci stanno riuscendo. Ecco come vivono e cosa pensano gli allegri rivoluzionari del nuovo capitalismo

La copertinaTutti i ragazzi di Facebook

(segue dalla copertina)

Brent lavora alla memorizzazione delriconoscimento vocale per Oracle emi presenta Karim che ha prodottouna cosa essenziale per Facebook:un comando semplice per mettereun circolino su una faccia in una fo-

to di gruppo. Si beve vino bianco italiano (il nostroconcittadino Elio, che ha l’enoteca Plumpjack sul-la 24esima, constata che i nuovi dot.com bevonovolentieri, ma non vogliono i vini costosi preferitidai nuovi ricchi), non c’è nessun interesse per l’e-leganza (il giubbotto North Face accomuna la Sili-con Valley e quelli di Occupy Wall Street), nessunoha una bellona al seguito, tutti sono abbastanza fe-lici, perché fanno quello che gli piace in una cittàfascinosa. E sanno anche che con un giornalista sipuò parlare di tutto, ma non dell’azienda. Il segre-to aziendale qui è un’ossessione. (Per Facebook,poi, il momento è delicatissimo: non vogliononeppure che si visitino i loro nuovi uffici).

A guardarla da vicino, questa “nuova classe” chegovernerà il mondo (e se non sono loro, chi?), è ca-rina, abbastanza puritana, democratica, per nullaarrogante, per nulla rapace, purtroppo ancora al90 per cento dominata dai maschi. È più sobriadella generazione precedente, i dot.com che all’i-nizio del nuovo secolo scalarono la Borsa con ognitipo di improbabili aziende elettroniche e poi, indue mesi, finirono sul lastrico (loro e tutti noi che

Ovviamente

Zuckerberg:

a 27 anni

ha un patrimonio

di 17,5 miliardi di dollari

La Sandberg,

il numero due

È la seconda

donna più ricca

d’America

Un altro

dei fondatori,

Ha 32 anni,

è il famoso Parker

che inventò Napster

L’uomo

del marketing:

39 anni, viene

da una lunga

formazione a Google

Tedesco

di Francoforte,

Thiel è stato

uno dei primi

finanziatori di Facebook

i milioni di utenti

iscritti a Facebook845i miliardi di dollari stimati

per l’offerta in Borsa100i miliardi di dollari

di fatturato 20114,2i dipendenti che lavorano

nel social network3.200

avevamo comprato le loro azioni). Facebook è l’ul-tima trovata del capitalismo americano. Il capita-lismo, si sa, uno può amarlo o odiarlo; in questo ca-so non si può che restare affascinati dalla capacitàdi innovazione, rapidità di sviluppo, distruzionecontinua del precedente ordine. Il tutto è un gio-cattolo, sensuale per lo stupore che provoca e la li-bertà che promette, una specie di tinello di fami-glia, felicemente bambinesco e facile (milioni usa-no Facebook semplicemente per giocare a Scara-beo con persone conosciute in fotografia).

Due le parole che si sentono di più, da questeparti. La prima è che la Silicon Valley (e tutta la baiadi San Francisco) sta vivendo il suo «Rinascimen-to tecnologico», paragonabile a quello vissuto daFirenze seicento anni fa. Come là nacquero l’indi-viduo, l’ideale di bellezza, la malinconia, così quisi decide della fine della televisione, dei nuovi mo-di di ascoltare musica, guardare film, scambiarsimerci e denaro, ridefinire la democrazia. Accadequi per la concomitanza di condizioni ambientaliparticolari: un senso di “fine del mondo” per esse-re appesi alla fine di un continente, con un terre-moto alle porte e l’oro che sgorga dalla terra, un’a-bitudine alla libertà che fece nascere prima i beate la poesia, poi il free speech movement dello stu-dente di Berkeley Mario Savio, gli hippy, lo zen el’Lsd con cui si è formato Steve Jobs e il movimen-to gay come forza politica. E investitori disposti afinanziare le più pazzesche avventure.

La seconda parola è «piattaforma». Tutto quel-lo che vediamo ora ha la sua pietra angolare nel-l’iPhone di Steve Jobs, quell’oggetto poco più

grande di un pacchetto di sigarette in cui è con-centrato tutto il sapere dell’umanità; quell’affaret-to che rende reale la Storia siamo noi. Il colonnel-lo Gheddafi che esce da un cunicolo e chiede: «Checosa succede? Qualcosa non va?» e poi viene lin-ciato in diretta iPhone è l’esempio più terribile del-le potenzialità del Nuovo Mondo; e gli scambi diconoscenza che coinvolgono centinaia di milionidi persone sulla piattaforma di Facebook sono ilbene collettivo più importante che esista oggi sulpianeta: più della religione, più del petrolio, piùdell’acqua. Chi possiede questo patrimonio stagiocando con il potere. Può aiutare milioni di per-sone a sviluppare la propria anima, oppure puòrubargliela (ecco perché gli indiani detestavano lafotografia!), manipolarla e rivenderla. Facebook èa questo bivio. Per questo vale molto.

Lasciata la “storica” sede di Palo Alto, Facebooksistemerà il quartier generale (1.300 persone) ne-gli ex locali della Sun Microsystem di Menlo Park,ai confini meridionali di San Francisco. Non si tim-bra cartellino; asilo nido; piscina; palestra; mensaper ogni esigenza; ammessi i cani; riunioni all’a-perto, passeggiate in bici. Insieme matematici, fi-sici, programmatori, web designer, esperti di cal-ligrafia, crittografia, antropologi. In outsourcingpubbliche relazioni, marketing, l’enorme ufficiolegale, la colossale gestione fisica della tecnologia(milioni di dischi rigidi in enormi hangar in Fin-landia, tenuti al fresco al prezzo di un consumo dienergia da fare accapponare la pelle). Pagati undollaro l’ora i poveracci che in qualche parte delmondo puliscono Facebook dalle foto porno.

Ed ecco gli uomini del miracolo. Al posto di co-mando, Mark Zuckerberg, il fondatore, 27 anni: èil padrone, con poco meno del 30 per cento delleazioni e il 57 per cento del diritto di voto. Vegeta-riano (tranne che per gli animali che uccide luistesso: aragoste, polli, una capretta e persino unmaiale). Ecco il suo proclama, con cui chiede sol-di a Wall Street: «Facebook vuole cambiare il mo-do in cui il popolo si relaziona con i governi e le isti-tuzioni. Noi vogliamo costruire un dialogo onestoe trasparente che porti a un potere diretto del po-polo, a una maggiore responsabilità degli eletti e asoluzioni migliori per i più grandi problemi del no-stro tempo. Attraverso di noi, il popolo potrà farsentire la sua voce, come mai è successo nella sto-ria. Attraverso il suo controllo, nuovi leader emer-geranno». A Wall Street hanno pensato: ma chi sicrede di essere questo ragazzo? Mosè? Lenin? Ste-ve Jobs? John Lennon? Ma alla fine lo quoteranno.A pochi mesi dalle elezioni del presidente, Face-book può avere una forza considerevole.

Il numero due (molto meno messianica) èSheryl Sandberg, responsabile economico, 43 an-ni, sposata con due figli. Tra poco sarà la secondadonna più ricca d’America dopo Oprah Winfrey.Quando Zuckerberg la assunse (Sheryl è laureataa Harvard, ha lavorato nella presidenza Clinton,poi alla Banca Mondiale, poi a Google) Facebooknon faceva soldi. Oggi ha entrate per 3,7 miliardi eprofitti pubblicitari per un miliardo. Sandberg havalorizzato il tesoro di Facebook: le donne; sono il62 per cento degli utenti, le più attive, le più dedi-cate. E sono loro che comprano. Sandberg è una

ENRICO DEAGLIO

I nipotini di Zuckerberg

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 11 MARZO 2012

È arrivato

dall’Olanda

e ha fondato

la sua compagnia,

la Tinypay

L’altra lady

di ferro,

39 anni,

è la responsabile

della pubblicità

31 anni,

giovane direttore

tecnico:

è il creatore

di Google Maps

Ha inventato

il “tag”: cioè come

mettere un circolino

su una faccia

nelle foto di gruppo

La condivisione è tutto, la condivisione è potere,

la rete è tutto

Non chiedere risposte, fai domande

Un buon programma informaticoè meglio di una buona discussione

Gli hacker mostrano la via

Stai sul pezzo, va’ veloce,sii aperto e costruisci valori sociali

Il più grande rischio è non rischiare

Non è un’azienda, è una missione

Se non è semplicissima da usarenon è tecnologia

La tecnologia dà un nomee un volto a chi era invisibile

L’informazione condivisa in retesi raddoppia ogni anno(Legge di Zuckerberg)

Più grande è lo scambio di informazioni, più profonde

sono consapevolezzae compassione

Fai quello che vuoi, ma non andarea letto con la concorrenza

La filosofia

i miliardi di dollaridi utile 20111,7

i miliardi di dollaridi fatturato pubblicitario3,8

la quota della societàdetenuta da Zuckerberg28

nuova femminista, favorisce le donne nella com-pagnia; è un mastino nello strappare il meglio allaconcorrenza (Google ancora piange). Il suo futu-ro, pronosticato da molti: la grande politica, unpossibile presidente degli Stati Uniti. Uno dei suoicolpi maggiori? Per lanciare Secret, il deodoranteper «le ragazze che non vogliono avere paura»,Sheryl Sandberg ha convinto Procter&Gamble ascegliere Facebook. Poi c’è Peter Thiel, tedesco diFrancoforte, uno dei primi finanziatori di Face-book, 45 anni. Ha azioni per 2,5 miliardi. Attivistagay, tremendamente conservatore, non ama lademocrazia e finanzia il candidato repubblicanoRon Paul. Tra le decine di aziende che ha finanzia-to, la più importante è PayPal, un rivoluzionario si-stema di pagamento online usato da 240 milioni dipersone. È pronto a finanziare con centomila dol-lari gli studenti che vogliono lasciare l’università(«istituzione inutile») per diventare imprenditori.Sean Parker, un altro dei soci fondatori di Face-book, è nato a San Francisco. Era uno dei più fa-mosi hacker, inventò Napster, bestia nera delle ca-se discografiche. Oggi ha 32 anni, si atteggia adandy, ha comprato una casa da venti milioni didollari a Manhattan, nascosto un motore Lam-borghini nella sua anonima Audi, ma ha anchefondato Causes, piattaforma dedicata alle giustecause politiche nel mondo: abbattere dittatori, so-stenere i deboli e la giustizia sociale, dare una ma-no ai ribelli. Ha 2,5 miliardi in azioni Facebook.

Tutta questa allegra compagnia, che ha presoresidenza a San Francisco (il settimanale BayGuardian ha calcolato che basterebbero le tasse

sui capital gain dei primi otto uomini d’oro di Fa-cebook per pagare gli stipendi degli ottantamilainsegnanti della contea, finanziariamente disa-strata), rappresenta un inaspettato futuro delmondo. Un mio vicino di casa, Walker Traylor,trentenne, è arrivato dal North Carolina poco me-no di un anno fa. Facebook gli aveva proposto l’as-sunzione ma l’ha rifiutata, la considera una com-pagnia troppo grande, un po’ troppo «seduta». Èdiventato invece operation manager di Twit-Vid(scambio di video) per il gusto della sfida. L’altrogiorno ha assunto quattro ragazzi: un francese, uncolombiano, un russo e un ucraino. Per convin-cerli ha dovuto dire loro qual era la sfida. Twit-Vid,oggi con ventidue dipendenti, si prepara a sosti-tuire YouTube, troppo anonima e dispersiva. Il fu-turo è nelle compilation personali, nella libertà discelta. «Finora», mi dice, «cinquemila persone intutto il mondo hanno deciso quello che dobbiamovedere in tv. Da oggi tutto questo è finito, ognunopotrà costruirsi la propria televisione; la nostramissione è cambiare il paradigma mediatico delmondo. Tutta la baia sta esplodendo di lavoro, tut-to il mondo sta arrivando qui».

Le imprese nascono ogni ora. O si ingrandisco-no: Zynga, la piattaforma dei giochi; Twitter, che siavvicina a Facebook (500 milioni di utenti); Squa-re, che ha inventato una tavoletta che inserisci nel-l’iPhone e ti legge le carte di credito per cui, anchein mezzo alla strada, diventi un negozio, con tan-to di registratore di cassa; le migliaia di App chevengono finanziate e brevettate ogni mese da ra-gazzi di diciotto anni, in una stanza d’albergo. Tut-

to questo farà cadere dittatori, eleggerà presiden-ti o servirà solo a vendere deodoranti? Sarà il nuo-vo Grande Fratello, la più grande schedatura poli-ziesca del pianeta? Nessuno, francamente, lo sa.Ma certo, vista da qui, è la nuova corsa all’oro. Enon è solo per i soldi, è una specie di assalto al cie-lo, la voglia di costruire la più bella tecnologia delmondo. Qui, quando è morto Steve Jobs, migliaiadi ragazzi hanno pianto per davvero.

Come hanno pianto per uno che era propriouno di loro. Si chiamava Ilya Zhitomirskiy, 22 an-ni, figlio di due matematici russi, lui stesso mate-matico e genio della crittografia. Aveva fondatoDiaspora per farlo diventare il «Facebook killer».Contro quel sistema centralizzato, censorio, pa-dronale, Diaspora avrebbe offerto la totale privacye la garanzia di uno scambio di informazioni anar-chica e libera. Diaspora era a buon punto, aveva ri-cevuto soldi. Tra i programmatori e nel dibattitosul futuro della Rete, Ilya era un punto di riferi-mento. Ma ultimamente un algoritmo non avevafunzionato. Ilya andava in bicicletta, era un estre-mista allegro, partecipava alle gare di ballo. Abita-va in un piccolo appartamento nella Mission, ilvecchio quartiere ispanico di San Francisco, dovela domenica mattina i predicatori si sfidano con imegafoni proponendo le loro minuscole chiese.Ilya è stato trovato morto in casa, il 15 novembrescorso, probabilmente suicidio. Polizia molto ab-bottonata. L’ipotesi che gira: troppo carico emoti-vo su un ragazzo così giovane. Il «Facebook killer»deve ancora arrivare.

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Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 34

DOMENICA 11 MARZO 2012

NOEL GALLAGHER

L’attualitàBig match

Èda parecchio che la Bbc stacercando di mettere le manisu Mario Balotelli per intervi-starlo. Ma lui non rilascia in-terviste televisive perché nonama i giornalisti: i giornalisti

continuano a tornare da lui, e lui continuaa dire no. Durante il tour, io gli ho dedicatouna canzone (What a Life) tutte le sere. È in-credibile vedere le reazioni che suscitaquesta dedica, in tutto il mondo. La gentelo adora. Inizialmente fischiano perché èun giocatore del City, ma poi i fischi si tra-sformano in applausi, perché lui è unarockstar dei nostri tempi. Lui ha sentito diquesta cosa e ha detto che avrebbe accetta-to di farsi intervistare solo se a intervistarlofossi stato io. Così me l’hanno chiesto, e ioho annullato tutti i miei impegni. Sarà unospasso.

Ho passato un’ora con il ragazzo, è piut-tosto timido. Si vede che ha un po’ il diavo-lo dentro. Sembra non riuscire a capire per-ché la gente si occupi tanto di lui. Sembra-va che gli interessasse molto sapere perchégli avevo dedicato una canzone. È cometutte le persone dotate di un talento natu-rale: non ha idea di quello che sta facendo.

L’unico paragone che mi viene in menteè con me stesso: io sono nato con un dononaturale per la musica. Non ho mai presouna lezione in vita mia, nessuno mi ha maiinsegnato a suonare la chitarra o qualchealtro strumento musicale, eppure ne sosuonare una mezza dozzina. Nessuno miha mai insegnato a scrivere canzoni, a can-

tare o cose del genere. E quando qualcunomi chiede di insegnargli a suonare la chi-tarra, io non so da dove cominciare, perchéa me viene così, naturale. Non ho la più pal-lida idea di che cosa sto facendo mentre lofaccio. E quando incontro altri autori dicanzoni e mi parlano dei pezzi che scrivo ècome se mi parlassero in una lingua stra-niera. Perché io non ci capisco nulla, lo fac-cio e basta. E per lui è lo stesso.

Gli ho chiesto dei suoi rigori e lui si è li-mitato ad alzare le spalle, come fa quandosegna. Gli ho chiesto del rigore nei minutidi recupero contro il Tottenham: c’è lo scu-detto in ballo, hai ventun anni e sei in unPaese nuovo, perché sei andato a prender-ti la palla? «Perché segno sempre». E i gio-catori più anziani? Sergio Agüero e GarethBarry, non hanno detto niente? «No, per-ché mi vedono agli allenamenti ogni gior-no e non sbaglio mai». Dice che a Joe Hart,il portiere del Manchester City, gliene met-te dentro regolarmente dieci su dieci.

Gli ho chiesto che cosa voleva dire quan-do ha esibito la maglietta con scritto WhyAlways Me?(Perché sempre io?) al derby conil Manchester United all’Old Trafford, ilgiorno dopo aver quasi incendiato casa coni fuochi d’artificio. «Mi sono alzato la matti-na e ho letto i giornali, e sapevo che avrei se-gnato una tripletta». Ma ne hai fatti solo due.«Perché Mancini mi ha sostituito, se miavesse lasciato in campo avrei segnato unatripletta». E io gli credo. Per questo gli hochiesto di quella scritta sulla maglietta. Luidice che era un messaggio per la stampa:

Non sbaglio maiPerché ho voluto batterequel rigore decisivocontro il Tottenham?Perché segno sempre Lo sanno ancheAgüero e Barry: mi vedono agli allenamentiogni giorno,non sbaglio mai

La regola del campione del City la conoscono tutti:niente interviste. Ma stavolta ha aggiuntoun’eccezione: tranne che all’ex leader degli Oasis,suo fan numero uno, che a ogni concerto gli dedicauna canzone. Detto fatto. In esclusiva il racconto

in prima persona di quell’incontro

“Chi di noi due

‘‘

&MarioBALOTELLI

RIGORE Il gol al Tottenham il 22 gennaio 2012. Accanto, la maglia mostrata al derby con lo United

CARTADIIDENTITÀ

Nato a:

Palermo

Età:

21 anni

Soprannome:

Super Mario

Fidanzata:

Raffaella Fico

Ruolo:

attaccante

Squadre:

Inter e Manchester

City

Gol segnati:

52

Piede:

destro

Esordio in serie A:

17 anni

Cartellino:

30 milioni di euro

Ingaggio:

3,5 milioni di euro

all’anno

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 11 MARZO 2012

«Perché vi interessate tanto a me?». Vado in giro per tutto il mondo e per tut-

ta la Gran Bretagna e il mio unico argo-mento di conversazione — a parte la musi-ca — è il calcio: con i tassisti, con la gentenei pub e così via. E tutti adorano Balotelli.Tutti in Inghilterra lo adorano, perfino itifosi del Manchester United. E questa èuna cosa affascinante per lui. Io lo adorereise giocasse per lo United. Durante l’inter-vista mi fa una domanda: «Perché mi amicosì tanto?». La mia risposta dura cinqueminuti e lui ride per tutto il tempo. Non cre-do che riesca a capire la ragione di tuttoquesto interesse. Ma è il gol con la spalla,sono i rigori, sono gli spezzoni su YouTubein cui frega i guanti ad Agüero durante il ri-scaldamento, è questo genere di cose. È ab-bastanza giovane perché tutto quello chefa risulti innocente. E mostra sprazzi di ge-nialità.

Gli chiedo delle leggende su di lui, leelenchiamo una per una. Sfortunatamen-te nove su dieci sono panzane, ma in tuttec’è un briciolo di verità. Gli ho detto che mistava uccidendo, perché noi vogliamo chesiano tutte vere. Vogliamo un calciatoreche va in giro a regalare mille sterline a unmendicante, semplicemente perché ècool. Non vogliamo calciatori professioni-sti come Michael Owen o Ashley Cole, gen-te che pensa che il mondo debba loro qual-cosa. Vogliamo credere che sia vero chequesto ragazzo va in una stazione di benzi-na e offre un pieno a tutti. Non perché i cal-ciatori dovrebbero fare cose del genere, ma

perché sono ragazzi e si devono comporta-re come ragazzi.

La mia storia preferita su Balotelli è quel-la sui giochi di prestigio. Un giorno se ne vain giro per il Trafford Centre, un grandecentro commerciale di Manchester, pen-sando ai fatti suoi, come se fosse veramen-te possibile, come un Mr T. dei nostri gior-ni. E c’è un tizio che sta facendo giochi diprestigio, e lui chiede se gliene può inse-gnare qualcuno. Il tizio dice: «No, non in-segno i miei trucchi». Mario se ne va a casa,ci pensa su, ma non si dà per vinto, perciòtorna al Trafford Centre e dice al tizio: «In-segnami questi trucchi». Il tizio dice: «No,c’è troppa gente qui». Mario lo porta allasua macchina, lo invita a casa sua per cenae durante la cena il tizio gli mostra i suoi gio-chi di prestigio. È così che ha imparato isuoi trucchi.

Non si preoccupa troppo dei soldi, di do-ve sta, contro chi gioca, nulla di tutto que-sto. Ha un grande affetto per Roberto Man-cini. Dice che l’unico motivo per cui è aManchester è Mancini, è evidente che c’èun legame fra i due. Credo che adori i tifo-si, perché non l’hanno mai contestato, no-nostante tutte le volte che si è fatto espelle-re. Gli chiedo qual è il suo obbiettivo nelcalcio e lui dice che vuole solo essere il mi-glior giocatore del mondo. Ma non sono si-curo che sappia come fare per diventarlo. Èsemplicemente una forza della natura.

Traduzione di Fabio Galimberti© The Independent/la Repubblica

Talento naturaleÈ come tutte le persone dotate di un talentonaturale: non ha idea di quello che sta facendo

L’unico paragone che mi viene in mente è con me stesso:non ho studiato la musica,la faccio e basta

‘‘

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La colonna sonora del ribelleGABRIELE ROMAGNOLI

Quali che siano le verità rivelate da Mario Balotellinell’intervista televisiva con Noel Gallagher, lapiù indiscutibile la dice il musicista nel titolo del-

l’articolo che ne ha tratto: la vera rockstar è lui, il calcia-tore. Esiste un percorso unico per assurgere al rango diicona pop e Balotelli lo sta compiendo. Il talento è, a trat-ti, un optional. Conta il genio, ma ancor più la sregola-tezza. Essere grandi, ma soprattutto essere narrativi.Partiamo dall’inizio: il calcio è spettacolo, molto più del-lo spettacolo in senso stretto. Lo decreta l’unica bilanciavalevole: quella del mercato. Ibrahimovic guadagna piùdi George Clooney. Punto. Questo determina la regoladell’attrazione. Per aumentare la propria luce le stelledello spettacolo si avvicinano a quelle del calcio.

In Italia questo determina l’inevitabile accostamen-to calciatore/velina. Altrove si arriva alla modella (Cri-stiano Ronaldo/Irina Shayk) o alla cantante(Piqué/Shakira). Ma è evidente che il fulcro della cop-pia è lui. La prova? Se un giornale chiede un’intervista alei, l’agente mette come condizione di non parlare delcompagno, per evitare l’oscuramento, l’etichetta della“donna di”. Agganciarsi alla coda della football starporta in cielo. Bar Refaeli conquista un titolo cinguet-tando «Messi è superman». E Noel Gallagher un’ora diBbc intervistando Balotelli (quanti minuti la tv inglese

avrebbe dedicato, invece, se a rispondere a domandefosse stato il cantante?). La coppia è perfetta. Non solomusica & sport, cioè show al quadrato, ma anche il rad-doppio dell’elemento narrativo. Noel e Mario sono en-trambi bambini sperduti, ragazzi terribili, uomini do-mani. Hanno storie familiari complicate, ribellionicontenute, generano onde anomale di amore e repul-sione. È il mix perfetto della star contemporanea: ta-lentuosa & cool, ma anche distante & imprevedibile. Ildibattito su che cosa manca a Messi per essere Mara-dona non si chiude con la risposta «una coppa del mon-do», ma con quella «qualche miglio di polvere bian-ca».

Nella sua fin qui fanciullesca irriverenza, do-ve i petardi sostituiscono le pallottole, Balo-telli sta svolgendo un apprendistato dasuperstar, ma già ora e indiscutibil-mente tutti sanno che agli Europei(se ci va, poiché la follia più im-prevedibile resta quella dei ct)sarà l’unico calciatore italianocon la luce addosso e una co-lonna sonora d’accompagna-mento.

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è la rockstar?”&Noel

GALLAGHERCARTADIIDENTITÀNato a:

Manchester

Età:

45 anni

Soprannome:

re del Britpop

Fratelli:

Paul e Liam

Moglie:

Sara McDonald

Figli:

Anais, Donovan Rory

e Sonny Patrick

Strumento:

chitarra, voce

Band:

Oasis e solista

Album pubblicati:

11

Disco più venduto:

20 milioni di copie

(What’s the Story)

Morning Glory?

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 36

DOMENICA 11 MARZO 2012

L’immagineAddio maestro

Il bambinoche disegnavaLUCA RAFFAELLI

morto ieri a Parigi, dopo una lungamalattia, Jean Giraud, conosciutocome Moebius. Avrebbe compiuto

74 anni il prossimo maggio. Era uno deipadroni del segno, uno di quei disegnatoriche possono incantare con un solo tratto dimatita. Cambiò il fumetto e poi, dopo larivoluzione, continuò a farlo crescere,senza mai rinunciare ad affrontare nuoveesperienze. Jean Giraud era nato a Nogent-sur-Marne nella periferia di Parigi. Esempre in periferia è cresciuto,disegnando, anzi per tutti era «il bambinoche disegnava». Nella sua autobiografia (Ilmio doppio io, DeriveApprodi) racconta unmomento fondamentale: quando suanonna si riconobbe in una donna che luiaveva disegnato. «Per tre settimane mianonna ha girato tutto il quartiere con queldisegno. Lo mostrava a tutti: “Guardate,questa sono io, con lo chignon!”» Avevaquattro, o forse cinque anni. A quindiciJean pubblica il suo primo fumetto, aventitré diventa assistente di Jijé, uno deigrandi autori di allora. E solo due anni dopoeccolo pubblicare il primo episodio delTenente Blueberry su sceneggiature diJean-Michel Charlier. Blueberry è unribelle, un giusto che combatte soprattuttol’arroganza del potere. Il personaggio offrea Gir (così si firmava allora) la popolarità.Ma popolarità non vuol direnecessariamente libertà, mentre «il miolavoro è essere libero interiormente. E ilmio dovere è esprimerlo anche attraverso imiei disegni». Per questo Jean Giraud sicostruisce una seconda vita artistica primasulla rivista satirica Hara-Kiri e poifondando, nel 1975, il mensile MétalHurlant con altri sodali tra cui un altrogrande fumettista come Philippe Druillet.Métal era la rivista dei disegnatori fatta daidisegnatori, contro gli editori e contro glisceneggiatori. Fu, appunto, unarivoluzione. Sono rimaste celebri le parole-manifesto di Moebius (il nuovopseudonimo di Giraud) che reclamava lapossibilità di fare fumetti «a formad’elefante, di campo di grano o difiammella di cerino». Erano quelli delGarage ermetico, o quelli di Arzach (o ancheArzak, oppure Arzack perché se non c’ècoerenza nelle storie figuriamoci se sonoimportanti i nomi). Di colpo dei fumetti siaccorgevano anche il cinema e il mondodell’arte: omaggiato da Fellini nel suoCasanova, Moebius avrebbe cominciato aesporre le sue tavole originali in tutto ilmondo. Ridley Scott lo avrebbe chiamatoper aiutarlo a creare i suoi mondi, mentrecon Alexandro Jodorowsky avrebbeinventato l’universo dell’Incal: la perfetta egeniale transazione post-Métal. Nella suacontinua voglia di cambiare, Moebius hapartecipato a film d’animazione, ha scrittoun fumetto per Jiro Taniguchi e ha allestitoa Parigi una mostra meravigliosa insieme aHayao Miyazaki. Ha anche accettato didisegnare un episodio di Silver Surferscritto da Stan Lee. Quando nel 2007 venneal Comicon di Napoli annunciò di avereaccettato di realizzare un episodio di XIII, inFrancia celeberrimo personaggio creato daJean Van Hamme. «Mi hanno offerto troppisoldi per poter rifiutare», fu la suadichiarazione. Ma era la (sincera) boutadedi un artista che ha passato la vita a cercaredi capire come il suo segno potesseinterpretare la realtà e quale fosse la realtàda interpretare. Ci ha lasciato con un maredi risposte meravigliose.

Moebius

IspiròPazienza,Fellini

e Ridley ScottNon rinunciòmai a cercareCome ricordaun ragazzoa cui cambiòla vita per sempre

Il suo vero nomeera Jean GiraudCon i suoi universie il suo trattorivoluzionòil fumettoe lo rese un’artemaggioreÈ morto ieri

a Parigi

È

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DOMENICA 11 MARZO 2012

GIPI

Momento uno. Sono nella mia stanza a disegnare. C’è unagrande finestra con una tapparella marrone. La tapparel-la è aperta e oltre la siepe si vede la casa dei Rossi. Una vil-letta dalle pareti bianche, immacolate. In quelle pareti,con Alberto, senza motivo lanceremo delle uova. Ma in al-tro momento. Questo è il momento uno. Sotto la finestra

aperta c’è una scrivania. Un foglio A4. Delle matite, delle penne a china. Hoquindici anni. Quella finestra sta nella mia camera. Nella casa dei miei geni-tori. C’è un armadio pieno di disegni. Li abbiamo fatti io e Alberto. Alberto èpiù bravo di me. Tempo dopo smetterà di disegnare per non farmi soffrire. Lepenne a china. Tormento. C’è un negozio di materiali da disegno, in centro.Vado, guardo, scelgo le penne a china. Cerco di scoprire un segreto. C’è un di-segnatore francese che credo utilizzi quelle penne. Io voglio disegnare comelui, o almeno, mettermi tecnicamente nella stessa condizione. Torno a casa.Provo le penne. Il tratto in effetti è simile a quello dei disegni del francese. Pro-vo a fare un orizzonte basso in terra desertica. Un personaggio con pantalo-ni a sbuffo che cammina nei pressi, indossa un cappello lungo in testa, di for-ma coloniale della colonia di Saturno. Faccio ombreggiature a tratto inter-mittente. È così che fa il francese. Provo a fare lo stesso. Crolla il morale.

Momento due. Ho diciassette anni. C’è un disegnatore italiano molto gio-vane e di incredibile talento, usa lo stesso tipo di ombreggiature del france-se, ma poi piega lo stile a mano sua e i suoi nasi hanno ombre autonome. Luici è riuscito. Provo. Forse la nuova penna a china mi potrà aiutare. Niente.

Ho passato tutta la mia giovinezza di disegnatore in sofferenze e ricerchedi questo tipo. La prima ossessione furono i disegni impareggiabili del fran-cese. Quel francese si era dato il nome di Moebius. Solo più tardi venne il cuo-re di Andrea Pazienza a tormentarmi. Credo che ogni disegnatore abbiacombattuto guerre simili. Guerre impossibili contro gli dei. Guerre d’amore,per lo più. Incontrai Pazienza negli anni Ottanta. Agli inizi. Scoprii così cheDio aveva gambe e braccia come me. La guerra poteva cominciare. L’amo-re, il nemico, erano stati identificati. C’era una speranza.

Momento tre. Quasi venticinque anni dopo. Sono in Francia. Ad An-goulême. Ho vinto un premio prestigioso e senza accorgermene sono già ca-

rico di presunzione. Sono in un hotel dove si entra solo con invito. A un tavo-lino, vicino a me, c’è Joann Sfar, un grande disegnatore francese, giovane. Ar-riva un uomo di una certa età, un signore dall’aspetto gracile e raffinato. Sisiede al tavolo con il giovane autore che non nasconde il suo piacere per l’o-nore ricevuto. Sfar mi chiama. Il mio francese è appena nato ma capisco. Mifa sedere al tavolo con lui e il signore anziano. Il signore anziano è Moebius.Lui era Dio per me. Voglio che lo sappia. Non so come dirlo, non in francese.Lo dico in italiano. Che cosa brutta: «Era» Dio. Era? Forse che Dio può avereuna scadenza, passare di moda? Essere superato? Ho appena vinto un pre-mio prestigioso e la vanità, senza che me ne accorga, ha già cominciato a ma-sticarmi l’anima.

Sfar mi chiede un disegno su un’agenda. Devo disegnare qualcosa, da-vanti a Moebius. Davanti a Dio. Grande imbarazzo. Ma sarò anch’io una star,un giorno. Ho vinto un premio prestigioso. Vanità. Disegno quindi, con unapenna sottile che non è a china ma dà un risultato simile. Ho questo stile didisegno, rappresento ogni parte dell’immagine con la stessa dimensione ditratto. L’uomo anziano, al tavolino, lo faceva quando avevo quindici anni.Adesso io ne ho più di quaranta. Faccio questo disegno, un personaggio dellibro che mi ha fatto guadagnare il premio. Moebius mi guarda e sorride. L’a-genda di Sfar ha una carta terribile, dove l’inchiostro non s’attacca e generaspiacevolissime goccette in testa e in coda a ogni tratto. Lo maledico, dentrodi me. E poi mi trema un po’ la mano, perché è mattina, ho fatto colazione dapoco e ho ancora sonno. Devo mettere gli occhiali. Sto facendo un esame conDio. Il personaggio fuma. Tiene la sigaretta alla bocca e aspira una boccata.Disegno mignolo e anulare quasi attaccati, per qualche motivo di stile chenon so spiegare non disegno divisione tra queste due dita, mignolo e anula-re sono una forma sola, per lo stesso vizio di stile non metto le unghie a que-ste due dita. Ecco. Una striscia di fumo dalla sigaretta fino al bordo della pa-gina e il disegno è finito. Dio lo guarda, prende la mia penna, sorride e ag-giunge sul foglio le unghie mancanti. Poi dice qualcosa in francese, che noncapisco, ma sorrido. Falso. Dentro di me la vanità, innescata da quel male-

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Il giorno che Dioaggiunseun tratto di china

PARADISOJean Giraud, in arte

Moebius. Sopra,

da sinistra, una tavola

di Arzach, un disegno

per La tempestadi Shakespeare

e ancora ArzachNell’altra pagina,

il Paradiso di Dante

secondo Moebius

detto premio prestigioso mi suggerisce che un vecchio ha fatto le unghie almio disegno, perché quel vecchio ha uno stile antico, sorpassato, che igno-ra il mondo contemporaneo, che si è scollato, che ha avuto il suo momentodi gloria e che è passato, e guarda come si manifesta, sulla carta, la sua di-stanza: due unghie dove non ce ne sarebbe alcun bisogno. Chi ha necessitàdi quel dettaglio? Cosa racconta? Cosa aggiunge? Il mondo è cambiato e ades-so siamo noi giovani a dettare le regole, a creare gli stili. Vanità.

Momento quattro. C’è un ragazzo a un tavolo. Per qualche motivo ignotoil suo cuore l’ha portato al foglio, lasciando l’Xbox, per un poco almeno, daparte. Sta disegnando. Ha comprato una penna nuova. Ha un libro di un di-segnatore francese con delle tavole di una bellezza accecante. Fissare losguardo a un singolo disegno è difficile. Poco male, comunque, è un fumet-to. Dopo un disegno ce n’è un altro. Il ragazzo guarda e si sofferma sulla ma-no di un personaggio che si è librato a mezz’aria. Si vedono lo scorcio del vi-so e la testa con un cappello da coloniale di Saturno. Le mani hanno anato-mie perfette, le dita sono in posizione sospesa, a suggerire movimento, persempre. Alla cima delle dita ci sono unghie ben definite. Il ragazzo prova a ri-farle. Non riesce. Soffre e l’Xbox lo chiama come una sirena senza pensieri.Ma lui resta al tavolo da disegno. Ci riprova. Ama quel disegnatore francese.Tutto quel talento, lo ama tanto da detestarlo con tutto il cuore. Un giorno.Continuando a provare. Un giorno riuscirà.

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VITTORIO ZUCCONI

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Quando Don Corleonescoprì l’America

LA FAMIGLIA

Marlon Brando:Don VitoCorleone,“il padrino”

Al Pacino:MichaelCorleone,figlio del padrino

James Caan:SantinoCorleone,detto “Sonny”,figlio del padrino

RichardCastellano: Peter Clemenza, un capo clan

John Cazale:Fredo Corleone,figlio del padrino

Sterling Hayden:Il capitano McCluskey,poliziottocorrotto

John Marley: Jack Woltz, il produttoredi cinema

Richard Conte:Emilio Barzini,secondo bossdopo il padrino

Diane Keaton:Kay Adams, la fidanzata di MichaelCorleone

Quarant’anni fausciva nelle saleil capolavorodi Coppola

Per milionidi immigratifu confermatal’equazioneitalianouguale mafiosoMa per tuttigli altri fu la finedi ogni ipocrisia

IL BOSSNella foto grande,Marlon Brandoè Don Vito Corleone;in alto, la famigliadel padrino in una scenadel film; sotto, Al Pacino,Brando, James Caane John Cazale e a destra, la morte di Sonny(James Caan)

Spettacoli

MARLON

BRANDO

AL

PACINO

JAMES

CAAN

RICHARD

CASTELLANO

JOHN

CAZALE

STERLING

HAYDEN

JOHN

MARLEY

RICHARD

CONTE

DIANE

KEATON

Cosenostre

WASHINGTON

Tom Santopietro aveva diciotto anniquando le luci si spensero nel cine-ma di Waterbury, nel Connecticut, equalcosa si accese dentro di lui. Era il

marzo 1972, e la voce dolente del becchino Ame-rigo Bonasera si alzò dalla prima sequenza de TheGodfather per chiedere vendetta a Don Vito Cor-leone: «I believe in America.... credo nell’America,l’America fece la mia fortuna...» cominciò il bec-chino, mentre il don lo ascoltava accarezzandocon sinistra dolcezza un gattino. «Andiamo via»disse la madre di Tom, ma lui non si mosse.

Era figlio di un siciliano e di una mamma ingle-se, Nancy, e per le quasi due ore del film, mentrela madre inorridita gli ripeteva «andiamo via,Tom, andiamo via» rimase inchiodato da quelloche quarant’anni anni più tardi avrebbe chiama-to in un suo libro: The Godfather Effect, “L’effettodel Padrino”. Fu qualcosa di molto più travolgen-te dell’effetto di un capolavoro del cinema. Fu lascoperta di una verità confusa impastata di ri-brezzo e orgoglio, seduzione e repulsione: capìche cosa avesse significato essere italiani emigra-ti in America. Quanto terribile fosse stata l’espe-rienza dei suoi nonni siciliani gettati nel crogioloamericano, tra il disprezzo, la miseria, il rifiuto so-ciale, il ghetto e la tentazione del crimine. Ag-grappati soltanto alla famiglia, per restare a gallae per andare a fondo.

Per miliardi di spettatori in tutto il mondo — IlPadrino Uno e Due sono stati doppiati anche inlingua tamil — la saga immaginaria della famigliadi Vito Andolini, trasformato in “Corleone” dauno sprezzante funzionario dell’immigrazione aEllis Island, è stata e continua a essere un meravi-glioso prodotto cinematografico, il meglio diquanto abbia saputo sfornare Hollywood tra fo-tografia, regia, recitazione e le onde puccinianedel grande Nino Rota. Ancora fresco, una genera-zione dopo il suo lancio, come un dipinto d’auto-re che ancora odori di vernice. Ma per milioni diamericani di sangue italiano, visti come mac-chiette incapaci di pronunciare correttamente ler e le th dell’inglese, quell’opera fu la rivelazionedi qualcosa che andò molto oltre, come Coppolastesso ammise, le intenzioni del regista, degli at-tori, della Paramount che lo distribuì.

A distanza di decenni può apparire incredibileche durante la produzione molte associazioni diitaloamericani avessero protestato preventiva-mente e tentato di bloccare Coppola. La Lega pergli Italian American Civil Rights organizzò corteidi indignati davanti agli studi della Paramountper chiedere che la produzione fosse abbando-nata perché «avrebbe rafforzato l’identificazioneitaliani uguale mafiosi». I Sons of Italy, i Cavalieridi Colombo, le comunità locali di nostri emigratiminacciarono picchettaggi davanti ai cinema chel’avessero proiettato. Non avevano completa-

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ruttibili i poliziotti, i politicanti, i giornalisti, i giu-dici che Don Vito «porta in tasca» come lo rim-provera il «turco» Sollozzo. Corrotto è il grande ca-pitale finanziario, come spiega il Don quando av-verte che «in America si deve fare come i Rocke-feller, prima rubare i soldi e poi distribuirli in be-neficenza». E alla fine sono più sinceri, nella lorobrutalità, gli stessi boss e i loro uomini, che nonperdonano tradimenti, doppiezze e infamità.

È, quella dei Corleone, un’epopea completa-mente fittizia che solo vagamente si ispira alle cin-que famiglie di New York. Se è penetrata nella cul-tura americana è perché nella fiction raccontavala verità, al punto di introdurre espressioni nel lin-guaggio comune: «Gli farò un’offerta che non po-trà rifiutare»; «Tieni i tuoi amici vicini, ma i tuoi ne-mici ancora più vicini»; «Non prendere mai posi-zione contro la famiglia»; «Sono sempre i più in-telligenti quelli che tradiscono». Nessun mafiosole aveva mai usate, ma anche i bravi ragazzidi Co-sa Nostra le adottarono, dopo averle ascoltate sulset nel quale i produttori, Coppola, gli attori, so-prattutto James Caan, “Santino”, l’erede violentoe rozzo, li avevano invitati per copiarne i tic e lemosse. Parole come don, omertà, caporegime,consigliori, il consigliere, sono divenute comuni.

Mai i quasi venti milioni di dollari spesi per pro-durre i primi due film (sul Padrino parte 3 ammi-ratori e critici preferiscono sorvolare) hanno resotanto in termini di influenza culturale.

Il quasi mezzo miliardo di dollari incassato aibotteghini, i nove Oscar tra il primo e il secondo,la replica della saga che un canale televisivo ame-ricano ha messo in onda ininterrottamente perventiquattr’ore, con le versioni non tagliate, nonhanno mai dato la misura umana dell’effetto Pa-drino.

«Ho capito vedendolo — ha detto Tom Santo-pietro— io che ero figlio di una middle classe cre-sciuta nei sobborghi, educata nelle scuole priva-te con blazer blu e calzoni grigi, che cosa volessedire mio nonno quando mi parlava tanto di fami-glia. Non ho mai sognato per un solo istante diimitare Don Vito, di organizzare traffici illegali, ditagliare la testa a cavalli per intimidire. Ma anco-ra quarant’anni dopo, quando vedo MarlonBrando dare ad Al Pacino gli ultimi consigli primadi morire e poi rincorrere il nipotino tra le piantedi pomodori, quando vedo De Niro rifiutare la ca-rità di una scatola di cibo, ma portare alla moglieuna bella pera, mi si gonfiano gli occhi. Penso aquanta strada abbiamo fatto, noi italoamericani,e quanto quella strada sia stata terribile per accet-tare la nostra eredità e diventare quello che siamooggi». Oggi, due dei nove giudici della Corte Su-prema sono italoamericani. Le famiglie italiane,quelle vere, hanno impiegato più di cent’anni, masono diventate completamente legittime.

mente torto. L’equazione italiano uguale mafio-so è qualcosa che chiunque abbia vissuto o viagginegli Stati Uniti conosce ancora oggi fin troppobene. La “maledizione della vocale”, quella chealla fine del cognome ti identifica come italiano,ancora accende negli occhi degli interlocutori lapiccola spia della domanda indicibile: «...Sarà mi-ca anche lui....?». Nel 2009, quando già Cosa No-stra, o the Mob, il crimine organizzato, era già datempo lontana dal suo zenith, uno studio dell’Fbiindicava che gli americani di origine italiana, il seiper cento della popolazione Usa, erano respon-sabili dello 0,00782 per cento dei reati. Eppure il74 per cento delle persone, tre americani su quat-tro, secondo l’autorevole società demoscopicaZogby, erano — e probabilmente sono — convin-ti che ancora gli italoamericani conservino qual-che legame con Cosa Nostra.

Ma se l’Effetto Padrino è stato quello di scolpi-re per sempre nella cultura popolare il bassorilie-vo della famiglia italiana mafiosa, il paradosso èquello che Tom Santopietro avvertì nel buio delcinema nel Connecticut: la definitiva america-nizzazione dell’esperienza italiana, la sua assimi-lazione al mainstream. Tanto nel libro di MarioPuzo, dal quale il primo film è tratto, quanto nel-l’adattamento cinematografico, il filo del disin-ganno, dello scetticismo, della delusione per lapromessa dell’America è la vera morale segretadell’opera. La “famiglia” è certamente criminale,ma il mondo che la circonda non è migliore, è sol-tanto più mellifluo e ipocrita. Sono corrotti o cor-

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Foto di famiglia con Oscar

ERNESTO ASSANTE

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‘‘AmiciGli amici tieniteli stretti ma i nemici ancora di piùI nemici sono dappertutto, MichaelAnche io potrei essere un tuo nemico

Don Vito Corleone

SAN FRANCISCO

Nel cuore della Napa Valley, a qualche decina di chilometri da San Francisco, FrancisFord Coppola ha una grande tenuta, con una magione e un vigneto dal quale produce un ec-cellente vino. La magione, che fino a pochi anni fa era la sua casa, oggi è meta di fan e di ap-passionati, che vanno al Rubicon Estate per assaggiare il vino, passeggiare nel parco e man-giare nel bellissimo ristorante. Ma soprattutto fare un giro in quello che è un vero e propriomuseo del cinema dove è possibile trovare memorabilia legati a tutti i film che Coppola ha rea-lizzato o prodotto e, ovviamente, molti riguardano la saga del Padrino. «In realtà tutto il Ru-bicon è figlio di quel film. È stato con i guadagni del Padrino che ho potuto comprare questaproprietà», scherza Coppola.

Entrando nelle stanze al piano superiore della casa ci si presenta davanti agli occhi tutta lamagia del cinema. Innanzitutto le cinque statuette dell’Oscar che Coppola ha vinto propriocon la saga di Don Vito Corleone, due per il primo film (miglior film e migliore sceneggiaturanon originale, scritta da lui e da Mario Puzo) nel 1972, e altri tre (miglior film, miglior regia, mi-gliore sceneggiatura non originale) con il secondo film nel 1975: eccole brillare in una teca ac-canto alla copia scritta a mano di alcune note di regia, alle foto scattate sul set, al manoscrittodella colonna sonora realizzata nel 1975 (premiata con un altro Oscar) da Nino Rota e dal fra-tello di Coppola, Carmine. E poi, in bella mostra in un’altra stanza, addirittura la scrivania diDon Vito Corleone, quella utilizzata nei film, dietro la quale si sono seduti Marlon Brando pri-ma e Robert De Niro poi, vincendo entrambi l’Oscar come migliore attore. E poi ancora, eccouna parte delle armi utilizzate nei film, gli abiti indossati da De Niro e da Al Pacino, il ciak uti-lizzato nel primo capitolo della saga.

Ma se ancora tutto questo non fosse abbastanza bisogna tornare a San Francisco e arriva-re nel cuore di Little Italy, dove sui tavolini del Caffè Trieste o nelle stanze della City Light Book-store di Lawrence Ferlinghetti, Francis Ford Coppola ha scritto gran parte della sceneggiatu-ra del Padrino. A pochi metri da qui c’è il Zoetrope Cafè, di proprietà del regista, al piano ter-ra dei suoi uffici di produzione, dove si possono trovare altri oggetti, foto, poster legati al film.Nel sottoscala del locale c’è un piccolo studio di montaggio che Coppola ancora oggi usa spes-so. Ed è lì che sono conservate le pizze, le copie in pellicola dei suoi film. Compresi i tre gran-di capolavori che raccontano la storia di Don Vito Corleone e della sua famiglia.

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Occhiali che ricevono informazioni direttamentedal web, bracciali bluetooth, ciondoli mp3,“tatuaggi” cerca-bambini, zaini con schermi a ledGli smartphone non bastano più: arrivanogli accessori pensati per la nuovabanda larga e per non restaremai fuori dalla Rete

NextiDress

Il commento più entusiasta è di Wil-liam Brinkman, direttore del diparti-mento di computer science andsoftware engineeringalla Miami Uni-versity: «Sarà molto strano guardarele persone che indosseranno quegli

occhiali. Non potremo sapere cosa stannoguardando. Eppure vedremo milioni di per-sone interagire, magari perfino schivare, lamoltitudine di oggetti virtuali che li circon-derà. Un linguaggio del corpo completa-mente nuovo». Ecco cosa potrebbe accade-re con l’ultimo progetto di Mountain View,partorito dai suoi laboratori più segreti chia-mati Google X. Occhiali per la realtà virtualedotati di schermi trasparenti, fotocamerafrontale, microfono, gps. Il primo fra i tantidispositivi da indossare che a breve arrive-ranno sul mercato. Già altri in passato s’era-no messi a progettare bracciali che proietta-no ologrammi. O hanno addirittura lancia-to tatuaggi adesivi, leggibili con losmartphone, da applicare ai bambini: con-tengono le informazioni necessarie percontattare i genitori nel caso si perdessero.

È un sogno vecchio di diciannove anni.William Gibson, il padre del cyberpunk,pensava sarebbero diventati oggetto d’usocomune nel 2005, come scrisse nel suo ro-manzo Luce virtuale del ’93. E invece gli ap-parecchi che proiettano un’ombra digitaletangibile sul mondo arrivano solo ora. Entroquest’anno. L’unica vera forma di tecnolo-gia da indossare. Fino a ieri si è scherzato:prototipi o prodotti di nicchia con una po-tenza di calcolo relativa, sempre troppo in-gombranti o costosi da inserire in una ma-glietta o in un giubbotto. Salvo i visori dellaRecon Instruments di derivazione militare.Gli stessi adoperati dalle forze speciali ame-ricane. Ora li usano per le maschere da sci oda mountain bike. Mentre scendi ti forni-scono informazioni su velocità e pendenza,quando rientri ricostruiscono su mappe sa-tellitari le tue peripezie.

Che le cose stiano cambiando lo dimo-strano non solo il progetto di Google o le spe-rimentazioni fatte dall’Istituto europeo didesign di Roma finanziate da un colosso co-me la Luxottica che vanno nella medesimadirezione. C’è un altro fattore, chiamato Lte.È la rete di telefonia mobile di quarta gene-razione che in Italia dovrebbe arrivare a fineanno ed è già attiva in Nordamerica, Coreadel Sud, Giappone, Paesi scandinavi e balti-ci, Germania e Australia. Acronimo di LongTerm Evolution, ha una velocità effettiva

dieci volte superiore a quella attuale. Que-sto significa poter guardare in mobilità unfilm in alta definizione in streaming, oppu-re avere in tempo reale informazioni detta-gliate su quel che ci circonda. Magari elabo-rate da uno smartphone. Al Mobile WorldCongress di Barcellona di fine febbraio, lagrande novità erano i modelli con processo-re a quattro core che hanno poco da invidia-re a un notebook di fascia media. Significaavere in tasca una capacità di elaborazionefino a ieri inimmaginabile, capace di con-servare memoria di tutto quel che facciamoe di dialogare con una infinità di nuove pro-tesi: chip sottili come un capello da applica-re sulla pelle per tenere sotto controllo leproprie condizioni fisiche; sim inserite negliindumenti per chiamare o fruire di servizigeolocalizzati; zaini dotati di sensori eschermi oled per trasmettere messaggi,bracciali fatti di solo display led che cam-biano colore secondo l’umore o le tonalitàdel cappotto indossato.

Ma sono gli occhiali di Google a tentarel’operazione più ambiziosa: fondere defini-tivamente Internet e la realtà. Qualcheesempio? State guardando allo stadio unapartita di calcio e potrete sfogliare le statisti-che dei singoli giocatori, i video delle azionio gli schemi tattili. Il tutto infarcito da tan-ta, tantissima pubblicità. Google, delresto, non è un’associazione dedita al-la beneficenza. Ma al di là delle rica-dute commerciali, questi occhialirendono possibile una serie di tra-sformazioni profonde, perfino sullalettura. «Da quando la letteratura èandata su tablet e smartphone, di-spositivi che hanno un gps, leggereL’uomo senza qualitàdi Robert Musila Vienna è un’esperienza completa-mente diversa», spiega Anatole Pier-re Fuksas, ricercatore dell’universitàdi Cassino, esperto di filologia ro-manza. I primi esperimenti risalgonoal 2007 quando Nokia acquistò Nav-teq, specializzata in carte e navigazio-ne satellitare, per otto miliardi di dol-lari. I finlandesi avevano letto il saggiodi Fuksas La geografia del Roman de larose, volevano sapere se era applicabi-le alla letteratura contemporanea. «Fuuna sperimentazione», ricorda Fuksas.«Perché la letteratura in fondo è la prima for-ma di realtà aumentata». E a fine anno, vienda dire, la si potrà perfino indossare.

PER BAMBINISafetyTat, il tatuaggioper bambini in venditain America a 10 eurocirca: oltre allo spazioper scrivere il numerodi telefono dei genitoriha un codice che vieneletto dai cellularidove inserire indirizzo e persone da contattare

IL BRACCIALEIl futuro dei gioielli, o qualcosadel genere. Opera del designerindiano Biju Neyyan, eJoux si collega via bloutooth al cellulare da dove si possono trasferire frasi, colori,secondo le occasioni e gli stati d’animo

Al polso o agli occhil’hi-tech da indossare

JAIME D’ALESSANDRO

LE SCARPELe hanno chiamate Hermese le hanno progettate al Cnrdi Pisa. Possono ricaricarele batterie di un cellulare o di altridispositivi hi-tech grazie alla forzacinetica e a un meccanismonascosto nel tacco

IL PENDENTECiondolo a led che si connettevia bluetooth al cellulare o al portatilePuò gestire le telefonate, il volume,la libreria di file mp3. Progettatoda Tokyo Flash, è già in produzione

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Dall’inglese augmented reality,è l’arricchimento della percezionesensoriale con informazioniricevute mediante dispositividigitali. Informazioni che nonsarebbero visibili a occhio nudoe che si sovrappongono al reale

Realtà aumentata

Significa stabilire la posizionegeografica nel mondo realedi un oggetto, come un tablet,uno smartphone, un lettoredi libri digitali utilizzando il gpsintegrato ormai in un grannumero di device hi-tech

Geolocalizzazione

Corrente letteraria nata negli anniOttanta. Il termine, l’unionedi cibernetica e punk,è dello scrittore americano BruceBethke. Ma è con i romanzidi William Gibson e Bruce Sterlingche il genere diventa popolare

Cyberpunk

Acronimo di Long Term EvolutionÈ la rete per la telefonia mobiledi quarta generazione. Già attivain molti paesi, dovrebbe arrivarein Italia entro fine anno. Permetteun trasferimento dati dieci voltesuperiore rispetto al 3G

LTE

Sono i processori a quattro“cuori”, l’anima dell’ultimagenerazione di dispositivi mobilicome smartphone e tabletLa loro potenza è ormaipari a quella di un computerportatile di fascia media

Quad Core

IL TATUAGGIO

Un circuito stampato impresso sulla pelle,più sottile di un capello e che rileva i segnivitali della persona che lo indossa. Avrà un utilizzo prevalentemente medico

L’OLOGRAMMA

Un computer da polso con proiettoreolografico capace di collegarsi al webe di avere tutte le funzioni di un pc. Halo 2.0si ricaricherà con il movimento del braccio

GLI OCCHIALI

Il plastico qui sopra è un esempio di realtà aumentata visibile con gli occhialiche Google dovrebbe lanciare entro fine anno. Hanno una fotocamerafrontale, microfono, gps e sono dotati di sistema operativo Androidper ricevere informazioni di qualsiasi tipo dal web

L’ABITO

Un vestitocon scheda sim integrataTra tanti prototipiè quello più facileda realizzare oggiModello inventatodalla stilistaFrancesca Rosella

WILLIAM BRINKMAN

Direttore dipartimento di computer science and software engineering alla Miami University

Non potremo sapere cosa stanno guardando Eppure vedremo milioni di persone interagire con la moltitudine di oggetti virtuali che li circonderàUn linguaggio del corpo completamente nuovo‘‘

LO ZAINO

Si chiama Seil Bage lo ha realizzatoil designer coreanoLee Myung: ha uno schermo a led che si collegaal cellulare e puòvisualizzare simboli e frasi

GLOSSARIO

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Povera di ingredienti di lusso, ma ricca di gusto. Scarsa di caloriema appagante. Dalla specialità di Recco, che a fine mese riceveràil marchio Igp, alla cima e alla zuppa di pesce,la gastronomia

che si sviluppa lungo la costa di Levante è perfetta

per la remise en forme primaverile.Fritti compresi

I saporiNon solo pesto

Gente di riviera, dicono. Come se vivere in riva al mare fosse uguale per tutti. InLiguria, per esempio, c’è riviera e riviera, con Genova a fare da spartiacque e duecucine diversamente ispirate ai lati. Quella di Levante a fine mese festeggerà lafocaccia di Recco, finalmente promossa al privilegio dell’Igp (indicazione geo-grafica protetta). Un piatto godurioso a blandire gli spigoli di una geografia ali-mentare e di vita non proprio facilissime. Via dagli accessi al mare, infatti, il Le-

vante è zona di terrazze e pendenze: difficile allevare bovini, meglio lasciar brucare chi ha zam-pe agili e passo di montagna. I formaggi si fanno con il latte di capra e di pecora, in forme pic-cole, talvolta sovrapposte. Gli orti sono grandi come fazzoletti, la terra non regala nulla, la fati-ca di coltivare è doppia, i raccolti misuratissimi. Seguendo la mappa gastronomica che cor-re lungo la costa, si va dal pesto al pane di patate: nei menù, poca carne e tanto pesceazzurro, niente spezie ma erbe a profusione.

A voler giocare con la cucina degli ossimori, quella ligure di Levante riesce perfetta.Povera di ingredienti lussuosi, eppure ricchissima di gusto. Scarsa di calorie e appa-gante come poche altre. Antichissima — gli ulivi qui sono arrivati cinquemila anni fa— eppure moderna come nemmeno i ricettari della dieta Dukan. Mentre a Ponente leraffinatezze figlie del dominio dei Doria, dei traffici dei grandi porti e della vicinanza conla Francia hanno ammorbidito i ricettari, tra golfo del Tigullio e Cinque Terre i cibi con-servano — ed esaltano — la scontrosa grazia dei paesaggi in cui nascono. Se son zuppe, gli

ingredienti si sommano senza orpelli, da quelle di pesce — ciuppin, buridda— alla sbira(a ba-se di trippa), fino al minestrone genovese, cui si concede il lusso di una cucchiaiata di pesto. Seè carne, si sfruttano le parti meno nobili, come la pancia di vitello tramutata in tasca da riem-pire ancora con parti povere (animelle e cervella soprattutto) per preparare la magnifica cima.Le proteine vegetali dei legumi — alimenti poveri per antonomasia — sono d’obbligo in mol-tissime ricette. Perfino le farine paiono di risulta — ceci, castagne, farro — salvo firmare alcunidei piatti più amati da grandi e piccini, dalla farinata ai testaroli. Il risultato è una cucina sana,semplice, saporita e a basso indice glicemico (quello che dà il clic al senso di fame e all’utilizzodei grassi), perfetta per la remise en forme primaverile. Unica, sacrosanta eccezione, il fritto,che abbraccia più o meno l’intero ventaglio degli ingredienti locali: fiori di zucca e carciofi, fun-ghi e formaggelle, acciughe e novellame. «Fritta è buona persino una scarpa», recita un vecchiodetto genovese, a maggior ragione con l’extravergine ligure, sintesi di qualità organolettiche eresistenza alle alte temperature, che non caratterizza né appesantisce la cottura. Approfittatedelle vacanze di inizio aprile per regalarvi una gita nel golfo del Paradiso e accedere ai misterigloriosi della Pasqualina, trentatré sfoglie con verdure a go-go assemblate nella torta vegeta-riana più buona del mondo. Un bicchiere di Vermentino dei colli di Luni benedirà il pranzo.

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Ciuppin

Per la zuppa di pesce seppiee pesci vari spezzettati,insaporiti con cipolla rosolata,sfumati con vino biancoe pomodoro. Alla fine,prezzemolo e crostoni

C’è Liguria e Liguria

Cucina

Cima

Sacca di carne di vitelloDentro, polpa, mammella,cervella, piselli, funghi, pinoli,uova, mollica, formaggiSi gusta affettata fredda,dopo bollitura

Frittelle

di gianchettiIl novellame di acciughee sardine caratterizza i frisceu:

pastella con uovo, farina,acqua, prezzemolo e aglioFrittura in extravergine ligure

Focaccia

di ReccoAcqua, olio, sale e farina per l’impasto da dividere in due steso sottile. In mezzo,crescenza a pezzi e superficieoliata, bucherellata e pizzicata

Farinata

Sottile e croccante, si preparacon la farina di cecistemperata in acqua e saleDopo il riposo, in fornocaldissimo nella teglia di rame stagnato ben oliata

Bagnum

di acciugheSoffritto di cipolla e aglioin cui insaporire il pesce pulitoPoi, pomodoro, sale e vinobianco. Dopo breve cottura,si versa su gallette di pane

Trofie al pesto

Gnocchetti irregolari di pasta, bolliti con fagiolini e patate e conditi con salsa a base di basilico Igp, pinoli,Parmigiano, pecorino ed extravergine

Riviera

LICIA GRANELLO

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Repubblica Nazionale

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DOMENICA 11 MARZO 2012

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DOVE DORMIRE

AGNELLO D’OROVico delle Monachette 6GenovaTel. 010-2462084Doppia da 60 euro, colazione inclusa

AL CONVENTO (con cucina)Piazza Regina MargheritaLocalità Vezzano Ligure (La Spezia)Tel. 0187-994444Doppia da 100 euro, colazione inclusa

HOTEL DEI DUE MARIVia Coro 18 Sestri Levante Tel. 0185-42695Doppia da 120 euro,colazione inclusa

DOVE MANGIARE

OSTERIA DELLA CORTEVia Napoli 86La SpeziaTel. 0187-715210Chiuso lunedì a pranzo, menù 25 euro

LA FORCHETTA CURIOSAPiazza Negri 5RGenovaTel. 010-2511289Chiuso lunedì sera,menù 30 euro

OLIMPO (con camere)Via Chiusa 28 Sestri Levante Tel. 0185-42661Chiuso mercoledì, menù 35 euro

DOVE COMPRARE

PRODOTTI TIPICI E. V. O.Via Galata 46RGenovaTel. 010-542019

SPECIALITÀ ARTE BIANCAVia Sapri 75La SpeziaTel. 0187-733858

BOTTEGA DEL VINO Via Nazionale 530 Sestri Levante Tel. 0185-43349

PAN E VINVia Fieschi 123Corniglia (La Spezia)Tel. 0187-812541

Cappon magroInsalata con base di paneraffermo, su cui a stratisi appoggiano pescee verdure (fagiolini, carote,patate, cavolfiore) conditicon salsa d’acciughe

LA RICETTA

Ingredienti per 4 persone

200 gr. di legumi misti secchi1/2 kg. di pomodori di Pachinoben maturi1 kg. di pesce di paranza1 rametto di rosmarinoolio extravergine liguresale e pepe

Mettere a bagno i legumiper mezza giornata, poi bollirliUna volta scolati, stenderlisu una teglia oliata e cuocere quindici minuti a 180 gradi, fino a renderli croccantiPreparare una buona salsa di pomodoro densa e profumatacol rosmarinoPulire e sfilettare il pesce, salare, pepare, condirecon un filo d’olio e infornare per dieci minuti a 200 gradiVelare la fondina con la salsa di pomodoro, aggiungere la mesciua di legumi e i filetti di pesce

Mesciua croccante

Luca Collami gestisce con la moglie Barbara il ristorante Baldin,a Genova Sestri,dove pesce, verdure e focacce sono la firmadi una cucina saporitae moderna, comein questa ricetta pensataper i lettori di Repubblica

Sulla strada

Ognuno ha la focaccia che si meritaFABIO FAZIO

La focaccia ha un valore proustiano per noi li-guri. Da quando abito a Milano la mangio so-lo se me la portano gli amici. In questo cam-

po sono un vero no global: nel senso che la focacciava mangiata solo in Liguria, oppure se dalla Liguriaarriva. Che volete, mi ricorda l’infanzia, ha il sapo-re di casa, tagliata a quadretti nel cestino del pane,mangiata a colazione, a pranzo, a merenda, a cena— anche se sono nato a Savona dove invece si fa lafarinata. Chiaro, con lei ciascuno ha il suo rappor-to, ma l’importante è che sia autentica.

La focaccia va comprata al mattino, possibil-mente in Vespa. E va mangiata subito, appena usci-ti dal forno. E non c’è forno ligure che non la faccia,neppure nei paesi più piccoli. Nei carrugi puoi sen-tirne il profumo, basta seguirlo per trovare il forno.A Recco si prepara quella famosa al formaggio, lafanno solo lì, e consiglio vivamente di assaggiarla

da Vittorio: la sua è davvero la più buona del mon-do, se ne è occupato persino il critico gastronomi-co di Vogue America. E lo capisco: è unica.

Del resto ogni ligure pensa che la sua sia la fo-caccia più buona e saprebbe indicarti il forno giu-sto in cui comprarla. Io dico che ognuno ha la fo-caccia che si merita. Succede un po’ come con il ge-lato, ognuno ha la sua di gelateria, e poi c’è chi amail gusto classico e chi invece si avventura. Ma qui ildiscrimine diventa invalicabile. Per me la focacciaè rigorosamente bianca, e va mangiata da sola. Soche qualcuno la condisce o ci mette sopra una fet-ta di prosciutto, ma queste sono aberrazioni — co-sì come non trovo accettabili quelle con le olive: masiamo matti? La variante con le cipolle la tollero ap-pena.

(Testo raccolto da Silvia Fumarola)

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Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 44

DOMENICA 11 MARZO 2012

Figlio d’arte, debutta sul grandeschermo a quattro mesi. E orache ha sessantatré anni, una moglie(sempre la stessa), tre figlie

e cinquanta filmsulle spalle si guardaindietro e dice:“Io avrei volutofare musicaHo impegnatoanni a cercare

di svicolare a un destinogià scritto.Ma non ci sonoriuscito. E forse va bene anche così,visto la gran bella vita che faccio”

PARIGI

Vien da pensare a Alice eal Gatto del Cheshire(“...ho visto talvolta ungatto senza sorriso, ma

mai un sorriso senza gatto...”). Anchein quel gattone di Jeff Bridges, la piegabeffarda diventa alla lunga così abba-gliante da dar l’impressione d’evapo-rare, staccandosi dalla faccia per so-spendersi a mezz’aria: non s’è mai vi-sto Bridges senza sorriso, talvolta si ve-de il suo sorriso senza Bridges. Il suo fi-sico ha un’altra specialità. Sa esserescivoloso, liquido, robusto ma molle:un rolling Bridges che ha raggiunto l’a-poteosi nel personaggio di Dude, or-mai suo soprannome universale, ne IlGrande Lebowski. Anche adesso, suldivano d’hotel dove cerca continua-mente di riconquistare una posizionedegna, non fa che srotolarsi pian pia-no nel sofficiume che l’avvolge, fino aritrovarsi, inavvertitamente, come nelfilm dei fratelli Coen, in orizzontale: al-tra figura carrolliana, l’HumptyDumpty di precarietà ovale, sodo dinatura e a vocazione oscillatoria. A ses-santatré anni, è come sempre sballot-tato da un film all’altro e, come sem-pre, ripete l’eterno, capriccioso ritor-nello: «Continuo a recitare, ma nonavrei mai voluto fare l’attore». Tre lenuove pellicole, presto sugli schermi:

il poliziesco Safe House di Daniel Espi-nosa, con Denzel Washington, lo zom-bi-poliziesco di Robert SchwentkeR.I.P.D. (Rest in Peace Department)dalla graphic novel di Peter Lenkov ePablo, biopic con animazioni sul gra-fico Usa d’origine cubana Pablo Ferro,settantatré anni, da Kubrick già saluta-to «padre del look anni Sessanta e del-l’estetica Mtv». Tre film nel giro di po-chi mesi, all’indomani di True Grit, so-dalizio-bis con i Coen, e Tron: Legacy,a ventotto anni dal primo. Non maleper uno che non avrebbe «mai volutofare l’attore». «C’è chi benevolmenteha descritto la mia carriera come il pre-valere del talento sulla forza d’iner-zia», risponde Bridges, sprofondandosempre più tra i cuscini: «Ma non sonoun pigro, tutt’altro. Oltre che al cine-ma, mi dedico alla musica, alla cera-mica, alla fotografia. Confesso peròche ogni volta farei di tutto per non tor-nare su un set. Perché so che cosa com-porta: rimanere lontano dalla famigliae impegnarsi così intensamente suqualcosa da ignorare tutto il resto. Gi-rare un film mi svuota: perciò deve es-sere capace di coinvolgermi davvero.Se mi volto indietro, mi meraviglio ditrovarmi dentro un mucchio di film dicui non m’ero nemmeno accorto. Etutti, da spettatore, me li guarderei conpiacere». Sono più di cinquanta, in quarant’an-ni di set, dal magnifico L’ultimo spetta-colo di Peter Bogdanovich, sua primanomination all’Oscar a soli ventidueanni, a Crazy Heart di Scott Cooper,quinta nomination e prima statuetta(2010). «Ho girato un film dietro l’altroprima di abituarmi all’idea che recita-re sarebbe stato il lavoro della mia vita.Non ho però mai abbassato la guardia.Prima del King Kong di Guillermin, misono dato malato, mi sono guardato acasa tranquillo l’originale del 1933 diCooper-Schoedsack, che mi ha guari-to e fatto accettare. Mi piace pensareche ogni mia scelta risulti da un’inca-pricciatura».

È un caldo rollìo la voce di Bridges,un suadente ronron che induce alle fu-sa chi l’ascolta, interrotto da regolariinterrogativi in cerca d’assenso: «Eh?».Ma c’è una passione che avrebbe po-tuto incatenare Bridges più del cine-ma? «Certo, la musica, fin da bambino.Crazy Heart mi ha calamitato per la

possibilità che avrei avuto di cantare inun film, oltre che di lavorare con il pro-ducer della colonna sonora, T-BoneBurnett, e Stephen Bruton, miei vec-chi amici. Nel Montana ho in casa unostudio di registrazione, dove ho incisoundici anni fa un album di pezzi tuttimiei. E di recente mi sono esibito in unvarietà con Burnett, Elvis Costello e El-ton John. Sto anche preparando un se-condo album». Come i suoi dischi, pu-re la casa nel Montana, costruita pez-zo a pezzo con le scene d’un set, è unacompilation: «Sì», ride «il mio ranchnasce dallo smantellamento delle co-struzioni, bordello incluso, dei Can-celli del cielo, che mi sono trasportatoper oltre quattrocento chilometri. Hosempre voluto prendere le distanze daHollywood. Fin dal 1994, l’anno del di-sastroso maremoto, quando ho lascia-

to Los Angeles per trasferirmi a SantaBarbara». Anche la sua famiglia è unasolida costruzione, autentica raritànella Hollywood dei continui viavaiconiugali: «È da ormai trentacinqueanni che Susan e io ci godiamo un lun-go e felice matrimonio. Ci eravamo in-contrati nel 1974, durante le riprese diRancho Deluxe nel Montana, dove cisiamo accasati, senza che mai mi pas-sasse per la testa l’idea di sposarla. Unbel giorno, mi ha annunciato: «Il mioorologio biologico si sta arrugginen-do». Un minuto dopo eravamo maritoe moglie. Era il 1977. Non mi chiedaqual è il segreto d’un matrimonio “alunga conservazione”. Una volta ho ri-sposto con una battuta: basta non di-vorziare. Abbiamo messo al mondo trefiglie, a intervalli di due anni l’una dal-l’altra: Isabelle, psicologa infantile,Jessie, musicista, mia assistente inTrue Grit, e Hayley, futura designer».

Bridges è anche “papà” di The BigLebowski, raro caso di film camaleon-tico, che ha finito per assomigliare al-l’interprete, suo attore-autore, ac-compagnato dal 1998 da un’ondata dicrescente entusiasmo, come evoca lamonografia di J.M.Tyree & Ben Wal-ters, ora edita in Francia da G3j: «Ethane Joel Coen mi hanno sempre detto cheil mio modo di recitare nella loro pelli-cola era del puro anti-Stanislawski:non ho ancora capito se fosse un rim-provero o un complimento. E spetta-tori preparati hanno avuto l’impres-sione che nei dialoghi io pensassi più aLennon che a Lenin. Tuttavia, negliUsa, film e personaggio sono assurtivelocemente ai vertici del culto: ognianno, si svolge il “Big Lebowski Festi-val”, i cui partecipanti si radunano tut-ti vestiti come me, bermuda e vesta-glia». Il cinema, con cui ha giocherella-to senza troppo crederci, le ha datoqualche soddisfazione extra-set? «Datempo metto a frutto il privilegio diguadagni e celebrità: nel 1983 ho fon-dato la “No Kids Hungry”, cercando dinon limitarmi a spandere un po’ di sol-di in giro, tanto per liberarmi dei sensidi colpa. Ho voluto affrontare un veroruolo, quello di promotore d’una cam-pagna contro la fame dei bambini quinegli Stati Uniti. Ci sono diciassettemilioni di bimbi affamati nel mio Pae-se, uno su quattro. Se un’altra nazionefacesse questo ai nostri figli, sarebbe

subito guerra. E invece qui nessunomuove un dito».

Musicista. Marito e padre esempla-re. Filantropo. Il cinema, pur crucialenella sua vita, resta davvero in un an-golino. Eppure, con suo fratello Beau,lei è un figlio di Hollywood, con madree padre, il popolare Lloyd Bridges, en-trambi attori. «Devo forse a questo ilmio primo rigetto. A fine carriera, no-stro padre era un campione d’immer-sioni in una serie tv di successo. Tuttilo riconoscevano per strada pensandofosse davvero un campione d’immer-sioni. Di qui, la mia ossessione di pro-pormi in ruoli sempre diversi. In casa,non hanno mai smesso di spingercisotto i riflettori, convinti che fosse ilmassimo della felicità. Mi hanno fattoesordire sul grande schermo a quattromesi, nel 1950, in The Company SheKeeps. Sempre precoce, otto anni do-po mi sono ritrovato nella serie Re-mous, a fianco di mio padre. Insomma,un caso lampante di nepotismo. Ma dagiovane, chi fa quel che vogliono i ge-nitori? Chi accetterebbe d’essere rico-nosciuto per via del padre famoso? Eh?Ho impegnato i miei primi anni a svi-colare da un destino già deciso: già aquattordici anni scrivevo e interpreta-vo canzoni. Mi preparavo a diventaremusicista». Ma, alla fine, è contentod’avere “sbagliato” carriera? Avevanoragione i suoi a dire che è una gran bel-la vita? «Altro che! E che vita! Eh?».

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L’incontroGrande Lebowski

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Ho una fondazioneche si batte perchénessun bambinodebba più soffrirela fame. Negli Usasono diciassettemilioni, lo sapeva?

Jeff Bridges

MARIO SERENELLINI

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Repubblica Nazionale