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25 Aprile Festa della Liberazione La memoria batte nel cuore del futuro di Carlo Sarpieri / A Roma? Bandiera Rossa! di Elvio Cicognani / La beffa di Tommaso Moro di Elvio Cicognani / Il mussolini "buono" di Lodovico Zanetti
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Cronache Marzo/Aprile 2012, n°2
25 APRILE 1945
25 AprileLa chiusa angoscia delle notti, il pianto
delle mamme annerite sulla neve
accanto ai fi gli uccisi, l’ululato
nel vento, nelle tenebre, dei lupi
assediati con la propria strage,
la speranza che dentro ci svegliava
oltre l’orrore le parole udite
dalla bocca fermissima dei morti
“liberate l’Italia, Curiel vuole
essere avvolto nella sua bandiera”:
tutto quel giorno ruppe nella vita
con la piena del sangue, nell’azzurro
il rosso palpitò come una gola.
E fummo vivi, insorti con il taglio
ridente della bocca, pieni gli occhi
piena la mano nel suo pugno: il cuore
d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.
Alfonso Gatto
LA LUNGA ALBA DELLA LIBERTA’
2
SOMMARIO:
-25 APRILE,
FESTA DI LIBERAZIONE
pag 1
-A ROMA?
BANDIERA ROSSA ! pag 4
-LA BEFFA DI
TOMMASO MORO pag 8
-UN SALUTO pag 10
-IL MUSSOLINI BUONO
pag 11
di Carlo Sarpieri
25 Aprile 1945 : la LIBERAZIONE Solo a pronunciarla questa parola ci
provoca un’emozione riportando alla
nostra mente immagini festose di ra-
gazzi e ragazze che esprimevano con
i loro volti gioiosi la felicità per la li-
bertà riconquistata e l’entusiasmo per
l’opportunità che loro si offriva di co-
struire una società nuova più aperta
e democratica più giusta e solidale.
Questa data ci parla di una memoria
gloriosa segnata dal sacrifi cio di mi-
gliaia di ragazze e di ragazzi italiani
che non esitarono a mettere in gioco
la loro stessa vita per il bene comune.
Tante volte ci siamo chiesti come sia
stato possibile che durante il venten-
nio il regime fascista, un regime che
controllava ogni aspetto della vita in-
dividuale e collettivo dei cittadini, sia
potuto nascere e svilupparsi in un mo-
vimento di resistenza e di liberazione
così ampio e forte da sconfi ggere il
regime nazifascista. Anche oggi, nei
momenti così diffi cili e drammatici che
il Paese sta attraversando, difronte ad
atteggiamenti di sconforto e di dispe-
razione, l’esperienza della Resistenza
e della lotta di liberazione rappresenta
un riferimento luminoso che testimo-
nia le virtù e le grandi risorse morali
del nostro popolo. Lo ricordiamo a noi
stessi, ai democratici, agli antifascisti,
ai più giovani che non hanno vissuto
quella storia,ma anche e soprattutto a
coloro che hanno tentato di sopprime-
re questa festa, la festa della Libera-
zione che ricorda uno dei momenti più
alti della storia d’Italia quando il popo-
lo ha preso nelle sue mani il destino
e la dignità nazionale del paese che
i fascisti avevano messo in mano allo
straniero invasore.Non dimentichia-
mo e ricordiamo che la Resistenza
e la lotta di liberazione, fi n dai primi
momenti, trovarono il sostegno nell’a-
zione clandestina di partiti, movimenti
e intellettuali i quali organizzarono il
coordinamento delle attività e garan-
tirono lo sbocco politico al movimento
democratico con il referendum per la
Repubblica e fu la costituzione del
nuovo stato democratico dotandolo
di una costituzione straordinariamen-
te avanzata. Per questo si dice che la
Costituzione è nata dalla Resisten-
za: essa racchiude in se la sensibi-
lità e le correnti culturali e politiche
che avevano lottato per costruire un
nuovo stato con cui si cancellava de-
fi nitivamente il regime fascista che
aveva fatto del sopruso, della discri-
minazione e della violenza il suo tratto
caratteristico nella repressione di ogni
istanza di libertà, di democrazia e dei
diritti fondamentali dell’uomo. In quei
ragazzi ed in quelle ragazze vi era
dunque una grande ansia di futuro,
di un futuro condiviso e non legato
egoisticamente al proprio benessere
materiale; un futuro in cui la sorte di
ciascuno fosse intimamente connes-
sa a quella dell’intera comunità. Certo
abbiamo ben presente che si tratta di
una società profondamente diversa
da quella di oggi, fortemente segnata
com’ era dalla sua connotazione pre-
valentemente agricola e dai caratteri
di solidarietà e di socialità che le era-
no propri, tali da esprimere un forte
senso del bene comune.
Era il grande patrimonio di cui ci ha
parlato Pier Paolo Pasolini, che ma-
gistralmente ce ne ha descritto la
progressiva dispersione in nome di
un consumismo sfrenato ed arrogan-
te fi no al punto di provocare la deva-
stazione culturale ed ambientale della
società e del territorio del nostro Pa-
ese. La ricerca sfrenata del benesse-
re materiale individuale ha prodotto,
insieme all’indubbio miglioramento
delle condizioni materiali di vita di mi-
lioni di persone, anche conseguenze
molto negative sul piano dell’identità
storica e delle relazioni interperso-
nali, sociali e perfi no affettive dando
luogo ad atteggiamenti caratterizzati
dall’idea del denaro e della ricchezza
come interesse fondamentale su ogni
altra cosa. Tutto questo ha infl uenzato
ogni aspetto della vita collettiva: dalla
politica alle professioni, dalle relazio-
ni sociali al concetto di libertà, in ogni
ambito della società la rincorsa all’ar-
ricchimento facile è diventata l’obbiet-
tivo prevalente fi no al punto di dar cor-
po a diffusi fenomeni di corruzione. La
politica ha fi nito per essere sovrastata
da altri poteri (il potere fi nanziario, il
“la memoria batte nel cuore del futuro”
25 APRILE
FESTA DELLA LIBERAZIONE
3
potere dei media,ecc.) che si sono
rafforzati sull’esasperazione paros-
sistica dell’arricchimento facile fi no al
punto di far ritenere che il mondo po-
tesse vivere senza produrre ma spe-
culando sulla ricchezza accumulata.
Il risultato è che le disuguaglianze
sono enormemente aumentate: i ric-
chi sono diventati sempre più ricchi e i
poveri sempre più numerosi e sempre
più poveri come dimostrano i dati rela-
tivi alla distribuzione della ricchezza.
Siamo fi niti molto lontano dal pun-
to che aveva dato origine alla scelta
e al sacrifi cio di tanti giovani nella
Resistenza,la giustizia sociale,il so-
gno di un mondo più equo, più giu-
sto. In questa condizione il richiamo
sacrosanto alla coesione sociale,
per quanto autorevole e condivisibi-
le, rischia di essere vano. E’ diffi cile
chiedere ancora sacrifi ci a chi vive
in una povertà insostenibile quando
dirigenti pubblici, manager hanno sti-
pendi trenta,quaranta volte più alti . E’
diffi cile chiedere ai lavoratori italiani di
moderare le richieste quando il con-
fronto tra i loro salari e quelli di altri
lavoratori europei dimostra che sono
più bassi della metà. Ancor più insop-
portabili diventano gli atti unilaterali di
discriminazione dei lavoratori in ragio-
ne della loro appartenenza sindacale,
l’esclusione delle bacheche di gior-
nali non graditi alla FIAT , la pervicace
volontà di abolire l’art. 18 dello Statu-
to dei lavoratori posto a difesa degli
stessi dai soprusi nei luoghi di lavoro
facendo falsamente credere che gli
stranieri non investono in Italia.
La verità è che nel nostro paese c’è
chi pensa di uscire dalla crisi restrin-
gendo i diritti, in un clima di scontro e
sopraffazione, piuttosto che dare cor-
so, fi nalmente, ad una vera politica
industriale che sia in grado di attrarre
gli investitori molto più interessati ai
progetti di sviluppo, di ricerca e di in-
frastrutture piuttosto che dall’art. 18.
La situazione di grave disagio di parti
sempre più estese di popolazione e
l’entità della posta in gioco nello scon-
tro sociale aperto nel Paese alimenta-
no, da una parte, i tentativi di incana-
lare la protesta verso forme violente
e dall’altra la tentazione di risposte
autoritarie strumentalizzando l’ansia
e la paura per il futuro per giustifi care
atteggiamenti razzisti e xenofobi volti
a colpire la natura drammatica dello
Stato e la convivenza civile. In questo
contesto si colloca il tentativo di rileg-
gere la storia del paese e di rimettere
in discussione l’evoluzione e il signifi
cato di fatti storicamente accertati da
cui ha avuto origine e consolidamento
l’unità d’Italia, dal Risorgimento fi no
alla Resistenza.Per questo si tenta di
equiparare coloro che hanno portato
il Paese alla rovina con coloro che lo
hanno sollevato e ricostruito moral-
mente e materialmente. Il revisioni-
smo è parte di un’operazione messa
in campo per motivare e sostenere la
nascita di gruppi, organizzazioni ed
associazioni che hanno lo scopo di
rilanciare l’ideologia nazista e fascista
come risposta alla crisi e al disagio so-
ciale. Come si vede questione sociale
e questione politica si intrecciano ed
in assenza di una soluzione politica
prendono forma fenomeni che posso-
no sfuggire al percorso democratico
per sfociare in ipotesi autoritarie. Oc-
corre un progetto che sappia indica-
re una prospettiva al Paese lungo un
percorso di forte cambiamento dall’i-
dea stessa di sviluppo che abbiamo
avuto fi no ad oggi. L’autorevolezza
delle istituzioni e della politica si ricon-
quista con la credibilità del progetto
che sta alla base del patto sociale.
All’interno di questo percorso l’ANPI
trova le sue ragioni su un rinnovato
impegno che continuerà anche dopo
la scomparsa dei suoi soci fondato-
ri che sono stati i protagonisti diretti
della Resistenza e della Liberazione.
L’antifascismo non è una professione
di fede che appartiene al passato, ma
un insieme di valori che servono a
leggere e ad interpretare la realtà di
oggi, che ci consente di pensare al
futuro con la tensione morale e politi-
ca necessaria per costruire una socie-
tà pacifi ca e non violenta, una società
in cui il confl itto sociale sia risolto con il
confronto e non con la sopraffazione,
lo sfruttamento e la violenza politica.
Così come vuole la nostra carta costi-
tuzionale. Gli antifascisti di oggi sono
dunque i partigiani della Costituzione.
Essa, come disse Piero Calamandrei,
è il testamento che ci hanno lasciato
tutti coloro che hanno combattuto e
spesso sono morti per la nostra libertà;
è il nostro riferimento ideale e il nostro
programma per la costruzione di una
società giusta,libera e democratica.
W il 25 Aprile.
W la Festa della Liberazione.
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A ROMA ? BANDIERA ROSSA!A CURA DI ELVIO CICOGNANI
Mentre nelle città del Centro e del Nord Italia e particolarmente a Bologna, Firenze, Genova, Milano, Torino e nella
stessa Forlì, la Lotta Armata contro i nazifascisti fu opera quasi esclusivamente dei G.A.P. (Gruppi di Azione Patriottica)
con qualche intervento delle S.A.P. (Squadre di Azione Patriottica), destinata alla Resistenza prevalentemente nelle
fabbriche, nelle periferie e nelle campagne, a Roma ci fu soprattutto una forte e signifi cativa presenza di una Formazio-
ne partigiana eterogenea, composta da Comunisti dissidenti, Socialisti, Anarchici, Cattolici-comunisti e Cristiani-sociali,
denominata “Bandiera Rossa” che non si riconobbe nel Comitato di Liberazione Nazionale e che sostanzialmente fu
compatta nella critica radicale al P.C.I., a cui pesantemente si addebitò la rinuncia alla politica di classe.
...Noi della Formazione “Bandiera Rossa”
abbiamo combattuto con i compagni del
Partito Comunista; azioni facevano loro
azioni facevamo noi e azioni abbiamo
fatto insieme, perché la guerra contro il
nazismo e il fascismo era una guerra totale,
senza distinzioni di barriera. Per noi alla
a base non c’era distinzione, l’urto c’era
tra la direzione del P.C.I. e la direzione
del Movimento Comunista d’Italia...
Orfeo Mucci, falegname,
Commissario Politico di “Bandiera Rossa”
….Forse sbaglio, ma sono convinto che la mia Patria, la mia
vera Patria non mi possa rimproverare nulla. La mia vera Patria,
quella per cui ho combattuto nell’altra guerra, quella che ora mi
ha spinto ad agire contro la Patria falsifi cata dai fascisti, mi
sarà sempre benigna, come al fi glio prediletto...Mandami un
po’ di pane se ti è possibile. Voglio dividerlo con quei nostri
compagni che soffrono le mie stesse pene...Sai quanto ho
amato i compagni: quelli pronti come me ogni momento alla difesa degli sventurati; tutti sognavano di stare
sullo stesso piano senza che l’uno sorpassasse l’altro: una società così, sarebbe stata bella, mamma!...
tuo fi glio Romolo
Lettera alla madre di Romolo Jacopini,
Comandante di “Bandiera Rossa”, fucilato
a Forte Bravetta il 2 febbraio 1943
(da: “Lettere di condannati a morte della Resistenza Italiana)
Il “Movimento Comunista d'I-talia”, più noto come “Bandiera Rossa”, dal nome del suo gior-nale, è una Formazione politica di Sinistra, sorta a Roma, dopo l'8 settembre 1943, per condurre la Lotta Armata contro i Tedeschi e i fascisti. Nato dalla fusione dei Gruppi “Scintilla” e “Matteotti” è in dissenso col P.C.I. ( Partito Co-munista Italiano). Il dissenso, ab-bastanza marcato, riguarda le mo-dalità del cosiddetto “Centralismo democratico” e a differenza di al-tri Movimenti dissidenti del P.C.I., quali ad esempio “Stella Rossa” di Torino, il Movimento “Bandiera Rossa” non si fa assorbire dal Par-tito né durante il periodo clandesti-no né dopo la Liberazione. Continuerà ad operare fi no al 1946, quando per le diffi coltà di svolgere attività politica a livello
nazionale e di pubblicare un pro-prio organo d’informazione si scio-glie e la maggioranza entra nel P.C.I. Il Movimento si costituisce nella seconda metà dell'agosto 1943 e vi confl uiscono i “vecchi Com-pagni” di “Scintilla”, oscillanti tra il vero centralismo democratico e orientamenti anarchicheggianti, piccoli Gruppi di Socialisti e Co-munisti sopravvissuti al fascismo, come quelli di Antonino Poce; Libertari e Socialisti di Sinistra come Ezio Malatesta e Carlo An-dreoni; militari antifascisti come Roberto Guzzo, Aladino Govo-ni e Nicola Stame. Alcuni di loro, come Raffaele De Luca, Anto-nio Francesco Cretara, Orfeo Mucci, Augusto Raponi, Pietro Battara, Nicola Ugo Stame e Quinto Sbardella, formeranno il
Gruppo dirigente di “Bandiera Rossa”. Ezio Malatesta, fi glio di Alberto Malatesta ex deputato socialista di Novara, inizialmente insegna al Liceo Parini di Milano, poi diventa Direttore della Rivista “Cinema e Teatro” e all’inizio del confl itto ar-mato diventa giornalista e Redat-tore del “Giornale d’Italia”. Tradito da un avventuriero che col-labora con la Gestapo, il sedicente avvocato Sofi a-Moretti, infi ltratosi tra i vertici di “Bandiera Rossa”, viene catturato dai nazisti; dopo essere stato torturato per giorni, verrà trucidato con altri compagni di lotta il 2 febbraio 1944 a Forte Bravetta. Sarà decorato di Me-daglia d’Oro al Valore Militare alla Memoria.Un’altra delle più note fi gure di “Ban-diera Rossa” è Romolo Jacopini.
Il numero di Bandiera Rossa del 7/11/1943
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Combattente e ferito nella Prima Guerra Mondiale, nel dopoguerra diventa operaio specializzato alla Scalera Film di Roma. Entrato in contatto con il Movimento, dopo l’8 settembre 1943, diventa Capo militare della V Zona. Per le sue azioni coraggiose viene chiama-to il “Comandante di Trionfale”. La sua Banda nasconde i prigio-nieri alleati, compie colpi di mano contro convogli tedeschi; diffonde stampa clandestina e collabora anche con il C.L.N. locale. Du-rante una sua audace azione fa saltare alla stazione ferroviaria di Littoria un vagone nazista cari-co di armi. Arrestato il 6 dicembre 1943, insieme ad altri Partigiani di “Bandiera Rossa”, davanti al Ci-nema Principe, da elementi delle SS guidati da un delatore, verrà tradotto nelle Carceri di Via Tas-so. Dopo essere stato più volte sottoposto a torture verrà trasferi-to nelle Carceri di Regina Coeli. Il 2 febbraio 1944 sarà fucilato a Forte Bravetta. Tra la caduta del fascismo e l’Armistizio, “Bandie-ra Rossa” vedrà un’impennata di adesioni, come quelle dello scrit-tore Guido Piovene e di Giancar-lo e Gianmatteo Matteotti, fi gli del Martire Giacomo, che faranno accrescere notevolmente il presti-gio dei cosiddetti “comunisti in-transigenti”. Fra i combattenti c’è anche un giovane, Ugo Zatterin, futuro commentatore e giornalista della Televisione italiana.A “Bandiera Rossa” si aggrega anche un Capitano dei Granatie-ri, Aladino Govoni, che in prece-denza aveva combattuto a Porta San Paolo e che diverrà il Co-mandante Militare del Movimento; catturato dai nazisti in una latteria di Sant’Andrea delle Fratte in se-guito ad una spiata, verrà portato a Via Tasso e morirà alle Fosse Ardeatine. Il Movimento acquista sempre più un carattere popolare e ha largo seguito tra i lavoratori e tra gli abitanti delle Borgate, anzi in alcune Borgate romane risulta l’unica forza politica antifascista attiva presente; le sue azioni, so-prattutto sino alla fi ne del febbraio 1944, sono più numerose di quelle attuate dai Gruppi del P.C.I.; Il Mo-vimento, infatti si allarga oltre la città, soprattutto alla periferia della Capitale e nelle campagne del La-zio, a Genezzano, Guadagnolo,
Leonessa, fi no a Littoria, a Tar-quinia e a Viterbo, tra le Ban-de guidate da Alvaro Marchini, Pompilio Molinari e da Pietro Amendola, fratello di Giorgio Amendola. A Viterbo vi capeg-giano i fratelli Alfredo e Attilio Vagnoni che danno fi lo da torcere al fascismo fi no dal suo sorgere.Delle Formazioni di “Bandiera Rossa” fanno parte intellettuali, ar-tigiani, operai e contadini. Il Movi-mento conta numerosi aderenti tra il personale dei Ministeri Militari, delle Poste e Telegrafi , della So-cietà Telefonica T.E.T.I., della Sta-zione Radio, delle Ferrovie, delle Offi cine di Produzione Bellica e dell’Amministrazione Capitolina (allora Governatorato).Il 9 settembre 1943, ad occorrere in difesa di Porta San Paolo dai Tedeschi, ci sono anche i militanti di “Bandiera Rossa”, che nella bat-taglia hanno il loro primo caduto: il sedicenne Antonio Calvani, il quale scappa da casa e va a com-battere alla Magliana con il Capi-tano dei Granatieri Aladino Govo-ni. Spoglia un granatiere caduto, si mette la sua divisa, si mette la sua giacca e comincia a sparare fi no a quando viene colpito a mor-te: “...Granatiere fra i granatieri, si arma di un fucile e accorre da par suo...spara col fucile, colpi-sce ed è colpito”.Il Movimento, in seguito, avvia degli incontri con i Dirigenti del P.C.I. per entrare nel Partito, ma ne emerge un profondo dissenso politico
che porta “Bandiera Rossa” ad operare da sola senza aderire al C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale). Il dissenso principale, a livello politico, riguarda la possi-bilità dell’adesione al P.C.I. solo a livello individuale e non come Mo-vimento; a livello operativo nella Resistenza, invece, c’è la “Que-stione monarchica”; il Movimen-to è infatti un tenace assertore del-la “Repubblica” e si pronuncia per l’abbattimento della Corona e per la caduta del Governo Badoglio. Così “Bandiera Rossa” si organiz-za per conto suo e crea numerosi “Gruppi di combattimento” (Cel-lule), aventi ciascuno un Capo che ne coordina l’attività. Roma viene divisa in sei “Zone operati-ve”, in ciascuna delle quali opera una “Cellula”, formata da un mas-simo di cinque o dieci uomini. La trattoria della madre di uno di loro, Vincenzo Pepe, Antonietta Rus-so, in via Torpignattara 28, diventa la “base” del Movimento. All’inizio di ottobre 1943 è costitu-ito il “Gruppo dirigente” formato da 16 elementi , alle cui dipenden-ze ci sono due “Comandi milita-ri” che guidano le “Bande inter-ne”, operanti in città, e le “Bande esterne”, operanti fuori Roma, soprattutto nella Zona dei Castel-li. C’è anche un “Comitato per la stampa e la propaganda”, incari-cato di stampare e diffondere l’or-gano del Movimento, “Bandiera Rossa”, diretto da Felice Chilan-ti, il cui primo numero è pubblicato nell’ottobre 1943. Il primo novem-bre 1943, proprio in alternativa al C.L.N., “Bandiera Rossa” promuo-ve la nascita della “Federazione Repubblicana Sociale”, al fi ne di raccogliere nelle sue fi le tutti i Re-sistenti antidinastici e antiborghe-si. In poco tempo “Bandiera Ros-sa”, con le Borgate per retrovia, diverrà la realtà resistenziale più consistente del Lazio, tanto che si parlerà di 40.000 militanti inqua-drati e 4.000 Partigiani in armi al passaggio del Fronte. Le adesioni a “Bandiera Rossa”, purtroppo non avvengono con le dovute precauzioni per cui il Mo-vimento viene facilmente “infi ltra-to” da spie al soldo dei nazifasci-sti, che fanno catturare, con le loro delazioni a pagamento, molti militanti, parecchi dei quali sono torturati nelle carceri di via Tasso
La tessera di Bandiera Rossa
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e nelle sedi della Banda Koch e poi fucilati a Forte Bravetta. Fra i ventuno fucilati va ricordato in par-ticolare Aldo Guadagni, torturato e poi ucciso a via Tasso nell’ottobre 1943 da un’Uffi ciale della Gestapo, con un colpo di pistola alla nuca, perché non rivela i nomi dei suoi compagni di lotta.E’ contro “Bandiera Rossa” che viene celebrato il primo grande pro-cesso contro la Resistenza Roma-na. Si svolge il 27 gennaio 1944 nella Sede nazista dell’ Albergo Flora, in Via Veneto contro undici Partigiani: Ettore Arena, Benve-nuto Badiali, Bitler Branko, Ot-tavio Cirulli, Romolo Jacopini, Ezio Malatesta, Carlo Merli, Au-gusto Parodi, Gino Rossi, Quiri-no Sbardella, Filiberto Zolito. La Giuria, presieduta dal Consigliere del Tribunale di Guerra dell’Aero-nautica, Dr. Winden, è composta dal Tenente Colonnello Alberti, Comandante dello Stato Maggiore di Roma, dal Sottotenente Kausch, del IV Reggimento Corazzato Goe-ring, dal Consigliere del Tribunale di Guerra dell’Aeronautica Gri-schat. Il Cancelliere è il Caporal-maggiore Fritzch. Gli imputati ven-gono trasportati in udienza in taxi, quando è ancora notte. La senten-za è una delle poche sentenze del Tribunale Tedesco pervenute. “La confessione completa e degna di fede da parte degli imputati” permette agli inquirenti di accerta-re che il Movimento Comunista d’I-talia si propone di creare un’orga-nizzazione armata e di metterla in collegamento con altre Bande per
aggredire le Truppe Tedesche. Agli imputati non vengono contestate “azioni armate”: per emettere la condanna è suffi ciente che gli indi-ziati abbiano raccolto e trasporta-to armi o che siano a conoscenza delle fi nalità dell’organizzazione di cui facevano parte. Tutti gli undici componenti saranno condannati a morte e fucilati a Forte Bravet-ta il 2 febbraio 1944 “per tentativi di atti di violenza ai danni delle Truppe di occupazione germa-niche”. Il plotone d’esecuzione è composto, come sempre, da po-liziotti della P.A.I. ( Polizia Africa Italiana); quelli che non muoiono subito vengono “fi niti” con colpi alla nuca dalle SS tedesche. Uffi cialmente il Movimento “Ban-diera Rossa” ha, nei nove mesi di occupazione nazista di Roma, 186 morti, 43 feriti, 187 arrestati e deportati in Germania, su 685 Pa-trioti e 1.183 militanti, riconosciuti come Partigiani combattenti. Molti di loro, pur avendo combattuto va-lorosamente, non chiederanno il riconoscimento né come Partigiani né come Patrioti, mantenendo fede allo Statuto del Movimento, che im-pone ai combattenti di non richie-dere alcuna onorifi cenza al valore né particolari privilegi, in quanto essi si ritengono “combattenti per la Libertà del proprio Paese”.A Forte Bravetta vengono fuci-lati 21 militanti e nell’ Eccidio del-le Fosse Ardeatine sono ben 62 quelli di “Bandiera Rossa” che vengono trucidati, tra i quali alcuni Dirigenti, come Aladino Govoni e Nicolò Stame.
Da sinistra Orfeo Mucci, Antonio Poce e Francesco Cretara
I militanti di “Bandiera Rossa” par-tecipano attivamente alla Resisten-za, compiendo diverse azioni ar-mate e non armate.Va ricordata, tra le azioni non ar-mate, la diffusione di volantini con-tro la “Banda di Palazzo Braschi” dei fascisti Bardi e Pollastrini. Nel novembre 1943 sono gettati con-temporaneamente, alle ore 17, dai loggioni di 35 sale cinematografi -che di Roma oltre 2.500 volantini che denunciano l’attività criminosa del Gruppo Dirigente del ricostitu-ito Partito Fascista Repubblicano. Mentre due Patrioti provvedono al lancio dei volantini, altri due sono in platea pronti ad intervenire, in caso di necessità, in aiuto dei compagni. Inoltre “Bandiera Rossa” sottrae agli occupanti e ai loro collaboratori fascisti derrate alimentari per distri-buirle alla popolazione affamata e si impegna nel sostegno solidale ai soldati italiani sbandatisi dopo l’ar-mistizio e impossibilitati a rientrare nel Sud, e agli ex prigionieri alleati. “Bandiera Rossa” ha molti nascon-digli di munizioni ed armi, uno dei quali, il più importante, è nell’orto della famiglia Belardi, sulla via Ca-silina, a Torpignattara.Nelle fi le di “Bandiera Rossa” ope-rano anche una trentina di Sovieti-ci, ex prigionieri di guerra fuggiti dai Campi di concentramento di Mon-terotondo e aggregati alla Banda “Demetrio”, composta da Antifasci-sti delle Borgate di “Primavalle” e di “Forte Boccea”, comandata da Augusto Dominicis. Due di questi Sovietici, Ostapienko e Kubiskin, catturati dai nazisti, sono rinchiusi nei locali di tortura di Via Tasso, ma nel marzo 1944 il medico partigia-no Loris Gasparri, che è riuscito ad avere collegamenti con un ele-mento della Gestapo del Comando della Polizia di Sicurezza, con una azione coraggiosa riesce a liberar-li. Per quanto riguarda le azioni ar-mate, “Bandiera Rossa” diventa la formazione partigiana romana più temuta e quindi più tenacemente perseguitata dai nazifascisti: lo si capirà drammaticamente con l’ Ec-cidio delle Fosse Ardeatine. Al momento dell’azione partigiana di Via Rasella, “Bandiera Rossa” ha numerosi detenuti nelle mani degli aguzzini di Via Tasso, perciò sarà il Movimento partigiano che avrà più martiri in quella strage: ben 62 trucidati, un sesto del totale.
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Non per questo cessa la sua atti-vità. Proprio nel trigesimo dell’ec-cidio delle Fosse Ardeatine i suoi Partigiani compiono un gesto di singolare coraggio: un Gruppo di dieci-undici elementi, comandati da Orfeo Mucci, si recano di sera all’ingresso delle Fosse, disarmano i militari della P.A.I. (Polizia Africa Italiana) messi di guardia dai na-zisti, proprio per impedire adunate, e appendono un grande cartello con la scritta: “I Partigiani di Ban-diera Rossa vi vendicheranno”. Un’altra azione tra le più audaci di “Bandiera Rossa” è quella compiu-ta dal Maresciallo dell’ Aeronautica Vincenzo Guarniera (Tommaso Moro) che con una ventina di Par-tigiani travestiti da militi della P.A.I. riesce a liberare sette Antifascisti che devono essere fucilati nel pe-rimetro di Forte Bravetta. Sempre per opera di “Bandiera Rossa” il 21 dicembre 1943 viene fermato un treno all’altezza della stazione Ca-silina, sono uccisi cinque Tedeschi e liberati duemila rastrellati prove-nienti dai dintorni di Roma e diretti in Germania.Sempre in quella terribile prima-vera romana del 1944, “Bandiera Rossa” si rende protagonista di un altro fatto clamoroso. Per il Primo Maggio, in una Capitale ancora sotto assedio, il Movimento esce allo scoperto e, una volta neutra-lizzati gli sgherri fascisti, celebra la Festa Internazionale dei Lavoratori nel Quartiere di Torpignattara, con decine di bandiere rosse appese e centinaia di volantini distribuiti alla popolazione. La manifestazione termina alla Certosa, in piazza, da-vanti a centinaia di persone, dove Orfeo Mucci tiene il comizio del “Primo Maggio”. In seguito si parle-rà e si ricorderà della “Repubblica Autonoma di Torpignattara e Cer-tosa”, un territorio dove i Partigiani agiscono alla luce del sole; basta pensare che sulla Piazza della Ma-ranella l’Uffi ciale di Marina Antonio (Uccio) Pisino fa persino lezioni di montaggio e smontaggio delle armi agli abitanti del Quartiere! La sera del 4 giugno 1944 arrivano le Truppe Alleate. Nelle ore prece-denti sui tetti di molti palazzi di Tor-pignattara i Partigiani di “Bandiera Rossa” posizionano bombe, mitra-gliatrici e bottiglie incendiarie per colpire i Tedeschi in ritirata. Il primo carro armato americano
entra in Roma da Piazza Lodi: sopra a far da guida, stanno, ar-mati ed euforici, due Partigiani, i fratelli Pepe Vincenzo e Pepe Vittorio, Comandanti di Zona di “Bandiera Rossa”, ma l’insurre-zione di Roma, auspicata anche da “Bandiera Rossa”, purtroppo non ci sarà. Comunque per qualche tem-po si spara ancora. I Partigiani di “Bandiera Rossa”, nella mattinata del 5 giugno hanno uno scontro a fuoco coi nazifascisti a Palazzo Sciarre e un altro a Corso Rina-scimento. L’ultimo Partigiano mor-to a Roma, alle cinque del pome-riggio, sarà di “Bandiera Rossa”: Pietro Principato, Capo Zona a Villa Cutola, ucciso da un cecchi-no fascista mentre svolge il servizio di collegamentoDopo la Liberazione di Roma, Il Mo-vimento costituisce un embrione di Esercito Popolare di Liberazione, denominato “Armata Rossa”, che però sarà sciolto quasi subito, nel luglio, in seguito a forti pressioni del P.C.I.Il 16 luglio, in una larga Assemblea di Dirigenti delle Organizzazioni dei Quartieri, viene deciso lo sciogli-mento del Movimento. La grande maggioranza dei militanti si iscrive al P.C.I., seicento fra uomini e don-ne; altri, come i fratelli Giancarlo e Gianmatteo Matteotti, compiran-no scelte diverse. Nonostante che il sangue dei Martiri di “Bandiera Rossa” abbia irrorato i campi di battaglia della Resistenza roma-na, oggi poco o nulla si conosce sulla sua Storia perché per anni su di essa si è voluto stendere una
cortina di silenzio. Oggi qualche accenno alla sua attività comincia ad apparire nei più recenti lavori storiografi ci della Resistenza. Un grande riconoscimento è stato dato tempo fa da un grande uomo politi-co e protagonista della Resistenza romana, il Socialista Giuliano Vas-salli, il quale ha scritto che il Movi-mento “Bandiera Rossa” fornì alla lotta contro il nazifascismo “le sue forze migliori e un grande nume-ro di eroici caduti, fra i quali non può non ricordarsi senza com-mozione il Gruppo degli eroici giovani fucilati a Forte Bravetta la mattina del 2 febbraio 1944”.Dalla battaglia di Porta S. Paolo al 5 giugno 1944 “Bandiera Rossa” ha fatto dunque il suo dovere sul piano della Lotta armata antfascista ed antitedesca, sacrifi cando i suoi uo-mini migliori e guadagnandosi per sempre un posto di assoluto rilievo nella Storia della Resistenza roma-na e italiana. Ad Orfeo Mucci, l’ultimo Comuni-sta di “Bandiera Rossa”, fi no alla morte è rimasta intatta la fede di sempre; egli ha potuto dire con or-goglio di non essere mai venuto a compromessi con il totalitarismo, “nero” o “rosso” che fosse. Iscrit-to a “Rifondazione Comunista” ha portato con fi erezza ed orgoglio all’ occhiello il distintivo dell’ As-sociazione Nazionale Partigiani d’Italia, ma con un piccolo nastro adesivo color rosso ha coperto il tri-colore italiano. Non ha mai smesso di sperare che chi diede la morte ai suoi compagni innocenti pagasse fi nalmente il giusto prezzo.
Partigiani di Bandiera Rossa festeggiano la Liberazione di Roma
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LA BEFFA DI TOMMASO MOROA CURA DI ELVIO CICOGNANI
Il vecchio camion targato RSI-
PAI 924 arranca sull'Aurelia verso
Forte Bravetta. Sono le tre del
mattino del 17 maggio 1944. A
bordo, insonnoliti, venti militi della
PAI (Polizia Africa Italiana) van-
no a fare il plotone d'esecuzione,
al Forte Bravetta, per la fucilazio-
ne di sette Partigiani della Banda
“Tommaso Moro”, inquadrata nel
Movimento comunista di “Ban-
diera Rossa”, catturati una setti-
mana prima e condannati a morte
dal Tribunale di Guerra Tedesco.
Quando il camion rallenta per af-
frontare la curva, leggermente in
salita, che dall'Aurelia immette
sulla via Bravetta - al Forte manca
poco meno di due chilometri - l'au-
tista scorge in mezzo alla strada
due soldati della Feldgendarme-
rie tedesca, uno dei quali leva in
alto una paletta stradale rossa.
-Frena, frena! Chissà che cazzo
vogliono, adesso!- dice il Tenen-
te che siede nella cabina accanto
all'autista e che si chiama Anto-
nio Aliberti, già infuriato per con-
to suo perché non gli va di fucilare
degli Italiani.
Coi freni che stridono, il pesante
veicolo s'arresta. I due poliziotti
tedeschi si accostano, ognuno a
un lato della cabina di guida, e il
Tenente non fa in tempo neppure
di aprir bocca che si vede piazza-
re in faccia la canna di un mitra
e la voce del tedesco gli sibila in
perfetto romanesco: -Devi da fa'
solo 'na mossa e te spappolo
la testa-. Contemporaneamente,
sbucano fuori dai cespugli che
costeggiano l'inizio di via Bravet-
ta altri uomini che, armi alla mano,
immobilizzano rapidamente i militi
nel cassone dell'automezzo.
I ventidue della PAI vengono por-
tati in un fossato poco distante,
spogliati, legati due a due e lascia-
ti a terra sotto la sorveglianza di un
paio di uomini. Altrettanti Partigiani
indossano le loro uniformi, prendo-
no le armi, risalgono sul camion
che col nuovo autista alla guida ri-
parte verso Forte Bravetta. Sono
esattamente le tre e trenta. Il Par-
tigiano che si è vestito da Tenente
e che siede accanto all'autista è
Tommaso Moro, nome di batta-
glia di Vincenzo Guarniera, tren-
tadue anni, Maresciallo motorista
dell'Aeronautica militare datosi
alla clandestinità dopo l'8 settem-
bre 1943. Nato a Catania il 14
aprile 1906, in passato era defe-
rito al Tribunale Speciale Fascista
come “sovversivo” ma assolto il
31 maggio 1930. Arruolatosi nella
Leva di Marina, torna sotto le armi
nel 1936, come motorista nel som-
mergibile “Goffredo”. Conseguito
il brevetto di pilota civile, all'inizio
della Seconda Guerra Mondiale è
assegnato all'Aeronautica. Deco-
rato di Medaglia d'Argento al Valor
Militare, raggiunge il grado di Ma-
resciallo. Dopo l'otto settembre,
trovandosi a Roma decide di pren-
der parte alla Lotta di Liberazione.
In seguito aderisce al Movimento
Comunista di “Bandiera Rossa”
e forma una Banda combattente
che porta il suo nome nella quale
confl uiscono molti dei suoi avieri.
La Banda effettua il primo colpo
nella notte tra il 4 e il 5 ottobre
1943. Un'autocolonna tedesca so-
sta sul Piazzale di Ponte Milvio,
in attesa di riprendere la strada
verso il Fronte. Tommaso Moro e
i suoi uomini abbattono con i pu-
gnali due sentinelle e piazzano
cariche esplosive sotto a quattro
automezzi, uno dei quali traspor-
ta munizioni. Salta in aria l'intera
colonna; i Tedeschi pensano a un
incidente poi scoprono il corpo bru-
ciato di una delle sentinelle con un
pugnale confi ccato nelle scapole
e danno la colpa a “paracadutisti
americani”, come è scritto in un rap-
porto della Polizia Militare Tedesca.
Ma ben presto dovranno cambiare
idea. Le azioni della Banda Moro si
intensifi cano. A metà novembre, al
ventiquattresimo chilometro
dell’ Aurelia, i suoi uomini sbarra-
no la strada con grossi tronchi e
massi di pietra, formando un vero
e proprio posto di blocco. Vi incap-
pano ben sette automezzi tede-
schi, uno dei quali ha a bordo due
Uffi ciali superiori della Wehrmacht
che vengono uccisi. Tommaso
Moro recupera le armi e prima di
eclissarsi lascia sulla barricata un
cartello con su scritto, in Tedesco
e in Italiano: “Deutsche und Fa-
schisten, in Rom werdet ihr ein
schneres leben haben- Tede-
schi e fascisti, a Roma avrete
la vita diffi cile. Tommaso Moro,
Partigiano-”
Verso la fi ne del dicembre 1943
Tommaso Moro riesce a mettere
insieme una trasmittente con la
quale si mette in contatto col Co-
mando inglese dell' VIII Armata
chiedendo armi. Gli Inglesi ci van-
no cauti, rispondendo che voglio-
no garanzie che la Banda “sia re-
almente combattente e priva di
infl uenze comuniste”. Tommaso
Moro risponde: -Non vogliamo
armi con la garanzia- e seguita a
rifornirsi, prendendo mitra, pistole
e munizioni ai Tedeschi. Ma con
lo sbarco di Anzio gli Alleati hanno
bisogno anche di lui e gli chiedo-
no di far saltare la linea ferroviaria
Genova-Roma per interrompere
il fl usso dei rifornimenti tedeschi.
-Prima le armi- risponde Tomma-
so Moro, così gli Inglesi cedono
e gli fanno due aviolanci “senza
garanzie” nelle campagne di Tor-
rimpietra, annunciandogli con un
messaggio speciale di Radio-Lon-
dra che “Tommaso ha una bella
macchina da scrivere”. All’inizio
del marzo 1944 quattro chilometri
di strada ferrata, alla Magliana,
saltano in aria. La linea, essen-
ziale per il fl usso dei rifornimenti
a Kesserling, rimane inattiva per
due settimane.
La reazione tedesca è rabbiosa. Al
Comando nazista dell’Hotel Con-
tinentale giunge un fonogramma
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dello stesso Feldmaresciallo che, dalla
sua tana del Monte Soratte, ordina di cat-
turare vivo o morto “quel bandito che si
fa chiamare Tommaso Moro”. Sulla sua
testa si giunge perfi no a porre una taglia,
astronomica per quei tempi, di 1.500.000
Lire. Le spie fasciste sono già in moto,
il Maggiore delle SS Seartenlander, che
insieme al Capitano Erich Priebke è uno
dei vice di Kappler, si dedica personal-
mente all’operazione. Così una notte le
SS circondano una casa di Primavalle e
catturano sette uomini di Tommaso Moro.
Lui, però, per un caso fortuito, quella not-
te dorme in un altro rifugio.
Ritorniamo ora al mattino del 17 mag-
gio 1944. Sono le tre e quarantacinque
quando il camion della PAI giunge da-
vanti al grosso portone di ferro del Forte
Bravetta. All’interno ci sono i sette uomini
della sua Banda, catturati dalle SS, che
devono essere fucilati e Tommaso Moro
ha deciso di giocare il tutto per tutto per
riprenderseli, per tirarli fuori vivi e liberi,
dal carnaio del Forte Bravetta. Nel breve
tratto verso il Forte si è studiato bene i
documenti presi nelle tasche del Tenen-
te Aliberti, gli uomini travestiti da “paini”
sono ben istruiti, ognuno sa perfettamen-
te cosa fare. I battenti del Forte si aprono,
il camion entra lentamente fermandosi
nello spiazzo del primo cortile. Un Capi-
tano tedesco del Tribunale Militare e un
Maggiore italiano della G.N.R. sono fermi
da una parte, alcuni funzionari fascisti in
borghese si avvicinano a Tommaso Moro
che scende dalla cabina e si presenta sa-
lutando: -Tenente Aliberti, agli ordini!-.
E’ il momento più rischioso, qualcuno dei
fascisti potrebbe conoscere il vero Aliberti
e scoprire il trucco. Ma non accade nul-
la: -I condannati sono pronti. Faccia
scendere i suoi uomini e li inquadri-,
dice un funzionario.
Mentre gli uomini scendono e si allinea-
no, Tommaso Moro, con uno sguardo, si
rende conto della situazione. I Tedeschi
sono soltanto due, compreso il Capita-
no venuto a controllare che l’esecuzione
avvenga regolarmente; il pericolo è tutto
nella trentina di militi del corpo di guardia,
brigatisti neri, gente feroce e pericolosa.
Tommaso Moro, però, conta sulla sorpre-
sa, il suo asso nella manica.
Il Capitano tedesco dà un’occhiata all’o-
rologio e dice qualcosa all’Uffi ciale della
G.N.R.. Sono le 4 del mattino. Il brigatista
nero fa schierare i suoi uomini sul lato si-
nistro del terrapieno, dovranno come
sempre assistere alla fuci-
lazione. - Bene, così li ho
tutti a portata di mano-
pensa Tommaso Moro. Lui
e i suoi si schierano, come
un vero plotone d’esecu-
zione. Alcuni militi fascisti,
sbucando dalla portici-
na del Forte che dà sullo
spiazzo delle fucilazioni,
portano un gruppetto di
persone legate tra loro e
le piazzano davanti al ter-
rapieno. C’è un prete, ac-
canto ai condannati, che
parla con loro e li bene-
dice. - Perdio! - impreca
Tommaso Moro dentro di
sé, e in quello stesso atti-
mo coglie lo sguardo di al-
cuni dei falsi militi della PAI
che voltano la testa verso
di lui. E’ ancora scuro, nel
fossato del Forte, i contor-
ni dei volti si impastano
nella penombra del mattino, ma i
sette da fucilare non sono i suoi
uomini. I Tedeschi hanno mutato
le date, oggi tocca a quei sette
che Tommaso Moro non conosce;
ci sono, lo saprà poi, due Gappisti,
tre militari del Fronte clandestino,
due Azionisti. Ma il suo sbigotti-
mento dura poco, gli basta uno
sguardo e un breve cenno della
testa per far capire ai suoi uomi-
ni che non cambia niente.- Pro-
cedere- ordina il Maggiore con la
camicia nera. Tommaso Moro dà
un’ultima occhiata intorno. Il prete
si è allontanato dal terrapieno; tra
i condannati, che hanno le braccia
legate dietro la schiena, qualcuno
prega, si ode distintamente quel
mormorio di preghiere nel silenzio
terribile sceso sullo spazzo erbo-
so. Il gruppetto con i due Tedeschi,
l’Uffi ciale fascista e i funzionari in
borghese, si sono piazzati sulla
destra del plotone d’esecuzione.
L’ingresso di Forte Bravetta
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Tommaso Moro estrae la pistola,
urla -Adesso!- e comincia a spa-
rare insieme ai diciotto uomini del
plotone: una ventata di colpi in-
veste i due gruppi di Tedeschi e
fascisti che cadano falciati, molti
non si rendono neppure conto di
quanto sta accadendo. Resta in
piedi, illeso e atterrito, soltanto il
cappellano del Forte. I sette legati
davanti al parapalle sono sbigottiti
e paralizzati, non credono ai loro
occhi. Un coltello veloce taglia le
loro corde, Tommaso Moro li spin-
ge di furia verso il camion: -Presto,
siamo Partigiani, vi riportiamo a
casa!- urla. Altre raffi che abbatto-
no tre sentinelle fasciste davanti
al corpo di guardia, il portone vie-
ne spalancato, gli ultimi Partigiani
saltano sul camion che parte alla
massima velocità consentita dal
suo motore sfi atato.
Forte Bravetta, il mattatoio di Pa-
trioti è violato; la Resistenza roma-
na ha aggiunto un’altra sanguino-
sa beffa ai nazifascisti. Tommaso
Moro fi la a tutto gas verso l’Aurelia,
verso uno dei suoi rifugi a Cerve-
teri, mentre a bordo i suoi uomini
si sfi lano le divise del PAI e si infi -
lano, ridendo, i loro panni: - Aho !
Ve ne sete presi ‘na bella cacca-
rella , diteme la verità!- dice uno
della Banda ai sette redivivi: - C’a-
vevo creduto sì! C’avevate pure
le facce, da fascisti!- risponde
uno dei sette, tra le risate libera-
torie di tutti.
Vincenzo Guarniera in seguito
attraverserà più volte le linee ne-
miche sul Fronte di Cassino e
compierà varie missioni a Napoli,
rientrando sempre a Roma.
-Vincenzo Guarniera era alto,
bruno, molto magro e molto
romano – scriverà di lui il Gene-
rale Roberto Bencivenga, pro-
ponendolo per la Medaglia d’Oro
al Valor Militare della Resistenza
che gli verrà concessa alla Libera-
zione. Prima, però, sarà il Generale
Harold Alexander in persona, con
una cerimonia nell’Aula del Campi-
doglio, ad appuntargli sulla giacca la
“Bronze Star Medal”, la medaglia
assegnatagli dal Comando Anglo-
Americano “Per l’effi cace, co-
stante aiuto dato all’avanzata
alleata verso Roma e per il pro-
digioso coraggio dimostrato”.
Gli dirà il Generale inglese, strin-
gendogli la mano dopo la conse-
gna della medaglia: - Lei, caro
Guarniera, è stato uno dei primi
uomini della V Armata! -.
Tommaso Moro continuerà ad
operare anche dopo la Liberazio-
ne di Roma; la sua ultima missio-
ne sarà quella di attraversare le
Linee nemiche per portare ai Pa-
trioti fi orentini 716.000 Lire e 53
chilogrammi di medicinali.
Ridiventato Vincenzo Guarniera,
Tommaso Moro torna nella sua
casa di via Ponte Parione e si
mette a fare il meccanico. Non par-
tecipa a cerimonie, è schivo, non
ama parlare delle sue medaglie.
Con la sua piccola offi cina non ri-
esce a tirare avanti, così qualche
tempo dopo si trasferisce a Mila-
no e pian piano anche la gente del
suo Rione lo dimenticherà.
Un saluto….
Pochi giorni fa è scomparsa una protagonista della Lotta di Libe-
razione: Wilma Angelini, staffetta SAP. Quando l’abbiamo incon-
trata qualche anno fa la prima sua affermazione è stata questa:
“ In famiglia non si parlava di politica: non ce n’era il tempo”.
Questo la dice lunga circa la preparazione delle giovani che ne-
gli anni quaranta cominciarono a sentire che qualcosa doveva
cambiare.
Cominciò a partecipare attivamente a riunioni di alcuni coetanei
che facevano discussioni e rifl essioni sul fascismo e iniziò a
portare in giro stampa clandestina e materiale sanitario che usci-
va dall’ospedale per i partigiani in collina eppure sentiva di far
poco per la causa,perché, secondo lei , i veri protagonisti erano
solo quelli operanti sulle nostre montagne. Ricordava con emo-
zione un pezzo da lei scritto per “ La Scintilla “ in cui affermava: “ Le donne non si accontentano più di essere l’ angelo della casa, ma vogliono esserlo per la
società”.
Era inoltre convinta che non fossero stati gli studi, basati su banalità e retorica, a formarla , ma
la Resistenza prima e il partito poi e ancora che durante la lotta di Liberazione nessuno parlava
di appartenenza politica, perché tutti erano uniti contro un comune nemico: il fascismo.
A questa donna, come a tutte le altre protagoniste della Resistenza ,noi dobbiamo dire, ora e
sempre, grazie !
Comitato Femminile ANPI
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Avrei voluto scrivere qualcosa
sugli arditi del popolo , ex combat-
tenti della prima guerra mondiale,
che da eroi resistettero in trecento
a settemila squadristi, a Parma ,
respingendoli, o dei romagnoli in
Spagna sulle orme di un opuscolo
edito dalla provincia di Forlì negli
anni 70, ritrovato on-line sull’archi-
vio Parri a Bologna.
Ma è la cronaca ad avere il so-
pravvento e non voglio e non pos-
so esimermi di dire la mia sulla
affermazione fatta dalla consiglie-
ra Burnacci sulla necessità di cer-
care un Mussolini buono. E visto
che sia la consigliera che il pre-
sunto duce degli italiani condivi-
dono un passaggio dalle fi la della
sinistra socialista ad un populismo
di destra, verrebbe da chiedersi se
Vanda stia facendo autocritica, o,
se la risposta giusta sia quella che
dava il generale Sheridan sugli
indiani: L’unico Mussolini buono è
quello morto.
Ma vogliamo concedere il dubbio
alla consigliera Burnacci, visto che
in taluni sedi si è pensato di dedi-
care cene a colui il cui unico con-
tributo allo gastronomia italiane fu
l’introduzione dell’olio di ricino per
chi dissentiva.
Viviamo in tempi dove la comuni-
cazione è tutto, ed è facile mani-
polare la realtà . Seguelà , nel suo
“Non dite a mia madre che faccio
il pubblicitario, lei mi crede piani-
sta in un bordello” racconta di una
convegno di pubblicitari dove fu
presentato uno spot su di un poli-
tico, che odiava la guerra, perché
vi era rimasto ferito, che amava gli
animali, che era vegetariano, non
fumava e adorava i nativi america-
ni. Finita la proiezione chiese agli
intervenuti se avrebbero votato
quel candidato. Di fronte a un sì
generalizzato, l’autore del fi lmato
si complimentò per l’elezione di
Adolf Hitler. Dobbiamo resistere a
questo pericoloso tentativo di revi-
sionismo storico che ritagliando a
destra e a manca pezzetti confu-
si di verità cerca di far perdere di
vista l’intero disegno, che inequi-
vocabile manda il suo messaggio,
fascismo e nazismo sono il male
assoluto. E ora che persino Fini
l’ha capito, mi sembra che sull’ar-
gomento bisognerebbe mettere la
parola fi ne. Quale sarebbe il Mus-
solini buono? Quello che a Forlì
andava a manifestare contro la
colonna della Madonna in piazza,
quello che parlava nel 1912 con-
tro la guerra, quello che scriveva
alla contessa Merenda, che aveva
protestato in maniera “veemente”
con Rachele Guidi, perché le ave-
va rovesciato per sbaglio un pitale
in testa di rispettare uno donna del
popolo perché aveva gli stessi di-
ritti di un’aristocratica. Ma per cor-
tesia, la signora Burnacci lo vada
a raccontare ai fi gli dei Matteotti, o
dei Rosselli, se ne ha il coraggio,
di questi gesti di bontà. O vada in
Francia a dire che vuole riscoprire
il Laval buono,il giovane socialista
o quello , già di destra, che Time
defi nì uomo dell’anno nel 1931, fu-
cilato per collaborazionismo, com-
plice dei nazisti nell’olocausto, per
sentire cosa le direbbero, ancora
oggi i francesi…
La sentenza su sè stesso Mus-
solini la pronunciò, irrevocabile,
nell’intervento che fece alla Came-
ra dei Deputati il 3 gennaio 1925,
parlando delle responsabilità sui
crimini dei fascisti, e del delitto
Matteotti: ”Se il fascismo è stato
un’associazione a delinquere, io
sono il capo di questa associazio-
ne a delinquere! Se tutte le vio-
lenze sono state il risultato di un
determinato clima storico, politico
e morale, ebbene a me la respon-
sabilità di questo, perché questo
clima storico, politico e morale io
l’ho creato con una propaganda
che va dall’intervento ad oggi.” . I
crimini che sarebbero seguiti, i tri-
bunali speciali, il confi no, l’Etiopia,
con i gas, e le tante crudeltà nelle
colonie e nei territori conquistati, la
Spagna, le leggi razziali, l’entrata
nella seconda guerra mondiale, la
repubblica di Salò con le stragi na-
zifasciste, sono ancora a venire ,
ma quel discorso le raccoglie tutte
senza quel se e senza ma. Musso-
lini fu il capo di quella associazio-
ne a delinquere, e niente e nessu-
no potrà cancellarlo. E spiace che
chi viene dalla nobile storia di un
partito, quello socialista, che tanto
ha dato alla democrazia , cerchi di
trovare un lato buono nel carnefi -
ce, Mussolini, invece di onorare la
vittima, Matteotti.
Ci pensi, consigliera Burnacci…
IL MUSSOLINI “BUONO” di Lodovico Zanetti
“L’intelligenza non avrà mai peso, mai nel giudizio di questa pubblica opinione. Neppure sul sangue dei la-
ger, tu otterrai da uno dei milioni d’anime della nostra nazione, un giudizio netto, interamente indignato: irre-
ale è ogni idea, irreale ogni passione, di questo popolo ormai dissociato da secoli, la cui soave saggezza gli
serve a vivere, non l’ha mai liberato. Mostrare la mia faccia, la mia magrezza - alzare la mia sola puerile voce
- non ha più senso: la viltà avvezza a vedere morire nel modo più atroce gli altri, nella più strana indifferen-
za. Io muoio, ed anche questo mi nuoce.”Pier Paolo Pasolini
La Consigliera Comunale
del PDL Vanda Burnacci
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I NOSTRI LUTTIE’ deceduta ERNESTA SAVOIA (detta “Tina ad Vianova”), vedova Ragazzini.
E’ deceduto ALBERTO BOATTINI di Dovadola.
ANPI Sez. di FORLIMPOPOLI
In collaborazione con il Comune di Forlimpopoli
organizza una Mostra documenti ed immagini
“RESISTENDO” L’inaugurazione avverrà il 24 Aprile 2012
Programma:
Ore 20:00 - Inaugurazione presso la sala mostre in Piazza Fratti
La Mostra resterà aperta al pubblico fi no al 29 Aprile.
Orario, dalle 9:00 alle 12:00.
Ore 21:00 - Presso Teatro Verdi, Piazza Fratti, Forlimpopoli
Monologo di ROBERTO MERCADINI dal titolo
“LA PIU’ SELVAGGIA SETE, LA PIU’ SELVAGGIA FAME”
Ingresso Libero.
SOTTOSCRIZIONILe amiche Fiorella, Oretta, Claudia e Rinetta sottoscrivono euro 70,00 in memoria di WILMA ANGELINI.
Le vicine di casa Marisa Malenco, Marisa Ravaioli, Laura Franceschi sottoscrivono euro 30,00 in memoria di WILMA ANGELINI.
La Staffetta Partigiana Margherita Muratori sottoscrive euro 20,00 a favore di “Cronache della Resistenza”.
In occasione del V° Anniversario della morte ( 13-2-2008) del Partigiano OTELLO SBRIGHI, la moglie Terza e i fi gli Luciano e Nada lo ricordano con affettoe sottoscrivono euro 30,00 a favore di “Cronache della Resistenza”.
In memoria di ERNESTA SAVOIA (detta “Tina ad Vianova”) vedova Ragazzini, la fi glia Roberta Ragazzini sottoscrive euro 160,00 a favore di “Cronache della Resistenza”.
Luciano Neri sottoscrive euro 30,00 a favore di “Cronache della Resistenza”.
Luigi Castellucci sottoscrive a favore di “Cronache della Resistenza”.
Giancarlo Milanesi di Predappio sottoscrive euro 100,00 a favore di “Cronache della Resistenza”.
Antonio Fantini sottoscrive euro 25,00 a favore di “Cronache della Resistenza”.
Antonia Laghi sottoscrive euro 10,00 in memoria di WILMA ANGELINI.
Bruna Fiori sottoscrive euro 10,00 in memoria di WILMA ANGELINI.
Anna Simoncelli sottoscrive euro 10,00 in memoria del fratello NELLO SIMONCELLI.
Fiorella Fiori sottoscrive euro 100,00 in memoria di WILMA ANGELINI.
AVVISOL’ANPI di Forli’- Cesena, comunica che allo scopo di incontrare i giovani e
confrontarsi con loro sul tema della Resistenza, è aperta al pubblico tutti i
venerdì, a partire dalle 20:30, nella sua sede di Forlì in via Albicini 25.
Confi diamo in una numerosa partecipazione.