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Fulvio Carmagnola 23 maggio 2007 Tentativo di capire la nozione di obversione Filosofia illustrata Video Corridor è un’installazione di Bruce Nauman che compendia visivamente la nozione di obversione su cui ragiona Marco Senaldi (Senaldi 2003 p. 241). Consiste in un corridoio di alcuni metri di lunghezza. Alla prima estremità è installata una videocamera collegata in circuito chiuso con uno schermo video dalla parte opposta. Il visitatore entra nel corridoio e viene ripreso di spalle mentre si allontana dalla videocamera avvicinandosi alla figura sullo schermo. L’esito è inquietante: si vede uno sconosciuto che si allontana e si scopre che questo qualcuno estraneo, visto di spalle, irriconoscibile a prima vista, siamo noi stessi: “lo spettatore si avvicina a un monitor in cui vede se stesso allontanarsi” (Senaldi, ivi). Chi siamo noi che vediamo noi stessi come un altro che si allontana mentre ci avviciniamo? E che cos’è ciò che vedo? un’opera d’arte che pone domande filosofiche o un trattato di filosofia del soggetto illustrato da un artefatto? immagine videocamera percorso del visitatore nel corridoio monitor Si potrebbe osservare che qui si ha la visibile, estetica dimostrazione di uno stato – del soggetto, della cultura, dell’arte – che Senaldi definisce appunto “obverso”. Già 1

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Fulvio Carmagnola 23 maggio 2007

Tentativo di capire la nozione di obversione

Filosofia illustrata

Video Corridor è un’installazione di Bruce Nauman che compendia visivamente la nozione di obversione su cui ragiona Marco Senaldi (Senaldi 2003 p. 241). Consiste in un corridoio di alcuni metri di lunghezza. Alla prima estremità è installata una videocamera collegata in circuito chiuso con uno schermo video dalla parte opposta. Il visitatore entra nel corridoio e viene ripreso di spalle mentre si allontana dalla videocamera avvicinandosi alla figura sullo schermo. L’esito è inquietante: si vede uno sconosciuto che si allontana e si scopre che questo qualcuno estraneo, visto di spalle, irriconoscibile a prima vista, siamo noi stessi: “lo spettatore si avvicina a un monitor in cui vede se stesso allontanarsi” (Senaldi, ivi).Chi siamo noi che vediamo noi stessi come un altro che si allontana mentre ci avviciniamo? E che cos’è ciò che vedo? un’opera d’arte che pone domande filosofiche o un trattato di filosofia del soggetto illustrato da un artefatto?

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videocamera percorso del visitatore nel corridoio monitor

Si potrebbe osservare che qui si ha la visibile, estetica dimostrazione di uno stato – del soggetto, della cultura, dell’arte – che Senaldi definisce appunto “obverso”. Già Benjamin vedeva nel cinema un’espropriazione (positiva) che poteva permettere l’accesso alla scoperta dell’ “inconscio ottico” – ma qui le cose sono andate ben più avanti. In un certo senso io sono – come nel caso della scatola di sardine di cui parlava Lacan in uno dei suoi seminari (Lacan, ) – la cosa che mi (ri)guarda e che mi è estranea, generata da ciò che sta alle mie spalle. In un saggio recente, la studiosa americana Joan Copjec scrive che l’episodio della scatoletta di sardine raccontato da Lacan è la seconda versione dello stadio dello specchio (Copjec , ). Forse allora potremmo dire che qui abbiamo la terza e (per ora) ultima versione. Ma qui, come Senaldi osserva, lo specchio stesso non c’è più: e ancora una volta “siamo condotti a riconoscere e non riconoscere noi stessi (…) percepiamo di essere e di non essere noi stessi” (Senaldi, ivi, p. 205). Ecco il nucleo inquietante dell’obversione.Siamo passati dallo stadio dello specchio allo stadio-video (Baudrillard, 1989). Ma perché lo stadio-video è una fase ulteriore e più radicale dello

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stadio dello specchio? Perché porta dalla consapevolezza (immaginaria) della propria identità (l’espressione “giubilatoria” di cui parla Lacan nel saggio famoso) alla “consapevolezza della propria radicale dis-identità, del fatto di non essere mai completamente se stessi (…) siamo davanti a noi stessi come altri” (Senaldi, p. 238).L’installazione di Nauman anticipa e compendia inoltre ciò che accade oggi, nella banalizzazione del reality show, ovvero il fatto che “il mediale diventa immediato e l’immediatezza vissuta diventa televisiva” (ivi) – amplificando e rendendo sistematico l’effetto di estraneità che proviamo quando ci capita di passare davanti a una vetrina dove casualmente è installata una telecamera che ci riprende mentre passiamo…

Genealogia e somiglianze

In apparenza la nozione di obversione sembra una variante piuttosto astrusa di “inversione”. In fondo l’obverso non è forse l’inverso, il rovescio? Prima di provare a esaminarne le caratteristiche conviene osservare che questa nozione non è poi cosi peregrina. In realtà se ne possono rintracciare numerose analogie nelle vicende della più recente ricerca filosofica e epistemologica. C’è innanzitutto una filiazione esplicita. Senaldi riprende infatti la lettura radicale del pensiero hegeliano del filosofo sloveno Slavoj Zizek. Nei suoi testi si trova un approfondimento del concetto di riflessione attraverso una rilettura originale e controversa di Hegel e Kant. In questa lettura l’assoluto hegeliano o la Ragione non è Altro (dall’intelletto finito kantiano) ma piuttosto “la ricapitolazione di tutti gli sforzi” effettuati dal pensiero finito nella sua dinamica per raggiungerlo. Hegel dunque sarebbe un Kant portato alle estreme conseguenze. Va ricordato peraltro che un illustre precedente di lettura radicale di questo tipo è costituito dai Tre studi su Hegel di Theodor Adorno .Questa lettura permette a Zizek di coniugare Hegel con Lacan declinando la nozione paradossale di “futuro anteriore” che si trova nelle rilflessioni dello psicoanalista francese :

“il paradosso della riflessione è che essa, retroattivamente, trasforma lo stato passato delle cose in ciò che già-sempre ‘era veramente’ (…) il passato è retroattivamente posizionato nella sua verità” (Il Grande Altro, p. 59).

Naturalmente viene in mente anche un altro punto più prossimo e evidente, la nozione baudrillardiana di simulacro alla quale si rifà esplicitamente Senaldi, riprendendo anche il concetto di stadio-video. Si ricorderà che per Baudrillard il simulacro supera la nozione di copia e di rappresentazione in quanto costituisce, per dirla in breve, la “copia” di una realtà non preesistente e

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dunque, per cosi dire, una seconda volta senza la prima (cfr. anche Perniola, 1980).

Meno note sono forse altre analogie. Come ricordavo sopra, una somiglianza può essere rintracciata nella lettura adorniana di Hegel. Più indietro va ricordata la nozione di Dialektik im Stillstand (dialettica in stato di arresto, più che di “quiete” come suonerebbe la traduzione tradizionale) che si trova negli scritti di Walter Benjamin. E’ utile ricordare che Adorno in uno dei Tre studi riprende la riflessione di Benjamin che vent’anni prima aveva discusso criticamente con l’amico , rintracciandone l’origine proprio in Hegel:

“nella sua microstruttura il pensiero hegeliano (…) è quello che Benjamin chiamava ‘dialettica in stasi’: comparabile all’esperienza dell’occhio rispetto alla goccia d’acqua che sotto il microscopio comincia a brulicare” (Tre studi… tr. it. p. 184)

Dieci anni prima Adorno aveva già tributato un tardivo omaggio all’amico scomparso in un magistrale saggio dove osservava che Benjamin aveva praticato

“(…) uno sfrenato abbandono all’oggetto. Quando il pensiero si avvicina troppo alla cosa, questa diventa estranea come qualunque oggetto della vita quotidiana visto al microscopio” (“Profilo di Walter Benjamin” ora in Prismi, tr. it. p. 246).

Il punto di riferimento hegeliano richiamato esplicitamente da Adorno (e probabilmente non conosciuto da Benjamin le cui fonti erano altre) è il celebre passo della Fenomenologia dello Spirito in cui il pensatore di Stoccarda scrive che “l’apparenza è un sorgere e un passare che né sorge né passa ma che è in sé e che costituisce l’effettualità e il movimento della vita della verità” (tr. it. pp. 37-38, corsivi miei). Si tratta dunque di una dialettica il cui oggetto si muove sul posto.

E’ possibile a mio avviso rintracciare poi un’analogia meno evidente ma altrettanto interessante. Si tratta delle nozioni di “ricorsività” e “autovalore” che si trovano nella ricerca di epistemologi della complessità come Heinz von Foerster e Francisco Varela. Ricorderò solo uno scritto di Varela dedicato al tema della “circolarità”. Qui il neurofisiologo cileno osservava che

VARELA

Certo questi precedenti permettono di rendere meno isolata la singolare nozione di obversione e di situarla in una rete di gradi di parentela o di somiglianze di famiglia. Una rete la cui posta in gioco sembra essere il tentativo di mettere a frutto in modo non nostalgico quell’assenza di fondamenti su cui il contemporaneo si trova oggi a meditare.

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Va detto anche che il modello dell’obversione non si pone come estraneo o incompatibile con la tradizione estetica che Senaldi rivisita scrupolosamente, anzi la definizione di estetica che ne costituisce il punto di partenza è assolutamente classica e addirittura crociana: se per Croce essa è “scienza dell’arte (…) continua sistemazione (…) dei problemi ai quali, secondo i vari tempi, dà luogo la riflessione sull’arte” (Croce cit. in Senaldi p. 78) , anche nel testo di cui stiamo discutendo l’estetica è intesa proprio come riflessione filosofica condotta sul terreno dell’arte (contemporanea) come dominio privilegiato, è insomma ancora “analisi filosofica dell’arte” (ivi p.180).Dove nasce allora la differenza? Proprio dal terreno immanente della storia e della tradizione dell’arte. Restando su questo terreno si intravedono i problemi e le anomalie che conducono alla formulazione della nozione di obversione , per intrinseca dialettica appunto.

Usi e significati del termine obversione

Arriviamo cosi al punto centrale: che cosa significa questo termine e che cos’ha di specifico, pur tenendo presente la rete di somiglianze alla quale ho accennato? Va detto che la nozione stessa non è mai esplicitamente definita in via preliminare ma piuttosto circola insistentemente attraverso esempi e usi. Cercherò dunque di compiere una breve ricognizione di questi usi per individuare uno o più nuclei di significato. In sintesi credo che siano rintracciabili alcune grandi “figure”: l’incesto, l’arrotolamento, l’alterazione dell’Altro e la disidentità . A loro volta queste figure dialettiche ricorrenti, e emergenti nell’analisi delle vicende dell’arte contemporanea a partire da Duchamp, generano cambiamenti strutturali nell’impianto di ispirazione lacaniana ovvero nella topica che collega il Simbolico, il Reale e l’Immaginario. In sintesi, la situazione di obversione produce una disidentificazione o un rovesciamento del reale, una trasformazione del Simbolico (il Grande Altro lacaniano) in una istanza immaginaria denominata Più Grande Altro, e dunque una pervasività del regime dell’Immaginario slegato dalla sua funzione di sostegno del piano simbolico (fiction). Questi cambiamenti strutturali nel loro complesso descrivono poi uno spostamento dal piano originario delle dinamiche psichiche al piano degli artefatti e delle dinamiche culturali e sociali. Questa situazione implica a sua volta una ulteriore dislocazione dei fenomeni artistici stessi: dalla filosofia dell’arte al piano della riflessione sui media. Ne consegue infine una necessità di cambiamento dello statuto stesso della ricerca estetica, a mio avviso.

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Una prima elementare definizione potrebbe essere la seguente: l’obversione è la caratteristica che definisce l’essenza di un oggetto che sia, nello stesso tempo e sotto il medesimo riguardo, più e meno di se stesso, senza possibilità di ri-soluzione o di ri-levamento. Un soggetto, un artefatto, un evento acquistano cosi l’aspetto dell’indecidibilità e si trasformano in un terzo di una strana qualità (pp. 244, 251). In particolare, il sistema arte da un lato definisce la propria indentità in termini tradizionali attraverso la forma delle opere e la figura nobile dell’artista – ma dall’altro, indecidibilmente, in qualche modo si auto-falsifica entrando nella logica mediale dell’apparizione-apparenza televisiva. L’arte finisce cosi per diventare un terzo non-rilevato (aufgehoben) si potrebbe dire, un ready made di se stessa, secondo l’espressione di Senaldi. Un oggetto elevato al rango non più di Cosa sublime ma di Cosa in-decidibile. Ne consegue che “anche l’Arte va trasformandosi nel godimento della sua auto-estraneazione” (p.245) invece che nel sistema che permetteva il piacere estetico della libera contemplazione di un Simbolico rappresentato in Opera .

L’incesto - Possiamo partire di qui per cercare di individuare i tratti della prima figura che pare assere anche una sorta di punto di partenza storico-cronologico, dal momento che può essere fatta risalire alle pratiche duchampiane. Come è noto, la tradizione di ricerca dell’antropologia strutturale fonda la grande démarche tra natura e cultura proprio sulla proibizione dell’incesto. Essa istituisce il Simbolico , la possibilità di sviluppo della cultura umana, sull’esogamia. Senza questa proibizione fondante, riassume con molta precisione Senaldi, “la struttura simbolica collasserebbe”.Questa condizione di proibizione dell’autoreferenzialità come vincolo di base per l’istituzione dell’ordine che Lacan a sua volta definirà Simbolico può essere estesa anche all’arte e alla sua storia. In quanto fenomeno simbolico per eccellenza, la stessa produzione artistica si basa a sua volta su un equivalente del tabù che istituisce una forma specifica di esogamia: l’oggetto non può e non deve coincidere con la sua stessa rappresentazione, ci deve essere una differenza che fonda la somiglianza e istituisce la distanza mimetica come tale.Insomma, se “in ogni struttura simbolica efficiente troviamo (…) un tabù (…) che chiude la struttura a patto di marcare un’apertura, un vuoto” – allora anche nel caso dell’arte si tratta di introdurre questo specifico “vuoto” o differenza che ne costituisce il dispositivo e ne permette la sopravvivenza. Ora, “il tabù dell’arte consiste nella proibizione di produrre l’oggetto stesso piuttosto che la sua rappresentazione” (p.16). Ne deriva la necessaria distinzione tra immagine e cosa. Il celebre racconto della gara tra Zeusi e Parrasio illustra magnificamente proprio questa circostanza: l’efficienza simbolica della mimesi deriva dalla scoperta – riappacificante – che la rappresentazione non è l’oggetto, benché l’abilità dell’artista consista nell’avvicinarvisi in modo asintotico: “io ho ingannato i passeri, ma tu hai

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ingannato me”, ammette il perdente. Il che implica una tonalità decisiva: non va messo l’accento sull’inganno, ma dall’altra parte. L’inganno infatti si rivela come tale , si toglie, è aufgehoben, e la realtà è restituita alla sua primarietà. E’ proprio questo che non può più accadere dopo Duchamp. Si può dire che l’oggetto-obverso nasce con la violazione del tabù – con la trasformazione della differenza discernibile tra cosa e rappresentazione in un terzo essere indiscernibile – il simulacro, forse, per usare il lessico di Baudrillard.. Duchamp ha commesso l’incesto in seguito al quale risulta impossibile liberare reciprocamente la cosa e la rappresentazione nella loro differenza. L’artefatto che ha violato il confine diventa, in se stesso e senza possibilità di uscita, l’opposto di se stesso, intimamente e indecidibilmente spostato per sempre. Nasce cosi “un’arte ritornata in sé in quanto completamente perduta come tale (…) intimamente resa instabile” (p.21).

Ma questo incesto che caratterizza il movimento/non-movimento o l’oscillazione, non somiglia appunto alla Dialektik im Stillstand di Benjamin, dove l’oggetto sottoposto allo sguardo oscilla indecidibilmente senza potersi stabilizzare , senza poter “trapassare” offrendosi infine alla quieta contemplazione dello spettatore? E a sua volta questa fornicazione della cosa con se stessa non getta una nuova luce sulla strana definizione hegeliana di apparenza come ciò che “né sorge né passa”? Incontriamo qui una notevole caratteristica: nella dialettica dell’obverso, come in quella benjaminiana, c’è qualcosa, appunto, che non sorge e non passa, ma permane oscillando sul posto – come “l’oggetto uguale a x” di cui parla anche Deleuze a proposito di Proust. L’incesto, lo stato miticamente pre-simbolico , osserva Lévi-Strauss alla fine de Le strutture elementari della parentela, è in realtà la proiezione del sogno antropologico di un “vivere con sé” , uno stadio mai esistito – proprio perché la cultura e l’umano cominciano a valle di questa cosa da sempre perduta. L’uomo è costretto a nascere come tale proprio nella sua perdita alienandosi nel Simbolico, se vuole vivere nella Cultura:

LEVI STRAUSS

Allora il readymade viola questa condizione? Duchamp realizzerebbe – forse non per primo dal punto di vista temporale, ma certamente per primo dal punto di vista della consapevolezza teorica – il loop irrisolvibile tra le due entità – la cosa e la sua rappresentazione – che la cultura permetteva di distinguere , con la nascita di quel terzo irrisolto che è appunto l’oggetto incestuoso. Tra la cosa fisica, empirica, e la rappresentazione corre insomma un rapporto di differenza e di rilevazione simbolica che permette la mimesi. Mentre tra la cosa fisica empirica e il readymade corre il rapporto , si potrebbe dire, che c’è

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tra Sache e Ding, tra la semplice cosa di esperienza e questa inquietante medesimezza incestuosa che ci ricompare davanti nelle vesti di opera: come posso distinguerle, se la loro apparenza visibile è la medesima, come accade nel film sugli Ultracorpi che costituisce uno dei topoi privilegiati da Senaldi? (cfr. Piotti-Senaldi, , pp. ).

L’arrotolamento - Il readymade mette in corto circuito la rappresentazione perché presenta un rapporto tra la cosa e la Cosa, tra Sache e Ding. Il risultato è che il sogno fenomenologico di pervenire appunto “alle cose stesse” si trasforma in un incubo. Il cortocircuito tra Sache e Vorstellung non si risolve ma si condensa nel readymade , die Sache selbst spostata rispetto sia alla rappresentazione (il Simbolico, la Differenza) sia rispetto alla propria “naturale” destinazione empirica. Mentre il rapporto Sache/Vorstellung è simbolico, il rapporto Sache/Ding, e il rapporto Ding/Vorstellung sono entrambi incestuosi.

SACHE

rappresentazionesimbolica incesto

incestoVORSTELLUNG DING

E tuttavia c’è un altro modo per descrivere l’incesto. Si tratta dell’arrotolamento. Lo troviamo anche nella figura epistemologica del loop ricorsivo, che nel lessico di Heinz von Foerster assume il nome di “autovalore”. L’epistemologo austriaco fa la seguente domanda: come completare in modo corretto la frase

“Questa frase ha … (x) … lettere” ?(Foerster, tr. it. 1987)

Ecco un interessante caso di avvolgimento o arrotolamento. La corretta risposta a questa domanda implica due ragionamenti. Si tratta per cosi dire di far coincidere i due lati della sfoglia del significante, in modo che essi si riverberino correttamente sul piano del significato. Perché la frase sia corretta (perché significhi ciò che dice) perché dica la verità, insomma perché il linguaggio “faccia il suo mestiere”, occorre che qualcosa vada a posto nel punto x. E qui arriviamo alla questione del significante: devono essere soddisfatte due condizioni (i due strati della sfoglia). Deve essere “il numero giusto” ovvero una parola, un significante, che dire la verità sul numero giusto di lettere del significante stesso (la frase in quanto item linguistico) perché le condizioni di verità siano soddisfatte. Insomma c’è un’operazione che si deve svolgere sul piano del significante

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stesso, occorre letteralmente “contare il numero delle lettere” e eventualmente cambiare la parola (x) in modo che i piani coincidano . Una variazione del significante - diciamo, tra la parola “frase” e la parola “proposizione” - può cambiare tutto riflettendosi su entrambi i piani. Ma c’è una sottigliezza ulteriore che rende questo esempio interessante: l’incesto, per cosi dire, è originario perché la referenza (il piano del significato) è truccata. O meglio: il piano di realtà rispetto al quale la frase deve essere vera o falsa è, in realtà, lo stesso piano del significante. La condizione riflessiva è originaria o, per dirla con Varela, anche in questo caso “non possiamo mai uscire da noi stessi”. Il numero che scrivo in lettere entra in loop con il resto della frase (cioè con l’intero significante) e pregiudicherà il valore di verità ovvero il rapporto con il significato.

Proviamo adesso a guardare la cosa con gli occhiali concettuali di Zizek ( e di Senaldi). Innanzitutto si scopre che nella lingua stessa c’è una piega, un doppiofondo (una sfoglia). La cosa stessa è espressa con segni o meglio è costituita da segni (Senaldi, cit. p. 285). C’è insomma uno stato obverso del linguaggio stesso, un altro dal linguaggio al suo stesso interno. La differenza non è più tra l’impotenza del linguaggio e la ricchezza delle cose che lo sorpassano – la situazione descritta nel Chandosbrief di Hoffmansthal ( 1906) ma tra il linguaggio come servile strumento e la Cosa che esso stesso si rivela. La Cosa è il linguaggio stesso – con Hegel, ma in un certo senso rovesciandolo. Joyce aveva individuato questo aspetto del linguaggio – che Lacan definirà appunto come la sua Cosa, il suo “reale”. Joyce rappresenta dunque lo stadio ulteriore rispetto alla posizione ancora rappresentazionista di Hofmannsthal. Il linguaggio non solo non ha il potere di rappresentare, di esaurire entro se stesso il mondo, ma è obverso rispetto a se stesso. Il suo potere riflessivo (parlare di sé come oggetto) e la sua impotenza (l’entrata in loop) sono la stessa cosa, come osservava Deleuze a proposito di Bartleby:

DELEUZE

Questo eccellente esempio non è forse degno di figurare nel catalogo incestuoso accanto all’installazione di Nauman? Ciò che Foerster definisce “autovalore” somiglia proprio alla splendida espressione “arrotolamento” usata da Senaldi (p.77). Le cui conseguenze implicano la fine dell’isolamento sovrano della cosa là fuori, di quel presunto “in sé” che il ragionamento, il pensiero, la rappresentazione dovrebbero raggiungere o almeno tendere asintoticamente a raggiungere.

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L’alterazione dell’Altro - o la fine dell’in-sé - sono strettamente collegate all’incesto. L’Altro non è più l’alterità rassicurante sulla cui differenza strutturale poteva essere fondata l’identità stessa della rappresentazione. E’ questa la conseguenza dell’affermazione secondo la quale Hegel sarebbe un Kant portato all’estremo, e l’in-sé non sarebbe altro che il riassunto dei tentativi del finito per raggiungerlo: l’in-sé non è il trascendente,

“tutto il contenuto dell’essere immutabile (…) è il processo di autodissoluzione del movimento in quanto contraddittorio (…) ciò che la coscienza considera come cammino verso la verità (…) è già la verità (…) il vero in-sé non è in alcun modo nascosto nell’aldilà trascendente. Tutto l’errore della coscienza sta nel non avvertire che il processo da lei ritenuto esterno all’oggetto è già l’oggetto (…) l’oggetto, il suo dato rigido, si risolve nel reticolo delle mediazioni dei processi formali (…) l’impensato del pensiero non è il surplus trascendente, l’inconcepibile x del suo contenuto oggettuale, ma la propria forma (…) il passaggio alla verità porta lo statuto ontologico dell’oggetto a pardersi e a dissolversi” (Zizek, Looking Awry, tr. it. 2003, pp. 25-27).

Eppure dell’obversione non pare si possa dire che tutto si risolva in un’identificazione dell’oggetto trascendente con il movimento stesso della riflessione o del comprendere, del contenuto con la forma. Qualcosa continua a fare ostacolo alla risoluzione, al rilevamento, alla felicità del processo, diremmo. Anzi, lo Spirito stesso è obverso, come se ci fosse al fondo di questo hegelismo radicale un nucleo che vi si rifiuta.Senaldi scopre un effetto perverso della riflessione, che a mio parere mentre riprende Hegel ne falsifica anche l’esito. Se insomma per effetto dell’incesto la rappresentazione non mantiene più la distanza dalla cosa , è certo perché la cosa stessa scompare o si rivela inesistente. L’arrotolamento implica un’alterazione dell’altro o una fine dell’in-sé . Ma dove scompare la cosa? Sotto la rappresentazione come pensava Baudrillard, generando quel terzo che il pensatore francese definiva simulacro? In realtà se seguiamo questa deriva saremmo portati a pensare che essa non ci sia mai stata se non come effetto di rappresentazione.Nello stato attuale dell’arte, conseguente alla rivoluzione delle Avanguardie, prevale la riflkessione (il processo) sull’esito (l’oggetto). La qualità dell’oggetto (opera) diventa cosi indifferente, e “qualunque oggetto può rappresentare lo spirito”. In questo senso tutta l’arte diventa “concettuale”. Ne consegue che, come osservava Benjamin nella sua opera più famosa, “l’aura dell’origine è sparita dagli oggetti”. Ma soprattutto, mettendo lo stesso Benjamin in cortocircuito con Hegel, ciò che si ottiene è un esito paradossale: quello che inizialmente aveva l’apparenza dell’in-sé, di originario, rivela la sua natura di duplicato e non solo di prodotto. L’unica Cosa che sopravvive nella sua apparente alterità è non l’opera, l’oggetto, ma il sistema, “sfera distinta al di là delle opere”. E cosi nemmeno il singolo oggetto è possibile senza il sistema stesso. Il cortocircuito tra oggetto (opera) e il sistema (Arte) vanifica

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“la distanza simbolica che era alla base dell’efficienza dell’Arte come Grande Altro”. Si potrebbe dire che l’esistenza del sistema Arte rende ora indistinguibile il singolo artefatto dal sistema stesso . Si crea qualcosa di simile non alla risoluzione ma a quell’ “ingorgo libidico” di cui parlava Freud in ben altro contesto. Non abbiamo mai die Sache selbst , non la raggiungiamo mai perché la stessa sporgenza creatrice, che darebbe vita ai cosiddetti prodotti dell’immaginazione, appare già progettata ogni volta, in quanto evento, accadimento, discontinuità, per entrare in loop con il sistema che la possa legittimare ri-producendola in quanto incona mediale e mediatica. Insomma raggiungiamo un esito più lacaniano che propriamente hegeliano. Infatti

“ogni volta che raggiungiamo la cosa x (…) essa si rivela chiaramente carente, a meno che non sia sdoppiata nella sua controfigura immaginaria. (…) una volta raggiunta (ossia divenuta per noi) la cosa-in-sé rischia di perdere ogni valore e ogni senso” (Senaldi, ivi, p. 246),

Ne scaturisce una “formazione specifica”, questa si originale e differente dalla modernità. Essa si basa sull’indistinguibilità – per esempio, tra arte e vita, dove entrambe le cose sono a loro volta altro da sé. Il medium, il dispositivo mediale, trasforma infatti il negativo (l’altro come opposto a -, la vita come opposto all’arte e viceversa) in “sembianza di negativo”. Non gli sottrae allora forse con questa operazione proprio quella “immane potenza” che in Hegel spingeva il movimento dialettico? Ecco che la dialettica si ferma su ogni termine senza risoluzione, e l’hegelismo in qualche modo si invera contraddicendosi. E’ appunto l’arrotolamento: la condizione mediale “arrotola su di sé la consistenza degli opposti spirituali” (p. 77).

Non accade qui qualcosa di imprevisto anche rispetto alla stessa dialettica hegeliana? Qualcosa di più simile all’inquieto Stillstand di Benjamin? L’opposto non consiste, non fa resistenza, dunque non viene rilevato. Insomma l’obverso è/non è l’opposto, privato com’è della potenza del negativo. Nell’obversione, pare, nessuno degli opposti è davvero un opposto, in grado dunque di muovere per forza propria, in virtù della sua “microstruttura” (Adorno) verso il suo rilevamento. Entrambe (Arte e Vita) vengono cosi espropriate in una terzità : non-arte che è anche non-vita. Questa alterità perduta è il regime mediale. Ognuno dei termini che vi compaiono, arrrotolato com’è su se stesso, non è più un vero opposto, ma solo il suo sembiante (parola di origine lacaniana). Ciascuno diventa in sé il negativo che non si toglie, la Vita diventa non-vita (vita sullo schermo, scriveva qualche anno fa Sherry Turkle) e solo cosi può diventare un’Arte necessariamente non-arte. Dialettica bloccata, nuova versione dello Stillstand nella quale la non-arte non può più essere un vero Altro, sfondo vitale (il mondo-della-vita) sul quale la Forma può costruire la propria identità, il

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proprio contorno. Senaldi interpreta cosi in modo veramente radicale e inquietante quel fenomeno su cui tanto si è discusso, l’estetizzazione della Lebenswelt.Non pare dunque che la Cosa scompaia dietro il proprio simulacro che l’ha usurpata e che gli eventi non abbiano più luogo, secondo l’ipotesi di Baudrillard. E’ che l’essenza stessa si rivela, in se stessa, un altro da sé, l’Evento è già da sempre un non-evento. Dunque irrilevabile (e propriamente irrilevante).

Che cosa accade dunque all’Arte? Essa non incontra alcun altro e non è alcun altro, dato che l’altro irrilevabile è già in se stessa e essa “subisce il fascino della realtà senza essere (…) in grado di esorcizzare la spinta sublimatoria in rappresentazione estetica” (Senaldi, ivi, p. 85). E d’altra parte il reale è in se stesso rovesciato. Se classicamente il trauma era descritto come incontro con l’Alterità, qui traumatica non è la comparsa di un reale-choc che rende impossibile la rappresentazione irenistica della forma, la rappresentazione simbolica – ma l’incontro con la circostanza che il reale stesso è/non è se stesso. Già intriso di sembiante, di immaginario, già predisposto alla medialità, il reale non fa più opposizione. L’obverso è indistinguibile, dunque. Ma da che cosa? Obverso è un ente il cui concetto è separato da se stesso in se stesso, osserva Senaldi (p. 88). Pare che l’indistinguibilità generi un’impossibilità di uscita. Come uno stato gelatinoso delle cose in cui gli opposti perdono ogni possibilità di resistere fino a spezzarsi in altro che li superi, e “la realtà non fa più resistenza all’azione artistica perché anch’essa esce da questa dialettica profondamente cambiata” (ivi p. 113).

Nella più aggiornata lettura dell’evoluzione del pensiero lacaniano gli interpreti individuano una scansione temporale che partendo dall’accentuazione sull’immaginario (lo stadio dello specchio come formazione dell’io dello scritto del 1946) e passando attraverso la fase di insistenza sul simbolico caratteristica del periodo di influenza del pensiero strutturalista (il cosiddetto “Discorso di Roma” , 1953) approda infine a un’attenzione prevalente verso la dimensione o il registro del reale nell’ultima fase di sviluppo del suo pensiero (Recalcati, ). Questa lettura è certo filologicamente corretta eppure sembra trascurare le conseguenze dell’applicazione della potente topica lacaniana al di fuori dell’ambito specifico della psicoanalisi. Vi appare infatti, seguendo la trama concettuale del lacanismo, un predominio dell’istanza o del dominio dell’immaginario nella specifica forma della medialità - ed è questa la dimensione nella quale si muove Senaldi nell’analisi dei fenomeni artistici. Si può ripetere con Baudrillard che il reale si è eclissato (tranne poi ricomparire sotto forma di evento assoluto con l’attentato alle Twin Towers) oppure cercare di mostrare seguendo Zizek che il reale stesso ha cambiato

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aspetto. E’ questa la traccia da seguire per comprendere la nozione di obversione.

La dis-identità - A questo punto conviene accostare un’ultima figura, la dis-identità radicale. Questa situazione finisce per stravolgere la stessa nozione di riflessione/riflessività che pure sembra avere in Hegel la sua origine e il suo esplicito richiamo.In che consiste l’identità obversa? Gli opposti non si tolgono reciprocamente ma ciascuno è/non è sia rispetto all’altro sia rispetto a se stesso (Senaldi p. 204). C’è una “radicale dis-identità, differenza e contraddizione esattamente di sé con sé medesimo” - ovvero, un oggetto obverso è quello la cui identità diventa “riflessiva” . L’arte può funzionare non stagliando la propria forma pura o il contorno dell’opera per differenza con l’altro (la realtà esterna), ma solo mettendo in discussione la propria stessa forma identitaria , insiste Senaldi (p. 113). Una importante conseguenza che ne deriva è la seguente: tutti i fenomeni di bordo, di marginalità e di comportamento critico e creativo, rilevava recentemente anche Mario Perniola, ne risultano integrabili a priori (Perniola, in Agalma 3) . La perversione è l’obverso della sovversione o dell’estraneità rispetto al potere, come il desiderio è già prescritto dalle regole dell’immaginario. L’identità di questi fenomeni è già progettata inconsciamente o consapevolmente, in anticipo, in vista della medialità e non in opposizione a questa. Se ne potrebbero dare numerosissimi esempi. Seguendo questo ragionamento all’estremo potremmo constatare come proprio il massimo evento traumatico del nostro tempo, l’attentato del 2001, sia stato pensato e progettato accuratamente (anche) in vista della sua ricorsività mediale e dunque secondo le sue regole. E sia dunque, non tanto la resurrezione del Simbolico come scambio senza contropartita, secondo l’interpretazione di Baudrillard (Lo spirito del terrorismo) ma al contrario l’estrema e sofisticata punta dell’Immaginario che ne conferma il definitivo dominio:

Una falsità mette in loop l’evento e gli conferisceoriginaria “sovversivo” un’identità obversamediale

INDECIDIBILITA’progettata che contrasta conin vista di

Arriviamo cosi a un ultimo punto. Si può dire che nella fase obversa ogni elemento della realtà e della stessa rappresentazione cambi aspetto. Diventi

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indecidibile, o meglio si dis-identifichi, per effetto dell’incesto con se stesso (prima figura) che produce arrotolamento (seconda figura) e vanifica l’alterità (terza figura) ovvero, infine, sia altro da sé in sé. Ma questo carattere investe la stessa nozione hegeliana di riflessione, e la sua interpretazione che si è vista in Zizek (cfr. sopra). Nello spazio mediale immaginario i valori e i criteri simbolici, osserva Senaldi - la distinzione, l’alterità, l’opposizione vero/falso - “sono in blocco oggetto di scherno” (p. 252). Che cosa diventa allora propriamente la riflessione? Non una qualità del pensiero o del soggetto ma una qualità del fatto stesso. E’ “beffardo” non lo spirito che incarna l’astuzia della ragione, ma il banale fatto stesso che gli eventi abbiano senso solo all’interno della cornice mediale, in quanto “pensati e costruiti solo in ragione di essa” (p. 252). Lo spirito è un osso, ma l’osso - il banale, l’indifferente - sono gli eventi nel medium che hanno perduto il loro potere di Stoss. L’Immaginario si fa beffe, riflessivamente, dello stesso Reale.

Per questo nell’obversione la riflessione stessa cambia aspetto, per cosi dire: non è più la possibilità di porsi all’esterno di se stessi per osservarsi – il potere riflessivo del linguaggio sulle sue proprie attività – ma anche, nel verso opposto, il ricadere della riflessione al di qua di se stessa, in oscillazione perpetua e senza soluzione. Riflettere diventa allora rendersi conto (dalla parte del soggetto) dell’impossibilità di uscire dal loop. In questo senso “beffardo” la ragione è l’intelletto stesso che si è capito, per riprendere le osservazioni di Zizek, ma con un esito differente.Inoltre , dal lato dell’oggetto, si presenta una seconda sfumatura: l’oggetto obverso e riflessivo non è compatto – non ha forma. Non è assegnabile a un dominio specifico. L’arte è e deve essere indistricabilmente anche spettacolo mediale, è anche quella vita-non-vita che il medium produce e riflette. Lo specchio non restituisce ma allontana, come il monitor di Nauman. Se in Hegel gli opposti “si tolgono reciprocamente”, qui invece nulla è tolto e nulla è risolto.

Si direbbe allora che ci siano, per cosi dire, due livelli di obversione. Un primo livello riguarda la dialettica intima di ogni oggetto che si sottrae in questo modo alla consueta nozione di identità, e che supera anche la nozione di identità come relazione di riconoscimento (hegeliana): il padre è padre in quanto in relazione di alterità rispetto a- (il figlio)… Qui il riconoscimento invece dis-identifica, porta alla conclusione che ciascuno è/non è se stesso in relazione a se stesso e in relazione all’altro. Ci si ri-conosce disconoscendosi.A un secondo livello, che chiameremmo istituzionale o sociale, si costituisce l’immaginario mediale come l’Obverso per eccellenza. E’ il sistema che succede all’Altro (simbolico) in dissoluzione, e che Senaldi definisce come il Più Grande Altro (immaginario). Il Più Grande Altro è l’obverso del Grande Altro, il risultato della constatazione che questo (il Grande Altro) non esiste.

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I due livelli, la micro e la macrostruttura, si rispecchiano. Nell’impossibilità di passare-in-altro la dialettica dell’obverso cosi pare verificare e insieme falsificare la strategia hegeliana. Insomma il risultato della dialettica obversa è una ironica vittoria/sconfitta della riflessione: invece di posizionare/ricapitolare “il passato nella sua verità” (Zizek, cit.) essa lo rivela come intimamente falso.

“Questa potenza che chiamiamo immaginario…”

Cerco di rassumere. La cosiddetta morte dell’arte anticipata da Hegel (meglio: il fatto che l’arte sia “diventata per noi cosa del passato”) ha assunto oggi un nuovo significato, è il suo farsi altro da sé rimanendo se stessa, cosi che “anche l’Arte va trasformandosi nel godimento della sua stessa auto-estraneazione” (Senaldi, p. 245). Godimento e non piacere, riflessività autoestraniante e non pura liberazione nella condizione immaginativa di un Altro simbolico nel quale, per cosi dire, ci liberavamo in immagine o anticipavamo in immagine la condizione della fine dell’estraneazione stessa (come pensava Schiller). L’obverso sarebbe dunque .

- in primo luogo il carattere di una cosa che in se stessa è anche altro da se stessa senza soluzione - in quanto oscillante in sé infinitamente, priva di una collocazione stabile nel campo del Simbolico - in quanto si rivela già-da-sempre allontanata dall’origine (come accade, ad esempio, per l’immagine del Passages di Benjamin)- e in quanto non è mai stata se stessa e quindi attraverso la riflessione non torna nel suo vero sé ma ne scopre la definitiva falsità originaria.

Non resta altro all’arte, conclude Senaldi, che rinunciare alla propria (mitica) identità per essere finalmente all’altezza del proprio compito nel “contesto di questa potenza che chiamiamo immaginario” (ivi, p. 253). E’ possibile trarre alcune provvisorie conclusioni dalle considerazioni precedenti. Che cosa descrive, a che cosa “serve” la nozione di obversione nel panorama attuale dell’estetica? Credo che la tonalità originale della nozione di obversione consista nella sua specifica funzione e nel suo impiego – che sembra essere quello di riuscire a reinterpretare efficacemente l’idea stessa, abusata e dunque corrosa, di immaginario. L’immaginario diventa il dominio mediale e insieme la “potenza” o l’istanza sociale e culturale che definisce il presente - e al suo interno rende possibile rileggere nella loro centralità tuttora esemplare i fenomeni dell’arte contemporanea.Una volta di più: l’immaginario non può essere ingenuamente descritto come l’archivio delle immagini culturali né come la riserva di senso rispetto alla banalità dell’effettuale, dell’esistente – come vuole una tradizione che risale grosso modo al Romanticismo. Insomma non può essere identificato con la

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facoltà creativa dell’immaginazione. L’immaginario è piuttosto un terreno impuro e pervasivo, un’istanza impersonale o una “potenza”, come scrive Senaldi, che prescrive il nostro desiderio – e nello stesso tempo, aggiungerei, un terreno di scontro, un contested terrain come si esprimono alcuni esponenti dei Cultural Studies.L’esito più importante dell’uso della nozione di obversione per la ricerca estetica contemporanea, a mio avviso consiste nel fatto che, per via immanente – secondo le buone leggi della dialettica hegeliana radicale sulle quali si fonda l’asse genealogico che da Senaldi conduce a Zizek e da questi al coté hegeliano di Lacan stesso – ovvero accettando in questo caso proprio il punto di partenza tradizionale che identificava l’estetica con la riflessione filosofica sull’arte – proprio seguendo e radicalizzando questa traccia e osservando la concreta fenomenologia delle opere contemporanee, l’estetica stessa arriva necessariamente a trans-propriarsi. Arriva insomma a comprendere come suo conseguente dominio attuale non più la nozione purificata di opera d’arte, “paradiso terreno che gli uomini producono senza poterlo abitare” secondo una celebre definizione di Gyoergy Lukàcs, ma proprio quell’altro-in-se-stesso che l’arte è diventata.Questo dominio richiede all’estetica, per fedeltà alle sue stesse leggi, di uscire da se stessa. Di accettare non solo un allargamento della sua sfera – l’estetica diffusa nella sua veste, diciamo cosi, più pacifica – ma una vera e propria dis-identificazione, un addio non nostalgico alla nozione centrale di opera tradizionale. L’estetica che segue fedelmente il proprio percorso di filosofia dell’arte diventa essa stessa obversa.Ma in quale direzione avviene questa operazione? Qual è il terreno dell’obverso che, originatosi come mostra Senaldi all’interno delle dinamiche dell’arte, se ne disloca? La nuova identità dei fenomeni estetici consiste nel dis-identificarsi nel terreno mediale, risponde Senaldi. Non possiamo più identificarci nel fenomeno artistico in senso stretto non perché l’arte sia “troppo stretta” o perché sia stata sconfitta dalla massificazione e dalla volgarità dei media. L’obverso è ciò che l’arte stessa ha fatto di sé, e forse l’unica cosa davvero importante che essa ha oggi da dire al mondo. E’ l’arte stessa che non è più se stessa, nel senso della sua identità tradizionale, non perché ha perduto la battaglia ma perché l’ha vinta - giusta in questo caso una ulteriore versione della profezia che risale a Baudrillard. Anzi, l’arte ha stravinto. Il nuovo terreno dell’obverso è quello dove confluiscono arte, medialità, spettacolo, comunicazione, Brand, cinema videogame, televisione, reality. A questo terreno ci ha portato l’arte stessa – è questo, mi pare, il senso della dinamica storica che dall’alienazione conduce all’obversione.Cosi la dialettica dell’obversione che ho cercato brevemente di descrivere ci libera anche – non diceva Lyotard che il post- è uno stato di nascita e non di morte, la fine del lutto e non il proseguimento crepuscolare del lutto? – dall’ossessiva convizione moderna che sia necessario resistere alla violenza

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della barbarie, facendo dell’arte alta il punto di resistenza dei valori, il terreno d’elezione dello spirito.Lo spirituale dell’arte si rivela oggi tutt’altro da quello di Kandinsky. Secondo la direzione radicale indicata dalla nozione di obversione, esso condivide la strana definizione hegeliana: lo spirito è un osso. Un che di né vero né falso. Seguire lo spirito è individuarne la figura in questa “terza cosa” in cui si è trasformato. Un terreno dove gli artisti diventano filosofi e/o servi della televisione, mentre i filosofi fanno cinema (Zizek, Derrida e altri) e i registi fanno filosofia o la “illustrano” per immagini, mentre i critici sono obbligati a tornare indietro di due secoli, come osserva Senaldi, a celebrare la straordinaria novità di un libro del 1807 – la Fenomenologia dello Spirito, appunto - se vogliono davvero misurarsi con il presente.

Senaldi ha dedicato qualche anno fa una notevole mostra d’arte al fenomeno del cover. Potremmo dire che il cover è una figura obversa dello spirito: un’apparente medesimezza che oscilla nell’altro-da-sé. Ma anche qui ci sono importanti genealogie, sia nell’arte che nella letteratura. Pierre Menard, scriveva Borges, raggiungeva la sua massima originalità riscrivendo parola per parola il Don Chisciotte. Menard dunque sarebbe l’obverso di Cervantes come Gus van Sant, che rifà puntualmente Psycho, è oggi l’obverso di Hitchcock. Il nuovo artefatto estetico che deriva da questa condizione, naturalmente, non è più né un libro né un’opera. Potremmo chiamarlo con un nome televisivo: è un format di cui ancora stiamo cercando di scoprire le regole. Ma se il pensiero si transpropria in immagine mediale e l’immagine è gravata di pensiero, il nome complessivo che mostra questa circostanza non potrebbe essere appunto: filosofia illustrata?

POSTILLA – Nel 1961 Theodor Adorno tenne presso l’editore Suhrkamp una conferenza in onore di Samuel Beckett. Il titolo della conferenza era “Tentativo di capire Finale di partita”. Beckett, che assisteva alla conferenza, disse poi ad Adorno di non essere d’accordo con la sua interpretazione del proprio lavoro (Knowlson, tr. it. ).. Sono dell’opinione che entrambi – Adorno con la sua interpretazione e Beckett con il suo disaccordo – avessero ragione. Certe volte la verità stessa è alquanto obversa …

RIFERIMENTI (da completare)

- Adorno, T.W., Tre studi su Hegel, Bologna, Il Mulino - Adorno, T.W., 1950, tr. it. ,“Profilo di Walter Benjamin” in Prismi , Torino, Einaudi - Adorno, T.W., 1961, tr. it. 1979, “Tentativo di capire Finale di partita”, in Note per la letteratura 1943-1961, Torino, Einaudi, pp. 267 sgg. - Baudrillard, J., Simulacri e impostura- Baudrillard, J., “Lo stadio-video” tr. it. 1989 in - Baudrillard, J., 2002, tr. it. 2002 , Lo spirito del terrorismo, Milano, Raffaello Cortina - Benjamin, W., 1982, tr. it. 1986, Parigi, capitale del XIX secolo. I “Passages” di Parigi, in Opere di Walter Benjamin, a cura di G. Agamben, Vol. XI, Torino, Einaudi

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- Benjamin, W., , L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi - Copjec, J., “ “, in Zizek, S., Dello sguardo e altri oggetti, a cura di , - Deleuze, G., Marcel Proust e i segni, Torino, Einaudi - Deleuze, “Bartleby o la formula della creazione” in Critica e clinica , Cortina, Milano- von Foerster, H., 1987, Sistemi che osservano , a cura di M. Ceruti e U. Telfener, Roma, Astrolabio- Hofmannsthal, H. von, 1906, tr. it. , Lettera di lord Chandos, a cura di , Milano, Rizzoli - Knowlson, , tr. it. , Samuel Beckett. Una vita, Torino, Einaudi - Lacan, J, 1966, tr. it. Scritti, a cura di M. Contri, Torino, Einaudi, 2 voll- Lacan, seminario X ? (la scatoletta)- Lacan, Seminario XXIII (Joyce)- Lévi-Strauss, C., Le strutture elementari della parentela- Perniola, M., La società dei simulacri , Bologna, Cappelli - Perniola, M., 2002, “Prova di forza o prova di grandezza? Considerazioni su àgalma”, Agalma, 3 , pp. sgg.- Recalcati, M, Per Lacan, Roma, Borla - Senaldi, M., 2003, Enjoy! Il godimento estetico, Roma, Meltemi - Senaldi, M., a cura di, Cover Theory, Milano, Scheiwiller - Senaldi, M., Piotti, A., - Varela, “Il circolo creativo. Abbozzo di uan storia naturale della circolarità” , in Watzlawick, a cura di, - Zizek, S., Looking Awry- Zizek, S., Il Grande Altro, a cura di M. Senaldi, Milano, Feltrinelli - Zizek, S., Il soggetto scabroso

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