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Jus-online n. 3/2015 1 Stefano Vaccari Dottorando di ricerca in diritto amministrativo, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” L’evoluzione del rapporto tra la Pubblica Amministrazione e le persone nel prisma dello sviluppo della «trasparenza amministrativa» SOMMARIO: 1. Premessa.– 2. «Trasparenza amministrativa»: polisemia dell’espressione e riflessi sul rapporto P.A./persone. – 3. Il graduale sviluppo della trasparenza amministrativa nell’ordinamento italiano. – 3.1. La situazione originaria. La segretezza come regola, la trasparenza come eccezione. – 3.2. La «svolta epocale» realizzata dalla l. 241/1990 e ss.mm.ii. La trasparenza come regola, il segreto come eccezione. Pro e contra di tale assetto normativo. – 3.3. Il nuovo equilibrio del rapporto trasparenza/segretezza operato dal d.lgs. 33/2013. Verso un sistema «open to all» basato su obblighi normativi di pubblicazione e favor (quasi) totale per la trasparenza. – 3.4. Confronto con il «F.O.I.A.» statunitense e i limiti propri del «F.O.I.A. “all’italiana”». – 4. Una (possibile) conclusione. Il (necessario) ribilanciamento di alcuni squilibri della nuova «disclosure» totale rispetto alla tutela del diritto costituzionale delle persone alla riservatezza. Aspetti positivi del percorso evolutivo esposto e risultati raggiunti. 1. Premessa Lo scopo del presente lavoro è di offrire al lettore una breve analisi in merito al tema della c.d. «trasparenza amministrativa» affrontato attraverso un percorso critico/ricostruttivo che prende l’avvio dalla constatazione di un fenomeno di costante evoluzione, sotto il profilo della «visibilità del potere», dei rapporti P.A./amministrati per opera di una stratificazione d’interventi normativi succedutisi nel tempo. In particolare, si cercherà dapprima di fornire alcuni chiarimenti concettuali in ordine alle ambiguità ed alle oscurità interpretative della locuzione «trasparenza amministrativa» per mezzo della dimostrazione del suo carattere «metaforico» e «polisenso», per poi tratteggiarne il forte valore, nell’ottica di una moderna visione costituzionale delle relazioni intercorrenti tra le istituzioni e la società, sotto il punto di vista degli incrementi della funzione di controllo diffuso nonché della c.d. «demarchia», definibile come implementazione degli apporti partecipativi della collettività nella gestione della «cosa pubblica». Ciò premesso, si dovranno tratteggiare, seppure per sommi capi e limitatamente ai profili d’interesse per il presente lavoro, alcuni punti di svolta salienti di questo graduale sviluppo della trasparenza amministrativa nell’ordinamento italiano: nello specifico, sarà opportuno prendere l’avvio dal passato regime definibile come “a segretezza generalizzata”, per passare poi al ribaltamento prospettico, quanto all’impostazione del rapporto trasparenza/segretezza, operato dalla l. 7 agosto 1990, n.

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Stefano Vaccari

Dottorando di ricerca in diritto amministrativo, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” L’evoluzione del rapporto tra la Pubblica Amministrazione e le persone

nel prisma dello sviluppo della «trasparenza amministrativa»

SOMMARIO: 1. Premessa.– 2. «Trasparenza amministrativa»: polisemia dell’espressione e riflessi sul rapporto P.A./persone. – 3. Il graduale sviluppo della trasparenza amministrativa nell’ordinamento italiano. – 3.1. La situazione originaria. La segretezza come regola, la trasparenza come eccezione. – 3.2. La «svolta epocale» realizzata dalla l. 241/1990 e ss.mm.ii. La trasparenza come regola, il segreto come eccezione. Pro e contra di tale assetto normativo. – 3.3. Il nuovo equilibrio del rapporto trasparenza/segretezza operato dal d.lgs. 33/2013. Verso un sistema «open to all» basato su obblighi normativi di pubblicazione e favor (quasi) totale per la trasparenza. – 3.4. Confronto con il «F.O.I.A.» statunitense e i limiti propri del «F.O.I.A. “all’italiana”». – 4. Una (possibile) conclusione. Il (necessario) ribilanciamento di alcuni squilibri della nuova «disclosure» totale rispetto alla tutela del diritto costituzionale delle persone alla riservatezza. Aspetti positivi del percorso evolutivo esposto e risultati raggiunti.

1. Premessa Lo scopo del presente lavoro è di offrire al lettore una breve analisi in merito al

tema della c.d. «trasparenza amministrativa» affrontato attraverso un percorso critico/ricostruttivo che prende l’avvio dalla constatazione di un fenomeno di costante evoluzione, sotto il profilo della «visibilità del potere», dei rapporti P.A./amministrati per opera di una stratificazione d’interventi normativi succedutisi nel tempo.

In particolare, si cercherà dapprima di fornire alcuni chiarimenti concettuali in ordine alle ambiguità ed alle oscurità interpretative della locuzione «trasparenza amministrativa» per mezzo della dimostrazione del suo carattere «metaforico» e «polisenso», per poi tratteggiarne il forte valore, nell’ottica di una moderna visione costituzionale delle relazioni intercorrenti tra le istituzioni e la società, sotto il punto di vista degli incrementi della funzione di controllo diffuso nonché della c.d. «demarchia», definibile come implementazione degli apporti partecipativi della collettività nella gestione della «cosa pubblica».

Ciò premesso, si dovranno tratteggiare, seppure per sommi capi e limitatamente ai profili d’interesse per il presente lavoro, alcuni punti di svolta salienti di questo graduale sviluppo della trasparenza amministrativa nell’ordinamento italiano: nello specifico, sarà opportuno prendere l’avvio dal passato regime definibile come “a segretezza generalizzata”, per passare poi al ribaltamento prospettico, quanto all’impostazione del rapporto trasparenza/segretezza, operato dalla l. 7 agosto 1990, n.

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241, per approdare, infine, a considerazioni di sistema originate dalle novità, in tema di trasparenza amministrativa, apportate dal recente d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.

Tale intervento normativo da ultimo citato (del quale andranno, in breve, tratteggiati alcuni confronti — in chiave critica — con il sistema statunitense introdotto dal cd. “F.O.I.A.” - «Freedom of information act»), infatti, imponendo alle Pubbliche Amministrazioni tutta una serie di nuovi obblighi di pubblicazione di atti, documenti, informazioni, etc., sembra sbilanciare il sistema del rapporto trasparenza/riservatezza verso un favor (quasi) totale per la trasparenza.

A questo punto sarà occasione per rassegnare alcune conclusioni che diano conto, da un lato, degli aspetti positivi del percorso evolutivo esposto e dei risultati raggiunti sotto il profilo del costante incremento in senso collaborativo e paritario del rapporto tra governanti e governati; dall’altro, dell’imprescindibile necessità di ribilanciare alcuni squilibri generati dalla nuova «disclosure» totale rispetto alla tutela del diritto costituzionale delle persone alla riservatezza.

2. «Trasparenza amministrativa»: polisemia dell’espressione e riflessi sul

rapporto P.A./persone

Il tentativo di elaborare una definizione (ed una spiegazione compiuta) in senso

giuridico del concetto di «trasparenza amministrativa»1 è compito assai arduo. Tale difficoltà dipende (forse), com’è stato peraltro acutamente osservato2 , dal carattere

1 La bibliografia sul tema della «trasparenza amministrativa» è amplissima. Si rinvia, senza pretese di

esaustività, quantomeno a E. Carloni, L’amministrazione aperta. Regole, strumenti, limiti dell’open government, Rimini, 2014; A. Bonomo, Informazione e pubbliche amministrazioni. Dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, Bari, 2012; F. Manganaro, Evoluzione del principio di trasparenza amministrativa, in AA. VV., Scritti in memoria di Roberto Marrama, Napoli, 2010, pp. 3 e ss.; E. Carloni, La “casa di vetro” e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza amministrativa, in Dir. pubbl., 2009, III, pp. 779 e ss.; F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008; G. Arena, Trasparenza amministrativa (voce), in Enc. Giur. Treccani, XXXI, Roma, 1995, pp. 1 e ss; F. Caramazza, Dal principio di segretezza al principio di trasparenza: profili di una riforma, in Riv. trim. dir. pub., 1995, IV, pp. 941 e ss.; R. Chieppa, La trasparenza come regola della pubblica amministrazione, in Dir. econ., 1994, III, pp. 613 e ss.; G. Arena, Trasparenza amministrativa e democrazia, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1992, XCVII-XCVIII, pp. 25 e ss.; G. Abbamonte, La funzione amministrativa tra riservatezza e trasparenza. Introduzione al tema, in AA. VV., L’amministrazione pubblica tra riservatezza e trasparenza. Atti del XXXV Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione – Varenna 1989, Milano, 1991, pp. 13 e ss.; R. Marrama, La pubblica amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell’organizzazione e nel procedimento amministrativo, in Dir. proc. amm., 1989, III, pp. 416 e ss.; R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, in Dir. proc. amm., 1987, V, pp. 528 e ss.

2 Ci si riferisce alle accorte considerazioni, assunte come base per le distinzioni a seguire, di G. Arena, Trasparenza amministrativa (voce), in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, pp. 5945-5946; nonché, Id., La trasparenza amministrativa ed il diritto di accesso ai documenti amministrativi, in G. Arena (a cura di), L’accesso ai documenti amministrativi, Bologna, 1991, pp. 15 e ss. L’Autore, in particolare, sottolinea come il concetto

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metaforico dell’espressione «trasparenza», la quale, presa di per sé, non appartiene al campo lessicale proprio delle scienze giuridiche ma, semmai, di quelle fisiche, ove, per l’appunto, si è soliti usare tale locuzione per indicare una proprietà fisica dei materiali quale è la loro capacità di essere attraversati dalla luce.

E di qui, dunque, l’idea di trasporre tale caratteristica dall’area delle scienze naturali al mondo del diritto — in particolare amministrativo — per indicare un’«idea» di come dovrebbe apparire l’amministrazione in una compiuta società democratica, o meglio, verso quale obiettivo dovrebbe tendere la strutturazione degli apparati pubblici per mezzo di una consistente varietà d’istituti i quali, proprio per la loro varietà e diversità, sono accomunabili (nell’ottica della finalità e del «disegno comune») nell’ampio genus della «trasparenza amministrativa».

Tale notazione ci fa comprendere come ogniqualvolta si faccia uso della formula «trasparenza amministrativa» non ci si riferisca ad un istituto giuridico dal volto preciso e ben delineato ma, semmai, ad un più generale «modo di essere» 3 degli apparati amministrativi che, stante il citato carattere metaforico della locuzione, denota la trasparenza come «polisemia», id est, come espressione passibile di una pluralità di interpretazioni e ricostruzioni di significato a seconda delle varie concezioni esistenti nella società circa i modelli di rapporto/relazione tra la P.A. e le persone o, lato sensu, la comunità.

A tal proposito, autorevole dottrina4, in esito ad uno studio (anche in chiave storica) delle varie configurazioni che l’espressione «trasparenza amministrativa» ha assunto nel corso dell’ultimo secolo, ha raggruppato le varie interpretazioni susseguitesi entro due macro-significati corrispondenti a due diversi angoli visuali (il primo dei quali, più datato e — si potrebbe sostenere — interamente assorbito dal secondo).

La prima teoria, definibile come (concezione della) «trasparenza interna», ci

di trasparenza amministrativa non identifichi un singolo istituto giuridico ma alluda ad un «modo di essere» dell’amministrazione il quale, in quanto co-involgente una serie di contenuti a carattere indeterminato, non può che essere espresso per mezzo di una metafora. Tra gli istituti che si possono porre come mezzi, nell’ottica del realizzo della trasparenza amministrativa, possiamo sicuramente inserirvi, come prima anticipazione, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, la partecipazione al procedimento amministrativo, la motivazione dei provvedimenti amministrativi, il responsabile del procedimento, etc.

3 Così R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, op. cit., p. 528. In senso adesivo anche G. Arena, Trasparenza amministrativa, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, op. cit., p. 5946. L’Autore, ivi, ribadisce con particolare risalto il carattere «relazionale» del concetto di trasparenza in esame al fine di ricavarne le conseguenze di relatività e varietà interpretativa cui in corpo.

4 Cfr. G. Arena, La trasparenza amministrativa ed il diritto di accesso ai documenti amministrativi, op. cit., pp. 17 e ss.

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mostra una visione della trasparenza amministrativa, risalente ai primi del ‘9005, rivolta al versante interno del potere6, ovvero intesa quale riflesso della volontà del legislatore, così come mediata dal Governo, in uno spazio ove il ruolo dell’amministrazione è unicamente quello di porsi come mera «cinghia di trasmissione» di una volontà che è presa a monte dall’organo politico (e, dunque, legittimata democraticamente). Nell’ottica della realizzazione concreta delle decisioni, dai vertici ai livelli inferiori, la P.A. non dovrebbe assumere alcuna volontà politica ma riflettere (come uno «specchio d’acqua» per proseguire con la visione per metafore) senza alcuna «distorsione» la volontà del legislatore.

Viceversa, la seconda macro-teoria sulla trasparenza amministrativa è definibile come (concezione della) «trasparenza esterna» 7 giacché, in tal caso, il bisogno di visibilità è riferito, non tanto al «canale interno» del circuito del potere politico nella sua realizzazione dall’alto al basso, bensì agli amministrati e, più latamente, alla società nel suo complesso (dunque, su un piano orizzontale). Infatti, con la presa d’atto della non piena veridicità dell’idea di un’amministrazione completamente neutrale e meccanica nella traduzione in atti dei propri poteri in attribuzione 8 (giacché è noto come la

5 Può ritenersi che una prima formulazione di tale concezione della «trasparenza amministrativa» di tipo

interno, gerarchico e verticale, risalga a H. Chardon, L’administration de la France. Les fonctionnaires, Paris, 1908, p. VI ss., il quale riteneva che la visibilità del potere, non consentita ai cittadini estranei ai luoghi delle scelte amministrative, fosse assicurata nel canale interno al potere stesso al fine di consentire agli organi sovraordinati di monitorare e controllare l’operato di quelli sottordinati.

6 Ciò significa che la trasparenza è tutta interna alla «casa del potere», in quanto la visibilità attiene unicamente all’aspetto verticale del potere, ovvero la sua penetrabilità dall’alto al basso per opera dello sguardo dei vertici politici e ministeriali, restando oscura allo sguardo dell’esterno grazie al massiccio utilizzo della «segretazione d’ufficio». Inoltre, tale concezione corrisponde(rebbe), in Costituzione, alla visione dell’amministrazione di cui all’art. 95, comma 2, Cost., ossia l’idea della P.A. come apparato gregario del Governo. Cfr., amplius, G. Arena, Trasparenza amministrativa e democrazia, in G. Berti, G.C. De Martin (a cura di), Gli istituti della democrazia amministrativa, Milano, 1996, p. 15.

7 È ritenuto, dai più, che tale idea «moderna» di trasparenza amministrativa, in quanto rivolta all’esterno della «casa del potere», trovi la prima formulazione nel pensiero dell’On. Filippo Turati, il quale (vd., in part., «Atti del Parlamento italiano», Camera dei deputati, sessione 1904-1908, n. 22962, 17 giugno 1908) con una metafora profetica per i futuri sviluppi in senso democratico e partecipato dei rapporti tra pubblici apparati e persone, dichiarò: «(d)ove un superiore, pubblico interesse non imponga un segreto momentaneo, la casa dell’amministrazione dovrebbe essere di vetro [...]».

8 Nello stesso senso vd. le chiare parole di G. Arena, La trasparenza amministrativa ed il diritto di accesso ai documenti amministrativi, op. cit., p. 21, ove rileva che «[...] poiché l’amministrazione non è un corpo privo di volontà propria e quindi trasparente alla volontà del legislatore, bensì è un insieme di soggetti capaci di scelte e di preferenze nell’applicazione di tali leggi, ecco che allora il problema della trasparenza si pone ancora oggi nei termini in cui l’aveva posto Turati un secolo fa, cioè come visibilità da parte dei cittadini delle forme di esercizio del potere amministrativo». Ma anche l’idea che, in un nuovo modello di «amministrazione oggettivata», la P.A. si trovi a dover perseguire non più interessi pubblici considerati come “interessi delle istituzioni”, bensì finalità “obbiettivate nell’ordinamento”, spinge gli apparati amministrativi ad aprirsi nei confronti delle collettività di riferimento ed a far cessare quell’idea di alterità rispetto agli amministrati che, viceversa, caratterizza(va) una concezione di tipo soggettivo-istituzionale dell’amministrazione. Su questi temi, cfr., per tutti, G. Pastori, Interesse

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discrezionalità amministrativa, riferibile ad ampi spazi dell’azione dei soggetti di amministrazione, comporti opzioni e spazi di scelta di tipo valutativo spesso fortemente dilatati), si levò sempre più la spinta “dal basso” in ordine ad una pressante richiesta di visibilità dall’esterno dei processi decisionali e dei meccanismi d’implementazione delle misure amministrative e, dunque, di una legittimazione dell’azione amministrativa che non può più fondarsi unicamente sul mero rispetto della legge9.

Sono evidenti i caratteri di stretta inter-relazione tra questa impostazione di visibilità esterna dei circuiti di attuazione del potere ed una certa concezione di «democrazia» 10 . Infatti, il mutamento di paradigma comportante un’apertura dell’amministrazione verso la società, anche nel farsi della funzione, al fine di consentire uno spazio aperto, di dialogo e confronto (ma anche di controllo diffuso), fa sì che quest’ultima contribuisca, insieme alle altre «formazioni sociali», a consentire, a mente degli artt. 2 e 3 Cost., il «[...] pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione [...] all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» di ogni persona11.

Si assiste, dunque, sotto il «prisma» della trasparenza amministrativa ad un’evoluzione dei rapporti tra l’amministrazione e le persone corrispondente al modello di «demarchia» (o «democrazia partecipativa») teorizzato dalla più illustre dottrina del

pubblico e interessi privati fra, procedimento, accordo e autoamministrazione, in Scritti in onore di P. Virga, II, Milano, 1994, pp. 1303 e ss., oggi in G. Pastori, Scritti scelti, Napoli, 2010, pp. 523 e ss.

9 Tale passaggio postula un’evoluzione dell’impostazione generale dell’amministrazione, la quale non si trova più ad avere come referente principale il solo legislatore e ad essere valutata (e dunque legittimata) unicamente per il rispetto «legalistico» delle norme a fondamento/limite del potere, ma, come esito di uno sviluppo di un modello costituzionale di amministrazione attenta alle esigenze dei destinatari della propria azione, si legittima (oggi più) in un’ottica di risultato, ovvero nella prospettiva della soddisfazione concreta degli interessi pubblici in relazione ai quali essa stessa è in rapporto di servizio rispetto ai governati. Rispetto alla prima visione citata supra, che si è detto corrispondere più ai dettami dell’art. 95, comma 2, Cost., tale visione orizzontale e aperta verso l’esterno dell’azione dei soggetti di amministrazione, sembra, invece, sussumibile nel quadro degli artt. 97, comma 2, e (soprattutto) 98, comma 1, Cost., nella forte sottolineatura del carattere di servizio alla Nazione dei pubblici impiegati e dei loro apparati.

10 Si leggano, in proposito, le affermazioni dell’autorevole dottrina di G. Pastori, La procedura amministrativa. Introduzione generale, Vicenza, 1964, oggi in G. Pastori, Scritti scelti, Napoli, 2010, p. 137, in part. ove Egli ribadisce che «[l’]amministrazione in un ordinamento democratico non può essere, o può essere in misura molto limitata e speciale, rappresentativa; deve essere almeno pubblica, non un’amministrazione segreta del “pubblico”».

11 Si ricordi, a tal fine, la celebre formula coniata da N. Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, in Rivista italiana di scienze politiche, 1980, II, p. 181, il quale, per sottolineare le stringenti correlazioni tra democrazia e trasparenza, afferma che la prima è, per l’appunto, il governo del «[…] potere visibile», ovvero il «[…] governo del potere pubblico in pubblico». Più in generale, ancora, sul tema democrazia/trasparenza/segreto, esaminato (però) da un angolo visuale che spazia in tutti i campi del “diritto pubblico” (e, dunque, oltre il solo diritto amministrativo), vd. P. Barile, Democrazia e segreto, in Quad. Cost., 1987, I, pp. 29 e ss.

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“nuovo diritto amministrativo” del secolo scorso12. Ci si riferisce, cioè, ad un modello di amministrazione paritaria e condivisa con il cittadino al quale, nell’esercizio della funzione amministrativa, viene conferito il ruolo di co-amministrante dotato di posizioni di libertà attiva nei confronti della P.A. detentrice del potere d’impero. Un cittadino, dunque, che si ritrova non più nella posizione di “suddito” nei confronti di una “amministrazione-autorità” ma che (con essa) dialoga all’interno di un rapporto con i pubblici poteri che si viene a caratterizzare, per effetto dei mutamenti de qua, in senso collaborativo più che conflittuale.

Tuttavia, la creazione di una nuova «funzione di informazione»13 che dovrebbe discendere dalla trasparenza dell’agire amministrativo (e che potrebbe condurre il «nuovo cittadino» 14 ad acquisire una consapevolezza maggiore della propria partecipazione, in quanto titolare di una frazione di sovranità, alla vita politica, sociale e amministrativa della propria comunità di riferimento e della propria Nazione) non deve, comunque, ingenerare confusioni circa indebite sovrapposizioni (e assimilazioni) tra il concetto di «trasparenza amministrativa» e il similare (ma differente) istituto della «pubblicità»15.

12 È più che ovvio il riferimento a F. Benvenuti, Disegno della Amministrazione Italiana. Linee positive e

prospettive, Padova, 1996; Id., Il ruolo dell’amministrazione nello Stato democratico contemporaneo, in Jus, 1987, III, pp. 277 e ss.; Id., Per un diritto amministrativo paritario, in AA.VV., Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1975. Per una lettura del pensiero dell’Autore, svolta da altrettanta autorevole dottrina, nonché, più in generale, sui temi della «democrazia partecipativa», cfr., quantomeno, F. Saitta, Il procedimento amministrativo «paritario» nel pensiero di Feliciano Benvenuti, in Amministrare, 2011, III, pp. 457 e ss.; E. Rotelli, Feliciano Benvenuti. Partecipazione e autonomie nella scienza amministrativa della repubblica, Venezia, 2011; U. Allegretti, L’amministrazione dall’attuazione costituzionale alla democrazia partecipativa, Milano, 2009; G. Pastori, Feliciano Benvenuti e il diritto amministrativo del nuovo secolo, in Jus, 2008, II-III, p. 323 ss.; F. Merusi, Diritti fondamentali e amministrazione (o della «demarchia» secondo Feliciano Benvenuti), in Dir. amm., 2006, III, pp. 543 e ss.; U. Allegretti, Amministrazione pubblica e Costituzione, Padova, 1996; G. Berti, La responsabilità pubblica, Padova, 1994; G. Arena, Introduzione all’amministrazione condivisa, in Studi parlamentari, 1997, pp. 29 e ss.

13 Per un approfondimento sulla «funzione di informazione» come fattore di «trasparenza amministrativa», nonché di moderna democrazia, il rimando va agli studi contenuti in G. Gardini, Le regole dell’informazione, Milano, 2005; B.G. Mattarella, Informazione e comunicazione amministrativa, in Rivista trim. dir. pubb., 2005, I, pp. 1 e ss.; F. Merloni (a cura di), L’informazione delle pubbliche amministrazioni, Rimini, Maggioli, 2002; G. Arena (a cura di), La funzione di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, Rimini, 2001; G. Arena, Comunicare per co-amministrare, in Amministrare, 1997, III, pp. 337 e ss; G. Arena, La comunicazione di interesse generale, Bologna, 1995.

14 L’espressione, densa di significati, è riferibile all’opera di F. Benvenuti, Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva, Venezia, 1994, cui si rinvia per l’intero onde evitare di sintetizzare in modo indebito la grandezza della visione complessiva dell’Autore sugli importanti temi della demarchia e delle posizioni di libertà attiva del cittadino nei confronti dei pubblici poteri.

15 Sulla distinzione concettuale delle locuzioni «pubblicità» e «trasparenza», spesso usate in modo inesatto come endiadi o quali espressioni tra loro fungibili, si consulti P. Marsocci, Gli obblighi di diffusione delle informazioni e il d.lgs. 33/2013 nell’interpretazione del modello costituzionale di amministrazione, in Istituzioni del federalismo, 2013, III/IV, p. 688 ss.; nonché, per ulteriori approfondimenti, M. Occhiena, I principi di pubblicità e trasparenza, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi di diritto amministrativo, Milano, 2011, pp. 143 e ss. Anche R. Marrama, La pubblica amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell’organizzazione e nel procedimento amministrativo, op. cit., p. 421, giunge alla medesima conclusione sottolineando, tuttavia, come criterio di discrimine, il carattere assiologico

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Infatti, il controllo diffuso sull’esercizio del potere, che si è detto essere stimolato dagli incrementi della trasparenza amministrativa, non pone, di per sé, alcuna equivalenza con il fatto di avere una forma estesa di pubblicità dell’azione amministrativa che si ponga aldilà dei passati spazi di opacità e di «segreto amministrativo» generalizzato. Detto altrimenti, la pubblicità dell’operato dei soggetti di pubblica amministrazione è soltanto uno di quegli strumenti che, come si diceva pocanzi, consentono di raggiungere quel «modo di essere» che è la «trasparenza amministrativa», la quale, dunque, postula un quid pluris rispetto alla mera offerta al pubblico16 di dati, documenti, informazioni, etc.

Tentando di aggiungere un grado di approfondimento al tema, di per sé complesso, si potrebbe cominciare con l’asserire che l’attività di «pubblicizzare» rimanda ad un’operazione di tipo statico consistente nella mera estrinsecazione di un complesso di conoscenze e di informazioni sulla base di obblighi di fonte legale.

A contrario, il concetto di «trasparenza», non equipollente all’accennata «pubblicità», non può trovare un rapporto d’identità nella mera ostensione al pubblico dei dati informativi, bensì partecipa di un elemento aggiuntivo, definibile come momento dinamico, legato a precise caratteristiche qualitative 17 quali «chiarezza», «comprensibilità» e «intellegibilità» delle informazioni precedentemente pubblicate. Si assiste dunque, ad un tipico rapporto da mezzo a fine, ove mezzo è la «pubblicità» la quale, allorché cumula a sé determinate caratteristiche che consentano la

proprio del concetto di «trasparenza amministrativa» che difetta, invece, nella «pubblicità», di per sé neutra e indicante un mero stato/condizione dell’atto, di un certo profilo organizzativo, o del procedimento amministrativo. Vd., anche, G. Abbamonte, Introduzione al tema, in AA. VV., La funzione amministrativa tra riservatezza e trasparenza. Atti del XXXV Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Milano, 1991, pp. 8 e ss.

16 Sia che la messa a disposizione di un certo quantum informativo dipenda, nel suo momento genetico, da una richiesta di un soggetto interessato (diritto di accesso), sia che origini da un’iniziativa della P.A., come ad es. nei recenti obblighi (di fonte legale) di pubblicazione sui siti internet istituzionali delle varie amministrazioni imposti dal d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.

17 Ragionando intorno ai citati caratteri qualitativi che caratterizzano nell’essenza il concetto di «trasparenza amministrativa», R. Marrama, La pubblica amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell’organizzazione e nel procedimento amministrativo, op. cit., p. 419, giunge ad inferirne il carattere «assiologico», proprio in quanto le accennate caratteristiche rispondono, più o meno direttamente, ad alcuni principi fissati in Costituzione e, dunque, si risolvono in «valori» dell’azione amministrativa. Ed invero, ivi, si afferma che è fondamentale l’esigenza di «[…] chiarezza, di comprensibilità, di non equivocità di una struttura (nel nostro caso della pubblica Amministrazione) e del suo agire, anche al fine di garantire l’affidamento dei cittadini e di altre strutture organizzative pubbliche e private in ordine al rispetto dei principi della imparzialità, del buon andamento e della stessa legalità, intesa in senso sostanziale e cioè come legalità-giustizia e non solo come legalità-legittimità». Tale pensiero è ripreso anche da M.R. Spasiano, I principi di pubblicità, trasparenza e imparzialità, in M.A Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011, p. 89, il quale conferma come l’amministrazione, se voglia raggiungere uno stato di vera trasparenza amministrativa sia «[…] obbligata ad assumere modelli organizzativi e forme comportamentali lineari, semplici, comprensibili e certi».

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comprensibilità del dato, raggiunge il fine rappresentato dalla «trasparenza»18.

Infatti, mentre un’attività amministrativa secretata è, con certezza, non conoscibile, il problema si situa, allora, in quella zona grigia tra attività amministrativa pubblica, la quale è sì conoscibile in astratto ma potrebbe non essere conosciuta e compresa in concreto per una serie di vizi di chiarezza e intellegibilità, e vera ed autentica trasparenza amministrativa, la quale postula, invece, un necessario combinato di conoscibilità, conoscenza e comprensione19; unica via, quest’ultima, per realizzare una consapevole funzione partecipativa e di controllo informato da parte dei governati e, dunque, autentica «demarchia».

In conclusione preme ribadire i due punti salienti che si è cercato di precisare, ovvero, in primis, l’idea che la «trasparenza amministrativa» non si risolva, nel senso di completa sovrapposizione, con un singolo strumento giuridico come il diritto di accesso ai documenti amministrativi, la partecipazione al procedimento amministrativo o alcune forme di pubblicazione, in quanto, come si è rilevato, la formula «trasparenza amministrativa» non denota uno specifico istituto ma, figurandosi come metafora indicante un obiettivo, un’idea e un modo di essere tendenziale dell’amministrazione, proprio come un “prisma” può essere guardata da più fronti ognuno dei quali (ma non solo) si pone come mezzo in rapporto al fine; in secondo luogo, che non vi è alcuna coincidenza terminologica e (soprattutto) di significato tra la locuzione «trasparenza amministrativa» e il concetto di «pubblicità», il quale individua anch’esso uno degli strumenti (al pari del diritto di accesso ed altri ancora) per realizzare trasparenza amministrativa, visibilità del potere e, di qui, «demarchia».

18 Così anche P. Canaparo, La via italiana alla trasparenza pubblica: il diritto di informazione indifferenziato e il

ruolo proattivo delle pubbliche amministrazioni, in Federalismi.it, Rivista di diritto pubblico italiano, comunitario e comparato, 2014, IV, p. 42.

19 Non ci si esime anche dal riportare la chiara riflessione, sul punto, di G. Arena, M. Bombardelli, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, in V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa. Saggi ordinati in sistema, Napoli, 2006, p. 411: «[l]a pubblicità è fondamentale, ma è solo il passaggio intermedio per uscire dal segreto e arrivare alla trasparenza. Il segreto è infatti non conoscibilità, non conoscenza e quindi non comprensione. La pubblicità è conoscibilità, ma non necessariamente conoscenza. La trasparenza è insieme conoscenza e comprensione. Una informazione pubblica è un’informazione conoscibile, ovvero è una potenziale fonte di conoscenza; ma affinchè si abbia il passaggio dalla pubblicità alla trasparenza è necessario il passaggio dalla conoscibilità alla conoscenza vera e propria, su cui può a sua volta fondarsi la comprensione. Pertanto assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa vuol dire assicurare la conoscenza reale, vera, di tale attività, quella che consente la comprensione e di conseguenza anche il controllo. Se l’attività è segreta non può essere conosciuta; se è pubblica, è conoscibile, ma non è detto sia anche conosciuta né che sia anche compresa. Solo quando si realizzano queste due ultime condizioni si ha veramente la trasparenza di quell’attività amministrativa e, dunque, la possibilità di un controllo sull’esercizio del potere che quell’attività comporta». Sui profili qualitativi della trasparenza amministrativa vd., anche, M.R. Spasiano, Trasparenza e qualità dell’amministrazione, in Studi in onore di Spagnuolo Vigorita, Napoli, 2007, III, p. 1435.

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3. Il graduale sviluppo della trasparenza amministrativa nell’ordinamento

italiano

Nel considerare la parabola evolutiva della trasparenza amministrativa nell’ordinamento italiano si è convenzionalmente optato per la selezione di tre «momenti», intesi come “punti di svolta” a forte carattere distintivo, che consentono di svolgere alcune considerazioni di sistema e, soprattutto, offrire una base argomentativa per le considerazioni finali circa lo stato attuale d’implementazione di quel «modo di essere» o obiettivo finalistico che è la trasparenza amministrativa. Tali «momenti», vagliati in progressione e per sommi capi nei paragrafi che seguono, sono: la situazione “originaria” (intesa come antecedente l’anno 1990) contraddistinta da un regime che potremmo definire “a segreto generalizzato”; il ribaltamento prospettico seguito alla legge 7 agosto 1990, n. 241, caratterizzato dalla contrazione delle “sacche di opacità” in favore di una nuova “trasparenza come regola generale”; infine, lo stato attuale, nella vigenza applicativa delle misure di cui al nuovo d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, nel quale si assiste ad uno spostamento dell’asse di equilibrio del rapporto trasparenza/riservatezza verso un favor assolutizzante (con alcune problematiche) della prima.

3.1. La situazione originaria. La segretezza come regola, la trasparenza

come eccezione

Quando ancora era prevalente una concezione della burocrazia degli apparati

pubblici come “sistema chiuso”, impermeabile e isolato dalla società e dalla comunità

degli amministrati, l’istituto del «segreto amministrativo»20 era la colonna portante21 di

un regime politico/amministrativo la cui autorità si ergeva proprio sulla “distanza da

20 Per lo studio del «segreto amministrativo» resta necessario riferirsi compiutamente all’opera (in due

volumi) ancora attuale, nella sua impostazione e per la costruzione delle categorie in esame, di G. Arena, Il segreto amministrativo, Padova, 1983-1984. Per ulteriori approfondimenti, se si vuole, I.F. Caramazza, Dal principio di segretezza al principio di trasparenza. Profili generali di una riforma, in Riv. trim. dir. pubb., 1995, IV, pp. 941 e ss.; A. Anzon, Segreto d’ufficio dir. amm. (voce), in Enc. Giur., XXVIII, 1991; G. D’Auria, Trasparenza e segreti nell’amministrazione italiana, in Pol. Dir., 1990, I, pp. 93 e ss.; P. Barile, Democrazia e segreto, in Quad. cost., 1987, I, pp. 29 e ss.; G. Paleologo, Segreto e pubblicità dell’azione amministrativa, in Imp. amb. p.a., 1979, I, pp. 3 e ss.; G. Fiengo, Il segreto d’ufficio nella carenza di una legge generale sul procedimento amministrativo, in St. parl., 1971, I, pp. 55 e ss.; L. Acquarone, Il segreto d’ufficio, Milano, 1965.

21 Ebbene si ricordi, a proposito, che l’etimo della locuzione «segreto» discende dal latino “secretus”, aggettivo che nel suo ambito di significanza racchiude anche l’espressione di “separato”, utile nel discorso in corpo per ribadire ancora la ricaduta dell’utilizzo dello strumento della secretazione nel rapporto tra autorità e governati impostato su di un piano di alterità e di separatezza.

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ogni interessato”22.

Così in Italia, ma del resto in quasi tutta l’Europa (salvo, per alcuni profili di

anticipata innovazione, l’ordinamento svedese23), nella “situazione originaria” (dove per

originaria intendiamo convenzionalmente, nel presente lavoro, la situazione ante l. 7

agosto 1990, n. 241) forte era l’enunciazione, e dunque la dominanza concettuale, del

c.d. «segreto amministrativo discrezionale» che pervadeva ogni settore dell’agire

amministrativo secondo un rapporto regola/eccezione strutturato in modo tale che

tutto fosse coperto da segreto, salvi casi residuali regolati da norme espresse. Plurime

erano le ragioni e i fattori che concorrevano a spiegare, quale ratio sottesa, un simile

assetto 24 , prima tra tutte il “pesante” retaggio delle prerogative reali, fondate

chiaramente sul segreto, tramandatosi per tradizione (o, forse, più per “comodità”)

anche ben dopo la conclusione dell’epoca del c.d. “Ancien Régime”. Ma, in

second’ordine, ha sicuramente contribuito anche la circostanza che lo Stato liberale

delle origini assumesse la fisionomia di uno “Stato guardiano” con funzioni “minime”,

limitate essenzialmente al controllo dell’ordine pubblico al fine di garantire la difesa e la

pace dei consociati, ove il segreto assumeva un ruolo necessario al fine di garantire

l’efficacia delle predette funzioni amministrative di polizia. Tuttavia, la forza trainante e

rivoluzionaria che comportò l’evoluzione ed il passaggio dalla forma di “Stato liberale”

al c.d. “Stato sociale” non ha avuto la capacità di “rompere” con l’impianto del “segreto

22 Così era inteso, infatti, il segreto nella passata dottrina francese, nella quale esso assumeva un ruolo,

oltreché di tranquillità per il burocrate, di efficacia dell’operato delle amministrazioni. Forte era l’esempio, a riguardo, di autori come M.J.C. Boulard, Rapporto nazionale sulla Francia, in Le Secret Administratif dans les Pays dévéloppés, Paris, 1977. L’Autore, ivi, p. 170, ribadiva che «[…] l’autorità si afferma nella misura della distanza cui è tenuto l’interessato», da cui se ne ricava l’assunto tale per cui «[…] il diritto comune è il segreto, l’accesso l’eccezione». In un’ottica sociologica M. Weber, Economia e società, Milano, 1968, pp. 293 e ss., definisce il «segreto amministrativo» come “scoperta specifica” della burocrazia dello Stato moderno in quanto assume il significato di un prezioso strumento nelle mani degli apparati di potere per monopolizzare e accentrare le conoscenze acquisite al fine di rinsaldare la propria posizione di autorità.

23 Ivi, infatti, come in terra statunitense, fu precoce l’apertura alla visibilità del potere essendosi prevista, sin dal 1766, una forma di diritto di accesso generalizzato per i cittadini. Sulla matrice scandinava della legislazione in tema di «open government» cfr. G. Napolitano (a cura di), Diritto amministrativo comparato, Milano, 2007, p. 160 ss.

24 L’articolazione di queste osservazioni si fonda sulle ricostruzioni di I.F. Caramazza, Dal principio di segretezza al principio di trasparenza. Profili generali di una riforma, op. cit., pp. 946-947.

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generalizzato” che, in realtà, non appariva più consono a quel novero aggiuntivo di

funzioni in attribuzione ai soggetti di pubblica amministrazione funzionali alla

realizzazione di una nuova forma di amministrazione c.d. “di prestazione”25. Da ultimo,

v’è anche, sicuramente, il “valore” proprio del «documento amministrativo»26, il quale,

in un passato antecedente all’avvento delle moderne tecnologie (anche informatiche),

costitutiva un esemplare unico difficilmente duplicabile e ostensibile, con la

conseguenza che la sua preziosa (anche in termini di costo) funzione ne imponesse

un’oculata custodia e, dunque, la privazione della conoscenza delle informazioni in esso

contenute.

Nel sistema anzidetto, la disposizione cardine27 che ha costituito l’“archetipo” in

materia di «segreto amministrativo», o, detto altrimenti «segreto d’ufficio» (o, ancora,

«segreto in senso stretto») è stata l’art. 15 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (“Testo unico

delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”) 28 la cui lettera stabiliva

che «[l]’impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio e non può dare a chi non ne abbia

diritto, anche se non si tratti di atti segreti, informazioni o comunicazioni relative a

provvedimenti od operazioni amministrative di qualsiasi natura ed a notizie delle quali

sia venuto a conoscenza a causa del suo ufficio, quando possa derivarne danno per

l’Amministrazione o per i terzi. Nell’ambito delle proprie attribuzioni, l’impiegato

25 Sulla costruzione dottrinale dei diritti sociali come “prestazione” nei confronti dell’ente pubblico si

rinvia, da ultimo, allo scritto di L.R. Perfetti, I diritti sociali. Sui diritti fondamentali come esercizio della sovranità popolare nel rapporto con l’autorità, in Dir. pubbl., 2013, I, pp. 61 e ss. Tuttavia, restano fondamentali in argomento, per il rigore nell’impostazione dei problemi e la profondità delle argomentazioni volte alla ricerca di un’amministrazione al servizio della collettività, gli studi di G. Pastori, Tendenze recenti della pubblica amministrazione italiana, in Annuario 2009 dell’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Napoli, 2010, pp. 361 e ss., oggi in G. Pastori, Scritti scelti, Napoli, 2010, p. 879 ss.; per un disegno di più ampio respiro (anche nella prospettiva diacronica), Id., La pubblica amministrazione, in G. Amato, A. Barbera (a cura di), Manuale di diritto pubblico, I, Bologna, 1997, pp. 287 e ss., oggi in G. Pastori, Scritti scelti, Napoli, 2010, pp. 599 e ss. Vd., inoltre, sul tema, dello stesso Autore, Diritti e servizi oltre la crisi dello Stato sociale, in Scritti in onore di Vittorio Ottaviano, I, Milano, 1993, pp. 1081 e ss., oggi in G. Pastori, Scritti scelti, Napoli, 2010, pp. 511 e ss.;

26 Vd. A.M. Sandulli, Documento, in Enc. Dir., XIII, Milano, 1964. 27 Tale disposizione viene definita come «[…] punto di riferimento obbligato per l’individuazione della

figura» (aggiungiamo: del segreto amministrativo) anche da A. Anzon, Segreto d’ufficio dir. amm. (voce), op. cit., p. 3. 28 Ovviamente vi erano numerose altre previsioni legislative statali (nonché contenute nelle varie leggi

regionali), che disciplinavano ulteriori segreti d’ufficio (anche settoriali), doverosi per i dipendenti delle amministrazioni, quali i segreti di Stato (vd. l. 27 ottobre 1977, n. 801), i segreti in materia statistica, di poste e telecomunicazioni, vigilanza sul credito, imposte, etc.

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preposto ad un ufficio rilascia, a chi ne abbia interesse, copie ed estratti di atti e

documenti di ufficio nei casi non vietati dalle leggi, dai regolamenti o dal capo del

servizio».

È noto come, a causa della formulazione ambigua e poco felice di tale

disposizione, si generò un vero e proprio “rompicapo” tra gli autori29 dell’epoca che

affrontarono lo sforzo esegetico di ricavare delle norme coerenti e un significato

precettivo dalla lettura di tale articolo, che, infine, portò Autorevole dottrina 30 al

giudizio assertivo (condiviso dai molti) che l’art. 15 cit. «[…] è una norma

incomprensibile per la quale tutto e nulla può essere segreto».

Il caos interpretativo è dipeso, soprattutto, dalla difficile convivenza — in

quanto fondata sulla contraddizione — tra due diverse concezioni del segreto definibili,

secondo la trama teorica ordita in dottrina31 , come «soggettivo-personale», l’una, e

«oggettivo-reale», l’altra.

La prima concezione (quella c.d. «soggettivo-personale»), ravvisata dalla

dottrina 32 nella prima parte della disposizione in commento ove si prevede che

«[l]’impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio […]», pareva fondare l’obbligo/dovere

al segreto più sulla qualità in senso soggettivo (l’essere “pubblico dipendente”)

dell’organo che detiene una data informazione, che non sul “contenuto” intrinseco del

documento bisognoso di protezione a causa di considerazioni afferenti all’interesse

pubblico/privato implicato.

29 Si consulti, in part., G. Pastori, La burocrazia, Padova, 1967, pp. 250 e ss.; ma anche, se si vuole, M.

Colacito, Impiego statale (voce), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, pp. 323 e ss.; G. Fiengo, Il segreto d’ufficio nella carenza di una legge generale sul procedimento amministrativo, op. cit., pp. 55 e ss.; nonché, L. Acquarone, Il segreto d’ufficio, op. cit., pp. 113 e ss. Rimane sempre valido, ovviamente, per ogni profilo concernente il tema del segreto, il costante rinvio alla vasta ricerca di G. Arena, Il segreto amministrativo, op. cit., II, in specie pp. 279 e ss.

30 Il riferimento va ovviamente a M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1970, p. 902. 31 Evidente il richiamo, nuovamente, all’opera di G. Arena, Il segreto amministrativo, op. cit., in part., I, p.

283 ss.; II, pp. 159 e ss. 32 G. Arena, op. ult. cit., p. 292: «[…] la qualità del soggetto detentore prevale su quella delle

informazioni: queste sono negate perché conosciute da quel soggetto, non perché il loro specifico contenuto debba essere protetto dal segreto».

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La seconda concezione (c.d. «oggettivo-reale»), invece, veniva ricavata dalla

restante lettera della disposizione 33 : ivi, infatti, il riferimento al «[…] danno per

l’Amministrazione o per i terzi» derivanti da un’(eventuale) ostensione di informazioni

conferenti ad operazioni amministrative sembrava mettere in (forte) risalto l’aspetto

contenutistico dell’informazione — più che la caratteristica soggettiva del funzionario

onerato — facendo apparire il segreto amministrativo come strumento funzionale alla

protezione di interessi sostanziali, pubblici o privati che siano, sottesi al dato

informativo e (ritenuti) meritevoli di tutela34.

Dal raffronto tra le due diverse concezioni appena esposte, a difficile co-

abitazione nel passato testo dell’art. 15 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, si può (tentare di)

trarre la seguente considerazione: mentre il segreto c.d. «soggettivo-personale» denotava

una forma di chiusura/separatezza radicale dell’amministrazione nei confronti degli

amministrati35 perché imponeva un dovere ex ante e generalizzato di secretazione in

capo al dipendente pubblico (a prescindere dalla tipologia di informazione in

questione), anche la forma di segreto c.d. «oggettivo-reale», tuttavia, non era da meno.

Infatti, tale forma di secretazione, seppur preferita e incentivata dalla dottrina

dell’epoca rispetto alla prima concezione “soggettiva”, tuttavia, per com’era formulata

(in senso vago e indeterminato) la disposizione in questione, conduceva, nella prassi, al

medesimo risultato di opacità. Ciò (forse) anche a causa dell’eccessiva discrezionalità

consegnata in capo al funzionario onerato, il quale, in base alla ricostruzione «oggettivo-

reale» del segreto, si trovava nella necessità di compiere una ponderazione (d’interessi)

volta alla decisione in merito alla segretezza o, viceversa, all’autorizzazione circa la

33 G. Arena, op. ult. cit., p. 293. 34 È evidente come, in questo secondo caso, l’apertura (o meno) dell’azione amministrativa alla visione

del richiedente sia subordinata ad una comparazione a contenuto latamente discrezionale involgente una ponderazione, volta alla ricerca di un giusto equilibrio, tra la tutela di alcuni specifici interessi (pubblici o privati) sottesi al documento e il generale interesse (si potrebbe definire “collettivo”) alla circolazione piena e libera del patrimonio informativo pubblico. Di qui, dunque, la definizione di «segreto amministrativo discrezionale».

35 Alle medesime conclusione giunge, in dottrina, G. D’Auria, Trasparenza e segreti nell’amministrazione italiana, op. cit., p. 97, asserendo che «[è] ovvio che il segreto “personale” riduce al massimo la circolazione delle informazioni e, anzi, è il mezzo più efficace “per la riaffermazione ed il consolidamento della posizione separata dell’amministrazione nella società” ».

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circolazione dell’informazione, in assenza di precisi parametri oggettivi che potessero

guidare la sua scelta. Quest’ultima, perciò, finiva per essere, di fatto, fortemente

soggettiva se non anche arbitraria e (nella maggior parte dei casi) funzionale alla tutela

delle prerogative dell’amministrazione di appartenenza.

In conclusione, si può sostenere che la formulazione contradditoria e confusa

della disposizione chiave in materia di segreto amministrativo fu, probabilmente,

proprio la causa dell’affermazione di una nozione di segreto dal volto ambiguo e

dall’estensione fortemente dilatata 36 finendo, nella prassi e nel “day to day”

dell’amministrare, con l’alimentare quel senso di forte ostilità (accompagnato da

atteggiamenti ostruzionistici e di chiusura) verso qualsiasi istanza di conoscenza.

E, dunque, come anticipato, la “macchina” dell’amministrazione, nella pratica e

in punto di diritto, era assettata sulla seguente formula: «La segretezza come regola, la

trasparenza come eccezione».

3.2. La «svolta epocale» realizzata dalla l. 241/1990 e ss.mm.ii. La

trasparenza come regola, il segreto come eccezione. Pro e contra di tale assetto

normativo

Tuttavia, un sistema che, come si è visto, si ergeva e si barricava dietro le fitte

maglie del segreto amministrativo generalizzato, non poteva ritenersi più compatibile, dopo l’avvento della Costituzione Repubblicana del 1948, con un modello costituzionale di amministrazione che fonda le sue solide radici sulle esigenze di buon andamento e di imparzialità ex art. 97 Cost.37

36 Se ne mostra consapevole G. Arena, Trasparenza amministrativa (voce), op. cit., p. 8, dal momento che anch’Egli osserva che «[g]razie a tale indeterminatezza del segreto amministrativo l’amministrazione ha potuto servirsene per decenni in maniera del tutto discrezionale; esso è stato un “contenitore” che l’amministrazione ha riempito di volta in volta di contenuti a seconda delle esigenze del momento, usandolo per evitare la divulgazione di informazioni che non si desiderava, per diversi motivi, venissero a conoscenza dei cittadini».

37 Tra gli autorevoli Autori sostenitori di una necessaria (e costante) riforma adeguatrice dell’amministrazione secondo le direttrici fondamentali della Costituzione, cfr., per tutti, U. Allegretti, Amministrazione pubblica e costituzione, op. cit.; nonché, (in precedenza) dello stesso Autore, L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965.

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E di qui, dunque, il lento cammino di erosione e di “smantellamento” del segreto amministrativo onnicomprensivo per cercare di realizzare un “mutamento di paradigma” circa il rapporto trasparenza/segretezza. Si assiste, cioè, ad un passaggio da un segreto visto come “canone fondamentale dell’organizzazione amministrativa”38 ad un principio generale di trasparenza e visibilità dell’operato delle P.A., ridimensionando il ruolo del segreto (che inizia ad essere più frequentemente nominato come esigenza/e di «riservatezza») quale eccezione relegata alla (pur importante) funzione di protezione di interessi aventi copertura costituzionale39 (e quindi, idonei a giustificare le deroghe al nuovo sistema, ove la regola generale diviene, per l’appunto, la trasparenza).

Il “punto di svolta”, giunto con una portata definita dalla dottrina come “dirompente”40, si ebbe con l’introduzione della l. 7 agosto 1990, n. 24141 la quale, non si limitò unicamente a porre la disciplina generale sulla procedura amministrativa, ma comportò una vera e propria rivoluzione positiva per le esigenze di democratizzazione dei rapporti tra la pubblica amministrazione e le persone42.

38 Così, molto chiaramente, R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, op. cit., p. 538. 39 Su questa linea, per un maggiore approfondimento, cfr. F. Merusi, L’affidamento del cittadino, Milano,

1979, p. 165. Più in generale, dunque, s’inizia a comprendere che il «segreto» non è ex se un dato negativo da osteggiare in senso assoluto ma uno strumento giuridico, da dosare sapientemente a seconda dei casi, la cui applicazione riveste un ruolo positivo o, viceversa, negativo a seconda dell’interesse sotteso cui offre protezione (e, di qui, dunque, l’importanza del rango costituzionale dell’interesse da proteggere in chiave di bilanciamento con le aperture, anch’esse a fondamento costituzionale, dell’agire della P.A. verso gli amministrati). Vd., su queste riflessioni, amplius, I.F. Caramazza, Dal principio di segretezza al principio di trasparenza. Profili generali di una riforma, op. cit., in part. pp. 944 e ss.

40 L’aggettivo enfatico utilizzato da G. Pastori, Relazione generale introduttiva, in La disciplina generale del procedimento amministrativo. Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione – Varenna 18-20 settembre 1986, Milano, 1989, p. 43, rende con grande efficacia l’idea che si vuole comunicare.

41 Ma in realtà, alcune “prime” aperture, da intendersi come “timide incrinature” di quel segreto amministrativo discrezionale generalizzato (vd. par. prec.), si erano già avute con alcuni interventi normativi di poco precedenti. In particolare, si segnalano: l’art. 25 della l. 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali), che consentì una (prima) forma di diritto di accesso affermando che «[t]utti i cittadini hanno diritto di prendere visione di tutti i provvedimenti adottati dai comuni, dalle province, dai consigli circoscrizionali, dalle aziende speciali di enti territoriali, dalle unità sanitarie locali, dalle comunità montane» (su cui G. Pastori, I diritti di informazione di cui alla legge n. 816/1995 e la loro attuazione, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, Milano, 1988, III, pp. 588 e ss.); l’art. 14, comma 3, della l. 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale), nella parte in cui dispone che «[q]ualsiasi cittadino ha diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell’ambiente disponibili, in conformità delle leggi vigenti, presso gli uffici della pubblica amministrazione, e può ottenere copia previo rimborso delle spese di riproduzione e delle spese effettive di ufficio il cui importo è stabilito con atto dell’amministrazione interessata»; infine, a livello regionale, in molti statuti di regioni a statuto ordinario era contemplato, spesso come “mera enunciazione”, un diritto all’informazione nei confronti dell’ente regionale cui sono seguite (per alcune Regioni soltanto) leggi di dettaglio (vd., ad es., l. reg. Lazio 12 settembre 1986, n. 43; l. reg. Lombardia 10 febbraio 1986, n. 64). Per un approfondimento sul tema cfr. B. Selleri, Il diritto all’informazione in Italia prima delle leggi n. 142/90 e n. 241/90, in G. Arena (a cura di), L’accesso ai documenti amministrativi, op. cit., pp. 95 e ss.

42 Mai sufficientemente raccomandata su questi temi è la lettura di G. Pastori, La procedura amministrativa. Introduzione generale, op. cit., per intero. Il Pastori, con metodo costruttivista, prosegue nell’opera di studio del

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Infatti, per la prima volta sono state positivizzate nell’ordinamento giuridico italiano alcune disposizioni di carattere generale dirette a enucleare un modello di amministrazione trasparente, nello sfondo di una cornice di principi generali dell’attività amministrativa, di cui all’art. 1 della l. 241/1990, alla quale s’impone di perseguire «[…] i fini determinati dalla legge» ed essere retta «[…] da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità»43.

Il principio generale di «pubblicità», che assurge a ricoprire il ruolo di (nuova) regola dei rapporti tra P.A. e amministrati, costituisce una delle “anime” del nuovo sistema consegnato dalla l. 241/1990 trovando sviluppo e “ramificazione”44 in una serie di disposizioni ed istituti contenuti nell’articolato della legge, in particolare: l’ideazione della figura del «responsabile del procedimento» 45 ex artt. 4 ss. come interlocutore privilegiato tra l’amministrazione procedente e l’esterno; gli obblighi di circolazione interna delle informazioni tra i vari apparati amministrativi di cui all’art. 18, comma 2; l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 come strumento di garanzia e conoscenza del principio di un iter procedurale; i diritti di partecipazione di

procedimento nel solco del percorso di studi sulla dinamica del potere, o meglio sulla “funzione” (quale trasformazione del potere in atto), avviato dal Suo Maestro Feliciano Benvenuti (cfr. il celebre saggio di F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, pp. 118 e ss.) con una serie di pregevoli lavori, quali Id., Il procedimento amministrativo tra vincoli formali e regole sostanziali, in U. Allegretti, A. Orsi Battaglini, D. Sorace (a cura di), Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, Rimini, 1997, pp. 805 e ss., oggi in G. Pastori, Scritti scelti, Napoli, 2010, pp. 361 e ss.; Id., Le trasformazioni del procedimento amministrativo, in Dir. e soc., 1996, IV, p. 483 ss., oggi in G. Pastori, Scritti scelti, Napoli, 2010, pp. 553 e ss.; Id., Interesse pubblico e interessi privati fra procedimento, accordo e autoamministrazione, op. cit., pp. 523 e ss.; Id., La disciplina generale dell’attività amministrativa. Considerazioni introduttive, in Quad. reg., 1987, pp. 887 e ss. Fra i lavori degli allievi di Feliciano Benvenuti si vedano, anche, (sul tema) G. Berti, Procedimento, procedura, partecipazione, in Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, Cedam, 1975, p. 779 ss. e Id., La struttura procedimentale dell’amministrazione pubblica, in Diritto e società, 1980, pp. 439 e ss.

43 A seguito delle modifiche ed integrazioni operate sulla l. 7 agosto 1990, n. 241, da parte della (successiva) l. 11 febbraio 2005, n. 15, v’è stata una parziale sostituzione/aggiunta nella disposizione dedicata ai “principi dell’azione amministrativa”. Infatti, all’articolo 1, comma 1, della l. 241/1990, le parole «[…] e di pubblicità» sono state sostituite dalle seguenti: «[…], di pubblicità e di trasparenza» (oltre all’aggiunta del periodo «[…], nonchè dai principi dell’ordinamento comunitario»). Ciò che qui interessa mostrare è il fatto che la contestuale menzione di ambedue i principi di «pubblicità» e «trasparenza» affiancati nella medesima disposizione è elemento sintomatico della loro non possibile sovrapposizione quanto a significato e, dunque, della loro diversità. In tal modo vi è conferma nel dato positivo di quanto affermato, a livello più concettuale e teorico, nel par. 2 del presente lavoro, ove si rifletteva sulla distinzione metodologica tra «pubblicità» e «trasparenza».

44 La metafora “arborea”, per indicare l’espansione del principio di trasparenza nei vari ambiti via via più specifici dell’agire amministrativo, è ripresa da G. Arena, Trasparenza amministrativa, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, op. cit., p. 5950, il quale, nel descrivere una serie d’istituti giuridici contenuti nell’impianto della l. 241/1990 li paragona ai «[…] rami di un grande albero, rappresentato dalla trasparenza amministrativa: quanto più i rami sono fitti di foglie, tanto più sarà ricca e rigogliosa la chioma dell’albero».

45 Sul tema resta fondamentale lo scritto di M. Renna, Il responsabile del procedimento nell’organizzazione amministrativa, in Dir. amm., 1994, I, pp. 13 e ss., ripreso, successivamente dallo stesso Autore, con considerazioni ulteriori, in Id., Il responsabile del procedimento a (quasi) dieci anni dall’entrata in vigore della legge n. 241, in Dir. amm., 2000, III-IV, pp. 505 e ss.

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cui all’art. 10; l’obbligo di conclusione del procedimento con un provvedimento espresso imposto dall’art. 2; la predeterminazione dei criteri e delle modalità per l’assegnazione di contributi e vantaggi economici (lato sensu) come strumento di auto-vincolo della discrezionalità previsto dall’art. 12; l’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo come garanzia di visibilità dell’iter logico/argomentativo seguito dall’amministrazione46.

Tale elenco, sicuramente non esaustivo, mostra la pervasività della regola di «pubblicità» (e, in senso ancora più valoriale, della «trasparenza amministrativa», elevata anch’essa a principio positivo nella stessa legge per opera della novella introdotta con l. 11 febbraio 2005, n. 15) in ogni ambito dell’azione amministrativa rendendo, pertanto, non possibile una trattazione esauriente di ogni suo versante.

Pur tuttavia è opportuno svolgere alcune considerazioni, in quanto maggiormente funzionali al tema del presente lavoro, su quello che può considerarsi come il principale mezzo giuridico volto a dare concretezza alla trasparenza amministrativa nel sistema costruito dalla l. 241/1990: il «diritto di accesso ai documenti amministrativi»47 nella formulazione di cui agli artt. 22 ss. della legge in commento.

L’art. 22 cit., infatti, (nella sua versione originaria) disponeva chiaramente che il diritto di accesso ai documenti amministrativi era riconosciuto «[a]l fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale […]» e, ancora più perspicuamente, a seguito della modifica dell’articolo ad opera della l. 11 febbraio 2005, n. 15, al comma 2, si sottolinea che l’accesso «[…] attese le sue rilevanti

46 I termini «diritto» e «obbligo» utilizzati per designare i c.d. «diritti procedimentali», da un lato, e gli

«obblighi procedimentali», dall’altro, sottendono una “certa idea” della costruzione delle posizioni giuridiche soggettive che “dialogano” all’interno del procedimento amministrativo che non è possibile (qui) approfondire e su cui basti, ai fini del presente scritto, il rinvio a M. Renna, Obblighi procedimentali e responsabilità dell’amministrazione, in Dir. amm., 2005, III, pp. 557 e ss. e, se si vuole, di L. Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione. La dissoluzione del concetto di interesse legittimo nel nuovo assetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 2003.

47 Per una profonda analisi del tema basti il rinvio a G. Pastori, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi in Italia, in Amministrare, 1986, I, pp. 146 e ss. Per una (ulteriore) ricognizione in argomento si consulti, quantomeno, anche C.E. Gallo, S. Foà, Accesso agli atti amministrativi, in Dig. disc. pubbl., I (Agg.), 2000, pp. 1 e ss.; L.A. Mazzarolli, L’accesso ai documenti della pubblica amministrazione: profili sostanziali, Padova, 1998; A. Scognamiglio, Il diritto di accesso nella disciplina della l. 7 agosto 1990, n. 241 e il problema della legittimazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, I, pp. 93 e ss.; M. Clarich, Diritto d’accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, in Dir. proc. amm., 1996, III, pp. 430 e ss.; T. Miele, Il procedimento amministrativo ed il diritto di accesso: lo stato di attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, Torino, 1995; A. Romano Tassone, A chi serve il diritto di accesso? Riflessioni su legittimazione e modalità d’esercizio del diritto di accesso nella legge n. 241/1990, in Dir. amm., 1995, III, pp. 315 e ss.; F. Patroni Griffi, Un contributo alla trasparenza dell’azione amministrativa: partecipazione procedimentale e accesso agli atti (legge 7 agosto 1990, n. 241), in Dir. proc. amm., 1992, I, pp. 56 e ss.; M. Mazzamuto, Sul diritto di accesso nella L. 241 del 1990, in Foro amm., 1992, II, pp. 1571 e ss.; G. Arena (a cura di), L’accesso ai documenti amministrativi, op. cit.; B. Selleri, Il diritto di accesso agli atti del procedimento amministrativo: profili generali, Napoli, 1984.

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finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione»48.

Tuttavia, accanto all’enunciazione enfatica di principi (sicuramente importante nella sottolineatura della nuova “idea di amministrazione” sottesa alla riforma), nella formulazione definitiva dell’art. 22 si può notare una restrizione in termini di legittimazione soggettiva che fa discostare la versione dell’articolato positivizzata dall’originario schema proposto dalla “Commissione Nigro”49.

Infatti, come noto, il progetto originario contenuto nello schema di disegno di legge elaborato dalla commissione Nigro, s’ispirava per l’elaborazione della nuova figura del diritto di accesso50 al vicino modello francese51, discostandosi, però, da quest’ultimo per un aspetto essenziale, ovvero nella parte in cui s’intendeva, per ovviare ad alcune carenze riscontrate nella prassi francese nonché per implementare al meglio il nuovo impianto ove la trasparenza amministrativa fosse la regola dominante dell’agire pubblico, riconoscere il diritto di accesso a “chiunque” e non soltanto agli “interessati” (in senso tecnico-giuridico).

In realtà, a causa delle modifiche accorse sullo schema originario presentato dalla Commissione Nigro, il “chiunque” in punto di legittimazione aperta alla richiesta di accesso ai documenti amministrativi fu sostituito dal (ben) più ristretto «[…] chiunque

48 Sul carattere di “principio generale dell’attività amministrativa” proprio del diritto di accesso contra G.

Arena, Trasparenza amministrativa, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, op. cit., p. 5950. Egli, infatti, acutamente fa notare come, ad uno sguardo più attento, principio è (semmai) la pubblicità, o ancor meglio la trasparenza amministrativa, ma non il diritto di accesso che assume (invece) il ruolo di strumento/mezzo/istituto giuridico volto alla realizzazione degli accennati principi.

49 La commissione, presieduta da Mario Nigro e incaricata di avviare i lavori per predisporre gli schemi normativi di quella che divenne (poi) con alcune modifiche la prima legge generale sulla procedura amministrativa, era composta da Autorevoli studiosi del calibro di Giorgio Pastori, Giuseppe Pericu e Francesco Pugliese, oltre ad alcuni magistrati (del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti) quali Salvatore Giacchetti, Luigi Cossu e Onorato Sepe.

50 Da intendere nel quadro dei “nuovi diritti” da riconoscere e garantire alle persone per una migliore democratizzazione dei rapporti sociali e per dare l’avvio ad una (nuova) funzione di informazione. Così. G. Pastori, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi in Italia, op. cit., pp. 147-148.

51 Per una (breve) ripresa dei modelli idealtipici — in tema di diritto di accesso — di origine francese e tedesca presenti all’attenzione della dottrina dell’epoca immediatamente antecedente all’entrata in vigore della l. 241/1990, vd. R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, op. cit., p. 549 ss. Per un approfondimento maggiore sullo specifico tema del diritto di accesso in Francia (schema tenuto in maggiore considerazione dalla commissione Nigro), cfr. A. Travi, L’accesso ai documenti amministrativi in Francia, in Amministrare, 1986, I, pp. 135 e ss.

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vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti […]» 52 ove il soggetto interessato, grazie al combinato con l’art. 25 l. 241/1990, nel presentare la propria istanza d’accesso doveva (rectius: deve, stante l’ancora attuale applicazione del sistema in commento) “motivare” la richiesta alla luce della propria situazione giuridica soggettiva bisognosa di tutela e collegata al documento.

La ratio di tale divergenza della versione definitiva rispetto alla formulazione (ben più aperta alla visibilità del potere) contenuta nello schema della Commissione Nigro è (forse) stata quella di apporre una sorta di “filtro” alle richieste di accesso in base al neo-nato istituto onde evitare un eccessivo numero di esse che potesse ingolfare gli apparati amministrativi già alle prese con tutti gli adattamenti “dirompenti” (come accennato) di cui alla nuova legge generale sulla procedura amministrativa. Nei fatti, tuttavia, tale innesto normativo comportò uno sviamento del nuovo diritto di accesso, dal senso più conforme ad un’autentica visione di trasparenza dei rapporti amministrazione/amministrati funzionale ai citati obiettivi di controllo democratico diffuso sull’esercizio del potere, a strumento di tutela individuale di posizioni giuridiche soggettive proprie del singolo53.

Questo è, dunque, l’aspetto di maggior limite del nuovo sistema consegnato dalla l. 241/1990, che ebbe l’enorme pregio di ideare una “nuova concezione” dell’amministrazione esprimibile con la formula «la trasparenza come regola, il segreto come eccezione» (all’opposto, dunque, del sistema antecedente descritto nel paragrafo precedente). Quanto, invece, allo strumento cardine (per il raggiungimento delle finalità

52 Dello stesso tenore, a seguito della più volte accennata novella di cui alla l. 11 febbraio 2005, n. 15, la

nuova nozione di «interessato» all’accesso inserita nel medesimo art. 22: «[…] per “interessati”, (aggiungiamo: s’intendono) tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso».

53 Si ricordi, infatti, che la prassi amministrativa in cui si stava introiettando un portato di regole dal volto “sconvolgente” e “rivoluzionario” (quanto al mutamento radicale di paradigma) era la stessa che per oltre un secolo era adagiata sugli schemi del segreto amministrativo discrezionale generalizzato. Dunque, la previsione di una limitazione soggettiva di tal fatta apposta alle richieste di accesso contribuì, senz’altro, a perseverare una certa concezione di supremazia dell’amministrazione-autorità in posizione di dominanza, separatezza e chiusura verso l’esterno e la società di riferimento. Critico verso il volto finale assunto dal diritto di accesso nel sistema della l. 241/1990, rispetto alle ottime premesse d’avanguardia poste dallo schema di progetto della Commissione Nigro, è, senz’altro, I.F. Caramazza, Dal principio di segretezza al principio di trasparenza: profili di una riforma, op. cit., p. 952, il quale non si esime dall’osservare che «[l]a formula, alquanto inusuale, che ricollega la titolarità dell’accesso ad un interesse per la tutela di situazioni soggettive giuridicamente rilevanti, si pone a metà strada fra quelle adottate nell’ordinamento francese e tedesco, occupando una posizione intermedia fra il “chi è parte di un procedimento” del primo ed il “chiunque” del secondo. Il diritto in questione (aggiungiamo: il diritto di accesso) è stato in tal modo configurato come pretesa strumentale per l’eventuale tutela di posizioni normativamente qualificate e non come strumento di controllo “popolare” o politico dell’azione della pubblica amministrazione o come strumento di partecipazione».

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di trasparenza amministrativa), rappresentato dal diritto di accesso ai documenti amministrativi, si impedì espressamente che quest’ultimo fosse un mezzo in grado di far conoscere ai governati l’operato delle pubbliche amministrazioni (e, conseguentemente, di esprimere valutazioni di senso politico connesse alla posizione istituzionale del popolo come detentore della sovranità) relegandolo, viceversa, alla logica conflittuale e individualistica tipica della garanzia delle posizioni soggettive propedeutica ad un (eventuale) contenzioso in sede giurisdizionale54.

Chiaro, infatti, risuona il monito di cui al (nuovo) art. 24, comma 3, (così come risultante post modifica ex l. 15/2005), contrario ad una concezione collettiva ed informativa del diritto di accesso, che, con formula che non lascia residuare dubbi di alcuna sorta, comunica in maniera lapidaria (per una compiuta trasparenza amministrativa) che «[n]on sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni».

Dunque, si è visto come l’entrata in vigore della l. 241/1990 e ss.mm.ii. ha segnato una tappa fondamentale, o meglio, l’inizio di un nuovo percorso verso l’obiettivo finalistico della “visibilità del potere” e una democratizzazione dei rapporti con gli amministrati attraverso il ribaltamento prospettico del rapporto tra trasparenza, da un lato, e segreto, dall’altro.

Sennonché è doveroso segnalare che, sebbene la trasparenza (e, dunque, la pubblicità) siano poste dall’impianto normativo in commento come regola, tuttavia il segreto non è stato annullato ed eliso del tutto ma, semplicemente, ha mutato il suo volto assumendo, con alcune caratteristiche cui infra, il ruolo di eccezione/deroga alla pubblicità/accesso.

Ciò in quanto è noto che, seppur la metafora dell’amministrazione “casa di

54 Basti, per tutti, il rinvio alle critiche di analogo tenore formulate da G. Arena, Trasparenza amministrativa,

in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, op. cit., pp. 5953-5954, il quale si dimostra consapevole di quanto espresso in corpo, nella misura in cui anch’Egli afferma che «[l]’accesso, pensato in origine appunto come uno dei “nuovi diritti” non solo egoistici, come diritto ad essere informati non solo nel proprio interesse, ma nel più generale interesse alla trasparenza dell’azione amministrativa, ha finito così con il diventare nel corso degli anni semplicemente un’arma in più degli amministrati da usare contro l’amministrazione, in una prospettiva di tutela individuale di interessi di singoli privati, il cui bisogno di conoscenza non è motivato anche dal desiderio di rendere l’amministrazione più trasparente, bensì unicamente dall’esigenza di tutelare più efficacemente i propri interessi, anche in sede giurisdizionale, grazie allo sguardo gettato oltre la barriera burocratica». Ciò significa che, come emerge chiaramente anche dalla lettera del nuovo comma 3 dell’art. 24 della l. 241/1990, si vieta proprio ciò che, in realtà, costituiva lo scopo ispiratore della Commissione Nigro, ovvero, non tanto un rimedio individuale, ma uno strumento proiettato in una dimensione collettiva di visibilità del potere e di apertura informativa della gestione della “cosa pubblica” in assonanza ai nuovi canoni di “pubblicità” e “trasparenza” quali principi-“regola” che reggono la (nuova) “casa di vetro” (parafrasando Turati) dell’amministrazione.

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vetro” (richiamata più volte nel corso del presente lavoro) sia un monito costante e dalla valenza assiologica positiva (nel suo complesso), pur tuttavia essa non deve condurre ad alcuna mistificazione55 o assolutizzazione erronea.

S’intende dire che l’immagine dell’amministrazione come “casa di vetro”, essendo una metafora, va intesa come tale nel suo carattere programmatico più che immediatamente precettivo, in quanto, ad una riflessione più profonda, emerge la permanenza dell’istituto del segreto giacchè non tutto ciò che si compie nella “casa” dell’amministrazione può essere sottoposto ad uno sguardo libero e generalizzato, pena il sacrificio (indebito) di interessi d’importanza ordinamentale.

Ciò che, in realtà, è davvero fondamentale è la scelta dei segreti da mantenere (abbandonando una logica generalizzante quale quella esistente in precedenza, su cui vd. par. 3.1.) nonché la procedimentalizzazione delle modalità di apposizione del segreto in quanto istituto, sì necessario, ma relegato alla posizione di eccezione dalla (nuova) regola di trasparenza56.

Ecco, dunque, perché autorevole dottrina, al fine di creare un equilibrio più ragionevole del sistema complessivo, intende modificare (lievemente) la metafora del Turati affermando che «[…] se si vuole utilizzare un’immagine, quella corretta è se mai l’immagine della casa di vetro con molte finestre schermate o schermabili»57.

Questa, infatti, sembra essere stata la strada seguita dagli ideatori della l. 241/1990 che hanno introdotto, quale garanzia, una disciplina procedimentalizzata della segretazione che correla quest’attività alla “qualità” degli interessi coinvolti da certe informazioni più che alla “qualità” del soggetto che le detiene segnando, così, il

55 Sul pericolo di mistificazione insito nella formula dell’amministrazione pubblica come “casa di vetro”,

già A. Meloncelli, L’informazione amministrativa, Rimini, 1983, p. 35. Nello stesso senso anche G. Ferrari, L’avventura del segreto nell’Italia Repubblicana negli anni ’60 ed ’80, in Il segreto nella realtà giuridica italiana, Padova, 1983, p. 77, ove anch’Egli cerca di mostrare come vi sia in atto una tendenza, erronea nell’impostazione metodologica, che sulla base di un approccio eccessivamente assolutizzante porta a «[…] demonizzare ogni segreto, prospettandolo come una specie di peccato capitale ed opponendogli retoricamente il modello della casa di vetro».

56 Poiché la intende (i.e. la trasparenza amministrativa) come un diritto afferente alla sostanza costituzionale delle posizioni individuali, G. Pastori, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi in Italia, op. cit., p. 150, ne fa derivare la necessità di una sua disciplina secondo criteri di universalità, generalità ed uguaglianza, che può tollerare limitazioni unicamente «[…] in ragione del rispetto dovuto ad altre posizioni di pari dignità, in particolare del coesistente diritto alla riservatezza privata […]. I limiti relativi tuttavia non corrisponderebbero più a una qualificazione generale di riservatezza o di segreto (come quella che può considerarsi vigente, pur con molte eccezioni, fin ad ora) dell’attività e dei documenti amministrativi, bensì a materie e situazioni tassativamente previste, per cui la riservatezza rappresenta una condizione obiettiva per non impedire o ostacolare il perseguimento dei risultati che l’azione dei pubblici poteri deve istituzionalmente raggiungere».

57 Il richiamo è a R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, op. cit., p. 535 che rinvia, a sua volta, ad A. Meloncelli, L’informazione amministrativa, op. cit., p. 35.

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passaggio da una concezione c.d. «soggettivo-personale» ad un compiuto modello c.d. «oggettivo-reale» più in sintonia con una moderna amministrazione58.

Infatti, da un lato l’art. 24 della l. 241/1990 disciplina i casi di esclusione del diritto di accesso procedendo con una tecnica di normazione per formule generali (nel caso di specie indicando le diverse materie e situazioni nelle quali il diritto di accesso deve essere escluso), in luogo di procedere per tassonomie ed elencazioni analitiche di casi come nella vicina legislazione francese59; dall’altro l’art. 28 della medesima legge comporta una sostituzione dell’art. 15 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (vd. par. prec.) riformulando la definizione di segreto amministrativo d’ufficio60.

La nuova formulazione rimuove quelle incertezze interpretative che avevano affannato, come nella risoluzione di un impossibile “rompicapo”, la dottrina che si era impegnata nell’esegesi della precedente versione della disposizione de qua, in quanto ora correla la disciplina del segreto d’ufficio alle disposizioni in materia di accesso contenute nella l. 241/1990.

Il risultato raggiunto è tale per cui il segreto tanto si dilata quanto sono dilatati i limiti di cui all’art. 24 l. 241/1990, i quali, essendo riferiti non a qualità soggettive dei funzionari preposti ma a determinati interessi di forte rilievo pubblicistico disegnano, come anticipato, un’unica figura di segreto declinata in senso “oggettivo-reale” e collocata in rapporto di eccezione rispetto ai più generali principi cardine di «pubblicità» e «trasparenza»61.

58 Sempre d’obbligo il riferimento, su questi temi, a G. Arena, La trasparenza amministrativa ed il diritto di

accesso ai documenti amministrativi, op. cit., p. 73, il quale segnala, con attenzione, proprio il suddetto passaggio dal segreto “personale” al segreto “reale” grazie all’avvento della l. 241/1990, affermando che «[l’]introduzione del principio della pubblicità comporta, infatti, […] l’esigenza di rapportare le informazioni agli interessi, anziché alle persone, cioè comporta il passaggio ad un tipo di segreto in cui rileva la “qualità” delle informazioni, cioè il loro rapporto con determinati interessi, piuttosto che non la “qualità” del soggetto che le detiene; in sostanza, prevale l’elemento oggettivo (“reale”) costituito dalle informazioni oggetto del segreto e quindi, indirettamente, dagli interessi che ne formano il vero contenuto».

59 Il problema della tecnica legislativa da utilizzare (“formule sufficientemente generali” o “dizioni a carattere elencativo ed analitico”) per la scrittura delle (nuove) disposizioni sul diritto di accesso (e i relativi limiti) era stato oggetto di dibattito all’interno della Commissione Nigro, come ben riportato da G. Pastori, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi in Italia, op. cit., p. 151.

60 Il “nuovo” testo dell’art. 15 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, così recita: «L’Impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio. Non può trasmettere a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o concluse, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso. Nell’ambito delle proprie attribuzioni, l’impiegato preposto ad un ufficio rilascia copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati dall’ordinamento».

61 A. Anzon, Segreto d’ufficio dir. amm. (voce), op. cit., p. 5.

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3.3. Il nuovo equilibrio del rapporto trasparenza/segretezza operato dal

d.lgs. 33/2013. Verso un sistema «open to all» basato su obblighi normativi di

pubblicazione e favor (quasi) totale per la trasparenza

Il rapporto di equilibrio fra trasparenza amministrativa e (come si è detto)

esigenze costituzionalmente necessarie di riservatezza-segreto a protezione d’interessi rilevanti a consistenza oggettiva, per un ventennio dall’emanazione della l. 241/1990 e dal suo “rodaggio applicativo” è stato segnato da graduali sviluppi, soprattutto giurisprudenziali, dell’impianto strutturale di base senza stravolgimenti radicali e, dunque, in un clima di “manutenzione dell’esistente”.

Tuttavia, di recente, si è assistito ad un nuovo ri-equilibrio tra i due menzionati poli (trasparenza, da un lato, e segreto, dall’altro) ad opera di un intervento normativo che ha prodotto uno sbilanciamento del sistema verso uno dei due corni in questione, ovvero orientato tendenzialmente per un favor (quasi) totale per la trasparenza nell’obiettivo di realizzo di un apparato c.d. «open to all» basato su obblighi normativi di pubblicazione.

Il riferimento è, ovviamente, alle disposizioni contenute nel d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (“Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione

di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”)62 adottato dal Governo in attuazione dell’art. 1, comma 35, della l. 6 novembre 2012, n. 190 recante “[d]isposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica

62 La letteratura intervenuta a commento della (nuova) riforma, nonostante la recente entrata in vigore

del d.lgs. 33/2013, è già vastissima. In tema, si leggano, quantomeno, P. Canaparo, La via italiana alla trasparenza pubblica: il diritto di informazione indifferenziato e il ruolo proattivo delle pubbliche amministrazioni, op. cit.; B. Ponti (a cura di), La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, Rimini, 2013; A. Bonomo, Il codice della trasparenza e il nuovo regime di conoscibilità dei dati pubblici, in Istituzioni del federalismo, 2013, III-IV, pp. 725 e ss.; A. Simonati, La trasparenza amministrativa e il legislatore: un caso di entropia normativa?, in Dir. amm., 2013, IV, pp. 749 e ss.; A.E. Matarazzo, Il nuovo codice della trasparenza, in Lo stato civile italiano, 2013, V, pp. 50 e ss.; M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giorn. Dir. amm., 2013, VIII-IX, pp. 795 e ss.; V. Torano, Il diritto di accesso civico come azione popolare, in Dir. amm., 2013, IV, pp. 789 e ss.; F. Patroni Griffi, La trasparenza della Pubblica Amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, in federalismi.it, 2013, VIII; P. Marsocci, Gli obblighi di diffusione delle informazioni e il d.lgs. 33/2013 nell’interpretazione del modello costituzionale di amministrazione, in Istituzioni del federalismo, 2013, III-IV, pp. 687 e ss.; M. Bombardelli, Fra sospetto e partecipazione: la duplice declinazione del principio di trasparenza, in Istituzioni del federalismo, 2013, III-IV, p. 657 ss.; P. Canaparo, Il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33: i nuovi confini della trasparenza pubblica e il diritto alla conoscibilità dell'azione amministrativa, in Giustamm.it, 2013; R. Garofoli, Il contrasto alla corruzione. La l. 6 novembre 2012, n. 190, il decreto di trasparenza e le politiche necessarie, in www.giustizia-amministrativa.it, 2013; B.G. Mattarella, La prevenzione della corruzione in Italia, in Giorn. dir. amm., 2013, II, pp. 123 e ss.

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amministrazione” (c.d. “legge anticorruzione”)63.

Tale decreto contiene una serie di disposizioni per il riordino della normativa in materia di obblighi di pubblicità, trasparenza e, più in generale, diffusione d’informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, funzionali all’obiettivo, esplicitato dall’art. 1 dello stesso64, di accrescere la «trasparenza amministrativa» della quale, per la prima volta, viene formulata una definizione a livello normativo.

Tale aspetto è degno di nota. Infatti, come si è potuto intuire dai paragrafi precedenti, il concetto di trasparenza amministrativa, proprio in quanto non identifica un istituto giuridico dal volto preciso, ma rappresenta, semmai, una particolare configurazione (id est: modo d’essere) circa i rapporti tra governanti e governati, è sempre rimasto sullo sfondo, al livello dei valori o super-principi di elaborazione dottrinale, senza mai interessare il legislatore quanto ad una sua perimetrazione definitoria precisa.

Di diverso avviso è invece il legislatore del 2013 il quale, all’art. 1 del decreto cit., ci consegna una definizione positiva del concetto di trasparenza amministrativa e, in particolare, la intende come «[…] accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo

63 Interessante far notare come la genesi del d.lgs. 33/2013 dalla normativa anticorruzione (la quale ne

costituisce, appunto, la fonte in termini di delega) abbia contribuito a creare una duplicità di piani, nel senso di una “doppia anima” che il principio di trasparenza sembra assumere all’interno dell’articolato normativo in questione. Coglie esattamente questo profilo M. Bombardelli, Fra sospetto e partecipazione: la duplice declinazione del principio di trasparenza, op. cit., p. 657 ss., il quale, infatti, ci mostra come da un lato gli obblighi di pubblicazione imposti dal decreto ingenerino una forma di «sospetto» verso l’amministrazione in quanto paiono volti ad arginare (e a porre presidi contro) ogni rischio di corruzione e di «maladministration»; dall’altro lato gli stessi obblighi sono funzionalizzati a stimolare un rinnovato senso di fiducia dei governati con le istituzioni attraverso l’apertura di queste ultime verso il cittadino il quale è invitato ad una più ampia partecipazione. Per utilizzare le parole dell’Autore (in op. cit., pp. 661 e ss.): «Da queste previsioni emerge molto nitida la declinazione duplice del principio [...]. È evidente infatti come la trasparenza venga innanzitutto riferita agli importanti obiettivi del contrasto della corruzione e della valutazione dei dipendenti pubblici, confermando in questo senso l’impostazione adottata dall’art. 11 del d.lgs. 150/2009 e dall’art. 18 del d.l. 22 giugno 2012, n. 835. Ma queste non sono le uniche finalità attribuite alla trasparenza, perché la stessa viene poi ricondotta anche al piano dell’amministrazione attiva, come principio rivolto a migliorare il rapporto fra amministrazione e cittadini, a porre le basi per un dialogo più consapevole fra essi e a creare quindi le condizioni per una partecipazione più significativa, idonea a realizzare un’amministrazione al contempo più efficiente ed efficace nel raggiungere i risultati che le sono richiesti e più aperta e più capace di coinvolgere le risorse partecipative della società nella soluzione dei problemi di interesse generale».

64 Art. 1, comma 1, d.lgs. 33/2013: «La trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche».

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delle risorse pubbliche»65.

Le informazioni totalmente accessibili sono rappresentate da una serie di dati inerenti ai più svariati profili dell’organizzazione e dell’attività 66 degli apparati amministrativi che, alla luce di obblighi di pubblicazione di fonte legale67, le varie P.A. dovranno divulgare secondo certe specifiche e regole tecniche (cfr. le dettagliate prescrizioni contenute nell’allegato “A” al decreto) sui propri siti istituzionali.

A tale massa informativa è correlato un vero e proprio diritto in capo ai singoli, definito dal decreto come «diritto alla conoscibilità»68 , il cui contenuto sostanziale corrisponde ad un potere generale di accesso diretto e immediato, ovvero non intermediato da alcuna forma di filtro o previa giustificazione, alle pubblicazioni inserite all’interno di un’apposita sezione (individuabile sotto l’etichetta «amministrazione trasparente»69) dei siti web istituzionali delle amministrazioni.

Perdipiù, l’anzidetto diritto alla conoscibilità non è volto al solo obiettivo della conoscenza di tutto quel materiale informativo, seppur meta già di per sé considerevole,

65 Ritiene A. Simonati, La trasparenza amministrativa e il legislatore: un caso di entropia normativa?, op. cit., p.

752-753, che la definizione di trasparenza amministrativa contenuta nell’art. 1 del d.lgs. 33/2013, dal momento che sembra equiparare le nozioni di «trasparenza» e di «pubblicità», segna un punto di rottura con la nozione finora esistente a livello giurisprudenziale e dottrinale. L’Autrice chiarisce che «[in] base all’orientamento tradizionale, infatti, la trasparenza resta distinta dalla pubblicità degli atti e ha a che fare, piuttosto, con la circolazione delle informazioni all’interno e all’esterno della p.a., in vista della piena comprensione dell’attività svolta dalle autorità». Sulla distinzione tra le locuzioni trasparenza» e «pubblicità» vd., amplius, il par. 2 del presente lavoro.

66 Si riportano qui in nota, per maggiore completezza e ai fini di una comprensione (seppur minima) delle categorie generali d’informazioni assoggettate ai (nuovi) obblighi pubblicitari, le macro-categorie di contenuti coincidenti con i vari capi del decreto, a loro volta sub-divisibili in un’ampia successione di disposizioni minuziose e dettagliate contenute nei vari articoli: obblighi di pubblicazione concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni (capo II), obblighi di pubblicazione concernenti l’uso delle risorse pubbliche (capo III), obblighi di pubblicazione in settori speciali (capo IV). Per un commento analitico ai vari articoli del decreto, qui non possibile per le dovute esigenze di sintesi, si rimanda a B. Ponti (a cura di), La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, op. cit., per intero.

67 In realtà, oltre alle prescrizioni d’obbligo, il d.lgs. 33/2013 contiene anche una clausola generale di attribuzione in capo alle varie P.A. di una facoltà di pubblicazione d’informazioni aggiuntive, ulteriori, cioè, a quelle contenute nelle varie sezioni del decreto. Vd., sul punto, l’art. 4, comma 3, d.lgs. cit.: «Le pubbliche amministrazioni possono disporre la pubblicazione nel proprio sito istituzionale di dati, informazioni e documenti che non hanno l’obbligo di pubblicare ai sensi del presente decreto o sulla base di specifica previsione di legge o regolamento, fermi restando i limiti e le condizioni espressamente previsti da disposizioni di legge, procedendo alla anonimizzazione dei dati personali eventualmente presenti».

68 Così letteralmente l’art. 3 del d.lgs. cit., rubricato, per l’appunto «[p]ubblicità e diritto alla conoscibilità» La disposizione de qua sancisce, infatti, che «[t]utti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell’articolo 7».

69 Cfr. art. 9 d.lgs. 33/2013.

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ma diviene strumento, a sua volta, per ulteriori esiti70 quali la fruizione gratuita e il libero riutilizzo (circondato, tuttavia, da una serie di limiti/obblighi cui infra) dello stesso capitale informativo agevolati anche dal formato c.d. «open data»71 prescritto per le pubblicazioni.

Tuttavia, riprendendo i concetti già esposti nel par. 2 del presente lavoro, perché il nuovo sistema di “casa di vetro” degli apparati pubblici funzioni non è sufficiente la mera pubblicazione di una serie d’informazioni, giacché si è visto come «pubblicità» non sia (di per sé) sinonimo di «conoscenza», base a sua volta di un circuito di partecipazione democratica nell’ottica dello sviluppo della consapevolezza informativa e del controllo diffuso sui delegati all’esercizio della sovranità. Serve sempre quel surplus, in termini di coefficienti qualitativi dell’informazione, esemplificabili come «chiarezza», «comprensibilità» e «intellegibilità», che consentano il passaggio da un concetto statico, quale è la pubblicità, ad un momento dinamico di vera trasparenza amministrativa attraverso i passaggi intermedi della «conoscibilità», «conoscenza in concreto» e «autentica comprensione».

Di questo problema sembra essere stato consapevole il legislatore delegato, vista la scelta di dedicare un apposito articolo al tema della «qualità delle informazioni»72,

70 Si legga, in proposito, l’art. 7 del d.lgs. 33/2013 in tema di dati aperti e riutilizzo. 71 In dottrina, per una considerazione sull’importanza della scelta compiuta dal d.lgs. 33/2013 in favore

di un formato «open data» per le pubblicazioni dei dati, documenti e informazioni, si rinvia alle riflessioni di P. Canaparo, La via italiana alla trasparenza pubblica: il diritto di informazione indifferenziato e il ruolo proattivo delle pubbliche amministrazioni, op. cit., p. 41. L’Autore, ivi, individua due finalità che il legislatore (in astratto) cercherebbe di perseguire per mezzo dell’opzione in questione: la prima potrebbe essere ravvisata in una sorta di garanzia di c.d. «interoperabilità» dell’accesso ai dati nel tempo senza il rischio di subire ostacoli legati a caratteristiche tecniche e/o di privativa legale; la seconda potrebbe, invece, attenere al tentativo di avvio di un percorso di tipo pro-concorrenziale stimolato dalle facoltà di riutilizzo dei dati pubblicati in assenza di un rigido controllo centralizzato di tipo autorizzativo. Più in generale, sul tema degli «open data» e del conseguente «open government» frutto di una trasparenza collaborativa quale base per la creazione di nuovo valore economico e sociale, vd., anche, B. Coccagna, Attivismo digitale: monitoraggio collaborativo e democratizzazione dell’informazione di fonte pubblica, in Ciberspazio e diritto, 2012, XIII, pp. 45 e ss.; Id., Libero accesso nelle politiche di open data: trasparenza, apertura e auto-organizzazione nel riutilizzo delle informazioni del settore pubblico, in Ciberspazio e diritto, 2011, XII, pp. 129 e ss.; G. Mancosu, Trasparenza amministrativa e open data: un binomio in fase di rodaggio, in Federalismi.it, 2012, XVII; F. Di Donato, Lo stato trasparente. Linked open data e cittadinanza attiva, Pisa, 2010.

72 È l’art. 6 del d.lgs. cit., il quale, sancisce precisi obblighi in capo alle P.A. per quanto concerne gli accennati profili qualitativi delle informazioni statuendo che «[l]e pubbliche amministrazioni garantiscono la qualità delle informazioni riportate nei siti istituzionali nel rispetto degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge, assicurandone l’integrità, il costante aggiornamento, la completezza, la tempestività, la semplicità di consultazione, la comprensibilità, l’omogeneità, la facile accessibilità, nonchè la conformità ai documenti originali in possesso dell’amministrazione, l’indicazione della loro provenienza e la riutilizzabilità secondo quanto previsto dall’articolo 7. L’esigenza di assicurare adeguata qualità delle informazioni diffuse non può, in ogni caso, costituire motivo per l’omessa o ritardata pubblicazione dei dati, delle informazioni e dei documenti».

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vera chiave di volta 73 su cui dovrà reggersi il (nuovo) sistema qualora voglia per davvero, nei fatti, raggiungere quelle finalità virtuose che promette “sulla carta”.

L’ostensione al pubblico di dati informativi, infatti, è vista come mezzo per realizzare un’autentica idea di amministrazione aperta, ove la c.d. «visibilità del potere» funga da stimolo per un rinnovato dialogo partecipativo con le persone e, dunque, per il realizzo di una vera «demarchia». Tale sistema dovrebbe, inoltre, essere l’occasione per favorire forme diffuse di controllo sull’esercizio delle funzioni istituzionali e sulle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche, contribuendo a collegare il principio di trasparenza a tutta un’altra serie di preminenti principi e finalità chiave dell’ordinamento 74 quali il principio democratico, l’imparzialità, il buon andamento, l’efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, la responsabilità e l’integrità e la lealtà nel servizio alla nazione75.

È di palmare evidenza, se si opera un confronto con l’impianto normativo di cui alla l. 241/1990, che la nuova disciplina sulla trasparenza amministrativa diverge completamente (superandolo) dal sistema in tema di diritto di accesso ivi contenuto agli art. 22 ss.76, il quale, come si era (già) anticipato, si reggeva sulla regola (cfr. art. 24,

73 Giacchè si deve essere ben consapevoli dei rischi implicitamente connessi con i profili quantitativi dei

dati pubblicati, stante la sussistenza di un rapporto inversamente proporzionale tra qualità della trasparenza e mole informativa pubblicata che rende preferibile l’utilizzo del canone «less is better» (il riferimento va a G. Napolitano, L’attività informativa della pubblica amministrazione: ‘less is better’, in F. Manganaro, A. Romano Tassone (a cura di), I nuovi diritti di cittadinanza: il diritto d’informazione, Torino, 2005). A tal proposito E. Carloni, La “casa di vetro” e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza amministrativa, op. cit., p. 806, utilizza l’espressione «opacità per confusione» per sottolineare il potenziale distorsivo che caratterizza ogni eccesso dal lato dell’offerta delle informazioni pubblicate online nonché i connessi effetti di disorientamento sul cittadino-lettore. Nello stesso ordine d’idee, anche, P. Canaparo, La via italiana alla trasparenza pubblica: il diritto di informazione indifferenziato e il ruolo proattivo delle pubbliche amministrazioni, op. cit., p. 58.

74 Insiste nel sottolineare il carattere «finalistico» e di servizio che colora la (nuova) trasparenza amministrativa nell’impianto del d.lgs. 33/2013 F. Patroni Griffi, La trasparenza della pubblica amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, op. cit., in part. pag. 2.

75 Così, infatti, molto chiaramente, l’art. 1, comma 2, d.lgs. cit.: «La trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonchè dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino».

76 Per un confronto tra i due sistemi (l. 241/1990 e d.lgs. 33/2013) si consulti, se si vuole, anche A. Simonati, La trasparenza amministrativa e il legislatore: un caso di entropia normativa?, op. cit., pp. 760 e ss. Vd., anche, le riflessioni di F. Merloni, Trasparenza delle istituzioni e principio democratico, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008, pp. 9 e ss., il quale, a proposito, fa notare come si stia assistendo ad un passaggio da un tipo di accesso soggettivamente delimitato, c.d. «erga partes», ad uno di tipo «potenzialmente generale» o «erga omnes».

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comma 377) tale per cui «[n]on sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni»78.

Al contrario, il principio di «accessibilità totale» 79 (cardine della riforma introdotta dal d.lgs. 33/2013) apre a forme di conoscenza diffusa del patrimonio informativo pubblico che si pongono ben oltre il modello dell’«accesso differenziato» ex artt. 22 ss. della l. 241/1990 (vd. par. prec.) per almeno due ordini di ragioni.

In primis, come noto, l’istituto del diritto di accesso disciplinato dalla versione finale della legge sul procedimento amministrativo (divergente, sul punto, dagli intenti iniziali della Commissione Nigro) si fonda su una definizione di «interessati» (all’accesso) a legittimazione ristretta80.

In secondo luogo, il campo di apertura della (nuova) conoscenza diffusa si colloca (ben) aldilà dei soli documenti amministrativi81, come nel caso della l. 241/1990, in quanto facoltizza chiunque all’acquisizione di tutte le informazioni e i dati concernenti i profili organizzatori e gli ambiti di attività delle amministrazioni coinvolte

77 Nella versione modificata dall’art. 16 della legge 11 febbraio 2005, n. 15. 78 Nello stesso senso appariva assestata anche la giurisprudenza pressoché dominante. Cfr., ex pluribus,

Cons. St., sez. VI, 22 novembre 2012, n. 5936, in Foro amm. CDS, 2012, XI, p. 3011; Cons. St., sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1402, in Foro amm. CDS, 2012, III, p. 684; Tar Lombardia, Milano, sez. III, 2 ottobre 2012, n. 2448, in Foro amm. TAR, 2012, X, p. 3052; Tar Lazio, Roma, sez. III, 3 gennaio 2012, n. 30, in Foro amm. TAR, 2012, I, p. 168; Cons. St., 27 febbraio 2008, n. 721, in Foro amm. CDS, 2002, II, p. 566;

79 Per un’esposizione, in chiave diacronica, di una seria d’ipotesi di «accessibilità totale», da intendersi come forme giuridiche anticipatrici dell’odierno sistema generalizzato dal d.lgs. 33/2013, rinvenute come frammenti in vari luoghi dell’ordinamento (in particolare, nella legislazione ambientale, nell’ordinamento degli enti locali, nelle amministrazioni regionali e per particolari categorie di soggetti), cfr. A. Bonomo, Informazione e pubbliche amministrazioni. Dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, op. cit., p. 223 ss. Interessante rilevare, sempre nell’ottica della (nuova) “accessibilità totale”, come, nella visione di F. Merloni, La funzione di informazione pubblica nella società dell’informazione, in F. Merloni (a cura di), L’informazione delle pubbliche amministrazioni, op. cit., pp. 69 e ss., gli obblighi di pubblicazione contenuti nel d.lgs. 33/2013 vengano riferiti al versante attivo della funzione amministrativa di informazione, definito dall’Autore come «interventista», al cui opposto, invece, si colloca, una posizione di tipo «astensionista» corrispondente alle situazioni nelle quali l’amministrazione si pone sul versante passivo di un’eventuale richiesta di accesso.

80 Vd. la definizione di «interessati» positivizzata dall’art. 22, comma 1, lett. b), l. 241/1990, fatta coincidere con coloro «[…] che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso». A tal proposito si rinvia alle osservazioni di A. Bonomo, Il Codice della trasparenza e il nuovo regime di conoscibilità dei dati pubblici, op. cit., p. 727, la quale invita il lettore a riflettere sul cambio prospettico instaurato dal d.lgs. 33/2013. In particolare, quest’ultimo, ad avviso dell’Autrice, si può situare nel passaggio da un regime di visibilità dei dati pubblici nella forma della (passata) «accessibilità», ovvero un’acquisizione delle informazioni a richiesta dell’interessato basata sull’esercizio di un diritto di accesso a «titolarità ristretta», ad un (diverso e più aperto) regime di c.d. «disponibilità», ovvero un sistema nel quale il patrimonio informativo pubblico sia messo ex ante a disposizione della società a prescindere da esplicite iniziative del cittadino (relegate, quest’ultime, ai casi patologici di inottemperanza agli obblighi normativi di pubblicazione).

81 Cfr. l’art. 22, comma 1, lett. a), l. 241/1990, nella parte in cui riferisce il diritto di accesso al solo «[…] diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi».

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elencati tassativamente nelle diverse sezioni del decreto.

La risultante è la configurazione di una nuova forma di “diritto di accesso”, il c.d. «accesso civico»82 che si trova a dover convivere83, seppur in un ambito differente e a fronte di presupposti altrettanto diversi, con l’accesso tradizionale ex artt. 22 ss. l. 241/1990.

Il nuovo «accesso civico»84 può definirsi come il diritto85, in capo a chiunque, esercitabile nei casi di omissione di (una o più delle) pubblicazioni (obbligatorie ai sensi dei vari capi del d.lgs. 33/2013), di richiedere al c.d. «responsabile per la trasparenza»86 i documenti, le informazioni o i dati non pubblicati dalla P.A. interessata.

Per effetto di tale “richiesta” sorge un obbligo in capo alla P.A. coinvolta avente

82 Per un inquadramento della nuova figura si leggano M. Magri, Diritto alla trasparenza e tutela

giurisdizionale, in Istituzioni del Federalismo, 2013, II, pp. 28 e ss.; M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, op. cit., pp. 795 e ss.; P. Canaparo, Il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33: i nuovi confini della trasparenza pubblica e il diritto alla conoscibilità dell’azione amministrativa, op. cit., pp. 27 e ss.

83 Sulla coesistenza delle due forme di accesso, “civico”, da un lato, e tradizionale “a legittimazione ristretta”, dall’altro, nonché sui loro tratti distintivi, cfr. Cons. St., sez. VI, 20 dicembre 2013, n. 5515, in Foro amm. CDS, 2013, XI, p. 3166, nella parte in cui, per quanto qui occorre, si ribadisce esplicitamente che «[…] le nuove disposizioni, dettate con d.lgs. 14.3.2013, n. 33 in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni disciplinano situazioni, non ampliative né sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 7.8.1990, n. 241, come successivamente modificata ed integrata». In dottrina, sul punto, si segnalano le considerazioni di B. Ponti, Il codice della trasparenza amministrativa: non solo riordino, ma ridefinizione complessiva del regime della trasparenza amministrativa on-line, op. cit., il quale individua la principale differenza tra l’accesso tradizionale di cui alla l. 241/1990 e il nuovo istituto del c.d. «accesso civico» nella distinzione che sussiste, in punto di legittimazione, tra un «need to know» (proprio della legittimazione ristretta di cui all’art. 22 della legge generale sul procedimento amministrativo) e un (differente) «right to know» come base di un (nuovo) sistema di «open government» ideato dal d.lgs. 33/2013. Egli, infatti, osserva che «[a]gli obblighi di pubblicazione corrisponde dunque non un need to know (una conoscenza utile al soddisfacimento di un interesse, di un bisogno particolare), ma un vero right to know. Un diritto conseguentemente assistito da un meccanismo di implementazione (in caso di inadempimento dell’obbligo di pubblicazione) attivabile da chiunque, quasi nella forma dell’azione popolare». In argomento, anche, F. Patroni Griffi, La trasparenza della Pubblica Amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, op. cit., p. 6.

84 Definito come «sociale» e/o «civico» poiché riconosciuto come proprium di ogni cittadino «uti cives». Sottolinea l’importanza dell’etimo dell’istituto in quanto pregnante dal punto di vista dello scopo perseguito, C. Cudia, Il diritto alla conoscibilità, in B. Ponti (a cura di), La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, op. cit., p. 57 ss.

85 Vd., per la disciplina positiva, l’art. 5 del d.lgs. 33/2013. 86 Il «Responsabile della trasparenza» è una figura soggettiva la cui individuazione (fatta coincidere con il

soggetto qualificato come «Responsabile per la prevenzione della corruzione» dall’art. 1, comma 7, della l. 190/2012) è resa obbligatoria dal d.lgs. 33/2013 all’interno delle pubbliche amministrazioni al fine di (cfr., nello specifico, l’art. 43 del d.lgs. cit.) svolgere, tra i vari compiti, «[…] un’attività di controllo sull’adempimento da parte dell’amministrazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, assicurando la completezza, la chiarezza e l’aggiornamento delle informazioni pubblicate, nonchè segnalando all’organo di indirizzo politico, all’Organismo indipendente di valutazione (OIV), all’Autorità nazionale anticorruzione e, nei casi più gravi, all’ufficio di disciplina i casi di mancato o ritardato adempimento degli obblighi di pubblicazione».

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ad oggetto, sia la pubblicazione (entro un termine massimo fissato in giorni trenta)87 sul sito web istituzionale del documento, dell’informazione o del dato richiesto, sia la contemporanea trasmissione di esso al richiedente88.

È evidente, dunque, come tale (nuovo) istituto divenga il fulcro, o meglio, l’asse portante della nuova riforma sulla trasparenza amministrativa in quanto, secondo alcuni autori89, esso potrebbe essere visto come il meccanismo di “enforcement” più importante ed efficace dell’intero sistema normativo di cui al d.lgs. 33/2013 consentendo di rendere gli obblighi normativi di pubblicazione ivi previsti effettivi, id est: giustiziabili.

Ovviamente quest’accennato favor generalizzato per la trasparenza amministrativa e la “disclosure” dell’operato delle P.A. dinanzi alle persone convive con alcuni limiti.

Il legislatore delegato, infatti, conscio che non si potesse giungere ad un’assolutizzazione aprioristica e unidirezionale del principio generale di trasparenza ha previsto una disposizione, l’art. 4 del d.lgs. cit.90, rubricata (per l’appunto) «limiti alla

87 Nel caso d’inottemperanza (o di ritardo) della P.A. interessata all’obbligazione de qua il sistema

predispone (a tutela del richiedente) due strumenti rimediali (cfr. art. 5 cit.). In primo luogo si facoltizza il richiedente a re-indirizzare la propria istanza difronte all’organo titolare del

potere sostitutivo (individuabile ai sensi dell’articolo 2, comma 9-bis, della legge 241/1990), il quale (a sua volta) sarà obbligato ad evadere la richiesta entro un termine dimezzato rispetto all’originario (ovvero quindici giorni in luogo degli accennati trenta). In secondo luogo si consente di intraprendere la via giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo attraverso il canale del rito in materia di accesso ai documenti amministrativi (opportunamente modificato, con alcuni adeguamenti lessicali, dallo stesso d.lgs. 33/2013 al fine di ricomprendere nel suo ambito di estensione anche le violazioni degli obblighi in materia di trasparenza amministrativa) al fine di ottenere (con una certa rapidità offerta dalle caratteristiche del predetto rito speciale) una sentenza di merito che ordini l’esibizione dei documenti richiesti unitamente alla loro pubblicazione sui siti internet istituzionali delle amministrazioni resistenti.

88 Salva l’alternativa, ugualmente idonea a soddisfare l’obbligazione, consistente in una comunicazione informativa al richiedente circa l’avvenuta pubblicazione con contestuale trasmissione del relativo collegamento ipertestuale (vd. art. 5 cit.).

89 Il riferimento è, in part., allo scritto di M. Renna, La nuova trasparenza amministrativa dopo il 33/2013: dall’accesso differenziato alla conoscenza diffusa dei documenti amministrativi, in F.G. Scoca, A.F. Di Sciascio (a cura di), Il procedimento amministrativo ed i recenti interventi normativi: opportunità o limiti per il sistema paese?, Editoriale scientifica, Napoli, 2015.

90 Art. 4 d.lgs. 33/2013: «Gli obblighi di pubblicazione dei dati personali diversi dai dati sensibili e dai dati giudiziari, di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d) ed e), del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, comportano la possibilità di una diffusione dei dati medesimi attraverso siti istituzionali, nonché il loro trattamento secondo modalità che ne consentono la indicizzazione e la rintracciabilità tramite i motori di ricerca web ed il loro riutilizzo ai sensi dell’articolo 7 nel rispetto dei principi sul trattamento dei dati personali. La pubblicazione nei siti istituzionali, in attuazione del presente decreto, di dati relativi a titolari di organi di indirizzo politico e di uffici o incarichi di diretta collaborazione, nonchè a dirigenti titolari degli organi amministrativi è finalizzata all realizzazione della trasparenza pubblica, che integra una finalità di rilevante interesse pubblico nel rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali. Le pubbliche amministrazioni possono disporre la pubblicazione nel proprio sito istituzionale di dati, informazioni e documenti che non hanno l’obbligo di pubblicare ai sensi del presente decreto o sulla base di specifica previsione di legge o regolamento, fermi restando

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trasparenza», all’interno della quale ha inteso realizzare un bilanciamento tra l’accennato scopo primario del sistema in questione (ovvero, la trasparenza amministrativa) e una serie di altri principi a copertura costituzionale che richiedono anch’essi di essere protetti, in particolare al fine della tutela dei dati personali e, più in generale, della riservatezza dei soggetti le cui informazioni personali possono essere coinvolte nei documenti, informazioni, dati da pubblicare online.

Dunque, l’equilibrio e la ragionevolezza complessiva del sistema di cui al d.lgs. 33/2013 sembrano reggersi sull’accennato art. 4 del d.lgs cit. dalla cui interpretazione si cerca di comprendere se il legislatore abbia operato un accorto e ponderato contemperamento tra valori/principi di rilievo costituzionale: favor per la trasparenza, da un lato, e garanzia della riservatezza e della protezione dei dati personali, dall’altro.

Operazione di fondamentale importanza, si sottolinea nuovamente, in quanto la delicatezza delle posizioni soggettive coinvolte richiede una particolare attenzione visti gli elevati rischi immanenti ad ogni forma di diffusione a mezzo web di dati e informazioni afferenti alla sfera personale e privata degli individui.

Sennonché si anticipa, sin da ora, che la norma in questione non sembra riuscire a svolgere in maniera soddisfacente il proprio compito dichiarato negli intenti, ovvero di porre dei contrappesi in funzione di limite e ri-equilibrio alla trasparenza amministrativa, a causa di una tecnica di formulazione normativa (basata anche su generici rinvii) caratterizzata da una serie di lacune e di ambiguità interpretative che si traducono in vulnus di tutela per le (doverose) esigenze costituzionali di protezione della

i limiti e le condizioni espressamente previsti da disposizioni di legge, procedendo alla anonimizzazione dei dati personali eventualmente presenti. Nei casi in cui norme di legge o di regolamento prevedano la pubblicazione di atti o documenti, le pubbliche amministrazioni provvedono a rendere non intelligibili i dati personali non pertinenti o, se sensibili o giudiziari, non indispensabili rispetto alle specifiche finalità di trasparenza della pubblicazione. Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione sono rese accessibili dall’amministrazione di appartenenza. Non sono invece ostensibili, se non nei casi previsti dalla legge, le notizie concernenti la natura delle infermità e degli impedimenti personali o familiari che causino l’astensione dal lavoro, nonché le componenti della valutazione o le notizie concernenti il rapporto di lavoro tra il predetto dipendente e l’amministrazione, idonee a rivelare taluna delle informazioni di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d) del decreto legislativo n. 196 del 2003. Restano fermi i limiti alla diffusione e all’accesso delle informazioni di cui all’articolo 24, comma 1 e 6, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche, di tutti i dati di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, di quelli previsti dalla normativa europea in materia di tutela del segreto statistico e di quelli che siano espressamente qualificati come riservati dalla normativa nazionale ed europea in materia statistica, nonchè quelli relativi alla diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. Al fine di assicurare la trasparenza degli atti amministrativi non soggetti agli obblighi di pubblicità previsti dal presente decreto, la Commissione di cui all’articolo 27 della legge 7 agosto 1990, n. 241, continua ad operare anche oltre la scadenza del mandato prevista dalla disciplina vigente, senza oneri a carico del bilancio dello Stato. Sono esclusi dall'ambito di applicazione del presente decreto i servizi di aggregazione, estrazione e trasmissione massiva degli atti memorizzati in banche dati rese disponibili sul web».

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riservatezza delle persone.

È d’obbligo, dunque, tratteggiare nei suoi aspetti minimi ed essenziali il contenuto della norma in questione al fine di comprendere le scelte operate dal legislatore e (anche) di offrire al lettore gli elementi per meglio comprendere (poi) i rilievi critici che saranno offerti nell’ultimo paragrafo conclusivo del presente lavoro.

In primo luogo, la disposizione (al comma 1, dell’art. 4 cit.), con riguardo alle pubblicazioni obbligatorie, statuisce che, quando le stesse coinvolgono anche dati personali, quest’ultimi vengano divulgati nelle apposite sezioni denominate “amministrazione trasparente” inserite nei vari siti internet istituzionali delle P.A.; siano trattati secondo modalità che ne consentono l’indicizzazione e la libera rintracciabilità all’interno dei vari motori di ricerca web ed, infine, offerti al libero riutilizzo di chiunque secondo certe modalità (precisate dall’art. 7 del decreto) con generico rinvio ai principi in materia di trattamento dei dati personali91.

In secondo luogo, invece, per quanto concerne i c.d. dati «sensibili e giudiziari»92 il legislatore è più assertivo e garantista in quanto (in tal caso) esclude espressamente ogni obbligo di pubblicazione e di riutilizzo per questa specie di dati per i quali l’esigenza di protezione prevale sempre rispetto alla primaria finalità di trasparenza amministrativa.

A contrario, si è visto che, con riferimento alla generalità dei dati personali, esclusi quelli sensibili e giudiziari, il Governo prediliga, nell’impostazione della “bilancia”, il “lato” della trasparenza giacché ammette che i dati personali siano pubblicabili in

91 Accoglie positivamente il “nuovo” riequilibrio tra trasparenza e riservatezza B. Ponti, Il codice della

trasparenza amministrativa: non solo riordino, ma ridefinizione complessiva del regime della trasparenza amministrativa on-line, op. cit., par. 2, il quale, con un ragionamento basato sulla differenza tra meccanismi di tutela preventiva e rimedi di tutela successiva, afferma che «[...] non significa che per i dati personali (diversi da quelli sensibili e giudiziari) oggetto di pubblicazione obbligatoria venga meno ogni forma di tutela. La ridefinizione dell’equilibrio consiste nella circostanza che perdono peso, ma solo per questi dati, i meccanismi di tutela preventiva, mentre restano immutati (e pienamente applicabili) i meccanismi di tutela successiva (a protezione dagli abusi eventualmente perpetrati nell’utilizzo dei dati diffusi). Un riequilibrio che corrisponde alla volontà di rendere più facilmente accessibili, fruibili e riutilizzabili i dati rilevanti (che l’ordinamento giudica rilevanti, facendone oggetto di pubblicazione obbligatoria) ai fini della trasparenza».

92 Cfr. art. 4, comma 1, lett. d) ed e), d.lgs. 196/2003: «[...] d) – dati sensibili – i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale; e) – dati giudiziari-, i dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale [...]».

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formato «open data», siano reperibili per mezzo di qualunque motore di ricerca web e, infine, siano liberamente riutilizzabili (seppur con alcuni limiti)93.

Da ultimo, il comma 3, dell’art. 4 cit., si occupa delle c.d. «pubblicazioni facoltative», ovvero l’attribuzione in capo alle amministrazioni di un potere di scelta di tipo discrezionale per ulteriori pubblicazioni, rispetto a quelle (già) obbligatorie secondo i vari capi del decreto, al fine di avviare un percorso incrementale degli standards di trasparenza amministrativa, prescrivendo, tuttavia, un obbligo di anonimizzazione di ogni dato personale presente, assegnando, dunque, una piena difesa, (almeno) sotto tale profilo, alle esigenze di riservatezza/privacy degli individui.

3.4. Confronto con il «F.O.I.A.» statunitense e i limiti propri del «F.O.I.A.

“all’italiana”»

Il sistema appena descritto — nel suo “disegno minimo” ed essenziale date le

esigenze del presente lavoro — volto all’apertura generalizzata (nelle forme della pubblicazione sui siti internet istituzionali) di un patrimonio conoscitivo comprendente un’ampia gamma di dati ed informazioni riferite ad una pluralità di profili attinenti all’esercizio delle funzioni di amministrazione, rende imprescindibile, a fronte delle palmari analogie strutturali che — prima facie — sembrerebbero sussistere, un necessario raffronto94 con quello che da sempre è stato considerato un modello di riferimento, per quanto concerne la trasparenza amministrativa, ovvero il sistema creato in terra statunitense, durante il mandato del presidente Lyndon B. Johnson, dal «Freedom of information act» (c.d. «F.O.I.A.») del 4 luglio 196695.

93 Si segnala un profilo di (aperta) contraddizione letterale che sembra sussistere tra il citato comma 1

dell’art. 4 del d.lgs. 33/2013 e il (vicino) comma 4, dello stesso art. 4 d.lgs. cit., il quale, differentemente da quanto appena esposto, conferisce (invece) un potere di tipo discrezionale in capo alle P.A. volto a rendere non intellegibili tutti quei dati personali, oggetto di pubblicazione obbligatoria, che siano giudicati non pertinenti o, se sensibili e giudiziari, non indispensabili rispetto alla primaria finalità di trasparenza. Tale “strabismo” legislativo, (forse) dipeso da un mancato coordinamento interno della disposizione a seguito dell’innesto del comma 4 su segnalazione del Garante per la privacy, è un ulteriore elemento sintomatico a conferma dell’accennata scrittura dubbiosa e lacunosa della disposizione de qua (su cui infra per le problematiche ulteriori).

94 Il bisogno di comparazione è avvertito come inevitabile stante anche l’espresso richiamo al modello statunitense del F.O.I.A. contenuto nella “Relazione illustrativa al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”. Ivi, infatti, nel commento all’art. 3 del d.lgs. 33/2013, si afferma espliciter che il modello d’ispirazione è «[...] quello dei Freedom of Information Acts di derivazione statunitense, che garantisce l’accessibilità per chiunque lo richieda di qualsiasi documento o dato inerente all’attività di un’amministrazione pubblica, con le sole eccezioni previste dalla legge».

95 Soggetto poi ad una serie di “amendments” (id est: modifiche) posteriori, tra le quali il c.d. «Privacy Act» del 1974; il c.d. «Government in the Sunshine Act» del 1976; ed il c.d. «Electronic Freedom of Information Act» (conosciuto,

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La legge statunitense sulla libertà d’informazione96 concepisce un impianto dei rapporti P.A./persone finalisticamente orientato a consentire a chiunque la visione totale sull’operato del Governo federale e, dunque, stimolare l’avvio di un circuito di momenti di conoscibilità, conoscenza e comprensione 97 dell’azione amministrativa. Tale importante finalità di trasparenza viene attuata sul piano giuridico per mezzo dell’imposizione alle amministrazioni pubbliche di tutta una serie di regole concernenti l’accesso totale (o parziale) ai vari documenti amministrativi i quali, secondo l’impianto della legge, sono intesi, oltreché come proprietà collettiva, come bene proprio del singolo che si trova a veicolare, nelle forme dell’esercizio del diritto di accesso, una posizione giuridica sostanziale equiparabile ad un diritto reale su un bene di tipo immateriale.

Riassumendo, per sintesi, i principi cardine del sistema F.O.I.A. di matrice americana98 sono i seguenti: generalizzato riconoscimento (“to the public”) di un diritto di accesso per qualunque documento amministrativo (“records”) individuato dietro il pagamento di un diritto di copia; tassatività dell’elenco delle eccezioni (“exceptions”) al diritto di accesso generalizzato in funzione di protezione di alcune esigenze fondamentali di segretezza/riservatezza; azionabilità garantita del diritto medesimo nel caso di rifiuto di esibizione di un dato documento con contestuale inversione dell’onere probatorio in capo alla P.A. (“agency”) interessata per giustificare il carattere eccezionale del rifiuto.

L’Italia, nel momento in cui ha deciso di compiere, a mezzo del d.lgs. 33/2013 esaminato nel par. 3.3., un ampliamento della trasparenza amministrativa, che

altresì, nella forma breve di “E-F.O.I.A.”) del 1996. Vd., nella letteratura di commento del testo americano, quantomeno, P. BIRKINSHAW, Freedom of Information: the Law, the Practice and the Ideal, Cambridge, 2010; H.N. FOERSTEL, Freedom of Information and the Right To Know: the Origins and Applications of the Freedom of Information Act, Fairford, 1999.

96 Per un’analisi del sistema F.O.I.A. statunitense, dall’angolo visuale della dottrina italiana, cfr., quantomeno, E. Carloni, La qualità delle informazioni diffuse dalle amministrazioni negli Stati Uniti, in Giorn. dir. amm., 2002, XI, pp. 1232 e ss.; G. Gardini, Legislazione federale e legislazione statale in materia di procedimento amministrativo: l’esperienza degli Stati Uniti, in Regione e governo locale, 1992, V, pp. 757 e ss.; nonché G. Arena, La “Legge sul diritto alla informazione” e la pubblicità degli atti dell’Amministrazione negli Stati Uniti, in Pol. dir., 1978, III, p. 279. Per uno studio comparatistico di più ampio respiro, in quanto esteso ad una pluralità di modelli (tra i quali quello svedese, americano, inglese, francese, spagnolo, tedesco, etc.) di diffusione dell’informazione amministrativa, si consulti lo studio monografico di A. Bonomo, Informazione e pubbliche amministrazioni. Dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, op. cit., in part. pp. 83 e ss.

97 Vd. supra (in part. par. 2) per quanto attiene alle considerazioni afferenti ai vari momenti gnoseologici (id est: tappe e steps successivi) necessari per il raggiungimento di una “autentica” trasparenza amministrativa come modo di essere degli apparati pubblici (nella loro organizzazione e attività) rispetto alla società civile.

98 Per un’analisi completa delle singole disposizioni del testo normativo del F.O.I.A., codificato come 5 U.S.C. 552, basti il rinvio a G.F. Ferrari, L’accesso ai dati della pubblica amministrazione negli ordinamenti anglosassoni, in G. Arena (a cura di), L’accesso ai documenti amministrativi, op. cit., in specie pp. 127 e ss.

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(nell’ispirazione di fondo e nell’humus culturale/ideologico che ha animato la riforma) sembrava richiamare un modello simil-F.O.I.A.99, ha (di fatto) ideato un impianto che si può al più definire come «F.OI.A. all’italiana» a causa della strutturale divergenza dal modello statunitense per (almeno) un aspetto essenziale100.

Infatti, nel F.O.I.A. americano il sistema è costruito a partire, come prius logico, dalla posizione giuridica soggettiva della persona definibile come «diritto soggettivo alla conoscibilità» per farne derivare (poi) un diritto onnicomprensivo (di chiunque) alla visione dei dati e delle informazioni detenuti da un’amministrazione, con conseguente regime di accesso c.d. «open to all» riguardante qualsiasi informazione detenuta dalle autorità pubbliche ed applicazione delle c.d. «exceptions» (ovvero le eccezioni di segretezza/riservatezza) in senso restrittivo stante la citata presunzione a favore della “disclosure” (visibilità/apertura).

Di diverso avviso è, invece, il sistema italiano, nel quale la costruzione è imperniata su una serie di obblighi cogenti di ostensione di dati, informazioni e documenti sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche fondando, “a valle”, il «diritto alla conoscenza»101 come posizione giuridica soggettiva.

99 Si deve ricordare, infatti, che il sistema F.O.I.A. statunitense, nella sua matrice essenziale, proprio per

la sua portata rivoluzionaria ed anticipatrice di futuri sviluppi in senso democratico dei rapporti tra i pubblici poteri e la popolazione detentrice della sovranità, è stato, negli anni seguiti alla sua prima messa operativa in terra statunitense, oggetto di ispirazione per le riforme istituzionali di numerosi altri Stati. Infatti, molti Paesi, nel momento in cui hanno deciso di riformare i propri sistemi organizzativi/amministrativi per abbracciare politiche di «open government», si sono lasciati (più o meno) orientare dal paradigma F.O.I.A. nell’adeguare le proprie legislazioni; ciò nell’intento comune di incrementare il proprio livello di “accountability” e di democraticità nel rapporto con i governati.

100 Tale appunto non è diretto a sminuire la portata positiva dell’impianto normativo positivizzato dal d.lgs. 33/2013, soprattutto nell’ottica di un trend positivo e costante verso il raggiungimento di un tendenziale obiettivo assiologico di trasparenza amministrativa nel rapporto P.A./persone, ma è stimolato, unicamente, da un’esigenza di opportuna chiarificazione onde evitare erronee analogie e — dunque — mostrare cosa ancora v’è da compiere per poter (per davvero) parlare di compiuto sistema di “open government” in chiave “simil-F.O.I.A.”. Del resto, molta è la dottrina che, anche dopo aver rilevato le accennate differenze proprie del sistema italiano rispetto al F.O.I.A. statunitense, conclude (comunque) nel senso della positività del percorso normativo domestico, per quanto attiene agli incrementi di trasparenza amministrativa. Basti al riguardo il rinvio, ex pluribus, a R. Garofoli, Il contrasto alla corruzione. La l. 6 novembre 2012, n. 190, il decreto trasparenza e le politiche necessarie, in www.giustizia-amministrativa.it, 2013, par. 3.1., nella parte in cui si afferma che «[p]ure non trattandosi di un sistema normativo riconducibile al Freedom of information act statunitense, si è al cospetto di un sistema fortemente innovativo, in grado di “costringere” le amministrazione ad assicurare la pubblicità che la legge prescrive».

101 Vd., in senso analogo e di recente, E. Carloni, L’amministrazione aperta. Regole, strumenti, limiti dell’open government, Rimini, 2014, p. 256. L’Autore, infatti, afferma (ivi) che «[n]el sistema del freedom of information, vi è un canale di comunicazione tra diritto di accesso e pubblicità, che consente anche di valorizzare dinamiche bottom up (dal basso): i dati più frequentemente oggetto di richieste di accesso ai sensi del Foia vengono pubblicati in apposite “reading rooms” (online, in base al Foia). Nel sistema italiano, “bipolare”, accesso ai

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La differenza di angolo visuale (posizione soggettiva o obbligo normativo di fonte legislativa) nella strutturazione del sistema non è di poco conto in quanto, seppur animato dal comune intento d’incremento della trasparenza amministrativa, il “F.O.I.A. all’italiana” nasce, tuttavia, già limitato ab origine dal dato legislativo e, perciò, positivizza un diritto alla conoscibilità che esiste ed è (conseguentemente) coercibile solo ove vi sia una disposizione normativa ad hoc fondante un esplicito obbligo di pubblicazione102.

4. Una (possibile) conclusione. Il (necessario) ribilanciamento di alcuni

squilibri della nuova «disclosure» totale rispetto alla tutela del diritto

costituzionale delle persone alla riservatezza. Aspetti positivi del percorso

evolutivo esposto e risultati raggiunti

Si è cercato di tratteggiare lungo il breve percorso ricostruttivo di cui al presente

lavoro la “parabola” evolutiva dei rapporti tra la P.A. (globalmente intesa) e le persone tendente, quale obiettivo ultimo e “programma aperto”, verso un modello di relazione basato su esigenze di democraticità, di responsabilizzazione reciproca nonché di partecipazione diffusa alle forme di esercizio della sovranità in tutti gli ambiti di esplicazione del “potere” (c.d. «demarchia»103).

Questo “disegno” è stato rappresentato attraverso l’angolo visuale privilegiato della «trasparenza amministrativa», o meglio, del c.d. “prisma” della trasparenza proprio per sottolinearne, in senso metaforico, la molteplicità dei suoi riflessi e delle sue sfaccettature che pervadono, come la luce riflessa sulle numerose facce di un poliedro, una pluralità di ambiti afferenti all’organizzazione e all’attività dei soggetti di pubblica amministrazione.

È, infatti, l’idea di amministrazione nel suo complesso che s’intende conformare (sempre più) al “modo d’essere” della “visibilità del potere” al fine di erodere tutte le restanti “sacche di opacità” che ancora si nascondono nelle fitte maglie della “macchina” della burocrazia amministrativa e costruire, per tale via, un’autentica “casa di vetro” del potere.

documenti e accessibilità totale sono in un rapporto di incomunicabilità, e le dinamiche di pubblicazione sono rimesse unicamente a scelte del legislatore, con un processo top down».

102 Come chiaramente emerge dalla lettura del dato testuale di cui all’art. 3 del d.lgs. 33/2013, nella parte in cui si dispone che «[t]utti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell’articolo 7».

103 Vd., amplius, il par. 2 del presente elaborato.

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Di qui, dunque, la scelta di evidenziare gli stringenti legami che sussistono tra la «trasparenza amministrativa», da un lato, ed una certa (evoluta) visione di «democrazia» (intesa anche in senso fortemente attivo e partecipato), dall’altro, la quale è stata tanto più incrementata quanto più s’è ribaltato il rapporto tra trasparenza e segretezza in favore della prima.

Il percorso evolutivo accennato è progredito con una certa costanza cronologica ed è stato scandito nel suo procedere da alcune di quelle che abbiamo definito, con un certo schematismo d’approssimazione, “tappe”, o punti di svolta, salienti (vd., per tutti, la “forza dirompente” della l. 241/1990) che hanno modificato l’equilibrio dei rapporti trasparenza/segretezza.

Da ultimo, s’è visto come il sistema si sia (oggi) assestato — per mezzo del (nuovo) impianto normativo di cui al d.lgs. 33/2013 — su di un rapporto trasparenza/riservatezza che privilegia la prima e rende “cedevole” la seconda, con pericolo di ingiusti sacrifici di posizioni giuridiche, anch’esse di primario rilievo costituzionale, quali le esigenze di protezione della privacy degli individui.

Ecco, dunque, il bisogno, in conclusione, dopo aver dato il giusto rilievo al grande valore del processo in questione, di segnalare le maggiori criticità, sub specie dei rischi che possono gravemente incidere sulla riservatezza e sulla protezione dei dati personali dei cittadini in forza del d.lgs. 33/2013. E ciò al fine di mostrare l’imprescindibilità di un (necessario) ribilanciamento di alcuni squilibri prodotti dalla nuova «disclosure» totale rispetto alla tutela del diritto costituzionale delle persone alla riservatezza, nella prospettiva di contribuire ad un maggiore equilibrio e armonia (in senso costituzionale) dell’ordinamento positivo.

All’uopo tre sono i profili critici104 sui quali si vuole richiamare l’attenzione dell’interprete: dapprima, il problema dell’indicizzazione e della (libera) rintracciabilità dei dati personali pubblicati a mezzo di motori di ricerca web; in second’ordine la previsione del libero riutilizzo (dei dati personali pubblicati) e, da ultimo, le ambiguità in tema di durata di pubblicazione (e conservazione a scadenza) degli stessi dati.

Procedendo gradatamente, si può notare, in primis, che l’art. 4, comma 1, del d.lgs. 33/2013 imponga, per i dati personali oggetto di pubblicazione obbligatoria, un

104 Su tali profili, cui si farà di seguito unicamente un accenno sintetico per esigenze di economia del

presente lavoro, sia consentito rinviare in forma estesa alle considerazioni già contenute in S. Vaccari, Il difficile bilanciamento tra favor per la trasparenza e (necessaria) tutela della riservatezza nel d.lgs. 33/2013, in Il diritto dell’economia, 2015, I, in part. pp. 164 e ss.

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trattamento strutturato secondo (precise) modalità che ne consentano la indicizzazione e la rintracciabilità tramite i motori di ricerca web105 con immanente pericolo di forte decontestualizzazione degli stessi.

Infatti, è noto che, non appena si verifichi una fuoriuscita di dati dalla sezione “amministrazione trasparente” dei siti istituzionali per transitare negli spazi del web, questi saranno riordinati secondo (i più) vari criteri (neppure conoscibili ex ante) da parte di tutti gli altri motori di ricerca comportando, di conseguenza, un’oggettiva incapacità per le amministrazioni di verificare la veridicità e la correttezza delle informazioni circolanti, il loro aggiornamento, e più in generale, di governare proprio tale traffico di flussi di dati dall’interno (le sezioni dei propri siti web) all’esterno (gli infiniti luoghi della rete di internet) 106.

Sennonché questa soluzione presenta profili di forte contrasto con i principi di proporzionalità e di finalità di cui all’art. 11, lett. b), del d.lgs. 196/2003 (c.d. “Codice privacy”) che impongono, viceversa, una sottoposizione di ogni forma di raccolta e/o trattamento di dati personali ad un vincolo di compatibilità con gli scopi della raccolta.

Quanto alla seconda criticità riscontrabile, il riferimento va al tema del (libero) riutilizzo dei dati personali pubblicati, come previsto dall’art. 7 del d.lgs. 33/2013, nella parte in cui si concede la facoltà di riutilizzo dei documenti, dati e informazioni pubblicati nei siti istituzionali salvo il (solo) limite dell’obbligo di citarne la fonte, di rispettare l’integrità del contenuto e di quanto stabilito, per il resto, dai d.lgss. 36/2006, 82/2005 e 196/2003 a cui si fa rinvio generico.

Tuttavia, la presa d’avvio di una prassi di riutilizzo smodato per fini economici dei dati personali pubblicati nelle apposite sezioni web dalle amministrazioni appare foriero di gravi pericoli e rischi di lesione per quanto concerne le posizioni giuridiche di riservatezza dei cittadini e fa intuire il ruolo insufficiente e debole di un mero e generico richiamo (contenuto nell’art. 7 cit.) alle fonti in materia di privacy.

105 Così, espliciter, nella parte della disposizione (l’art. 4, comma 1, cit.) in cui si prevede che «[...] il loro

trattamento (aggiungiamo: avvenga) secondo modalità che ne consentono la indicizzazione e la rintracciabilità tramite i motori di ricerca web [...]».

106 Con ciò rendendo possibile anche un inconveniente pratico, ovvero la possibilità di un reperimento «casuale» dei dati pubblicati via web o, più in generale, lo stimolo a forme di ricerca ispirate unicamente da mera curiosità (definito come approccio «curiosity oriented» da P. Canaparo, La via italiana alla trasparenza pubblica: il diritto di informazione indifferenziato e il ruolo proattivo delle pubbliche amministrazioni, op. cit., p. 44) che potrebbero condurre a deviazioni della finalità (virtuosa) di trasparenza amministrativa verso una sorta di (negativo) «voyeurismo amministrativo». Così si esprime, in chiave critica verso la problematica, M. Bombardelli, Fra sospetto e partecipazione: la duplice declinazione del principio di trasparenza, op. cit., p. 670.

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Da ultimo si vuole segnalare la criticità riscontrata nell’ambito della disciplina sulla durata della pubblicazione di cui agli artt. 8 e 9 del d.lgs. 33/2013, unitamente (e forse in aggiunta) al tema della conservazione dei dati post scadenza (del termine di pubblicazione).

L’art. 8 cit., infatti, fissa un termine di permanenza online delle pubblicazioni oggetto del decreto, di anni cinque correlato anche al periodo di efficacia degli atti pubblicati, facendo — al contempo — salvezza di quelli che vengono definiti come i «[…] diversi termini previsti dalla normativa in materia di trattamento dei dati personali».

Giova sottolineare, tuttavia, che questi «diversi termini» cui la disposizione pare rinviare in funzione di limite e/o garanzia, non si rinvengono in alcuna disposizione del Codice sulla privacy, al cui interno l’unico riferimento ad aspetti temporali è quello di cui all’art. 11, comma 1, lett. e), nella parte in cui, evocando il rispetto di un più generale canone di proporzionalità, si richiede una conservazione dei dati personali raccolti e/o registrati «[…] per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati».

Ciò premesso, sembra profilarsi un contrasto tra l’art. 8 del d.lgs. 33/2013, nella sua previsione di un termine unico a valenza generale (ovvero, ideato senza tenere in alcun conto la tipologia di dato personale che si ha difronte) di cinque anni, da un lato, e il citato principio di proporzionalità riferito alla durata della raccolta (di cui all’art. 11, comma 1, lett. e), d.lgs. 196/2003), dall’altro.

Quanto, invece, al (diverso) problema della conservazione dei dati personali pubblicati a scadenza (ovvero, una volta scaduto il termine di durata della pubblicazione del quale si è appena detto) occorre riferirsi all’art. 9 del d.lgs. 33/2013 il quale precisa che, una volta terminato il periodo di durata dell’obbligo di pubblicazione (i cinque anni anzidetti), i dati pubblicati siano conservati tramite un semplice trasferimento ad una distinta sezione di archivio presente (sempre) all’interno dei medesimi siti istituzionali.

L’impressione a prima lettura è quella di un sistema che consentendo, de facto, una disponibilità perenne dei dati personali pubblicati, da un lato vanifichi il senso stesso della previsione (di cui all’art. 8 cit.) di termini di pubblicazione (e, dunque, del carattere temporaneo dell’ostensione di dati personali sul web); dall’altro non garantisca

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in misura sufficiente il «diritto all’oblio»107, quale garanzia in capo ad ogni individuo di vedere rimossa ogni forma di immobilismo di informazioni personali passate non più rispondenti al vero dell’attualità.

Tali criticità segnalate imporranno all’interprete il compito di riportare la compatibilità a sistema per mezzo di un’opportuna opera di valorizzazione dei principi in materia di protezione dei dati personali (es. principio di finalità, principio di proporzionalità, etc.), oggetto di molteplici richiami (indiretti) contenuti nel «capo generale» del d.lgs. 33/2013, da riprendere in combinato disposto 108 al fine di rimodulare in chiave equilibrante le varie fattispecie di possibile attrito con le posizioni garantite di riservatezza dei cittadini109.

Attraverso quest’azione (interpretativa o, in extrema ratio, in prospettiva “de jure condendo”) di riequilibrio di alcuni aspetti della (nuova) trasparenza amministrativa parrebbe possibile raggiungere il virtuoso obiettivo di una democratica amministrazione “casa di vetro”, la quale, tuttavia, come già si è anticipato, presenti alcune “finestre schermate”110 per preservare alcune doverose ed imprescindibili esigenze di tutela della riservatezza degli individui e, quindi, far sì che gli abitanti all’interno (della citata “casa di vetro”) rimangano vestiti e non totalmente nudi allo sguardo di chiunque111.

107 Infatti, è noto come ogni forma di pubblicazione permanente (quale, di fatto, quella in esame)

presenti sempre il rischio di una «cristallizzazione», ovvero una paralisi e una stasi delle informazioni diffuse le quali, a causa dell’immobilizzazione dei dati, divengono (fisiologicamente) affette da obsolescenza e non (più) rispondenza ai canoni del vero (per effetto del lasso temporale intercorso). Questo effetto è acuito in misura maggiore nei casi di diffusione di dati via web proprio per le intrinseche difficolta (date dalle caratteristiche dello strumento internet) di controllo, aggiornamento o cancellazione. Si segnalano, sul tema del «diritto all’oblio», senza pretese di esaustività, i lavori di F. Mangano, Diritto all’oblio, in Giurisprudenza di merito, 2012, XII, p. 2621 ss.; G. Finocchiaro, Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 2014, IV-V, pp. 591 e ss.; S. Peron, Il diritto all’oblio nell’era dell’informazione “online”, in Responsabilità civile e previdenza, 2014, IV, pp. 1177 e ss.; M. Bassini, O. Pollicino, Conciliare diritto all’oblio e la libertà di informazione nell’era digitale. Passato e futuro della protezione dei dati personali nell’Unione Europea, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2014, II, pp. 640 e ss.; M.C. Daga, Diritto all’oblio: tra diritto alla riservatezza e diritto all’identità personale, in Danno e responsabilità, 2014, III, pp. 274 e ss.

108 Per ogni approfondimento e trattazione in forma analitica delle singole soluzioni esegetiche e ricostruttive utilizzabili per ognuna delle fattispecie critiche (cui sopra), sia consentito rinviare, nuovamente, al Nostro precedente, Il difficile bilanciamento tra favor per la trasparenza e (necessaria) tutela della riservatezza nel d.lgs. 33/2013, op. cit., passim.

109 Qualora l’indicata strategia riequilibrante di tipo interpretativo non fosse ritenuta sufficiente per la finalità di bilanciamento fra “nuova” trasparenza e imprescindibili esigenze di tutela della riservatezza, residuerà sempre la possibilità ultima di suggerire modifiche “de jure condendo” con interventi di tipo diretto sulle disposizioni de quibus secondo le modalità già suggerite in S. Vaccari, op. ult. cit., passim.

110 Vd. nt. 57 del presente lavoro. 111 Il rinvio va alla suggestiva metafora utilizzata, per veicolare per immagini i concetti cui in corpo, da L.

Califano, Il bilanciamento tra trasparenza e privacy nel d.lgs. 33/2013, XXX Assemblea Anzi, Firenze, 24 ottobre 2013, p. 2.

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ABSTRACT: This paper aims at analysing the evolution of the administrative transparency regulation and the Italian “Open Government” system (from the secrecy, across the “Right of access” regulated by l. 241/1990, to the new system introduced by Leg. Dec. 33/2013) paying specific attention to the development of the “participatory democracy” and the new relationship of collaboration between public administration and citizens and, more generally, between public administration and the society.

KEY WORDS: Administrative transparency; Secrecy; Participatory democracy; Administrative procedure; Right of access; Open government; Privacy.