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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 1 Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale Sez. San Tommaso D’Aquino Q 233 Esegesi del NT/3: Opera Giovannea e Lettere cattoliche. Prof. Gaetano Castello Anno Acc. 2012-2013 I Semestre: Mercoledì e Giovedì ore 11,05-12,45 Programma: Il corso ha lo scopo di introdurre lo studente alla conoscenza dell’opera giovannea e delle lettere cattoliche tenendo conto delle principali questioni storico letterarie per una lettura criticamente fondata. Alle introduzioni letteraria e teologica delle singole opere, in particolare del IV Vangelo, seguirà l’esegesi di passi scelti che saranno affrontati a partire dal testo greco. Lo studio esegetico si avvarrà principalmente del metodo storico-critico e dell’analisi narrativa segnalando altri approcci praticati attualmente dagli studiosi; si intende così offrire un quadro dei principali approcci metodologici al testo neotestamentario e delle linee teologiche caratteristiche del messaggio giovanneo. Lo studente verrà inoltre avviato alla consultazione delle principali opere esegetiche della tradizione cristiana antica e recente fornendo la strumentazione di base per lo studio teologico Bibliografia essenziale: GHIBERTI G. e coll., Opera Giovannea, ElleDiCi, Leumann (To) 2003; TUÑÌ J.O. ALEGRE X., Scritti giovannei e lettere cattoliche, Paideia, Brescia1997; SANT’AGOSTINO, Commento al Vangelo e alla prima epistola di San Giovanni, traduzione e note di Gandolfo E. (Nuova Biblioteca Agostiniana), Città Nuova, Roma 1968; MANNUCCI V., Giovanni il Vangelo narrante. Introduzione all’arte narrativa del quarto vangelo, Dehoniane, Bologna 1993, ristampa 1997; SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, 4 voli., Paideia, Brescia 1973-1987; PALINURO M., «Tu chi sei»? Le autorivelazioni di Cristo nel Vangelo Giovanneo , Città Nuova, Roma 2010; G. BIGUZZI, Apocalisse, Nuova versione introduzione e commento, Paoline, Milano 2005. Argomenti Il Corpus Johanneum e le altre lettere “cattoliche” Introduzione generale al IV Vangelo Introduzione storica al IV Vangelo: l’ipotesi di R.E.Brown e ipotesi attuali Formazione e struttura del IV Vangelo Gv 1,1-18 Il Prologo struttura esegesesi e teologia La sezione Gv 2-4 Da Cana a Cana Gv 2,1-11 Cana di Galilea esegesesi e teologia Gv 4: La Samaritana esegesesi e teologia Introduzione ai cpp. 5-12: la tensione con “i giudei”. Antigiudaismo giovanneo? Gv 6: il grande discorso a Cafarnao sul pane di vita Introduzione a Gv 13-17 Gv 10,1-21: esercitazione in aula per l’analisi esegetica del brano del Buon Pastore Gv 13 lettura esegetico-teologica Gv 14 lettura esegetico-teologica Gv 15-16 lettura esegetico-teologica Gv 18-20 Passione morte e risurrezione secondo Giovanni Gv 18, 33-37 Davanti a Pilato; Introd. ai racconti di risurrezione Intoduzione all’Apocalisse di Giovanni Approfondimenti Legge/Torah nel IV Vangelo “dialogo nel IV Vangelo” linguaggio della salvezza nel IV Vangelo “Vita” nel IV Vangelo

Programma: Il corso ha lo scopo di introdurre lo studente ... · Vangelo e alla prima epistola di San Giovanni, traduzione e note di ... del IV Vangelo Gv 1,1-18 Il Prologo struttura

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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 1

Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale

Sez. San Tommaso D’Aquino

Q 233 Esegesi del NT/3: Opera Giovannea e Lettere cattoliche.

Prof. Gaetano Castello Anno Acc. 2012-2013 I Semestre: Mercoledì e Giovedì ore 11,05-12,45

Programma: Il corso ha lo scopo di introdurre lo studente alla conoscenza dell’opera giovannea e

delle lettere cattoliche tenendo conto delle principali questioni storico letterarie per una lettura

criticamente fondata. Alle introduzioni letteraria e teologica delle singole opere, in particolare del

IV Vangelo, seguirà l’esegesi di passi scelti che saranno affrontati a partire dal testo greco. Lo

studio esegetico si avvarrà principalmente del metodo storico-critico e dell’analisi narrativa

segnalando altri approcci praticati attualmente dagli studiosi; si intende così offrire un quadro dei

principali approcci metodologici al testo neotestamentario e delle linee teologiche caratteristiche del

messaggio giovanneo. Lo studente verrà inoltre avviato alla consultazione delle principali opere

esegetiche della tradizione cristiana antica e recente fornendo la strumentazione di base per lo

studio teologico

Bibliografia essenziale: GHIBERTI G. e coll., Opera Giovannea, ElleDiCi, Leumann (To) 2003; TUÑÌ J.O. –

ALEGRE X., Scritti giovannei e lettere cattoliche, Paideia, Brescia1997; SANT’AGOSTINO, Commento al

Vangelo e alla prima epistola di San Giovanni, traduzione e note di Gandolfo E. (Nuova Biblioteca

Agostiniana), Città Nuova, Roma 1968; MANNUCCI V., Giovanni il Vangelo narrante. Introduzione all’arte

narrativa del quarto vangelo, Dehoniane, Bologna 1993, ristampa 1997; SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di

Giovanni, 4 voli., Paideia, Brescia 1973-1987; PALINURO M., «Tu chi sei»? Le autorivelazioni di Cristo nel

Vangelo Giovanneo , Città Nuova, Roma 2010; G. BIGUZZI, Apocalisse, Nuova versione introduzione e

commento, Paoline, Milano 2005.

Argomenti Il Corpus Johanneum e le altre lettere “cattoliche” Introduzione generale al IV Vangelo Introduzione storica al IV Vangelo: l’ipotesi di R.E.Brown e ipotesi attuali Formazione e struttura del IV Vangelo Gv 1,1-18 Il Prologo struttura esegesesi e teologia La sezione Gv 2-4 Da Cana a Cana Gv 2,1-11 Cana di Galilea esegesesi e teologia Gv 4: La Samaritana esegesesi e teologia Introduzione ai cpp. 5-12: la tensione con “i giudei”. Antigiudaismo giovanneo? Gv 6: il grande discorso a Cafarnao sul pane di vita Introduzione a Gv 13-17 Gv 10,1-21: esercitazione in aula per l’analisi esegetica del brano del Buon Pastore Gv 13 lettura esegetico-teologica Gv 14 lettura esegetico-teologica Gv 15-16 lettura esegetico-teologica Gv 18-20 Passione morte e risurrezione secondo Giovanni Gv 18, 33-37 Davanti a Pilato; Introd. ai racconti di risurrezione Intoduzione all’Apocalisse di Giovanni

Approfondimenti Legge/Torah nel IV Vangelo “dialogo nel IV Vangelo” linguaggio della salvezza nel IV Vangelo “Vita” nel IV Vangelo

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 2

N.B. Per l’esame, oltre alle lezioni svolte in aula e ai relativi approfondimenti personali (con indicazioni bibliografiche), sarà richiesto lo studio di una introduzione generale all’opera giovannea e alle lettere cattoliche (dalla Bibliografia generale)

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 3

BIBLIOGRAFIA PIÙ CITATA DURANTE LE LEZIONI

indicazioni bibliografiche essenziali di preferenza in traduzione italiana 1. INTRODUZIONI GENERALI (oltre a quelle incluse nei commentari) COTHENET E., «Il quarto Vangelo», in A. GEORGE - P. GRELOT, Introduzione al nuovo Testamento V: La tradizione

Giovannea, Borla, Roma 1978, 85-272 e 276-301 (Bibliografia). COTHENET E., «Il Vangelo secondo San Giovanni», in Gli scritti di San Giovanni e la Lettera agli Ebrei, (Piccola

enciclopedia biblica 10), Borla, Roma 1985, 11-162. MAZZEO M., Vangelo e lettere di Giovanni. Introduzione, esegesi e teologia, Paoline, Milano 2007. PANIMOLLE 5., L 'evangelista Giovanni. Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo, Borla, Roma 1985. SEGALLA G., «Giovanni (Vangelo di)», in Nuovo dizionario di teologia Biblica, Paoline, Milano 1988, 666-673. 2. COMMENTARI ANTICHI CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni, trad., intr. E note a cura di Luigi Leone, 3 voll., (collana

di Testi patristici diretta da Antonio Quacquarelli) città nuova editrice, Roma 1994 (coll. Capodimonte A.24.111/112/113).

ORIGENE, Commento al Vangelo di Giovanni, UTET, Torino 1968. SAN BONAVENTURA, Commento al vangelo di San Giovanni, (collana Opere di San Bonaventura), 2 voll.,Città Nuova,

Roma 1990. 1991; ( coll. Capodimonte A.20.3. 7/1-2). TEODORO DI MOPSUESTIA, Commentario al Vangelo di Giovanni, Borla, Roma 1991. S. TOMMASO D’AQUINO, Commento al Vangelo di San Giovanni, I-IV, Città Nuova, Roma 1990. 3. COMMENTARI MODERNI BARRET C.K., The Gospel according to St. John, SPCK, London 1985 (I ed. 1955). BEASLEY-MURRAY G.R., John, (Word biblical commentary 36), Word, Dallas 1987. BLANCK J., Das Evangelium nach Johannes, 4 voli. Patmos, Dùsseldorf 1977-1981; versione inglese, The Gospel

according to John, 3 voli., Crossroad, New York 1981; versione spagnola, EI Evangelio segun San Juan, 4 voli., Herder, Barcelona 1979-1984.

BOISMARD M.E. - LAMOUILLE A., L Èvangile de Jean. Commentaire: Synopse des quatres évangiles en franais III, Du Cerf, Paris 1977.

BROWN R.E., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi 1979. BULTMANN R., Das Evangelium des Johannes, Göttingen, 1941; + supplemento del 1966: The Gospel of John,

Oxford 1971. FABRIS R., Giovanni (traduzione e commento), Borla, Roma 1992. GNILKA J., Johannesevangelium, (Neue Echter Bible), Echter, Wùrzburg 1983. GRASSI S., Il Vangelo di Giovanni. Commento esegetico e teologico, Città Nuova, Roma 2008. HÄNCHEN E., Das Johannesevangelium. Ein Kommentar, Mohr, Tübingen 1980; versione inglese, A Commentary of

the Gospel of John, 2 voli., Fortress, Philadelphia 1984. LACONI M., Il racconto di Giovanni, Cittadella, Assisi 1989. LÉON-DUFOUR X., Lecture de lÈvangile selon Jean I: Chapitres 1-411: Chapitres 5-12, Du Seuil, Paris 1988-1990; tr.

it. Lettura del Vangelo secondo Giovanni, I, (cc. 1-4); Il (cc. 5-12), Paoline, Roma 1990-1992. MAGGIONI B., «Il Vangelo di Giovanni», in I Vangeli, a cura di G. BARBAGLIO - li. FABRI5 - M. MAGGIONI,

Cittadella, Assisi 1975. MATEOS J. - BARRETO J., Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittadella, Assisi 1982. PANIMOLLE S., Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, 3 voli., Dehoniane, Bologna 1978-1984. SIMOENS Y., Secondo Giovanni. Una traduzione e un’interpretazione, Dehoniane, Bologna 2002. STRATHMANN H., Il Vangelo secondo Giovanni, Paideia, Brescia 1973. VAN DEN BUSSCHE H., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi 1970. ZEVINI G., Vangelo secondo Giovanni, 2 voli., Città Nuova, Roma 20098. 4. ALTRE OPERE BARRET C.K., Il Vangelo di Giovanni fra simbolismo e storia, Claudiana, Torino 1983. BEUTLER J., Judaism and the Jews in the Gospel of John, (Subsidia Biblica 30), PIB, Roma 2006. BONNARD P., “Contemplation johannique et mystique hellénistique”, in La notion biblique de Dieu. Le Dieu de la

Bible et le Dieu des Philosophes, a cura di J. Coppens, (Bibliotheca Ephem. Theol. Lov. 41), Peeters, Leuven 1976, 351-360.

BRAUN F.M., Jean le théologien III/1: Le mystère de Jesus Christ, Gabalda, Paris 1966; III/2: Le Christ, notre Seigneur hier, aujourd'hui, toujours, Gabalda, Paris 1972.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 4

BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982. BULTMANN R., Teologia del Nuovo testamento, Queriniana, Brescia 1985.

CULPEPPER R.A., Anatomy of the Fourth Gospel. A Study in Literary Design, Foortress, Philadelphia (1981) 31989. DE LA POTTERIE I., “Cristologia di Pneumatologia in San Giovanni”, in Bibbia e Cristologia a cura della

PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Paoline, Milano 1987, 275-291. DE LA POTTERIE I., La verité dans Saint Jean I-Il, (Analecta Biblica 73-74), PIB, Roma 1977

DE LA POTTERIE I., Studi di cristologia giovannea, Marietti, Genova 21986. DODD C.H., L'interpretazione del quarto Vangelo, Paideia, Brescia 1974. FABRIS R., «Messaggio teologico e spirituale del quarto Vangelo», in Giovanni, Borla, Roma 1992, 87-105. GHIBERTI G., Spirito e vita cristiana in Giovanni, (Studi Biblici 84), Paidela, Brescia 1989. GHIBERTI G., Vecchio e nuovo in Giovanni, per una rilettura di Giovanni (Vangelo e Lettere), Riv.Bibl. XLIII(1995)

225-251. GRECH P., La comunità giovanea nei cc. 7 e 8 del Vangelo di Giovanni, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991) 59-68. KÄSEMANN E., L'enigma del quarto Vangelo (Giovanni: una comunità in conflitto con il cattolicesimo nascente?),

Claudiana, Torino 1977 (orig. Tùbingen 1971). LEVIEILS X., Juifs et Grecs dans la communauté johannique, Biblica 82 (1, 2001) 51-78. LOADER W., The Christology of the Fourth Gospel: Structure and Issues, Lang, Frankfurt am Main 1989. MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel (revised and enlarged edition), Abingdon, Nashville

21979. MOLLAT D., Giovanni maestro spirituale, Borla, Roma 1980. MONDATI F., “Struttura letteraria di Gv 1,1-2,12”, Riv.Bibl. XLIX(2001) 43-81. MOODY SMITH D., Johannine Christianity, Clark, Edinburgh 1987. MOODY SMITH D., La teologia del Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1998. MUSSNER F., Il Vangelo di Giovanni e il problema del Gesù storico, Morcelliana, Brescia 1968. PALINURO M., «Tu chi sei»? Le autorivelazioni di Cristo nel Vangelo Giovanneo , Città Nuova, Roma 2010; PANIMOLLE S., L 'evangelista Giovanni (Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo), Borla, Roma 1985. PANIMOLLE S.,Gesù di Nazaret nell'ultimo evangelo e nei primi scritti dei Padri, Paoline, Roma 1990. Parole. De l'Ancien au Nouveau Testament, (Hommage a P. Grelot), Desclée, Paris 1987, 367-380. PASQUETTO V., Da Gesù al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale del vangelo di Giovanni,

Teresianum, Roma 1983. PASQUETTO V., Da Gesù al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale di Giovanni, Teresianum, Roma

1983, Parte prima (“Caratteristiche d'insieme del Vangelo di Giovanni”), 19-109. POPPI A., «Vangelo secondo Giovanni», in Sinossi dei quattro Vangeli Il: Commento, Messaggero, Padova 1987,

364-503. RIGATO M.L., «L’apostolo ed evangelista Giovanni», «sacerdote» levitico in Riv.Bibl. XXXVIII(1990) 207-215. RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007. SCHNACKENBURG R., Il messaggio morale del Nuovo Testamento, II: I primi predicatori cristiani, Paideia, Brescia

1990. SEGALLA G., «Il discepolo che Gesù amava» e la tradizione giovannea, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991)11-36. SEGALLA G., Il Quarto Vangelo come storia, Dehoniane, Bologna 2012. SPEIR A. VON, San Giovanni. Esposizione contemplativa del suo Vangelo, 2 voli., Jaca Book, Milano 1985-1989. TALBERT C.H., Reading John. A Literary and Theological Commentary of the Fourth Gospel and the Johannine Epistles, Cross-Road, New York 1992. TUROLDO D.M., Il Vangelo di Giovanni. Nessuno ha mai visto Dio, Bompiani, Milano 2012.

Copie anastatiche dei Codici biblici sono reperibili su siti internet. Per il Codex Vaticanus cf.

http://archive.org/stream/CodexVaticanusbFacSimile/Codex-Vaticanus-

NT#page/n114/mode/1up

Gli appunti che seguono sono destinati al solo uso interno. Si tratta degli appunti a partire dai

quali il docente ha sviluppato le lezioni in aula, non riportano perciò l’intero contenuto di quanto

proposto.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 5

Il titolo e il contenuto del corso NT/3

Prima di entrare nell’argomento del singolo scritto per passare poi all’esegesi di testi scelti,

offriamo un panorama generale dei testi del Nuovo Testamento a cui fa riferimento il titolo del

nostro corso. Si tenga conto che molto è stato già detto sia nel corso di introduzione generale alla

Sacra Scrittura (si pensi alle questioni di critica testuale, canone ecc.), sia nel corso sui sinottici e

sulle lettere paoline.

Secondo quanto previsto dal titolo, il nostro corso si occuperà di introdurre ben nove scritti del NT:

il Vangelo di Giovanni, le tre lettere che portano lo stesso nome e l’Apocalisse, opere note nel loro

insieme come corpus johanneum, e le altre lettere cattoliche cioè le due lettere di Pietro, la lettera di

Giacomo e quella di Giuda, che insieme alle tre lettere di Giovanni formano il gruppo delle

cosiddette “lettere cattoliche”.

La stessa lunghezza degli scritti è molto diversa, come risulta da un confronto dei caratteri greci che

compongono ciascuno scritto (considerati in maniera approssimativa).

Vangelo di Giovanni 76288

Apocalisse 48118

1Giovanni 10000

2Giovanni 1190

3Giovanni 1173

1Pietro 9550

2Pietro 6356

Giacomo 9335

Giuda 2710

Ci occuperemo dunque innanzitutto del Vangelo di Giovanni, il IV Vangelo, per il posto che

occupa tradizionalmente nella lista dei Vangeli canonici. Il Vangelo che manifesta subito la sua

peculiarità nell’insieme degli scritti neotestamentari e in particolare in relazione ai sinottici. Qui

Gesù è presentato come il logos, la Parola incarnata ed eterna, senza origine perché è sin dal

principio. La figura di Gesù è presentata innanzitutto in stretta relazione con il Padre di cui Egli è il

Rivelatore, l’Inviato al mondo. Si presenta con l’espressione IO SONO che richiama il nome divino

del Sinai. I segni che Egli compie sono non dynameis, rivelatori della potenza divina, ma piuttosto

0 10000 20000 30000 40000 50000 60000 70000 80000 90000

Gv

Ap

1Gv

2Gv

3Gv

1Pt

2Pt

Gc

Giuda

numero caratteri

Serie1

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 6

segni rivelativi della rivelazione tra Gesù e il mondo che carattterizzano l’intera prima parte del IV

Vangelo con la scansione dei 7 segni, spesso accompagnati da “discorsi” che riprendono il

significato profondo dei segni e lo esplicitano al di là degli equivoci dell’interpretazione. La

rivelazione di Gesù Cristo, in segni e parole, non rimane però qualcosa che riguarda solo l’intelletto,

chiede la decisione da parte degli uomini, l’adesione a Gesù Cristo. È proprio la relazione con Gesù

che determina già ora il giudizio spostato nel presente e non relativo alla fine dei tempi.

L’escatologia per Giovanni è relativa già al tempo presente per compiersi completamente nel futuro.

La prima lettera di Giovanni può essere letta, come ci insegna l’antica tradizione, in continuità

con il IV Vangelo, con la sua presentazione di Dio come luce (1,5) e come amore (4,16).

L’appartenneza a Dio, che è luce, chiede di abbandonare la via delle tenbre. L’attenzione della

lettera, come poi anche delle successive, sposta gradualmente l’attenzione al percorso dei discepoli

impegnati a vivere dell’amore per il prossimo, momento preciso di verifica rispetto all’amore di Dio

e per Dio. La prima lettera riprende e prolunga anche la riflessione sullo Spirito Santo, dono che

Gesù ha fatto ai suoi dalla croce (Gv 19,30): il sangue e l’acqua effusi sulla croce sono la

testimonianza più vera della morte di Cristo in croce contro ogni pericolo di spiritualizzazione che

dimentichi o ponga tra parentesi l’umanità di Gesù.

Il tema della divisione all’interno delle comunità, già visto nelle lettere paoline, è presente nella

seconda lettera di Giovanni in cui si insiste sulla necessità della testimonianza dell’amore

vicendevole. Qui la comunità è chiamata “Signora”, invitata a vivere il comandamento dell’amore

vicendevole insegnato fin dal principio da intendere non sololo come fatto temporale, ma

soprattutto qualificativo.

1 Io, il presbitero, alla Signora eletta e ai suoi figli che amo nella verità, e non io soltanto, ma tutti

quelli che hanno conosciuto la verità, 2 a causa della verità che dimora in noi e dimorerà con noi

in eterno: 3 grazia, misericordia e pace siano con noi da parte di Dio Padre e da parte di Gesù

Cristo, Figlio del Padre, nella verità e nell'amore.

L’ultima, la terza lettera di Giovanni è indirizzata a Gaio, un testimone della verità che lo rende

noto nella comunità di Giovanni e di cui viene lodata la condotta.

Anche l’Apocalisse, l’ultimo scritto del corpo giovanneo, viene tradizionalmente attribuito a

Giovanni, non senza problemi da parte della critica non solo moderna. Un testo di notevole

successo in diverse epoche della storia, come vedremo, per il suo linguaggio “apocalittico” appunto,

che si presta di per se a diverse interpretazioni. La più comune, almeno nel linguaggio abituale, è

quella che meno rende giustizia a questo testo, volendo individuare in esso soprattutto profezie che

si realizzano misteriosamente nella storia. Si tratta invece di un annuncio profondamente

cristologico ed ecclesiologico che presenta il conflitto degli ultimi tempi in atto tra i cristiani e la

forza del male che con i suoi rigurgiti sembra minacciare irrimediabilmente la vita cristiana nel

mondo. Non sono le previsioni nefaste delle manifestazioni demoniache al centro del nostro testo

ma il mistero pasquale del Cristo morto e risorto, il “Vivente” (Ap 1,17-18). È Gesù Cristo Risorto

che continua a interpellare le chiese (attraverso le sette lettere) incoraggiandole a vivere in pienezza

la testimonianza senza nascondere i tradimenti e le infedeltà che vengono compiute. Egli è

l’Agnello ritto in mezzo al trono e immolato che continua ad offrire la sua vita agli uomini

dimostrandosi il solo degno di “prendere il libro e aprirne i sigilli. È il Cristo Risorto che incoraggia

i suoi, coloro che portano i segni della passione e lo seguono ovunque fino alle nozze nelle quali

l’Agnello sarà definitivamente unito alla sua sposa, la chiesa, lavata da ogni colpa e pronta per il

suo sposo (Ap 19,7-8). L’intero libro dell’Apocalisse si presenta come descrizione di una grande

liturgia celeste scandita da Inni in cui la comunità manifesta la sua fede e canta la signoria

dell’Agnello che si estende non solo sul gruppo dei cristiani ma ha invece una portata cosmica

diffondendosi sul mondo intero (universalismo). Come nel Vangelo, e ancora più decisamente, il

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 7

giudizio è presentato come già in atto contro il mondo e la bestia che lo rappresenta. La Chiesa

dovrà continuare ad annunciare il Cristo morto e Risorto attendendolo come sposo e invocandone il

ritorno “maranatha” vieni Signore Gesù.

Le altre quattro lettere (1-2 Pt; Gc; Giuda) insieme alle tre giovannee sono note come le sette

lettere cattoliche indirizzate cioè all’intero mondo cristiano. Sono accomunate dalla

preoccupazione della testimonianza cristiana di fronte al mondo e alle difficoltà che esso

rappresenta per il discepolo di Gesù. L’attenzione è rivolta così, come si può immaginare anche per

gli inevitabili problemi e nuovi interrogativi che nascono dalla vita cristiana, all’etica ma intesa

come quotidiana, coerente incarnazione del Vangelo.

Alla prima lettera di Pietro è stata dedicata ultimamente molta attenzioni (molte pubblicazioni in

italiano) in occasione del Convegno nazionale sulla Testimonianza. La logica che deve guidare la

vita cristiana deriva direttamente dall’offerta che Cristo ha fatto della sua vita chiamando le chiese

alla testimonianza del Vangelo nella perseveranza e nella vigilanza. In 1Pt troviamo l’immagine

della Chiesa come edificio, i cristiani come pietre vive impiegati per la costruzione dell’edificio

spirtuale (1 Pt 2,4-10), secondo il modello anticotestamentario del “popolo eletto'', per cui tutta la

comunità svolge un servizio sacerdotale di perfetta comunione con Dio (1 Pt 2,9). Nella stessa

sofferenza per le persecuzioni la comunità è invitata a consolidarsi attraverso l'esempio che riceve

dalle altre comunità sparse nel mondo (1 Pt 5,9). L'attesa del Signore diventa annuncio di sicura

speranza per quanti continuano a soffrire, seguendo il modello di Cristo, per il vangelo.

La 2 Pietro, in continuità con la prima lettera, prosegue nelle esortazioni morali, quali incarnazione

del vangelo. Tuttavia, in questa lettera si scorgono due preoccupazioni ecclesiali che stanno

particolarmente a cuore al suo autore: l'autorevolezza del vangelo, presentato come “parola

profetica”, e il calare della tensione escatologica che serpeggia nella comunità. É lo Spirito che ha

ispirato la parola e la comunità invitata a farsi interprete garante della stessa parola (cfr. 2 Pt 1,16-

21) uno dei due riferimenti neotestamentari espliciti alla ispirazione della Sacra Scrittura. La radice

pneumatica del vangelo, presente nella 2Pietro, verrà ripresa soprattutto dalla costituzione

conciliare Dei Verbum (DV 3,12). L'esperienza quotidiana delle persecuzioni per il vangelo

inducono diversi credenti a dubitare della venuta del Signore: a questo decadimento escatologico è

strettamente relazionata la diminuzione nella perseveranza della testimonianza per il vangelo.

L'autore della 2 Pt, riprendendo il codice proprio dell'apocalittica giudaico-cristiana, esorta a una

vigilanza operosa.

Giacomo. In questa tensione tra vangelo e morale si spiega anche la lettera di Giacomo, spesso

considerata, erroneamente, come secondaria rispetto al messaggio teologico del Nuovo Testamento,

soprattutto quando viene presentata in antitesi con il “vangelo paolino”. È entrata tardi nel Canone

del NT, è perciò tra le lettere Deuterocanoniche; utilizzata da Origene (+254) accolta però in

Palestina solo all’inizio del IV secolo (Eusebio la colloca tra gli “antilegomena”). Ai dubbi antichi

ha fatto riscontro l’atteggiamento della Riforma: Lutero la escluse dal Canone, reintrodotta dalle

Chiese riformate nel corso del XVII secolo. Giacomo si pone in una prospettiva diversa da quella di

Paolo: non si preoccupa più di stabilire le condizioni per entrare e rimanere nell'alleanza realizzata

in Cristo, che per Paolo erano rappresentate dalla fede in Cristo, ma delle modalità con cui la stessa

fede deve tradursi e prodursi nella vita cristiana.

Codice ermeneutico che pervade questa lettera è quello “sapienziale” (cf. Sl 1): chi sono il saggio e

lo stolto? Quali sono i criteri che li caratterizzano? Tali questioni, che si trovano alla base della

lettera, vengono risolte richiamando, in primo luogo, l'origine divina della sapienza: viene

“dall'alto'' (Gc 3,17), in quanto causata dalla parola di verità (Gc 1,18).

Tuttavia non può esservi sapienza che non scelga di prodursi nell'operosità dell'amore: è

significativo che la sapienza elogiata da Giacomo segua il canovaccio paolino della carità, delineato

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 8

in 1 Cor 13,1-13 (cfr. Gc 3,13-18). Per questo la stessa fede se non si traduce in opere di amore

vicendevole è destinata a restare vuota, anzi “morta”. La prospettiva escatologica, non rigettata da

Giacomo, viene riletta in prospettiva storica contro ogni forma di attesa inoperosa di chi non

produce frutti nella propria vita cristiana (Gc 5,7-11).

Giuda. Il messaggio apocalittico del Nuovo Testamento giunge al suo stadio conclusivo con la

lettera di Giuda: ricalcando il filone apocalittico della condanna per coloro che si oppongono al

disegno divino, propria della tradizioni “Enochica” (cfr. Gd 14-15), l'autore invita la comunità a non

porsi in loro ascolto, dietro la loro sequela. Al contrario, mediante il codice dell'amore vicendevole,

che si verifica soprattutto nell'aiuto per i deboli e per i vacillanti (cfr. Gd 20-23), la comunità viene

consolidata nella sua unità e nell'attesa del Signore che viene.

INTRODUZIONE AL IV VANGELO (E CORPO GIOVANNEO)

«Un metodo complessivo, perfetto, soddisfacente sotto ogni punto

di vista, per dominare i problemi complessi dell’interpretazione del

testo, della storia letteraria della sua formazione, delle questioni

storiche implicite e della comprensione odierna, non è ancora stato

trovato e resta anzi un obiettivo irraggiungibile dell’esegesi

neotestamentaria» (SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni,

IV, Paideia, Brescia 1987, 11)

Il titolo del corso ed il suo programma, prevede lo studio della cosiddetta “opera giovannea”

comprendente sia il IV evangelo, che le tre lettere di Giovanni che l’Apocalisse di Giovanni. Testi

accomunati, nella tradizione, dallo stesso “autore”, Giovanni appunto, cosa tuttavia messa in dubbio

sin dai tempi antichi, almeno per quanto riguarda l’Apocalisse, dubbio esteso poi alle tre lettere

giovannee.

Il rapporto IV Vangelo (e lettere) – Apocalisse:

affinità osservata dalla tradizione

genere letterario molto diverso; anche nelle espressioni e nelle immagini in comune…

stile diverso: Vang. e lettere greco semplice ma corretto… Apocalisse: errori?

differenze nell’uso dell’AT

diverso rilievo della “storia”

Rapporto IV Vangelo lettere molto diverso da quello con l’Apocalisse

anche qui differenze di genere letterario

lessico, stile teologia mostrano affinità

ordine cronologico nello sviluppo delle situazioni contestuali

senza il Vangelo le lettere sarebbero di difficile comprensione

Un posto a parte occupa la secolare questione dell’autore del IV Vangelo con riferimento

particolare alle sue diverse identificazioni. Oltre a ciò che si può leggere in tutte le introduzioni

al IV Vangelo, in un recente studio Maria Luisa Rigato prima di esporre le sue posizioni,

tratteggia brevemente la storia della questione. Per l’autrice, Giovanni è “l’altro discepolo”, il

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 9

“discepolo che Gesù amava”, non è da identificare con il figlio di Zebedeo, non è dunque uno

dei dodici; autore testimone oculare narrante del IV Vangelo, incluso il cap. 21, levita di stirpe

sacerdotale (come dimostra dall’interesse del suo vangelo per la situazione e le istituzioni di

Gerusalemme…)1. Una tesi originale che mostra tuttavia, anche sulla base di osservazioni

critiche spesso condivisibili, che la discussione rimane aperta.

È evidente che per un corso che non voglia essere solo di generica introduzione ma che si presenta

come corso esegetico, bisognerà operare delle scelte relativamente al materiale da trattare, troppo

per le ore a disposizione. Per il senso del corso nel quadro di questi nostri studi teologici, sarà dato

particolare risalto e proporzionato numero di ore al vangelo di Giovanni.

La prima domanda è relativa al “come”: come affronteremo lo studio del Vangelo? Una domanda

tutt’altro che secondaria.

Due sono le possibilità che fondamentalmente intravedo, tralasciando altre possibilità che esulano

però dal nostro tipo di corso (per esempio letture patristiche, ermeneutica medievale, storia delle

conseguenze, dell’uso nella teologia….) e saranno invece oggetto di altri corsi specifici.

- Prima prospettiva: Il Vangelo di Giovanni come opera essenzialmente letteraria. Modello di

studio a specchio (cf. Murray Krieger: il significato del testo è tutto da questa parte, tra specchio e

osservatore, testo e lettore. Il testo, con i suoi richiami, il progressivo coinvolgimento del lettore…

il suo mondo narrativo, rivela qualcosa di più profondo al lettore circa il mondo reale in cui egli

stesso, il lettore, vive).

Beneficio di questa lettura è l’immediato incontro con il testo, l’acquisizione di familiarità con esso,

a cominciare dalla questione sul suo significato di insieme nel quale collocare le singole parti…

Domande guida sarebbero in tal caso: qual è la trama del testo? Qual è lo sviluppo della narrazione,

i suoi personaggi principali, la loro relazione reciproca (oggetto di analisi narratologica) la sua

struttura retorica… In questo senso saremmo più vicini alla maniera patristica di leggere il testo e

confrontarsi con esso. Sparisce qui ogni altra preoccupazione di tipo stratigrafico, storico

ambientale, di storia della formazione… di contesto socio religioso… tutti contesti e relative

questioni poste invece dai sostenitori dello studio storico-critico con tutte le sue varianti…

- Seconda prospettiva: modello di studio a finestra (cf. Murray Krieger: Approccio al testo come

a una “finestra” attraverso cui poter osservare la comunità primitiva in cui fu composto, spingendo

lo sguardo fino a Gesù).

Beneficio di questo secondo tipo di lettura è soprattutto la verifica della relazione del testo con gli

avvenimenti che riguardarono effettivamente Gesù e la sua storia, da una parte, e Giovanni e la sua

comunità dall’altra… Qui il testo è effettivamente considerato come un tell e lo studioso come un

archeologo: si cerca di stabilire gli strati redazionali, quelli tradizionali, il loro ambiente di

formazione, gli influssi dei problemi e dei linguaggi contemporanei all’autore e la loro traccia nel

testo… sussidi verranno allora dalla geografia, dalla storia del mondo giudaico di fine I sec.d.C.,

dalla sociologia… ecc. ecc.

Mi pare un peccato dover scegliere se seguire solo l’una o l’altra di queste vie che presentano in

verità aspetti interessanti e non eludibili.

1 Cf. RIGATO M.L., «L’apostolo ed evangelista Giovanni», «sacerdote» levitico in Riv.Bibl. XXXVIII(1990) 207-

215. RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 10

Per esempio nello studio dei classici commentari di tipo storico-critico (Schnackenburg, Gnilka…)

pur potendo ottenere continue informazioni e suggestive “ipotesi” sull’ambiente di composizione, la

storia della formazione del vangelo, il suo riferimento alle condizioni storiche della vita di Gesù…

si sente immediatamente la mancanza di un riferimento ordinato e significativo al Vangelo in

quanto tale. Ma lo stesso si può dire circa l’insoddisfazione conclusiva a cui si giunge con l’altro

tipo di approccio, quello a specchio: insomma alla fine quelle cose dette, raccontate dal narratore al

lettore e che producono effetti così intensi da cambiare la vita, sono radicati storicamente nella

vicenda di Gesù? Quanto di tali elementi derivano dall’apporto della comunità cristiana, quanto

dalla tradizione “autentica” su ciò che Gesù ha fatto e ha detto?…

Intanto… osservazioni generali:

Greco semplice (Koinè popolare, parlata, più che letteraria cfr. Luca). Linguaggio semplice

e sostanzialmente corretto, povero sul piano letterario (circa 1000 parole diverse)

Stile diretto e sintassi elementare. Presente storico, uso frequente del Kai. Eppure lo stile è

intenso, meditativo.

Universo concettuale e linguistico uniforme (non vi sono differenze sostanziali tra il modo

di parlare del narratore e quello di Gesù…)

Già una statistica del vocabolario teologico più frequente mostra la distanza tra Gv e i

sinottici.

Osservando con attenzione la struttura del Vangelo di Giovanni, attraverso fattori di tipo

geografico e cronologico, si coglie la sua originalità rispetto ai sinottici, anche se per molti aspetti si

avvicina ad essi (l’attività galilaica, il viaggio/viaggi a Gerusalemme, l’ultima cena, la passione

morte, la risurrezione). È tuttavia evidente che tali indicazioni, ancorché diversamente raggruppate

e interpretate dagli studiosi, hanno un ruolo funzionale alla cristologia dell’evangelista, o se si vuole

dal punto di vista narrativo, alla presentazione del personaggio principale della narrazione.

In Giovanni i miracoli diventano “segni”, con la funzione di indicare simbolicamente

qualcosa della persona di Gesù e della Vita che è venuta a portare «Molti altri segni fece Gesù in

presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché

crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome»

(20,30-31).

Qui, a differenza dei sinottici è decisiva non solo la fiducia nell’azione salvifica di Dio

attraverso Gesù, ma la fede in Gesù, via al Padre.

Bisogna naturalmente partire dalla contestualizzazione: chi è Giovanni? per chi scrive? in

quali condizioni? Domande che nel tempo non hanno ottenuto risposte univoche, anche se un certo

accordo tra gli studiosi è possibile riscontrarlo, almeno su questioni ampie:

- Possiamo innanzitutto raccogliere l’indicazione pressoché unanime tra gli studiosi, che il IV

Vangelo si è costituito, così come oggi si presenta a noi, solo alla fine del I secolo.

- Molto più frastagliata è la gamma di posizioni circa il processo di formazione più o meno

lungo. Ma anche a tale proposito, domina comunque l’idea di una formazione avvenuta in diverse

fasi.

- Anche rispetto alla cristologia, evidentemente, le fasi di formazione hanno determinato un

accrescimento che solo gradualmente ha raggiunto la forma finale che a noi si presenta nell’opera

così come la possediamo.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 11

- Pure discusso è il luogo di origine del IV Vangelo2, di cui si dirà qualcosa più avanti, che

varia nelle opinioni degli studiosi tra la Siria (Antiochia), l’Asia Minore (Efeso), l’Egitto

(Alessandria), o il territorio del re Agrippa II (vedi sotto).

- Altra idea alquanto diffusa, ferme restando notevoli differenze, è il collegamento ai fatti

della vita di Gesù attraverso un testimone oculare, da molti identificato con il “discepolo che Gesù

amava”, il garante che avrebbe scritto il vangelo e conservato il ricordo delle vicende di Gesù: “Si

diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva

detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a

te?».Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che

la sua testimonianza è vera” (21,23-24).

- Il linguaggio usato da Giovanni, proprio la sua approfondita riflessione su Gesù, fa pensare

che il IV Vangelo sia destinato a cristiani che, non è difficile desumerlo dal vangelo stesso, sono sia

giudei che gentili: si pensi a 4,42, l’importante episodio dell’incontro di Gesù con la Samaritana,

che si conclude con la confessione di fede dei samaritani: «Non è più per la tua parola che noi

crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del

mondo». Qui è utilizzato un “titolo” cristologico, che oltrepassa la religiosità e l’espressione

giudaica dell’attesa messianica. Ma non mancano altre testimonianze, come l’accenno alla fortunata

evangelizzazione del mondo greco in 12,20 ss.: «Tra quelli che erano saliti per il culto durante la

festa, c’erano anche alcuni Greci....».

- Benché ampiamente ridimensionata, non va dimenticata la tesi resa famosa da Bultmann

circa l’influenza fondamentale che il mito gnostico del redentore avrebbe esercitato nel pensiero

giovanneo e nella composizione del Vangelo. Una questione certamente ridimensionata, almeno per

l’importanza riconosciutale dai suoi sostenitori, ma che non può essere del tutto dimenticata.

Qual’è l’immagine di Cristo che viene fuori dalla lettura del suo Vangelo?

Innanzitutto è il Rivelatore del Padre (già Bultmann). E su questo non c’è dubbio. La sua

missione è permetterci di conoscere il Padre. Contemporaneamente, altro messaggio fondamentale,

di sperimentare-avere la vita aderendo a Gesù Cristo (credendo non solo a lui, ma in lui...).

Qui emerge una prima linea di approfondimento in una lettura attenta del Vangelo: la

relazione tra Gesù e il Padre. Di che tipo è, come la presenta Gesù stesso?

Ma sorgono subito altre questioni che chiamano nuovamente in causa il contesto storico e gli

influssi letterari (o anche tradizionali) che Giovanni ha ricevuto: perché inizia con l’idea di Logos,

da dove viene tale concetto?

Alla fine Gesù è soprattutto un personaggio “alto”, presentato teologicamente, presupposto

del docetismo? Che già dall’inizio Giovanni parli del Cristo risorto, ripensato e descritto alla luce

della risurrezione non è una novità, del resto anche per i sinottici si può dire la stessa cosa. Ma certo

in Giovanni appare immediatamente e totalmente vero a partire dai primi versetti, dalla concezione

dell’incarnazione del Verbo eterno del Padre...

Le stesse parole che Gesù pronuncia, secondo Giovanni, appaiono le parole di colui che è non

solo disceso dal cielo, ma che già vi è nuovamente asceso... E tutta la sua opera terrena si presenta

come manifestazione del suo “essere presso Dio”, della sua scandalosa pretesa di un rapporto unico,

appunto da Unigenito del Padre... Ci spingiamo fino alla divinità di Gesù.

Eppure il IV Vangelo conserva la sua dimensione scandalosamente storica... (Cfr. tra gli altri

Dodd, La tradizione storica del IV Vangelo) è un Vangelo, storia di Gesù Cristo... è difficile, certo,

risalire al singolo episodio nella sua dimensione storica, stando a quanto ha descritto la critica

storica degli ultimi decenni, tuttavia lo sfondo storico può essere colto dietro alle descrizioni

giovannee della vita di Gesù e in certi particolari (si pensi al processo) sembra effettivamente di

poterlo cogliere con chiarezza.

2 Sulle diverse ipotesi circa il luogo di composizione cf. M. RODRIGUES-RUIZ, El lugar de composiciòn del cuarto

evangelio. Exposiciòn y valoraciòn de las diversas opiniones, in EstB 57(1999)613-641.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 12

Che tali questioni non siano peregrine lo si può desumere anche da quella che definiamo la storia

degli effetti della cristologia Giovannea (Wirkungsgeschichte)3.

L’orizzonte storico

Un presupposto importante per comprendere l’opera giovannea, è l’orizzonte storico in cui

collocarla. Evidentemente per il nostro scopo diventa necessario, almeno come ipotesi per poi

operare con lo studio più approfondito del Vangelo, una verifica (per quanto limitata) del

presupposto.

Questo punto è di estrema importanza dal punto di vista ermeneutico. La domanda iniziale:

perché la cristologia giovannea nel suo insieme è così particolare, perché presenta un’immagine di

Gesù Cristo così vicina eppure tanto differente dai sinottici... non può trovare realisticamente

risposta, se non a partire dallo studio del contesto storico nel quale il Vangelo nacque, anzi la stessa

riflessione intorno a Gesù che poi entrerà a far parte del Vangelo... e, non meno importante, il

contesto al quale esso era indirizzato nella mente del suo autore/autori. Quello che spesso

attribuiamo genericamente ad uno stile particolare, la maniera particolare di Giovanni di presentare

Gesù, in realtà deriva dalla formazione dell’autore, dalla sua cultura, dal contesto storico, filosofico,

culturale in cui l’autore si è formato, in cui scrive, e dal contesto al quale lo scritto è destinato. Tutto

ciò non esclude il genio creativo dell’autore, anzi è solo grazie ad esso che alcuni autori hanno

potuto parlare della sua opera come della “tunica senza cuciture”, opera unitaria.

È necessario, inoltre, postulare sin dall’inizio che Giovanni scrivesse per essere compreso da

qualcuno... una affermazione così ovvia in realtà lo è meno di quanto si immagini. Se infatti

decidiamo di partire dal contesto storico al quale il Vangelo è destinato, stiamo operando una scelta

importante per la stessa comprensione dello sviluppo dell’opera giovannea: è il contesto di vita che

ha stimolato un certo modo di descrivere Gesù, la sua opera, la sua novità. Quello scritto, poi, è

diventato esso stesso stimolo per i cristiani a cui giunse (e poi per tutti i cristiani fino a noi oggi).

Se insomma è vero che la domanda ermeneutica nel nostro presente ci spinge dalla vita al

testo e da questo alla vita, dobbiamo pensare che tale dinamica fu già all’origine, determinante per

lo sviluppo della stessa cristologia successiva, se non si parte dall’idea di un autore ispirato fuori dal

tempo, dalla storia, o da un assorto teologo, genio creativo, che costituisce in se stesso un mondo a

parte... Lo studio dei vangeli, fedelmente agli insegnamenti magisteriali, ci ha invece abituati a

pensare gli scritti in un contesto preciso da conoscere al meglio per poterne comprendere il senso

(cfr Dei Verbum.... Documento della Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della

Bibbia nella Chiesa, 1993).

È proprio nel lavoro dei primi testimoni e degli evangelisti che comincia l’inculturazione della

Buona Novella, nel processo che determina il ripensamento della vicenda di Gesù nella mente e nel

cuore dell’autore del IV Vangelo. Giovanni non stava pensando, molto probabilmente, a scrivere in

astratto un’opera teologica valida per tutti i tempi e per tutti i luoghi. Egli stava ripensando la

vicenda di Cristo e della fede in lui, a partire dalle categorie del suo tempo, dalle immagini, dai

titoli, dai predicati, che di più avrebbero reso il senso di quell’esperienza unica della fede agli occhi

( o meglio alle orecchie), di coloro che avrebbero udito il “suo” Vangelo.

J.L.Martyn4 parte dal cap. 9 di Giovanni:

3 Cfr SCHNACKENBURG R., Das Johannesevangelium I, Freiburg-Basel-Wien 31972, 171-196: «Il Vangelo di Giovanni

nella storia», in Il Vangelo di Giovanni, vol I, Paideia, Brescia 1973, 239-272. BRAUN F.M., Jean le Théologien et son

évangile dans l’église ancienne, Paris 1959; WILES M.-F., The Spiritual Gospel: The Interpretation of the Fourth

Gospel in the Early Church, Cambridge 1960; POLLARD T.E., Johannine Christology and the Early Church (MSSNTS

13), Cambridge 1970; Per singoli autori cristiani antichi e interpreti recenti cfr. l’elenco in BELLE G. VAN, Johannine

Bibliography 1966-1985, Louvain 1988, 413-430.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 13

tau/ta ei=pan oi gonei/j auvtou/ o[ti evfobou/nto tou.j VIoudai,ouj\ h;dh ga.r sunete,qeinto oi VIoudai/oi i[na eva,n tij auvto.n o`mologh,sh| Cristo,n( avposuna,gwgoj ge,nhtaiÅ Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che se uno avesse

riconosciuto Gesù come il Cristo, sarebbe stato espulso dalla sinagoga.

Lo studioso sostiene che si tratta di un evento reale ma della vita della comunità o chiesa giovannea,

tale che può essere raccontato come la ricostruzione di un episodio accaduto nel ministero di Gesù.

Il IV Vangelo non è un opuscolo missionario inviato a giudei o gentili, né un’opera teologica intesa

come “patrimonio per sempre”; venne invece scritto per l’incoraggiamento di un gruppo di cristiani

“giudei” che avevano bisogno di affermare la loro identità contro la sinagoga del luogo, che fu

l’ambito da cui il gruppo cristiano aveva preso le sue origini. Così il Martyn ha mostrato come il

quarto evangelo non solo riporti gli eventi relativi alla vita di Gesù, ma descriva in realtà le

situazioni della chiesa al tempo dell’evangelista: la storia della comunità giovannea verrebbe in tal

modo proiettata all’indietro nella vita stessa di Gesù. Il quarto Vangelo chiede dunque di essere

letto e interpretato ad un duplice livello, quello del Cristo storico e quello della chiesa giovannea in

cui il Vangelo stesso si è formato5.

Prosper Grech, proprio riconoscendo la centralità dei capitoli 7 e 8 di Giovanni per l’alta

cristologia che essi presentano, prolunga il metodo di Martyn (che si era occupato in particolare dei

capitoli 3 e 9) applicandolo a tali capitoli seguendo lo stesso metodo dello studioso americano,

distinguendo tuttavia tra il livello del Gesù storico e quello del Cristo Risorto, prima ancora del

terzo livello, quello della chiesa giovannea. Sostiene, in particolare, che è difficile distinguere nella

polemica giovannea tra le posizioni e le perplessità o il rifiuto de “i giudei” o dei “giudeo-cristiani:

la linea di demarcazione non è sempre chiara.6

Alle intuizioni di Martyn (e altri), si riferisce anche J. Ashton

Nel suo lavoro Comprendere il Quarto Vangelo, John Ashton affronta tale questione (come

del resto tutti coloro che si occupano della questione giovannea cfr. Hengel). Riferendosi allo

stimato lavoro di Bultmann, Ashton si chiede se noi cerchiamo di individuare le fonti, le influenze o

semplicemente l’ambiente del Vangelo di Giovanni. Sulle FONTI, a cui tanto si è dedicato

Bultmann, al di là del prologo e dei racconti della passione (possiamo includere forse la cosiddetta

fonte dei segni), le conclusioni di Bultmann non hanno trovato un consenso largo. Ma cosa dire dei

discorsi di rivelazione? Nessuna risposta convincente sulle eventuali “fonti”.

Per quanto riguarda le “influenze” dobbiamo includere naturalmente la predicazione,

l’ambiente di Gesù, la sua opera, la sua sorte... le stesse influenze che modellarono i sinottici in

maniera così diversa dal IV Vangelo. Si può spingere lo sguardo a periodi più ampi della storia

israelitica (sia civile che religiosa...) includendo il periodo del II tempio, trovando le tracce di

pensieri che hanno influito sui pensatori cristiani del I secolo. L’influenza più ovvia a tale proposito

è quella della Bibbia Ebraica (LXX). Se bastassero fonti e influenze penseremmo, sbagliando, che il

compito per spiegare la genesi del IV Vangelo sia quello di spiegare l’assemblaggio delle fonti e

delle influenze... (il contesto religioso e culturaale di cui abbiamo in parte già parlato).

Bisogna aggiungere, sostiene Ashton, un terzo elemento, meno universalmente riconosciuto

che consiste precisamente nell’ambiente di formazione del Vangelo di Gv che egli indica

nell’ambiente delle sette giudaiche, in quell’ambiente giudaico, cioè, così estremamente variegato

che non può essere affatto ricondotto al giudaismo successivo, il cosiddetto giudaismo rabbinico, il

quale ha fornito il modello per parlare di un “giudaismo normale” rispetto al quale considerare tutti

gli altri tipi di giudaismo. Si pensi che nella discussione attuale (cfr. Boccaccini), si evita persino di

parlare di “giudaismo”, alcuni preferiscono parlare di “giudaismi” al plurale. In questo caso la

formazione dell’evangelo di Giovanni sarebbe da vedere esattamente come formazione di uno dei

4 MARTYN J.L.,The Gospel of John in Christian History, New York 1979

5 Cfr. MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel, New York 1968, 3ss.

6 GRECH P., La comunità giovanea nei cc. 7 e 8 del Vangelo di Giovanni, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991) 59-68.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 14

rivoli giudaici, eterodossi... Non è una tesi condivisa da tutti. Anzi, in generale si tiene presente un

altro punto di osservazione che è quello di fine di I secolo, quando ormai la separazione chiesa-

sinagoga poteva consentire di parlare di un cristianesimo e di un giudaismo, in conflitto ormai tra

loro...

Assumiamo dunque un punto di partenza che poi potrà essere esso stesso sottoposto a verifica

critica nel corso dello studio.

Bisogna essere chiari in tale proposito.

Innanzitutto il Vangelo di Giovanni, opera che giunge alla sua fase conclusiva passando

attraverso più mani, nasce in un contesto di polemica con i giudei. Se i sinottici rappresentano molto

meglio la situazione storica creata dalla nuova realtà del gideo-cristianesimo (da una parte nel

rapporto con gli altri giudei, dall’altra con l’apertura ai gentili), e se i conflitti possono essere con

relativa semplicità ricondotti a tale contesto, l’impostazione di Giovanni appare già alquanto

differente: si distingue qui nettamente tra i cristiani (giudeo-cristiani ed etnico-cristiani) e “i

giudei”.

Un problema storico si presenta allorché si tenta un approfondimento del peso della presenza

dei giudeo-cristiani e della problematica del loro rapporto con gli etnico-cristiani, il grande

problema della chiesa delle origini, come testimoniato dal libro degli Atti e come è peraltro facile

immaginare (anche dalle lettere paoline, come dalla lettera di Giacomo ecc.).

Partiamo dal dato piuttosto comune secondo cui il Vangelo di Giovanni, nella sua forma

attuale si è formato intorno alla fine del I secolo7. Questo, peraltro, non esclude che siano esistiti

stadi precedenti e fonti di data anteriore8. In accordo con Schnackenburg diciamo pure chiaramente

che la cristologia principale e dominante del Vangelo è da considerarsi come forma finale di una

riflessione che è ormai storicamente lontana dai fatti storici della vita-morte(-risurrezione) di Gesù.

Le origini del Vangelo di Gv vanno ricercate nell’ambito del cosiddetto giudaismo

eterodosso. In questo contesto (peraltro problematico per la definizione di ortodosso-eterosso),

l’espressione giovannea oi ‘Ioudaioi è il nome dato al potente partito che trasse vantaggio dal

disordine successivo alla caduta di Gerusalemme nel 70 d.C. e che gradualmente assunse il potere

sulla popolazione ebraica. Questo partito, che non può essere assolutamente identificato con i

farisei, pose le fondamenta di ciò che noi conosciamo come giudaismo. Se i Farisei ebbero un ruolo

in ciò, come sicuramente accadde, saranno stati preoccupati di liberarsi dalle posizioni isolazioniste

e certamente settarie del loro nome: quale migliore opportunità avrebbero mai avuto per avanzare la

loro pretesa di essere i veri discendenti di Abramo? Si sarebbe verificata, dopo la distruzione del

tempio del 70, un’alleanza tra farisei e sommi sacerdoti per stabilire la loro autorità sul popolo e

trarre il maggior vantaggio possibile dalla frammentazione della popolazione che deve aver seguito

il trionfo romano. Nel tentativo di reprimere opinioni che ritenevano sovversive sarebbero entrati in

conflitto con il gruppo giovanneo: insomma, né tutti né alcuni dei molti dissidenti giudei, ma coloro

che ancora una volta, dopo il 70 riunivano le fila del potere nelle loro mani. Bornhauser li descrisse

nel 1929, come “i fanatici della Torah”. L’unico chiaro sinonimo di oi ‘Ioudaioi nel IV Vangelo è “i

sommi sacerdoti e i farisei”, non solamente “i farisei”. Le loro tradizioni, nel tardo I sec. d.C.

saranno alla base di un nuovo giudaismo.

Alle stesse ragioni conflittuali, si riferisce Smith Dwight Moody9, (debitore anch’egli di

Bultmann, Martyn, R.Brown, ...): nel vangelo di Gv assistiamo ad una fase critica nei rapporti tra

giudaismo e cristianesimo. Effettivamente possiamo individuare qui un punto in cui quelle che ora

consideriamo come due religioni distinte cominciarono a costituirsi, proprio a proposito del

7 Cfr. HENGEL, La questione giovannea.......

8 Cfr. SCHANCKENBURG, La persona di Gesù Cristo... p.316.

9 MOODY SMITH D., La teologia del Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1998.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 15

problema del ruolo assegnato o negato a Gesù e delle conseguenze implicate da diverse

dichiarazioni di fedeltà a Gesù per la vecchia comunità e per quella nuova che proprio ora si va

formando (p. 25)... Questa scissione che si trova alla radice del cristianesimo per sé, o molto vicino

ad essa, ha avuto importanti conseguenze per la teologia cristiana, rappresentata dal IV Vangelo in

modo più chiaro di qualsiasi altro scritto neotestamentario.

Uno degli studiosi che hanno contribuito significativamente agli studi giovannei negli ultimi

anni è Martin Hengel. Si ricorderà il suo studio su “Figlio di Dio” che ha contestato in maniera

chiara ed efficace la derivazione del titolo da un contesto ellenistico, all’interno di quelle concezioni

sincretistiche del cristianesimo delle origini, riconducendo invece il titolo al contesto giudaico.

Un’altra fondamentale opera di quest’autore, oggi disponibile anche in italiano, è “Giudaismo ed

ellenismo”.

Lo sfondo del quarto vangelo è molto più variegato di quanto si pensasse. In generale gli

studiosi concordano nel vedere la comunità giovannea impegnata in un’aspra controversia con “i

giudei”, i veri nemici della comunità (Thyen; Martyn; Von Walde; Triling; Ashton). Per questo

motivo Klaus Wengst poneva la comunità giovannea e il quarto vangelo, nella comunità della

Traconitide e della Batanea, territorio governato dal re Agrippa II qualche anno prima del 90,

poiché in quella regione, negli anni dopo il 70, il giudaismo, ripresosi e rafforzatosi sotto la spinta

dei farisei, avrebbe avuto la possibilità di giustiziare dei cristiani (si basa su Gv 16, 2:

aposynagogos, + 9,22 +12,41, e in connessione con la maledizione degli “eretici” nella preghiera

delle “diciotto benedizioni” Shemoneh Esreh)10

Ma l’espulsione iniziò già prima di Paolo, con il martirio di S.Stefano (At 6-8), come un

lungo processo; gli ellenisti di At 6-8 sono stati espulsi da Gerusalemme (aposynagogoi) dai

membri delle sinagoghe locali di lingua greca

At 8,[1]Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta

persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi

nelle regioni della Giudea e della Samarìa. [2]Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande

lutto per lui. [3]Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e

donne e li faceva mettere in prigione. [4]Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese

e diffondevano la parola di Dio.

Cfr. la fondazione delle comunità missionarie di Paolo; la flagellazione inferta a Pietro 5

volte; le violente controversie 2Cor 11,24; inoltre già Erode aveva provocato lesioni fisiche a molti

cristiani intorno al 43 d.C. At 12,1. E 1Tess 2,14 parla di persecuzioni ricorrenti.

Forse la situazione migliorò tra il 43 e il 48 quando la leadership fu assunta da Giacomo,

fratello del Signore. Tuttavia egli stesso fu lapidato nel 62 d.C. insieme ad altri capi giudei con

l’accusa di avere infranto la legge...cfr Gv 16,2. Il fatto fu poi seguito dalla fuga della comunità a

Pella.

La Birkat hamminim, di cui non conosciamo la data esatta, è stato dunque solo l’ultimo atto di

questo lungo processo. Si rivolgeva non solo contro i giudeo-cristiani, ma contro tutte le eresie

giudaiche. Secondo il testo ritrovato nella geniza del Cairo, la dodicesima preghiera direbbe: «... e i

nazareni (= i cristiani) e gli eretici (minim) periscano in un attimo e siano cancellati dal libro della

vita, e non siano iscritti con i giusti...»11

.

L’aggiunta dei nosrim tuttavia sembra essere tardiva. Per i Cristiani provenienti dal

paganesimo, naturalmente la maledizione non aveva alcun significato.

Conclude dunque M.Hengel (p.279):

«Che il Quarto Vangelo abbia avuto origine nell’ambito territoriale di Agrippa II e che la

scuola giovannea abbia svolto lì la sua attività è del tutto improbabile. Non vi è traccia di tale

10

WENGST K., Bedrängte Gemeinde und verherrlichter Christus. Der historiche Ort des Johannesevangeliums als

Schlüssel zu seiner Interpretation, Neukirchen 1981, nuova edizione 1990. 11

Cfr SCHAGE, GLNT XIII, 141 s.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 16

contesto nel IV Vangelo. Invece i giudei dell’Asia minore rimasero relativamente immuni dalle

conseguenze negative della guerra giudaica ed esercitarono una grande influenza in particolari

città. Si tratta di una Diaspora risalente al periodo persiano, che conservò particolari privilegi

concessi dai romani. Per esempio Sardi: una grande sinagoga al centro della città e i suoi membri

partecipavano al consiglio cittadino... In questo contesto si capisce molto bene come ci fossero

lamentele da parte giudaica contro i cristiani che dovevano costituire un gruppo missionario molto

attivo; i giudei dovettero vedere nel loro spirito missionario entusiastico e nella loro dottrina

escatologica, un pericoloso concorrente che avrebbe potuto, tra l’altro, screditarli agli occhi degli

organi statali».

Cfr. Il Martirio di Policarpo: persecuzione contro i Cristiani in Asia minore alla quale

parteciparono, secondo un comportamento abituale, anche i giudei: essi sono i più attivi nell’aizzare

la popolazione di Smirne contro i cristiani; Tertulliano definisce le sinagoghe come “fonti di

persecuzione” (Scorp. 10,10); il Martirio di Pionio testimonia un grande odio, insulti e attacchi;

tra la fine del I e l’inizio del II secolo i giudei appaiono in condizioni più favorevoli rispetto ai

cristiani, fino al IV secolo.

JOSSA12

sostiene che «È difficile tuttavia valutare il peso che hanno avuto i giudei nelle

persecuzioni contro i cristiani». Jossa parla piuttosto, senza arrivare alle posizioni più radicali di

Harnak, di un odio teologico che alimenta, più della realtà storica, le contrapposizioni e le

persecuzioni di cui ci danno testimonianza Giustino, Melitone e altri scrittori cristiani antichi...).

Questi giudei dell’Asia minore, secondo Hengel, a differenza di quelli di Siria, Palestina,

Egitto, non avevano subìto limitazioni dalla catastrofe della prima guerra giudaica del 66-70. Così

Gv 16,2 «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di

rendere culto a Dio» non necessariamente si riferisce a una violenta e sanguinaria persecuzione da

parte dell’autorità giudaica dell’epoca dell’evangelista, ma intende descrivere la situazione della

comunità post-pasquale in generale: nell’ottica dell’evangelista le persecuzioni da parte dei giudei

furono “fin dall’inizio” in Giudea e nella provincia dell’Asia.

Al tempo stesso, tuttavia, non è da dimenticare che l’aspra controversia fra Gesù e i Giudei

nel IV Vangelo non può essere ridotta ad un semplice riflesso degli attacchi degli oppositori giudei

del tempo ai cristiani delle comunità giovannee.

La comunità giovannea e lo sviluppo del IV Vangelo (e dell’opera giovannea)

Un pioniere nel lavoro di descrizione della comunità giovannea e delle sue diverse fasi di

sviluppo, è lo studioso americano J.Louis Martyn, già citato. Accennando sinteticamente alla sua

ricostruzione, si può distinguere:

primo periodo, prima del fatidico anno 70, in cui i cristiani della comunità giovannea sono

in effetti giudeocristiani, giudei che hanno accolto Gesù come l’atteso Messia (1,35-49; 2,11; 4,53);

secondo periodo: anni 80-90 caratterizzato dall’allontanamento dalle sinagoghe e dalle

persecuzioni proprio da parte dei giudei (9; 5,18; 10,28s.; 15,18);

terzo periodo: dopo il 90, in seguito al Sinodo di Jamnia, in cui la comunità giovannea

assume la sua peculiare identità non solo nei confronti del giudaismo farisaico, ma anche nei

confronti degli altri gruppi cristiani e nei confronti della loro cristologia più bassa.

A questo punto sembra opportuno dedicare la giusta attenzione alla ricostruzione della

comunità giovannea fatta dal noto esegeta cattolico R.E.BROWN13

, autore, tra l’altro, di un notevole

commentario al IV Vangelo. Non tutto ciò che dice è da condividere, ma certo fornisce un quadro

interessante, diciamo pure un’ipotesi affascinante su come si sia sviluppato il Vangelo di Giovanni

12

JOSSA G., Il cristianesimo Antico. Dalle origini al Concilio di Nicea, Carocci, Roma 21998, 143.

13 BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982 (orig. New York 1979).

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 17

e le lettere, in connessione con le fasi storiche della comunità giovannea dalle sue origini alle sue

divisioni fino alla sua “normalizzazione”.

Egli divide il tempo di formazione degli scritti giovannei in quattro fasi. Qui ci limiteremo a

parlare un po’ più diffusamente della prima fase, che l’autore definisce “delle origini”, affidando la

parte restante alla Tavola descrittiva che Brown stesso fornisce a p. 196s. del testo citato.

Per la prima fase si distingue in un primo e secondo periodo. La comunità giovannea nasce

come comunità di giudei la cui fede comporta una cristologia relativamente bassa. Per cristologia

relativamente bassa si intende qui la cristologia che nasce dall’applicazione a Gesù dei titoli derivati

dall’AT o da quelli che derivano dalle attese intertestamentarie14

, titoli che non implicano di per sé

la nozione cristiana di figliolanza divina (= divinità di Gesù). Così quando troveremo alcune

espressioni che si riferiscono a una cristologia “alta”, della preesistenza, della divinità ecc. potremo

presumere che essi fanno già parte di una riflessione più avanzata in cui Gv interpreta alcune

espressioni precedenti in un senso più alto. Così accade per la testimonianza del Battista:

[1.15] Giovanni gli rende testimonianza

e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi:

Colui che viene dopo di me

mi è passato avanti,

perché era prima di me».

[1.30] Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era

prima di me.

testimonianza non “inventata” da Gv, ma riportata già con l’ interpretazione giovannea di

quanto Giovanni Bt aveva detto di Gesù, alla luce di una più alta cristologia (II fase).

Nella prima parte del Vangelo, i miracoli non sono così diversi dalle descrizioni sinottiche di

miracoli. È chiaro che già nei racconti apostolici all’indomani della risurrezione, dunque già nei

vangeli sinottici, le testimonianze e i ricordi sulle azioni e le parole di Gesù vengono riletti alla luce

dell’evento della risurrezione e della fede dei testimoni. Tale interpretazione continua nella vita

cristiana e Giovanni ne testimonia lo sviluppo originale già a partire da quella che Brown chiama la

prima fase. Ciò che veramente rende diversi gli stessi racconti di miracolo, in Giovanni, sono le

interpretazioni, le parti teologico - interpretative che conferiscono al vangelo quella sua peculiare

cristologia alta. Insomma per l’evangelista, la cristologia più alta che si è sviluppata in seno alla

sua comunità è nient’altro che l’interpretazione corretta di quanto già dicevano le originarie

confessioni su Gesù come Messia... «L’autore della prima lettera sottolineerà che quello che egli sta

proclamando al tempo suo è ciò che era “fin dal principio” (1Gv 1, 1-2)»15

.

Tra l’altro proprio a Giovanni Battista e ai suoi discepoli, che risulta frequentassero la zona

dove sorgeva la comunità di Qumran, Brown attribuisce l’introduzione di idee tipiche della

comunità essena che si trovano anche in Giovanni (il dualismo luce/tenebra, verità/falsità; ...), e non

invece a un contatto diretto tra l’evangelista e Qumran.

La figura del Discepolo prediletto, certamente idealizzata, ma non inventata, è quella che

servirà da autenticazione alle idee giovannee (in particolare cristologia ed ecclesiologia) di fronte

alle altre comunità cristiane (per questo si sottolinea che il Discepolo prediletto arrivò per primo

alla tomba vuota). Il Discepolo prediletto, che fonda autoritativamente la testimonianza del IV

Vangelo come testimonianza di tipo apostolico, è l’innominato discepolo di 1,35-40: «[35] Il giorno

dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli ...[40] Uno dei due che avevano udito le

parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro» il secondo, sarebbe

appunto il discepolo prediletto, con Gesù fin dal principio, ma non ancora definito come “il

discepolo che Gesù amava” (13,23-27; 19,25-27; 20,2-10; 21,1-14.20-24) poiché non è ancora

14

Cfr. BROWN, La comunità... p. 24. 15

Cfr. BROWN, La comunità... p. 29 nota 38.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 18

giunto a comprendere pienamente Gesù (13,1). Concordano, grosso modo, Culpepper16

e

Schnackenburg17

. Sulla domanda se sia storicamente plausibile che il discepolo che Gesù amava sia

il “garante” della tradizione giovannea,18

mi limito ad osservare, sinteticamente, che la risposta

dell’autore è positiva. Dunque un discepolo di Gesù sin dal principio, benché non appartenesse al

gruppo dei dodici. La tradizione cristiana successiva tende a identificarlo con Giovanni figlio di

Zebedeo, proprio per assegnare al discepolo prediletto il ruolo di testimone e semplificare la

concezione delle origini riportandolo nel numero dei dodici. Per Brown, diversamente da Cullmann,

non si identifica, tuttavia, con l’evangelista (cfr. p. 36, nota 49).19

Il secondo periodo della comunità giovannea è caratterizzato, dal punto di vista storico,

dall’ingresso di un gruppo di samaritani che determina l’acutizzarsi delle difficoltà con “i giudei”,

fino alla vera e propria rottura. È in questa fase che le affermazioni cristologiche vanno decisamente

oltre quanto si poteva attendere un giudeo che giungesse a riconoscere Gesù come il messia atteso.

È pure a questa fase che dobbiamo attribuire l’accentuazione della distanza di Gesù dalle istituzioni

giudaiche, fino a giungere a una vera e propria “sostituzione” del nuovo rispetto a ciò che viene ora

giudicato come “vecchio”.

Tutto ciò tocca diverse prospettive, non ultima quella della cosiddetta teologia della

sostituzione che si svilupperà poi nella teologia cristiana rispetto alla sua origine ebraica. In

Giovanni la prospettiva più antica, vicina a quella sinottica, di un compimento delle attese in Gesù

in linea con una fondamentale continuità tra giudaismo e cristianesimo, coesiste talvolta con la

prospettiva nuova, frutto dei cambiamenti originati dalla condizione storica della comunità.

Provando ad andare con ordine, e rinviando al volume di Brown più volte citato, bisogna

considerare innanzitutto il fatto storico, contestuale, che fu all’origine di uno sviluppo originale

della cristologia “alta” del IV Vangelo. Dall’ipotesi storica si potrà passare, come verifica, alle

questioni rappresentate dai testi giovannei.

Il Brown osserva che i capitoli 2-3, benché portatori già della “reinterpretazione” giovannea

dei fatti (basti pensare, tra l’altro, al fatto che l’episodio della purificazione del tempio viene

anticipato da Gv nel capitolo 2 rispetto alla più verosimile collocazione sinottica) benché già

manifestino una interpretazione a partire dalla cristologia giovannea “alta”, non si discostano

tuttavia da un tipo di narrazione sinottica. Brown riconduce, in particolare, gli episodi narrati da

Giovanni a “paralleli” sinottici, benché non corrispondenti nel dettaglio. Ma ciò che veramente

interessa e pone una quantità di questioni è il capitolo IV, l’incontro con la donna samaritana e la

conversione di samaritani. E l’osservazione che subito dopo questo capitolo IV ci si trovi davanti

all’esplosione della più alta cristologia giovannea in aperto e pieno conflitto con “i giudei” che gli

rivolgono l’accusa di farsi uguale a Dio (5,16-18). Il Brown vede qui il chiaro riflesso dell’ingresso,

in seno alla comunità giovannea, di un secondo gruppo di cristiani. Il primo, il nucleo più antico dei

discepoli di Gesù è rimasto, fino al cap. IV, quello di cui si parla in 1,35-51, i discepoli di Giovanni

Battista: [1.35] Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli [1.36] e, fissando

lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». [1.37] E i due discepoli,

sentendolo parlare così, seguirono Gesù.....

Il secondo gruppo, invece, è composto giudei con una posizione particolare contro il tempio i

quali, «dopo aver convertito dei samaritani, fecero propri alcuni elementi del pensiero samaritano,

compresa una cristologia che non era imperniata sul Messia davidico» 20

. È questo secondo gruppo

16

CULPEPPER , Johannine School, 265, nota 9 17

SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, III, 449ss. 18

Cfr. SEGALLA G., «Il discepolo che Gesù amava» e la tradizione giovannea, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991)11-

36. 19

È diffusa oggi l’opinione che l’identificazione dell’autore del IV Vangelo con Giovanni figlio di Zebedeo, derivi

dallo scambio di persone con il “presbitero Giovanni” di cui parla Papia (Eusebio, Hist. eccl. 3,39,3 s. ovvero si tratti di

un offuscamento della tradizione che rimandava al presbitero Giovanni. Sulla questione cfr. SCHNACKENBURG, Il

Vangelo di Giovanni, I, 72-92. 20

cf. BROWN, La comunità... p. 40.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 19

che farà da catalizzatore nello sviluppo della teologia ed in particolare della cristologia giovannea.

Non entra in conflitto con il primo gruppo ma si aggiunge ad esso e genera l’ostilità accesa dei capi

della Sinagoga. Il riflesso della situazione che riguarda la comunità giovannea, si ha nella

narrazione dell’incontro con la Samaritana. In particolare Brown osserva che

- dopo tale narrazione il Vangelo concentra la sua attenzione sul rifiuto di Gesù da parte dei

“Giudei”;

- Gesù afferma sì la sua identità giudaica (4,42), ma predice che Dio sarà adorato né sul

Garizim né sul Sion (4,21) contrariamente a quanto ci dicono gli Atti 2,46 e 3,1;

- prova ne è che Atti 8,1 parla dell’ostilità contro gli “ellenisti” mentre si è ancora tolleranti

verso gli apostoli;

- Il Messia a cui si riferisce la donna samaritana sarebbe da identificare con il Taheb

dell’attesa samaritana (un Messia - profeta, in quanto i samaritani sono esattamente contro l’attesa

di un Messia davidico secondo l’attesa giudaica)

- i samaritani dichiareranno alla fine che [4.42] .... «Non è più per la tua parola che noi

crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del

mondo».

- il titolo “salvatore del mondo” rimane un riflesso di questa fede non più espressa con le

categorie giudaiche.

I cristiani della comunità giovannea, espulsi dalle loro sinagoghe, non vollero più considerarsi

“giudei”; è per questo che se ne parla spesso nel IV Vangelo, già sulla bocca di Gesù, come di

avversari, come di un’altra religione, anticipando ciò che in realtà accadrà più tardi. Un segnale

importante di questa separazione che lascia una forte impronta nel IV Vangelo, mi pare sia l’uso di

“legge” nelle dispute giovannee tra Gesù e i giudei. Nelle parole di Gesù troviamo l’espressione “la

vostra Legge”, un fatto che segnala, senza dubbio, visto che si è ampiamento riconosciuta l’origine

giudaica di Gesù, una contrapposizione che vede ormai nei “giudei” gli altri, e nella Legge mosaica

“la loro o vostra Legge”.

Ancora alla fase pre-evangelica, prima fase, secondo la ricostruzione proposta da R.E.Brown,

viene ricondotto l’ingresso di Gentili nella comunità. Ciò si evince dal fatto che Giovanni si

soffermi a spiegare termini come “Messia” e “Rabbi”, che non avrebbe dovuto certamente spiegare

ad ascoltatori ebrei. L’apertura ai gentili va ricondotta al tempo in cui i cristiani giovannei, di

provenienza giudaica, furono estromessi dalle sinagoghe, non furono ritenuti né si ritennero più

giudei. Avendo già compiuto un passo decisivo fuori dal giudaismo, con l’accoglienza dei

samaritani, l’entrata di Gentili non comportò il “conflitto” che alcuni ipotizzano nell’eventualità che

tale ingresso si fosse realmente verificato. Brown sostiene, dunque, che durante tutta la storia

preevangelica, si sono combinate diverse “anime”, quella giudaica, quella samaritana e quella

pagana, senza suscitare realmente conflitti all’interno della comunità giovannea, cosa che invece si

verificherà dopo, come registrano le lettere. Il “Noi” del IV Vangelo, rappresenta invece l’unità che

caratterizzò la comunità giovannea della prima fase.

Per completezza riporto lo schema complessivo sulla storia della comunità giovannea secondo

Brown (in realtà ci interessano particolarmente le prime due fasi):

Prima Fase: le origini (dalla metà degli anni 50 agli anni 80 avanzati)

Gruppo d’origine: In Palestina o vicino alla Palestina, ebrei dalle attese relativamente diffuse,

comprendenti seguaci di GBat., accettarono senza difficoltà Gesù come il Messia davidico, il

realizzatore delle profezie, colui che i miracoli confermavano. In seno a questo gruppo c’era un

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 20

uomo che aveva conosciuto Gesù durante il ministero e che sarebbe divenuto il Disceplolo

prediletto.

Secondo Gruppo: Ebrei con tendenze contrarie al Tempio che credevano in Gesù e fecero

proseliti in Samaria. Essi interpretarono Gesù più su uno sfondo culturale mosaico che davidico.

Egli era stato con Dio, Lo aveva visto, e aveva recato sulla terra se Sue parole al popolo.

L’accettazione del secondo Gruppo fece da catalizzatore allo sviluppo di una cristologia alta,

della preesistenza, la quale portò a dei dibattiti con gli ebrei che pensavano che la comunità

giovannea stesse abbandonando il monoteismo giudaico facendo di Gesù un secondo Dio. alla fine i

capi di questi ebrei fecero espellere i cristiani giovannei dalle sinagoghe. Questi ultimi, separati dai

loro, videro «i giudei» come i figli del demonio. Essi accentuarono la realizzazione in Gesù delle

promesse escatologiche per controbilanciare quello che avevano perduto nel giudaismo. Il

Discepolo operò questa transizione e aiutò gli altri a compierla, divenendo così il Discepolo

prediletto.

Seconda fase: il vangelo (90 circa)

Convertiti Gentili: Siccome «i giudei» furono resi ciechi, la venuta dei greci costituiva il

piano di realizzazione di Dio. Può darsi che la comunità dalla Palestina sia passata nella diaspora a

insegnare ai greci. Questo contatto sprigionò le possibilità universalistiche insite nel pensiero

giovanneo. Però, il rifiuto di altri e la persecuzione da parte de «i giudei» persuasero i cristiani

giovannei che il mondo era contrario a Gesù, e che essi non dovevano appartenere a questo mondo

che era sotto il potere di satana. Il rifiuto della cristologia alta giovannea da parte dei giudeocristiani

fu visto come una mancanza di fede e portò alla rottura della comunione (Koinonia). Le relazioni

rimasero aperte con i cristiani apostolici con speranze di unità, malgrado le differenze di cristologia

e di struttura ecclesiale.

Il fatto di concentrare tutta l’attenzione sulla difesa della cristologia di fronte a «i giudei» e ai

giudeocristiani condusse a una divisione in seno alla comunità giovannea.

Terza fase: le lettere (100 circa)

I seguaci dell’autore delle lettere: per

essere figlio di Dio bisognava confessare

Gesù venuto nella carne e osservare i suoi

comandamenti. I secessionisti sono i figli

del diavolo e gli anticristi. L’unzione con lo

Spirito rimedia alla necessità dei maestri

umani; esaminare chiunque affermi di avere

lo Spirito.

I secessionisti: Colui che è disceso

dall’alto è così divino da non essere

pienamente umano; egli non appartiene al

mondo. Né la sua vita sulla terra né quella

del credente hanno un’importanza salvifica.

Quello che solo importa è conoscere che il

Figlio di Dio è venuto nel mondo, e coloro

che credono in ciò sono già salvi.

Quarta fase: dopo le lettere (2° secolo)

Unione con la grande chiesa: incapaci

di combattere i secessionisti appellandosi

semplicemente alla tradizione, e perdendo

terreno di fronte ai propri avversari, alcuni

tra i seguaci dell’autore riconobbero la

necessità di maestri ufficialmi rivestiti di

autorità (presbiteri-vescovi). Allo stesso

tempo «la chiesa cattolica» si dimostrò

aperta alla cristologia alta giovannea. Ci fu

Verso lo gnosticismo: la maggior parte della

comunità giovannea sembra che accettasse

la teologia secessionista la quale, separata a

causa dello scisma dal pensiero moderato,

avanzerà verso un vero e proprio docetismo

(da un Gesù pienamente umano a una pura

apparenza di umanità), verso lo gnosticismo

(da un preesistente Gesù a dei preesistenti

credenti i quali discendono anch’essi dalle

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 21

un graduale amalgama con la grande chiesa

che, però, andò piano ad accettare il quarto

Vangelo dal momento che gli gnostici

facevano di esso un cattivo uso.

regioni celesti), e verso il montanismo (dal

possedere il Paraclito all’incarnare il

Paraclito). Essi portarono con sé il quarto

Vangelo che fu presto accettato dagli

gnostici che lo commentarono.

Non si nasconde che il quadro complessivo che emerge dalla ricostruzione di Brown è

affascinante, convincente, eppure dà molto il senso di una situazione da manuale: nel primo tempo

si crea comunione tra gruppi estremamente eterogenei, nel secondo la frattura, le lettere (terzo

periodo) rispondono ai problemi...

Aggiungiamo che anche per il noto esegeta tedesco Oscar Cullmann il gruppo giovanneo si

sarebbe ampliato “in seguito all’ammissione di samaritani convertiti”.21

Sulla questione dei “giudei” nel IV Vangelo e della separazione della comunità cristiana

giovannea dalla sinagoga si è espresso indirettamente G.JOSSA, Giudei o cristiani?, Paideia Brescia

2004. Lo storico del cristianesimo antico, docente presso l’università federiciana di Napoli, sostiene

non senza qualche punta polemica contro gli esegeti neotestamentari che darebbero troppa

importanza alla birkat ha-minim e al sinodo di Jamnia, che una coscienza della separazione del

cristianesimo del giudaismo, la nascita del cristianesimo come nuova identità religiosa non deve

essere spinta troppo in avanti, e polemizza proprio con posizioni come quella di Martyn e di Brown.

Le sue considerazioni su Giovanni seguono le precisazioni su Paolo e sulla situazione della

Grecia e dell’Asia minore dove già dagli anni 50 le comunità cristiane dovevano apparire come

distinte dalle comunità giudaiche e il cristianesimo non si presentava più come una setta interna al

giudaismo. A Davies, che si schiera a favore di una tardiva coscienza identitaria cristiana a partire

da Mt, corrisponde Martyn per il vangelo di Gv: Gv 9,22 con la decisione di cacciare i cristiani

dalle sinagoghe testimonia un accordo formale o una decisione raggiunta da un gruppo giudaico

autoritativo in un momento precedente la redazione giovannea e intesa alla separazione. Nei giudei

di 9,22 sono ravvisabili i saggi di Jamnia che avrebbero deciso di espellere i giudeocristiani dalla

sinagoga (verso l’85) mentre la redazione finale di Gv è della fine del I sec. e presenta una

contrapposizione ormai netta tra giudei e cristiani. Nella presentazione dei tre periodi di Martyn il

cristianesimo si presenta a lungo come “giudeocristianesimo” se non addirittura come giudaismo

cristiano. A tale proposito Jossa precisa l’uso linguistico per evitare confusioni: i cristiani che

provengono dal giudaismo rappresentano il cristianesimo giudaico, come quelli che provengono dal

paganesimo sono il cristianesimo gentile (è bene per tali gruppi non utilizzare le espressioni

equivoche di giudeocristiani e paganocristiani) cf. p. 153.

Giudeocristiani sono invece coloro che hanno riconosciuto in Gesù il Signore e Messia ma

vogliono conservare la propria identità giudaica e continuano in particolare ad osservare la legge

(Paolo perciò era un giudeo cristiano ma non un giudeocristiano).

Dagli anni 40 è giudeocristiano il gruppo di Giacomo (non necessariamente tutta la chiesa di

Gerusalemme) e a partire dal 50 la parte più significativa della chiesa di Gerusalemme. Dopo il 70 è

giudeocristiano anche il gruppo dei nazorei. I Vangeli di Mt e di Gv testimoniano una rottura con il

giudeocristianesimo avvenuta da poco, cosa che dimostrerebbe che fino alla redazione dei due

Vangeli le loro comunità non sarebbero state altro se non gruppi all’interno del giudaismo. Per

Jossa è difficile accogliere questa posizione: «… checché ne pensi Martyn la minaccia di esclusione

dalla sinagoga della comunità di Gv, motivata com’è con il riconoscimento di Gesù di Nazareth

come Messia, risale più probabilmente ad un momento precedente la guerra del 70, quando il

21

CULLMANN O., Origine e ambiente dell’evangelo secondo Giovanni, Marietti, Torino 1976, 77.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 22

problema era ceramente acuto, che non all’introduzione della birkat ha-minim verso l’85, quando i

problemi principali erano problemi di disciplina» p. 163.

Qui Jossa condivide Senberger: certo Jamnia c’entra, ma non è il problema principale né si

può ricondurre alla birkat ha-minim il momento della rottura fra giudei e cristiani. Gli eventi

importanti a cui Jossa riconduce l’attenzione sono la condanna del fratello di Gesù, Giacomo, nel 62

e lo scoppio della guerra giudaica nel 66. Al primo episodio è Giuseppe Flavio ad attribuirvi molta

importanza ed è comprensibile: i giudeocristiani osservano la legge, sono per l’elezione di Israele,

non possono fare a meno della propria identità giudaica. La condanna di Giacomo rappresenta

perciò un fatto di grande rilievo: in un mondo minacciato da una guerra contro i romani per

l’esistenza di fermenti di tipo messianico si cerca di eliminare qualunque fermento dalla nazione,

perciò sin da ora, e non con il 135, la comunità cristiana verrà isolata. Naturalmente si ipotizza

l’origine palestinese di Mt e Gv. È probabile che entrambe le comunità, dopo aver costituito per un

certo tempo un orientamento nuovo all’interno del giudaismo palestinese, dopo la condanna di

Giacomo e lo scoppio della rivolta si siano staccate dalla comunità palestinese e abbandonato la

terra di Israele. Quindi la coscienza di formare un gruppo distinto, anzi una entità religiosa a se

stante rispetto al giudaismo è più antica di quanto facciano pensare le scansioni di Martyn, Brown e,

soprattutto, Pesce.

Formazione e struttura del IV Vangelo

Le introduzioni ambientali sulla storia, la geografia, condizionamenti culturali dell’ambiente

giovanneo, insieme alle ipotesi sul tipo di comunità che sottostà al IV Vangelo, servono ovviamente

come ipotesi di lavoro. Una visione di insieme, sistematica e completa sarebbe possibile solo

assumendo una di quelle ipotesi precedentemente illustrate come vera. Nel nostro corso le

consideriamo, appunto, ipotesi di lavoro che dovranno essere verificate nel corso dello studio

esegetico del Vangelo. Si crea una sorta di circolo poiché se è vero che sull’ipotesi di un

determinato sfondo storico e comunitario le pericopi giovannee vengono interpretate in un certo

modo, è anche vero che per una loro comprensione iniziale bisogna partire da un quadro di

riferimento…

Prima però di passare allo studio della singola pericope bisogna dare uno sguardo di insieme al

Vangelo in quanto opera che si presenta a noi, al di là della sua origine, come opera completa che

come tale chiede di essere letta e interpretata.

Proprio in relazione al Vangelo di Giovanni è noto come da parte di tanti studiosi, fino ai nostri

giorni, siano state proposte diverse ipotesi di composizione attraverso diverse fasi, per dar ragione

dell’attuale opera che, evidentemente, appare non geneticamente unitaria, ma frutto di un lavoro di

successivi inserimenti e ritocchi. È possibile allora parlare di una struttura dell’opera così come

oggi ci perviene? Per molti il problema non si pone poiché è a partire dalla sua redazione finale che

inizia il nostro compito, quello cioè di comprenderla nel suo insieme.

Vengono così avanzate diverse proposte di strutturazione del Vangelo nella sua sistemazione finale,

a seconda che si assuma un criterio (per esempio spazio-temporale) piuttosto che un altro (per

esempio tematico).

A queste proposte se ne affianca recentemente un’altra che esamina il Vangelo come narrazione e la

analizza con il sistema proprio dell’analisi narrativa, rispondendo alle domande di quale sia il filo

narrativo, l’intreccio, lo sviluppo del dramma, attraverso quali parametri stilistici… quali siano i

“personaggi” e la loro funzione nell’insieme narrativo… insomma né più né meno che quanto si fa

per un romanzo o per un film analizzato con la stessa metodologia narrativa.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 23

Sia l’osservazione della struttura letteraria del Vangelo, che l’analisi narrativa, si propongono

comunque come strumenti per una visione d’insieme del vangelo che aiuti a dare senso alle sue

diverse parti considerate non come giustapposte l’una all’altra ma, come sono, parti di un insieme

che si presenta oggi a noi (ma già da diversi secoli!) come un unico racconto.

LA FORMAZIONE LETTERARIA DEL IV VANGELO

Un Vangelo composito

L’osservazione comune del IV Vangelo porta a pensare ad una composizione complessa:

20,30-31 epilogo del capitolo 20° originariamente conclusivo; il cap. 21, in cui la prima

persona plurale (comunità?) si alterna alla prima singolare (redattore?) presenta un nuovo

epilogo (21,24-25)

14,30-31 sembra la conclusione del discorso di Gesù in occasione dell’ultima cena ma il

discorso si prolunga per altri tre capitoli; solo in 18,1 si da seguito all’espressione di Gesù

“andiamo via di qui”… Inoltre in 16,5 Gesù fa notare che non gli hanno chiesto dove sta per

andare, mentre in 13,36 glielo aveva già chiesto Pietro! Nei capitoli 15 e 16 vengono ripresi

alcuni brani sulla diaconia dello Spirito Santo di cui si era già parlato in 14. Qualcuno ha

ipotizzato che i capitoli 15 e 16 (ma anche il 17) siano stati aggiunti in un secondo momento

dal redattore (forse lo stesso del cap. 21)

nella successione dei capitoli 4-7 vi è qualche incongruenza: 6,1 suppone Gesù in Galilea

mentre in 5 era a Gerusalemme. Allo stesso modo incongruente sembra il riferimento di 7,1

di Gesù che se ne andava per la Galilea, dove in realtà già si trovava secondo il cap. 6. Così

alcuni propongono lo spostamento dei capitoli nella successione 4-6-5-7-8 (cfr.

Wickenhauser, Shnackemburg…..). Scambio di fogli? Inserimento del cap. 6 da parte del

redattore del cap. 21?

Il problema del prologo: alcuni termini (lògos, chàris, pleroma) compaiono solo qui; appare

già composito al suo stesso interno (Gv Battista vv. 6-8 e 15, anch’esso inserito dal redattore

finale?

12, 44-50 un “sommario” redazionale sull’insegnamento di Gesù? Anche 3,31-36 sembra

essere una raccolta di detti inseriti da un redattore.

L’episodio della donna adultera 7,53-8,11: assente nei manoscritti più antichi! In alcuni

manoscritti si trova in Luca…

Parentesi che appaiono come aggiunte: per eseòpio 4,2 in riferimento a 3,22

Alcune disarmonie teologiche: l’escatologia presente di Giovanni convive con brani di

natura escatologica 5,28-29; 6,39-40.54… i “segni” da una parte sottolineati (2,11; 20,30-

31) dall’altra relativizzati (2,23; 4,48)

Per questo motivo di solito gli studiosi che seguono la metodologia storico-critica parlano di più

fonti e diverse fasi redazionali (cfr. Brown, Schnackenburg…)

Fonti

Bultmann parla di di tre fonti

1. Fonte dei segni o miracoli, parallela alla tradizione sinottica (dalle nozze di Cana

all’epilogo di 20,30s.); greco semplice e molti semitismi

2. Racconto della passione: analogo ma non identico con quello sinottico, con aggiunte

proprie di Giovanni

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 24

3. Fonte dei discorsi: di stampo gnostico precristiano, proveniente dalla Siria, riletta e

adattata da Giovanni

Il redattore, secondo Bultmann avrebbe armonizzato e intrecciato le tre fonti assumendo la fonte dei

segni come intelaiatura del Vangelo. Un redattore ecclesiastico avrebbe invece aggiunto il cap. 21, i

racconti escatologici (5,24-25; 6,39-40) e i sacramenti ( 3,5; 6,51c-58) per assimilare il IV vangelo

alla fede ecclesiastica comune.

Molte critiche a Bultmann; in particolare C.H. DODD (La tradizione storica del IV Vangelo):

nonostante le differenze di superficie bisogna osservare la forte unità letteraria e tematica; il IV

Vangelo come testimone di un’antica tradizione presinottica di origine palestinese. Gv non è

semplicemente il grande teologo ma testimone storico.

Molti studiosi più recenti riprendono parete delle osservazioni degli studiosi precedenti con alcune

risistemazioni personali. Interessanti LINDARS secondo il quale Gv avrebbe lavorato su omelie

fatte da Gv stesso alla sua comunità in diverse situazioni (litugiche, catechetiche)…

Fasi redazionali

Sempre per spiegare l’aspetto composito del IV Vangelo alcuni studiosi si sono impegnati nel

descriverne le fasi redazionali:

R. Schnackenburg: tre stadi

4. «tradizione giovannea» risalente allo stesso apostolo Giovanni, autonoma e indipendente

dalla tradizione sinottica (ha sostenuto successivamente la paternità non di Giovanni figlio

di Zebedeo ma del “discepolo prediletto”, di Gerusalemme, non facente parte della cerchia

dei dodici

5. Vangelo scritto opera di un discepolo appartenente alla comunità giovannea che dà alla

tradizione precedente la forma di unità letteraria

6. Redazione finale: inserimento di altro materiale giovanneo (cap. 21; 3,13-21; 3,31-36;

capitoli 15-17 e altre aggiunte minori)

R.E.Brown: cinque stadi

7. tradizione orale di ambiente palestinese prima del 70 d.C., simile alla sinottica ma

indipendente.

8. sviluppo della tradizione in senso giovanneo, sotto la direzione dell’apostolo Giovanni e

altri discepoli (come Schnackenburg ritratterà questa identificazione). Nascono le strutture

drammatiche dei racconti e alcuni discorsi

9. Primo Vangelo scritto: per un pubblico di lingua greca, con conclusione al cap. 20; autore ne

fu Giovanni stesso o un suo discepolo.

10. Seconda edizione greca del Vangelo: inserimento di aggiunte e ritocchi come risposte a

sette battiste e giudeo cristiane

11. Edizione definitiva da parte di un autore forse discepolo del primo. Aggiunta del cap. 21;

dei capp. 15-17 e di 3,31-36; 6,51-58; 12,44-50

M.E. Boismard: quattro stadi; ricostruzione letteraria insieme alla ricostruzione del contesto

storico della comunità giovannea

12. Giovanni I (Documento C): prima redazione completa del vangelo dal Battista alla

Risurrezione. Conteneva 5 “segni”. Scritto in Aramaico palestinese (anni ’50) dal “discepolo

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 25

prediletto” (Giovanni di Zebedeo o Lazzaro). Cristologia bassa (Gesù “profeta”, o come

Mosè o, ancora, come il “Figlio dell’uomo” danielico)

13. Giovanni II/A: Giovanni il Presbitero (probabilmente) cura una edizione nel 60-65 in

Palestina aggiungendo nuovo materiale e parlando del “mondo” in maniera negativa. Al

cambiamento di condizione nella comunità giovannea corrisponde una certa opposizione nei

confronti de “i giudei”.

14. Giovanni II/B: lo stesso editore di IIA si trasferisce ad Efeso e cura una nuova edizione, in

greco, intorno agli anni 90. Si acuisce l’ostilità giudaica sottolineata nel vangelo attraverso

la posizione avversa de “i giudei”. Gesù è presentato come figura preesistente, superiore a

Mosè (cristologia alta). In risalto i sacramenti.

15. Giovanni III: riedizione a cura di un giudeocristiano sconosciuto della scuola giovannea di

Efeso; inizio del II secolo d.C.

G. Segalla: tre stadi di sviluppo conseguenti alla migrazione della comunità giovannea da un

ambiente giudeo-cristiano (Palestina prima del 66) ad un ambiente ellenistico (Antiochia e poi

Efeso). Cf. aggiornamento in SEGALLA G., Il Quarto Vangelo come storia, Dehoniane,

Bologna 2012.

16. tradizione orale di tipo sinottico, messa per iscritto come promemoria; all’origine di essa è

Giovanni figlio di Zebedeo, il discepolo prediletto.

17. Probabilmente lo stesso apostolo rivede la tradizione e l’approfondisce in senso cristologico

e soteriologico (cristologia alta): prima edizione del Vangelo.

18. Un discepolo del “prediletto” stende una seconda edizione fino a 20,31.

Molte altre proposte sono state formulate (cfr. bibliografia), tuttavia si rilevano alcuni elementi

comuni di non secondaria importanza:

- non si segue una teoria delle fonti di tipo sinottico

- viene sempre identificata una personalità particolare (Giovanni figlio di Zebedeo o altri…)

alla base della tradizione giovannea

- vengono sempre descritte diverse fasi di redazione che spiegano le fratture interne

- si afferma nel contempo la sostanziale unità del IV Vangelo

- connessione stretta con la comunità giovannea e con gli sviluppi della sua storia

Le questioni di tipo storico si moltiplicano nella misura in cui si osserva con maggiore attenzione il

testo (dall’autore, al significato del “noi”, alla predicazione in Samaria…); potranno essere

affrontate ricorrendo ai commentari citati; in parte saranno discusse durante lo studio esegetico.

STRUTTURA LETTERARIA e NARRATIVA

Dall’excursus precedente risultano interessanti ipotesi circa le fasi redazionali dell’opera, che a

parere di tutti ha subito una elaborazione più o meno lunga e più o meno complessa. Tuttavia il IV

Vangelo nella sua redazione canonica, così come in realtà lo possediamo, chiede di essere letto

come opera unitaria e, si è già detto, i motivi per parlare di opera unitaria non mancano secondo il

parere di quegli stessi autori che propongono la distinzione in fasi di composizioni.

Qual è il suo messaggio? Come possiamo accostarlo in quanto opera letteraria? Qual è il rapporto

tra le parti? C’è un disegno unitario?…

Come per la formazione, così per la struttura sono molte e diversificate le proposte.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 26

Ne propongo una recente che, tuttavia, con qualche variazione, è possibile riscontrare in diversi altri

autori moderni e contemporanei: R. FABRIS, Giovanni, Borla 1992.

L’autore passa in rassegna diversi punti di vista precedenti:

- Wellhausen (1908): un caos senza forme. È possibile tuttavia riconoscere il Grundschrift

(scritto base)

- Bauer (1912) condivide lo scetticismo sull’unità letteraria del Vangelo di Giovanni

- Bernard (1928) allo stesso modo ipotizza lo spostamento casuale di capitoli e sezioni

- Bultmann (1941), Schulz (1974), Becker (1979), Haenchen (1980) ricorrono alla teoria delle

diverse fonti di origine…

- Loisy (1903), Lagrange (1925), Hoskyns (1940)… si limitano a suddividere il testo in

sezioni semplicemente accostate le une alle altre

Le diverse strutturazioni proposte dagli autori contemporanei possono essere raggruppate a

seconda del modello che guida le osservazioni:

1. Narrativo-cherigmatico; sviluppo drammatico (Sanders; Kemper) o stilizzazione

kerygmatica (Strathmann) o catechistica che corrisponde alla forma letteraria del vangelo

predicato (Lindars)

2. Simbolico-tipologico: si fa leva sull’interpretazione simbolica del tempo: giorni e settimane

(Boismard); istituzioni e feste (Mollat); oppure alle prefigurazioni veterotestamentarie di

creazione, esodo (Girard M., Mateos – Barreto); o ai segni in rapporto alla sapienza (Clark).

Alcune osservazioni comuni ai diversi studiosi anche di diversa tendenza:

Distinzione tra libro dei segni e libro dell’ora o della gloria (a sua volta suddiviso in discorsi,

passione, risurrezione)

L’osservazione sulla numerazione dei segni: il settenario poi diversamente commentato (per

esempio la risurrezione è l’ottavo e più grande dei segni per introdurre il giorno della nuova

creazione…; oppure l’ottavo è la nuova creazione…

Fabris si chiede se esista un criterio unico e decisivo per la strutturazione o se, almeno, è possibile

riscontrare qualche indicazione esplicita da parte dell’autore.

La più importante è in 20,30-31, insieme a quella posta a conclusione del libro dei segni en 12,37.

Insomma il ruolo dei segni in rapporto alla fede; il tema ricorre anche in 2,11 (Cana) e ripreso in

2,23.

Tra le altre osservazioni, Fabris aggiunge l’unità tra la narrazione dei discorsi e quella della

risurrezione di Gesù, in cui domina il tema del compimento telèin e teleiousthai dell’ora; nella

seconda parte del Vamgelo, insieme all’insistenza sul tema della gloria, presente tuttavia anche

nella prima, si rileva il vocabolario dell’amore: agape e agapan. L’ultimo capitolo riprende, come

conclusione, ambedue le parti: Gesù compie un segno, la pesca miracolosa e trasmette l’icarico

pastorale a Pietro dopo averlo ristabilito nell’amore.

Così Fabris propone la seguente struttura:

Introduzione

- poetica generale (1,1-18)

- testimonianza di Gv Battista e presentazione dei discepoli (1,19-51)

I Libro dei segni di Gesù, il Cristo e Figlio di Dio (Gv 2,1-12,36)

Prima unità:

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 27

Da Cana a Cana: inclusione 2,11//4,54. Le tre regioni della Palestina (Galilea, Giudea e Samaria);

incontro con figure rappresentative dell’ambiente etnico e socioculturale…

3. Le nozze di Cana 2,1-11.12

4. Gesù a Gerusalemme 2,13-25

5. Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21

6. Gesù e Giovanni: confronto e ultima testimonianza 3,22-36

7. Incontro con la Samaritana 4,1-42

8. Guarigione della figlia di un funzionario regale 4,43-54

Seconda unità:

sei sezioni caratterizzate dalla combinazione tra momento narrativo e momento discorsivo. La

rivelazione di Gesù e importanza dell’IO SONO

9. Guarigione dell’infermo a Gerusalemme e dibattito sulle opere e la test. di Gesù 5,1-47

10. Segno del pane e dibattito con la folla, i giudei, i discepoli 6,1-71

11. Dibattito sull’identità di Gesù nella festa delle capanne 7,1-8,59

12. Guarigione del cieco nato e dibattito sull’identità di Gesù 9,1-41; 10,1-42

13. Risurrezione di Lazzaro e condanna a morte di Gesù 11,11-54

14. Gesù a Gerusalemme per l’ultima Pasqua 11,55-12,50

- attese e minacce a Gerusalemme 11,55-57

- unzione di Gesù a Betania 12,1-11

- accoglienza di Gesù a Gerusalemme 12,12-19

- ricerca dei greci e “l’ora” di Gesù 12,20-36

- bilancio teologico e appello finale 12,37-43.44-50

II Il «compimento» e l’ora della glorificazione di Gesù, il Cristo e Figlio di Dio (13,1-20,29)

1. Cena e lavanda dei piedi 13,1-20.21-30

2. Discorso di addio 13,31-17,26

- Partenza di Gesù e promessa del Consolatore 13,31-14,31

- Partenza di Gesù e comunità dei discepoli nel mondo 15,1-16,33

- Preghiera finale di Gesù 17,1-26

3. Passione, morte e risurrezione 18,1- 21,25

- Arresto e condanna di Gesù 18,1-19,16a

- Morte e sepoltura 19,16b-42

- Risurrezione 20,1-29.30-31

- Manifestazione di Gesù risorto, incarico a Pietro e discepolo testimone 21,1-23.24-25

*****

Per quanto riguarda lo studio sincronico, alcuni studiosi privilegiano la dimensione

narratologica. Panimolle S., nel suo Commento pastorale in tre volumi offre una struttura che è utile

anche per un approccio narrativo. Un commento sincronico – narrativo è quello di C.H. TALBERT,

Reading John. A Literary and Theological Commentary of the Fourth Gospel and the Johannine

Epistels, Cross-Road, New York 1992. Ma per l’impostazione generale è utile il testo di Culpepper

citato in bibliografia di cui riportiamo la proposta di lettura unitaria di Giovanni:

R.ALAN CULPEPPER, Cfr. Sopra, Schede bibliografiche

Ogni episodio ripresenta il messaggio dell’insieme. Il Prologo conferisce a ciascuno di questi

episodi uno sfondo ironico in quanto il lettore è già stato ammesso alla confidenza del narratore e sa

chi è Gesù. Perciò il lettore ha una conoscenza superiore al singolo personaggio dei racconti che si

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 28

confrontano con Gesù perché in contrasto con loro riconosciamo che Gesù è il logos incarnato,

rivelatore del Padre. Questa dinamica letteraria spinge il lettore ad abbracciare il punto di vista

ideologico dell’autore, cioè la confessione di fede di Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio (20,30).

L’ignoranza del cieco, dei giudei… dà alla storia una forza drammatica continua, così come l’uso

delle metafore innalza la lettura tenendo sempre sveglio l’interesse del lettore.

LO SVILUPPO DEL PLOT IN GV

Il prologo introduce Gesù come il logos attivo già alla creazione.

La sua missione è rivelare il Padre

La prima sez. del Vangelo in 2,22 introduce drammaticamente Gesù e il suo lavoro

Acclamato da Gv Battista e da alcuni suoi discepoli, rivela la sua gloria a Cana.

Il primo capitolo è ottimistico… molti lo riconoscono

Con il secondo la narrazione si complica. L’opposizione di Gesù all’abuso nel tempio. 2,22

«Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e

credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» è la prima indicazione per il lettore non

iniziato del destino di morte e risurrezione di Gesù. Ma si pone anche un’altra grossa questione: la

differenza tra coloro che credono e i discepoli: 2,11: «Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in

Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui»… il capitolo 2 si

conclude dunque meno ottimisticamente del primo: il destino di sofferenza… e alcuni che pur

credendo nel suo nome non avranno parte con lui.

Cap. 3: non c’è ancora vera opposizione con Gesù; ma vengono chiariti alcuni aspetti

dell’opposizione: non tra Gesù e Giudei ma tra Gesù e quelli che rifiutano di accogliere la sua

rivelazione. Il non credere è la reale opposizione L’influsso di Gesù cresce come pure il suo seguito.

Gv 4 ancora piccola opposizione a Gesù: allusione ai farisei ( 4,1.3) Riferimento prolettico al rifiuto

4,44: « Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria.» ma il

resto del capitolo è positivo… Dunque c’è poca opposizione in Gv 1-4… hanno l’effetto di dare al

lettore una prima impressione dell’identità e della missione di Gesù.

Gv 5 prende un nuovo sviluppo. Si intensifica il conflitto sull’identità di Gesù. I “Giudei” diventano

per la prima volta importanti e viene spiegata la base del conflitto. Il problema è il locus della

rivelazione: la Legge o Gesù? Gesù ha violato il sabato commettendo blasfemia e l’evangelista lo

sottolinea in 5,18: « Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose

di sabato…. [18]Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto

violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio». Gesù stesso parlerà di se

come del Figlio dell’uomo (5,25-47).

Il potere drammatico del vangelo si costruisce intorno a questo conflitto!

Il conflitto con l’incredulità cresce nel capitolo 6: notare che non ci sono altri conflitti significativi:

né con la natura né con i demoni, né con se stesso… lo stesso camminare sulle acque ha a che fare

piuttosto con la simbologia dell’esodo e ha il carattere di una epifania. Anche il conflitto con i

discepoli dipende piuttosto dal fatto che la loro conoscenza resterà incompleta fino all’ora della

morte-risurrezione. Il rifiuto dei giudei di credere in Gesù dipende dalla non comprensione della

Torah, di Mosè e dell’esodo.22

In Gv 7 l’opposizione a Gesù si mobilita: decidono di ucciderlo, e tentano di arrestarlo. Gesù

dichiara che andrà da colui che lo ha mandato: elemento di “dramma” per chi non conosce la

soluzione, o di ironia per il lettore informato.

22

CASTELLO G., La Legge nel IV Vangelo, in G.CASTELLO (a cura di), Le Sacre Scritture di Israele per ebrei, cristiani e

musulmani, ECS, Napoli 2008, 141-167;

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 29

Gv 8 il conflitto con i Giudei diventa più stridente. Punto centrale è la paternità che acuisce il

conflitto. Gesù è più vecchio dello stesso Abramo. Gesù viene definito spregiativamente come

Samaritano e demoniaco…

Il capitolo 9 e parte del 10 costituiscono un “interludio”. La guarigione del cieco è occasione per

sottolineare l’ostilità dei giudei e la loro cecità. Il capitolo 10 rappresenta le posizioni popolo

“giudei” Gesù nelle parole sul buon pastore… La crescente opposizione degli ultimi cinque capitoli

si conclude con le parole di Gesù sulla sua capacità di lasciare la vita e riprenderla di nuovo, cosa

che accresce l’intrigo. Il rapporto vita-morte viene focalizzato particolarmente nel capitolo 11.

Il capitolo 12 è di transizione in diversi sensi. Crea un legame tra 11 e 13. Già si prefigura lo

scenario della morte (l’unzione). Si manifesta il senso della sua morte. Si interpreta anche il motivo

dell’incredulità.

Con il cap. 13 si sottolinea che Gesù conosce l’ora della sua morte. Il suo valore purificatore viene

indicato con la lavanda dei piedi. Il traditore è inviato alle tenebre e alla loro forza che,

paradossalmente, porteranno alla sua glorificazione. I discepoli, che non saranno in grado di

seguirlo, sono invitati ad amarsi reciprocamente. Si delinea il destino dei discepoli… per i quali

Gesù prega… capitoli 16-17.

Con il capitolo 18 inizia la sequenza rapida degli ultimi eventi. La posizione di Pilato tra Gesù e i

suoi accusatori è drammatizzata poiché questi restano fuori. In realtà il giudicato, una volta che

Pilato esce fuori, è proprio lui, più che Gesù. Nel dialogo Gesù-Pilato viene chiarita la natura

dell’autorità di Gesù e la sua regalità. Pilato lo dichiara tre volte innocente, e con la scritta sulla

croce ne riconosce, in realtà, la vera identità. Mentre i giudei dichiarano la loro bestemmia “non

abbiamo altro re se non Cesare” Pilato si decide a consegnarlo a loro. Gesù viene ucciso alla vigilia

di Pasqua, quando si immolava l’agnello nel tempio. Gesù è sepolto in una sepoltura regale.

Nel primo giorno della settimana Maria Maddalena scopre la tomba vuota… Tommaso, con la sua

esigenza di constatare fisicamente la risurrezione, fa la confessione di fede più alta e completa verso

Gesù. Al termine del capitolo 20 l’intera narrazione viene conclusa con la motivazione della

scrittura evangelica: per condurre i lettori, o ascoltatori, a credere.

Il cap. 21 è un epilogo apparentemente aggiunto al vangelo una volta che esso era già concluso.

Risolve alcuni dei conflitti minori (Il discepolo prediletto e Pietro; Pietro e Gesù). Il vangelo di Gv

si conclude senza riferimento all’ascensione, compresa nella “esaltazione” di Gesù. Alla fine Gesù è

con i discepoli; il Paraclito rimarrà con essi. Alludendo al futuro dei discepoli e alla scrittura del

vangelo, si crea un gancio tra la storia ed il lettore. La storia può dipingere il passato ideale ma il

presente è in relazione al passato in maniera tale che la storia diventa determinante per il lettore

presente.

L’intreccio, il PLOT, è alimentato dal conflitto tra credere e non credere come risposta a Gesù. Ciò

è confermato dal fatto che circa metà delle ricorrenze di “credere” nel NT si trovano in Gv (98 su

239). Il suo intreccio è episodico e perciò difettivo. Ma l’autore usa i vari episodi per arricchire la

tessitura del tutto. L’integrazione tematica pervasiva tra i diversi episodi, fa si che il lettore possa

scorgere la sua fine e i suoi significati, in ciascuno degli episodi familiari.

Il vangelo è la testimonianza di uno che parla per tutti quelli che riconoscono la Parola in Gesù. Il

“Noi” può perciò essere compreso come atto ad includere tutti i caratteri nel vangelo che alla fine

hanno creduto e sono diventati testimoni: Gv Batt., i discepoli, la Samaritana, il cieco… gli altri.

Gli effetti di questa struttura narrativa con il suo prologo seguito dall’episodica ripetizione del

conflitto tra fede e non-fede, serve ad includere il lettore nella compagnia della fede. L’intreccio

evangelico è controllato da uno sviluppo tematico e una strategia che tende al corteggiamento del

lettore perché accetti la sua interpretazione di Gesù.

Un breve presentazione dell’intreccio (the plot) narrativo nel Vangelo di Giovanni la troviamo

anche nel volumetto di V.Mannucci, Giovanni. Il Vangelo per ogni uomo, LoB 2.4, Queriniana,

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 30

Brescia 1995, 29-39. Tra le tante possibilità, Mannucci, a partire dal saggio di Segovia, predilige la

scelta del “viaggio della Parola” come motivo conduttore dell’intera narrazione giovannea.

Propone perciò il seguente schema:

1. PRIMA PARTE: 1,1-18

Il viaggio cosmico mitico della Parola nel mondo degli uomini

2. SECONDA PARTE: 1,19-17,26

Il ministero di Gesù e i suoi viaggi ministeriali

3. TERZA PARTE: 18,1-21,25

La morte in croce, Risurrezione e significato permanente della sua missione

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 31

IL PROLOGO GIOVANNEO (1,1-18)

Per la struttura letteraria cf lezione prof. Santopaolo

«Videte ergo, fratres, ne forte de ipsis montibus est

Iohannes, de quibus paulo ante cantavimus: Levavi

oculos meos in montes, unde venit auxilim mihi (Ps

120,1). Ergo, fratres mei, si vultis intellegere, levate

oculos vestros in montem istum; id est, erigite vos ad

evangelistam, erigite vos ad eius sensum»

S.Agostino, In Iohannis Evangelium Tractatus 1,6

Il PROLOGO Gv. 1,1-18 1 VEn avrch/| h=n o` lo,goj(

kai. o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n( kai. qeo.j h=n o` lo,gojÅ

2 ou-toj h=n evn avrch/| pro.j to.n qeo,nÅ 3 pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[nÅ o] ge,gonen 4 evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\ 5 kai. to. fw/j evn th/| skoti,a| fai,nei( kai. h` skoti,a auvto. ouv kate,labenÅ 6 VEge,neto a;nqrwpoj( avpestalme,noj para. qeou/( o;noma auvtw/| VIwa,nnhj\ 7 ou-toj h=lqen eivj marturi,an i[na marturh,sh| peri. tou/ fwto,j( i[na pa,ntej pisteu,swsin diV auvtou/Å 8 ouvk h=n evkei/noj to. fw/j( avllV i[na marturh,sh| peri. tou/ fwto,jÅ 9 +Hn to. fw/j to. avlhqino,n( o] fwti,zei pa,nta a;nqrwpon( evrco,menon eivj to.n ko,smonÅ 10 evn tw/| ko,smw| h=n( kai. o` ko,smoj diV auvtou/ evge,neto( kai. o` ko,smoj auvto.n ouvk e;gnwÅ 11 eivj ta. i;dia h=lqen( kai. oi` i;dioi auvto.n ouv pare,labonÅ 12 o[soi de. e;labon auvto,n( e;dwken auvtoi/j evxousi,an te,kna qeou/ gene,sqai( toi/j pisteu,ousin eivj to. o;noma auvtou/( 13 oi] ouvk evx ai`ma,twn ouvde. evk qelh,matoj sarko.j ouvde. evk qelh,matoj avndro.j avllV evk qeou/ evgennh,qhsanÅ 14 Kai. o` lo,goj sa.rx evge,neto kai. evskh,nwsen evn h`mi/n(

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 32

kai. evqeasa,meqa th.n do,xan auvtou/( do,xan w`j monogenou/j para. patro,j( plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ 15 VIwa,nnhj marturei/ peri. auvtou/ kai. ke,kragen le,gwn( Ou-toj h=n o]n ei=pon( ~O ovpi,sw mou evrco,menoj e;mprosqe,n mou ge,gonen( o[ti prw/to,j mou h=nÅ 16 o[ti evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ h`mei/j pa,ntej evla,bomen kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\ 17 o[ti o no,moj dia. Mwu?se,wj evdo,qh( h` ca,rij kai. h` avlh,qeia dia. VIhsou/ Cristou/ evge,netoÅ 18 qeo.n ouvdei.j e`w,raken pw,pote\ monogenh.j qeo.j o` w'n eivj to.n ko,lpon tou/ patro.j evkei/noj evxhgh,satoÅ

OSSERVAZIONI

Problemi :

Come va interpretato il pros del v. 1? Stato in luogo o moto a luogo?

Come leggere il theos a conclusione del v. 1? Dio oppure “un Dio” o “divino”?

Ho gegonen va a fine del v. 3 oppure a inizio del v. 4 come indicano anche molti padri?

Tre possibili divisioni del testo 1,3-4 nella tradizione antica (nei papiri e nei codici non vi

sono segni di interpunzione):

A.

Versioni e antichi scrittori

Scrittori ortodossi ed eretici

prima del concilio di Nicea

(325)

B.

Presente in versioni e scrittori

latini

C.

Forma rara.

(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n (4) o] ge,gonen evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\

(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen

(4) evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\

(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen evn auvtw/| (4) zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\

3….e senza di lui non avvenne

nulla

4. Ciò che avvenne in lui, era

vita

oppure

Ciò che avvenne, in lui era vita

3….e senza di lui non avvenne

nulla di ciò che avvenne

4. In lui, era vita…

3….e senza di lui non avvenne

nulla di ciò che avvenne in lui.

4 Era vita

A favore:

struttura, parallelismo antitetico

nel v. 3:

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 33

«tutto per mezzo di lui…

nulla senza di lui».

Al v. 5 si passa dal passato al presente: si tratta di una digressione dell’evangelista (che si

vede anche nella preferenza di Gv per skotia anzicchè skotos)

Katalambanein: discusso fin dall’antichità: Padri+ alcuni esegeti moderni= sopraffare; per

Schnackemburg è da cogliere analogamente a paralambanein: accogliere qualcosa che arriva;

perciò = afferrare qualcosa che è presente.

Erchomenon al v. 9 va riferito al en iniziale in funzione perifrastica oppure all’anthropon che

precede (Vg)? Una terza posizione è quella di considerare l’intera ultima proposizione, da

erchomenon in avanti come un’aggiunta a to phos nel senso di di una relativa abbreviata ma ci si

attenderebbe un articolo davanti a erchomenon.

Schnackemburg sembra condividere l’idea secondo cui l’inno originario fino al v. 14, usando

il passato en, si riferisce al mondo della creazione e prima della venuta di Cristo. L’idea che fa

parlare Giustino del Logos spermatikos. Solo con il 14 si inizia a parlarne a partire

dall’incarnazione. Ma, osserva l’autore, l’evangelelista sembra insinuare già alla fine del 9

l’esperienza storica del Verbo.

v.11: eis ta idia: nella sua patria? Tra i suoi? Nella sua proprietà? Meglio “sua proprietà”. Sua

patria infatti sarebbe il mondo intero. Idioi tuttavia non va inteso come gli israeliti, ma potrebbe

intendere in generale gli uomini che si opposero e continuano ad opporsi all’accoglienza del Logos.

v.13 La grande maggioranza dei manoscritti, versioni e scrittori, a partire dal IV secolo riporta

il testo nella forma plurale «i quali furono generati». Ireneo e Tertulliano in testi antignostici riporta

il singolare conformemente ad altri scrittori più antichi. Si tratta di un appoggio alla concezione

verginale?

v.18 Alcuni manoscritti riportano non l’Unigenito Figlio di Dio ma l’Unigenito Dio (papiri

Bodamer IIIsec. Cod. Sinaitico, Vaticano, versioni e scrittori antichi.

INTRODUZIONE

1. Guardando complessivamente i 4 evangeli nella loro forma attuale, si percepisce il

crescente interesse, nel cristianesimo primitivo, per l’origine di Gesù. Non tanto dal

punto di vista storico bensì come risposta a questioni di tipo cristologico che a mano a

mano dovettero emergere in relazione alla determinazione stessa della natura

messianica e soprattutto in relazione alla figliolanza divina di Gesù.

- Marco, il più antico dei Vangeli, inizia fa iniziare il suo racconto con la figura

di Giovanni il Battista e con il racconto fondamentale del battesimo di Gesù. È

tuttavia interessante notare già la preoccupazione di presentare Gesù come il

Figlio di Dio (l’evangelista o la tradizione immediatamente successiva?) 1:1 VArch. tou/ euvaggeli,ou VIhsou/ Cristou/ Îuiou/ qeou/ÐÅ

- Matteo e Luca iniziano invece con un inquadramento certamente più ampio

riscontrabile in particolare nelle genealogie (Mt a partire da Abramo, Luca a

partire da Adamo) con uno sguardo retrospettivo che si concretizza nei racconti

dell’infanzia e con le descrizioni altamente teologizzate degli eventi della

nascita, come compimento delle attese e soprattutto con la manifestazione della

natura di Gesù Cristo già al momento della nascita.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 34

- Giovanni spinge questa riflessione ancora più ardita, giungendo sino al

“principio” collegandosi in tal modo con lo stesso progetto creativo e parlando

esplicitamente non tanto del Gesù Messia ma del Logos che dall’inizio era già

presso il Padre….

(per la descrizione grafica della situazione cfr. pagina finale).

Giovanni dunque ha voluto premettere al suo Vangelo una introduzione in forma poetica in cui

presentare già la sua sintesi teologica su Gesù? E come: attingendo dalla tradizione precedente ed

utilizzando già un inno preesistente, o componendolo del tutto di sua mano? Come si spiegherebbe

in questa ipotesi il fatto che esista tra il prologo e il resto del vangelo un legame “tenue” per

linguaggio e stile? Sembrerebbe trattarsi di qualcosa di più di una semplice sintesi poetica composta

dall’autore e premessa alla sua opera.

Probabilmente utilizzò in parte un inno preesistente e lo agganciò al vangelo con alcuni incisi.

L’attenzione va, naturalmente ai due passi che trattano di Giovanni il Battista (6-8 e 15) e che

vengono ripresi a partire dal v. 19. Sono state compiute analisi ritmiche, stilistiche ed anche

esegetiche al fine di determinare quale dovesse essere l’inno originario e quale l’elaborazione

dell’evangelista.

Tra le varie e diverse interpretazioni, rifiutando il criterio di riunire le varie conclusioni in un

risultato frutto di molteplici approcci, Schnackenburg propone il seguente testo:

1.

(1) VEn avrch/| h=n o` lo,goj( kai. o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n( kai. qeo.j h=n o` lo,gojÅ (3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen 2.

(4) evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\ (9) +Hn to. fw/j to. avlhqino,n( o] fwti,zei pa,nta a;nqrwpon( 3.

(10) evn tw/| ko,smw| h=n( kai. o` ko,smoj auvto.n ouvk e;gnwÅ (11) eivj ta. i;dia h=lqen( kai. oi` i;dioi auvto.n ouv pare,labonÅ 4.

(14) Kai. o` lo,goj sa.rx evge,neto kai. evskh,nwsen evn h`mi/n( plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ (16) o[ti evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ h`mei/j pa,ntej evla,bomen kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\

Si ipotizza dunque la successione di quattro strofe : 1. primordiale e divino essere del Logos e la

sua funzione nella creazione; 2. importanza per il mondo degli uomini (vita e luce); 3. rifiuto

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 35

della sua opera da parte dell’umanità prima dell’incarnazione; 4. l’evento dell’incarnazione fonte

di letizia e apportatore di salvezza.

Un inno tradizionale dunque, in cui si accentuava il periodo precedente all’incarnazione;

qualche minima traccia del genere c’è solo in 1Cor 10,4. Diverso dunque dagli altri inni tramandati

(1Tim 3,16; Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Eb 1,2s.) anche perché nell’inno giovanneo non si fa

riferimento all’esaltazione di Cristo. In nessun altro inno si fa riferimento al rifiuto del Redentore.

Concepito in relazione alla speculazione sapienziale?

Quanto alla provenienza?

1923 Bultmann: inno gnostico sorto nell’ambiente del Battista;

Schaeder: inno gnostico su modello aramaico costituito da un inno a Enosh (il Dio uomo);

posizione elaborata sulla base della retroversione dell’inno in aramaico dove il v.6° suona: «Enosh

fu mandato da Dio…» e diventa chiave di comprensione. Con Bultmann e accogliendo

l’identificazione gnostica dell’ambiente di origine si sono schierati diversi studiosi.

Ma, osserva Schnackenburg: come spiegare l’idea dell’incarnazione in 1,14, autentica professione

di fede cristiana?

Dunque proviene da circoli cristiani, certamente ellenistici (per l’uso di Logos)… giudeo

ellenisti convertiti (presenza di riminiscenze dell’AT soprattutto sapienza e torah).

Struttura Letteraria del Prologo nella sua forma attuale

1. tre parti corrispondenti alla storia della salvezza:

1-5 creazione

6-13 storia universale e Israele

14-18 incarnazione e comunità cristiana

2. Schema tematico chiasmatico o parabolico (un po’ rigido)

A. 1-2 A1. 18

B. 3 B1. 17

C. 4-5 C1. 16

D. 6-8 D1. 15

E. 9 E1. 14

F. 10-11 F1. 12-13

OSSERVAZIONI ESEGETICHE

VEn avrch/| nel IV vangelo solo qui. Ap’arches 8 volte in 1Gv ma con il valore di inizio storico…

Richiama Gn 1,1 e Pr 8,23 in un contesto creazionale, specficata in Pr: prima di fare il la terra

Riferimento al ruolo della Sapienza, figura personalizzata e attiva accanto al creatore cfr. Sir 24,9.

In Gv risalta l’espressione assoluta, l’indicazione di una relazione permanente e dinamica del logos

con Dio: era… pros “con” o piuttosto “rivolta verso”? Cfr. De La Potterie.

Le prime frasi si concentrano sul Logos che a pieno titolo è nell’ambito di Dio.

Con l’egeneto del v.3 si passa a considerare il rapporto con il creato (cfr. Gn 1,3 con il verbo

ebraico hayàh a cui corrisponde nei LXX egèneto.

Al panta iniziale corrisponde l’ oudè hen secondo lo stile biblico e giudaico.

Si riprende l’idea giudaica della creazione attraverso la Parola (cfr. Sl 33; Sir 43,26)

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 36

Ho gegonen, ciò che avvenne, sembra andare meglio all’inizio del v. 4: ciò che avvenne in lui era la

vita… anche se crea qualche difficoltà interpretativa: ciò che era in lui era “vita”

v.4 “Vita” ben 36 volte nel vangelo (su 133 nel NT) è associato a luce termine che definisce il

rapporto di Cristo con gli uomini: Io sono la luce del mondo (8,12) si veda il Sl 36,10: Dio come

sorgente perenne di vita piena e sicura. Del resto il motivo della vita, che ha la priorità su quello

della luce ricorre alla fine stesso del Vangelo come motivazione dell’annuncio della buona notizia:

31 Questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, credendo,

abbiate la vita nel suo nome. È da notare che la tradizione sapienziale prima, e il giudaismo successivamente, porrà in risalto la

corrispondenza Legge-Vita; Legge-Luce cfr. Baruch 4,1.

La riflessione sapienziale opera già l’unione profonda tra ciò che la luce ha significato nel mondo

cosmico a ciò che essa significa nel mondo antropologico.

Le tenebre, skotia non vanno semplicemente identificate con il mondo umano. Il prologo è

attraversato comunque da un senso positivo nel confronto, in cui le tenebre non riescono a

sopraffare la luce. Qui viene in mente il dualismo di Qumran che tuttavia è ben più radicale e separa

nettamente le due realtà…

Ma a quale contrapposizione specifica si riferisce Giovanni: l’ambito della creazione? Quello del

popolo di Dio? Al contrasto di Gesù Cristo con il mondo del peccato? In realtà il testo non lo indica,

resta da determinare… Il tema della luce continua nei versetti seguenti in cui si introduce la figura

di Giovanni Battista che non era la luce.

L’introduzione “Vi fu un uomo inviato da Dio” riecheggia il linguaggio biblico cfr. 1Sam 1,1

LXX… ma anche, nei libri profetici “giunse la parola di Dio a… (nome del profeta)”. Giovanni

viene introdotto con il suo ruolo funzionale di “Inviato” rispetto alla Parola – Vita – Luce di cui si

sta parlando. Si accentua il ruolo testimoniale che continuerà a caratterizzare in Gv la figura del

Battista. Procedendo col v. 7 si insiste in positivo e in negativo sulla differenza tra il suo ruolo e

quello del Verbo-Luce. (cfr. 1,20-31; 3,28.30). Mi pare difficile pensare, come Fabris, che non vi

sia dietro alla ripetuta puntualizzazione, il problema storico del discepolato di Giovanni che

interpreta il proprio maestro come la Luce e come il Cristo…

In questo senso di puntualizzazione mi pare vada intesa anche la specificazione seguente “veniva

nel mondo la luce, quella vera…”. Va segnalata l’originale tesi che vuole riferire il primo inciso del

prologo, solitamente inteso come primo riferimento ala missione del Battista, come un riferimento

all’evangelista Giovanni: l’unica dichiarazione esplicita del Vangelo circa la missione

dell’evangelista come testimone della luce perché tutti credessero per mezzo di lui.23

Dal termine del v.9 e nel v.10 si ripete quattro volte il vocabolo kosmos. Lo scenario resta ampio,

cosmico e antropologico.

v. 11 “I suoi” non va interpretato in senso restrittivo (i giudei), piuttosto “i suoi” sembra riprendere

quanto si diceva del mondo che fu fatto per mezzo di lui.

v.12 “Quelli che lo accolsero” verranno specificati alla fine del 12 e nel 13: i credenti nel suo nome,

i quali…. Credere nel suo nome appare 2 volte in Gv su 96 ricorrenze del verbo credere.

Exousia “diritto-potere” ma anche “dare la facoltà… rendere capaci” dice il compito che il Figlio ha

avuto dal Padre che gli ha dato potere su ogni uomo (5,27; 17,3).

v.13 L’accento cade sull’ultima dichiarazione che esplicita quanto affermato nel 12: la capacità di

diventare figli di Dio. Essa rimane dono di Dio da accogliere nella fede. Alla generazione dalla

carne si oppone la generazione dallo Spirito (cfr Gv 3,3-8 Nicodemo).

Ireneo e Tertulliano pongono il pronome al singolare: il quale è stato generato…è nell’ambito,

probabilmente, della controversia antignostica… La scelta del singolare accentua la concentrazione

cristologica e lega strettamente il v.13 al 14a in cui “E il verbo divenne carne” metterebbe l’accento

23

RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007, 23s.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 37

non tanto sulla modalità quanto piuttosto sull’origine divina. Possibilità da considerare con

attenzione non facendosi semplicemente distrarre dalla prospettiva della concezione verginale che

associerebbe questo testo a quelli di Lc e Mt.

14. versetto centrale. Riappare il LOGOS che ora è soggetto del verbo divenire, associato alla sarx.

Polemica antidocetista? Reminiscenza di una formula tradizionale di fede? L’affermazione “e abitò

fra noi” dà al versetto un’ambientazione biblica. Il verbo utilizzato richiama al simbolo della tenda

skene, dimora di Dio prolungata nel tempio (Es 40,34-35; 2Sm 7,6; 1Re 8,10-11) Qui prende

dimora la Sapienza per ordine di Dio (Sir 24,8-12) così come i profeti promettono che Dio dimorerà

in mezzo al suo popolo (Ez 43,7; Gl 4,17.21; Zc 2,14; 8,3).

E abbiamo contemplato (il verbo si ritrova in 1Gv1,1) alla prima plurale. Gruppo di cui

l’evangelista si fa portavoce.

Elemento chiave della contemplazione è la doxa, associata nella Bibbia alla presenza di Dio in

mezzo al popolo e al contesto dell’alleanza. Per “vedere la gloria” cfr. Es 33,18; Is 6,3.5.

L’esperienza di Isaia è attualizzata da Gv a proposito dell’incapacità dei Giudei a credere in Gesù

nonostante i segni (Gv 12,37-41).

È quella “gloria” che i discepoli credenti sono chiamati a “vedere” per dono di Dio (17,24). Nella

parola divenuta carne, nei segni e nella morte di Gesù si rende presente l’azione benefica e salvifica

di Dio attesa per il tempo finale.

v. 14… plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ

cfr. Es 34.6: ḥ esed we’emet, nei LXX polyèleos kai alethinos (cfr. Es 33,18-23)

Per Fabris Giovanni rinvia alla nota coppia di termini Ḥesed we’emet dell’AT. Mi pare che proprio

accettando questa indicazione esegetica, la traduzione che renderebbe maggiormente la sottostante

espressione semitica sia “grazia (amore) fedele”: ciò che il Verbo comunica è quell’amore

misericordioso di Dio che è “vero” (radice ’mn), cioè stabile per sempre. Si tratta dunque della

presenza salvifica del Logos diventato carne. I temi della rivelazione biblica vengono riletti e

rimeditati da Giovanni in prospettiva cristologica.

v.16 dalla sua pienezza evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ si riprende l’espressione pleres di 1,14 apax

legomenon nel IV evangelo mentre è presente 12 volte nei LXX e 17 volte nel NT. Indica la totalità

e l’ampiezza dell’azione divina (cfr. Sl 24,1 e 1Cor 10,26… Ef 1,10,23; 3,19…)

Nel logos incarnato si incontrano, o è possibile incontrare i beni salvifici, la loro “pienezza”.

kai. ca,rin avnti. ca,ritoj si indica l’ininterrotto flusso di grazia. Come va tradotta la preposizione?

Grazia “su” grazia?

v. 17: Mosè e Gesù Cristo. Si osservi la struttura simmetrica della frase:

Dio – per mezzo di Mosè – ha donato la Legge

Dio – per mezzo di Gesù Cristo rende presente il suo amore fedele.

Vanno lette in un crescendo positivo o come opposizione …. Invece…. ?

Ambedue le letture sembrano consentite dal testo, anche guardando agli usi antecedenti dei termini.

La Legge è rivelazione storica di Dio e rende testimonianza a Gesù (Gv 1,45; 5,39; 10,34; 15,25)

Ma è vero anche che “i giudei” si appellano alla Legge contro Gesù (Gv 18,31; 19,7);

analogamente per Mosè: cfr 1,45;7,39; 7,45.47 e, per contro, 9,28s.

La lettura dunque può essere fatta in progressione, non come semplice parallelismo né come

opposizione di negativo a positivo, bensì come sviluppo.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 38

v. 18 riprende e conclude quanto già affermato: il versetto si ricongiunge al v.1, osservazione

particolarmente importante per chi rappresenta la struttura del prologo come parabola che discende

dal v.1 (Verbo presso Dio) al 14 (diventa carne) per riapparire presso il Padre come unigenito

(v.18). Tutto ciò attraverso una indubitabile progressione: adesso infatti si tratta del Logos

incarnato.

Osservare l’interessante uso del verbo exegeo: evkei/noj evxhgh,satoÅ che troviamo 6 volte in Luca con

il significato di narrare, raccontare; derivante dall’uso dell’AT soprattutto nei testi sapienziali: Gb

28,27; Sir 43,31.

APPROFONDIMENTO sul v. 1,17:

o[ti o no,moj dia. Mwu?se,wj evdo,qh( h` ca,rij kai. h` avlh,qeia dia. VIhsou/ Cristou/ evge,netoÅ

LA TORAH NEL IV VANGELO

… kai. ouv du,natai luqh/nai h grafh, «... e la Scrittura non può essere annullata» (Gv 10,35) L’affermazione di Gesù, riportata da Giovanni nella risposta ai “Giudei” per la sua pretesa di

essersi fatto Dio (10,33), richiama l’autorità della Scrittura, le Sacre Scritture di Israele, come fonte

comune di riferimento per lui come per i suoi interlocutori perché considerata rivelazione di Dio.

Qui usa il termine singolare “la Scrittura” hē graphē, ma l’evangelista utilizza anche, molto più che

nei sinottici, il termine nomos (Legge). Partiamo da questo riferimento giovanneo che farà da

sfondo alle nostre considerazioni, poichè riporta un dato comune nella testimonianza

neotestamentaria su Gesù e la chiesa delle origini, il fatto cioè che a partire da Gesù e senza

discontinuità in tutta la letteratura neotestamentaria, la progressiva presa di coscienza circa la

nascita di una nuova comunità al seguito del maestro di Galilea, morto e risorto, radichi con

insistenza sulle Sacre Scritture di Israele, considerate come il punto di riferimento autorevole per la

fede della chiesa.24

1. Il IV Vangelo e l’AT

Gli studiosi che si sono occupati della specifica questione delle citazioni dell’AT in Giovanni

concordano nell’osservare il minor numero di citazioni esplicite dell’AT da parte del IV evangelista

rispetto ai sinottici: Nestle (26a ed.) ne indica 19, tutte da libri del Canone Palestinese.

25 In realtà,

come già metteva in rilievo Barret (con molti altri), il numero di citazioni esplicite è ingannevole

per affrontare l’argomento.26

Molti temi dei testimonia sinottici sono inglobati nel Vangelo senza

24

Sull’argomento si veda il documento a cura della PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Documento Il popolo ebraico e le sue Scritture nella Bibbia cristiana (24-5-2001): EV 20, 733-1150. 25

Il parere, anche sul numero, non è unanime: EVANS C.A., On the Quotation Formulas in the Fourth Gospel, in Biblische Zeitschrift 26(1982) 79-83, parla di quindici citazioni dirette; FREED E.D., Old Testament Quotations in the Gospel of John, Novum Testamentum 6, E.J. Brill, Leiden 1965, ne conta diciassette. 26

Cf. BARRETTC.K., The Old Testament in the Fourth Gospel, in Journal of Theological Studies 48(1947) 155-169.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 39

esplicite citazioni.27

Inoltre Giovanni riflette anche più chiaramente dei sinottici le grandi correnti

del pensiero dell’AT, per esempio nel rappresentare Gesù con una serie di titoli che lo pongono in

relazione con le aspettative diversificate dei differenti gruppi: Gesù come Messia, ma anche Profeta;

Re di Israele, Servo di Yahwe.28

A ciò vanno aggiunti i riferimenti attraverso allusioni che richiamano intere tradizioni dell’AT e

del mondo giudaico: dalla crezione (1,1-2,10) ad Abramo, Mosè, Giacobbe.29

Spesso, nel lavoro di

molti studiosi del IV Vangelo, si è posto in rilievo il richiamo di fondo alle grandi tematiche

anticotestamentarie, come quella dell’Esodo che per qualcuno presiede all’organizzazione stessa del

Vangelo.30

Ma anche al di là delle tesi circa una organizzazione del IV Vangelo basata proprio sul

racconto dell’Esodo, sono indubitabili i molteplici riferimenti alle vicende esodiche.31

Le citazioni esplicite giovannee dell’AT sono tratte spesso dai profeti (5 da Isaia; 2 da

Zaccaria), e non manca chi vede in Giovanni una vero e proprio prolungamento dello stile del

Deutero-Isaia, per il modo di porsi in rapporto alle tradizioni precedenti. In particolare sull’uso

dell’espressione ego-eimi «io sono», collegata al nome divino per la traduzione dei LXX

dell’ebraico ’ani YHWH, e nello stesso gnosticismo, che ricorre sei volte nel DtIsaia.32

Sempre al

DtIsaia può essere collegato il riferimento giovanneo all’universalità della missione di Gesù. Anche

il libro dei Salmi è una fonte per Giovanni. Ultimamante poi si è sottolineato sempre più che la

forma dei discorsi giovannei abbia a che fare strettamente con i discorsi della Sapienza divina come

nel libro dei Proverbi, nel Siracide, o nel libro della Sapienza.33

Per quanto riguarda il testo dell’AT a cui Giovanni (indichiamo qui genericamente il redattore

del IV Vangelo) ha fatto riferimento, si può pensare ad una citazione libera della traduzione greca

dei LXX34

o, talvolta, a citazioni mnemoniche dall’ebraico.35

2. Il IV Vangelo e i Giudei

Un argomento non secondario per l’approfondimento che intendiamo compiere è il rapporto tra

il Gesù del IV evangelo e i Giudei. È noto che proprio nel Vangelo spirituale si incontrano le

espressioni più esplicite di “lontananza” da “i Giudei”, come in 8,44: «voi che avete per padre il

diavolo...»; o anche in 8,55: mio Padre, Dio, «non lo conoscete....»; ma non possono sfuggire

espressioni di radicamento giudaico particolari, come nelle parole di Gesù alla Samaritana in 4,22

«...la salvezza viene dai Giudei». Di questo argomento, che non ci è possibile trattare nel presente

27

Cf. BROWN R.E., Introduzione al Vangelo di Giovanni (Edito, aggiornato, introdotto e concluso da Moloney F.J.), Queriniana, Brescia2007, 150. 28

Cf. BRAUN F.M., Jean le théologien, vol. 2 : Le Grandes traditions d’Israël et l’accord des Écritures d’après le quatrième Évangile, Gabalda, Paris 1964. 29

HOSKYNS E.C., Genesis 1-3 and the St. John’s Gospel, in Journal of Theological Studies 21(1920) 210-218. 30

Cf. GLASSON T.F., Moses in the Fourth Gospel, SCM Press, London 1963; per una corrispondenza anche nella struttura di Gv in relazione all’Esodo cf. ENZ J.J., The Book of Exodus as a Literary Type for the Gospel of John, in Journal of Biblical Literature 76(1957) 208-215. 31

Mosè è citato esplicitamente 13 volte, più che negli altri evangeli; ma si fa riferimento anche alla manna (6,31-58), all’acqua dalla roccia (7,38), al serpente di bronzo (3,14), al tabernacolo (1,14). I discorsi di Gesù riportati nel IV Vangelo sembrano inoltre suggerire una relazione ai discordi di addio di Mosè nel libro del Deteuronomio. 32

Sulla questione cf. BROWN R.E., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, vol II, Cittadella, Assisi 1979, 1482-1489. 33

Sui temi sapienziali dell’AT nel IV Vangelo cf. BROWN, Introduzione al Vangelo di Giovanni, 276-282. 34

Cf. MENKEN M.J.J., Old Testament Quotations in the Fourth Gospel. Studies on Textual Form, Kok Pharos, Kampen 1996. 35

Cf. BRAUN, Jean le théologien, vol. 2, 20-21. Non mancano però proposte che fanno riferimento piuttosto ai Targumim palestinesi.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 40

intervento, oltre al noto studio di Barret del 197036

, si è occupato in parte il documento della

Pontificia Commissione Biblica del 2001 “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia

cristiana”. Un paragrafo di tale documento è dedicato in particolare all’evangelo di Giovanni

(nn.76-78) con un’approfondita riflessione sull’uso singolare del termine “Giudei” nel IV Vangelo.

A proposito di questo tema va ricordato come lo studio critico del IV Vangelo da un po’ di anni

sia impegnato, sulla scia di Martyn37

, di Brown e tanti altri,38

a mostrare come il Vangelo di

Giovanni rifletta innanzitutto i rapporti tra la comunità giovannea, o se si vuole l’autore del IV

Vangelo di fine primo secolo, e la comunità giudaica di quel tempo. Il Vangelo mostra, in tale

condizione, non tanto (o comunque non in prima istanza) il rapporto tra Gesù e il giudaismo, quanto

piuttosto il rapporto tra chiesa e sinagoga che si è trasformato ormai in un rapporto teso, di

esclusione e quindi di accusa reciproca, il che non è senza conseguenze per l’approfondimento del

nostro tema.

3. Scrittura/Scritture nel IV Vangelo

Per entrare più direttamente nel tema di questo intervento, va osservato che il termine “scrittura”

grafh/ anche al plurale è usato nel IV Vangelo per un totale 13 volte, impiegato normalmente in

testi che si riferiscono al compimento delle Scritture sacre di Israele nella persona di Gesù o negli

eventi che lo riguardano. In generale i passi a cui ci si riferisce appartengono alla Torah, ma ma

anche a testi profetici o ai Salmi. Proponiamo di seguito un raggruppamento schematico per passare

rapidamente all’argomento specifico della nostra indagine. Viene utilizzato

- 6 volte dall’evangelista: in 2,22 a proposito della purificazione del tempio e del fatto che i suoi

discepoli avrebbero poi creduto alla sua parola e alla Scrittura. 4 volte nel capitolo della passione,

Gv 19, dove è utilizzato per illustrare la corrispondenza tra ciò che accadde a Gesù e quanto la

Scrittura prevedeva (19,24; 28; 37). 1 volta nel c. 20, la risurrezione, a proposito di Pietro e

Giovanni al sepolcro vuoto.

- 1 volta dalla folla (7,42) a proposito della domanda se egli potesse essere il Cristo, e della

constazione della difficoltà dell’identificazione per quello che la Scrittura dice a proposito della

provenienza del Messia.

- 6 volte da Gesù, due volte al plurale in 5, 39.47. In 5,39 Gesù parla a “I Giudei”, da quanto si può

dedurre dal brano precedente che si conclude con la citazione dei Giudei che “cercavano di

ucciderlo” (5,13). Rivolge loro l’accusa “e non avete la sua parola che dimora in voi” (38) a cui

segue il versetto che ci interessa: «Voi scrutate le scritture credendo di avere in esse la vita eterna;

ebbene sono proprio esse che mi rendono testimonianza...». L’argomentazione di Gesù prosegue sul

tema della non accoglienza della sua persona come rivelatore, da parte dei Giudei e giunge al

riferimento a Mosè: «E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate

la gloria che viene da Dio solo? Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è gia chi vi

accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. Se credeste infatti a Mosè, credereste

anche a me; perché di me egli ha scritto. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle

mie parole?» (5:44-47). Quindi le Scritture di cui qui si parla si attribuiscono a Mosè (la Torah) in

cui si è già parlato di Gesù.

In 7,38 Gesù cita la Scrittura: «chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva

sgorgheranno dal suo seno». Qui si riferisce piuttosto a testi profetici (Is 4,3; 55,1; 58,11; Ez

47,1.12; Gl 3,18). È interessante perché l’uso di Scrittura-Scritture si dimostra ampio, indicando

talvolta la Torah, talaltra i libri profetici. Il riferimento di Gesù alla Scrittura precede di poco il

36

BARRET Ch.K., Il Vangelo di Giovanni e il giudaismo, Paideia, Brescia 1980. 37

MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel, New York 1968; The Gospel of John in Christian History, New York 1979. 38

BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 41

riferimento della folla alle scritture in 7,42 dove la lettera della stessa Scrittura, a proposito della

provenienza del Messia, sembra contraddire la pretesa messianica di Gesù.

Un altro interessante riferimento alle Scritture viene fatto in 10,35, nel contesto della festa della

dedicazione (10,22) ancora una volta a confronto con i Giudei che lo interrogano se egli sia

veramente il Messia e ricevono da Gesù la risposta circa il suo compiere le opere del “Padre mio”

(25) con la conclusione che essi non gli crederanno perché non sono sue pecore... I Giudei (v. 31)

portarono pietre per lapidarlo opponendo alla domanda di Gesù «per quale di esse (opere) mi volete

lapidare?» l’accusa di bestemmia «perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (33). È a questo punto che

Gesù risponde «Non è forse scritto nella vostra Legge (evn tw/| no,mw| u`mw/n): Io ho detto: voi siete

dei? Ora, se essa ha chiamato dei coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura h` grafh, non può essere annullata), a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu

bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?» (10,34-36).

Qui il termine Legge e il termine Scrittura appaiono come equivalenti, o comunque la Torah è

conisderata parte autorevole delle Scritture di Israele.

Ancora una volta Gesù conferma la validità della Legge-Scrittura e ne fa fondamento di ciò che egli

stesso sostiene, con un tipico ragionamento rabbinico.

Il riferimento alle Scritture di Israele si trova ancora in 13,18 «Non parlo di tutti voi; io conosco

quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato

contro di me il suo calcagno». Ancora una volta un riferimento al “compimento” delle Scritture

nella vicenda di Gesù. Qui Gesù parla ai discepoli. Alla stessa questione del compimento si riferisce

la citzione in 17,12 «Quand'ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho

custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la

Scrittura h` grafh. ».

4. La Torah nel IV Vangelo

Il panorama sopra appena delineato offre naturalmente molti spunti per avviare ricerche

specifiche sul tema generale che affrontiamo: la Legge nel IV Vangelo. Si sceglie perciò di

restringere il campo delle osservazioni all’uso giovanneo di nomos (Legge), studiato nei diversi

contesti in cui il termine viene citato. Le osservazioni schematiche iniziali saranno seguite

dal’approfondimento della singola ricorrenza.

Il termine Legge appare per la prima volta nel Prologo (1,17), versetto spesso considerato dai critici

come non facente parte dell’originale inno e ritenuto, con il successivo, un’aggiunta

dell’evangelista.39

Qui inoltre appare nella peculiare espressione (semitica più che greca) come

Legge “data” da Mosè. Il termine greco o` no,moj traduce comunemente nell’uso neotestamentario,

derivato dalla LXX, il termine ebraico hr"äAT (Torah) che, come è noto, andrebbe piuttosto tradotto

con “insegnamento” nel senso di direzione, indicazione per la vita.

In Gv il termine o` no,moj, diversamente declinato, ricorre 15 volte in 13 versetti, su un totale di 233

ricorrenze neotestamentarie.40

Per analizzare l’uso giovanneo del termine classificaremo le ricorrenze a partire dal soggetto che lo

impiega e dalle specificazioni che lo seguono:

Chi ne parla? Come viene specificata?

1.17 Evangelista Per mezzo di Mosè

39

SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, vol I, Paideia, Brescia 1973, 350. 40

Gv 1,17.45; 7,19(2).23.49.51; 8,5.17; 10,34; 12,34; 15,25; 18,31; 19,7(2). In particolare il termine è ricorrente in Luca

(32 volte nel vangelo e 21 in Atti) mentre è assente in Marco e ricorre 10 volte in Matteo.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 42

1.45 Filippo L’ha scritta Mosè

7.19 Gesù L’ha data Mosè

7.19 Gesù Nessuno di voi la mette in pratica

7.23 Gesù Di Mosè

7.49 - Giudei Chi non la conosce è maledetto

7.51 Nicodemo Non giudica senza avere ascoltato

8.5 - Scribi e Farisei Nostra Legge ci ha comandato di lapidare

8.17 Gesù Vostra Legge (di scribi e farisei)

10.34 Gesù Vostra Legge

12.34 Gente Sentito dalla Legge

15.25 Gesù Loro Legge

18.31 Pilato Vostra Legge

19.7 - Giudei Abbiamo una Legge

19,7 - Giudei secondo la Legge deve morire

L’analisi che segue affronta le singole citazioni a partire dai raggruppamenti per soggetto e per

specificazioni.

4.1. Legge nelle parole di Gesù

La Legge di Mosè

Ci interessano, a proposito del riferimento alla Legge da parte di Gesù, innanzitutto i vv. 7.19(2x) e

7,23. Tre citazioni che fanno parte dello stesso brano. Il contesto è quello della Rivelazione

messianica durante la festa delle capanne (7,2), a cui Gesù partecipa “di nascosto” (7,10) dopo aver

rifiutato di parteciparvi su invito dei “fratelli” (7,3) poiché, chiarisce l’evangelista: «Neppure i suoi

fratelli, infatti, credevano in lui» (7,5). Il contesto si presenta, sempre nella descrizione che ne fa

l’evangelista, come problematico: Gesù è cercato dai Giudei (7,11), su di lui la folla discute (7,12).

Qui si distingue l’intento dei “Giudei” da quello della “folla”, il primo già determinato (questo è il

senso del cercarlo, come del resto si diceva già poco prima in 7,1 e dopo 7,30), il secondo, l’intento

della folla, orientato invece al chiarimento (7,23s.). È interessante osservare l’alternarsi dei pareri e

delle intenzioni dei “Giudei” e della “folla” cosa già di per sé molto significativa, dal momento che

evidentemente “Giudei”, almeno qui, non si può riferire alla nazionalità o all’appartenenza

religiosa. Il fatto è confermato nei vv. 12-13 che presentano la chiara distinzione tra il parlare

ancora aperto, interrogativo della gente, la folla «polu.j evn toi/j o;cloij», e il timore di questa stessa

gente di essere sentita dai Giudei «dia. to.n fo,bon tw/n VIoudai,wn»! Almeno qui, certamente, i

Giudei non rapresentano il popolo della Giudea ma una parte in causa decisamente “contro” Gesù,

rispetto alla folla con la quale Gesù parla e argomenta. Qui la folla ha paura di porre pubblicamente

la questione dell’identità di Gesù, ha paura dei “Giudei”. Effettivamente, nonostante i tanti

chiarimenti venuti in particolare da Bultmann ed accettati poi da molti, la categorizzazione de “i

Giudei” come esponenti di una religiosità diversa e contraria a Gesù è da rivedere almeno in questo

contesto. Nel funzionamento del racconto non vi è dubbio che la religione giudaica è quella dei

Giudei ma è anche quella della folla (e dello stesso Gesù). Ciò che distingue le due parti di fronte a

Gesù è la decisione ormai presa di eliminare Gesù, da parte de “i Giudei”, e la problematicità, la

discussione interna al popolo, alla folla giudaica, su chi sia realmente Gesù. L’equivoco sta nell’uso

del termine “Giudei” che, come ha proposto qualcuno, almeno in questi passi andrebbe più

chiaramente reso da “i capi giudei”.41

A trarre in inganno può essere il fatto che gli stessi “Giudei”

in 7,15 si dice che «erano stupiti e dicevano: “Come mai costui conosce le Scritture senza avere

studiato?”». Lo stupore di cui si parla (evqau,mazon ou=n oi` VIoudai/oi), può essere spiegato come

41

Per una esposizione ragionata delle diverse opinioni cf. ASHTON J., Comprendere il Quarto Vangelo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, 134-136.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 43

meraviglia di fronte alla conoscenza di Gesù che si dimostra un esperto della Legge. Ma lo stupore

è ciò che in questo caso muove l’invidia e il timore dei capi che lo considerano per questo

pericoloso, indicando dunque qualcosa di diverso dalla “meraviglia” come spesso è tradotto lo

stesso termine in senso decisamente positivo. Erano stupiti ma anche inquietati dalla conoscenza

che Gesù mostrava e che rappresentava una prerogativa de “i Giudei”, come verrà esplicitato in

7,49. Proprio in quest’ultima occasione, in cui viene rimproverato alla folla semplice di non

conoscere la Legge, ed anzi di essere addirittura “maledetta” per questa ignoranza, “i Giudei”

vengono esplicitati come “i capi e i farisei”, le categorie che effettivamente si trovano schierate, a

parte eccezioni (Nicodemo in 7,51), contro Gesù.

Questo quadro di riferimento è utile a spiegare quanto segue a proposito della Legge. La domanda

retorica di Gesù in 7,19 è diretta proprio alla categoria dei capi e dei farisei, di coloro che cioè

cercano di ucciderlo. Osserviamo più da vicino il v.19:

ouv Mwu?sh/j de,dwken u`mi/n to.n no,mon( kai. ouvdei.j evx umw/n poiei/ to.n no,monÈ ti, me zhtei/te avpoktei/naiÈ

Gesù parte da una duplice constatazione che si conclude in forma interrogativa. Punto di partenza è

la credibilità e la dignità della Legge ricevuta da Mosè. L’autorità mosaica è qui un segno

dell’autorità della Legge ricevuta dai Giudei. La domanda che segue e che nell’intento evidente di

Gesù viene presentata come una contraddizione è che nonostante la coscienza dell’importanza della

Legge proveniente da Mosè, in ultima istanza da Dio, essi non la “fanno” (ouvdei.j evx u`mw/n poiei/), non la mettono in pratica proprio perché cercano di ucciderlo. Chi legge sa che quanto dichiara

Gesù è vero, poiché l’evangelista ha già esplicitato più volte l’intenzione da parte dei Giudei. Ma si

tratta di un intento non esplicitato alla gente, alla folla che proprio per questo rivolge l’accusa

contro Gesù: «Tu hai un demonio!» motivandola con la domanda «chi cerca di ucciderti?». Qui non

sono i Giudei a rispondere, ma la folla stessa che reagisce rifiutando l’accusa di Gesù che in realtà è

indirizzata ai Giudei. A questo punto Gesù indirizza a tutti le sue parole, ai Giudei e alla folla,

presentando l’argomentazione della circoncisione di sabato «Mosè vi ha dato la circoncisione - non

che essa venga da Mosè, ma dai patriarchi - e voi circoncidete un uomo anche di sabato». Un’opera

compiuta dunque nel giorno di astensione dal lavoro che però è consentita poiché lo esige la stessa

Legge. Argomentando secondo la dialettica rabbinica a minor ad maius, dimostra dunque che la

guarigione di sabato non può essere considerata una trasgressione alla Legge, fino ad aprire il caso

al più ampio rimprovero: «Non giudicate secondo le apparenze, ma giudicate con giusto giudizio».

Gesù dunque si riferisce a quella stessa Legge dalla quale i Giudei traggono il motivo delle accuse

contro di Lui per mostrare la contraddizione nell’interpretazione dei capi, orientata dallo sdegno

contro Gesù piuttosto che dalla “giustizia”, dal “giusto giudizio” (7,24). Qui non si tratta né di

contrapposizione alla Legge di Mosè, né di pretesa di interpretarla in una maniera nuova, fondata

sull’autorità di colui che parla (interpretazione cristologica), ma dell’invocazione del “giusto

giudizio” che tenga presente le motivazioni profonde e non pregiudiziali nell’interpretazione della

Torah. L’accusa finale è coerente con la precedente accusa di non operare secondo la Legge nel

senso più profondo e semplicemente umano, cioè con giusto giudizio, riconoscendo che operare di

sabato a favore dell’uomo, come nel caso della circoncisione, non contrasta con i principi della

Torah a cui Gesù stesso si riferisce come autorità indiscussa. Si osservi inoltre che la discussione

giudaica attraverso la ricerca di significati del testo che possono presentarsi anche in

contraddizione, fa parte della tradizione giudaica sin dal tempo di Gesù.

La vostra Legge

L’espressione “la vostra Legge” usata due volte da Gesù e una da Pilato (18.31) sembra essere

tipicamente giovannea; in Mt si parla della “vostra tradizione” non della “vostra Legge”, così in Mc

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 44

e Lc. Non risulta nell’epistolario paolino nè altrove nel NT tranne At cf 18,15 no,mou tou/ kaqV u`ma/j. L’espressione la “loro Legge” è usata solo il questo testo. In At 23,29 si riferisce alle accuse contro

Paolo e a pronunciare l’espressione è Claudio Lisia a Festo.

Si tratta dunque di un’espressione tipicamente giovannea solitamente ricondotta alla distanza tra

chiesa e sinagoga posteriore a Gesù e alla sua morte risurrezione.

1. Gv 8,17 « Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera». Il versetto

presenta una variante testuale a proposito dell’espressione “sta scritto” gegramme,non evstin ovvero

ge,graptai.42

Il riferimento indiretto è a Dt 17,6 «Un condannato sarà messo a morte sulla parola di due o di tre

testimoni; non sarà messo a morte sulla parola di un testimone solo». E a Dt 19,15: «Non si leverà

un testimonio solo contro un uomo per una qualsiasi colpa e per un qualsiasi peccato; qualsiasi

peccato uno abbia commesso, il fatto sarà stabilito sulla parola di due o di tre testimoni».

Indicazioni riprese e sviluppate nella Mishna.43

Commentando il versetto, Brown chiarisce la sua posizione, del resto nota, nella linea di Martyn

secondo la quale emerge dal Vangelo un antagonismo, una opposizione che va spiegata a partire dal

contesto di fine I sec. allorquando la rottura tra il cristianesimo nascente e il giudaismo è già

avvenuta.44

Non condivide perciò le posizioni di chi cerca di rendere ragione dell’espressione a

partire dal senso che essa può avere avuto sulla bocca di Gesù, non necessariamente di presa di

distanza ma piuttosto di riferimento ad un fondamento comune e di valore assoluto.45

L’autore

richiama quanto ha affermato a proposito di 17,19 («Non è stato forse Mosè a darvi la Legge?»)

dove chiarisce che a differenza dei sinottici, dove Gesù si dissociava dall’interpretazione della

Legge data dai farisei che secondo Gesù nullificava la Legge (Mt 23,23), questi attacchi in

Giovanni si sono colorati della disputa tra la sinagoga e la chiesa e la dissociazione più assoluta tra

loro. Aggiunge inoltre alle sue argomentazioni l’uso della contrapposizione da parte degli scrittori

cristiani antichi, come Giustino nel dialogo con Trifone dove lo stesso “voi” è usato dagli

apologisti cristiani per rivolgersi agli ebrei.46

Ciò che rimane da chiedersi è se i due significati siano

alternativi o se non possano rivelare una maniera di interpretare nel senso della contrapposizione le

parole di Gesù da parte della tradizione cristiana, interpretazione forse insinuata nel lettore da parte

dello stesso evangelista.

2. Gv 10,34 Troviamo ancora l’espressione “la vostra Legge” nella seconda parte del capitolo

decimo, nel contesto della festa della dedicazione, allorchè al tentativo di lapidare Gesù da parte de

“I Giudei”, l’accusato risponde con un ragionamento di tipo rabbinico a sostegno della sua

42

gegramme,non evstin: così Tischendorf, che preferisce la lettura del Cod. Sinaiticus; L’altra lettura più difficile perché

solo qui è ge,graptai al perfetto preferita da Aland (Sinopsis), da Merk, dal The Greek New Testament e Nestle Aland.

La forma al perfetto si trova solo qui (e in Gv 20,31) in luogo di quella più consueta (Gv 2,17;6,31.45; 10,34; 12,14;

19,19.20) . Non sembra tuttavia che da ciò si possano trarre particolari conclusioni cf. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di

Giovanni, vol II, Paideia, Brescia 1977, 331 n. 20; FREED, Old Testament Quotations, 126s. 43 Cfr Mishna, Sanh.5, BILLERBECK I,1002s. 44

Cf. BROWN, Giovanni, vol I, 443. 45

Cf. IVI: «Charlier (...) insiste nel dire che la vera funzione del «vostra» non è di esprimere ostilità o superiorità nei confronti della Legge, ma di dire ai «Giudei»: «Questa è la Legge che voi stessi accettate». Gesù vuole rendere inconfutabile il suo argomento e perciò mette i Giudei in condizione di contraddire se stessi. L’interpretazione di Charlier ha una notevole validità per espressioni come queste quando le si considerano nello scenario storico della vita di Gesù. Ma quando tali espressioni appaiono in un vangelo del tardo I secolo, su uno sfondo di ostilità giudaico cristiana, «la vostra Legge» ha una connotazione ostile». Cf. CHARLIER J.P., L’exégèse johannique d’un précepte legal: Jean VIII,17, in Revue Biblique 67 (1960), 503-515. 46

BROWN, Giovanni, vol I, 402.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 45

affermazione “Io sono figlio di Dio” (10,22-39). L’espressione utilizzata da Gesù evn tw/| no,mw u`mw/n (nella vostra Legge) presenta una variante testuale di non grande portata.

47

Il riferimento non ha paralleli nel NT. L’argomento è portato con una dimostrazione rabbinica del

tipo a minori ad maius. Bultmann, coerentemente al suo pensiero circa l’atteggiamento di Gesù

rispetto al giudaismo del suo tempo, richiama esplicitamente 8,17 considerandolo un motteggio

della Legge giudaica.48

Non la pensa così Schnackenburg che propende invece per una prova

scritturale cristiana: il ragionamento può essere sia stato sviluppato da Gv stesso o dalla sua scuola,

comunque interessati ad una vera giustificazione fondata sulle Scritture.49

La citazione è dal Sl 82(81),6: evgw. ei=pa qeoi, evste «Io ho detto: “Voi siete dei, / siete tutti figli

dell’Altissimo”» versetto che, citato per intero, avrebbe potuto prestarsi ancor meglio

all’argomentazione di Gesù. Alcuni osservano che probabilmente la conoscenza del versetto per

intero è supposta da parte degli ascoltatori, secondo l’uso rabbinico.50

È questo, inoltre, uno dei casi

in cui si riassume tutta la Scrittura (anche i Salmi) sotto il termine di Legge, cosa che corrisponde

all’uso rabbinico, provato anche dalle citazioni paoline.51

Il ragionamento di Gesù, dunque, parte dal fatto che se coloro che hanno ricevuto la Legge al Sinai

sono chiamati “figli di Dio”, con quanto maggior diritto dirà di se stesso “figlio di Dio” l’inviato

dello stesso Dio che ha come missione di completare la sua rivelazione (3,34). La missione

escatologica del Figlio è compimento della rivelazione fatta nell’AT, con la conclusione coerente

dei versetti successivi. La Scrittura non può essere abrogata... dunque... argomentazione qal

wachomer. Anche con Gesù la Scrittura trova il suo compimento. Sembra da escludere il senso

della contrapposizione tra coloro a cui era rivolta la parola di Dio e la Parola di Dio per eccellenza,

il Logos incarnato come viene suggerito in certe letture proprio per l’uso dell’aggettivo la “vostra”

Legge. Qui però non avrebbe più senso il tipo di argomentazione a minori ad maius. Sembra abbia

ragione Schnackenburg che sostiene invece che nel ragionamento vi è un crescendo (non una

contrapposizione): l’inviato di Dio nel mondo è in un rapporto più stretto con Dio di quanto non lo

fossero gli stessi destinatari della Legge chiamati “dei” nel Salmo. Proprio per questo egli può

chiamarsi “figlio di Dio” senza bestemmiare.52

La loro Legge

L’espressione ricorre una sola volta sulla bocca di Gesù, nel v. 15,25: avllV i[na plhrwqh/| o` lo,goj o` evn tw/| no,mw| auvtw/n( gegramme,noj o[ti VEmi,shsa,n me dwrea,nÅ Il contesto è quello del discorso di Gesù ai discepoli, successivo alle parole iniziali del capitolo

sulla vite e i tralci. Alla rappresentazione della comunità dei discepoli di Gesù sulla base della

metafora della vite, seguono nei vv 15,18-16,4 le parole di Gesù sul rapporto dei discepoli con il

“mondo”. Nei vv. 18-19 soggetto dell’odio contro i discepoli, e prima ancora contro Gesù, è il

“mondo”. Dal v. 20 il soggetto della persecuzione non è più “mondo” ma il soggetto indeterminato

plurale espresso con la terza persona del verbo perseguitare: “hanno perseguitato”. La

determinazione di tale soggetto è data alla fine dei vv. 20-25 dove si dice appunto “la loro Legge”.

Dunque il soggetto fino alla fine indeterminato, è determinato dal possedere la Legge, con il

riferimento all’espressione “mi hanno odiato senza ragione” evmi,shsa,n me dwrea,n. Quest’ultima

espressione ricorre nel Sl 39,19 mh. evpicarei,hsa,n moi oi evcqrai,nonte,j moi avdi,kwj oi misou/nte,j me

47

nel P45

troviamo en th grafh mentre omettono l’aggettivo umw/n sia il citato Chester Beatty, sia il Sinaitico prima

mano, il D, q , pc, it, sys; Eus. Per una lista più completa cf The Greek New Testament. I testi critici minori riportano

tutti la lezione con umw/n.

48

BULTMANN R., Die Drei Johannesbriefe, Göttingen 1967, 227. 49

SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, II, 516. 50

Ivi, 517. 51

cf Rm 3,19; 1Cor 14,21. 52

SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, II, 519.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 46

dwrea.n kai. dianeu,ontej ovfqalmoi/j e nel Sl 68,5 evplhqu,nqhsan u`pe.r ta.j tri,caj th/j kefalh/j mou oi misou/nte,j me dwrea,n evkrataiw,qhsan oi` evcqroi, mou oi evkdiw,konte,j me avdi,kwj a] ouvc h[rpasa to,te avpeti,nnuon.

In realtà sono molti di più i testi che si riferiscono all’odio ingiusto e alla punizione che riceverà da

Dio, cf. per es. Lamentazioni 3,52 “Mi hanno dato la caccia come a un uccello, quelli che mi odiano

senza motivo” e Sl 109,3, anche se la citazione precisa sembra avere a che fare con i due salmi

citati, in particolare per la presenza dell’avverbio dwrea,n.

Il riferimento di Gesù potrebbe essere ai giudei in quanto tali, coloro che hanno la Legge, anche se,

per quanto visto sopra, sembra naturale riferirsi a coloro che lo hanno rifiutato e odiato, cioè quei

“Giudei”, veri responsabili del rifiuto e della condanna, di cui si diceva.

4.2. Legge nelle parole dei Giudei:

1. Gv 7,49 «Ma i farisei replicarono loro: (...)Ma questa gente, che non conosce la Legge, è

maledetta!» (47-49). Il versetto è già stato preso in considerazione parlando del termine nomos nel

cap. 7. Qui, in particolare, viene chiarita la distanza tra i Giudei che cercano di uccidere Gesù

(contro i quali egli parla, qui in particolare specificato da “i farisei”, con l’aggiunta del riferimento

ai “capi” nelle parole degli stessi farisei al v. 48), e la gente, la folla che ha dubbi e si interroga su

chi sia veramente Gesù. L’accusa rivolta dai farisei, anzi la meledizione, motivata dalla non

conoscenza della Legge, si riferisce perciò a quel popolo dei giudei che non appartiene alla classe

dei leaders (capi e farisei) e che vive il dubio davanti alle parole e alle opere di Gesù, manifestando,

a parere dei farisei, di non conoscere la Legge. La questione specifica è la provenienza di Gesù

(dalla Galilea) e quella del Cristo (il Messia) che secondo le aspettative giudaiche verrà dalla stirpe

di Davide e dalla Giudea (cf. v. 7,42; 2Sam 7,12+). Il dubbio viene ripreso dalle guardie nel

momento in cui sono interrogate dai “sommi sacerdoti e dai farisei” opponendo alla domanda di

questi il fatto che “mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo” 7,46.

La maledizione viene richiamata, come espressamente ricordata dalla Scrittura, in Gal 3,10 «Infatti

quanti si basano sulle opere della Legge, sono soggetti a una maledizione, poiché è scritto:

Maledetto chiunque non persevera nel fare tutte le cose scritte nel libro della legge», con

riferimento al testo di Dt 27,26 «Maledetto colui che non si attiene a tutte le parole di questa legge

per metterle in pratica» (...).53

2. Gv 19,7 «Gli risposero i Giudei: “Noi abbiamo una legge ~Hmei/j no,mon e;comen e secondo questa

legge kai. kata. to.n no,mon deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”».

Il contesto è quello dell’articolato processo romano, con la rappresentazione della successione

scenica tra l’entrare e l’uscire di Pilato dal pretorio per parlare con l’imputato (all’interno) e con i

suoi accusatori (all’esterno). In particolare è il momento in cui Pilato ammette di non aver trovato in

lui nessuna colpa e propone ai “Giudei” prima specificati come Sommi Sacerdoti e guardie (v. 6) di

eseguire esssi stessi la condanna alla crocifissione, da essi invocata. Si tratta dunque della risposta

dei Giudei alla proposta di Pilato, che, come è noto, fa riferimento allo jus gladii, alla legge romana

che riserva al rappresentante ufficiale di Roma il potere di emettere e far eseguire condanne a

morte. L’argomento portato da “I Giudei” fa appella proprio alla Legge secondo la quale Gesù deve

morire perché si è fatto “Figlio di Dio”. Non entriamo qui nella specifica questione della pretesa

figliolanza divina e di cosa potesse storicamente significare una simile accusa. Tuttavia è chiaro che

53

Cfr anche Dt 11,28 e il testo di Ger 11,3 dove piuttosto che a Legge si parla “parole dell’Alleanza”: «Così dice il

Signore, Dio d' Israele: Maledetto colui che non ascolta le parole di quest' alleanza».

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 47

i Giudei, secondo la testimonianza del IV Vangelo, fondano proprio sulla Legge l’accusa e la

richiesta di condanna a morte di Gesù.

3. 7,51 «Disse allora Nicodèmo, uno di loro, che era venuto precedentemente da Gesù: “La nostra

Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?”. Gli risposero: “Sei

forse anche tu della Galilea? Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea”»

Si distacca dal tipo di riferimento alla Legge sopra considerato, il giudeo Nicodemo indicato

dall’evangelista come “uno di loro”, cioè uno dei farisei citati prima. Il suo riferimento alla Legge

entra immediatamente in conflitto con quanto affermato dai fariei precedentemente che lo

rimproverano ancora una volta facendo riferimento alla stessa Legge. Ci troviamo di fronte alla

tipica dialettica giudaica fondata sulla ricerca del significato attraverso il collegamento a diversi

riferimenti scritturistici.

4. 8,5 : «Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?».

Qui il soggetto esplicito non è “i Giudei” ma “scribi e farisei” come viene specificato al v.3. E’ noto

come l’intera pericope della donna adultera 7,53-8,11 presenti problemi di critica testuale per il

fatto che è assente in molti manoscritti antichi tanto che molti autori moderni preferiscono

ometterla. Tuttavia è interessante osservare come, anche in questo caso, il riferimento alla Legge da

parte dei Giudei prima, e adesso di scribi e farisei, sia funzionale ad una maledizione o condanna.

Nei riferimenti alla Legge da parte dei Giudei, emerge quindi la vera questione che riguarda anche

la relazione tra Gesù e i Giudei: l’interpretazione della Torah. Nicodemo diventa il caso più

evidente della varietà di interpretazioni che possono coesistere riferendosi ad un passo della Torah

piuttosto che ad un altro.

Non vi è quindi un giudizio negativo della Legge in quanto tale ma piuttosto una modalità diversa

di leggerla che probabilmente è sottesa anche alla frase del v. 17 del Prologo. Fin qui abbiamo

infatti osservato come l’espressione del diverso parere interpretativo degli eventi venga collegato al

riferimento ad un passo della Torah. Gesù entra perfettamente, con i suoi ragionamenti, in questo

tipo di dialettica rabbinica. Non si pone cioè in contrapposizione con la Legge ma piuttosto si

distingue per un’interpretazione certamente diversa da quella praticata dalla classe dei capi e dei

farisei. Questa considerazione è fondamentale per una più profonda comprensione di 1,17, il

versetto citato all’inizio e da noi considerato fondamentale ma che a sua volta dipende

dall’interpretazione che se ne darà, come vedremo più avanti.

4.3. Legge nelle parole dei discepoli

Gv 1,45: Filippo annuncia a Natanaele l’incontro con Gesù «Colui del quale hanno scritto Mosè

nella Legge e i profeti, l’abbiamo trovato…». Manifesta la convinzione comune al NT che Gesù, il

figlio di Giuseppe, di Nazareth, sia colui che è stato annunciato dalle Scritture di Israele. Natanaele

rappresenta la cerchia degli ebrei in attesa di colui che le Scritture avevano annunciato.

L’indicazione di Gesù come “figlio di Giuseppe” è usuale tra il popolo. Qui si manifesta la

perplessità dello studioso delle Scritture che non trova collegamento alcuno con Nazareth,

problematica che del resto ritornerà più avanti nel Vangelo (6,42 dicevano: «Non è costui Gesù il

figlio di Giuseppe, di cui conosciamo il padre e la madre? Come può ora dire: "Sono disceso dal

cielo"?»). Il dubbio di Natanaele dovrà essere sciolto nell’esperienza, dall’incontro con Gesù.

4.3.Legge nelle parole dell’Evangelista

Gv 1,17: «Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di

Gesù Cristo».

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 48

Al termine del breve excursus sull’uso di nomos – Legge nel IV Vangelo, torniamo alla sua prima

ricorrenza, al termine del prologo (1,1-18). Infatti proprio l’interpretazione di questo versetto

sembra impostare proletticamente la questione del rapporto tra Gesù Cristo e la Legge mosaica

secondo l’evangelista. Molto dipende, evidentemente, da come si interpreta il parallelismo stabilito

dal versetto giovanneo tra la Legge (data da Mosè) e la grazia-verità (venute per mezzo di Gesù

Cristo). Si tratta di opposizione o di continuità?

La costruzione parallela del versetto è ben visibile soprattutto nel greco:

o[ti o` no,moj dia. Mwu?se,wj evdo,qh( h` ca,rij kai. h` avlh,qeia dia. VIhsou/ Cristou/ evge,netoÅ

Osserviamo innanzitutto come l’ o[ti iniziale collega il versetto al precedente di cui vuole essere

una spiegazione collegandosi all’affermazione: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e

grazia su grazia». L’espressione finale del versetto 16, di cui il 17 riprende il termine charis, risulta

di non immediata comprensione anche per la congiunzione che suona male nel periodo “e grazia su

grazia”. Bisognerà stabilire, per la nostra ricerca, come va tradotta la preposizione anti che ricorre

solo qui negli scritti giovannei: kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\ “una grazia che risponde alla grazia”

ovvero “grazia su grazia”, oppure “grazia per grazia”? la spiegazione del succesivo v.17 infatti

dipenderà anche dalla comprensione che si ha dell’espressione di cui parliamo e a cui i termini del

nostro versetto, posti in parallelo, sembrano riferirsi. Schnackenburg rende l’espressione con

“grazia per grazia”: il kai iniziale non viene tradotto avendo valore esplicativo e non di

congiunzione, per cui sparisce la problematica espressione (almeno per la traduzione “e grazia su

grazia”)54

. Cita l’opinione di diversi studiosi contemporanei secondo i quali “i momenti della grazia

si susseguono senza interrompersi mai”.55

Sembra escludere che la frase intenda indicare una

maggiore abbondanza di grazia rispetto all’Antica Alleanza. Brown traduce l’espressione che ci

interessa con “amore in luogo di amore” dandole piuttosto un significato sostitutivo. Raggruppa i

diversi significati che le sono stati attribuiti nel corso dei secoli: sostituzione (la grazia/ di una

alleanza nuova in luogo dello del Sinai)56

; accumulazione (fondata su un uso filoniano della

preposizione anti che va appunto in tal senso)57

; corrispondenza (qui la traduzione sarebbe del tipo

“grazia per grazia” sulla base dell’interessante paragone tra la preposizione anti e l’espressione

ebraica kenegd - di fronte a - come si trova in Gn 2,28.30)

58.

La lettura sostitutiva di questa citazione della charis divina (corrispondente allo come

amore-misericordia dell’AT) non può non condizionare l’interpretazione del versetto successivo,

come si può leggere in alcuni commentari sopra citati o anche in Panimolle: l’hoti causale del v.17

richiama evidentemente l’effermazione del v. 16 sulla grazia ricevuta dai discepoli in sostituzione

del dono concesso precedentemente a Israele. L’autore in questione chiarisce tuttavia più avanti che

non si tratterà di un “superamento” in senso bruto, quanto piuttosto di un completamento e

perfezionamento.59

La costruzione parallela del v. 17 e le precedenti considerazioni sull’uso di nomos nel IV

Vangelo sembrano invece orientare nel senso del completamento piuttosto che della sostituzione o

addirittura dell’opposizione. Si osserva innanzitutto il parallelo creato tra i diversi membri delle due

54

Cf. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol I, 348 e la nota 178. 55

Ivi, 348s. 56

Così Origene, Cirillo di Alessandria, Crisostomo. 57

Cf. PHILO, De Posteritate Caini, 145; Il senso dell’accumulazione è inteso da diversi studiosi: Lagrange, Hoskyns, Bultmann, Barret, e in maniera particolare C.SPICQ, Dieu et l’homme, Paris, Cerf 1961,30-31. 58

Per la vicinanza all’espressione ebraica keneged cita P. Joüon e diversi studiosi che comunque

sostengono il senso della corrispondenza. Cf. BROWN, Giovanni, vol I, 23. 59

Cf. PANIMOLLE S., Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, vol. I, Dehoniane, Bologna 1999, 52s.

Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 49

frasi. Al termine o` no,moj in 17a corrisponde la coppia di sostantivi h ca,rij kai. h avlh,qeia in 17b.

Abbiamo sopra osservato come o` no,moj venga usato per indicare la Scrittura di Israele come fonte

di rivelazione (1,45; 8,17; 10,34; 12,34; 15,25) e Mosè come l’autorità di riferimento. In particolare

la coppia di sostantivi “grazia e verità” vengono solitamente riportati all’espressione semitica

we’emet, il primo termine indica nell’AT l’amore-benevolenza di Dio che ha scelto gratuitamente

Israele eleggendolo come popolo dell’Alleanza, il secondo con fedeltà, possono essere ricondotti

all’espressione unitaria di “amore fedele” o di “benevolenza amorevole” e altre espresisoni simili. È

stato anche fatto osservare che in generale la traduzione dei LXX traduce con eleos ma già

si è ricordato sopra che non sempre Giovanni segue quella traduzione. La citazione della Legge è

unita al nome del legislatore di Israele che, con espressione semitica è colui che “ha dato” la Torah

(ebr. natan torah) a Israele da parte di Dio; a tale precisazione corrisponde la prima citazione

completa in Giovanni di Gesù – Cristo come colui per mezzo del quale è venuto l’amore e la verità.

Si pone in evidenza non tanto l’aver dato qualcosa da parte di Dio, ma un avvenimento, anzi

l’avvenimento salvifico definitivo che ha come mediatore il Gesù-Messia. È difficile sostenere sulla

base di queste osservazioni una lettura nel senso della sostituzione o anche della contrapposizione

se non partendo da un contesto di contrapposizione, come poteva avvenire effettivamente nello

scontro chiesa sinagoga alla fine del I sec. o in letture tradizionali nel solco della teologia della

sostituzione.

Il fatto che il versetto venga spesso considerato un’aggiunta dell’evangelista all’inno

pregiovanneo gli conferisce maggiore interesse ai fini della nostra indagine. Il IV evangelista ha

usato il termine “Legge” per indicare le Scritture come fonte di rivelazione, e Mosè rappresenta

l’autorità di riferimento per i giudei come per Giovanni. Mosè per incarico di Dio ha dato la Legge

e ha annunciato la venuta di un profeta. Gesù Cristo ne rappresenta il compimento. La realtà portata

da Cristo, la grazia e la verità, rappresentano la novità che proietta la sua luce anche sulla

interpretazione di quella stessa Legge mosaica, la “misericordia e verità” spesso citata nelle

Scritture di Israele. L’avvenimento di Gesù Cristo non è contestazione della Torah in quanto tale ma

della sua interpretazione nomistica da parte dell’autorità giudaica. L’intero vangelo mostrerà infatti

come a tale interpretazione Gesù è venuto ad opporsi portando nuova luce, non rigettando la Torah

e nemmeno nel rifiuto complessivo della tradizione giudaica ai cui canoni del resto si adegua

discutendo da buon maestro giudeo. In tal senso mi pare particolarmente significativo proprio la

pericope dell’adultera, nonstante i problemi di tipo testuale di cui si è detto.

Il versetto intende piuttosto mettere in evidenza il nuovo ed originale apporto di Gesù-Cristo per

la comprensione stessa della Legge data da Mosè.