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Monumenti di Bosa

Monumenti di Bosa. SA COSTA La storia urbana di Bosa sembra articolarsi in rapporto con il castello, la cui mole domina larticolato sistema viario dellantico

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Monumenti di Bosa

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SA COSTA

• La storia urbana di Bosa sembra articolarsi in rapporto con il castello, la cui mole domina l’articolato sistema viario dell’antico borgo di Sa Costa che tradisce un impianto urbano tipicamente tardo- medievale, ravvisabile nei caratteristici viottoli, che seguono le curve altimetriche del colle, raccordati da scalinate in trachite.Lungo le stradine si elevano le caratteristiche abitazioni con un ambiente per ciascun piano. L’apparente disordine è in parte attribuibile a quella “architettura spontanea”, composta di ripetuti interventi strutturali e architettonici che si sono succeduti nel corso dei secoli privi del moderno concetto di piano regolatore. L’insieme di architettura di pregio e di case più povere, si amalgama in un impianto storico che è tra i più originali fra gli insediamenti urbani della Sardegna.

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CHIESA DI SANT’ANTONIO ABATE extra moenia

• La chiesa, appartenuta in origine all’ordine monastico dei Camaldolesi e successivamente a quello dei Carmelitani, è un altro significativo esempio di architettura gotico-catalana presente in città.

• Sorge in prossimità del cosiddetto “ponte vecchio”, in un’area anticamente posta fuori del perimetro murario (moenia), presso la porta del Ponte da cui la denominazione anche di Sant’Antonio del Ponte.

• L’edificio, databile intorno al XVI secolo, impostato su un’unica navata, presenta una volta a crociera che si va a impostare su robusti pilastri addossati ai muri perimetrali, dividendo così lo spazio interno in quattro campate. Il presbiterio, anch’esso voltato a crociera, è diviso dalla navata da un arco trionfale sostenuto da due semicolonne, i cui capitelli, oltre a essere ornati con motivi fitoformi, presentano uno lo stemma degli Aragona, l’altro un moro bendato.

• La facciata è realizzata tutta in trachite rossa locale; sulla sua superficie si apre un portale strombato gigliato sormontato da un rosone modanato, mentre in prossimità della cuspide si rincorrono un serie di archetti a tutto sesto.

• All’esterno il muro perimetrale sinistro è rinforzato e irrobustito da un contrafforte che controbilancia le spinte interne delle volte. Sulla destra, un po’ arretrato rispetto alla facciata, sorge un modesto campanile costruito in epoca recente. Tra le opere conservate nella chiesa si segnalano un’ancona lignea e una statua del Santo, entrambe del XII secolo.

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BASILICA DI SAN PIETRO extra muros

• La chiesa di san Pietro extra muros è ubicata in aperta campagna, lungo la sponda sinistra del fiume Temo, immersa in un pittoresco scenario naturale.

• La scelta del luogo sarebbe stata determinata dalla presenza nel sito dell’antica città di Bosa accertata da numerosissime attestazioni archeologiche. E’ lecito perciò supporre che fosse l’antica cattedrale della diocesi di Bosa. Rappresenta una delle prime e più prestigiose testimonianza dell’architettura romanica di derivazione lombarda in Sardegna. L’edificio è il risultato di un lungo processo edilizio che si svolse in almeno tre fasi diverse. La porzione più antica è datata all’XI secolo, tra il 1062 e il 1073, come risulta dall’epigrafe marmorea di consacrazione, affissa sul primo pilastro a destra della navata centrale, nella quale si legge: << Ego Constantinus de Castra episcopus pro amore Dei, ad honorem Sancti Petri, hanc ecclesiam edificare feci. MLXXIII>>. A questo periodo si fa risalire un primitivo impianto a tre navate con copertura a capriata. Nel XII secolo furono invece costruite la tribuna con una nuova abside, la torre campanaria a canna quadrata, rimasta incompiuta, e probabilmente furono prolungati i muri perimetrali aggiungendo due campate verso sud-est e quattro verso il prospetto; infine al XIII secolo risalirebbe la bellissima facciata, ormai gotica nello stile, opera di Anselmo da Como. Allo stato attuale la chiesa presenta una pianta rettangolare divisa longitudinalmente, mediante pilastri, in tre navate. La navata centrale, assai più ampia e alta delle laterali, è conclusa a sud-est da un’abside semicircolare ed è coperta da un tetto a due spioventi sorretto da una copertura a capriata a vista. Le navatelle laterali hanno invece una volta a crociera. L’illuminazione interna è garantita da una serie di finestre aperte nelle pareti sovrastanti il tetto delle navate minori e da alcune monofore nell’abside.

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• La splendida facciata in trachite rossa appare tripartita da tre arcate ogivali che scaricano su robusti pilastri, nel cui innesto rimangono oggi i pochi frammenti degli altorilievi zooformi che rappresentavano i simboli dei quattro evangelisti; il portale d’ingresso è sormontato da un bassorilievo in cui sono raffigurati, tra motivi fitoformi, San Pietro, San Paolo, la Madonna con il Bambino e Costantino De Castra. La superficie delle tre ogive è impreziosita da tre rosoni quadrilobati, mentre una serie di archetti a tutto sesto accavallati incornicia la parte alta della facciata.

• La cuspide è sormontata da un’elegante edicola con colonnine ofitiche. La chiesa fu edificata nella zona in cui sorgeva l’antica necropoli pagana riutilizzandone spesso, come materiali da costruzione, le pietre già lavorate ma anche le lapidi , alcune delle quali sono oggi ancora visibili e leggibili nel suo paramento murario.

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SAS CONZAS

• Il quartiere conciario di Sas Conzas è il più espressivo complesso architettonico della Bosa ottocentesca. Da sempre la storia della città e del suo territorio è stata legata, nel bene e nel male, alla presenza del Temo. La prossimità del fiume ha significato maggiore facilità di trasporti e possibilità di commercio, ma anche inondazioni e gravi pericoli per le campagne circostanti. Nell’Ottocento è stata proprio la sua presenza a consentite la fioritura della grande industria conciaria, legata alla necessità di utilizzare nei processi di lavorazione ingenti quantità d’acqua.

• Gli edifici appaiono disposti a schiera e si caratterizzano per la tipologia modulare con i timpani affiancati. Internamente si articolano in vari ambienti dove avvenivano le diverse fasi di lavorazione. Al piano terreno trova posto un ampio vano nel quale sono collocate le vasche in muratura per la lavorazione iniziale, mentre in quello superiore, accessibile da una scala interna e formato da alcuni ambienti comunicanti tramite aperture ad arco, si procedeva alla rifinitura. Le materie concianti usate in passato per trasformare le pelli degli animali in cuoio erano essenzialmente di origine vegetale. Le concerie lavoravano pelli nazionali e nel secondo dopoguerra anche pelli provenienti dall’Africa. Dal 1989 il complesso è stato dichiarato, dal Ministero per i Beni Culturali e ambientali, monumento nazionale di archeologia industriale.

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CATTEDRALE DELL’IMMACOLATA

• L’attuale edificio di culto dedicato alla Beata Vergine Maria Immacolata insiste su un nucleo originario risalente al XXII secolo, da attribuire all’iniziativa del marchesato dei Malaspina, titolari dell’omonimo castello.

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• Nel volgere dei secoli subì una serie di rimaneggiamenti e restauri che ne modificarono radicalmente l’aspetto. La ristrutturazione ex novo si rese necessaria nel XIX secolo a seguito delle continue pressioni da parte del Campitolo della Cattedrale che ne denunciava il precario stato di conservazione, continuamente minacciato dalla cvicina presenza del fiume. La dirzione dei lavori venne affidata inizialmente al bosano Salvatore Are e successivamente, essendo sorte difficoltà tecniche nella ricostruzione della volta, fu chiamato un capomastro sassarese, certo Ramelli. Nel marzo del 1809 i lavori poterono dirsi pressoché ultimati poiché, come informarono le fonti, si riprese ad officiare nella nuova cattedrale. L’edificio fu solennemente consacrato nel luglio dello stesso anno. All’esterno il prospetto appare ornato e diviso orizzontalmente in due ordini a una robusta trabeazione mentre verticalmente è ripartito da alte lesene in trachite locale, il cui colore rosso-violaceo spicca sull’intonaco. Nella parte inferiore si aprono tre portali di cui quelli laterali, ciechi, hanno esclusiva funzione ornamentale. Il centrale, ad arco acuto modanato, costituisce l’accesso all’edificio; esso è sormontato da un coronamento di archetti pensili ogivali, sul precedente modello della chiesa del Carmelo. All’interno si articola in un’unica ampia navata, tutta sviluppata longitudinalmente, sulla quale si aprono quattro cappelle per lato, di cui la prima, a destra di chi entra, è dedicata al Sacro Cuore.

• Questa si prolunga in un profondo vano, detto cappellone, all’interno del quale si aprono altre quatto piccole cappelle. Procedendo sulla destra verso l’altare, si incontrano le cappelle dedicate rispettivamente a San Francesco Saverio, Sant’Anna e Maria Fanciulla, al Crocefisso.

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• Sull’arcata di quest’ultima figura lo stemma del Comune della città di Bosa che si era impegnato a curarne in perpetuo l’altare. In posizione simmetrica la prima cappella, sulla sinistra, ospita il fonte battesimale, mentre le successive sono dedicate nell’ordine alla Vergine del Carmine, a San Giovanni Nepomuceno e all’Addolorata. Sulle pareti al sommo dei pilastri corre una trabeazione continua. Conclude l’aula un vasto presbiterio sopraelevato a pianta quadrangolare sulla quale si innesta un alto tamburo coperto da una cupola ottagonale. Al centro del presbiterio si può ammirare l’altare maggiore dietro il quale è ricavato il coro ligneo che segue la curva dell’abside. Nella cripta, fatta costruire sotto il presbiterio negli anni Sessanta del ‘900, sono sepolti gli ultimi vescovi deceduti a Bosa. La sagrestia è collegata all’aula capitolare tramite un ambiente dove si possono ammirare gli importanti arredi lignei del Settecento, recentemente risanati. Durante i restauri del XIX secolo l’interno della chiesa venne impreziosito dalle decorazioni pittoriche eseguite dal parmense Emilio Scherer (1845-1924) chiamato a Bosa dal vescovo Eugenio Cano. Nella conca del catino absidale è rappresentata una veduta di Bosa con i Santi patroni Emilio e Priamo, sovrastata dall’Immacolata in gloria tra angeli che cantano e suonano. All’interno della cupola è invece dipinto il Paradiso descritto secondo l’iconografia dantesca: un corteggio di santi, angeli e personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento avvolti in densi strati di nuvole. Lo Scherer firma l’intero impianto decorativo della cattedrale: al di sotto della cupola, nei pennacchi, sono rappresentati i quattro evangelisti assisi sulle nuvole, con gli attributi iconografici tradizionali (Leone per San Marco, Angelo per San Matteo, Aquila per San Giovanni, Bue per San Luca). Lungo le pareti del Presbiterio sono raffigurate L’Annunciazione e La Visitazione della Madonna alla cugina Elisabetta. Sul fondo dell’abside sono riconoscibili, seppur danneggiati da maldestri interventi di restauro ( vere e proprie ridipinture), San Sebastiano e San Rocco. Purtroppo dell’intero ciclo solo la cupola e il catino absidale mantengono i caratteri originari. Nelle lunette della volta della navata campeggiano entro tondi gli Apostoli, mentre sulla porta della sagrestia è ritratto lo stesso autore nelle vesti di un apostolo con un sasso in mano, quasi a voler significare l’intenzione di lanciarlo contro chi osasse criticare le sue pitture.

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• Sempre allo Scherer sono da attribuire le decorazioni a tampera dei pannelli laterali della cassa dell’organo ove sono raffigurati Davide che suona l’arpa e Santa Cecilia, protettrice della musica, che suona l’organo retto da un putto. Tra le altre opere eseguite dal pittore si ricorda la grande tela centrale color cobalto posta a copertura delle canne dell’organo, recentemente rimossa, che riportava in giallo-oro un motivo decorativo con trombe, e una tavola sagomata raffigurante la Vergine di Bonaria, oggi conservata nella sagrestia. Di particolare interesse e pregio sono l’altare maggiore seicentesco; una cinquecentesca grande statua lignea della Madonna, posta nella nicchia del coro, nell’abside; un Crocifisso del Seicento collocato nella quarta cappella a destra per chi entra. Le superfici non dipinte sono interamente rivestite di preziosi marmi, pregevoli quelli che ornano il presbiterio.

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CHIESA DEL ROSARIO

• Intitolata a Nostra Signora del Santissimo Rosario, la chiesa è ubicata nel centralissimo corso Vittorio Emanuele II.L’edificio attuale, datato al XIX secolo, probabilmente si erge su un impianto precedente, che solo attente indagini potrebbero riportare alla luce. Il modello di riferimento seguito per l’edificazione della facciata è palesemente ancora quello barocco della locale chiesta del Carmelo, ravvisabile nella ripartizione in due ordini( anche se qui più slanciati e asserviti a un serrato ritmo ascensionale), di cui quello inferiore è caratterizzato da una compatta superficie in trachite rossa interrotta al centro dell’elegante portale d’ingresso fiancheggiato da leggere paraste e sormontato da un timpano spezzato che racchiude l’immagine della Madonna. L’ordine superiore presenta invece una superficie intonacata scandita in tre specchi da quattro lesene. In quello mediano è collocato dal 1875 il grande orologio pubblico della città; il tutto è coronato da un frontespizio, alternante linee concave e convesse, sormontato da una slanciata struttura campanaria. Alla ricchezza della decorazione esterna corrisponde un sobrio interno articolato in un piccolo vano rettangolare fiancheggiato da nicchie in semplice stucco.

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MUSEO CASA DERIU E PINACOTECA ATZA

• Il palazzo Uras-Chelo, comunemente noto come “Casa Deriu” dal nome degli ultimi proprietari, rappresenta il modello classico di abitazione bosana di ceto borghese dell’Ottocento. La data incisa nel fregio in facciata, 1838, è ascrivibile non tanto alla sua edificazione, quanto al consistente restauro, necessario a seguito dell’accorpamento di diverse unità abitative più piccole. Ciò si deduce dai dislivelli visibili tra i solai delle camere situate nel primo e nel terzo livello dello stabile (eccezione fatta per il secondo, il piano nobile, per quale evidentemente furono disposti interventi di maggior cura e finezza), giacchè per un costume diffuso a cavallo fra la prima e la seconda metà dell’Ottocento, presso la borghesia vi era l’uso di ingrandire e abbellire i propri spazi abitativi con il migliorare dello status sociale ed economico acquistando due o più stabili confinanti e livellandoli per trasformarli in un’unica abitazione (ciò è rilevabile da studi effettuati in diversi palazzi coevi: palazzo Sargenti-Randaccio, già Carboni-Solinas; palazzo Demuro-Spada; palazzo Mastino-Pirisi, già Delitala; etc.).

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• Casa Deriu, situata nella parte più recente del Corso Vittorio Emanuele II, si eleva su tre livelli oltre a quello di terra. I fregi e le decorazioni della facciata (il recente restauro ha immesso i blocchetti rachitici a vista), sobria nel complesso, tradiscono un’impostazione neoclassica. L’ampio androne che funge da ingresso è abbellito dalla presenza di tre archi in trachite secondo la tipologia diffusa nelle abitazioni bosane: essi costituiscono rispettivamente l’accesso ai magazzini e alle dispense, il primo a sinistra per chi entra; sottolineatura del vano scala e più piccolo rispetto agli altri il centrale; e una sorta di tegurio alle scale, anch’esse in trachite, l’ultimo. La pianta dei piani di abitazione è la medesima per tutti: due camere di dimensioni maggiori che prospettano sul corso, altri due ambienti interni senza prese di luce, adibiti a disimpegno o servizio, e altri due prospicienti la piazza Modoleddu a nord. Per ornamenti e finezza di decori spicca tra tutti (unico superstite e in parte rimaneggiato) il secondo piano, ove si trovava la zona notte padronale.

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• Nel salotto, si possono ammirare alcuni arredi originali tra fui l’eccezionale parquet in essenze lignee sarde e la tappezzeria parietale. La casa, come già accennato, è stata proprietà della famiglia Uras, appartenente alla piccola nobiltà rurale cittadina, insignita del cavalierato ereditario comune alla nobiltà sarda del XVII secolo. Passata in eredità alla famiglia Zedda per linea materna, fu venduta alla Comunità Montana Marghine e Planargia (Ente che ne ha concesso la gestione al Comune) dai discendenti Deriu. Attualmente l’edificio, oltre a costituirsi quale museo di se stesso, ospita al pri-mo piano significative esposizioni temporanee d’arte e artigianato, in particolare modo quelli legati al territorio. Al terzo livello è invece allestita l’esposizione antalogica permanente dell’opera del pittore, decoratore, ceramista, grafico, progettista per l’artigianato Melkiorre Melis. Si segnala come di particolare rilievo la Sala alle Danze Arabo-Egizie, raccolta di importanti opere pittoriche e ceramiche degli ani Trenta, realizzate a Tripoli, quando Melis dirigeva la Scuola Musulmana di Mestieri e Arti indigene assieme alla Scuola di Ceramica Libica. Il polo museale di Casa Deriu, primo nucleo delle raccolte civiche in via di ordinamento e allestimento, è stato recentemente arricchito con l’apertura, da parte dell’Assessorato alla Cultura, di un’altra raccolta permanente interamente dedicata al pittore Antonio Atza, visitabile al primo piano dell’edificio che sorge proprio di fronte al Museo. Di particolare interesse è la sezione dedicate ai Blues, opere astratte polimateriche della fine degli anni Cinquanta, decisive per l’affermazione in Sardegna dei nuovi linguaggi dell’avanguardia artistica. La raccolta Atza contempla anche un nucleo significativo di opere di altri artisti (Mauro Manca, Stanis Dessy, Carmelo Floris, Valerio Pisano, Nino Dore, Antonio Corriga, etc).

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CASTELLO MALASPINA

• Edificato sulla cima del colle Serravalle, così chiamato per la sua posizione nella valle, il castello di Bosa subì nel tempo una serie di modifiche, ampliamenti e integrazioni per soddisfare le esigenze dei vari proprietari.

• L’impianto più antico del maniero è ascrivibile a quando il feudo di Bosa era in possesso dei marchesi Malaspina, signori della Lunigiana, che lo dotarono di una primitiva cinta muraria e di quattro alte torri cantonali a forma di quadrilatero irregolare.

• Il castello venne ampliato e ulteriormente fortificato attorno al 1300 quando il pericolo di un’invasione aragonese si faceva sempre più concreto. A questo periodo si fa risalire la costruzione della grande torre maestra sul lato nord, affidata, come suggeriscono i caratteri stilistici, a Giovanni Capula architector optimus, autore anche delle grandi torri dell’Elefante e di San Pancrazio di Cagliari.

• La torre venne edificata utilizzando blocchi rachitici di colore ocra; sulla parete esterna rivolta a nord si possono ancor oggi ammirare due stemmi sanniti che per i loro caratteri distintivi potrebbero essere attribuiti rispettivamente agli Aragonesi e ai Malaspina.

• Dopo alterne vicende, che videro il castello e la città passare dalle mani dei Giudici d’Arborea a quelle dei Malaspina, si giunse al 1330 quando il feudo fu assegnato dal re d’Aragona al feudatario spagnolo Pietro Ortiz: a lui si fa risalire l’elevazione della torre pentagonale nell’angolo ovest. Ritornato agli arborensi, il feudo, come accennato, fu per lungo tempo roccaforte di Mariano IV contro gli argonesi.

• Nel 1410 la città tornò in mano aragonese; da allora in poi questa venne a fregiarsi del titolo di villa reale e godere di speciali privilegi quali l’autonomia della comunità e la libertà dei cittadini. Il castello fu amministrato, più o meno stabilmente, da un feudatario. Le fortune del castello e della città vennero meno nel 1528, quando i bosani per paura di uno sbarco francese ostruirono con grandi massi la foce del Temo, determinando l’interramento del porto e della vallata e precludendo ogni possibilità di sviluppo marittimo.

• Allo stato attuale le rovine permettono di ricostruire la pianta di un poligono irregolare con gli spigoli rinforzati da sette torri: due a pianta poligonale e cinque a pianta quadrata.

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CHIESA DI NOSTRA SIGNORA DEL CARMELO

• La presenza dell’ordine dei Carmelitani a Bosa viene fatta risalire alla seconda metà del XVI secolo. Le fonti ci informano sulla loro primitiva sede ubicata nella chiesa e nel convento di Sant’Antonio extra moenia, eretta trans-Temo. Nel 1606 le frequenti inondazioni del fiume, che rendevano il luogo malsano, indussero i religiosi a trasferirsi nella chiesa di Nostra Signora del Soccorso presso la porta di San Giovanni.

• Nel 1700 si decise di demolire l’antico edificio di culto, a causa delle precarie condizioni nelle quali esso versava, e di far così posto a una nuova costruzione: l’attuale chiesa del Carmelo.

• Questa venne ultimata nel 1779, come attesta la lastra murata sopra il portale della facciata; venne tuttavia consacrata soltanto nel 1810 per opera del vescovo Gavino Murro.

• La facciata ricorda lo stile barocchetto piemontese, qui “ mediterraneizzato, con cornici, timpani e lesene in trachite rossa disposti su due ordini: in quello inferiore la superficie intonacata è scandita da sei possenti lesene in trachite rossa che la ripartiscono in cinque specchi, al cui centro si trova l’elegante portale sormontato da un cappello barocco che racchiude lo stemma del Carmelo.

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• L’ordine superiore è anch’esso diviso in tre specchi da quattro sottili lesene di cui le mediane giungono sino al fastigio, che riprende con un alternarsi di linee concave e convesse il motivo decorativo del portale. Ancora nella parte superiore un’elegante nicchia, posta sopra un’ampia finestra, ospita la statua della Madonna del Carmelo.

• Alla luminosità della facciata fa contrasto la penombra dell’interno. La chiesa ha pianta rettangolare a un’unica navata voltata a botte e quattro piccole cappelle per lato, anch’esse voltate a botte; il presbiterio, rialzato rispetto alla navata, è coperto da una cupola emisferica mentre sulla parete di fondo è collocato l’altare maggiore, datato al 1791, riccamente adorno di preziosi marmi policromi, recante la statua della Madonna e più in alto quella di San Simone Stock, fondatore dell’ordine.

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• Tra le cappelle laterali rivestono particolare interesse, per lo splendore delle ancone policrome di fattura tardo-barocca, quelle di sinistra, dedicate rispettivamente alla Madonna di Mondovì, alla Madonna d’Istria, a San Gaetano da Thiene e a Sant’Alberto da Messina. Il pavimento dell’aula, recentemente restaurato, è segnato da lastre di marmo che corrispondono alle tombe in cui venivano seppelliti i frati del convento.

• Modello della struttura interna della costruzione sembrerebbe essere stata la chiesa del Gesù eretta a Roma ad opera di Andrea del Vignola, ma più indirettamente anche gli schemi iconografici propri della tradizione gotico-catalana.

• La chiesa al suo interno conserva una bellissima bussola lignea in stile barocchetto piemontese, parte di una più ampia struttura allla cui sommità si posiziona l’antico organo costruito dal genovese Carlo Giuliani verso il 1780. La chiesa, tra le più belle di Bosa, è in gran parte priva dei suoi ricchi arredi originari oggi dispersi. Tra essi, ad esempio, presso il Seminario Vescovile si conserva ancora il tondo della Sacra Famiglia, copia antica da una tela di Nicola Poussin.

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CHIESA DI NOSTRA SIGNORA DI

REGNOS ALTOS

• La costruzione della chiesa di Nostra Signora di Regnos Altos sorge all’interno del castello di Serravalle, ubicato sull’omonimo colle. Originariamente intitolato a Sant’Andrea, l’edificio mutò dedicazione giustificata ( come la maggior parte delle leggende di fondazione di edifici religiosi) dal fortuito ritrovamento nel 1847, tra i ruderi del castello, di una statuina lignea raffigurante la Madonna che fu detta appunto di Regnos Altos, con chiaro riferimento al luogo elevato ove venne rinvenuta e ove sorgeva la chiesetta. Il culto di Sant’Andrea fu presto dimenticato mentre quello della Madonna così appellata acquistò sempre maggior vigore.

• La cronologia è tutt’oggi fortemente discussa, ciò è sicuramente da attribuire alle diverse fasi edificatorie che sono state riscontrate nella costruzione.

• La datazione più attendibile rimonta al XIV secolo, quando fu necessario ampliare la cinta muraria del castello a seguito della nuova minaccia rappresentata dagli aragonesi. In questa circostanza la chiesetta potrebbe essere stata restaurata o addirittura ricostruita.

• Santi. .Particolarmente amata e coinvolgente per i bosani di oggi, e non solo, è la festa della Madonna di Regnos Altos che viene celebrata ogni anno nella seconda domenica di settembre.

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• Ciò che risulta evidente è che il primitivo tempio non possedeva, come invece dettava la normativa che disciplina tali costruzioni, l’ingresso a ponente, tratto inderogabile per l’ideologia propria della religione cattolica che contrappone questo carattere a quello dei templi pagani il cui ingresso era invariabilmente volto al sorgere del sole.

• L’edificio attuale è costituito da un’aula rettangolare terminante con un’abside semicircolare orientata a est e con l’ingresso principale in facciata leggermente decentrato rispetto all’asse mediano. Un ingresso secondario si apre a nord, mentre a sud l’aula è affiancata da due piccoli vani rettangolari probabilmente aventi funzione di sagrestia.

• Negli anni Sessanta, durante i lavori di restauro, furono rinvenute in maniera fortuita, sotto uno spesso strato di intonaco, ampie porzioni di quello che si rivelò essere un ciclo pittorico di straordinaria importanza sia per le scelte iconografiche sia per la resa stilistica.

• Gli affreschi, attribuiti alla metà del XIV secolo, illustrano scene del Nuovo Testamento e delle Vite dei

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• Per questa occasione i viottoli dell’antico borgo medioevale vengono sontuosamente addobbati, secondo un gusto diffuso nel medio e basso Campidano, con canne e frasche formanti archi frondosi e un tripudio di bandierine colorate.

• Essi ridisegnano lo spazio viario in modo suggestivo e soprattutto ospitano gli altari popolari, costruiti dalle donne dei diversi vicinati, coperti a gara con preziose tovaglie di tessuto, di pizzo, di filet, tra le quali si collocano i vari simulacri della Vergine.

• Alla celebrazione liturgica, durante la quale il simulacro della Madonna viene portato in processione attraverso il centro storico dalla Cattedrale alla chiesa del castello, seguono i festeggiamenti che vedono gli abitanti del quartiere impegnati ad allestire nelle strade lunghe tavolate di piatti tipici, offerti ai turisti che ogni anno accorrono numerosi.

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CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA

• La chiesetta di San Giovanni Battista è un pregevole esempio di stile gotico-catalano. Dal punto di vista architettonico si distinguono almeno due fasi costruttive: una databile al XII secolo, l’altra tra il XIV e il XV. L’edificio risulta oggi inglobato nell’area perimetrale del cimitero cittadino.

• Internamente si compone di un’unica navata intervallata da cinque arcate gotiche su massici pilastri, frutto di successivi rimaneggiamenti; tra i contrafforti delle pareti laterali si aprono accenni di cappelle. Il presbiterio sopraelevato a pianta rettangolare ha una copertura a botte spezzata. La facciata, semplice ed elegante, si caratterizza per il bel portale strombato che dà rilievo all’ingresso, per il piccolo campanile a vela, per l’oculo e per la serie di archetti ogivali ascendenti disposti a seguire la doppia linea di gronda.

• Sulla parete interna destra è recentemente venuta alla luce un brano di affresco cinquecentesco eseguito con la tecnica popolare che ricorreva a pigmenti poveri basati su ossidi di ferro, da cui il caratteristico colore rossastro, ruggine.

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CHIESA DI SANTA CROCE

• Il non esteso cinquecentesco edificio di Santa Croce, ubicato nell’omonima via, venne affidato nel 1648 alla custodia dei Fratelli di San Giovanni di Dio, che dal 1644 avevano in gestione l’attiguo ospedale della Misericordia.

• La struttura ha subito nel tempo diversi interventi di restauro. Attualmente l’interno è costituito da un’aula rettangolare absidata con volta a botte affiancata da cinque cappelle, anch’esse voltate a botte, di cui tre si aprono nel lato destro per chi entra e due su quello sinistro.

• Lungo le pareti della navata corre una robusta trabeazione che si imposta su pilastri terminanti con compositi capitelli in stucco. L’illuminazione interna è assicurata da una serie di ampie finestre che si aprono sul muro sopraelevato della navata, al di sopra della trabeazione, e nel presbiterio.

• Quest’ultimo, nel raccordo con la copertura a cupola, rivela soluzioni tecniche che confermerebbero una ristrutturazione dell’edificio di matrice barocca alla fine del XVII secolo, come sottolinea la semplice facciata, caratterizzata dal bel portale con timpano curvilineo aggettante, sormontato da una finestra rettangolare.

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• L’apparato decorativo della chiesa è stato eseguito alla fine del XIX secolo ad opera di Emilio Scherer. Nell’intradosso dell’abside sono dipinte, a imitazione di opere scultoree, a sinistra la Veronica mentre a destra Sant’Elena ( alla quale si deve il recupero della vera croce in Terrasanta), mentre nel catino è raffigurata la Resurrezione di Cristo che si libra sul sepolcro scoperchiato da un angelo e su tre soldati dormienti. Nella cupola è invece rappresentata la Glorificazione della Croce innalzata da angeli e putti verso la colomba dello Spirito Santo. La volta della navata è ornata con motivi filiformi, cornici e girali d’acanto.

• All’interno sono collocate le suggestive statue ( purtroppo oggetto di un mediocre recupero) portate in processione nei riti della Settimana Santa, , raffiguranti Gesù nell’orto, la flagellazione, la coronazione di spine, il Cristo portacroce, la Madonna Addolorata.