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A Predappio il passaggio di testimone: dai nostalgici di mussolini ai giovani di forza nuova con il placet delle autorità locali / Gli Arditi del Popolo di Elvio Cicognani / Livio è taramot di Glauco Gardini / La storia di "Lum e Lanterna" di Rosalba Navarra / Ciao Italo di Mirko Masotti / Dove il duce governa senza paese... di Elvio Cicognani / Addio Partigiano Paolo di Elvio Cicognani
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1
Cronache Maggio/Giugno 2012, n°3
MAGGIO 1945
REIMS, 7 MAGGIO 1945, ORE 2,41 RESA INCONDIZIONATA DELLA GERMANIA
FINE DELLA GUERRA IN EUROPA
Il Generale Alfred Jodl fi rma la resa tedesca al quartier generale di Eisenhower
2
SOMMARIO:
-PASSAGGIO DI TESTIMONE
A PREDAPPIO pag 2
-GLI ARDITI DEL POPOLO
pag 4
-LIVIO E’ TARAMOT
pag 7
-LA STORIA DI LUM E
LANTERNA pag 9
-CIAO ITALO!
pag 10
-DOVE IL DUCE GOVERNA
pag 11
-ADDIO PARTIGIANO PAOLO
pag 12
A PREDAPPIO IL PASSAGGIO DI
TESTIMONE:
DAI NOSTALGICI DI MUSSOLINI AI
GIOVANI DI FORZA NUOVA CON IL
PLACET DELLE AUTORITA’ LOCALI
Il Comitato Provinciale dell’ANPI
di Forlì-Cesena, nella sua seduta
del 10 marzo scorso, ha affronta-
to il tema del revisionismo storico
e della nascita di formazioni neo-
fasciste. Si tratta di un tema non
solo italiano ma che in Italia assu-
me contorni particolari, in ragione
di una mai compiuta condivisione
della lettura della storia e delle re-
sponsabilità politiche, nel tragico
percorso che portò alla distruzione
fi sica, politica e morale dell’Italia.
Oggi, dopo tanti anni e nel pieno
di una crisi la cui gravità non è
molto lontana da quella che diede
origine al fascismo, assistiamo ad
iniziative letterarie, a proposte di
legge e ad operazioni umanitarie
che si propongono di cancellare
le responsabilità e di mettere sul-
lo stesso piano vittime e carnefi ci.
Nello stesso tempo nascono e si
presentano sulla scena politica
gruppi e movimenti, come Forza
Nuova e Casa Pound, che stru-
mentalizzano il disagio sociale e
l’incertezza alimentando la paura
e l’odio per il diverso da noi, con
effetti dirompenti sulla convivenza
civile e pacifi ca delle popolazioni.
Questa tendenza, presente in va-
rie parti d’Italia, assume nella no-
stra Provincia una connotazione
particolare in virtù del fatto che
essa è il luogo di nascita e di se-
poltura di Benito Mussolini, per cui
essa è luogo di raduni e cerimonie
che, esorbitando dalla visita ad un
luogo di culto, si trasformano in
comizi apologetici delle virtù del-
lo statista e del movimento di cui
è stato protagonista assoluto: il
fascismo. Tale pratica, che a noi
sembra contrastare apertamente
con le leggi della Repubblica e con
la sua Costituzione, si ripete tutti
gli anni nel silenzio totale delle
Istituzioni e delle forze politiche
democratiche, diventando anzi
l’occasione per dare spazio ad at-
tività commerciali che, attraverso
la vendita di gadget, divulgano le
immagini e i simboli del fascismo
e di quel partito fascista che la Co-
stituzione ha defi nitivamente can-
cellato.
Quest’anno, tra il 28 aprile ed il
1° maggio, a Predappio, abbiamo
assistito quasi ad un passaggio di
consegne tra i nostalgici ( pochi )
che sono venuti a ricordare Mus-
solini e i membri di Forza Nuova
che hanno pensato bene di utiliz-
zare provocatoriamente il 1° mag-
gio per organizzare una manife-
stazione di carattere romagnolo
per lanciare le loro parole d’ordine
razziste e xenofobe.
L’ANPI di Forlì-Cesena, anche in
nome dei Comitati provinciali di Ri-
mini e di Ravenna, esprime tutta la
propria contrarietà per il fatto che,
nel giorno della Festa dei lavora-
tori, il 1° maggio, le autorità locali
abbiano ritenuto di poter autoriz-
zare una manifestazione organiz-
zata da un’associazione che, in
tutta Italia, si propone con il richia-
mo alle ideologie che si ponevano
l’obiettivo di distruggere con la vio-
lenza il movimento dei lavoratori,
le sue organizzazioni, le sue sedi.
A ciò si aggiunge il rammarico che
un’iniziativa del genere si sia rea-
lizzata in un Comune dalle gran-
di tradizioni antifasciste e guidato
da un’Amministrazione che, per la
sua natura politica, dovrebbe es-
sere vicino ai valori della Resisten-
za e della Costituzione.
Conosciamo già l’obiezione che si
farà alla nostra presa di posizione.
Si dirà che gli strumenti giuridici
per ostacolare tali iniziative sono
troppo deboli. Questo è vero ma
3
non è suffi ciente per giustifi care il
comportamento che si sta tenen-
do poiché ci sono cose che appar-
tengono al comune sentire di una
comunità che ha un’anima ed una
storia antifascista cui non possia-
mo venire meno. E vogliamo an-
che dire che non stiamo parlando
dei fantasmi del passato ma dei
gravi rischi che, in Italia e in Euro-
pa, si tenti di uscire dalla gravissi-
ma crisi in corso con soluzioni po-
puliste, negatrici dei diritti e delle
libertà conquistate con il sacrifi cio
di milioni di morti. Non possiamo
e non dobbiamo farci ingannare
dall’apparente correttezza forma-
le di organizzazioni che, in realtà,
operano per obiettivi che contra-
stano con la Costituzione, che par-
lano di selezione, di uso della vio-
lenza ( non certo per l’autodifesa )
contro di tutto ciò che è diverso dal
modello di società che loro hanno
in mente, che agitano l’antipolitica
per demolire la democrazia, che
non hanno mai preso le distanze
dell’esperienza del fascismo. Non
ci può essere dunque incertezza
o indifferenza. Lo diciamo con ri-
spetto e con fermezza alle Istitu-
zioni ed ai Partiti. E lo diciamo pro-
prio nel momento in cui si stanno
sviluppando diverse iniziative
volte a rilanciare l’immagine del-
le nostre città anche attraverso la
valorizzazione di aspetti culturali
che sono connessi al periodo del
regime fascista. Non ci sconvol-
ge l’idea che le nostre Istituzioni
svolgano iniziative fi nalizzate ad
approfondire la conoscenza ed il
senso degli avvenimenti del perio-
do fascista, del modo in cui esso
ha infl uenzato la cultura e la storia
del ‘900. Anzi, diciamo che siamo
interessati anche noi e che desi-
dereremmo essere coinvolti per
dare il nostro contributo all’appro-
fondimento storico. Ciò che non
possiamo accettare sono le inizia-
tive che tendono a banalizzare, a
spettacolarizzare per fi ni turistici
e di cassetta, fatti e personag-
gi che hanno causato grandi lutti
e rovine inenarrabili per le popo-
lazioni e per la dignità stessa del
Paese. Non vorremmo che qual-
cuno pensasse che qui si siano
create le condizioni per inserirsi
con iniziative strumentali come
quelle proposte in questi giorni a
Predappio. Non dimentichiamo
mai e ricordiamo sempre di esse-
re una Provincia decorata con la
medaglia d’oro al valor civile per il
contributo dato dalla popolazione
alla lotta di Liberazione e di quan-
to tale vicenda abbia segnato la
cultura politica e l’evoluzione civile
delle nostre comunità. Questo è il
nostro più grande patrimonio, una
risorsa che possiamo investire in
un nuovo e più avanzato progetto
di sviluppo e di crescita civile. Non
possiamo permettere che esso sia
offuscato ed offeso da iniziative e
da associazioni rivolte all’odio ed
alla divisione piuttosto che alla co-
esione sociale, alla violenza piut-
tosto che al confronto civile, all’e-
goismo sociale piuttosto che alla
solidarietà alla negazione dei diritti
piuttosto che alla libertà.
Fascisti di ieri...
...e fascisti di oggi a
Predappio
4
GLI ARDITI DEL POPOLOA CURA DI ELVIO CICOGNANI
Gli “Arditi del Popolo” furono un'organizzazione antifascista nata nell'estate del 1921 da una scissione della
Sezione romana degli “Arditi d'Italia” per iniziativa di un gruppo di iscritti guidati dal simpatizzante anarchico
Argo Secondari ed appoggiati da Mario Carli: l'obiettivo della scissione fu quello di opporsi alla violenza delle
Camicie Nere. Il Movimento si opponeva alle spedizioni punitive fasciste e creò vere e proprie milizie per
la protezione dei quartieri e dei centri cittadini, oggetto di attacchi armati delle “squadracce” fasciste. Erano
formati da componenti anarchiche, comuniste e da Formazioni di Difesa Proletaria.
Nella realtà è sempre Golia a vincere. Ma non per questo Davide
smetterà di guardarsi intorno, cercando una nuova pietra da lanciare.
Pino Cacucci: “ Ribelli! “
Gli Arditi del Popolo nascono il
22 giugno 1921 presso l'Orto Bo-
tanico di Roma, da una scissione
della Sezione romana degli Arditi
d'Italia: loro fondatore è Arrigo
Secondari, di tendenze anarchi-
che, pluridecorato Tenente delle
Fiamme Nere, Arditi che proveni-
vano dalla Fanteria.
Gli Arditi del Popolo si propongo-
no di opporsi manu militari alla
violenza delle squadre fasciste.
Estenuate da mesi di spedizioni
punitive, le masse popolari col-
pite dallo squadrismo accolgono
la loro nascita con entusiasmo.
Stanche dei crimini fascisti esse
vedono concretizzarsi nelle nuova
organizzazione quella volontà di ri-
scossa che trae origine dal puro e
semplice istinto di sopravvivenza.
Arrigo Secondari chiarisce fi n da
subito le intenzioni del Movimento
in un articolo sul giornale “Il Pae-
se” del 27 giugno 1921: - Fino a
quando i fascisti continueranno
a bruciare le Case del Popolo,
case sacre ai lavoratori, fi no a
quando i fascisti assassineran-
no i fratelli operai, fi no a quando
continueranno la guerra fratrici-
da, gli “Arditi del Popolo” non
potranno con loro aver nulla di
comune. Un solco profondo di
sangue e di macerie fumanti di-
vide fascisti e Arditi -.
In seguito viene redatto un manife-
sto programmatico che è un appello
agli “Arditi e lavoratori e proletari
oppressi”, sul quale si legge tra l'al-
tro: “Come fummo Arditi in batta-
glia, con l'istinto insofferente
radicato nell’animo, noi siamo
sempre i ribelli...Il campo è or-
mai ben delineato: lavoratori da
un lato; parassiti, energumeni
e aggressori dall'altro...Noi Ar-
diti, che non ci vendemmo né
prostituimmo, noi restammo
incontaminati dalle imperialisti-
che passioni, reparto anarchico
per eccellenza...noi sovversivi
nel senso più vasto della parola,
non daremo mai il nostro brac-
cio per le tirannie...”.
La eco della nascita degli Arditi del
Popolo arriva fi no a Mosca e ver-
rà annunciata con gioia anche da
Lenin sulla Pravda del 10 luglio
1921. In un primo momento anche
Antonio Gramsci è favorevole al
Movimento, ecco cosa scrive sul
giornale “L'Ordine Nuovo” del 15
luglio 1921: “Iniziare un movi-
mento di riscossa popolare,
aderire a un movimento di ri-
scossa popolare ponendo pre-
ventivamente un limite alla sua
espansione, è il più grave errore
di tattica che si possa commet-
tere in questo momento...Biso-
gna far comprendere, bisogna
insistere per far comprendere
che oggi il proletariato non si
trova contro solo un associa-
zione privata, ma si trova con-
tro tutto l’apparecchio statale,
con la sua polizia, con i suoi
tribunali, con i suoi giornali che
manipolano l’opinione pubbli-
ca secondo il buon piacere del
governo e dei capitalisti...Sono
i comunisti contrari al Movi-
mento degli Arditi del Popolo?
Tutt’altro: essi aspirano all’ar-
mamento del proletariato, alla
creazione di una forma armata
proletaria che sia in grado di
La bandiera degli Arditi del Popolo
5
sconfi ggere la borghesia...I co-
munisti sono anche del pare-
re che per impegnare una lotta
non bisogna neppure aspettare
che la vittoria sia garantita per
atto notarile. Spesse volte nella
Storia i popoli si sono ritrovati
al bivio: o languire giorno per
giorno; oppure arrischiare l’a-
lea di morire combattendo. E
si sono salvati quei popoli che
hanno avuto fede in se stessi
e nei propri destini e hanno af-
frontato la lotta audacemente.”
Alcuni studi attestano la consisten-
za delle Formazioni degli Arditi del
Popolo a 144 Sezioni e 20.000
uomini nell’estate del 1921. Le 12
Sezioni del Lazio, con più di 3.300
associati primeggiano con quelle
della Toscana, con 18 Sezioni e
3.000 iscritti. In Umbria gli Arditi
del Popolo sono quasi 2.000, sud-
divisi in 16 Sezioni. Nelle Marche
sono quasi 1.000, organizzate in
Strutture. In Italia Settentrionale,
la diffusione del Movimento è si-
gnifi cativa in Lombardia, 17 Se-
zioni che inquadrano più di 2.200
militanti, in Emilia-Romagna con
18 Sezioni e 1.400 associati, in
Liguria con 4 Battaglioni e 1.100
Arditi e in Piemonte con 8 Sezio-
ni e 1.300 iscritti. Nel Meridione le
Sezioni sono 7 sia in Sicilia che in
Campania, mentre gli iscritti in Pu-
glia e in Abruzzo sono rispettiva-
mente di 200, e in Sardegna 150.
Alcune stime invece fanno salire a
50.000 uomini la loro consistenza,
considerando insieme iscritti, sim-
patizzanti e partecipanti alle azio-
ni. Tra i più popolari dirigenti del-
le Compagnie rionali si ricordano
gli ex Uffi ciali degli Arditi Vittorio
Ambrosini, Antonio Cecchini e
Spartaco Provaglia, mentre tra
gli Arditi del Popolo, poi divenuti
celebri, vanno ricordati Riccardo
Lombardi, non iscritto ma par-
tecipante alle azioni, Giuseppe
Di Vittorio, Vincenzo Baldazzi (
detto Cencio), Comandante gene-
rale: molti di loro, in seguito, com-
batteranno nelle Brigate Interna-
zionali, durante la Guerra Civile
di Spagna. In Romagna un perso-
naggio di rilievo nelle Formazioni
antifasciste degli Arditi del Popolo,
nella zona di Ravenna, è Alberto
Acquacalda, anche lui ex Tenente
degli Arditi, massacrato l’11 ago-
sto 1921 da un gruppo di fascisti
di circa 40 elementi. Le cronache
raccontano della straordinaria for-
za d’urto degli Arditi del Popolo nei
confronti delle squadracce fasci-
ste, infatti ben presto si accendo-
no mischie in ogni parte d’Italia, e
a Sarzana avviene il primo impatto
di notevoli proporzioni. Il 21 luglio
1921 oltre 600 squadristi al coman-
do dell’assassino di Giacomo Mat-
teotti, Arrigo Dumini, convergono
da varie città della Toscana, decisi
a dare una lezione alla Sarzana
“sovversiva” che ha osato arresta-
re dieci camerati di Carrara. Qui
accade l’unico episodio che vede
i carabinieri tentare di fermare i
fascisti e non gli Arditi del Popolo,
coscienti del fatto che questi ultimi
hanno l’appoggio della totalità del-
la popolazione. I fascisti aprono il
fuoco ferendo gravemente un ca-
rabiniere ed uccidendo un Uffi ciale
dell’Esercito. Gli Arditi Sarzanesi
contrattaccano e scompaginano le
fi le degli aggressori, li mettono in
fuga, li inseguono per le strade e
i campi: alla fi ne della battaglia ne
avranno uccisi diciotto e feriti una
trentina. Successivamente, lo Sta-
to interviene arrestando in massa
gli Arditi del Popolo per “l’inaudita
strage a danno dei fascisti”, di-
menticando chi aveva sparato per
primo nel mucchio e calpestando
la memoria dell’Uffi ciale del suo
stesso esercito. Va ricordato, in
tale occasione, il Capitano dei
carabinieri Guido Jurgens, che
rifi utando di eseguire gli ordini
repressivi contro gli Arditi del Po-
polo, ordinati da Ivanoe Bonomi,
difese Sarzana, combattendo fi an-
co a fi anco degli Arditi. E’ super-
fl uo ricordare che, avendo esposto
pubblicamente il proprio astio nei
confronti del fascismo, il Capitano
fu esautorato da ogni posto di co-
mando.
A Roma i fascisti provano a ven-
dicarsi: un gruppo di squadristi
assalta la casa di Argo Seconda-
ri, decisi ad ucciderlo: ma davan-
ti al portone staziona sempre un
esiguo gruppo di Arditi del Popo-
lo, che comunque ingaggia su-
bito uno scontro difensivo. Argo
si affaccia alla fi nestra e punta la
pistola verso i fascisti, urlando: -
Eccomi qua, branco di cialtroni,
cercavate me?-. A questo punto
accorrono altri Arditi e gli assalitori
scappano, cavandosela con qual-
che bastonata.
Gli Arditi del Popolo creano vere
e proprie milizie per la protezio-
ne dei quartieri e dei centri citta-
dini, oggetto di attacchi armati da
parte delle squadracce fasciste,
assumendo connotazioni politi-
che talvolta differenti da un posto
all’altro, ma sempre accomunati
dalla coscienza della necessità di
organizzare la resistenza popola-
re contro la violenza delle camicie
nere.
Gli Anarchici aderiscono entusia-
sticamente alle Formazioni de-
gli Arditi del Popolo e spesso ne
sono i promotori individualmente
e collettivamente, basti pensa-
re che tra i difensori di Sarzana
e di altre città gli Anarchici sono
la maggioranza. L’evento forse di
maggior risonanza che coinvolge
gli Arditi del Popolo è la difesa del
Quartiere Oltre torrente di Par-
ma dallo squadrismo fascista dell’
agosto 1922. I primi del mese
10.000 squadristi emiliani, tosca-
ni, veneti e marchigiani, prima al
comando di Roberto Farinacci
e poi di Italo Balbo, assediano
Parma, dopo aver conquistato
Argo Secondari in divisa da Ardito
6
ed occupato gli altri Centri emilia-
ni. A presidiare la città si trovano
gli Arditi del Popolo comandati dal
Deputato socialista Guido Picelli,
che in seguito troverà la morte il
5 gennaio 1937 in Spagna, nella
battaglia di Guadalajara, combat-
tendo nelle Brigate Internaziona-
li; ci sono inoltre il pluridecorato
di guerra Antonio Cieri, le For-
mazioni di “Difesa Proletaria”,
la Legione Proletaria “Filippo
Corridoni” e numerosi cittadini
dei quartieri popolari, mobilitati
contestualmente da uno sciopero
nazionale indetto dalla Alleanza
del Lavoro per il 1° giugno. I fa-
scisti, resosi conto, il 6 agosto,
dell’impossibilità di conquistare la
città senza scatenare una vera e
propria guerra, compiendo una
carnefi cina, decidono di passare il
controllo dell’ordine pubblico all’E-
sercito e si impegnano a ritirarsi.
Ma anche in tutta Italia gli Arditi
del Popolo conducono un’impari
lotta contro le milizie fasciste, ot-
tenendo importanti vittorie e co-
stituendo, persino nei giorni della
Marcia su Roma, una trincea che i
seguaci di Mussolini non riescono
a superare neppure con l’aiuto del
Regio Esercito e della Polizia.
Completamente diverso dagli
Anarchici è l’atteggiamento sia
dei Socialisti sia dei Comunisti,
quest’ultimi costituitisi in Partito
nel gennaio del 1921. Nonostan-
te la vasta e spontanea adesione
di molti loro militanti agli Arditi del
Popolo, entrambe le burocrazie
partitiche prendono le distanze e
cercano di sabotare lo sviluppo del
Movimento.
Pur condannati a scomparire, gli
Arditi del Popolo si battono fi no
all’ultimo. Durante il Terzo Con-
gresso Nazionale del Fascio, a
Roma, per ben quattro giorni in-
gaggiano scontri resistendo e con-
trattaccando.
A Civitavecchia respingono
squadristi e reparti militari che or-
mai agiscono in concerto, infl ig-
gendo, ancora una volta, ai fascisti
un duro colpo, anche grazie all’a-
iuto di 300 operai jugoslavi che la-
vorano alla ferrovia.
Anche a Livorno la resistenza è
accanita, mentre ad Ancona gli
Arditi prendono l’iniziativa ed at-
taccano per primi i fascisti. Lo
stesso epilogo a Genova e a Bari.
Nell’ottobre del 1922 la Marcia su
Roma porta purtroppo Mussolini e
la sua cricca al governo e l’Italia
sprofonda in quella dittatura ven-
tennale che si esaurirà con le im-
mani devastazioni della Seconda
Guerra Mondiale. Inizia così la cac-
cia fascista all’Ardito del Popolo.
Argo Secondari sarà il primo del-
la lista. Non ci sono più compagni
combattenti a poterlo difendere:
sono tutti in carcere, in esilio, morti
o braccati. Il 31 ottobre 1922 Argo
Secondari cade in un agguato.
Gli saltano addosso a decine, lui
è solo. Si batte come una furia, si
difende come può, gli fracassano il
cranio a colpi di mazza. Non si ri-
prenderà mai più. Il nemico ottiene
la più crudele delle vendette:non
la prigione, non la morte, ma il ma-
nicomio. Argo “L’Ardito” vive nel
microcosmo muto dei ricordi, nes-
suno sa cosa pensi, e perché per
ore ore compie...un gesto lineare,
ritmico e ossessivo sulla tua co-
scia: Avanti e indietro, avanti e in-
dietro. Lungo il percorso di quel
gesto coatto, il fustagno dei tuoi
calzoni è, al par tuo, ormai logo-
ro. A vederti è come se affi lassi il
tuo vecchio pugnale; e a volte è
proprio così: lo levighi con cura
e in un baleno, voltate le spalle
a quel luogo desolato, sei già in
trincea...( Eros Francescangeli: Ar-
diti del Popolo).
A quarantasei anni, alle soglie della
primavera del 1942, Argo Secondari
Guido Picelli
si spegne, liberandosi fi nalmente
del manicomio, degli infermieri-
carcerieri, del vuoto presente, di
ogni brandello della sua memo-
ria dolorosa. Il suo funerale per
ordine della Questura, che teme
il verifi carsi di disordini, si svolge
privatamente. Riposa nel Cimitero
Monumentale di Rieti.
Secondo talune tesi della Storio-
grafi a contemporanea, gli Arditi
del Popolo avrebbero potuto ab-
battere il fascismo se non fossero
stati abbandonati dai Partiti demo-
cratici e dal neonato Partito Co-
munista.Tom Behan, storico del
fascismo, nella sua opera “The
resistible rise of Benito Musso-
lini”, asserisce: “Diffi cile dire se
una maggiore unità tra gli Arditi
del Popolo e le Sinistre avrebbe
potuto fermare il fascismo. Ma
questo non avvenne soprattutto
per il settarismo del Partito Co-
munista d’Italia e per le divisioni
interne del P.S.I.”.
Una certa continuità storica oggi
può essere ravvisata fra gli Arditi
del Popolo e la Resistenza, anche
se gli scopi erano ben diversi: gli
Arditi, anche se in modo politica-
mente confuso, proponevano la
formazione di una Repubblica con
basi progressiste estreme, almeno
rispetto a quelle su cui poi si fon-
derà la Repubblica Italiana.
Alcune Formazioni partigiane nel-
la Resistenza assunsero il nome
di Arditi del Popolo: tra le più note
quella nella quale fu attivo Anto-
nello Trombadori, in seguito noto
esponente del P.C.I.
Antonio Cieri
7
LIVIO E' TARAMOT DI GLAUCO GARDINIDI GLAUCO GARDINIDI GLAUCO GARDINI
Non era molto alto né molto
grosso, Livio, ma lo distingue-
va una corporatura così robusta,
così muscolosa da far pensare a
un campione di lotta libera.
Lo chiamavano Livio e' taramot
perché non stava mai fermo; an-
che quando si trovava tra amici si
spostava in continuazione da uno
all'altro come se avesse bisogno
di liberare un carico di energie ir-
refrenabili.
In cantina teneva un vecchio pun-
ching-ball che prendeva a pugni
nei momenti di maggiore tensio-
ne, ma non era violento né tanto
meno cattivo.
Il menage coniugale era nato sot-
to una buona stella perché anche
col passare degli anni Livio e la
moglie Adele avevano continuato
a volersi bene e a rispettarsi.
Si era formata una bella famiglia
di sei persone, con quattro fi gli
-tutti maschi- pieni di vitalità come
il padre, pronti in ogni momento a
riempire la casa di voci e di alle-
gria.
Livio era nato e cresciuto in Ro-
magna, in una zona periferica di
Faenza, dove i susseguirsi di mo-
deste casette formava un piccolo
quartiere. Vi viveva gente sempli-
ce e alla buona, in lotta continua
con i conti della spesa per arrivare
a fi ne mese.Concluse le elemen-
tari, Livio era stato messo subito
al lavoro come garzone di barbie-
re. Non è che quel tipo di lavoro
gli dispiacesse, qualche cliente gli
dava anche una buona mancia,
ma quello stare al chiuso tutto il
giorno lo immalinconiva un po'.
Così appena usciva dal negozio
faceva lunghe corse ne i campi o
seguendo la massicciata della fer-
rovia, sempre in movimento, sem-
pre instancabile.
Al suo rientro a casa, la mamma
lo spediva a lavarsi e gli prepara-
va, quando si poteva, una doppia
razione di tagliatelle. Gli veniva poi
consentito di bere mezzo bicchiere
di vino rosso che lui centellinava
sentendosi già uomo.
Dopo cinque anni era stato assun-
to come bracciante in un'azienda
agricola del posto, utilizzava un
grosso badile, che si portava ap-
presso come un trofeo. Divenne
un bravo bracciante, ben voluto
dai compagni di lavoro, pronto ad
aiutarli quando li vedeva in diffi col-
tà, avvalendosi della sua grande
forza fi sica.
Non solo i parenti e gli amici, ma
tutti quelli che lo conoscevano di-
cevano che Livio non sarebbe mai
potuto diventare un fascista.
Grazie ai suoi genitori, in casa
aveva respirato l'aria profetica
del pensiero mazziniano, che i
più grandi di lui sintetizzavano in
quattro parole: Patria, Repubblica,
Pensiero Azione; quelle idee gli
giravano attorno senza però con-
vincerlo del tutto anche perché il
suo più caro amico, giovane come
lui, gli parlava di Filippo Turati, uno
dei fondatori del Partito Socialista
Italiano, e di Andrea Costa, prima
socialista ad essere eletto deputa-
to, di sangue romagnolo essendo
nato a Imola. Tutto però nelle sue
idee doveva decidersi il 10 giugno
1924, allorché alcuni sicari di Mus-
solini assassinarono il deputato
socialista Giacomo Matteotti, lea-
der di grande prestigio e uno degli
uomini politici più degno di essere
ricordato nella storia italiana del
'900. Con questo gesto il fascismo
mostrò il suo vero volto, instauran-
do una dittatura che tra il 1925 e il
1928 soppresse la libertà di stam-
pa, sciolse i partiti e i sindacati,
esautorando il Parlamento.
Fu proprio infatti proprio dal gior-
no dell'assassinio di Matteotti che
Livio si votò all'idea socialista giu-
rando a se stesso che non l'avreb-
be più abbandonata.
Ritagliò da un giornale la foto di
Matteotti e ne fece un piccolo
quadro; sopra il letto c'era il croci-
fi sso che sua moglie aveva messo il
giorno del loro matrimonio, sulla
parete opposta lui mise il quadret-
to di Matteotti.
Nel quartiere dove abitavano si
conoscevano un po' tutti, special-
mente i giovani che si incontra-
vano nelle loro passeggiate o al
campo sportivo o in qualche locale
da ballo.
Erano soliti muoversi in gruppetti
questi giovani: c’erano quelli dei
fascisti e c’era quello degli ope-
rai di “sinistra”, con Livio sempre
in testa. Al termine di una manife-
stazione non autorizzata era stato
trattenuto in questura per alcune
ore e aveva subìto una diffi da.
L’anno 1938 era arrivato con i suoi
presagi di guerra e di morte.
Livio, che di anni ne aveva 36, non
abitava più a Faenza ma a Forlì
dove lavorava dal 1928 come can-
toniere delle Ferrovie dello Stato;
nel 1934 aveva ottenuto la qualifi -
ca di Capo Squadra per la manu-
tenzione dei binari.
A quei tempi non esisteva nelle
stazioni l’automatismo che regola
oggi la circolazione dei treni; mol-
te operazioni venivano eseguite a
mano e quando d’inverno le gior-
nate si facevano particolarmente
rigide, con strati di neve che ghiac-
ciavano sugli scambi e sugli incro-
ci dei binari, la squadra di Livio
doveva intervenire sollecitamente.
Sua moglie lo aveva visto più volte
alzarsi di notte, vestirsi in fretta e
furia mentre lei gli preparava il caf-
fè; lo vedeva poi allontanarsi sulla
sua vecchia bicicletta avvolto in un
mantello che gli copriva giacca e
pantaloni.
Rimasta sola Adele non tornava
a dormire; si sedeva sulla sedia a
dondolo vicino alla fi nestra, con un
plaid sulle ginocchia, e guardava
la neve che incattivita dal vento
batteva sui vetri. Aspettava così,
nel silenzio della notte, il ritorno
del suo uomo.
La squadra di Livio era considera-
ta tra le migliori nel compartimento
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Bologna-Ancona e all’ingegnere
di zona, responsabile del traffi co,
Livio era subito piaciuto per quel
suo senso pratico di affrontare
ogni tipo di lavoro e per il suo ca-
rattere schietto e leale, sia pure un
po’ ribelle. E fu proprio l’ingegnere
a dire a Livio che l’Amministrazio-
ne delle Ferrovie dello Stato stava
per indire un concorso per sorve-
gliante al quale potevano parteci-
pare tutti i capo squadra. Era una
qualifi ca molto ambita, perché il
passaggio di ruolo consentiva un
sensibile aumento di paga.
C’era una cosa sulla quale l’inge-
gnere però non si era soffermato,
ma che Livio aveva inteso bene
lo stesso, e cioè che per vincere
occorreva essere iscritti al Partito
Fascista.
Quella notte Livio e Adele non riu-
scirono a prendere sonno.
Dopo cena si erano seduti sul vec-
chio divano posto davanti al cami-
netto acceso e avevano parlato a
lungo, a bassa voce; ogni tanto lui
si alzava ad attizzare il fuoco.
Esporre all’Adele come stavano le
cose non fu diffi cile per Livio, ma
le considerazioni che seguirono,
sue e di sua moglie, evidenziaro-
no un alto grado di tensione legato
alla consapevolezza che dalla loro
decisione sarebbe dipeso un
pezzo di futuro di tutta la fami-
glia. Quante volte si erano detti
che appena fosse stato possibile
avrebbero dovuto cambiar casa,
ma quell’appena possibile non era
mai arrivato. Vecchia e piccola era
infatti la casetta dove abitavano,
con i muri scrostati, le pareti da
imbiancare, gli infi ssi arrugginiti e
grosse macchie scure nel soffi tto,
e quante volte i loro quattro fi gli
maschi si erano lamentati di dover
dormire in un’ unica stanza sui letti
a castello e di dover uscire all’a-
perto, nel ballatoio, per andare al
gabinetto.
C’era poi un pensiero che Livio
non riusciva a togliersi dalla men-
te e che non gli dava tregua ed
era che “i suoi ragazzi” (come lui li
chiamava) continuassero a studia-
re fi no al diploma.
Lui era un uomo del popolo, di ori-
gine contadine, di cui andava fi e-
ro, ma avrebbe voluto che i suoi
fi gli acquistassero con lo studio
cultura e una migliore posizione
sociale. Qualche risparmio era riu-
scito a farlo, ma poca cosa; ecco,
le circostanze ora lo mettevano
nelle condizioni di ridisegnare la
vita sua e della sua famiglia; gli
bastava scegliere.La decisione la
presero insieme, lui e sua moglie,
dopo una notte insonne: Livio non
si sarebbe iscritto al Partito Fasci-
sta, non sarebbe mai diventato un
sorvegliante.
I fi gli erano ormai grandicelli e in
grado di arrangiarsi anche da soli:
Adele avrebbe potuto andare a la-
vorare, avrebbe fatto la stagione
estiva in pensione sulla riviera ro-
magnola, non è che così si sareb-
bero risolti i problemi economici
della famiglia, sicuramente no, ma
era pur sempre un modo per poter
guardare al domani con maggiore
fi ducia.
Intanto il mondo si apprestava
alla follia insensata della guerra,
con gli uomini asserviti alla vio-
lenza, alla malvagità, senza pietà
per nessuno e con i nazisti tede-
schi pronti a preparare i campi di
sterminio e le camere a gas, che
avrebbero segnato per sempre
nella memoria l’orrore di questo
confl itto mondiale.
La guerra attraversò anche la vita
della famiglia di Livio, portando le
diffi coltà e le sofferenze che pochi
poterono evitare. Ma almeno sen-
za i lutti che affl issero i più sfortu-
nati. E dopo qualche tempo Livio,
e’ taramot, diventò sorvegliante.
Glauco Gardini è nato a Imola nel 1925 e vive a Forlì. Pur costretto a lasciare la scuola
per lavoro, continuò a studiare. Laureato in Economia e Commercio all'Università di
Bologna, negli anni ottanta è stato direttore della Banca d'Italia, prima a Ravenna e poi
a Forlì. Fin da giovane ha coltivato l'interesse per la letteratura, cimentandosi in poesie
e critica teatrale. Il suo ultimo romanzo: Diario di un adolescente degli anni Sessanta
(Edizioni Tempo Libero, Faenza 2008) ha ottenuto grande successo di critica e pubblico
in tutta Italia. E' fratello di Ovidio Gardini, Medaglia d'Argento al Valore Militare nella
Resistenza.
AVVISOL’ANPI di Forli’- Cesena, comunica che allo scopo di in-
contrare gli iscritti e confrontarsi con loro sul tema della
Resistenza, è aperta al pubblico tutti i venerdì, a partire
dalle 20:30, nella sua sede di Forlì in via Albicini 25.
Confi diamo in una numerosa partecipazione.
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di “Lanterna”. Segue in senso let-
terale, ricorda Silvia, perché stava
sempre dietro al giovane, che la
proteggeva con la sua mitragliet-
ta, nella cui canna avevano inciso
“ Lum e Lanterna con la tua fi am-
ma difendici”. Arrivata al monte
Cerchio , dove c’era il gruppo dei
partigiani, il comandante Walter
“celebra” con rito civile il suo ma-
trimonio con Libero, vero nome di
“Lum” . Dopo la semplice “cerimonia”
Recentemente ho incontrato Sil-
via Bianco, una signora novantu-
nenne, dalla memoria molto lu-
cida, gentile, simpatica, ironica,
che mi ha subito conquistata.
E’ nata nel 1921 in Svizzera, da
genitori piemontesi di Camando
na, un paesino montano vicino a
Biella dove la famiglia Bianco ave-
va un albergo.Non avevano pro-
blemi economici. Il padre era uno
chef molto bravo e conosciuto: da
giovane aveva girato il mondo la-
vorando nei grand’ hotel a cinque
stelle di alcune capitali europee,
dove faceva la stagione estiva o
invernale a seconda del perio-
do. Da sposato si era fermato ad
esercitare la sua arte nell’albergo
di famiglia. Agli inizi del ’43, alla
morte del padre, avvenuta 10 anni
dopo quella della madre, rimasta
sola, Silvia incontrò la Resistenza
nella persona di “Lum” un giovane
partigiano dell’8ª Brigata Biellese,
di cui si innamorò. Il paese viveva
la terribile “rabbia” dei fascisti che,
trascurando gli ordini dei tedeschi
di non infi erire sulla popolazione
civile- ribadisce indignata Silvia-
arrivavano nei paesini sospettati
di solidarizzare con i partigiani, si
ubriacavano, insidiavano le don-
ne, terrorizzavano le famiglie, fa-
cevano razzie, incendiavano le ca-
scine e nell’andarsene portavano
via gli uomini.
Le furono tagliati i capelli, probabil-
mente per una delazione che l’ac-
cusava di connivenza con i parti-
giani, a causa della sua amicizia
con “Lum”. Nel ricordare l’episodio
che le procura dolore e risentimen-
to, spiega che era frequente che i
fascisti si comportassero così nei
confronti delle donne sospettate di
non condividere la loro ideologia.
Pur essendo giovane e poco poli-
ticizzata, offesa da quanto aveva
subìto, impaurita dalle cattiverie
dei fascisti, segue in montagna il
giovane fi danzato e diventa anche
lei partigiana con lo pseudonimo di
i compagni presenti rendono loro
omaggio facendoli passare sotto
il picchetto d’onore. Era una mat-
tina fredda dice “Lanterna” com-
muovendosi ancora alla visione di
lei sposina fuori dal comune che
indossava un largo giaccone mas-
chile; poi ridendo, aggiunge che i
festeggiamenti si limitarono ad un
grosso salame offerto dalla cugi-
na, che comunque non mangiaro-
no, perché avvisati dell’arrivo dei
fascisti si misero precipitosamente
in marcia. Racconta che doveva-
no spostarsi spesso di notte e di
solito raggiungevano la località di
Sala Biellese, un gruppo di case i
cui abitanti li ospitavano e li rifo-
cillavano con grande generosità,
seppure con pochi mezzi. Fino al
’45 lei e Libero rimasero in
In alto:
Il giorno del matrimonio
col picchetto d’onore.
A sinistra:
Lanterna e Lum il giorno
del matrimonio.
La storia di “ Lum e Lanterna”DI ROSALBA NAVARRA
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Nei primi mesi dell’anno è scomparso il compagno Italo Farina, di Modi-
gliana.
Nacque nel 1925 e da subito, nel pieno della sua adolescenza, aderì alla
causa antifascista. Assieme al fratello entrò a far parte dei movimenti parti-
giani della zona, più esattamente all’interno del distaccamento Celso Stroc-
chi, comandato da Sesto Liverani (nome di battaglia: Palì).
Ebbe anche modo di collaborare in delicate azioni partigiane con il gruppo
del battaglione Corbari.
Infatti Farina ricordava spesso che quando il loro distaccamento fu avvi-
sato dalla staffetta che nel Lavane, proprio a ridosso della Linea Gotica,
ci sarebbe stato un aviolancio di armi e di rifornimenti da parte delle forze
alleate, si unì, per quella occasione, al gruppo di Silvio Corbari. Assieme i
due gruppi partigiani lavorarono tutta la notte tra il 17 ed il 18 luglio 1944 per
raccogliere le munizioni, le armi, i viveri, paracadutati dagli aerei, non prima
di aver defi nito un quadrato di fuochi sul terreno per segnalare il luogo in
cui effettuare l’aviolancio. I partigiani, tra cui Farina, lavorarono alacremente
tutta la notte per raccogliere e montare le armi, per selezionare le munizioni
e per imballare i viveri.
Nonostante l’immediato attacco dei tedeschi e dei fascisti, accorsi al Lavane in diverse centinaia, i partigiani
misero in atto, con straordinario coraggio e con ammirevole destrezza nel combattimento, la sconfi tta del
nemico.
L’impresa straordinaria meritò l’encomio del comando delle truppe alleate ed addirittura radio Londra trasmi-
se l’elogio del Generale Alexander ai partigiani che combatterono sul Lavane.
Italo ha affermato in diverse occasioni che la diffi cile esperienza della lotta partigiana, sulle montagne, fu
possibile anche grazie al grande contributo dei braccianti: “I contadini sono stati utilissimi per noi partigiani,
per tutte le formazioni partigiane. Utilissimi per motivi materiali e anche morali, per le informazioni che spes-
so ci davano: qui a Modigliana, quando venivano messi in atto i rastrellamenti, i contadini esponevano fuori
lenzuola bianche per avvertire i partigiani della presenza dei nazisti.
Inoltre all’occorrenza, nonostante la penuria di risorse e la miseria sempre più incalzante, i braccianti erano
sempre pronti ad offrirti qualcosa da mangiare. Quindi anche i contadini sono stati a mio avviso splendidi eroi;
senza i quali la nostra Resistenza sarebbe stata impossibile.”
Ecco, questo è stato ITALO FARINA, partigiano, uomo generoso e determinato, che si è battuto per regalarci
democrazia e libertà attraverso la lotta al fascismo. Gliene saremo per sempre grati.
E al termine della guerra, Italo, in relazione con quegli stessi contadini, che tanto aveva amato durante la
resistenza, coi braccianti agricoli di Modigliana, intraprese la sua grande opera all’interno della CGIL, per
conquistare i diritti sino allora negati a quegli stessi lavoratori: attività, quella del sindacalista, che caratte-
rizzò tutto il resto della sua importante esistenza.per ANPI MODIGLIANA-TREDOZIO
Sezione Alfredo Samorì
CIAO ITALO, MIRKO MASOTTI MIRKO MASOTTI I MIRKO MASOTTI I
sobbalzarono nel vedere la scritta
“Lum e Lanterna, con la tua fi am-
ma difendici”.
Stabilitisi a Cossila, il paese di Li-
bero, dopo sette anni misero al
mondo una bambina che, diven-
tata adulta, incontrò un giovane
romagnolo, lo sposò e venne a
vivere a Forlì. Silvia la piemonte-
sina, dalla tranquillità dei monti,
rimasta sola, accettò l’invito della
fi glia e si trasferì a Forlì, dove at-
tualmente risiede .
montagna. Finita la guerra dovet-
tero deporre con rammarico tutte
le armi. Al ritorno alla vita civile
ebbero la sorpresa di scoprire che
il loro matrimonio non era stato
registrato e quindi non solo non
potevano ricevere gli assegni fa-
miliari, ma quel che più contava
non risultavano sposati.
A differenza di quanto avevano
promesso e assicurato, gli alleati
non avevano trasmesso il docu-
mento del loro matrimonio e quindi
dopo due anni dovettero ripetere
la cerimonia, anche con rito reli-
gioso. Ride di cuore quando pen-
sa al suo sgomento provocato
dall’annuncio del “supposto” mari-
to che la defi niva nubile.
Racconta infi ne che una sera, an-
dati ad assistere alla proiezione di
un fi lm, erano in piedi al buio as-
pettandone la fi ne.
Appena si accesero le luci, videro
un giovane militare di servizio con
in spalla una mitraglietta e
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DOVE IL DUCE GOVERNA SENZA PAESE...DI ELVIO CICOGNANI
Superata la crisi invernale me-
diante la mobilitazione popolare,
la Resistenza Italiana si avvia ver-
so la sua conclusione. Il febbraio
e il marzo 1945 sono due mesi
incalzanti e veloci, in cui il Movi-
mento partigiano non subisce più
soste o incertezze, è carico d'e-
nergia come un arco che sta per
scagliare la freccia decisiva.
Dalla parte opposta, gli ultimi
scatti irosi dei nazifascisti diven-
tano invece slegati e incerti, si
esauriscono in colpi vibrati a vuo-
to, senza la decisione che porta
a fondo l'offesa. I rastrellamenti
compiuti “in extremis” in Val Se-
sia, in Val d'Ossola, nel Biellese,
nelle Langhe, in Liguria sono un
completo e disastroso fallimento.
In tutte queste azioni i nazifascisti
subiscono cocenti sconfi tte e dure
perdite in morti, feriti e prigionieri,
mentre le Formazioni partigiane,
combattendo con abilità e valore,
mantengono la loro piena effi cien-
za. Sorge così lo sconforto tra le
fi le del nemico e il loro morale di-
venta bassissimo.
Tale mutamento profondo non è
dovuto alla scarsità di mezzi bel-
lici, sempre di molto superiori a
quelli dei Partigiani, e nemmeno
nei rapporti tattici stabiliti fra i due
Eserciti contrapposti, poiché or-
mai da tempo i Partigiani si sono
impossessati della capacità di ma-
novra sul terreno e l'offensiva na-
zifascista non presenta più alcun
motivo di “sorpresa”, essendo
già prevista e scontata in anticipo.
Il mutamento profondo dei nazi-
fascisti è nel morale. I Tedeschi
combattono ormai portando den-
tro di loro l'incubo del territorio del
grande Reich, invaso da Oriente
e da Occidente, sentendosi chiusi
come in una trappola senza via di
scampo.
E' evidente che le sorti del gran-
de confl itto si vanno decidendo in
Germania, mediante l'offensiva
sovietica in direzione di Berlino e
la contemporanea avanzata alle-
ata oltre il Reno. La Wehrmacht
insolente ed arrogante che aveva
conquistato e devastato gran par-
te dell'Europa continentale duran-
te i primi tre mesi di guerra ora è
una bestia morente e le sue Arma-
te sono avviate verso la disfatta
più completa.
I suoi uffi ciali e i suoi soldati guar-
dano con occhi ansiosi le Alpi.
Le notizie terribili che, malgrado
il velo della propaganda nazista,
giungono loro dalla Germania
sono l'ultimo e decisivo colpo a
un morale profondamente minato
dalla Guerra partigiana in Italia,
quella guerra che lo stesso Hit-
ler aveva giudicato come più pe-
ricolosa delle reiterate offensive
alleate, decorando con particolari
ricompense i rastrellatori o i mas-
sacratori più esperti.
Perfi no l'ultimo fantaccino tedesco
sa che la guerra è ormai persa,
che nella sua patria i suoi camerati
si arrendono a migliaia.
D'altra parte, il crollo defi nitivo ed
irrevocabile del mito dell'invinci-
bilità tedesca, delle armi segrete,
dell'impossibilità che il suolo tede-
sco possa essere calpestato dal
passo degli eserciti nemici vitto-
riosi, non può non avere profonde
ripercussioni anche sul morale del
popolo, delle Truppe tedesche e
degli stessi nazisti.
Un esempio del sentimento di
sconforto che opprime i Tedeschi
si esprime chiaramente nella can-
zone diffusa tra i soldati della già
invincibile Wehrmacht, il cui testo
completo fu trovato nella “Cartel-
la della Evidenza”, in Prefettura
a Milano, il 26 aprile 1945, e di cui
trascriviamo uno stralcio:
Dove il Duce governa senza
paese e senza potenza,
dove i partigiani non danno
pace,
dove la notte in ogni angolo
si spara e si strepita,
dove ogni notte ci saltano le
rotaie,
dove il treno salta per aria,
dove le lettere ci arrivano
dopo molte settimane,
non è questa la nostra patria;
eppure perseveriamo
dalle foci del Tevere fi no alle
Alpi...
Al diavolo questo maledetto
paese,
tutti i tedeschi gridano in
coro:
Non lasciarci qua, Fuhrer,
prendici in patria, nel Reich!
Una canzone che descrive chiara-
mente l’atmosfera di terrore in cui
gli stessi soldati tedeschi devono
vivere per le continue minacce
di guerriglia nelle retrovie; una
canzone che è utile contrappor-
re come espressione autentica e
popolare dell’animo tedesco nel
suo stato di disperazione alla can-
zoni partigiane, invece così piene
di speranze pur nelle più tragiche
occasioni.
Militare tedesco esausto e
addormentato, forse pensa
alla casa e alla famiglia in
Germania
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I NOSTRI LUTTIE’ deceduto il Compagno ALBERTO BOATTINI di Dovadola.
E’ deceduto il Compagno SILVANO FANTINELLI, per molti anni partecipe membro del Comitato di Ge-stione di Valpisella
SOTTOSCRIZIONIPaolo Boattini e coniuge, grazie a raccolta pubblica, versano euro 319,50 a favore di “Cro-
nache della Resistenza” in ricordo di ALBERTO BOATTINI (foto)
Nel trentennale della scomparsa di BRUNO PATRIGNANI, partigiano dell’VIII° Brigata
Garibaldi, lo ricordano la moglie Giovanna, i fi gli Mariella e Umberto, la nuora Silvia, i ni-
poti Marcello e Fabrizio e sottoscrivono euro 50,00 a favore di “Cronache della Resistenza”.
Il 24 Aprile sono 27 anni dalla morte di CIANI ALBERTO (CURPET): la nuora Iride e
Daniela, Cinzia e Bruno sottoscrivono euro 25,00 a favore di “Cronache della Resistenza”.
A 41 anni dalla morte di TERESA VALMORI CIANI la nuora e le nipoti sottoscrivono euro 25,00 a favore
di “Cronache della Resistenza”.
Anna Masotti, in memoria di SIRIO SINTONI, sottoscrive euro 10,00 a favore di “Cronache della Resisten-
za”.
Maris Senzani Pezzi sottoscrive euro 40,00 a favore di “Cronache della Resistenza”.
Succi Gilberto sottoscrive euro 30,00 a favore di “Cronache della Resistenza” in memoria di UGO SUCCI e
RIZIERO FIORI.
Manuela Orioli, in memoria di GIORGIO ORIOLI, sottoscrive euro 346,00 raccolti durante lo svolgimento
del funerale.
Tiziana Dal Fiume, sottoscrive euro 15,00 in memoria di GIORGIO ORIOLI.
Il 2 aprile 2012, all'età di novanta anni, Rosario Bentivegna, “Sasa” per gli amici, ci ha lasciato.
Fin da giovane studente svolse attività clandestina, aderendo, a soli diciassette anni, al GUM
(Gruppo di Azione Marxista), una organizzazione di orientamento trotskista, insieme a Corrado
Nourian e Nino Baldini.
Nell'aprile 1941 partecipò all'occupazione dell'Università di Roma, in cui seguiva i Corsi di
Facoltà di Medicina. Arrestato nel settembre dello stesso anno, fu rilasciato solo nel 1943 con
diffi da di Polizia.
Nel 1943 aderì al Partito Comunista Italiano, e dopo l'8 settembre 1943, col nome di battaglia
di “Paolo”, fu dapprima Vicecomandante militare della IV Zona Garibaldina (Roma Centro), poi
Comandante del G.A.P. (Gruppo di Azione Patriottica) “Carlo Pisacane”.
Il 23 marzo 1944, insieme ad altri sedici Partigiani, tra cui Carla Capponi sua futura moglie
prese parte, a Roma, all'azione di Via Rasella, in cui furono uccisi trentatré soldati delle SS
Tedesche.
Pochi mesi dopo la Liberazione di Roma, “Sasa” decise di continuare la sua lotta personale
contro i nazifascisti, combattendo in Jugoslavia e Montenegro.
Rientrato in Italia, dopo la conclusione della Guerra, divenne Redattore dell'organo del Partito
Comunista, Unità, praticando anche la professione di medico.
E' stato sottoposto, per le sue imprese di Partigiano, a numerosi processi, dai quali è uscito
sempre assolto per la legittimità delle sue azioni.
Per le sue azioni di Partigiano è stato decorato di Medaglia d'Argento al Valor Militare.
ADDIO PARTIGIANO PAOLO
Elvio Cicognani