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Le città che si bio-degradano di Roberto Cavallo Presidente di Cooperica Le città si degradano. Sempre più fanno notizia gli eventi di tensione e degradazione so- ciale all’interno delle città. Molte delle campagne elettorali amministrative si giocano sulle pre- sunte capacità dei candidati a fermare il degrado urbanistico, dalle bu- che nelle strade ai centri storici da riqualificare alle periferie decadenti. Difficile individuare le molteplici ragioni sociali, economiche, urba- nistiche, ambientali del degrado di una città. Di aiuto può essere la riflessione di “Alain-Desert” 1 , nickname di un ingegnere con la passione del deserto, specializzato in piattaforme in- formatiche di “grandi sistemi” che necessita di approcci e conseguenti analisi sistemiche, che lo stesso autore applica a sistemi complessi nel significato più largo (come quelli economici ed ecologici). Scrive su “Agora-magazine”. In uno dei suoi recenti articoli Alain scrive: «Si afferma quotidianamente che senza la crescita niente è possibile per il rilancio dell’economia di un paese, la lotta contro la disoccupazione, il risanamento dei conti. È ancora pertinente restare ancorati a un mo- dello “sempre di più” inappropriato a un mondo che rivela ogni giorno i suoi limiti fisici e dimensionali. […] In natura nessun sistema vivente o ecologico cresce indefinitamente. Gli animali, le piante, passano sempre una fase di crescita, giungono poi a un livello di maturità che segna la fine dello sviluppo in volume per lasciar spazio al mantenimento della struttura nella sua forma e di- mensione grazie al rinnovo delle cellule in favore di scambi col mon- do esterno. 239_300_P4 corr.indd 253 22/03/15 19:24

Le città che si bio degradano

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di Roberto Cavallo, ERICA Soc Coop

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Le città che si bio-degradano di Roberto Cavallo Presidente di Cooperica

Le città si degradano.Sempre più fanno notizia gli eventi di tensione e degradazione so-

ciale all’interno delle città.Molte delle campagne elettorali amministrative si giocano sulle pre-

sunte capacità dei candidati a fermare il degrado urbanistico, dalle bu-che nelle strade ai centri storici da riqualificare alle periferie decadenti.

Difficile individuare le molteplici ragioni sociali, economiche, urba-nistiche, ambientali del degrado di una città.

Di aiuto può essere la riflessione di “Alain-Desert”1, nickname di un ingegnere con la passione del deserto, specializzato in piattaforme in-formatiche di “grandi sistemi” che necessita di approcci e conseguenti analisi sistemiche, che lo stesso autore applica a sistemi complessi nel significato più largo (come quelli economici ed ecologici). Scrive su “Agora-magazine”.

In uno dei suoi recenti articoli Alain scrive:

«Si afferma quotidianamente che senza la crescita niente è possibile per il rilancio dell’economia di un paese, la lotta contro la disoccupazione, il risanamento dei conti. È ancora pertinente restare ancorati a un mo-dello “sempre di più” inappropriato a un mondo che rivela ogni giorno i suoi limiti fisici e dimensionali.[…]In natura nessun sistema vivente o ecologico cresce indefinitamente. Gli animali, le piante, passano sempre una fase di crescita, giungono poi a un livello di maturità che segna la fine dello sviluppo in volume per lasciar spazio al mantenimento della struttura nella sua forma e di-mensione grazie al rinnovo delle cellule in favore di scambi col mon-do esterno.

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Un punto essenziale nel processo di crescita di un organismo è il rap-porto tra la sua forma e la superficie.

Perché la cellula si divide? Perché il rapporto tra il suo volume e la superficie continua a crescere in funzione del suo sviluppo: il volume in base a una funzione di potenza 3, la superficie di potenza 2. Questa semplice constatazione si traduce per il fatto che se moltiplichiamo per “n” il raggio di una sfera, si divi-de per “n” il rapporto superficie/volume. Più la sfera ingrandisce più gli scambi verso l’esterno diventano difficili rispetto alle attività organiz-zate al suo interno. Quando la cellula si sviluppa arriva un momento in cui il rapporto tra superficie e volume pone un problema alle funzioni di scambio. I numerosi processi interni (come per esempio la produzione di energia) sono limitati e costretti dalla superficie di scambio (nel ca-so della cellula dalla sua membrana) che diviene insufficiente per ap-portare i nutrienti e l’ossigeno di cui abbisogna per eliminare gli scarti prodotti. Ogni sistema vivente necessita di scambi di materia, energia e informa-zioni con il suo intorno; per la sopravvivenza stessa di un organismo, questi flussi devono restare efficaci per il mantenimento della struttura e dei suoi processi interni.

I grandi animaliSi vede molto bene in natura che i grossi animali hanno problemi sup-plementari per regolare la loro temperatura, per esempio l’elefante, sempre a causa del rapporto superficie/volume.L’elefante dispone di orecchie fortemente vascolarizzate che muove re-golarmente per raffreddare il proprio corpo. Cammina lentamente e raramente corre; non solo per il suo compor-tamento calmo, ma soprattutto per evitare la creazione inutile di calo-re all’interno del suo organismo che farebbe fatica a evacuare: evita il surriscaldamento. Il calore prodotto dal metabolismo di un grande animale così come quello prodotto dalla sua attività fisica è dunque molto più difficile da eliminare rispetto a quello di animali di taglia ridotta.Possiamo notare che le balene sono ben più grandi degli elefanti e il loro rapporto superficie/volume ancor più piccolo, ma loro evolvono e vivono in un’acqua fresca che facilita la dispersione termica grazie alla bassa temperatura e ai fenomeni di conduzione e convezione più effica-ci in un mezzo liquido.

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Piccolo esempio numerico per essere concreti:• Una sfera di raggio 0,1 cm ha un rapporto S/V uguale a 30• Una sfera di raggio 1 cm ha un rapporto S/V uguale a 3• Una sfera di raggio 10 cm ha un rapporto S/V uguale a 0,3. È evidente come le potenzialità di scambio si assottigliano con lo svi-luppo in crescita.Possiamo dunque affermare che c’è un limite alla crescita dimensionale in natura per una specie animale o vegetale.

Che cosa ci dice la società: le metropoliPrendiamo il caso di una metropoli come Parigi. In questo caso al posto di avere una problematica di volume abbiamo una problematica di su-perficie. Se si raddoppia il diametro della città si divide per due il rap-porto tra il suo perimetro e la sua superficie. In questo caso il numero di abitanti, a densità uguale, è moltiplicata per 4 e il numero di punti di entrata e uscita dalla città è in teoria moltiplicato solo per 2, anche se in pratica le vie di accesso spesso non variano proprio. I residenti pen-dolari del fine settimana verso la campagna o il mare avranno sempre più difficoltà a uscire o entrare in città man mano che essa ingrandisce per il solo fatto di questo rapporto “perimetro/superficie”. È proprio il fenomeno osservato tutti i giorni nelle grandi città che sono senza so-sta sotto scacco di grandi imbottigliamenti quasi permanenti dei gran-di assi viari. Più la città ingrandisce e più deve ripiegarsi su sé stessa a causa delle restrizioni degli scambi necessari al suo metabolismo inter-no […] “l’organismo” rischia il blocco a seguito di questa saturazione e non può più assicurare le sue funzioni di scambio. È ciò che in fisiolo-gia chiamiamo ischemia, quando un organo non è più irrigato. Fortuna-tamente gli imbottigliamenti si riassorbono e la città è nuovamente irri-gata, ma il fenomeno è sempre più patologico: la rete di comunicazione non è più in grado di adattarsi di fronte a un “organismo economico” in continua crescita che richiede un volume crescente di scambi.»

Oltre al traffico, uno dei problemi crescenti delle nostre città che ben si presta a essere descritto con la metafora della crescita cellulare, è quello dei rifiuti urbani.

Le città, proprio come un organismo vivente, producono scarti del proprio metabolismo, scarti che vanno allontanati dall’organismo stes-so, in modo che esso non soccomba a sé stesso come aveva profetizzato Italo Calvino nella sua invisibile Leonia.

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I rifiuti biodegradabili in una città

Alla luce del ragionamento sviluppato in introduzione nell’ambito dei rifiuti urbani è interessante provare a focalizzare l’attenzione sui ri-fiuti biodegradabili.

Come dice il nome, i rifiuti biodegradabili sono parte della natura, non hanno alcun problema tecnologico e biologico per il loro riciclo in quanto tendono naturalmente a tornare alla terra.

È la loro concentrazione in uno spazio limitato a porre un problema di gestione e di fatto a far uscire questi scarti dal ciclo della materia.

I rifiuti biodegradabili urbani appartengono principalmente a:• rifiuti da carta e cartone• rifiuti da tessili naturali• rifiuti di origine legnosa (pallet, cassette, mobili ecc.)• scarti di cibo• scarti vegetali

Limitiamoci ad approfondire il ragionamento sugli ultimi due tipi di scarto.

Proviamo a figurare i flussi che sottendono a questi due scarti.Da un lato la città importa dalle campagne più o meno vicine, cibo.

Lo importa in forme diverse, in alcuni casi sottoforma di prodotti fre-schi dagli orti vicini destinati ai mercati, in altri casi cibo condizionato, pur fresco, proveniente da parti più lontane destinato ai supermercati e ai negozi, in altri casi ancora cibo elaborato e confezionato destinato al consumo domestico venduto in negozi e supermercati.

Parte di questo cibo è elaborato in ristoranti che a loro volta si ap-provvigionano nei negozi e nei supermercati della città in altri casi an-dando a prelevare il prodotto direttamente all’origine.

L’elaborazione e il consumo di questi prodotti genera scarto che viene allontanato, in parte attraverso raccolte differenziate destinate a loro volta a essere trattate in impianti di compostaggio in altri casi inve-ce a smaltimento in inceneritori o discariche.

È dunque evidente che, a seconda del tipo di gestione, possiamo ave-re un impatto positivo sul recupero di materia e sulla diminuzione delle emissioni o un impatto negativo. Una descrizione efficace di questo ci-clo che potremmo oggi modernamente definire di economia circolare ci viene addirittura da Johann Wolfgang Goethe quando nel suo “Viaggio in Italia” arriva a Napoli e, il 27 maggio 1787 scrive:

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«Moltissimi sono coloro – parte di mezza età, parte ancora ragazzi e per lo più vestiti poveramente – che trovano lavoro trasportando le immon-dizie fuori città a dorso d’asino. Tutta la campagna che circonda Na-poli è un solo giardino d’ortaggi, ed è un godimento vedere le quantità incredibili di legumi che affluiscono nei giorni di mercato, e come gli uomini si dian da fare a riportare subito nei campi l’eccedenza respinta dai cuochi, accelerando in tal modo il circolo produttivo.Lo spettacoloso consumo di verdura fa sì che gran parte dei rifiuti cit-tadini consista di torsoli e foglie di cavolfiori, broccoli, carciofi, verze, insalate e aglio, e sono rifiuti straordinariamente ricercati. I due grossi canestri flessibili che gli asini portano appesi al dorso vengono non so-lo inzeppati fino all’orlo, ma su ciascuno d’essi viene eretto con peri-zia un cumulo imponente. Nessun orto può fare a meno dell’asino. Per tutto il giorno un servo, un garzone, a volte il padrone stesso vanno e vengono senza tregua dalla città, che a ogni ora costituisce una miniera preziosa. E con quanta cura raccattano lo sterco di cavalli e di muli! A malincuore abbandonano le strade quando si fa buio, e i ricchi che a mezzanotte escono dall’Opera certo non pensano che già prima dello spuntar dell’alba qualcuno si metterà a inseguire diligentemente le trac-ce dei loro cavalli.A quanto m’hanno assicurato, se due o tre di questi uomini, di comu-ne accordo, comprano un asino e affittano da un medio possidente un palmo di terra in cui piantar cavoli, in breve tempo, lavorando sodo in questo clima propizio dove la vegetazione cresce inarrestabile, riescono a sviluppare considerevolmente la loro attività.»

Ancor più interessante pare il ragionamento attorno agli scarti ve-getali.

Prodotti freschi(es. ortaggi)

Frutta – verduraconfezionata

Cibo cucinatoconfezionato

Città (famiglie, negozi,

supermercati, mercati,

ristoranti…) Compostaggio

Emissioni

Discarica/inceneritore

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Essi provengono in parte dagli spazi privati di famiglie che abitano in case monofamiliari o ville con giardino o da insediamenti con spazi verdi di pertinenza (scuole, ospedali ecc.) e in parte dalla gestione degli spazi pubblici comuni (viali alberati, parchi, giardini pubblici).

Più la città cresce nel numero di abitanti, più si cerca nella pianifica-zione urbana l’inserimento di aree verdi, per il beneficio della popola-zione stessa, il tutto però con altrettanto crescente produzione di scarti che tendono a essere allontanati, creando crescenti costi di gestione e di trattamento.

Alcuni numeri attorno ai rifiuti biodegradabili

La quantità di scarti di cucina e di cibo mediamente prodotta in Italia si aggira attorno ai 90-150 kg/ab anno considerando i rifiuti urbani, siano essi strettamente domestici o provenienti da attività di ristorazione.

Tale quantità rappresenta, in peso, dal 25 al 25% della pattumiera urbana.

L’elevata presenza di materiale biodegradabile e la sua putrescibilità richiedono un’organizzazione che ne permetta un allontanamento fre-quente, soprattutto in zone calde, da una a cinque-sei volte la settima-na, in special modo per i grandi produttori di scarti (ristoranti, mense).

Tutto ciò si traduce in costi di raccolta e trasporto che in Italia va-riano da 12 a 26 euro ad abitante all’anno.

Una città da centomila abitanti si trova così a dover eliminare dal proprio metabolismo interno 12 mila tonnellate di scarti organici spen-dendo oltre un milione e mezzo di euro.

A questa somma occorre aggiungere i costi di trattamento che nel caso di riciclo attraverso il compostaggio si aggirano in Italia attorno agli 80 euro a tonnellata di media, con punte fino a 200 euro a tonnel-lata quando la distanza dagli impianti diventa elevata, come nel caso di parte della regione Campania.

Si aggiunge così quasi un altro milione di euro.Oltre ai costi, la mappatura del traffico veicolare evidenzia un’eleva-

ta entropia del sistema.Ancor più sorprendente è il caso della gestione degli scarti di par-

chi e giardini. Essi infatti producono, grossolanamente, 3 tipologie di scarto:

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• gli sfalci• il fogliame• gli scarti legnosi da potatura.

Oggi gli ultimi sono sempre più trattati preliminarmente sul luogo al fine di ridurne il volume e migliorarne il trasporto: si assiste così a un processo di taglio e immediata triturazione.

Occorre però considerare che ogni metro quadrato di spazio verde produce tra 3 e 6 kg di sfalcio all’anno che vanno in qualche modo ge-stiti.

Una città come Milano, con i suoi 37 metri quadrati pro capite di spazi verdi (di cui ben 1,3 milioni di metri quadrati di giardini scola-stici) per non parlare di Sondrio, una delle città più “verdi” d’Italia con ben 312 metri quadrati di spazi verdi per abitante2.

Vale la pena ricordare che la città “più verde” al mondo è Vienna con il 51% della propria superficie ricoperta da parchi e giardini il che equivale a 120 metri quadrati per abitante3.

Tornando agli scarti, Milano ha una potenzialità di scarto attorno al-le 250.000 tonnellate di soli sfalci, a cui si aggiungono il fogliame e le potature di arbusti e piante.

La manutenzione e successivo avvio a trattamento creano emissioni, traffico veicolare, consumo di risorse ed energie.

Di contro gli spazi verdi necessitano anche di essere “alimentati” spesso con il ricorso a concimi ternari di sintesi, più raramente con con-cimi naturali di origine animale o vegetale. Senza entrare nei dettagli ciò significa che nelle città, a fronte di 5 kg di scarto del solo sfalcio, entrano sostanze nutritive per circa 500 kg per ettaro (50 grammi per metro quadrato all’anno).

Questo scambio di sostanze nutritive, di acqua e sostanza secca, può certamente essere gestito minimizzando i trasporti e dunque i consumi di energia, le emissioni e gli impatti ambientali, spesso diretti agli stessi cittadini che fruiscono degli spazi verdi.

Alcune città che si bio-degradano… meglio

Negli ultimi dieci anni notevole sviluppo hanno avuto progetti di in-centivazione del compostaggio domestico individuale.

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Progetti promossi da comuni che nel frattempo avevano sviluppato raccolte differenziate performanti e che dunque hanno cercato di abbi-nare soluzioni mirate alla prevenzione dei rifiuti con l’ottimizzazione dei circuiti di raccolta, con la finalità di contenere i costi e di conse-guenza le tariffe ai cittadini.

In centri medio piccoli o in realtà disperse, le percentuali di famiglie che praticano il compostaggio domestico rispetto al numero di residen-ti raggiunge percentuali relativamente elevate, anche superiori al 50%.

È il caso di Dogliani, in provincia di Cuneo, o di Castagnole delle Lanze, in provincia di Asti.

Fino ad arrivare a realtà, sempre di piccole dimensioni, in cui tut-ti gli scarti organici sono trattati localmente dai propri cittadini come Coazzolo in provincia di Asti o Cuccaro Vetere in provincia di Salerno.

Si tratta sì di piccole realtà che però se imitate su realtà simili a li-vello nazionale consentirebbero una grossa diminuzione del fabbiso-gno di raccolta e trattamento con conseguente contenimento di costi ed emissioni.

Un’esperienza significativa è quella sviluppata dalla provincia di Asti, recensita, come buona pratica, anche dalla Commissione europea, che evidenzia l’impatto economico positivo di una promozione più va-sta del compostaggio domestico:

I risultati conseguiti sono considerati superiori alle aspettative iniziali: • 15.000 compostiere distribuite dal 2000 al 2008; • blocco della produzione di rifiuti urbani rispetto alla media piemon-

tese: nel bacino astigiano (115 Comuni su 118 presenti in Provin-cia di Asti) la produzione procapite dal 2000 al 2007 è cresciuta del 3,4%, passando da 412 kg/ab × anno a 426 kg/ab × anno, mentre in Piemonte è cresciuta dell’8,6%, passando da 475 kg/ab × anno a 516 kg/ab × anno.

• diminuzione netta di oltre 20.000 t di rifiuti in 8 anni; • circa 200 kg/anno di rifiuti “eliminati” per ogni compostiera dome-

stica, pari a una riduzione di 3.000 t/a di rifiuti; • circa 3.434.000 € risparmiati (ca. 1.298.000 € per mancato conferi-

mento agli impianti di compostaggio pari a 95 €/t e ca. 2.136.000 € per minori costi di raccolta).

Alla luce di questa esperienza il nuovo piano di bacino artigiano preve-de un’ulteriore incentivazione del compostaggio domestico con l’obiet-

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tivo di coinvolgere oltre 17.000 utenze. Si prevede inoltre di introdurre il compostaggio comunitario (per quartiere, in cascina, per comunità) e il compostaggio nei parchi, oltre a centri di triturazione delle rama-glie. Complessivamente la spesa per l’iniziativa negli 8 anni di attivi-tà, data dal costo dell’acquisto delle compostiere fornite gratuitamente ai cittadini e dai costi di tutte le azioni di sensibilizzazione fatte negli anni (anche quelle fatte per la raccolta differenziata in genere), è stata pari a 625.000 €4.

Accanto al compostaggio individuale si è ormai sviluppato in Euro-pa il compostaggio di collettività, o di quartiere o, ancora, come lo de-finiscono in Francia, ai piedi dei condomini.

Si utilizzano compostiere manuali con forte coinvolgimento della popolazione, come a Zurigo, dove si contano quasi mille siti di compo-staggio collettivo di diversa dimensione a servizio di oltre 40mila abi-tanti, o a Nantes, dove sono stati installati 22 siti di compostaggio ai piedi dei condomìni o ancora a Rennes o Barcellona.

Figura 2. Sito di compostaggio collettivo a Zurigo (novembre 2014) Fonte: foto Andrea Pavan ERICA soc. coop.

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Nel Nord Europa, a inizio anni Novanta del secolo scorso, sono state sviluppate compostiere elettromeccaniche per il trattamento locale de-gli scarti di cucina, sia presso grandi produttori, come ristoranti, hotel, centri commerciali, sia presso condomìni.

La diffusione è molto capillare e anche grandi città come Stoccolma, Göteborg, Oslo trattano i propri scarti biodegradabili vicino al luogo di produzione, ottenendone compost utilizzato direttamente nei giardini dei condomìni o nei vasi delle famiglie.

Le elettrocompostiere hanno quindi preso piede in altri paesi come la Spagna, in particolare nei Paesi Baschi e recentemente anche in Italia dove si contano alcune decine di installazioni.

La prima esperienza di successo in grandi città italiane è quella di Cascina Cuccagna nel pieno centro di Milano.

«A fine maggio 2013 viene installata la “LaCompostiera.it” automa-tica nel giardino della Cascina, essa è in grado di sminuzzare il mate-riale organico e miscelarlo in modo da ottenere un compost ben bilan-ciato. Ha un dosatore automatico che permette di inserire ogni volta la giusta quantità di pellet e permette di smaltire anche sacchetti di carta e in Mater-Bi usati per la raccolta dei rifiuti umidi domestici. È in grado di compostare 700 litri di rifiuti a settimana e di produrre compost ma-turo in trenta giorni. A partire da giugno 2013 i fruitori e i volontari di Cascina Cuccagna raccolgono a turno la frazione umida dei propri rifiuti domestici, de-stinandola alla compostiera. I rifiuti successivamente vengono pesati: un’operazione importante per il Comitato Scientifico che studia il pro-getto, ma anche per le famiglie, che diventano consapevoli di quanto materiale viene buttato. I cittadini che partecipano alla raccolta sono invitati a compilare questionari che valutano le loro necessità e i pic-coli cambiamenti nel loro stile di vita innescati dal progetto Cuccagna Sostenibile. Anche gli attori stabili della Cascina (Staff Organizzativo, Bar-Risto-rante, Bottega, Mercati, Servizi per famiglie) raccolgono la propria fra-zione umida per smaltirla nella compostiera, comprese le stoviglie in Mater-Bi. Anche in questo caso tutto il processo viene misurato e moni-torato, per comprendere qual è l’impatto ambientale di queste stoviglie rispetto a quelle in plastica o ceramica, valutando il rapporto tra rifiuti e compost prodotto a fine processo.

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Ogni mese il compost prodotto è usato per le attività di cura dell’orto e del giardino di Cascina Cuccagna. Inoltre, durante gli eventi pubblici, vengono indetti dei Compost Day durante i quali distribuire sacchet-ti di compost per un uso domestico e nei quali raccontare i risultati del progetto5».

Oltre agli scarti delle mense anche i rifiuti vegetali dei parchi e giar-dini possono essere trattati localmente.

L’esperienza più interessante è senza dubbio quella della Città di Londra che attraverso un protocollo di green scaping e di compostaggio in situ aveva programmato di non voler più movimentare un solo filo d’erba dai parchi entro il 2015 e a fine 2014 ben il 99% degli scarti dei principali otto Parchi Reali è compostato presso i parchi stessi6.

Figura 3. La Compostiera.it a Casina Cuccagna di Milano (giugno 2013)Fonte: foto Emanuela Rosio ERICA soc. coop.

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Conclusioni

Il carico metabolico di una città rischia di essere troppo pesante da gestire e i rifiuti prodotti, in particolare quelli biodegradabili, possono concorrere in maniera significativa al collasso delle reazioni interne e delle relazioni con l’esterno.

I risultati fin qui ottenuti in Italia e all’esterno forniscono indicazioni per migliorare la resilienza delle nostre città partendo da un’autoge-stione della matrice organica.

Occorre dunque da un lato spingere il più possibile pratiche come il compostaggio domestico individuale o collettivo, ma dall’altro stimo-lare un approccio complesso che porti a ridisegnare le città in modo che siano pronte ad accogliere localmente i propri scarti trasformandoli in nutrimento per gli spazi interni.

Piani regolatori che prevedano concessioni edilizie a fronte di spa-zi verdi per praticare il compostaggio e accogliere il compost prodotto può essere una soluzione.

Soluzione che con altre accompagna i territori verso una soft eco-nomy, un’economia leggera, a maggior intensità di lavoro per unità di prodotto: impiegare persone per progettare parchi a minor fabbisogno di tagli, anziché persone impiegate a guidare camion per portar via gli sfalci; impiegare persone a aiutare i propri concittadini ad autoprodur-si un ottimo compost da utilizzare nei propri vasi di piante ornamentali anziché raccoglitori di immondizia.

Soluzioni che non solo diminuiscono l’inquinamento, diminuiscono la desertificazione delle nostre città, ma migliorano la coesione sociale come antidoto alla degradazione urbana.

Note1 http://www.agoravox.fr/auteur/alain-desert2 http://www.lombardia.coldiretti.it3 http://www.worldcitiescultureforum.com4 http://www.gaia.at.it5 http://www.cuccagna.org/portal/IT/handle/?page=cuccagna_sostenibile6 https://www.royalparks.org.uk/__data/assets/pdf_file/0017/41741/the-royal-parks-an-

nual-report-and-accounts-2013-14.pdfn

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