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Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Comunità Shalom di Riva del Garda - TN - Italy Anno V n. 3 - Luglio-Settembre 2010 - Trimestrale Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi VIA PACE Editoriale: Dare voce alla dignità della donna Carissimo... Relazioni facili, dono di natura? 2010 n. 19

N.19 Sulla via della pace 2010

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rivista di in-formazione dell'Associazione Via Pacis

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Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Comunità Shalom di Riva del Garda - TN - Italy

Anno V n. 3 - Luglio-Settembre 2010 - Trimestrale Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe PercueIn caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi

VIA PACEEditoriale:Dare voce alla dignità della donna

Carissimo... Relazioni facili, dono di natura?

2010n. 19

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di Paolo Maino

Editoriale

La questione femminile si sta sempre più rivelando come la vera emergenza, la vera posta in gioco della civiltà globale.È un problema che si può aff rontare da molti punti di vista; per esempio quello giuridico.

Iniziato il terzo millennio, forse ormai quasi nessuno – quantomeno nel mondo occidentale – si sognereb-be di mettere in dubbio, a

livello teorico, la pari dignità della donna. Si tratta però di storia recente. Nei paesi europei, ad esempio, l’estensione del diritto di voto – che rappresenta l’emble-ma civile dell’uguaglianza, ciò che sancisce la pari dignità – fu rico-nosciuto solo nel secolo scorso: in alcuni casi, come in Francia ed in Italia, si dovette aspettare il secondo dopoguerra (1948), e in Svizzera addirittura il 1971. Se a livello giuridico si può, dunque,

a ragione parlare di dato pres-soché incontestabile, la prassi e la mentalità correnti sembrano ancora molto lontane dal tradursi in un vissuto concreto che resti-tuisca dignità alla donna.Se allarghiamo lo sguardo alla condizione della donna nell’inte-ro pianeta, il panorama è davvero sconsolante: nel 2005, 536.000 donne sono morte durante la gravidanza o il parto, e il 99% dei decessi è avvenuto in Paesi in via di sviluppo (dati OMS). Le donne costituiscono il 75% delle persone più povere nel mondo. Dei 110 milioni di bambini che non frequentano la scuola 2/3 sono ragazze, e degli 875 milioni di adulti analfabeti nel mondo 2/3 sono donne (dati UNICEF). Ancora oggi, in molte Nazioni, le donne, che costituiscono poco più della metà dell’umanità e svolgono i due terzi circa del lavoro globale, subiscono forti discriminazioni. La piaga della violenza sessuale esiste in tutti i continenti, nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo e non conosce diff erenze sociali o cultu-

rali; secondo l’OMS, almeno una donna su cinque nel corso della vita subisce abusi fi sici o sessuali. Per alcuni governi nascere donna è spesso considerata una disgra-zia, migliaia di neonate vengono lasciate morire per cure inadegua-te o per abbandono. E gli esempi potrebbero continuare.Sono situazioni che suscitano, giustamente, la nostra indignazio-ne. Nella nostra società, la donna è ormai riconosciuta pari all’uomo per dignità e diritti: è una conqui-sta sociale e culturale, ma rico-noscibile già dalla visione biblica dell’uomo, dai risvolti antropologi-ci e teologici radicali.Fin dalle prime pagine la Bibbia aff erma il sogno di Dio relativo alla piena reciprocità di stima e dignità tra l’uomo e la donna. La predicazione di Gesù di Nazareth introduce poi un’assoluta rivolu-zione, dando concreto fondamen-to a un nuovo mondo possibile, ed inaugurando uno stile di re-lazioni fraterne dove “si gareggia nello stimarsi a vicenda”, dove non trovano più posto la prevarica-zione ed il pregiudizio ignorante.

EDITORIALE

Dare voce alla dignità d

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Dove “non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna” (Gal 3,28): tutti sono fi gli con pari dignità.Il Vangelo ha prodotto molti cam-biamenti nella storia ed ha forgiato personaggi stupendi che hanno saputo attuare questo progetto. Quindi potremmo pensare che la drammatica situazione delle donne in molte parti del mondo non abbia nulla a che fare con la nostra civiltà. Ma è proprio così? Storicamente, l’annuncio cristia-no si è spesso intrecciato con le ataviche convinzioni di mondi che si fondavano su ideali di predo-minio bellico, nei quali la donna era considerata come “la parte debole” o il “lato oscuro” dell’uma-nità, la parte irrazionale e passio-nale. Era ammirata, ma non certo stimata nella sua dignità. Se siamo attenti alla realtà in cui viviamo, per molti aspetti è ancora oggi così; semmai, con una dose di ipo-crisia in più: la donna viene spesso sostanzialmente considerata alla stregua di una preda, apprezzata sessualmente fi ntantoché ha un

corpo giovane, e disprezzata per il resto. Salvo eccezioni.Il maschilismo appare talmente radicato e radicale da non risulta-re più nemmeno tanto evidente. Si danno così molto spesso per scontati alcuni atteggiamenti e comportamenti che scontati non sono aff atto, ma che fanno parte integrante del nostro vivere e che non siamo disposti a mettere lon-tanamente in discussione.Quanti uomini (mariti, padri, fi gli) danno per scontato che le faccende domestiche siano prero-gativa della donna (moglie, madre o fi glia che sia)? Quanti mariti delegano in modo improprio la cura e l’educazione dei fi gli alle mogli? E sul posto di lavoro, quanti danno la stessa importanza a quanto viene detto da una donna piuttosto che da un uomo? E se la responsabile di un settore, di un uffi cio, è una donna, quanti sanno accettare questo ruolo?L’impressione è che ciò che sembra ormai incontestato sul piano dei princìpi si sia fermato alla testa, senza tradursi in azione. È facile illudersi di essere persone aperte, che credono nella dignità della donna e ne promuovo-no i diritti, quando si vive in un universo ancora tutto al maschile, dove è l’uomo a decidere, a contare, a partire da una condizio-ne di perenne vantaggio. Vantag-gio in molti casi agevolato dalle donne stesse, che da madri fi ni-scono col tramandare alcuni com-portamenti maschilisti ai fi gli ed alle fi glie. Con la conseguenza che è ancora del tutto usuale assistere a scene familiari in cui, mentre il fi glio maschio sta tranquillo sul divano a guardare la tv, la sorella è “ovviamente” intenta a sparec-chiare la tavola, a lavare i piatti o a prendersi cura del fratellino più piccolo.Ci sembra, quindi, evidente che inorridire di fronte ai soprusi ed alle discriminazioni nelle quali vivono ancora molte donne nei paesi meno sviluppati, o in quelli dove ragioni culturali o religiose le considerano inferiori, serve a ben poco, se rimaniamo intrisi ed invi-

schiati in una mentalità che, sotto sotto, non è disposta a rinunciare ad alcun privilegio maschile.E chi si ritiene esente da ciò, provi sinceramente a chiedersi: quand’è stata l’ultima volta che ho valo-rizzato una mia collega di lavoro? Come reagisco ad un’osservazione o ad una critica proveniente da una donna? Riesco a riconoscere, anche davanti ad altri, quando una donna è più brava di un uomo?Credo che sul posto di lavoro, nelle relazioni interpersonali, nella coppia, in famiglia, siamo ancora distanti dal credere veramente che la donna abbia pari dignità del-l’uomo ed a comportarci di conse-guenza.La vera rivoluzione, però, non sembra quella di chi marcia e grida slogan in favore dell’uguaglianza e della pari dignità delle donne, spesso spingendosi fi no a travali-care i limiti di quella stessa parità che va proclamando. Credo che, mai come in altre questioni, la vera sfi da debba partire dall’essere disposti a mettere in discussione la nostra mentalità concreta, nel quotidiano, e a mobilitare tutte le nostre capacità e risorse per rico-noscere in ogni ambiente – dalla famiglia al lavoro – la dignità della donna, nella valorizzazione dei rispettivi ruoli. Siamo chiamati a cambiare il nostro atteggiamento per realizzare la prima alleanza: quella tra uomo e donna

ella donna

È facile illudersi di essere persone aperte, che credono nella dignità della donna e ne promuovono i diritti, quando si vive in un universo ancora tutto al maschile

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Le attività di solidarietà promosse dalla Comunità Shalom sono gestite dallaAssociazione Shalom Solidarietà Internazionale - OnlusViale Trento, 100 - 38066 Riva del Garda (TN) - ItalyTel. +39.0464.555767 - Fax [email protected]

2 Editoriale Dare voce alla dignità della donna

Informazione 8 Giornata di Alleanza

14 Uganda - Costruire speranza

20 S.O.S. Haiti

21 Sostegno a distanza in Colombia

Testimonianze 18 Segni di speranza

Formazione 5 La donna in Africa

6 La donna in Asia

7 La donna in America Latina

10 “Il carisma Via Pacis, donato e affi dato a noi per la Chiesa e per il mondo”

22 Buddhismo e cristianesimo

23 Maschio e femmina li creò. O no?

24 Grazie a te, donna

26 Sesso precoce

27 Relazioni facili, dono di natura?

La Comunità Shalom è un’Associazione Privata di Fedeli Laici della Chiesa Cattolica e membro della Fraternità Cattolica delle Associazioni e Comunità Carismatiche di Alleanza di Diritto Pontifi cio

Per off erte:CASSA RURALE ALTO GARDA

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Solidarietà Internazionale - ONLUS

SOMMARIO

SULLA VIA DELLA PACETrimestrale di in-formazioneAnno V - n. 3luglio-settembre 2010

Registrazione n. 263 presso ilTribunale di Rovereto (TN) (19.01.2006)

Direttore responsabilePaolo Maino

Direttore di redazioneRuggero Zanon

Equipe di redazionePaola AngerettiNadia ArmelliniLuca FambriGregorio Vivaldelli

EditoreAssociazione ShalomSolidarietà Internazionale - Onlus

Direzione e amministrazioneViale Trento, 10038066 Riva del Garda (Trento) [email protected]. e fax +39.0464.555767

Grafi ca e stampa:Antolini Tipografi a - Tione (TN)

Finito di stamparenel mese di giugno 2010

In copertina:Pellegrinaggio in Polonia 2009, con Maria sulla Via della Pace

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relegata a ruoli puramente di ri-produzione della prole e di sosten-tamento materiale della famiglia, non le è riconosciuto alcun diritto allo studio. Le bambine crescono sapendo che saranno le future serve dell’uomo e, spesso appena adolescenti, devono accettare il matrimonio deciso dal padre anche con uomini anziani.Tale violenza si aggiunge a quella già subita con la mutilazione genitale, ancora in uso in molte zone dell’Africa, pratica che spesso causa infezioni a volte anche mortali. I maschi invece, crescono convinti che saranno i padroni della donna. Presso alcune popolazioni, il marito è in diritto di bastonare con forza la moglie, qualora ritenga che ella non sia abbastanza rispettosa verso di lui – come pure è ancora in uso che la donna si inchini davanti all’uomo – e

La donna nel Sinodo per l’AfricaDurante i lavori del Sinodo per l’Africa, dell’ottobre 2009, è stata sottoli-neata l’importanza del ruolo della donna per lo sviluppo e la riconcilia-zione del continente africano. È stato così aff ermato come, senza giustizia tra uomo e donna, senza pari dignità, non vi potrà essere alcuno sviluppo per l’Africa.È urgente la necessità di dare formazione e istruzione alle donne. Alcune testimonianze, durante il Sinodo, hanno messo in luce il ruolo determinante della donna nella riconciliazione della società africana, nel benessere della famiglia, nell’aiuto ai poveri e agli orfani. Ma per poter svolgere pienamente il loro ruolo positivo, è fondamentale che le donne possano avere la concreta possibilità di accedere all’istruzione. Il Sinodo ha poi evidenziato il pericolo del colonialismo culturale dell’oc-cidente nei temi della sessualità e fecondità umana, sottolineando come venga imposto, ad esempio, il modello dell’aborto facile e sicuro come soluzione ai problemi della gravidanza, piuttosto che off rire aiuto alle donne in diffi coltà, perché possano portare a termine la gravidanza.

FORMAZIONE

debba quindi essere disciplinata.Nelle culture che prevedono la poligamia, la prima moglie non può opporsi all’arrivo delle succes-sive, sebbene se ne senta ferita. Qualora, però, ella avesse contatti con un altro uomo, verrebbe cacciata e punita per adulterio.Un ulteriore sopruso presente presso certe etnie consiste nel fatto che, alla morte del marito, la vedova venga derubata delle proprietà di famiglia dai cognati e parenti del marito, in quanto ritenuta indegna di possedere e gestire alcun bene.Le tradizioni africane, purtroppo, si dimostrano ancora profonda-mente in contrasto con i valori cristiani e, quindi, con il piano del Creatore, che non ha creato la donna perché fosse serva dell’uo-mo, ma perché ne fosse complice nella famiglia e nella società

di Peter Onyango

La donna in Africa

In Africa la donna vive una situazione diffi cilmente descri-vibile se non defi nendola con-traddittoria: a fronte di una sua importanza determinante nella

vita della famiglia e della società, si contrappone la totale mancanza di riconoscimento di pari diritti e dignità con l’uomo.Si può dire che l’economia fa-miliare è interamente sostenuta dalla donna. Essa lavora la terra, deve cercare l’acqua, raccogliere la legna e provvedere che ci sia cibo suffi ciente per la famiglia. Al contempo la donna è presente a livello sociale, impegnandosi con attenzione e sensibilità verso i bisogni degli altri. Emblematica è l’esperienza delle donne del villaggio di Unyolo che, riunitesi in cooperativa, allevano mucche per provvedere ai numerosi orfani e anziani.L’uomo tende invece a dominare la sfera politica, ritenendosi da sempre il “capo”: capofamiglia, capo villaggio, capo tribù, capo società e, principalmente, capo della donna.Purtroppo, per antiche tradizioni, la donna, pur rivestendo un ruolo insostituibile a diversi livelli, è ancora considerata notevolmen-te inferiore all’uomo e come tale viene trattata.Anzitutto, le viene riconosciuto scarso o nullo diritto di decisione nelle questioni che regolano la vita di famiglia. Ancor meno le è permesso parte-cipare o prendere la parola nelle riunioni tribali. Essendo, quindi,

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FORMAZIONE

Sono future donne, insegnanti, infermiere, quando siedono nei banchi di scuola - dopo la fatica di un lungo cammino e della scarsa alimentazione - per continua-re a credere nel loro sogno, nel futuro che le porterà lontano dalla povertà. Il volto sorridente parla delle speranze del loro cuore. Sono ancora le nostre esperienze a portarci la soff erenza degli abusi che rinchiudono giovani vite, a volte troppo giovani, nella prigione buia della confusione, della rabbia e dell’autodistruzione. Molte, impo-verite della stessa voglia di vivere da parte di chi avrebbe dovuto alimentarla, faticano ad uscire da questa prigione.Non posso non dire grazie a quanti lottano contro la povertà e l’ignoranza, contro le ingiustizie e la violenza. Ogni volta che una giovane riesce a completare il ciclo di studi è una grande vittoria: ciò le consentirà di entrare nel mondo sapendo di poter dare il proprio contributo al miglioramento della società, con la forza e creatività di chi porta in grembo la speranza di un futuro, che la povertà spesso costringe ad abortire. Pensando alla donna in Asia non posso non ricordare le immagini di tante bimbe e donne viste in Myanmar lavorare lungo la strada, portando pesanti pietre e cucinan-

do, in grandi bidoni, vecchi pneu-matici di automobile per preparare l’asfalto. Donne di tutte le età, con la stessa stanchezza in volto. È questo uno dei lavori cui sono obbligate, insieme a quello dei campi, della deforestazione e delle costruzioni. Su fragili e pericolose impalcature, sono ancora le donne a portare i mattoni e il cemento per costruire edifi ci e case, nelle quali, a loro, non sarà mai permesso di entrare.Le statistiche parlano di un alto tasso di mortalità materna ed in occasione degli interventi per l’interruzione della gravidanza; parlano anche della prostituzione, dell’AIDS, delle violenze a causa della guerriglia, della situazione di migliaia di donne che vivono nei campi profughi ai confi ni con la Thailandia, divenendo facile preda del mercato della prostituzione.Per proclamare la vita in tutta la sua dignità c’è bisogno di scelte coraggiose. È questo coraggio che anima molte persone a rischiare di passare le barriere della proibi-zione per promuovere la cultura, l’educazione, la speranza.Le giovani birmane, che si stanno formando grazie alla solidarietà di tanti fratelli e soprattutto dell’As-sociazione Shalom, hanno questo coraggio e porteranno la luce della speranza per mezzo dell’istruzione e della formazione umana

La donna in Asia

di suor Rosanna Favero

La donna

In Asia vive oltre un miliardo e mezzo di donne, molte delle quali non vedono rispettati i loro diritti fondamentali come persone e come cittadine.

Nelle Filippine, mentre si elogia la donna che riesce a conservare il proprio ruolo di madre e guida nella famiglia e allo stesso tempo il proprio aff ermarsi nella società, si denuncia un preoccupante tasso di crescita della prostituzione. Sempre più bambine e adole-scenti sono coinvolte nel mercato del sesso e della droga, senza contare il doloroso capitolo degli abusi, fi sici e sessuali, e del lavoro minorile. Per chi opera nel campo della promozione umana, i dati confer-mano le esperienze e purtroppo richiamano alla mente volti e nomi conosciuti, storie di donne che hanno pagato a caro prezzo la speranza di vedere riconosciuto il proprio diritto di vivere. Nei villaggi fi lippini dove operiamo, le bambine iniziano a fare da mamma quando ancora non sono in grado di tenere fra le braccia l’ultimo nato in famiglia. Guardandole, non posso non pensare a chi ha il lusso di giocare a fare la mamma con le bambole. Per loro la bambola è viva e se la portano in braccio con disinvol-tura e aff etto ammirevole, senza pensare che quello sarebbe il loro tempo per giocare, per studiare. Sono ancora ‘piccole mamme’ quando lavano la biancheria per la famiglia o per altri in cambio di piccoli compensi, quando piantano il riso rinunciando alla scuola, quando imparano dalla mamma a prendere la porzione di riso più piccola, perché i fratellini possano averne a suffi cienza.

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L’Organizzazione degli Stati del continente americano (OEA) ha dichiarato il 2010 come l’anno interameri-cano della donna, con un

invito alla rifl essione sul ruolo e la situazione della donna, protago-nista indiscutibile dei processi di sviluppo latinoamericano. Avvici-nandoci, inoltre, alla celebrazione del bicentenario di indipendenza della maggioranza dei Paesi Suda-mericani, possiamo constatare che durante questi ultimi due secoli si è continuamente lottato per la rivendicazione dei diritti della donna.In qualunque Paese Latinoamerica-no - e anche in Colombia - le donne sono ancora adibite, in alta percen-tuale, ai lavori manuali quotidiani, anche se molte di esse stanno cercando di emanciparsi attraverso l’educazione che, a diff erenza di soli vent’anni fa, ora è un settore a maggioranza femminile (vincendo l’antico mito secondo il quale la donna non doveva essere educata, bastando che imparasse a fare i mestieri di casa).Ora molte donne rivestono il ruolo di madri-capofamiglia, costrette a fare cose inverosimili (comprese cose indegne o illegali) per poter tirare avanti la loro casa con almeno tre fi gli. La paternità irre-sponsabile e l’abbandono da parte dell’uomo sono, infatti, all’ordine del giorno.

È possibile trovarle anche davanti ai commissariati e ai tribunali per far valere i propri diritti di fronte ad abusi tanto comuni tra noi, come il maltrattamento intrafami-liare, del quale fi no a pochi anni fa un’alta percentuale erano vittime silenziose, per proteggere i fi gli o per paura dei mariti. Ancora più è possibile trovarle occupate negli impieghi produttivi del Paese; sono il 51% della forza lavoro, con un aumento crescente negli ultimi anni, grazie alla loro preparazione, al loro alto senso di responsabilità, alla migliore organizzazione e amministrazione domestica delle entrate. Nono-stante ciò, le donne sono ancora considerate una manodopera di livello inferiore, pagata meno di quella maschile. Si possono vedere donne inco-lonnate in lunghe fi le davanti alle ambasciate di Spagna e Usa, per rimediare un visto per lavorare in queste nazioni, disposte a ipoteca-re la casa per fi nanziarsi il viaggio e ad affi dare i fi gli a terzi.Le puoi vedere ancora – mai si pensava che accadesse – come detentrici di alte cariche direttive: sono magistrati, senatrici, statiste e governatori in diverse regioni, con grande consenso da parte dei cittadini, ma anche con una

grande resistenza, talvolta fi no alla persecuzione, da parte della mag-gioranza maschile. Portano sui loro volti le cicatrici della violenza che le ha battez-zate a forza come vedove, madri che cercano i loro fi gli scomparsi, orfane e “desplazadas”, scacciate cioè dalle loro terre.Molte stanno pagando condanne per il traffi co di stupefacen-ti, perché, con il miraggio del guadagno facile, sono impiegate dalle mafi e come “asini” che tra-sportano droga perfi no all’inter-no del loro stesso corpo. Ma si trovano anche sempre più donne nelle forze di polizia, nella giustizia e nell’esercitoLa donna sudamericana è una lottatrice, una gran costruttrice di famiglia, capace di dare la vita per i fi gli; è una donna che conserva la fede e promuove i valori religiosi in veste di leader nella Chiesa; che si prende cura della comunità e porta avanti la missione ecclesiale a livello continentale.Le nostre mujeres Colombiane sono meravigliose. Con compe-tenza e coraggio, in mezzo alle sfi de del mondo globalizzato e tecnocratico, non perdono di vista il progetto di Dio e si impegnano a compierlo in semplicità e tene-rezza

La donna in America Latina

di Julian e Bibiana

Ramirez

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23 maggio 2010: solennità di Pentecoste, ricorrenza liturgica particolarmente signifi cativa per tutto il popolo cristiano.Per la Comunità Shalom Via Pacis la giornata è ulteriormente impreziosita dalla memoria della sua fondazione uffi ciale, avvenuta nella Pentecoste del 1979 e che, da allora, è festeggiata anche come “Giornata di Alleanza”.Tutto il popolo di Shalom si è, quindi, ritrovato per la celebrazione a Rovereto (Tn), nella chiesa del Suff ragio. Accanto alle Comunità di Riva, Rovereto e Trento erano presenti anche i responsabili delle Comunità Shalom Via Pacis di Polistena – Giuseppina Calimera, col marito Ezio Scuderi –, del Kenya – Peter Onyango, nonché alcuni rappresentanti della Comunità ghanese di Pordenone. A sorpresa un contatto telefonico a viva voce ci ha uniti anche a Julian Ramirez Zuluaga, responsabile della Comunità Shalom Via Pacis di Colombia.In un clima di fraterna comunione e di gioia, tutti i membri delle varie Comunità hanno rinnovato la propria promessa di “seguire Gesù Cristo nella Chiesa vivendo il carisma dell’Associazione Shalom Via Pacis nell’Alleanza”.Questa semplice cerimonia ha avuto luogo durante la Santa Messa presieduta da don Luigi Amadori, parroco e decano di Arco (Tn), il quale ci ha manifestato una sincera e calda amicizia. Durante l’omelia, don Luigi ha off erto una rifl essione ed una meditazione approfondite ripercorrendo la novena di Pentecoste ideata ed edita dalla Comunità Shalom Via Pacis.

Giornata di Alleanza

INFORMAZIONE

“È con gioia ed emozione che sono qui con voi in questa festa di Pentecoste. Oggi ho invocato

lo Spirito Santo su di me, sul mio sacerdozio, sulla comunità a me affi data, ma, in mezzo a voi, che avete fatto l’esperienza dell’Ef-

fusione dello Spirito e che oggi si rinnova, prego: Vieni Spirito Santo e immergi questa Comunità, questa realtà, nella grande comunità ecclesiale.Spesso mi chiedo: Come mai non trovo il fervore e l’esultanza nelle parrocchie che visito, tra la gente che vedo? L’esperienza di Chiesa dovrebbe essere la stessa, ma magari si va alla ricerca di qualcosa di sentimentale.In questi giorni ho fatto la vostra novena di Pentecoste “Ricreatore del già creato”, e ho ripensato alle tematiche che sono state proposte.

Nel primo giorno abbiamo rifl et-tuto sull’essere Shalom. La parola che va di moda oggi è “comunio-ne”. La Chiesa, la casa, la scuola siano tutte realtà di comunione. Questo è proprio il vostro compito.Nel secondo giorno abbiamo meditato sull’essere Chiesa: che bello sapere che voi, piccola parte, desiderate essere Chiesa, desidera-te inserire questa realtà nella realtà più grande!Nel terzo giorno abbiamo invocato lo Spirito sul carisma fondativo: quanta gioia e quanta ricono-

omelia di don Luigi Amadori

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videre con chi ci sta vicino un po’ delle nostre ricchezze, dal vivere concretamente la parola “l’avete fatto a me”. Nel settimo giorno abbiamo meditato sul perdono: davvero solo dal cuore perdonato possono nascere rela-zioni nuove.Nell’ottavo giorno il tema era perdere la vita per Gesù. Ma come? Se noi preghiamo per conservare la nostra vita, se intercediamo per gli ammalati perché riabbiano la salute, come possiamo decidere di perdere la vita? Possiamo rispondere solo guardando al crocifisso. Io ho

incontrato il Movimento dei Focolari e la nostra icona di riferimento è il Gesù crocifisso e abbandonato. Proprio la croce è la chiave del perdere la vita, lì dove il cuore

di Gesù ha perso tutto: in quel momento Lui ha amato e basta. Anche don Domenico insegnava a vivere così ed è andato al cielo tirandosi in disparte.

Nel nono giorno della novena abbiamo visto l’essere santi insieme: qui ci sono dei rappresen-tanti della Calabria; quando ci sono

stato io, sono rimasto colpito dalla figura di tanti santi monaci che si sono dispersi in tutta la Calabria; santi individuali. Anche in questa chiesa, che mi è cara perché venivo da bambino a recitare il Rosario, ci sono tante statue di grandi santi (Pietro, Paolo, S.

Girolamo, vari vescovi), grandissimi santi… ma noi desideriamo essere santi insieme. Anche S. Gregorio diceva che, se si facevano trenta messe per i defunti, le loro anime erano salvate… Ma noi dobbiamo farci santi insieme perché lo Spirito ci ha fuso insieme, basta vedere anche qui la presenza del Kenya, del Ghana, della Colombia: una famiglia attorno a Gesù.Chiediamo a Maria, che veneriamo come Madre, l’aiuto per fare vuoto dentro di noi per generare Gesù.Che voi possiate portare i frutti dello Spirito Santo, che possiate portare unità tra la Chiesa gerar-chica (che qui io rappresento) e la Chiesa carismatica (che siete voi).Io cammino con voi e chiedo allo Spirito che questa Chiesa sia sempre più famiglia”

«Il Consolatore,lo Spirito Santoche il Padre manderànel mio nome,Egli v’insegnerà ogni cosae vi ricorderà tutto ciòche io vi ho detto.Vi lascio la pace,vi do la mia pace»

(Gv 14,26 - 27)

scenza si percepisce quando vengono nominati Paolo ed Eliana. È bello sapere che sono persone concrete; sono fondatori, perché hanno accolto un dono di Dio e lo hanno fatto fruttificare nei questi trent’anni. Siamo nell’anno sacer-dotale e il Papa ha fatto pregare per la riscoperta del nostro sacer-dozio. Don Domenico, con Paolo ed Eliana, ha sentito la chiamata a vivere insieme e, dall’unione di due vocazioni (sacerdozio e matri-monio), è scattata la scintilla, che ha dato nuova vita a tutti voi.Nel quarto giorno abbiamo visto come la pace non sia un semplice stare bene insieme, ma, consiste nel superare le difficoltà di ca-rattere o altro nella vita vissuta. Uno dei doni fondamentali del Carisma Fondativo è la riscoperta del sacramento della Riconci-liazione: volersi bene significa ricominciare, amarsi nonostante tutto.Nel quinto giorno, la gioia: la gioia non è che frutto dell’esse-re amati da Gesù. Questo, però, non è sentimento, ma amore che dona la possi-bilità di com-partecipare alle gioie degli altri, senza concentrarsi sulle proprie preoccupazioni.Nel sesto giorno, la condivisio-ne con i poveri: da cosa è nata questa grande concreta generosi-tà? Dalla decima, dal voler condi-

Oggi chiediamo alloSpirito Santo di ricrearein noi, per diffonderlonel mondo intero, il donoche abbiamo ricevutodel carisma fondativo.

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Il carisma Via PacisL’avvenimento del 30° ha spinto tutti noi ad una rifl essione più profonda e attenta sulla nostra storia e sulla nostra chiamata. I fondatori, Paolo ed Eliana, in quest’anno che è seguito, hanno intuito nuove dimensioni del nostro carisma fondativo, il carisma che abbiamo imparato a conoscere come “shalom”, e ne hanno percepito, in un certo modo, la radice profonda, “sorgiva”: la riconciliazione.“Shalom”, come sappiamo, non signifi ca semplicemente “pace”, ma

“integrità, un tutto che combacia, l’assenza di lotta tra parti divise o contrapposte”2. È il sogno di Dio per le sue creature, è il desiderio profondo che anima il nostro cuore. Ma l’esperienza di ciascuno è invece la divisio-ne, la tensione dentro e fuori di noi, fra genero-sità ed egoismo, fra santità e peccato, fra bellezza e degradazio-ne, fra cura e sfruttamento… Allora “shalom” diventa necessariamente un cammino da percorrere, con gradualità, sobrietà, prudenza e coraggio. Diventa una “via”: “via pacis”.

2 P. MAINO, Servire la Chiesa e il mondo, in P. MAINO (a cura di), La Comunità Shalom. Cristiani nel mondo, Arco (Tn) 2006, 141-148.

Nella Bibbia la “via” è un’immagine con la quale l’uomo viene presenta-to in continuo cammino verso Dio e insieme a Dio; “pacis” è il contenuto e l’obiettivo di questo cammino: la pace di Gesù, la pace che è Gesù.

Pace intesa come perdono, libera-zione, riconcilia-zione.La riconciliazio-ne è la radice profonda del nostro carisma, perché, come scrive Paolo Maino in “Amba-sciatori di ricon-

ciliazione”, “l’amore di Dio Padre, rivelatosi in pienezza sulla croce di Cristo, ha conquistato il nostro cuore: ‘l’amore di Cristo infatti ci possiede’3. La riconciliazione è il fondamen-to della pace, è la sorgente della

3 P. MAINO, Ambasciatori di Riconcilia-zione, Quaderni di Formazione sulla Via della Pace 2, Tione (Tn) 2010, 2.

“Il carisma Via Pacis, donato e affi dato a noi per la Chiesa e per il mondo”Il 21 giugno 2009, giusto un anno fa, celebravamo nella gioia il 30° An-niversario di Fondazione della nostra Comunità, con la presenza signifi -cativa e autorevole del Cardinal Stanislaw Rylko, Presidente del Pontifi cio Consiglio per i Laici. Le parole che egli ci rivolse in quella occasione furono molto al di là di quanto noi avremmo detto di noi stessi, e furono uno stimolo potente per i nostri Fondatori e Responsabili ad intrapren-dere con ancora più slancio e fi ducia strade nuove. “La Comunità Shalom fi gura a pieno titolo tra le espressioni della grande ‘primavera dello Spirito’ suscitata dal Concilio Vaticano II!”1, ci disse mons. Rylko in quell’occasione. Parole che hanno fatto sussultare il nostro cuore, ci hanno scossi dalle nostre piccole e miopi prospettive e ci hanno rilanciato nel cammino dove “provvidenzialmente” (parola ripetuta più volte da mons. Rylko) il Signore ci ha chiamati a seguirlo e testimoniarlo.

FORMAZIONE

“L’esperienza personale e comunitaria della riconciliazione è sempre stata un elemento caratterizzante del nostro cammino”

Alleanza

diMaria Luisa Toller

1 S. RYLKO, Omelia al 30° Anniversario di Fondazione dell’Associazione Comunità Shalom, Quaderni di Formazione sulla Via della Pace 1, Tione (Tn) 2009, 22.

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gioia, è il motore della solidarietà con i poveri.L’esperienza personale e comuni-taria della riconciliazione è sempre stata un elemento caratterizzante del nostro cammino, a partire dagli insegnamenti e dall’esem-pio di don Domenico, uomo del perdono vissuto, testimoniato e comunicato, capace di rivelarci il volto amorevole e paterno di Dio; al lavoro nascosto e prezioso di Eliana sulle nostre ferite e lace-razioni interiori, verso la riconci-liazione con la nostra debolezza, nella libertà; alla guida paziente e tenace di Paolo verso uno stile di vita riconciliato con noi stessi, con i fratelli e col mondo intero, nella sobrietà e nella condivisione. Ora comprendiamo che non si trattava semplicemente di un elemento necessario per il cammino cristia-no, ma dello svelarsi a poco a poco di un dono particolare, di un vero e proprio carisma, che Dio aveva pensato da sempre e posto nel cuore dei nostri fondatori.Questo carisma straordinario sgorga dal cuore di Gesù in Croce, nelle sue parole sconvolgenti: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”(Lc 23,34). Con queste parole Gesù perdona ciascuno di noi: “è la Croce di Cristo la solenne riconciliazione che il Padre ha operato nel mondo”. “Queste parole “ormai ci pos-siedono, hanno travolto il nostro cuore, hanno sconvolto le nostre vite, hanno rivoluzionato i nostri pensieri, hanno messo a soqquadro i nostri schemi mentali e religiosi, hanno aperto orizzonti impensabi-li”4. Potremmo dire, come Chiara Lubich, che “per quelle parole noi siamo nati”.

Donato e affi dato a noiContemplando queste parole, si delinea il volto dei chiamati alla Comunità Shalom-via pacis: sono persone che hanno sperimentato

4 P. MAINO, Ambasciatori di Riconcilia-zione, Quaderni di Formazione sulla Via della Pace 2, Tione (Tn) 2010, 2.

una misericordia che va oltre la giustizia, che fanno passare tutta la propria vita, passata e presente, attraverso il fuoco purifi catore del carisma, che vaglia ogni loro scelta e ne rivela la consistenza. Persone che, per questo, scelgono di vivere e testimoniare il Vangelo della pace, nella continua ricerca di rapporti riconciliati con Dio, con se stessi, con gli altri e con il creato nella propria quotidianità, stato di vita e professione. Persone chiamate a vivere e testimoniare una “santità comunitaria” come ambasciatori di riconciliazione nel cuore del mondo, svolgendo quotidianamente i propri impegni professionali, familiari e sociali nella fedeltà al carisma fondativo, da condi-videre con gli uomini e le donne del proprio tempo, annunciando Gesù di Nazaret, forza riconciliatrice di Dio, con responsabilità, creatività, sguardo ampio, slancio mis-sionario.Secondo la logica di Dio, Gesù è dovuto diventare un uomo ebreo in quel tempo storico, per poter diventare il Signore del mondo e della storia.Così il carisma della riconciliazione, perché possa diventare, secondo la volontà di Dio e della Chiesa, dono per l’umanità, deve diventa-re “carne” nella mia e nella nostra vita, da laici quali siamo. Quindi non fuori dalla dimensione quoti-diana e feriale del nostro esistere, ma proprio lì, nel concreto svol-gersi delle nostre giornate. Deve diventare possibilità e ricerca paziente e coraggiosa di riconci-liazione con me stesso, nei miei fallimenti e debolezze, con i miei familiari e parenti, con i vicini, i colleghi, le persone che incontro ogni giorno; con la mia storia così come si svolge, con la realtà del mio presente, per testimoniare l’amore di Dio, che si fa vicino con la Sua misericordia e la Sua com-passione a ciascuno dei suoi fi gli.Non è una chiamata per persone

esenti da debolezze e limiti: anzi, il carisma via pacis può germogliare solo nell’esperienza della fragilità, della radicale ambivalenza costitu-tiva della nostra realtà, della nostra assoluta impotenza senza l’inter-vento della misericordia di Dio e dei fratelli. Solo persone che spe-rimentano il bisogno di rinascere, di nascere di nuovo, attraverso la riconciliazione, sono adatte a questa Comunità. Parafrasando la liturgia della notte di Pasqua, potremmo allora dire “felice colpa”: felice debolezza, felice limite del mio carattere, felice fallimento dei miei sogni di grandezza e autosuf-

fi cienza, felice errore, che aprì la strada a un dono così grande.Il carisma è anche il legame che ci fa un cuore solo, la forza che ci dà il coraggio di amarci gli uni gli altri come Gesù ci ama, nella miseri-cordia vicendevole. L’affi nità spirituale, che mons. Rylko, citando la Christifi de-les laici, indica come il “cemento forte” che unisce persone

diverse nella stessa realtà eccle-siale5, è per noi l’esperienza della riconciliazione. Guardando i vostri volti, riconosco fra me e voi una somiglianza, un’affi nità, appunto, che ci lega in una parentela più forte di quella del sangue: come me, siete persone che sperimen-tano la misericordia di Dio, gioi-scono del suo perdono e vivono la propria vita quotidiana nella continua ricerca di rapporti ricon-ciliati.

Per la ChiesaTorniamo a quanto ci disse mons. Rylko al 30°: “Siete nel cuore della Chiesa, che conta su di voi nei prossimi anni”. E ancora: “Ricordan-

5 S. RYLKO, Istituzione e carisma nella Chiesa: co-essenzialità, Quaderni di Formazione sulla Via della Pace 1, Tione (Tn) 2009, 10.

“Solo persone che sperimentano il bisogno di rinascere attraverso la riconciliazione sono adatte per questaComunità”

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do le origini di Shalom – l’indimen-ticabile Pentecoste del 1979 – siamo chiamati a rivivere il mistero di quel potente soffi o dello Spirito di cui la Comunità continua a vivere. Tutti voi che vi appartenete siete testi-moni particolarmente qualifi cati della straordinaria abbondanza e diversità dei doni con i quali lo Spirito Santo continua ad arricchirvi e, tramite voi, continua ad arricchire la Chiesa”6. Ricordo bene l’emozione alle parole del Cardinale, quando pa-ragonava la nostra storia al grande modello del movimento france-scano, invitandoci a riconoscere nel nostro carisma una particolare risposta di Dio ad un bisogno della Chiesa nel nostro tempo. Ricordo il sentimento di profonda rico-noscenza verso i nostri fondatori, che hanno saputo lasciarsi guidare attraverso ogni genere di diffi -coltà, interna ed esterna, cammi-nando “sulle acque”, alla continua ricerca della volontà di Dio, permettendo così che il nostro percorso si inserisse pienamen-te in quella “corrente di grazia” che sono i Movimenti e le Nuove Comunità, con cui condividiamo le caratteristiche di rinnovamento e fecondità per la vita della Chiesa. Ci chiediamo: a quali bisogni della Chiesa può rispondere il nostro carisma? Un aspetto lo accennava già il Cardinale: nel mondo con-temporaneo troviamo sempre più spesso “identità cristiane deboli e confuse, un Vangelo edulcorato e inquinato dai compromessi con la mentalità comune, una fede confi nata nella sfera dello stretta-mente privato”. Il Vangelo della riconciliazione, vissuto e testi-moniato, riconduce alla radice dell’incontro autentico con Dio e

6 S. RYLKO, Istituzione e carisma nella Chiesa: co-essenzialità, Quaderni di Formazione sulla Via della Pace 1, Tione (Tn) 2009, 3-4.

con le creature, permettendo un cammino di appartenenza totale a Cristo e alla Chiesa e la formazio-ne di personalità cristiane solide e mature, aperte alla missione. Allargando lo sguardo agli altri continenti, là dove il Signore ci ha chiamati e ci chiamerà ancora, i frutti del nostro carisma – pace, gioia, carità – possono rispondere a bisogni drammatici e urgenti di evangelizzazione, solidarietà, for-mazione, speranza, comunione.Paolo, nel suo ultimo insegna-mento, ci invitava ad “abbracciare con radicalità il carisma che Dio ci ha donato, seguendo Gesù come

Lui ci indica: essere ambasciatori di riconciliazione nella nostra quotidianità, essere operatori di riconciliazione e pace nelle strade del mondo”. I nostri Pastori non ci hanno dato semplicemente il permesso di vivere in un angolino della Chiesa nel

tempo libero da altre attività ec-clesiali. Ci hanno detto: “la vostra è una vocazione nella Chiesa, vivetela fi no in fondo”7. Il nostro posto nella Chiesa è questa Comunità, il nostro servizio alla Chiesa è in questa Comunità. Come ci esortava il Cardinal Rylko nella sua Omelia: “Il carisma…è il vostro tesoro più prezioso, alimento della vostra vita personale e comunitaria, una straor-dinaria risorsa evangelizzatrice, una fonte inesauribile di quella fantasia missionaria di cui oggi la Chiesa ha tanto bisogno”. E ci richiamava con forza “a viverlo con rinnovata fedeltà, perché il carisma non è una teoria, ma vita”8. La fedeltà al nostro carisma lo rende disponibile ed effi cace per il bene della Chiesa. Più

7 T. CIVETTINI, L’identità cattolica della Comunità Shalom, in P. Maino, cit., 45-46.

8 S. RYLKO, Omelia al 30° Anniversa-rio di Fondazione dell’Associazione Comunità Shalom, Quaderni di For-mazione sulla Via della Pace 1, Tione (Tn) 2009, 23.

lo comprendiamo e lo viviamo, più siamo utili alla Chiesa.

Per il mondoUna caratteristica particolare del nostro carisma è la laicità: non dobbiamo diventare un ordine religioso, siamo immersi nel mondo, come il lievito nella farina, per trasformarlo dal di dentro attraverso la forza rigeneratrice della riconciliazione. Il nostro Statuto ci segnala alcuni ambiti di particolare impegno: il matrimo-nio, la sobrietà nell’uso dei beni, il rispetto del creato, i giovani, la dignità della donna, lo sviluppo dei popoli e la scolarizzazione, la cultura, la giustizia, la pace.L’aspetto per il quale siamo più conosciuti nel mondo è la solida-rietà, che ci ha permesso in tanti anni di incontrare la povertà e i bisogni di pace di tante persone in tutti continenti. Ma sempre più chiaramente stiamo comprenden-do che il dono che abbiamo in sovrabbondanza da condividere è il Vangelo della riconciliazione, dal quale nasce una solidarietà più effi cace, più incisiva, capace di trasformare le realtà umane dal di dentro, dal cuore dell’uomo. Come ci diceva Paolo nell’ultima assemblea dei soci dell’Associazio-ne Shalom Solidarietà Internazio-nale, “siamo divenuti consapevoli che abbiamo prima di tutto la re-sponsabilità di portare il dono che Dio ci ha dato: il carisma di pace e riconciliazione di cui il mondo ha estremo bisogno. Così vediamo che i progetti sono ancora più vicini ai bisogni veri della gente, l’aspetto economico ci preoccupa meno, le persone non chiedono solo un aiuto per necessità pressanti ma desidera-no condividere con noi un cammino di pace. E la solidarietà si trasforma in reciprocità: non diamo solo beni materiali, riceviamo cultura, segni di aff etto e di amicizia da persone con le quali ci sentiamo sullo stesso piano, da cui impariamo semplicità e gioia, attraverso relazioni sincere e durature”. A ciascuno di noi, poi, è affi data una grande responsabilità: il nostro ambiente quotidiano.

FORMAZIONE

Alleanza

“Siamo chiamati a off rire perdono, speranza e riconciliazionecon ogni mezzo,accettando di perdere la nostra vita”

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In qualunque parte del mondo abitiamo, in Europa, in Africa, in America Latina, incontriamo persone soff erenti, lacerate da divisioni e discordie, persone disorientate a cui mai nessuno ha rivelato la forza del perdono. Incontriamo persone che hanno perso la bussola della vita, aff amate di amore e di signifi cato. Persone tradite e traditrici, vittime e carnefi ci in estenuanti faide familiari o tribali. Persone sole e disperate, senza futuro, autocen-trate nell’individualismo. Persone che non varcheranno mai la porta delle nostre chiese, che non sanno di cercare Dio e che Dio le sta cercando. Molti anni fa, quando eravamo una realtà piccolissima e sconosciuta, il Signore ci disse che saremmo dovuti diventare “città sul monte”, luogo dove chi è stanco, impau-rito e disperato possa rifugiarsi. Ci parlò di un “grande albero” di

pace e riconciliazione che ger-moglia da noi e cresce, per off rire a molti “ombra e ristoro”. Tutto questo diventa possibile, se la Comunità Shalom-via pacis vive al suo interno relazioni riconcilia-te, attenzione al debole, cura dei rapporti interpersonali, perdono permanente, attraverso l’impe-gno quotidiano dei suoi membri. E questo ci spinge alla missione: essere “ambasciatori di riconcilia-zione”, prima di tutto nel nostro ambiente. Tiziano, nel suo inter-vento in una domenica comunita-ria, ci spiegava che cos’è un’amba-sciata: un pezzo di patria in terra straniera. Quando in un Paese si verifi cano disordini e rivoluzioni, le ambasciate diventano luoghi di rifugio e di salvezza. Mentre rifl ettevo su questo tema, mi sono ricordata di aver letto la storia di Giorgio Perlasca, un italiano che lavorava a Budapest quando l’Ungheria venne occupata dai

nazisti. Per evitare l’arresto, si rifugiò nell’Ambasciata spagnola, e iniziò ad aiutare l’Ambasciatore a salvare ebrei dalla deportazione. Quando l’Ambasciatore fu costret-to a tornare in Spagna, Perlasca si spacciò per ambasciatore sostituto e arrivò a salvare circa 5200 ebrei attraverso passaporti spagnoli falsifi cati, a rischio, naturalmente, della sua vita. S. Paolo, ma anche il nostro Paolo, ci dicono che il Vangelo deve essere annunciato in ogni modo, opportuno e non op-portuno: anche noi siamo chiamati a off rire perdono, speranza e riconciliazione con ogni mezzo, accettando il rischio di “perdere” per questo la nostra reputazione, il nostro tempo, le nostre forze; in una parola, la nostra vita. Perché abbiamo trovato la perla preziosa per la quale vale la pena di lasciare tutto: Gesù, nostra ri-conciliazione e nostra pace

I fondatori Eliana e Paolo Maino insieme ai Responsabili Locali della Comunità Shalom - Via Pacis di Trento, Rovereto (Tn), Riva del Garda (Tn), Folgaria (Tn), Polistena (RC) e Nairobi (Kenya)

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Costruiresperanza

Continua la costruzione del Centro per orfani, donne che soff rono di malattia mentale ed i loro bambini.

Dall’1 al 15 maggio, due responsabili dell’Associazione Shalom Solidarietà Internazionale, Fausta Matteotti e Sara Paternoster, si sono recate a Mbarara nel sud-ovest dell’Uganda, per verifi care lo stato di avanzamento dei lavori per la costruzione del Centro Shalom-Via Pacis. Nel Centro, che sta sorgendo nel cuore della città, saranno accolti bambini orfani a causa dell’AIDS - molti dei quali a loro volta malati - e madri con disagio psichico, insieme ai loro fi gli. Il progetto è realizzato in collaborazione con l’Università di Mbarara. Il Centro vuole essere prima di tutto un luogo di pace, una sfi da all’individualismo e all’egoismo, una dimostrazione che, nonostante la diversità di cultura e di mentalità, lavorando “con” invece che lavorando “per”, è possibile realizzare grandi sogni e far crescere la cultura della pace e della solidarietà. Al Centro hanno sperimentato la durezza della vita non solo le persone che vi saranno ospitate, ma anche coloro che vi lavoreranno. Sono giovani che hanno vissuto la perdita dei loro genitori per AIDS e donne che hanno conosciuto le diffi coltà della malattia mentale e desiderano continuare a combatterla, aiutando altre donne che si apprestano ad aff rontare la stessa lotta.Alcune donne, seguite dal locale Servizio di Salute Mentale, chiedevano: “quando sarà fi nita la nostra casa?”, perché è così che già chiamano il Centro Shalom-Via Pacis.

Il centro al centroNon è un caso che il Centro Shalom si trovi in piena città, a poca distanza dall’ospedale, dalle scuole, dal Municipio. È stato fortemente voluto integrato nel tessuto sociale. Per troppi anni ed in troppo luoghi le case per malati di mente sono state isolate, lontane dagli occhi e dai pensieri. Si voleva evitare questo, perché la dignità delle persone più abban-donate ed emarginate si aff erma anche favorendo il loro accesso alla rete della comunità. Vicino di casa del Centro è nientemeno che il primo cittadino di Mbarara, secondo il quale la costruzione del Centro porterà ad un aumento della consapevolezza verso queste problematiche, anche grazie alla sua dislocazione. Al centro degli occhi, al centro del cuore, al centro dei pensieri: per guardare, per amare, per non di-menticare.

INFORMAZIONE

Uganda

diSara Paternoster

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Una collaborazione che guarda lontanoIl Centro Shalom sorgerà a poca distanza dall’Ospedale Universita-rio di Mbarara. Da subito sono stati presi contatti con il Dipartimento di Psichiatria e con quello di Pe-diatria per esplorare l’opinione dei professionisti locali. Già nel 2008 aveva suscitato immediato interesse. Non solo perché in Uganda c’è un bisogno immenso di accoglienza per i circa due milioni di orfani, ma anche perchè la malattia mentale è in preoccupante aumento ed il Centro sarà il primo nel suo genere ad accogliere persone che ne soff rono e che ora vivono ai margini della società nelle con-dizioni più disperate. Da allora è nata una collaborazione con l’Università di Mbarara. Dopo l’in-contro del 12 maggio scorso, ci ha scritto nuovamente il Direttore del Dipartimento di Psichiatria, dott. Maling: “Sono molto fi ducioso che quanto abbiamo discusso oggi ci porterà lontano nel migliorare la vita delle persone malate di mente in Uganda”. Anche noi lo siamo.

Lo sguardo del Padre sui suoi fi gliIl Centro si stende su più piani. A piano terra cucina e grande sala da pranzo, uffi ci, locali di servizio e laboratori per piccoli lavori di sartoria ed artigianato di autoso-stentamento. Al primo e secondo piano stanze per ospiti e staff . Al piano superiore, la cappella, vero motore e rifugio della casa. Gli standard professionali ai quali miriamo sarebbero vani senza l’attenzione all’uomo nella sua interezza. Vivere assieme in modo riconciliato, condividere gioie e soff erenze, stare accanto a malati e morenti, allargare i paletti del cuore a nuovi fratelli o sorelle che arrivano: questo è possibile solo nella consapevolezza di essere fi gli di uno stesso Padre. Per questo la cappella è parte integrante del Centro.

Page 16: N.19 Sulla via della pace 2010

Ha da poco terminato

le scuole superiori. È un

giovane e bel ragazzo,

fi glio maggiore di Tadeo e Scolastica. Ha

cinque fratelli. Conosciamo la sua famiglia

da quattro anni, da quando il fondato-

re Paolo Maino e Renato Demurtas li

avevano incontrati nella loro casa. C’era

qualcosa in quella famiglia che aveva

toccato il loro cuore. Da allora ogni anno

in occasione delle nostre visite a Karama,

vicino ad Mbarara, abbiamo incontrato

quella famiglia. Vicent ha fi nito le scuole

superiori grazie ad una borsa di studio del-

l’Associazione Shalom Solidarietà Interna-

zionale, e così ha fatto suo fratellino John, ter-

minando da poco le elementari. Vicent lavora

duro per aiutare la sua famiglia, imparando

impegno e determinazione dai suoi genitori.

Viene a salutare Fausta e me e quando ci vede ci chiede

È aff amata, stanca per le notti in domicili di fortuna. È solo una delle tantissime donne

che vivono ai bordi delle strade di Mbarara, la terza città dell’Uganda con il suo milione di

abitanti. Ha saputo che verrà aperto il Centro Shalom, dove potrà venire a stare, portando

anche i tre piccoli fi gli, che ora sono accolti da parenti. Attualmente dai parenti non c’è posto per tutti,

ma almeno i bambini sono al sicuro. “Io non riesco a dare loro da mangiare”, ci racconta. “Ma quando la

nostra casa sarà aperta, andrò a prenderli e staranno con me”. La nostra casa: Julia ha compreso il signifi cato

profondo del Centro.

Alex ha forse quattro anni. È stato trovato nella foresta, abban-

donato da giorni, forse settimane. Non sa camminare, perché

paralizzato per metà del corpo e con l’altra metà gravemente

compromessa. Ci vede poco e non sa parlare. Ha

imparato a trascinarsi sul terreno e mangiare tutto

quello che trova per terra. Chissà di cosa si è cibato

nella foresta. È stato portato da Lilian, una giovane

donna che, in una casa temporanea, accoglie con

tanto amore orfani a causa dell’AIDS, in attesa

che il Centro sia aperto. Lo hanno portato a

lei, perché Alex potesse morire con dignità…

Sono passati sei mesi ed Alex si è rimesso, si

fa capire a suoni e ha un sorriso che conquista.

Alex, non temere: c’è già un posto prenotato per

te al Centro. Con il tuo sorriso ci ricorderai che ogni

sforzo per costruire il Centro Shalom valeva la pena di

essere vissuto.

Alex

VICENT

JULIA

INFORMAZIONE

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Page 17: N.19 Sulla via della pace 2010

di non off enderci se ci chiamerà “mamma”

(in Africa le persone particolarmente signi-

fi cative vengono chiamate mamma e papà).

“Perché la mamma è colei che dà la vita”, ci

spiega, “e l’Associazione Shalom, che voi

rappresentate, ha ridato la vita a me e alla

mia famiglia. Avete collaborato con Dio, rispondendo alla Sua

chiamata, per ridarci la dignità di una vita decorosa ed ora

non possiamo non pregare per voi e ringraziare Dio per voi.

Sappiate che tutti i giorni noi vi ricordiamo e siete nel nostro

cuore”. Ecco cosa altro Vicent ha imparato dai genitori: una rico-

noscenza che commuove e che, ogni volta che li incontriamo,

ci confermano. Nei giorni della nostra permanenza Vicent e

tutta la sua famiglia non hanno smesso di ringraziarci. La loro

gratitudine è stata per noi un insegnamento potente, perché

qualsiasi dono, anche il più grande, è inutile se non lo si vede

e non se ne gioisce.

Vicent; tu hai ringraziato noi. Noi ringraziamo te, Tadeo, Scola-

stica, Adriene, Philipo, Jovira, John e Mercy, per il vostro amore

e la bellezza del vostro cuore

La conoscia-

mo ormai da

tre anni. Una

giovane donna che ha tanto soff erto a

causa di una grave malattia mentale. Ora

sta meglio, grazie ai farmaci che prende

regolarmente, ai suoi sforzi ed al sostegno che riceve. Off re il suo

tempo ad aiutare in cucina per preparare il pranzo alle decine

di giovani della Comunità Yesu Ahuriire. È affi dabile, puntuale,

grande lavoratrice e rinnova il suo desiderio di venire a lavorare

al Centro Shalom: “Dovrò portarmi le lenzuola e gli asciugamani o

li troverò li?” ci chiede. Appuntamento al Centro, allora!

MARIA AIDA

L’ho visto la prima volta

circa un anno e mezzo fa.

Lilian lo aveva raccolto ormai non molto lontano

dalla morte. I medici le avevano detto che sarebbe

sopravvissuto solo per un miracolo. Evidente-

mente i miracoli (dell’amore) accadono davvero.

Rivedo Matthew, che ha ora le guance paff utelle e si diverte a correre

e giocare con gli altri bambini. “Lilian”, chiedo, “ma quello non è il

bimbo che avrebbe dovuto morire più di un anno fa?”. Lilian annuisce,

con un sorriso più eloquente di molte parole.

MATTHEW

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Il dono della Comunità

Alla domanda “cos’è la Comunità Shalom Via Pacis per te?” non ho alcuna esitazione a rispondere: “è il luogo

in cui l’amore gratuito e la mise-ricordia di Dio diventano tangi-bili, si fanno carne nei fratelli di comunità”. È l’aspetto della vita comunitaria che, pur senza disco-noscere tutti gli altri, attualmente desidero privilegiare, testimonian-do quanto ho sperimentato nei due anni appena trascorsi.Nella vita di ogni persona si al-ternano periodi tranquilli ad altri più diffi cili e dolorosi: penso che nessuno si aspetti solo rose e fi ori sul proprio cammino e, quindi, che tutti siamo più o meno pronti ad accettare le alterne vicende della vita. Io, però, non ero preparata a quanto mi è accaduto in questi ultimi due anni: l’aggressione si-multanea di tante malattie, tutte abbastanza serie, arrivate im-provvisamente e senza un attimo di tregua fra l’una e l’altra; e non limitate solo alla mia persona, ma, cosa più dolorosa e diffi cile da accettare, anche a quella dei miei aff etti più cari: i fi gli e i nipotini.Mi sentivo persa, confusa, sfi ducia-ta, nell’angosciosa incertezza circa l’esito degli interventi operatori, delle terapie chemioterapiche… Sentivo vacillare, o almeno in-debolirsi, la fede, che mi aveva sempre sostenuto nel corso di tutta la mia vita. La preghiera non mi aiutava. Anzi, non riuscivo più a pregare; balbettavo solo qualche vecchia “giaculatoria” durante le lunghe ore della notte.

In tutto questo, le persone della mia comunità, i miei fratelli, non mi hanno mai lasciata sola, ma hanno sempre vegliato su di me, sui miei cari ed anche sulla mia fede. Ogni visita, ogni telefonata, ogni messaggio era una ventata di ossigeno, specialmente quando, dopo aver confi dato loro la mia diffi coltà a pregare, mi sentivo rispondere con grande tenerez-za: “ Non preoccuparti. Off ri, se riesci, la tua soff erenza. Ora tocca a noi pregare. Stai tranquilla, ci pensiamo noi. Soprattutto, non temere per la tua fede: vedrai che ne uscirà fortifi cata”. Parole che erano balsamo per me! Avverti-vo con certezza che i miei fratelli erano la mia voce e la mia mente, quella mente che, dopo la prima decina del rosario, cominciava a divagare. Sapevo di potermi affi dare a loro, perché essi, in mia vece, chiedevano a Dio di vegliare sulla mia famiglia e su quella dei miei fi gli. E sentivo anche di non venir giudicata per tutti i miei momenti di dubbio, ma di essere amorevolmente sostenuta nella mia poca forza. Qualche volta ero tentata di chie-dermi come avessi potuto meritare tanto amore da parte loro, ma conoscevo la risposta: quel Dio, che è Padre tenero e misericordio-so e soff re al nostro fi anco quando siamo nell’angoscia, aveva già da tempo scelto per me proprio quei fratelli attraverso i quali voleva farmi percepire il Suo amore e la Sua misericordia, affi nché io me ne sentissi consolata! Niente avevo dovuto fare per meritare tutto questo: era il suo dono di Padre!

Paola

TESTIMONIANZE

Segni di speranza

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“Ho scoperto la Parola di Dio”

Uno dei doni più preziosi che ho ricevuto dalla Comunità Shalom Via Pacis e nella Comunità è stata la scoperta

della Parola di Dio. Ero la classica “cristiana della domenica”: non pensavo certo di leggere auto-nomamente il Vangelo, ed ancor meno la Bibbia, ma mi limitavo, e mi pareva abbastanza, ad ascolta-re la Parola la domenica in chiesa e la relativa omelia. A quei tempi si diceva che la messa era valida se si arrivava prima dell’off ertorio: questo dimostra quanta poca im-portanza era stata data alla parola di Dio! Appena entrata in Comunità mi fu proposto di impegnarmi a trovare nella mia giornata un tempo (possi-bilmente sempre quello e “buono”, cioè non quando ero più stanca) per leggere e meditare la “Parola del giorno”. Così, a casa mia, appar-vero per la prima volta la Bibbia e poi il messale quotidiano.Mi era anche stato detto che era importante chiedere l’aiuto dello Spirito Santo prima di accostarsi alla lettura ed alla meditazione: altra scoperta!Pian piano, prendendo confi denza con la Parola, scoprivo ogni giorno di più come essa fosse viva: Dio camminava con me, mi parlava e mi guidava con la sua parola. Quante volte in questi anni la Parola ha dato risposta ai miei dubbi ed ai miei “perché”, facen-domi toccare con mano che Dio vedeva dentro il mio cuore e nei miei pensieri e mi rispondeva. Ero sbalordita per la sua presenza e per la sua premura! Molte volte la Parola mi ha co-stretta a fermarmi per guardar-mi dentro, ad interrogarmi, a prendere coscienza delle mie povertà, dei miei atteggiamenti e modi di pensare sbagliati.

E quante volte, nei momenti più diffi cili, nella soff erenza il Signore mi è venuto in aiuto con la sua parola, mi ha consolata, inco-raggiata, mi ha dato forza per guardare avanti, per non lasciarmi andare! Come se Lui mi porgesse la mano per rialzarmi. Mi ha in-segnato a fi darmi di Lui e delle persone che Lui aveva messo sulla mia strada e attraverso le quali mi faceva giungere il suo aiuto e il suo consiglio. Queste persone camminavano con me nella Comunità e, dopo avermi fatto conoscere e gustare la Parola, mi aiutavano ad incarnarla nel quoti-diano, affi nché non restasse solo una bella meditazione: questo era il passaggio più diffi cile, facilitato solo dalla presenza di un accom-pagnatore spirituale. Gli anni sono passati, e mi accorgo che la Parola di Dio e l’aiuto co-munitario mi hanno cambiata; ho ancora bisogno di aiuto, perché una cosa è capire, altra cosa è mettere in pratica. Sono consape-vole di quanto sia ancora lungo e lento il percorso di cambiamento, ma ne sono talmente aff ascina-ta che lo aff ronto serenamente, con la consapevolezza di non essere mai sola, grazie alla Parola che amo tanto e grazie alla mia Comunità cui mi lega un amore altrettanto grande.

Giuliana

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Julian Ramirez Zuluaga, Re-ferente per l’America Latina della Comunità Shalom - Via Pacis, si è recato ad Haiti per verifi care di persona la

situazione dopo il sisma, la quale appare ancora molto critica.Durante la sua permanenza, ha in-contrato il Vescovo ausiliario di Port-au-Prince, Mons. Joseph Lafontant (nella foto in basso a sinistra), che ha assunto tutte le funzioni dopo la morte dell’Arcivescovo nel terre-moto. Ha parlato, inoltre, con padre Quenell Alphonse, monfortano, la cui parrocchia è ora il centro di acco-glienza medica e di coordinamento degli aiuti, e con padre Giuseppe Durante, missionario scalabriniano. Il nostro referente ha constatato la vastità della distruzione e l’ur-genza della ricostruzione, in una situazione che appare tuttora molto confusa, vista l’incertezza a livello governativo, e la mancanza di leggi antisismiche. Tutto ciò fa pensare che, purtrop-po, non siano prevedibili tempi brevi per un ritorno alla normali-tà. Appare, pertanto, sempre più urgente il progetto sostenuto dal-l’Associazione Shalom Solidarietà Internazionale per la realizzazione di una struttura destinata a dare ospitalità e istruzione a bambini e ragazzi, tra cui tanti orfani

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S.O.S. HAITI

PER OFFERTE:CASSA RURALE ALTO GARDA Intestato a: Shalom Solid. Int.le onlus - We hope for Haiti nowIBAN: IT51E 08016 35320 000002336675 Codice BIC SWIFT: CCRTIT2T04A

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Complessità politica, eco-nomica e sociale, alta percentuale di analfabe-tismo e basso indice di sviluppo umano, gravi

problemi conseguenti alla guer-riglia, alta disoccupazione (17%, il tasso più alto in tutta l’America Latina): questa è la drammatica situazione in cui vive la popolazio-ne colombiana.Come Comunidad Shalom Via Pacis de Colombia, in collabora-zione con le altre organizzazioni che operano nel sociale e che sono presenti nel nostro territo-rio, stiamo cercando di orientare progetti e risorse per garantire ai bambini la possibilità di conti-nuare ad andare a scuola. Troppo spesso anche i piccoli sono co-stretti a collaborare all’economia

Sostegno a distanza in Colombia

di Julian e Bibiana

Ramirez

della famiglia numerosa che non ha aiuti di alcun genere.Il Sostegno a Distanza, che da qualche anno è attivo nella nostra regione del Quindìo, dà un grande sollievo a tanti genitori preoccupa-ti per il futuro dei propri fi gli.Ricevere alimenti, vestiti e uniformi per la scuola, medicine, formazio-ne umana e spirituale, contribuisce ad alimentare un clima di fi ducia nelle persone e di speranza per l’avvenire. I bambini aiutati oggi saranno gli adulti di domani, capaci di portare avanti il progresso di cui il mondo ha bisogno.È per questo che, ogni volta che abbiamo l’opportunità di far visita ai bambini seguiti con il sostegno economico e amicale di tanti, viviamo un momento di grande festa e di immensa gratitudine.Grazie a tutti coloro che off rono con generosità il loro contri-buto per portare avanti questo

progetto.Il Sostegno a

Distanza non è un piccolo aiuto, ma la concreta rea-lizzazione di un sogno che può diventare realtà

INFORMAZIONE

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L’areopago

L’areopago

Buddhismoe Cristianesimo

diWalter Versini

FORMAZIONE

Qualche mese fa i giornali riportavano una triste notizia. A causa della separazio-ne dei genitori, una

bambina si trovava a vivere con il nonno gravemente disabile; il padre si rivolgeva alla magistratu-ra perché alla fi glia fosse evitato lo spettacolo di tanta soff erenza. Leggendo, non ho potuto fare a meno di ripensare ad una storia simile, che ci porta indietro di 2500 anni: il racconto, intriso di leggenda, della giovinezza del Buddha. Al re del popolo dei Sakia, nel nord dell’India, fu preannun-ciato che il fi glio, nato da poco, sarebbe diventato un sovrano universale, oppure un grande Illuminato. Nel tentativo di orien-tare gli avvenimenti verso la prima condizione, il re fece allevare il fi glio rinchiuso all’interno della reggia, circondato da ogni agio, e al riparo da ogni soff erenza, di cui nemmeno doveva conoscere l’esistenza. Il principe Siddharda Gautama aveva già una moglie ed un fi glio quando gli riuscì di eludere la sorveglianza e di uscire dalla reggia: così incontrò un vecchio, un malato, un corteo funebre, ed infi ne un asceta. Questi incontri sconvolgenti gli fecero apprendere l’esistenza della soff erenza e, l’ultimo, intravvede-re la possibilità di un suo supe-ramento. La vita nel lusso della reggia aveva perso il suo fascino: fuggì lontano, e divenne un asceta mendicante, cercando presso vari maestri spirituali la via della libera-zione dalla soff erenza. Era l’inizio di un’avventura che avrebbe portato alla nascita del Buddhi-smo, una grande religione che ha

dato un contributo fondamenta-le alle civiltà dell’Asia; il grande teologo H. de Lubac l’ha defi nito “l’evento spirituale più grande della storia, a parte il Fatto unico, in cui noi adoriamo la traccia e la presenza stessa di Dio”. Molti secoli più tardi, i cristiani della Chiesa di Persia arrivarono nell’Asia Centrale, a contatto con i buddhisti, e vennero a conosce-re questa storia, che è uno dei soggetti preferiti dell’arte bud-dhista. Ne furono tanto colpiti che la imitarono, trasformandola nella vita leggendaria di due “santi” cristiani. Nell’adattamento cristiano, si racconta che ad un re pagano dell’India viene predetto che il fi glio Iosafat si convertirà al Cristianesimo: il re per evitarlo lo fa crescere chiuso nella reggia tra i piaceri, ignaro di ogni soff erenza. Il giovane viene comunque a co-noscere l’esistenza della vecchiaia, della malattia e della morte, e l’eremita Barlaam lo converte al Cristianesimo; segue la conversio-ne del re e di tutto il regno. Questa “leggenda di Barlaam e Iosafat” venne tradotta dal persiano in siriaco, in arabo, in greco ed, infi ne, in latino; raggiunse l’Europa me-dioevale, e vi si diff use. Fu presa per una storia vera, ed i protagoni-sti furono venerati come santi.

Tra Cristianesimo e Buddhismo le affi nità non sono molte, ed è com-prensibile che i Cristiani abbiano apprezzato particolarmente que-st’aspetto della vita del Buddha. Questo principe che, colpito dalla soff erenza degli uomini, per trovare una via d’uscita rinuncia prontamente a ricchezze e potere, è un po’ il contrario di quel ricco tanto preso dai suoi lauti ban-chetti, da non curasi del povero mendicante alla sua porta. È anche il contrario di quel giovane troppo attaccato alle ricchezze per ac-cettare l’invito di Gesù a seguirlo. Certo, siamo lontani da Colui che, pur essendo Dio, svuotò se stesso, e prese su di sé tutta la soff erenza ed il male del mondo; ma non è strano che i cristiani abbiano ammirato la nobile fi gura del Buddha, e condiviso in qualche modo il messaggio di questa sua vicenda semileggendaria. Questo messaggio, infatti, resta attuale anche per l’uomo d’oggi. La vita umana è troppo preziosa per sciuparla in sogni, distrazioni, mondi virtuali, illusioni di potere e grandezza. La dura realtà della sof-ferenza e la brevità del tempo che ci è concesso di vivere dovrebbero spingerci a riconoscere le vere priorità, e rivolgere ogni energia a ciò che conta veramente

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Il labirinto

Maschio e femmina li creò. O no?

diTiziano Civettini

FORMAZIONE

Il labirinto

Ci siamo fi n qui adden-trati più o meno age-volmente nel “labirinto” contemporaneo, ma ora raggiungiamo una

delle zone più insidiose e disorien-tanti. Sto parlando dell’ideologia di “genere” (Gender), di cui si è occupato, ad alto livello, anche il Pontifi cio Consiglio per i Laici durante un convegno nel 2008.In una delle autorevoli relazioni – quasi tutte tenute da donne – l’ideologia di genere venne defi nita come “uno dei frutti più perniciosi della rivoluzione culturale occidentale e uno dei meccanismi di ingegneria sociale più effi caci della mondializzazione dell’apostasia”.Di che si tratta?Negli anni ’60-70, negli ambiti della élite culturale occidentale, soprattutto della sociologia ac-cademica, veniva maturandosi un’idea di uomo e di donna che tendeva a minare le stesse basi dell’antropologia biblico-cristiana. Un’idea che si è fatta strada con estrema rapidità, tant’è vero che nel 1995 ha incassato il consenso quasi universale alla Conferenza Mondiale di Pechino.Si basa essenzialmente su due punti di forza. Il primo è che l’essere uomo o l’essere donna sarebbe soprattutto il frutto di una costruzione sociale e culturale. Il sesso maschile o fem-minile non costituirebbe, quindi,

un elemento fi sso, un aspetto costitutivo della persona, ma solo uno dei fattori sociali in gioco. Il dogma illuminista dell’assoluta libertà di scelta incoraggia, poi, verso modalità ed esperienze sessuali intercambiabili, a seconda del contesto o del momento psico-logico che si sta vivendo.Il secondo punto di forza è il concetto di uguaglianza o equità dei generi. Il pensiero cristiano aff erma la diff erenza tra i sessi; questa diff erenza permette l’iden-tità maschile e femminile: solo così può maturare la scelta di vita del dono totale e reciproco, corpo e anima, tra due persone. Ma parlare di diff erenza, per qualcuno, è già intolleranza. Per contro, dire che i generi sono uguali può far pensare alla parità, alla promozio-ne della donna; in realtà, innesca solo un meccanismo di in-diff e-renza sessuale; vale a dire che ogni persona può automodellarsi a piacimento orientando il proprio desiderio in un verso o nell’altro. Questo non sfocia necessariamen-te o sempre nell’omosessualità, ma tende comunque a far percepire il proprio corpo come qualcosa di esterno a se stessi, impedendo il dono totale di sé.

La rete dei media globalizzati fa sapientemente da cassa di riso-nanza per questa nuova rivoluzio-ne, ottenendo che anche coloro che non si rendono conto dei presupposti ideologici si trovino immersi in questa mentalità e la assumano acriticamente.L’onda di questa nuova cultura mondiale è molto forte, ma quel che più impressiona è che le sue derive tendono a indebolire e a svuotare di senso (in certi contesti addirittura a far sparire) parole come padre, madre, fi glio, fi glia, fratello, sorella, sposo, sposa, che esprimono signifi cati e ruoli legati all’antropologia cristiana.Tutto questo è solo negativo?Forse no. Forse questa provocazione obbligherà fi nalmente noi cristiani ad andare al cuore del messaggio evangelico, ad abbandonare con-nivenze spurie con tradizioni che non ci appartengono, superando defi nitivamente modelli culturali di subordinazione femminile al maschio e incarnando sempre di più un modello di autentica recipro-cità: uomo e donna come soggetti umani con uguale dignità, che con le loro specifi che diff erenze costrui-scono insieme e corresponsabil-mente la civiltà dell’amore

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1Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, le donne si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. 2Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; 3ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti. 5Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? 6Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, 7dicendo che bisognava che il Figlio dell’uo-mo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifi sso e risuscitasse il terzo giorno». 8Ed esse si ricordarono delle sue parole. 9E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli. 11Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse. 12Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto.

(Lc 24,1-12)

diGregorio Vivaldelli

Quanto amo la tua Parola, Signore

FORMAZIONE

Quanto amo la tua Parola, Signore

Il brano evangelico che abbiamo scelto aff erma che le prime benefi ciarie dell’an-nuncio pasquale sono state delle donne. Le prime a riferire

ai responsabili e ai membri della comunità di Gesù che il Maestro è risorto sono state delle donne. Altro che 8 marzo! La vera “festa della donna” per noi cristiani ricorre nella notte in cui facciamo memoria della risurrezione di Gesù di Nazaret dai morti. Vediamo il perché.«le donne si recarono alla tomba» (v.1). In questa notte in cui si fe-steggia “il Vivente”, il Vangelo non nasconde il drammatico potere della morte di annientare ogni speranza e di cancellare ogni gioia. Le donne, infatti, si recano al sepolcro per omaggiare l’ineff abile potenza della morte. Pur dimo-strandosi fedeli discepole di Gesù, «portando con sé gli aromi che avevano preparato» (v.2) rivelano la loro resa nei confronti dell’ine-sorabilità della morte, su tutto e su tutti, anche sul Maestro, per il quale avevano scommesso tutta la loro vita. Luca non vuole soff ermarsi

Grazie a te, donnache è vivo». Ora, aff ermare che Gesù è “il Vivente” rivela la sua divinità. È come se le donne si sentissero chiedere: “Voi chi state cercando? Un morto o il Vivente?”. Nel nostro quotidiano deside-rio di vivere la fede, cosa stiamo cercando? Il conforto di una tra-dizione? La sicurezza di una storia già sentita? Oppure, il Dio Vivente? Quel Dio che è in grado di tra-sformare la nostra vita dandoci la forza di ricominciare sempre da capo, qualunque cosa accada?«è risuscitato» (v.6). La forma grammaticale del verbo greco utilizzato esprime il cosiddetto “passivo teologico”: il soggetto che ha compiuto l’azione di risuscitare Gesù è stato Dio stesso. Ma allora Gesù non è stato abbandonato da Dio. La miserabile Passione di Gesù forse ha indotto qualcuno a giudicarlo, “castigato, percosso da Dio e umiliato” (Is 52,4). Dunque, la Buona Novella non riguarda soltanto Gesù, ma rivela anche un Dio Padre che non si è di-menticato, nemmeno per un istante, di suo Figlio.Dove possiamo trovare Gesù? «Ricordatevi come vi parlò» (v.6): possiamo incontrar-lo nella sua Parola. La parola del Vangelo

troppo sul sepolcro trovato vuoto dalle donne (cfr vv.2-3). Lo scopo del suo racconto è condurre il lettore ad ascoltare il contenuto dell’annuncio della risur-rezione di Gesù il prima possibile.«ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti» (v.4). Il bagliore delle vesti rappresenta l’appartenenza al mondo di Dio. Il fatto, poi, che siano due è da riferirsi probabilmente a Dt 19,15 per il quale le situazioni importanti necessitavano della presenza di almeno due testimoni.«Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (v.5). La posta in gioco è capire dove bisogna cercare Gesù. Dove le donne avranno la possibilità di trovare Gesù? Noi, in quale direzione dobbiamo andare per trovare Gesù, l’unica sorgente in grado di dissetare la nostra sete del Dio vivente? L’indicazione è contenuta nell’annuncio fatto dai due personaggi misteriosi: «Non è qui» (v.6). Innanzitutto non ha senso cercare Gesù tra i morti per un motivo che potrebbe addirittu-ra sembrare banale: semplicemen-te perché Gesù non è lì! Dire che Gesù non è più tra i morti signifi ca che egli non è nel passato, non è più in ciò che dovrà morire. Ormai egli vive in un presente che non avrà mai fi ne, perché Gesù è «colui

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ascoltata, amata, letta, riletta e riascoltata diventa per noi il luogo del nostro appuntamento con Dio. Le donne «si ricordarono delle sue parole» (v.8) e, nonostante nessuno lo avesse chiesto loro, corrono dagli «Undici e a tutti gli altri» ad annunziare «tutto questo» (v.9). Gli apostoli, però, non saltano di gioia al sentire le parole delle donne, anzi, «parvero loro come un va-neggiamento» (v.11). In ogni caso possiamo notare che lo Spirito di Dio sta già “lavorando” nel cuore di Pietro, mettendogli dentro quella sana inquietudine che lo spinge a correre al sepolcro: «vide solo le bende» (v.12), ma quello «stupore» non lo lascerà più tranquillo.Non dimentichiamolo mai: l’inizio del nostro cammino interio-re verso la pienezza della fede pasquale è nato dall’annuncio fattoci da delle donne. Donne pasquali, donne testimoni, donne della resurrezione. Facciamo nostre, soprattutto noi uomini, le parole colme di gratitudine che Papa Wojtyla rivolse alle donne:«Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell’essere umano nella gioia e nel travaglio di un’espe-rienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita.Grazie a te, donna-fi glia e donna-sorella, che porti nel nucleo fa-

miliare e poi nel

complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza.Grazie a te, donna-lavoratrice, im-pegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l’indispensa-bile contributo che dai all’elabora-zione di una cultura capace di co-niugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del «mistero», alla edifi cazione di strutture econo-miche e politiche più ricche di umanità.

Grazie a te, donna-consacrata, che sull’esempio della più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo incarnato, ti apri con docilità e fedeltà all’amore di Dio, aiutando la Chiesa e l’intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta “sponsale”, che esprime meravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura.Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la perce-zione che è propria della tua fem-minilità tu arricchisci la compren-sione del mondo e contribuisci

alla piena verità dei rapporti umani» (Giovanni

Paolo II, Lettera alle donne,

1995)

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diMaria Luisa Toller

FORMAZIONE

Le sfi de della vita

Le sfi de della vita

Il mio osservatorio di medico di medicina generale mi off re molte occasioni per aff rontare questo tema, che mi viene pre-sentato sempre più spesso sotto

la spinta emotiva dell’emergenza.Ad esempio, V. viene in ambulatorio accompagnata dalla mamma, che mi chiede di darle la pillola anticon-cezionale. V. ha 15 anni, e sono per-plessa. Le chiedo: ma devi proprio farlo? Lei mi guarda, seria, e mi dice: siamo insieme da quasi un anno… La madre tace, ma con lo sguardo mi supplica di acconsentire.È una delle tante situazioni che incontro sul mio lavoro, che mi permette di constatare i cambia-menti culturali e sociali in tempo reale. Si sa che la sessualità emerge pre-potentemente nell’adolescenza, con tutto il suo fascino, le sue promesse di felicità, le paure e i turbamenti. Paure e turbamen-ti che accompagnano anche i genitori, messi di fronte all’eviden-za che il fi glio/la fi glia non sono più bambini. Privati degli strumenti educativi di un tempo - fatti soprattutto di proibizioni, che “costringeva-no” i fi gli ad una impegnativa trasgressione -, i genitori di oggi sono spiazzati, inermi, davanti alla precocità sempre più diff usa dei rapporti sessuali. Oscillano fra ana-cronistiche “prediche”, tentativi di complicità amicale, decisa condivi-sione. Ma soprattutto, hanno tanta paura delle conseguenze, cosa che infastidisce i giovanissimi. È come se tra gli adolescenti ci fosse un’incapacità di pensare alle

conseguenze, un senso di irrealtà e di sfi da, quasi fosse sfuggito loro di mano il senso di programmare il futuro... Non importa ciò che accadrà domani, l’emozione si deve vivere oggi: si deve cogliere l’attimo, accada quel che accada. Quando poi le conseguenze si manifestano, è una tragedia, perché ci troviamo di fronte a ragazzi del tutto imprepara-ti ad aff rontare la realtà.I casi si moltiplicano e si complicano. G., 16 anni, ha diffi coltà nell’ere-zione da quando la sua ragazza ha preso la pillola del giorno dopo, perché si era rotto il preserva-tivo. M., 16 anni, ha bruciore e prurito ai genitali per un’infezione da candida; è arrabbiata e non capisce perché i rapporti sessuali debbano dare tanti problemi. S., 17 anni, è incinta, e viene da me a chiedere le carte per l’aborto con l’aria immusonita; mi aspetto che pesti i piedi e faccia i capricci quando cerco di spiegarle che i problemi nella vita non si risol-vono così… Per fortuna ha una madre saggia, che l’ha aiutata a rifl ettere e sostenuta, e così, da pochi giorni, ha partorito un bellis-simo bambino.Che cosa sta accadendo a questa generazione? Perfi no dai congressi di Pediatria si lanciano allarmi sulla precocità dei rapporti sessuali, “gravidi” (è proprio il caso di dirlo) di rischi e conseguenze che segnano il futuro. Avere rapporti

sessuali a 13, 14, 15 anni non è più una trasgressione, è diventato un dovere. Se non lo fai, sei fuori. Anche se nessuno te lo dice, lo respiri dalla mattina alla sera in tutti i messaggi che la società ti trasmette. Mi chiedo: ma noi adulti, cosa pensiamo veramente della ses-sualità? Quanto viviamo anche noi relazioni fragili e superfi cia-li, affi dati all’istinto, alla voglia, pronti a tradire il coniuge per noia, alla ricerca di emozioni che diano una scossa alla nostra vita piatta e priva di signifi cati veri? Cosa respirano da noi i nostri fi gli? Guardando qualche fi lm off erto al pubblico degli adolescenti, il senti-mento più forte che si coglie è un amaro cinismo: fate pure, bruciate emozioni ed esperienze, tanto la vita non ha altro da off rire.Scuotiamoci: dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia le nostre ipocrisie e i nostri compro-messi. Mettiamoci seriamente alla ricerca del signifi cato e del valore profondo della sessualità. I nostri fi gli hanno bisogno di adulti maturi ed equilibrati, che stiano al loro fi anco con delicatez-za e rispetto e sappiano trasmet-tere, prima di tutto con la vita, che la sessualità non è un bene di consumo o un’emozione, ma il luogo della comunicazione, della comunione, dell’amore. In altre parole, della gioia duratura

Sesso precoce

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Carissimo,capisco, hai ragione nel dire che non è facile riuscire a rimanere sereni nel clima rissoso

e aggressivo che viviamo. Anch’io rimango perplessa, se non turbata, dall’alto livello di litigiosità di tante trasmissioni televisive e non solo. E mi faccio le stesse domande che ti fai tu: come mai la litigiosità fa aumentare l’audience? Arrabbiati e agguerriti si è felici? Turpiloquio e mancanza di rispetto fanno au-mentare l’autostima?Dal mio piccolo osservatorio verifi co proprio l’opposto. Avverto nelle persone un desiderio profondo di armonia e di pacifi ca-zione, di essere amati e di amare. Come mai allora si mettono in atto comportamenti opposti? Come mai nel cuore dell’uomo coesi-stono desideri opposti di pace e guerra, di amore e odio, di mitezza e prepotenza, di bene e male, di altruismo ed egoismo? Sono forse il segno della nostra libertà?E come mai, nonostante l’aggres-sività faccia tendenza, guardiamo con invidia le persone che hanno facilità relazionale, che sanno farsi “tutto a tutti”, che possiedono un alto grado di empatia?È proprio come dici tu: le relazioni interpersonali sono il sapore delle vita e su di esse si gioca la qualità della vita stessa. E giustamente ti chiedi: “La capacità di avere rela-zioni signifi cative con gli altri è un dono di natura? C’è chi è più fortu-nato e chi meno?”.

Ci sono sicuramente dei tratti di carattere e di educazione faci-litanti, ma molto dipende dalla maturità personale e quest’ultima si costruisce giorno per giorno con fatica. Lo so che a questo punto un po’ ti “increspi”. Mi pare di vedere una nuvoletta sopra la tua testa nella quale posso leggere: “Ma cavolo, tu sei proprio fi ssata! Ma non c’è proprio niente che si possa ottenere senza fatica?”. La maturità non s’improvvisa e non si raggiun-ge per il semplice trascorrere del tempo. Più riusciamo ad essere persone mature, che conoscono e cercano di lavorare sui propri difetti, che si sforzano di essere perseveranti negli impegni presi, che provano ad essere coerenti con quanto credono, più tutto questo si trasforma in un trampolino di lancio nel rapporto con gli altri. Mi accorgo sempre di più che le persone fortemente aggressive, quelle tutte aculei e artigli tanto per capirci, sono persone molto soff erenti. Anche se sembra un assurdo, sono le persone più ferite, quelle che tendono a ferire di più. E, pur desiderando spasmo-dicamente la vicinanza degli altri e il loro calore, impediscono di fatto che ciò avvenga. E si verifi ca una situazione curiosa, quella che viene chiamata “profezia che

di ElianaAloisi Maino

Carissimo...

Carissimo...

FORMAZIONE

Relazioni facili,dono di natura?

si auto avvera”: si sentono non amabili, si comportano come tali, chi sta loro vicino si scosta per non rimanere graffi ato e così hanno la conferma della loro non amabilità. E il cerchio si chiude.Ecco, forse ora può esserti più chiaro il nesso tra personalità armonica e facilità relazionale. Se è vero, come è vero, che sulle relazioni si gioca la gioia della vita, allora vale la pena impegnarsi con decisione per cercare di superare le nostre immaturità e inconsi-stenze. Sono soprattutto gli altri a farcene prendere coscienza; è l’in-contro con gli altri, e qualche volta lo scontro, che evidenzia e spesso mette sotto una impietosa lente di ingrandimento i miei punti deboli, le mie mancanze e le mie carenze e le superfi cialità, ma anche le mie qualità e virtù. Certo, prendere co-scienza degli aspetti negativi non è per niente piacevole, ma proprio tale consapevolezza ha il potere di decentrarci e di metterci nella posizione veritiera di non sentirci il centro del mondo. E, se usata con coraggio e onestà, diventa un mezzo per migliorare le nostre relazioni e camminare più spedita-mente sulla via della pace.Con tutto il mio aff etto e tanta simpatia, ti accompagno e ti ab-braccio Tua Eliana

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Gregorio Vivaldelli Mujer, ¿ por qué lloras ? - Las preguntas de Dios al hombrePagine 208 - Edizioni San Pablo

Dopo le versioni porteghese, francese e polacca, la Comunità Shalom Via Pacis con gioia segnala che l’editrice San Pablo ha dato alle stampe la versione spagnola di “Donna, perché piangi? Le domande di Dio all’uomo”.Questo testo del biblista Gregorio Vivaldelli, cerca di evidenziare come nella Bibbia Dio ponga domande, sollevi interrogativi, stimoli la libertà e la scelta dell’uomo. Fin dalle prime pagine della Genesi, il “Dove sei?” di Dio raggiunge l’uomo liberandolo dalla vergogna in cui si è rannicchiato dopo il primo peccato. Allo stesso modo, nel cuore del mistero pasquale, quel “Donna, perché piangi?” asciuga le lacrime di una comunità smarrita, restituendo ai discepoli la speranza e la fi ducia.In questo volume, Gregorio Vivaldelli, con la profondità e la concretezza che lo ca-ratterizzano, off re un percorso di rifl essione attorno agli interrogativi di Dio, nella speranza che la Scrittura continui ad essere un testo che, prima di off rire risposte, renda sensibile il cuore dell’uomo alle domande del suo Creatore.

VIA PACIS è su

vieni a trovarci!

«Essere ambasciatori di riconciliazione significa dire agli uomini del nostro tempo semplicemente la verità che ognuno – consapevole o meno che sia – desidera sentirsi dire: “Tu sei amato da Dio senza condizioni. Dio ti ama senza preclusioni. Noi lo abbiamo sperimentato. Noi ti proponiamo la possibilità di camminare sulla via della pace, sulla via della riconciliazione: Dio l’ha offerta a tutti”. Essere a servizio della riconciliazione significa scegliere di essere a favore del mondo, degli altri, soprattutto se deboli e indifesi»

(Paolo Maino)

Strumenti di pace

È uscita la traduzione in inglese di “Ambasciatori di riconciliazione”, Quaderno di formazione n. 2 della collana.