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la Ludla 1 “Poca favilla gran fiamma seconda” Dante, Par. I, 34 la Ludla (la Favilla) Periodico dell’Istituto Friedrich Schürr APS per la valorizzazione del patrimonio dialettale romagnolo in collaborazione con il Comune di Ravenna - Assessorato alla Cultura Autorizzazione del Tribunale di Ravenna n. 1168 del 18.9.2001 Società Editrice «Il Ponte Vecchio» Anno XXV • Febbraio 2021 • n. 2 (211°) SOMMARIO Un ricordo di Umberto Foschi nel ventennale della scomparsa di Renato Lombardi Stal puiðì agl’à vent... 19° concorso di poesia dialettale “Omaggio a Spaldo” - Bertinoro I balli di una volta - XI La roncastella Rubrica a cura di Alberto Giovannini Curonavìrus di Mario Martini Pirì e e’ vìrus di Edmondo Soldati L’eroe di Francesco Bartolini Disegno di Giuliano Giuliani Il Carnevale nei proverbi romagnoli di Bas-ciân Erb da magnê, erb da midðena Il tarassaco Rubrica a cura di Giorgio Lazzari L’eidol tu int e mi cor l’ha dmurènza di Luca Onofri I matti di Seguno - La sumara di Ruffillo Budellacci I scriv a la Ludla Pri piò znen di Rosalba Benedetti Libri ricevuti Al rizët dla sgnora Maria Stufê d’agnël cun i fnoc Tórta d’arcöta e spinëz Laura Turci - Un an di Paolo Borghi p. 2 p. 4 p. 6 p. 7 p. 7 p. 8 p. 10 p. 11 p. 12 p. 13 p. 13 p. 13 p. 14 p. 15 p. 16 Febbraio 2021 - N. 2 Un appello per salvare una preziosa documentazione del patrimonio etnografico romagnolo Siamo certi di interpretare il pensiero di tutti i soci della Schürr e dei let- tori della Ludla pubblicando di Giuseppe Bellosi – linguista ed etnogra- fo che in Romagna non ha certo bisogno di presentazioni – l’appello volto a salvaguardare una documentazione della cultura popolare roma- gnola dal valore inestimabile. Questo il testo diffuso sui social: Dalla metà degli anni Settanta alla fine degli anni Novanta del secolo scorso il fotografo Giovanni Zaffagnini ed io (col registratore) abbiamo percorso in lungo e in largo la Romagna per documentare la cultura del mondo popolare in via di estinzione: modi di vita, lavori tradizionali, usanze e credenze, religiosi- tà, canti rituali ecc. Il risultato è un archivio fotografico, presso Zaffagnini, comprendente circa 12.000 negativi, catalogati, e circa 2.000 stampe, catalo- gate e digitalizzate. Presso di me è conservato il corrispondente archivio sonoro, contenente le registrazioni di innumerevoli testimonianze, in corso di digitaliz- zazione presso il Centro per il dialetto romagnolo della Fondazione Oriani (Ravenna): un progetto che procede in modo discontinuo per la difficoltà a repe- rire finanziamenti pubblici. Ora un’università straniera ha manifestato interesse all’acquisto dell’archivio fotografico di Giovanni Zaffagnini, con l’intento di realizzare pubblicazioni e mostre. Sarebbe un vero peccato se un archivio di tale importanza riguardante la cul- tura popolare della Romagna dovesse lasciare la nostra regione per essere valo- rizzato come merita. Il problema non è l’acquisto dell’archivio fotografico, che ritengo sarebbe alla portata di un ente pubblico. Il problema è che l’archivio non rimanga chiuso in un armadio, ma venga valorizzato attraverso pubblicazioni, mostre, studi ecc. Occorrerebbe quindi trovare o creare una struttura pubblica, dotata di un per- sonale competente e di adeguati e continuativi finanziamenti, in grado di attuare la valorizzazione di tali materiali. Bellosi Invitiamo tutti i nostri lettori a farsi partecipi di una mobilitazione in favore del mantenimento in Romagna di questa inestimabile collezione. L’invito è naturamente rivolto in particolare ai sindaci e agli assessori alla cultura dei comuni romagnoli, ai direttori delle biblioteche, ai presiden- ti delle fondazioni e a tutti coloro che ricoprono cariche istituzionali.

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la Ludla 1

“Poca favilla gran fiamma seconda”Dante, Par. I, 34

la Ludla(la Favilla)

Periodico dell’Istituto Friedrich Schürr APSper la valorizzazione del patrimonio dialettale romagnolo

in collaborazione con il Comune di Ravenna - Assessorato alla CulturaAutorizzazione del Tribunale di Ravenna n. 1168 del 18.9.2001

Società Editrice «Il Ponte Vecchio» Anno XXV • Febbraio 2021 • n. 2 (211°)

SOMMARIO

Un ricordo di Umberto Foschi nel ventennale della scomparsadi Renato Lombardi

Stal puiðì agl’à vent...19° concorso di poesia dialettale “Omaggio a Spaldo” - Bertinoro

I balli di una volta - XI La roncastellaRubrica a cura di Alberto Giovannini

Curonavìrusdi Mario Martini

Pirì e e’ vìrusdi Edmondo Soldati

L’eroedi Francesco BartoliniDisegno di Giuliano Giuliani

Il Carnevale nei proverbi romagnolidi Bas-ciân

Erb da magnê, erb da midðenaIl tarassacoRubrica a cura di Giorgio Lazzari

L’eidol tu int e mi cor l’ha dmurènza di Luca Onofri

I matti di Seguno - La sumaradi Ruffillo Budellacci

I scriv a la Ludla

Pri piò znendi Rosalba Benedetti

Libri ricevuti

Al rizët dla sgnora MariaStufê d’agnël cun i fnocTórta d’arcöta e spinëz

Laura Turci - Un andi Paolo Borghi

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Febbraio 2021 - N. 2

Un appello per salvare una preziosa documentazione

del patrimonio etnografico romagnolo

Siamo certi di interpretare il pensiero di tutti i soci della Schürr e dei let-tori della Ludla pubblicando di Giuseppe Bellosi – linguista ed etnogra-fo che in Romagna non ha certo bisogno di presentazioni – l’appellovolto a salvaguardare una documentazione della cultura popolare roma-gnola dal valore inestimabile. Questo il testo diffuso sui social:

Dalla metà degli anni Settanta alla fine degli anni Novanta del secolo scorsoil fotografo Giovanni Zaffagnini ed io (col registratore) abbiamo percorso inlungo e in largo la Romagna per documentare la cultura del mondo popolare invia di estinzione: modi di vita, lavori tradizionali, usanze e credenze, religiosi-tà, canti rituali ecc. Il risultato è un archivio fotografico, presso Zaffagnini,comprendente circa 12.000 negativi, catalogati, e circa 2.000 stampe, catalo-gate e digitalizzate. Presso di me è conservato il corrispondente archivio sonoro,contenente le registrazioni di innumerevoli testimonianze, in corso di digitaliz-zazione presso il Centro per il dialetto romagnolo della Fondazione Oriani(Ravenna): un progetto che procede in modo discontinuo per la difficoltà a repe-rire finanziamenti pubblici.Ora un’università straniera ha manifestato interesse all’acquisto dell’archiviofotografico di Giovanni Zaffagnini, con l’intento di realizzare pubblicazioni emostre.Sarebbe un vero peccato se un archivio di tale importanza riguardante la cul-tura popolare della Romagna dovesse lasciare la nostra regione per essere valo-rizzato come merita.Il problema non è l’acquisto dell’archivio fotografico, che ritengo sarebbe allaportata di un ente pubblico. Il problema è che l’archivio non rimanga chiuso inun armadio, ma venga valorizzato attraverso pubblicazioni, mostre, studi ecc.Occorrerebbe quindi trovare o creare una struttura pubblica, dotata di un per-sonale competente e di adeguati e continuativi finanziamenti, in grado diattuare la valorizzazione di tali materiali. Bellosi

Invitiamo tutti i nostri lettori a farsi partecipi di una mobilitazione infavore del mantenimento in Romagna di questa inestimabile collezione.L’invito è naturamente rivolto in particolare ai sindaci e agli assessori allacultura dei comuni romagnoli, ai direttori delle biblioteche, ai presiden-ti delle fondazioni e a tutti coloro che ricoprono cariche istituzionali.

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la Ludla2 Febbraio 2021 - N. 2

Il 15 dicembre 2020 è stato il venten-nale della scomparsa di UmbertoFoschi (1916-2000), il grande storicodi Cervia e della Romagna. Purtrop-po, per l’emergenza Covid-Coronavi-rus, è stata annullata ogni manifesta-zione rievocativa in presenza del pub-blico, lo studioso merita però di esse-re ricordato per il ruolo che ha avutonella cultura cervese e romagnola.Foschi ha svolto un ruolo fondamen-tale per dare un’identità culturalealla sua terra. In oltre un cinquanten-nio di studi e di ricerche ha indagato,approfondito e studiato con grandepassione molteplici settori della vitaculturale. Egli era nato a Castiglionedi Cervia e la sua vita copre un arcodi tempo che va dall’11 dicembre1916 al 15 dicembre del 2000.Dell’antico borgo agricolo aveva con-servato la memoria di un mondo dicontadini e di braccianti, di nobilifamiglie e di gente comune, di unaRomagna che custodiva ancora neicampi, nelle strade, negli “olmi sposa-ti con le viti”, un assetto che risalivaal tempo della colonizzazione deiromani. Una Romagna che nelnome, per dirla con Aldo Spallicci,sapeva un po’ di Roma e di campa-gna. Una vastità di interessi cheabbracciava l’evoluzione del paesag-gio, le testimonianze architettonichee dell’arte, il linguaggio con i vari dia-letti romagnoli, i proverbi e i modi didire, la poesia, le feste tradizionali, gliambienti di lavoro del mondo agrico-lo, delle millenarie saline, dellapesca, del nascente turismo; la devo-zione religiosa e la storia delle diocesidella Romagna; i personaggi dellagrande storia e gli anonimi protago-nisti del quotidiano e delle microsto-rie. Non c’è archivio che non abbiaesplorato. Per tanti studiosi le suericerche sono il punto di partenza perulteriori approfondimenti. Molti lohanno considerato a pieno titolo,pur partendo da una diversa matriceculturale, l’erede di Aldo Spallicci. Enon è un caso che Umberto Foschiabbia partecipato alla realizzazionedell’Opera Omnia di Aldo Spallicci ecurato varie opere dedicate al granderomagnolo. Di questa eredità cultura-le egli si sentiva pienamente parteci-pe. Del resto il suo impegno di condi-

rettore della Piè, la rivista fondata daAldo Spallicci, di reggitore dei “Treb-bi”, si ponevano in questo alveo tra-dizionale. Umberto Foschi ha dato un contribu-to importante anche ad enti, istitu-zioni, realtà associative legate alla dif-fusione della cultura. Pensiamo allapresidenza della “Dante Alighieri”, alsuo ruolo di Ispettore Onorario alleAntichità e Monumenti. L’Associa-zione Culturale Castiglionese, cheoggi prende il suo nome, ha trattodalla sua partecipazione e dal suoincoraggiamento stimoli ed impulsoper la sua attività. Foschi è stato inol-tre vicepresidente del primo Consi-glio direttivo della Società Amici del-l’Arte, costituita il 14 marzo 1955,allora presieduta da Carlo Saporetti econ Aldo Ascione come segretario.Ne è stato poi presidente per oltre untrentennio dal 6 febbraio 1959 al 26aprile 1991. Successivamente ha rico-perto la carica di presidente onora-rio. Sono stati gli anni nei quali gliAmici dell’Arte hanno dato un con-tributo importante alla vita cervese,realizzando iniziative ed attività, chehanno spaziato dalla salvaguardia deibeni storici ed artistici – a comincia-

re dalla settecentesca sede della Casadelle Aie – ad attività di divulgazioneculturale, dando vita a molteplici atti-vità artistiche, di recupero e valorizza-zione della storia, della cultura e delletradizioni cervesi e romagnole.Importante è stata la collaborazionecon la Camera di Commercio diRavenna, con i suoi articoli storicipubblicati sul “Bollettino” dell’ente,e con la Cassa di Risparmio di Raven-na (per le sue pubblicazioni annuali). Dagli anni Cinquanta fino al Duemi-la, le opere di Foschi sono state ilpunto di riferimento obbligato pertutti gli studi su Cervia. Ne sono unariprova i suoi studi sulla storia dellesaline, su Ficocle, su Cervia Vecchia,sulla costruzione di Cervia Nuova,sugli archivi, sulla bibliografia riferitaalla città, sui “mangiari tradizionali”,sui canti, i proverbi e i modi di dire,sui beni monumentali, sugli edificistorici, sulla storia della Chiesa cerve-se e delle località del Comune acominciare dalla sua Castiglione.Importanti sono stati gli studi suiperiodi delle varie dominazioni, chesi sono susseguite (dai Da Polenta, aiMalatesta, alla Repubblica Venezia-na, allo Stato della Chiesa). E ancora,le feste tradizionali (dallo Sposaliziodel Mare a San Paterniano, a SanLorenzo, alla Madonna del Fuoco), lastoria della pineta, del turismo, delleattività del Borgo dei pescatori, deigrandi personaggi che hanno avutoun legame particolare con Cervia (daGrazia Deledda ad Ungaretti), e lapoetica romagnola di Tolmino Bal-dassari. Importanti sono tre operepubblicate sulla Cervia del Settecen-to (con la costruzione di CerviaNuova), dell’Ottocento e del Nove-cento. Ha collaborato alla realizzazio-

Un ricordo di Umberto Foschi

nel ventennale della scomparsa

di Renato Lombardi

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la Ludla 3Febbraio 2021 - N. 2

ne dei primi “Quaderni cervesi” distoria locale realizzati dai Circoli cul-turali Grazia Deledda, Andrea Costae Società Amici dell’Arte Aldo Ascio-ne, con la collaborazione di CalimeroBorghi, Gino Pilandri e Renato Lom-bardi. Foschi ha partecipato attiva-mente a cavallo degli anni Ottanta eNovanta ai “Mercoledì cervesi”, unappuntamento culturale per gliappassionati di storia locale. Dallesue idee, come da quelle di GinoPilandri, è emersa la proposta di apri-re un Museo del sale a Cervia. Moltoapprezzati erano inoltre i suoi artico-li storici per il Resto del Carlino.Umberto Foschi aveva una grandecapacità di narrare, di raccontare, disaper coinvolgere la curiosità del suouditorio e di renderlo compartecipe

della sua passione culturale. Il Circo-lo culturale Grazia Deledda ha realiz-zato con lui molte iniziative. AFoschi era stato affidato da Mons.Leo Maldini l’incarico di Direttoredella Biblioteca Grazia Deledda, chefu istituita nel 1964 ed aveva sedenel Vescovado di Cervia. UmbertoFoschi ha collaborato attivamentealla realizzazione di iniziative quali“La Spiaggia ama il libro” promossadall’ASCOM anche con la pubblicazio-ne di una storia del turismo cervese.Il suo ultimo saggio dedicato a:“Pae-saggio, tradizioni, usi, folklore”, èstato stampato postumo, nel luglio2001, all’interno del III volume(tomo 2°) della Storia di Cervia. Suaè l’intuizione di realizzare un “OrtoBotanico dei Frutti Dimenticati”,

che ha avuto attuazione nel 2013 inprossimità della Casa delle Aie, acura dell’Associazione CulturaleCasa delle Aie. Per raccogliere i suoiscritti, saggi ed articoli su Cervia hopersonalmente curato nel 2007, larealizzazione del libro di oltre 600pagine, intitolato: Umberto Foschi.Pagine di Storia, cultura e tradizioni,edito dall’allora Associazione Cultu-rale “Amici dell’Arte Aldo Ascione”.La casa, la biblioteca e l’archivio diUmberto Foschi, sono stati donatiper volontà della moglie di Umber-to, Alda, alla Fondazione di CasaOriani e nel 2008 a Casa Foschi, inparticolare per volontà dell’Ammini-strazione Provinciale di Ravenna, èstato istituito il Centro per il Dialet-to Romagnolo.

Alcuni dei volumi che documentano

la preziosa attività di Umberto Foschi

nell’ambito della raccolta

delle testimonianze sui proverbi e la

produzione poeticapopolare

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la Ludla4 Febbraio 2021 - N. 2

19° concorso di poesia dialettale“Omaggio a Spaldo”

promosso dall'Accademia dei BenigniBertinoro - 2020

Sénza mimöria

di Daniela Cortesi – Forlì Prima classificata

Sôgn alzir i s’armes-ciaa la porbia di dè …fazi ch’a n cnos piò,nom vulè chisà indò,arcörd palurìch’i traversa in prisiai mi oc e i s smaresint la nêbia de’ zarvëlcôma ómbar d’elch’al chesca sóraal strê d’ona vita.

Senza memoria

Sogni leggeri si mescolano alla polvere deigiorni; facce che non conosco più, nomivolati chissà dove, ricordi ingialliti cheattraversano in fretta i miei occhi e si perdo-no nella nebbia del cervello come ombred’ali che cadono sopra le strade di una vita.

Tra i scój

di Lidiana Fabbri – Rimini3ª classificata a pari merito

A sò iché sla punta de’ portduv’è che l’aqual’ as invróccia tra i scójduv’è che i marinèri partéss si barcùn.E’ mèr e’ per c’un fnéssau s pèrd dalònghcum’è i pensir.Isè cum’è cal velich’al per farfalich’al zirca i fiur.L’ònda l’arivach’la s-ciómma biéncal’am bagna i cavéll la schinacumè una lònga carezza.Dèntra l’aria fèinatra e’ zil e e’ mèran vréa andè piò inlàan vréa andè in nissun sitan zirc un’énta tèraagli è ichè al mi radisium basta stè mòndda camnèi dèntra.E’ l’alma la vòntaad cuntantèzza cum’èquand i marinèr i’artorna

e um pèr d’arnas un’énta volta.Darnòv smèntach’la créss dèntra l’aqua.

Tra gli scogli

Sono qui sulla cima del porto dove l’ac-qua si frantuma tra gli scogli dove parto-no i marinai con le barche. Il mare pareche non abbia confini si perde in lonta-nanza così come i pensieri. Così comequelle vele che sembrano farfalle allaricerca dei fiori. L’onda si avvicina schiu-meggiante mi bagna i capelli la schienacome una lunga carezza. L’aria fresca miavvolge tra il cielo e il mare non vorreiandare altrove non vorrei trovarmi inaltro luogo non cerco un’altra terra sonoqui le mie radici mi basta questa parte dimondo per vivere. L’anima trabocca diletizia come quando i marinai ritornano emi pare di rinascere un’altra volta. Dinuovo seme che cresce dentro l’acqua.

Stal puiðì agl’à vent...

Arturnê

di Marino Monti – Forlì 2° classificato

Arturnêtra j udur pirsdi mi grép,tra filirch’i s’indurmêntaa la lusde’ fê’ dla sera.Udur ad fénun savôr ad tëraincontra a e’ zil.La vója d’arturnê

a cla ca‘d sës ad fiômbiâncatra i rèm d’avulânch’i segna e’ cör.

Ritornare

Ritornare tra gli odori perduti dei mieigreppi, tra filari che si addormentano allaluce del fare della sera. Odore di fieno, unsapore di terra incontro al cielo. Il deside-rio di ritornare a quella casa di sassi difiume, bianca tra rami di avellano che sol-cano il cuore.

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la Ludla 5Febbraio 2021 - N. 2

E rispir

di Hedda Forlivesi – Alfonsine3ª classificata a pari merito

Al spala la marèna,e’ rispir stracde mërum sfarghevala fazae um’impineval’ânma!In cla sera tevdad’ cl’istëc’ us’ invcieva!E’ cör gonfid’tèum tneva da man.

Il respiro

Le spalle verso il mare, il respiro stancodel mare mi sfregava il viso e mi riempival’anima! In quella tiepida sera di quel-l’estate che invecchiava! Il cuore gonfio dite mi teneva per mano.

L’insogni ad W.M. (veduv a e’ temp de’ Covid)

di Vincenzo Morrone – Cesena3° classificato a pari merito

Itala, a t voi cuntè un insogni.L’è bela sera e me a so léch’ a camen da par me pr un sintir;ad bota a m’ artrov int un bel zarden.U j è int e’ mez una seva cun di fiur

[… a glj è tott’ rosie d’a caint u j è un mur, ch’l’è fat ad sass.Pu u j è nenca un erbul … al cnos,

[l’è un azarol.Te t’ ci alé dria, t’a m’ volt al spali,slunghida par tachè una gabia a un reme dentra a la gabia u j è un gazutin

[… l’è un gardlen.T’a t’ zir da la mi perta,t’ sbas cun la men la mascherina

e t’ a m’ fe un suris che mai.L’inveja a tiré un vangin frescch’u m’ porta l’udor dal rosie l’uslin e taca a cantè.Te t’ a m’ dì: “Ven, ven”,cun e’ suris ch’ l’arvenza int j occ,e t’ a m’ fe segn ad metmi insdè

[(u j è nenca una painca).Ades a sami taché,te t’ scor, l’uslin e’ chentae me a t’ guerd e a m’ fagh piò znin.T’ a m’ cunt de bsdel,ad tot chi dé ch’a sam sté da longh,po t’ a m’ dmand: “E te?”. “Me?” me a n’ariv a scora zanzighe ad bota a cminz a tarmè:e’ vent u s’ è fat piò fort,e’ porta l’udor de tampurel,d’ la tera quand ch’ l’è mola.T’ a m’ guerd, cun la testa pighida,u n’ gn’è piò e’ suris int’i tu occ,t’ a m’ dis: “Va’, va’ adess, ch’u s’è

[fat fred”.A stagh so pianin pianine u m’ ven da guardè e’ zil:u j è tr’al nuvli e’ sghet d’ la luna;po, a ne so e’ parché,a ciud j occ, a verz la bocae u m’ scapa da dì: “At’ voi ben, Diana”.

Il sogno di W.M. (vedovo al tempo

del Covid)

Itala ti voglio raccontare un sogno. È già

sera e io sono lì che cammino da solo perun sentiero, all’improvviso mi trovo inun bel giardino. Nel mezzo c’è una siepecon dei fiori, sono tutte rose e lì vicinoc’è un muro fatto di sassi. Poi c’è ancheun albero … lo conosco è un azzeruolo.Tu sei lì, mi volti le spalle, ti allunghiper appendere una gabbia a un ramo edentro la gabbia c’è un uccellino … è uncardellino. Ti giri dalla mia parte abbas-si con la mano la mascherina e mi fai unsorriso che più bello non si potrebbe.Comincia a soffiare un venticello frescoche mi porta l’odore delle rose e l’uccelli-no comincia a cantare. Mi dici: “Vieni,vieni” col sorriso che rimane negli occhie mi fai segno di sedermi (c’è anche unapanchina). Adesso siamo vicini, tu parli,l’uccellino canta e io ti guardo e mi fac-cio più piccolo. Mi parli dell’ospedale, ditutti i giorni in cui siamo stati lontani epoi mi domandi : “E tu?”. “Io?” , io nonce la faccio a parlare, balbetto e all’im-provviso comincio a tremare: il vento si èfatto più forte e porta l’odore del tempo-rale, della terra quando è bagnata. Miguardi con la testa piegata, non c’è piùil sorriso nei tuoi occhi e mi dici: “Va, vaadesso che si è fatto freddo”. Mi alzopiano piano e mi viene da guardare ilcielo, si vede tra le nuvole la falce dellaluna, poi non so perché, chiudo gli occhi,apro la bocca e mi viene da dire “Tivoglio bene, Diana”.

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la Ludla6 Febbraio 2021 - N. 2

La valle del Santerno, per alcuni,limite della Romagna verso il bolo-gnese, compone, insieme alla valledel Sillaro, un bacino estremamenteimportante per quanto riguarda lostudio delle danze tradizionali.Nello spazio di pochi chilometri,infatti, le comunità dei villaggi postisu questi due corsi d’acqua condivi-devano usanze peculiari in meritoalle feste da ballo. A farla da padrone incontrastato,tra gli strumenti tipici nelle duevalli, era l’organetto ‘bolognese’,caratterizzato da tre file di tasti.Questo strumento, accompagnatoda uno strumento armonico (potevaessere una chitarra, ma anche unvioloncello o un bassetto a tre cordesuonato per accordi), animava lefeste con un repertorio tipico checontraddistingueva queste vallate.Abbiamo, infatti, già parlato in pre-cedenti contributi delle versioni diCastel del Rio, che risultava, in epo-che caratterizzate da scarsi contatticon le città della pianura, centro diriferimento.

Preferita tra le danze della Val San-terno, la Roncastella rappresentauna tra le più eseguite nella zona diImola e Castel San Pietro, tanto daessere ancora stabilmente nel reper-torio dei Canterini e DanzeriniRomagnoli ‘Turibio Baruzzi’ diImola. Questa danza, dai passi svolti a pia-cere, fungeva da competizione tra i

giovani che cercavano di figuraremeglio dei compagni agli occhi delleballerine, esibendosi in piroette edevoluzioni anche di notevole diffi-coltà. I due ballerini della coppia,simulando la classica pantomimadella rincorsa amorosa, si ponevanoal centro del cerchio cercando dimostrare le proprie capacità allealtre coppie in attesa del proprioturno. Questa figurazione in cerchioè solita essere chiamata ‘ronda’ ed èl’unica tra quelle romagnole chevanta una parentela con le ‘rote’ tipi-che dell’arte coreutica meridionale.Nel 1919, Pratella scriveva riguardoalla Roncastella che, non venendopiù eseguita in alcun luogo, risulta-va pressoché impossibile risalire siaalle coreografie che all’etimologiadel nome.Di quest’ultima, lo studioso lughe-se, si prodiga nello spiegarne l’origi-ne, facendo derivare Runcastèla daltermine röunca (roncola) termineancora in uso nelle campagne, cheindica un coltello adunco con cui icontadini estirpavano le infestanti.Il passaggio sarebbe dovuto ad alcu-ni movimenti dei ballerini o, anco-ra, alla cernita che svolgeva il balle-rino prima di intraprendere il ballo. A parer nostro pare più credibilecollegare il nome della danza, trami-te la varietà locale runcastelda, alborgo di Roncastaldo, centro di unacerta rilevanza storica nei pressi diLoiano, sull’Appennino bolognese,di cui sarebbe originaria.

I balli di una volta - XI

La roncastella

Rubrica a cura di

Alberto Giovannini

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la Ludla 7Febbraio 2021 - N. 2

Curonavìrus

di Mario Martini - Ravenna

L’ éra latént da i têmp dal catacómbe l’ à durmì fen’ e’ domèlavéntcôlpa d’ chi sunadùr ch’ j’ à sunê

[al trómbðvigènd un virus ch’ l’ è pèþ d’ un

[sarpénte l’ è cuntént ad stê stramëþ al tómbad quì che l’à valnê stê dilinquêntu n’ à paùra gnânch s’ t’ ai tìr dal bómbe l’ à teruriþê tota la þént.

Curônavìrus, fiöl d’ una putâna! A te voi dì che ta num fé paùra la trapla che ta m fé la n’ um’ ingânaparchè vigliàch t’ at si nascost? Da fùra!Sarpent schifôs da fùra da la tâna Vacino u s’ à dèt ch’ l’ è mèi che

[t’ mùra!

Coronavirus

Era latente dai tempi delle catacombe/ e ha dormito fino al duemilaventi /colpa di quei suonatori che han suona-to le trombe / svegliando un virus peg-giore d’ un serpente / ed è contento distare in mezzo alle tombe / di quelliche ha avvelenato questo delinquente/ non ha paura neanche se gli tiri dellebombe / e ha terrorizzato tutta lagente. // Coronavirus, figlio di unaputtana / te lo voglio dire che non mifai paura / la trappola che mi hai fatto,non mi inganna / perché vigliacco tisei nascosto? Esci fuori! / Serpenteschifoso esci dalla tana / il vaccino ciha detto, meglio che tu muoia!

Pirì e e’ virus

di Edmondo Soldati - Ravenna

U j è un virus maledet e a n puten piò stêr avðen, quest l’è quel che u s à det di dutur ad zarvël fen:– Mascheren e stëv luntânche u j è una pandemejae laviv piò spes al mânse a vlì ben a la fameja! –L’êtar dè andend in piazaa jo vest l’amigh Pirìe staðèndum a distânzau m à det tot instizì:– A t’l’arculdat la Marietach’a sen sté tri ën insen?La paseva in bicicletae a j ò det: dam un baðen,a ‘reb voja d’fê l’amorme a t voj incora benfaðen in môd d’truvê do ore pruvê d’ster incora insen. –Al set cus che la m à det?– Prôva ad fêt pasê e’ bulorche me adës a tir dretcom faðegna a fê l’amorse a aven da stês luntân?L’è mej d’druva cal do orpar purtêr a spas e’ cân! –A ste pont me a m so aviêche Pirì e’ bruntleva incorae stra d’me a jò pinsêse ste virus dla malorau n s dezid a fê al valiðe’ mi amigh e’ va þo d’tësta,mo staðend a quel che i diðe’ pê invezi che u j armësta.E alor sè che a ta so dì,

che se i n ciapa e’ virus d’pëtu i sarà un mont d’ Pirìda purtê int e’ bðdêl di mët!

(Mondo ad Tambur)

Pierino e il virus

C’è un virus maledetto / e non pos-siamo più stare vicino, / questo èquello che ci hanno detto / dei dotto-ri di cervello fino: / – Mascherine estate lontano / che c’è una pandemia/ e lavatevi spesso le mani / se voletebene alla famiglia! / L’altro giornoandando in piazza / ho visto l’amicoPierino / e standomi a distanza / miha detto tutto arrabbiato: / – Te laricordi la Marietta / che siamo statitre anni insieme? / Passava in biciclet-ta / e le ho detto dammi un bacino,/ avrei voglia di fare l’amore / io tivoglio ancora bene / facciamo inmodo di trovare due ore / e provaredi stare ancora insieme. / Lo sai cosami ha detto? / – Prova a farti passareil bollore / che io adesso tiro dritto /come facciamo a fare l’amore / sedobbiamo starci lontano? / È meglioche usi le due ore / per portare aspasso il cane! / A questo punto sonoandato via / che Pierino brontolavaancora / e tra di me ho pensato / chese questo virus della malora / non sidecide a fare le valigie / il mio amicova giù di testa, / ma stando a quelloche si dice / sembra invece cherimanga. / Allora sì che te lo so dire,/ che se non prendono il virus dipetto / ci saranno tanti Pierino / daportare in manicomio!

In questa pagina e nelle dueseguenti pubblichiamo tre testi

(alcuni risalenti alla tardaprimavera dello scorso anno)

che hanno come tema la pandemia.

Ci eravamo ripromessi, comeaugurio, di non pubblicarnepiù: purtroppo con il ritorno

del Corona virus e la nascitadelle sue varianti l’argomentoè tornato di stretta attualità

Curonavìrusdi Mario Martini

Pirì e e’ vìrusdi Edmondo Soldati

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la Ludla8 Febbraio 2021 - N. 2

A stè da santei Muschèra, in quatr equatr ot us artourna a la normalitàpiò ben che mai: tpù andè a e cine-ma, a magnè fóra, e lasa pù dei chetan vré miga stè cious in cà, ormaiun gnè piò gnent d’avei paoura, echèld l’a mazè e virus… E chèld? Acsciuchézi clè? Veda me, an mun var-goign miga, chi reida pù, mo me lamaschereina, sicour, a la port enca inte lèt! Parché? Parché no? Is é rac-mandé zent volti, “ i luoghi chiusi i èi piò piriculous!” Aloura la cambrada lèt è zona rossa! E basta che la tumoj l’epa un po' ad rusghéin, las zirada la tu pèrta, la tusés, e l’è fata, la vaa finei acsè, adès us ciapa in fameja,cun vo dei ci da par te, tan e nisoun,ci a post, no, ut piasareb, un è quel,uns po' mai dei, e capita sempraquaicadóun par cà, quel che vo saveicum stet... Cum a stag? A stag ben Faféin, a so eritràt dla salute!– Ci sicour?– A so sicour.– Mo tan ci un dutòur! – Sa vol dei, o da ciamè e dutour parsavei cum a stag? Va a badè i tu fasùl! Sempra a ciacarè, la zenta a Muncinla zeira acsè, im pè i cavèl dal giostri,ui è zertòun che ai vegh , i scapa d’incà sua propi cun l’idea ad alnéi in càmia, chi à una voia d’antrè, i è sma-nious, i deis “valà, andema aldei s’ uiè Gisto”, no an i so, a so partei priCaraibi, souna souna pù che me astag a què masè drida al tendi, an voiscorr cun te, chit ci? Chi è quél? Trin-chèt, ‘sa vol enca lò, ui menca tot idint, i germi cun lò i bala, l’à unaboca cla fa da portaerei de virus! – Sa zircàt? Me an so gnent adnisoun! Chei? La Valeria? Mo va là,sta bon Trinchèt, ci alnù fintènt aquè par scorr dla Valeria? E santem-ma, sa vut savei? No, lans spousa!Arrivederci! – E chi lo sa. – Al so me, a so e su ba. Arrivedercidi nuovo! – Chi lo può dire.– A te deg me, la ià bela zinquant’en!– Eh, ma i matrimoni in tarda età...Te Trinchet ci fora cuncòurs da unpèz, gnenca la Valeria l’at tó in consi-deraziòun, che lia la vó ste da par sé.Parché, parché? Muncin l’è e paeis di

parché, las sent piò libera, va bene?La vó andè a Roma, per dire, la tó eFrecciarossa e la va. Un gné bsogncla dmènda ma lò, un lò teorico, “sadeit, andem a Roma in te weekend?”,che magari lò e vó andè a Milano e itaca a ragnè, no, lia un è che po' imesč, enca da burdèla, “ut pis quèl?”No. E Fernando cut fa di oč a lamessa? No. E aloura i mesč no , moun è quel, enca al doni, queli maga-ri, ui è stèda la Katia pr’ un periodocal sera cnusudi a Bulogna, purèina,una brava ragaza, però lia, la Valeria,me al so, l’è ouna fata acsè, chequant in t’una cambra i è in dou,enca clèta la fos la piò bèla dona demound, i è za oun ad piò. Mo me ala capés, oun quan che e sta ben dapar sé, ad chi cl’à bsogn? Eh, ma intal zità grandi l’è csè dimpartót, oune mor e e su vicino ad cà, u l’artrovadop set ot dè, “ah ma ui era una granpoza”, ai creid, l’era mort da pu unasmèna! Te capéi Trinchèt, i stasèivain te stes pianerottolo e in sera maicnusù, sé buongiorno buonasera, moin è ad quei chit souna, “sa fét, utbsogna quaicosa? as bem un cafè?”no: me so me, te ci te, ognuno la suprivacy, sé ò det privacy che què aMuncin l’è una parola scnusuda,oun e vo ste da par sé, ui ciapa unmalòur e vo murei in pèsa, sèl, ui àda les tot e paeis da tond chit ciacrain tagli urèci? Te ci lè che tfè fadeigaa respirè, e intènt ui è dibàtit, eTunein “dai un bicìr ad aqua”, e laPireina “tiri fora la lengua”, “ciamemla crosa rossa” “no ciamem i pum-pìr”, se oun e vó murei làsal stè, làsalmurei, tanemodi ognoun e mor dapar sé. Ah ma i deis: ui è enca quei

chi mor tot insèm, le morti colletti-ve, la guèra, i nazésta chi i fasèivafora d’intir paèis. Un è vera gnent.Enca quei i e murt ad uno ad uno.Te, fasem par dei, te Trinchèt, itciapa i nazésta, it taca e mour insen adaglièti vent trenta parsòuni, dòni,véč, enca di burdél. Fucilé. Te, in temumènt chi t’amaza, cum a fét asavèi chi è murt enca chit? Magari ita vlù fè un scherz, i a det “ai fasemcrèid ma Trinchèt ch’a i amazém tot,acsè us fa curàg”, e invici it amazasoul ma te, chit i fa feinta, come in tiwestern, is bota zò, i fa al cavarioli, iragia “ahi, mi ha colpito!”, mo i è totd’acórd, te ci mórt cun l’idea ad lesmórt in compagnia, t’an vì l’oura adandè ad là par puté fè dal ciacri cunchi burdél “eh, ma i mà ciapè propiin te pèt”, “ma me i ma cnù sparè trivolti, ch’a s’era ancora tot arzél cumun sardòun”, e così via, invici, tai sisol tè, cumò, ui era mez paèis, epareiva la fira ad San Zvan? Mognent, ci mort da par te. L’è acsè clava Trinchèt, l’è acsè... dei e alouracom’è il sapore della libertà, eh?incua fora us sta bèin? l’è un chèldcun sa Dio? Sat lamìntat, chi ta detad scapè? Ah adès us po’, ò capéi moun è miga ubligatóri, tpù scapè, un èla leza che t’é da scapè a tot i cost.Veda me, sa soi sciòch? No. L’è ch’anmun fid gamba, un gné pressia,Muschera che scora pù! Pó tè santei?Met e braz: què dentra ui è un frèsch,in te bascómad avrò zdòt, vent gréd ae màsum, ai ò tota l’ombra ca voi, savoi fè una pasigèda a vag zó fintènt ebagn e pó a torn indria, veh c’ui è stèoun a ne so duvò cl’a cours la maro-tona in cà, sé, 42 km, tra cusèina,

L’eroe

di Francesco BartoliniDialetto di Cesena

Disegno di Giuliano Giuliani

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la Ludla 9Febbraio 2021 - N. 2

salòt, cambra da lèt! At fareb antrè,mo te Trinchèt ci trop spericulè, t’in-cuntar tropa zenta, t’é da met e bècha mòl d’impartót, podòp e virus cir-cola, e tal sé: us amèla oun, po’ unèlt, l’è una catena ad Sant’Antóni.Me invici a so giudiziòus, ho losguardo nel futuro: an stag in cà par-chè a i ò paoura, tsè, paoura ad che?Me al fag par vuìt, a so altruésta.Pensi un po’ Trinchèt: quan che vuìt,che adès av sei mulé in zeir cum alvachi, sarei cius in cà cun e virus,tachì ma la bombola dl’osigeno, cuma faréiv a scapè, a fè al robi, a magnè?Ai so me, l’onic cu s’è saivè. Av vag afè la speisa, av toi al maggeni, a ipens me. Zert c’um tocarà lavurè dée nota a fè e zeir ad tot al cà, che a lafine, ‘scolta la piò bèla: e cnirà alneiMattarella. Ah sé, lui in persona,Mattarella, cun la machinouna nira,tot e cudàz, i corazzieri, cumò duvò?A què a Muncìn, e scapa da la machi-na bèl bèl “Dei, chi el stè che bene-merito cittadino cl’à saivè tota labaraca?” A so me presidente, EgistoBagnolini, an voi dei l’eroe, però,insomma, al medaj, ades, us sent dei“eroe eroe”, un à fat gnent, oun cl’àtiret so una tugneina cla s’era butedadagli scogli, me aloura, quan ca sema Muncìn? Mél? A so ste stret, parchèui è è enca la Badia, quei chi sta dalcà novi, Muntnòv, a sarem bèladuméla parsòuni! Tot me, sora e migrupòun, a vò cnù mantnei, dé damagnè, pruvè la fevra, zirè cm’unmat, che sui fos giustizia, mo giusti-zia, sa deghi enca me, un gnè pió ilsenso della patria! Parchè una voltama quei chi combatèiva i faseiva lastatua, il busto, Mazzini, Garibaldi,che po' Mazzini savràl mai fat, e scu-reiva da dalong intent che chit iandèva a e mazèl, me aloura, ch’òcnù fè gnaquèl da par me, dove sta lagratitudine eh? Muncìn u ni sarébgnènca piò: sparéi, scanzlè dal carti-ni! I posteri i gireb: “Sel suzèst mache bèl paèis, Montiano?” “Pande-mia: murt tot dal primo a l’ultimo!”“Eh! Oh! ac sgrèzia!” Invici no, un èsuzèst parchè e chès l’avlù ch’ui sipastè quell’Egisto Bagnolini, sì, uncomune mortale, ma c’us è fat inquatar, l’à dunè e su temp, la su vitaper i suoi concittadini! E in cambio

sal rizevù? Gnent, gnènca un grèzia!Che adès an voi dei, mo in piazaoun e pasa, ui è un vóit, una tristeza,t’vè a Ziseina ui è e Funtanoun chefa la su figoura, a què us sent che emènca quaicosa... sel par meti unastètua, eh? ac spèisa saràl mai? Anvoi meiga e cavàl, quel no, e cavàl l’ètròp, dòp ui è sempra chi invidiouschi n è mai a pòst, t’avres da santeiMuschèra “eh Bagnolini us né apro-fitè, enca e caval l’à vlù”, no andmand gnent par me, è il gesto, l’ècmè dei “Ecco Bagnolini, noi diMontiano ti saremo riconoscentiper l’eternità”, e par me l’è sà, sutcum venga me in tla saca dla stètua,sé, magari quan ca pas da lè, a elz ioč, l’è un urgoj... se la Valeria l’avésavù di fiùl, “Chi è quello, nonno?”“A so me” “Ci te, da boun? Mo par-chè it à fat sora un caval?” Mo gnent,

lasa stè ste e cavàl, ma in tla saca,diciamolo, zà se e fos...mo no, achèmp d’istess, un mun bsognagnent, ò la mi pinsiunzeina sgrazida,però te vest adès? e pè la lotteria Ita-lia, e sizént euro qua, e susidio là, toti bosa baióc, e basta dmandè, rugìun bisinein, me csèl, par quel c’ò fat,ha un valore economico? No, moquaicusteina, par parigè i count -c’an sarema mai a pèra - ma e sarebun mod par putè zirè a testa èlta, parputé dei “a stag in t’un paeis seri,altroché! Quan cl’è oura l’ Italia lans fa reid drìa, las arcorda di su eroi”!Sa sarébal pr’ e Stato? Una rubettada gnent, una goccia nel mare: tamli infeil int una bósta, e acsè, zitti, anvoj tènta pubblicità. Zò, pr’ unmiliòun! In è gnenca baióc... A cam-parésum mej tot e an fareb scuntèntnisòun!

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la Ludla10 Febbraio 2021 - N. 2

Il Carnevale – si sa –precede la Quare-sima, il periodo di quaranta giorni cheintroduce alla Pasqua, la festività piùimportante del calendario cristiano. La Pasqua è una festa mobile legataalle lunazioni: cade la domenica suc-cessiva alla prima luna piena chesegue l’equinozio di primavera. Inpratica in una data fra il 22 marzo eil 25 aprile.Êlt e bas e vên la Pasqua (Nardi)‘Alta e bassa viene la Pasqua’: si dicebassa quando cade nella prima partedel periodo, alta quando cade versola fine.Questa oscillazione di oltre un meseregola la lunghezza del Carnevale cheinizia, secondo la tradizione popolareil giorno di Santo Stefano.Dòp Nadêl, tót i dé l’è Carnvêl. (Ercolani)‘Dopo Natale, tutti i giorni è Carne-vale’ e Par la Pasquèta, Carnvêl e’ sba-chèta (Ercolani), cioè quando giungel’Epifania (la Pasquèta) è già in pienomovimento (sbachèta ‘si agita’).E’ Carnuvêl (dal latino carnem levare‘togliere la carne’) termina con lastmâna lova, la settimana grassa, quel-la che si chiude con il martedì cheprecede il mercoledì delle Ceneri,primo giorno di Quaresima. I giorni più rappresentativi sono lazôbia, e’ sàbat, la dmenga e e’ mert lov.In dialetto lov significa propriamente‘goloso’ e non è altro che il nome del‘lupo’ usato come aggettivo: lo slitta-mento di significato si spiega con laproverbiale ingordigia dell’animale. La domenica prima della dmenga lova,cioè la penultima di carnevale, è ladmenga galinera, così chiamata perchéin quel giorno si era soliti mangiare

la gallina più vecchia del pollaio. Eguai a non farlo: si rischiava di trovar-la morta il giorno dopo e magari conl’aggiunta di tutte le altre galline.Diceva infatti il proverbio: La galena de’ Cranvêl / se la n’s magna,la va da mêl (De Nardis).‘La gallina di Carnevale / se non simangia va a male’. L’usanza avevasenza dubbio anche un significatorituale di rinnovamento in un perio-do che segnava il passaggio dall’inver-no alla buona stagione. Alla mezzanotte de’ mert lov:E’ sona la lova. (Quondamatteo)Era così chiamata la campana dellachiesa che avvertiva come il Carneva-le fosse finito e cominciasse il perio-do di penitenza quaresimale, con asti-nenza dalla carne e digiuno.A Carnevale ci si dedicava alle feste,ai giochi e soprattutto ai balli neiquali c’era l’opportunità per le ragaz-ze di trovare marito.Quând l’è vnu e’ carnaveltot la zent a treb i vol andê;i vo andê in qua e in làche us zuga in tot al ca; (Foschi)tra zughê’ e fê’ l’amôru s fa sera tót d’un vôl. (Ercolani)‘Quando è arrivato il Carnevale /tutta la gente a trebbo vuole andare;/ vogliono andare da una parte e dal-l’altra / dato che si gioca in tutte lecase; / fra giocare e amoreggiare / sifa sera tutto in un volo.’Le feste da ballo coinvolgevano tutti:Chi n’ bala a Carnevelo ch’e’ mor o che stà mel. (Tonelli)‘Chi non balla a Carnevale / omuore o sta male.’C’era chi avrebbe voluto che la festa

durasse tutto l’anno o almeno vi fos-sero tre carnevali, ma:L’ân di tri carnavel e ven dop che a sen splìe l’è ch’ l’ân che u si marida i prit;l’ân di tri carnavel u n’è mai stè,mo gnânch i prit i s’è mai maridè.(Foschi)‘L’anno dei tre carnevali arriva dopoche siamo sepolti / ed è l’anno in cuisi sposano i preti; / l’anno dei tre car-nevali non c’è mai stato, / ma nem-meno i preti si sono mai maritati.’A folleggiare erano naturalmente lepersone più abbienti, perché per ipoveri era sempre quaresima:D’ carnuvél us chnoss chi ch hà di qua-tren (Morri).‘A carnevale si riconosce chi ha deisoldi’.Ma chi esagerava nei festeggiamentipoteva finire con il pentirsene:Finì e carnivél finì i chentfinì i mi cvatren ca n’éva tent. (Miniati)‘Finito il carnevale, finiti i canti /finiti i miei quattrini che ne avevotanti.’E chi aveva folleggiato veniva derisodai più accorti e parsimoniosi:Finìt e’ carnuvêl, finìt e’ sônqui ch’ s’è balê i quatrên i è sté quaiôn.(Nardi)‘Finito il carnevale, finita la musica /quelli che si sono ballati i quattrinisono stati minchioni.’Un’ultima nota legata ai pronosticidel tempo:Carnevel sal schèrpi stil / pòc féin intor-na e’ mdil (Quondamatteo)‘Carnevale con le scarpe sottili (cioèleggere per via del tempo buono) /poco fieno intorno allo stollo (il palodel pagliaio)’.

Il Carnevale

nei proverbi romagnoli

di Bas-ciân

Un piccolo saggio di proverbiromagnoli legati al periodo del

Carnevale.Il loro testo, in corsivo, è

seguito fra parentesi dal nomedell’autore della raccolta.Per quanto possibile si è

conservata la grafia originale.

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la Ludla 11Febbraio 2021 - N. 2

Come accade spesso per le specie dierbe più comuni, il tarassaco è cono-sciuto con una grande varietà dinomi. Limitandoci solo a poche areelinguistiche, possiamo citare comepiù noti per l’Italia: dente di leone,pisciacane, piscialetto, soffione, taras-saco; per la Toscana: capo di frate,capo di monaco, cicoria selvatica,dente di cane, grugno di porco,ingrassaporci, radicchiella, stella gial-la, volarina. Nella sola Romagnaviene chiamato: castracân, indvinël,pèsa.a.let, pèsa.cân, radecc da purz,sufiôn, almeno per quanto di miaconoscenza.Il nome scelto dai botanici peridentificare il genere di questa spe-cie (in realtà per la tassonomiamoderna si tratterebbe di un grup-po di specie… ma è materia da spe-cialisti) è Taraxacum, che sarebbeuna versione del latino medioevaledel nome arabo ṭarahšaqūn, cioè‘cicoria selvatica’, forse dal persia-no (!); ma in realtà si tratta di unadelle erbe più comuni, conosciuteed usate sia in campo alimentareche in campo medico fin dalmedioevo. Non risultano infatti usinoti del tarassaco nell’antichitàoccidentale, mentre fin dal X seco-lo i medici arabi lo prescrivevanocome depuratore del sangue, speciedurante i cambi di stagione edattribuivano al suo lattice biancoproprietà vulnerarie, cioè capaci di

curare rapidamente le ferite. La scien-za moderna lo riconosce come unadelle più importanti erbe epato-pro-tettive, favorendo l’eliminazionedelle scorie dell’organismo, stimolan-do la funzionalità epatica, biliare erenale ed attivando gli organi emun-tori (fegato, reni, pelle) adibiti allatrasformazione delle tossine ed allaloro espulsione dal corpo sotto formadi feci, urine e sudore. In particolare,il tarassaco contiene un principioamaro, la taraxina, stimolante biliaree decongestionante del fegato, chepresenta sensibili effetti purganti ediuretici, stimolando inoltre la secre-zione del succo gastrico, con effettodimagrante. Altri costituenti chimicipresenti nella pianta sono lattonisesquiterpenici, acido ascorbico, saliminerali e, soprattutto nei rizomi, fla-vonoidi, inulina, carotenoidi, cuma-rine, triterpeni, glicosidi ed altroancora. Il suo riconosciuto effettodiuretico si può leggere in alcuni deinomi più usati per indicare la pianta,quando alludono ad una minzioneaumentata di frequenza nel tempo,come in pèsa.a.cân, o addiritturafuori controllo nel luogo: pèsa.a.let...Nella tassonomia botanica gli è statoaffibbiato il binomio linneano Tara-

xacum officinale, dove l’attributo spe-cifico fa un esplicito riferimento allesuccitate proprietà farmacologiche:officina in latino medioevale indica illaboratorio farmaceutico. Appartienealla famiglia delle Asteracee (primanote come Composite), presentaforma biologica emicriptofita rosula-ta (foglie e scapi fiorali disposti inrosette basali) e tipo corologico cir-cumboreale, cosmopolita (… l’è indapartot...). Le sue foglie semplici, lan-ceolate, oblunghe, lobate a marginifrastagliati, presentano lobi triangola-ri di forma simile ai denti del leone,che hanno dato origine appunto alnome comune italiano ‘dente dileone’, che si ritrova nell’inglese dan-delion (con evidente trasposizione dalfrancese...). I fiori sono portati dauno scapo fiorale cavo, in capolinicon molti petali giallo dorati (vedi ilnome toscano di ‘stella gialla’), e pro-ducono degli acheni con pappo seto-loso, una sorta di sfera piumosa dacui soffiando i semi si disperdono inaria (disseminazione anemocora),giustificando il nome italiano di ‘sof-fione’, romagnolo sufion e toscano‘volarina’. La grossa radice, fittonantee carnosa, può essere raccolta, tra giu-gno e settembre, essiccata, tritata ed

arrostita per produrre un surroga-to del caffè. Per gli usi alimentarile foglie vanno raccolte da ottobread aprile, quando sono giovani etenere e si prestano a varie prepra-zioni, dalla più semplice ed ele-mentare insalê di puret, crude, dasole o con altre comuni erbe dicampo da insalata “povera’’. Masono note ed apprezzate diversealtre preparazioni culinarie: inprimi piatti a base di pasta, sottoforma di salse o come ripieno perpasta fresca; per secondi di verdu-re (foglie cotte, condite con un po’di limone e filo d’olio extra vergi-ne), oppure per sfiziose frittate.Non mancano neanche originaliutilizzi per dessert, con crespelledolci e biscotti al miele e gelatinadi fiori di tarassaco, graditissimi aipiù piccoli. Che non avrebberomai rinunciato al gioco di soffiaresui … soffioni, esprimendo undesiderio, gioco beneaugurantedegli innamorati romantici.

Rubrica a cura di Giorgio Lazzari

Erb

da magnê,

erb

da midÝena

Il tarassaco

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la Ludla12 Febbraio 2021 - N. 2

L’eidol tu int e mi cor l’ha dmurènzaDa ch’int i tu loum l’amna la s’è spersa:La fònda nòta pr al bèlzi la s sversaE mè da e tu pansìr a chèrp sperènza. 4

Cm’è e vent che fra ‘l rèmi d’un’aròuraAl fòji e sferza sò finènt al stèli,Axè e Temp u s sgrafagna agl’òuri bèliE mè a stros la veita sòul pr avdoet ‘ncòura. 8

O s’tènta rumeita la n fos la nòta,Pina ‘d arcùrd e ‘d lèrvi spavantòusi,S’e Temp ch’ l’è stè a n sarḯa sempr’in lòta. 11

‘Nt i gourg de fioum u m pè ‘d santei dal vòusi,Fra ‘l vèti ‘ndu ch’e Veran e sburbòta.At pens e al tòurna ‘l stèli luminòusi. 14

La tua immagine vive nel mio cuore

La tua immagine vive nel mio cuore / Dal momento in cui la mia anima si è persanei tuoi occhi: / La notte profonda si riversa per le colline / Ed io dal tuo pensierotraggo speranza. // Come il vento che fra le foglie di una quercia / Sferza via lefoglie sino alle stelle, / Così il Tempo ci strappa i momenti lieti / Ed io sciupo lavita solo per vederti di nuovo. // O se la notte non fosse tanto desolata, / Piena diricordi e di terribili spettri, / Non sarei sempre in lotta col Passato. // Nei gorghidel fiume mi sembra di udire delle voci, / Fra le cime dove l’Inverno borbotta. / Tipenso e tornano luminose le stelle.

L’eidol tu int e mi cor

l’ha dmurènza

di Luca Onofri

Il sonetto qui a fianco, di schemaABBA CDDC EFE FEF, nasce comegioco letterario, ricalcando letematiche della poesia italiana delXIII secolo. Lo scopo del componimento èquello di utilizzare il romagnolocome lingua aulica, capace ditrattare tematiche elevate edastratte. La difficoltà di tale processo è lamancanza di un lessico adeguatonel romagnolo storicamenteattestato (totale assenza di terminio presenza di parole difficilmenteaccettabili in contesto elevato),fatto a cui si è ovviato creandoneologismi. Fra di essi si sono evitati gliitalianismi, preferendo latinismi,un grecismo (che si connette allastoria bizantina della Romagna) eun provenzalismo (legatodirettamente alla poeticaduecentesca). La varietà di romagnolo impiegatoè quella della Valle del Rubicone.La presenza dei gruppi di grafemi -ou- e -oe- non indica effettivamentedue fonemi, ma una sola vocaleturbata. Il gruppo -ei- è sempreconsiderato soggetto a sinizesi.

Note

v. 1. eidol ‹ gr. εἴδωλον, immagine,apparenza; dmurènza ‹ dimoranza(provenzalismo attestato già nelXIII sec. nella canzone Gravosadimoranza, attribuita a GuglielmoBeroardi dal ms. Laur. Red. 9). La forma romagnola presenta lacontrazione della sillaba atona.v. 2. da ch’: dal momento in cui, cfr. Dante, Rime XCI 79; loum,letteralmente “lumi”, nel senso di“occhi”, secondo il lessico dellapoesia duecentesca.v. 3. chérp ‹ lat. carpo, cogliere,prendere.v. 10. lèrvi ‹ lat. larva, spettro.v. 13. Veran ‹ verno, forma afereticadi inverno, attestata ad es. in Dante,CV IV II 7.

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13la Ludla Febbraio 2021 - N. 2

Il gioco delle coppie

Le seguenti parole in dialetto,scritte alla rinfusa, possono essere“accoppiate” fra di loro all’internodi ciascun gruppo. Sottolineale con lo stesso colore, osègnale con un simbolo uguale,oppure riscrivile l’una accantoall’altra.

Primo gruppo

moj, surëla, nona, mâma, marid, risturant, fradël, fiôl, murós, anvoda, murósa, dutor,infarmira, mestra,

profesor, sculêr, student,dintèstar, dent, scôla, farmazì, bidëla, farmazëstar, camarir.

Secondo gruppo

lët, furnël, linzôl, pôrta, tigiâm, finëstra,bichir, furzena, camisa,cuciêra, bôcia, canutira,tvaja, sugamân, savon, scarpon, tvajul, calzetoni, lat, armêri, scudëla, cumò,cuciaren, scudlina.

Rosalba Benedetti

Mi è appena giunta La Ludla di Gen-naio e, come ho sempre fatto, sonocorso alla pagina undici a leggere larubrica “Parole in Controluce” che

il prof. Meleti ha tenuto fin dal2007, con la sua eccezionale cono-scenza delle origini del nostro lin-guaggio. Della Sua rubrica ho catalo-gato i termini, ai quali ricorro perricerche o curiosità.Ho sempre pensato che prima o poiavrei avuto occasione di incontrare ilprof. Addis Sante Meleti, magari peruno scambio di battute nel suo dia-letto, che io conosco bene. Non misarei certo sentito all'altezza di inter-loquire con la Sua vastissima cultura.

La Sua scomparsa mi colse improv-visa e inaspettata, ma sia per man-canza di una conoscenza diretta, siaper la continuità con la quale ne leg-gevo gli scritti, ne avvertivo la pre-senza.La rubrica Gli è sopravvissuta per unanno e mezzo, tanto era in anticiposulle uscite de La Ludla.Ora non c'è più ed il pensiero miemoziona.Ci mancherà definitivamente.

Mario Maiolani - Forlì

Pri piò

znen

I fradel ad Ðgun i s’era fat un caretpar i su lavur e cun la sumara i faðe-va di viëþ nench par chjétar parchè aÐgun i n’era tot mët, u j era nench dinurmél. La sumara parò l’aveva unbrot vezi: la s’impunteva e la n smuveva gnânch cun al böt, tânt cheuna vôlta par fêla môvar j atachè unacôrda a e’ cöl e i la tirep cun al vach.

Par sölit la s’impunteva, chisà parché,davânti a l’ustarì. Un dè la s’impuntèe gnânch cun al bastunê i era bon adfêla partì. U j era on inðdé a þughêr a chêrtdavânti a l’ustarì, che e’dgè: “Se a n j degh doparulin me, quela la n smôv piò”. I su amigh i smitè a rìdar e lò e’ des:“Scumitema?”. E i scumi-tet un lìtar. Alora u s’al-zep, u s’acustep a l’ureciadla sumara e questa lapartè ad carira scrulendla tësta. I fradel a bocaaverta i era ðbadþé. Tot a

dmandês quel ch’u j aves det. L’avevaðvuitê e’ furnël dla pepa che e’ staðe-va fumend, int l’urecia dla sumara.I matti di Seguno

La sumaradi Ruffillo Budellacci

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la Ludla14 Febbraio 2021 - N. 2

Libri ricevuti

Wilhelm Meyer LübkeRomanisches EtymologischesWörterbuch.Heidelberg, Carl Winter,1911. Pp. XXII, 1092.

Matteo Liverani & LucaTelmonFata roba, ció! 100 romagnanwords and phrases that you can’tforget!Faenza, Tempo al Libro,2020. Pp. [116].

1969-2019Cinquant’anni di Pro LocoDecimana.Cesena, Società Editrice IlPonte Vecchio, 2020. Pp. 208.

Theo Pezzi.In sette giorni fu fatto il mondo.Ëc e’ parchè u j’è la Rumâgna.Poesie e racconti in rima.Ravenna, Scaletta, 2020. Pp. XXIV - 353.

Hedda ForlivesiLa Veriëla. Una Strada conl’anima.Ravenna, 2019. Pp. 160

Premio letterario Sauro Spadaper racconti in lingua romagnola.Concorso 2019.Cesena, Editrice Stilgraf,2019. Pp. 172.

In questa rubrica non vengono segnalatesolamente alcune delle novità editorialiriguardanti il dialetto o la cultura popola-re romagnola, ma anche quei testi - spessoesauriti o di difficile reperimento - che cigiungono in dono dai nostri soci e che, alpari delle novità, entrano a far parte dellanostra biblioteca, dove possono essere con-sultati negli orari di apertura della sede.

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la Ludla 15Febbraio 2021 - N. 2

Quel ch’u i vô6 èto d’agnël tajê a spezatino2 fnoc tondMëþ èto ad panzeta tridêdaMëþa zola1 spìgul d’ajUn pungnlin ad pidarsul tridéSêl e pévar

Cuma ch’u s faScutì la chêrna cun la panzeta e un biðinin d’ôli o butìe a pêrt faðì buli i fnoc, tajé in quàtar, in aqua salêdae sculìi a mitê cudtura. Faðì sufrèþar la zola tajeda fenafena insen cun l’aj e butì in dèntar l’agnël e i fnoc, sêle pévar cun ona o do ramarulê ad brôd e lasì bulì abasa fiâma par zirca mëþ’ora. I pidarsul tridé prema adpurtê in têvla e’ stufê.

Stufê d’agnël cun i fnoc

Al rizët dla sgnora Maria

Tórta d’arcöta e spinëzQuel ch’u i vô1 chilo ad spinëzMëþ ëto d’arcöta4 ôv3 bëli cuciarê ad forma1 spìgul d’ajSêl e nóð muschêda

Cuma ch’u s faFaðì ciapê dl’amor a i spinëz cun l’aj intir (che dop abutarì vi) int una padëla a fugh bas. Una vôlta cot eintivdì, sculì l’aqua strinþendi cun al mân e pu impa-stìi ben ben cun l’arcöta, agl’ôv, al tre cuciarê adforma, un piþgöt ad sêl e una gratadina ad nóð muschê-da. Unþì cun e’ butì e pân gratê una tegia adata (os’avlì dal ciotulin), ðvarsì l’impast e infurnì int e’ fóranben chêld par zirca 20/30 minut.

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la Ludla16

«la Ludla», periodico dell’Istituto Friedrich Schürr APS • Editore «Il Ponte Vecchio», Cesena • Stampa: «il Papiro», CesenaDirettore responsabile: Ivan Miani • Direttore editoriale: Gilberto Casadio

Redazione: Paolo Borghi, Roberto Gentilini, Alberto Giovannini, Giuliano Giuliani • Segretaria di redazione: Veronica Focaccia Errani

La responsabilità delle affermazioni contenute negli articoli firmati va ascritta ai singoli collaboratori

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Appurato che il dialetto è in grado di gestire ben altro cheil consueto dialogo quotidiano, la questione è che ogniautore determinato a usarlo, si scova così in faccia a unostrumento potenzialmente in grado di affrontare qualsia-si tema, anche nell’evenienza in cui si abbia poco o nullada dire al riguardo. Non è dovuto al caso, pertanto, l’insieme impulsivo eirruente di coloro che non si tirano mai indietro davantia nessuna opportunità, pur di convertire in versi il tuttoo il nulla che a tratti scivola loro per la testa, ma questonon è certo il comportamento di Laura Turci in cui il rite-gno nello scrivere evolve in una riflessività, dai ruoli edalle mire che non necessitano di alcuna restrizione.Un individuale concetto dell’esistenza e di come si pro-spettano a grandi linee tutte le cose del mondo, candidadunque l’autrice sia all’autoanalisi, sia a una consapevoleindagine di quanto le sta intorno.In tal modo il suo estro dà vita a una poesia prettamentelirica, dalle pagine improntate all’assenza di parole inutilio fuori luogo e proprio questo concorre ad agevolarla inun’introspezione compiuta senza pregiudizi, e senza pre-cludere altresì una disamina sintetica ma espressiva del-l’esistere altrui, in un compendio emotivo cui, puntuale,la poesia funge da espositrice e depositaria al contempo.In mani come le sue che, affrancando la nostra parlata

dal convenzionale abuso della rievocazione, intendono eriescono a servirsi del dialetto come lingua viva e nonsolo come divulgatrice e interprete del passato e dell’ac-clusa memoria, ancora una volta la lingua romagnola sipalesa quale intermediario scevro da ipocrisie e quantomai efficace per esprimere, nella sostanza e con paroleconcrete, ciò che fino a ieri era ritenuto estraneo alle suepotenzialità.Le dodici poesie di “Un an” risultano quindi immuni dapotenziali e inflazionati appelli al ricordo, giacché gli ele-menti chiave che fungono da incentivo alla stesura deitesti, provengono da un’area temporale incompatibile conla reminiscenza e legata bensì a un oggi, al quale la sillogeopera innovativamente da portavoce. Concepite con razionalità e per gradi, le pagine del librotratteggiano un insieme espressivo di concetti e valori chenon tramontano, un amalgama irrinunciabile di sensazio-ni maturate a rilento negli anni, pertinenti all’amore ealla successiva e concatenata ricerca di quanto lo attorniae gli fa da complemento.Sotto la spinta di versi che inducono alla meditazione,assistiamo a un avvicendarsi di contenuti e di considera-zioni che fanno largo appello all’impegno del lettore, spro-nandolo a definire e far proprio l’intrigante e complessopensiero dell’autrice.Laura Turci, una voce spontaneamente in disparte, eincline dunque a una ritrosia che l’induce a tenersi allalarga da uno scrivere precipitoso ed epidermico, propo-nendosi con qualcosa di nuovo solo una volta giunto ilmomento opportuno.

Paolo Borghi

Giugno La porta si è aperta. \ Le ciliegie danno \ il sangue all’estate,\ le cicale la voce.\ I ragazzi, ieri pulcini,\ si baciano sel-vatici \ dietro ai muri infuocati.\ Si dicono parole vere \ come doni sull’altare.\ Sanno che l’anima del fuoco \ è nella fiamma, \non nella durata.\ E nello slargo di un bacio, \ senza risparmio né perdita \ è tutta luce da luce. \ La porta si è aperta.

Febbraio 2021 - N. 2

Laura Turci

Un an

Þogn

La pôrta la s’è vérta.Al zriði al dàe’ sang a l’istêda,al þghèli la vóða.I burdel, ir piðinin,i s beða saibédghda spes i mur infughì.

I s’ dið dal parôli véricumpagna di righél sora l’altêr.I sa che l’anma de’ fughla j è int la fiambano int la risida.E int e’ ðlêrgh d’un béðsânza sparagn nè pérsital’è tota luð da luð.La pôrta la s’è ’vérta.