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Documento tratto da Arianna - Normativa Creditizia e Finanziaria
SOMMARIO
2012
Tribunale di Verona - Sentenza 19 novembre 2012 - Usura - Determinazione della soglia Modalità - Utilizzo
delle rilevazioni trimestrali della Banca d'Italia sino all'adozione del regolamento di cui all'art. 2-bis della L.
28 gennaio 2009
Tribunale di Brindisi - Sentenza 9 novembre 2012 - Usura - danno non patrimoniale - libertà di
autodeterminazione e libertà d'impresa - lesione - configurabilità
Tribunale di Novara - Sentenza 1 ottobre 2012, n. 650 - Contratto bancario - Anatocismo Applicazione in
un contratto concluso anteriormente all'entrata in vigore della Delibera CICR 9.2.2000, art. 7 - Condizioni
Tribunale di Brindisi - Sentenza 9 agosto 2012 - Azione di ripetizione d'indebito - saldo 'zero' applicabilità
- onere della prova - banca - vicinanza alla fonte della prova - applicabilità proposizione della domanda
riconvenzionale della banca- irrilevanza
Tribunale di Ferrara - Sentenza 6 agosto 2012 - Diritto bancario - Apertura di credito in conto corrente -
Mancata contestazione degli estratti conto - art. 1832 c.c. - Conseguenze - Impossibilità di contestare efficacia
e validità dei rapporti obbligatori
Tribunale di Napoli - Sentenza 29 giugno 2012 - Usura sopravvenuta - Applicabilità del tasso soglia
Tribunale di Ravenna - Sentenza 29 maggio 2012 - Diritto bancario - Conto corrente bancario Pagamenti -
Definizione
Tribunale di Larino - Sentenza 3 maggio 2012 - Ammortamento alla 'francese': illegittimità del piano di
ammortamento applicato ai mutui fondiari
Tribunale di Mantova - Sentenza 20 marzo 2012 - Commissioni di massimo scoperto
Tribunale di Busto Arsizio - Sentenza 13 marzo 2012 - Il calcolo delle valute e il superamento del tasso
soglia antiusura
Tribunale di Pordenone - Sentenza 7 marzo 2012 - Credito derivante da rapporto bancario Decreto
ingiuntivo definitivo - Interessi superiori ai tassi soglia antiusura - Debenza degli interessi nei limiti della soglia
Cassazione Civile - Sentenza 24 gennaio 2012, n. 943 - Atti pubblici: la veridicità e l'esattezza delle
dichiarazioni delle parti possono essere accertate e contrastate con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge
Dettaglio documenti
Tribunale Verona, 19 nov 2012 Usura - Determinazione della soglia Modalità -
Utilizzo delle rilevazioni trimestrali della Banca d'Italia sino all'adozione del
regolamento di cui all'art. 2-bis della L. 28 gennaio 2009
Tribunale di Verona
19 novembre 2012
Estensore Andrea Mirenda
Usura - Determinazione della soglia - Modalità - Utilizzo delle rilevazioni trimestrali della Banca d'Italia sino
all'adozione del regolamento di cui all'art. 2-bis della L. 28 gennaio 2009.
La determinazione della soglia dell'usura soggiace alle metodiche di rilevazione fissate dai decreti ministeriali
recettivi delle rilevazioni trimestrali della Banca d'Italia e ciò fino a quando la rilevazione del tasso effettivo
globale medio non seguirà le nuove disposizioni onnicomprensive di cui al secondo comma dell'art. 2-bis della
L. 28 gennaio 2009, n. 2. Da ciò consegue che il dovere di conformarsi, nel calcolo dei tassi, al criterio cd. "all
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inclusive" di cui alla L. 7 marzo 1996, n. 108, è operante esclusivamente per il periodo successivo alla adozione
del regolamento di cui al citato art. 2-bis. (Omissis)
n. 3314/09 R.G.
rilevato che il novellato art. 132 c.p.c. esonera il giudice dal redigere lo svolgimento del processo;
ritenuta la legittimità processuale della motivazione c.d. per relationem (cfr., da ultimo, Cass., n. 3636/2007),
la cui ammissibilità - così come quella delle forme di motivazione c.d. indiretta - risulta oramai definitivamente
codificata dall'art. 16 del D.Lgs. n. 5/2003, recettivo degli orientamenti giurisprudenziali ricordati;
osservato che per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare "concisamente" la sentenza
secondo i dettami di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed
analiticamente tutte le quaestiones sollevate dalle parti, ben potendosi egli limitare alla trattazione delle sole
questioni - di fatto e di diritto - "rilevanti ai fini della decisione" concretamente adottata (1);
che, in effetti, le restanti questioni non trattate non andranno necessariamente ritenute come "omesse" (per
l'effetto dell'error in procedendo), ben potendo esse risultare semplicemente assorbite (ovvero superate) per
incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal giudicante;
richiamato, quindi, il contenuto della citazione volta a far accertare, oltre alla nullità/inefficacia del contratto
di apertura di credito in conto corrente n. 202285 e successivi rinnovi, l'indebito applicazione di interessi,
commissioni, competenze e commissione di massimo scoperto maturati dal 2 gennaio 2004 sul conto corrente
predetto, con la condanna conseguente della convenuta:
a) al risarcimento del danno di euro 65.000,00 per l'illegittima segnalazione alla centrale rischi presso la Banca
d'Italia;
b) alla restituzione della somma di euro 47.138,21 per indebite commissioni di massimo scoperto di cui agli
estratti conto prodotti;
c) infine, al risarcimento del danno per applicazioni di tassi usurari, quantificato in via di equità in euro
60.000,00;
richiamato il contenuto della comparsa di risposta della banca convenuta la quale ha, innanzitutto, prodotto i
documenti da 4 a 12 (vedi doc. in atti), attestanti come la linea di credito concessa all'attore - lungi dall'essere
il risultato di una scelta unilaterale della banca - si fondasse invece sui patti di cui alle lettere-contratto
sottoscritte dal Pz., patti nei quali risultano specificati per iscritto i tassi di interesse applicati come pure la
simmetricità periodica degli interessi attivi/passivi, secondo legge;
osservato, quanto all'eccepito indebito aumento unilaterale dei tassi, come - in primis - la documentazione
versata in atti da ambo le parti dia conto dell'infondatezza del rilievo, per esservi stata, in primo luogo, ogni
volta apposita convenzione ad hoc; in secondo luogo, perché, in fatto, il tasso iniziale (fissato inizialmente
nella percentuale del 13,15%: doc. 4), discese poi, in sede di successivi rinnovi convenzionali, alla minor soglia
del 9% (prima variazione del 15 luglio 2004: doc. 5), per assestarsi quindi definitivamente, in sede di ultimo
rinnovo, al tasso dell'11% (v. doc. in atti);
che, dunque, resta altresì comprovato il carattere tendenzialmente non peggiorativo delle successive
rimodulazione dei tassi praticati, nel rispetto dei principi delineati dalla normativa sulla trasparenza bancaria;
rilevato che non è stata fornita prova alcuna del danno sofferto dall'attore per responsabilità precontrattuale
(qui da diniego di mutuo, al quale, tuttavia, ha fatto seguito non già il temuto credit crunch in suo danno bensì
cospicua apertura di credito in conto corrente) e contrattuale (per illegittima segnalazione del Pz. alla Centrale
Rischi, dovendosi qui ritenere, oltretutto, che la banca abbia adempiuto al preciso dovere di cui all'art. 1 della
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Circolare Banca Italia n. 196/91, in ragione della sensibile posizione creditoria odierna, alla quale conseguiva
necessariamente la segnalazione contestata);
osservato, ancora, come - nella fattispecie in esame - si abbia riguardo a contratto di conto corrente "affidato",
giusta l'apertura di credito di euro 65.000 pacificamente descritta da entrambe le parti;
che, pertanto, ricorre la giustificazione causale dell'applicata commissione (qui operante, a ben vedere, come
"commissione di affidamento", trattandosi di remunerazione per l'obbligo espressamente assunto dalla banca
di tener disposizione dal correntista la provvista ricordata per il periodo convenzionalmente determinato, la cui
astratta validità, in linea di principio, supera anche il severo vaglio repressivo dell'art. 2-bis della L. n. 2/2009,
senza che assuma rilievo il fatto - pure eccepito dall'opponente - che il beneficiario ne abbia fruito in unica
soluzione, non potendo la scelta gestionale del medesimo, chiaramente rimessa alla sua discrezione, incidere
sulla natura del rapporto di affidamento);
osservato, quanto all'eccepito superamento dei tassi soglia (il cui saggio "convenzionale" dichiarato si colloca
sotto la soglia fissata dei vari decreti ministeriali via via emanati nel tempo), come giochi all'evidenza rilievo
essenziale, nella fattispecie concreta in esame, la modalità di calcolo del T.E.G.;
osservato che la consulenza tecnica di parte (in atti), a cui l'attore affida il ricalcolo del T.E.G. onde comprovare
l'avvenuto e ripetuto superamento della soglia di usura, muove dalla deliberata disapplicazione delle note
Istruzioni e rilevazioni trimestrali emanate sul punto dall'Istituto di Vigilanza, ai sensi dell'art. 2, comma 1,
della L. n. 108/96;
che tale intento l'opponente giustifica in diritto con l'applicazione diretta, in via alternativa, del precetto di cui
all'art. 2 cit., ispirato al principio di onnicomprensività e inclusività delle commissioni e remunerazioni "a
qualsiasi titolo" dovute, ai fini della determinazione del tasso di interesse;
osservato, peraltro, che la tesi, pur muovendo da un corretto richiamo della lettera della norma, dimentica
tuttavia di menzionare che la Banca d'Italia, nell'esercizio di quelle rilevazioni trimestrali del tasso effettivo
globale medio "per operazioni della stessa natura" specificatamente contemplate dalla norma di legge
richiamata, non annovera, per quanto qui interessa, la c.m.s. nel saggio del T.E.G. (v. ad es. il par. C5 delle
Istruzioni, versione febbraio 2006), facendola invece oggetto di autonoma rilevazione finalizzata
all'enucleazione di una specifica soglia usuraria ad hoc, all'evidente fine di non omogeneizzare categorie di
interessi pecuniari finanziariamente disomogenei (si pensi, ad es., a quelli che accedono al mutuo fondiario
familiare per l'acquisto della prima casa rispetto a quelli, assai diversi financo sul piano ragionieristico,
derivanti da apertura di credito in conto corrente in favore di impresa commerciale);
che la diversità ontologica della commissione di affidamento dal novero degli "interessi" (ai quali può invece
essere astrattamente ricondotta, in linea di principio, la c.m.s., volta a compensare i c.d. picchi di utilizzo) e la
sua più corretta riconducibilità alla categoria degli "oneri remunerativi" è sottolineata, poi, oltre che da Cass.,
18.1.2006, n. 870, a cui si rinvia per brevità, anche da attenta dottrina che, nel descrivere il sistema ante riforma
ex lege n. 2/2009, precisava come "ostavano al contempo anche ragioni logiche matematiche all'inclusione
della commissione nel T.E.G. Stante la sua configurazione, invero, essa risultava senza dubbio irriconducibile
al primo elemento della formula algebrica di calcolo del tasso effettivo, proposta nelle citate Istruzioni della
Banca d'Italia, ossia agli interessi, giacché rappresentava una variabile del tutto eterogenea rispetto ad essi, tra
l'altro suscettibile di alterarne esponenzialmente la dimensione percentuale, in misura inversamente
proporzionale all'entità della forbice tra questo e la media dell'utilizzo. E parve risultare anche estranea, per
ragioni logiche, al secondo elemento della formula, in quanto gli oneri venivano calcolati in funzione
dell'accordato, mentre la commissione rappresentava una funzione del godimento";
che già questo basterebbe, allora, per evidenziare la fragilità "logica" della tesi avversata, la quale, muovendo
da una interpretazione "monca" dell'art. 2, comma 1, cit. (lì dove afferma apoditticamente il conflitto del modus
operandi della Banca d'Italia con la L. n. 108/96 richiamata, nonostante quella legge esiga la rilevazione
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comparata di "operazioni della stessa natura"), sindaca il rispetto del tasso-soglia legale "all inclusive", facendo
uso, tuttavia, di un parametro - il T.E.G. - che, a torto o a ragione, non contempla, verrebbe fatto di dire
"programmaticamente", alcuni degli oneri accessori che in quel "coacervo" inclusivo l'attore invece immette,
con evidente risultato artificioso per l'illogica eterogeneità dei dati posti a confronto. In definitiva e in altre
parole, per accedere correttamente alla tesi avversata occorrerebbe discostarsi dalle rilevazioni del T.E.G. di
cui ai decreti ministeriali, rivedendolo "in aumento" - attraverso idonea C.T.U. - in forza dell'inclusione in esso
del valore medio nazionale delle c.m.s., per poi comparare i numeri così ottenuti con i tassi "all inclusive"
predicati ex art. 644 c.p. La qual cosa condurrebbe, come acutamente è stato rilevato, al risultato paradossale
" che il tasso soglia effettivo si innalzerebbe per tutti i contratti, rendendo leciti in contratti non bancari, dove
non viene fissata la c.m.s., anche tassi che, esclusa la c.m.s. dal T.E.G., invece, sarebbero stati usurari";
osservato, poi, che a chiudere l'infuocato dibattito giurisprudenziale innescatosi sul tema (2), è giunto l'art. 2-
bis, comma II, ultima parte, della L. n. 2/2009 secondo cui "Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita
la Banca d'Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all'applicazione dell'art. 2, della L. 7 marzo 1996,
n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell'art. 644 del c.p., oltre il quale gli interessi sono
usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto
delle nuove disposizioni (n.b. enfasi dell'estensore)";
osservato, così, come non vi sia margine per dubitare del significato chiarificatorio della disposizione testé
citata, destinata al "traghettamento" - per usare una felice espressione di acuta dottrina - verso il nuovo regime
"all inclusive" introdotto con la prima parte del comma secondo della norma esaminata (recita la norma "2. Gli
interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una
remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del
cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti
ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 del c.c., dell'art. 644 del c.p. e degli artt. 2 e 3 della L. 7 marzo 1996, n.
108."). Il legislatore, invero, nel ridisciplinare con il comma I, dell'art. 2, legge cit., le commissione di
affidamento (o dette in altro modo, commissioni di mancato utilizzo: c.m.u.) e di massimo scoperto (per un
verso, sancendo la nullità delle clausole prive di giustificazione causale in assenza di conto affidato ovvero, in
caso di utilizzo affidato, qualora l'esposizione debitoria del cliente non superi i trenta giorni; per l'altro, per
sintesi sottrattiva, definitivamente codificando la validità delle clausole regolatrici del corrispettivo
dell'affidamento purché predeterminato con patto scritto, omnicomprensivo e proporzionale all'importo e alla
durata di esso e purché siano parimenti predeterminati gli interessi sulle somme effettivamente utilizzate),
affronta, di riflesso (a ciò costretto dal florilegio giurisprudenziale delle liti), l'annoso tema delle modalità di
calcolo della soglia di usura non già, come taluni Autori sembrano ritenere, per legittimare confusamente e
genericamente un indefinito sistema normativo precedente (con esegesi che, ove accolta, finirebbe
paradossalmente per rimpallare ancora una volta sulla giurisprudenza la diatriba sul "quomodo" legale di quel
calcolo), bensì, più semplicemente, per confermare, in via transitoria e pro praeterito, che la soglia usuraria
soggiace alla metodica di rilevazione fissata in precedenza dai decreti ministeriali recettivi delle criticate
rilevazioni trimestrali della Banca d'Italia, fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non
seguirà le nuove disposizioni omnicomprensive di cui all'incipit del 2 comma (3);
ribadita quindi la sicura liceità del calcolo del T.E.G. secondo la disciplina previgente (in senso conf., v. anche
Trib. Napoli, 4.11.2011), non resta che prendere atto del rispetto del tasso-soglia, sia per interessi che per
c.m.s., nel corso del rapporto bancario inter partes, come emerso dalla C.T.U. a tal fine espletata, alla quale
non hanno fatto seguito osservazioni di sorta dei CTP, per l'effetto della confermata esposizione debitoria del
Pz. per complessivi euro 103.689,85 (v. rel. Dott. Aldegheri, depositata il 13.7.2011); va accolta, in pari misura,
la domanda riconvenzionale condannatoria della banca;
possono essere compensate le spese di lite, alla luce delle severe oscillazioni giurisprudenziali in materia, rese
ben evidenti, da ultimo, da Cass. Pen., 19.2.2010, n. 12028, approdata ad esiti interpretativi diametralmente
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opposti a quelli qui raggiunti in punto soglia di usura; le spese di C.T.U., come liquidate, vanno poste
definitivamente, di contro, a carico dell'attore soccombente.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa e respinta, respinge la domanda
dell'attore e, in accoglimento della riconvenzionale della banca convenuta, lo condanna a pagare a Banco
Popolare di Verona la somma capitale di euro 103.689,85; compensa le spese di lite e pone definitivamente a
carico dell'attore le spese di C.T.U., come liquidate.
(1) La conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132, n. 4, c.p.c., e l'osservanza degli artt. 115 e
116,c.p.c., non richiedono che il giudice di merito dia conto dell'esame di tutte le prove prodotte o comunque
acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera
concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione
logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito
disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili
con la soluzione adottata e con l'iter argomentativo seguito.
Cass. Civ., Sez. III, 27 luglio 2006, n. 17145.
Ed ancora, si veda la recentissima Cass. Civ., Sez. II, 4 luglio 2012, n. 11199: 1. - Il Collegio ha deliberato
l'adozione di una motivazione semplificata nella decisione dei ricorsi. L'utilizzo di tale modello - sorto per
esigenze organizzative miranti a dare una risposta all'arretrato della cassazione civile e a contenere i tempi
di trattazione dei procedimenti entro termini di durata ragionevoli, nel rispetto del principio costituzionale
stabilito dall'art. 111 della Costituzione - si giustifica in relazione al fatto che entrambe le impugnazioni,
quella in via principale e quella in via incidentale, non richiedono l'esercizio della funzione nomofilattica:
esse infatti, quando non deducono vizi di motivazione, sollevano questioni la cui soluzione comporta
l'applicazione di principi già affermati in precedenza da questa Corte, e dai quali il Collegio non intende
discostarsi. La motivazione semplificata non è preclusa dalla particolare ampiezza degli atti di parte (111
pagine è la lunghezza del ricorso principale, il controricorso e ricorso incidentale raggiungono le 64 cartelle,
e la memoria illustrativa, meramente iterativa del ricorso principale, è di 36 pagine), perché detta ampiezza
che certamente, pur non ponendo un problema di formale violazione delle prescrizioni formali dettate dall'art.
366 c.p.c., non giova alla chiarezza di tali atti e concorre ad allontanare l'obiettivo di un processo celere, che
esige da parte di tutti atti sintetici, redatti con stile asciutto e sobrio - non è affatto direttamente proporzionale
alla complessità giuridica o all'importanza economica delle questioni veicolate, e si risolve soltanto in una
inutile e disfunzionale sovrabbondanza, infarcita di continui e ripetuti assemblaggi e trascrizioni degli atti
defensionali, delle sentenze dei gradi di merito, delle prove testimoniali, della consulenza tecnica e dei suoi
allegati planimetrici.
(2) Nel corso del quale si sono registrate recenti pronunce della Cassazione penale le cui conclusioni non
paiono, tuttavia, condivisibili in quanto, a sommesso avviso di questo giudicante, prima facie lesive del
principio "nullum crimen sine lege", posto che la norma incriminatrice dell'art. 644 c.p. si implementa
contenutisticamente della "regula" via via enucleata - sempre ex lege n. 108/96, per quanto detto sopra - dai
Decreti Ministeriali di recepimento delle menzionate Rilevazioni dell'Istituto di Vigilanza, sicché l'osservanza,
da parte degli operatori, dei tassi-soglia così individuati deve ritenersi automaticamente rispettosa della norma
penale citata.
(3) Scrive ancora, a conforto, autorevole dottrina che "il richiamo espresso al perdurante valore delle
disposizioni anteriori, per contro, parrebbe sostenuto dall'implicita valutazione di avere viceversa introdotto
una novità regolamentare, di cui sia opportuno evitare ogni applicazione retroattiva".
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Tribunale Brindisi, 9 nov 2012 Usura - danno non patrimoniale - libertà di
autodeterminazione e libertà d'impresa - lesione - configurabilità
Tribunale di Brindisi
9 novembre 2012
Estensore Antonio Ivan Natali.
Usura - danno non patrimoniale - libertà di autodeterminazione e libertà d'impresa - lesione configurabilità
In astratto, l'usura è idonea a determinare un danno non patrimoniale eziologicamente consenguente alla lesione
dei principi costituzionali della libertà di autodeterminazione e della libertà d'impresa.
Usura - danno non patrimoniale - alterazione peggiorativa della qualità della vita - configurabilità Sezioni Unite
del 2008 - danno non patrimoniale - lesione di un interesse costituzionalmente rilevante - necessità.
Se prima dell'avvento delle Sezioni Unite dell'11.11.2008, era pacifica l'affermazione giurisprudenziale
secondo cui il soggetto passivo dei reati di usura e di estorsione subisce un'alterazione del modo di essere, che
configura una alterazione peggiorativa della qualità della vita, obiettivamente apprezzabile, e deve essere
definito in termini di danno esistenziale, distinto sia dal c.d. pretium doloris, sia dal c.d. danno biologico, la
permanente validità di tali conclusioni va, attualmente, vagliata attraverso il "filtro" imposto dalle Sezioni
Unite, attente nell'ancorare la risarcibilità del danno non patrimoniale alla configurazione della lesione di un
interesse costituzionalmente rilevante.
Usura - danno non patrimoniale - capacità di autodeterminazione dell'individuo - lesione configurabilità -
libertà d'impresa - lesione - configurabilità.
È indubbio che il coinvolgimento in una vicenda di usura sia idoneo a pregiudicare, da una parte, la capacità
di autodeterminazione dell'individuo con riguardo alla propria sfera patrimoniale; dall'altra, la libertà
d'impresa, quando la vittima abbia lo status di imprenditore, ponendo tal ultimo nell'incapacità di programmare
liberamente le proprie scelte d'investimento che costituiscono valori costituzionalmente garantiti come
dimostra l'univoco dato testuale sia dell'art. 13 Cost. sia dell'art. 41 Cost. secondo cui "L'iniziativa economica
privata è libera".
Usura - danno non patrimoniale - compressione della libertà d'impresa o libertà di autodeterminazione - danno-
conseguenza - configurabilità.
Il danno, conseguente alla compressione della libertà d'impresa o libertà di autodetermina-zione dell'individuo
con riguardo alla propria sfera patrimoniale - di cui, nella logica del danno-conseguenza - si impone la prova,
non avrà natura necessariamente non patrimoniale.
Usura - prova - impossibilità di ampliare il proprio capitale fisso o di dilatare le dimensioni organizzative
dell'impresa - impossibilità di assicurare una diversa destinazione al proprio capitale allegazione -
ammissibilità.
L'accoglimento della pretesa risarcitoria pre-suppone un adeguato assolvimento dell'onere probatorio da parte
del danneggiato che potrà dedurre e provare, se imprenditore, l'impossibilità di ampliare il proprio capitale
fisso o di dilatare le dimensioni organizzative dell'impresa; se individuo, privo del suddetto status,
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l'impossibilità di assicurare una diversa destinazione al proprio capitale; a tal fine, essendo sufficiente dedurre
fatti (e atti) idonei a dimostrare la suddetta compromissione, allegando, ad esempio, un progetto di
ampliamento della propria impresa, rimasto inattuato oppure una trattativa per la vendita del bene
inesorabilmente naufragata.
Trasferimento immobiliare - nullità per illiceità della causa - configurabilità - nullità virtuale esclusione.
In considerazione della residualità della nullità virtuale, si deve prediligere la tesi della nullità per illiceità della
causa, proprio perché lo schema della compravendita immobiliare viene piegato al fine di un risultato illecito,
ovvero il conseguimento di un'utilità economica usuraia, sub specie del trasferimento immobiliare.
Quadro normativo anteriore alla novella del 1996 - negozio usurario - nullità - configurabilità.
Nella vigenza del quadro normativo anteriore alla novella del 1996, che ha obiettivato il reato di usura,
epurandolo, nella sua fattispecie base da connotati soggettivistici - era già invalsa la prassi di ritenere la nullità
del negozio usurario per illiceità della causa ovvero per contrarietà alla norma imperativa penale (c.d. nullità
virtuale).
Quadro normativo anteriore alla novella del 1996 - negozio usurario - nullità - rescissione del contratto per
lesione - differenze.
Nella vigenza del quadro normativo anteriore alla novella del 1996, l'elemento caratterizzante il delitto di usura
consiste(va) in un comportamento diretto ad operare sulla determinazione della volontà del contraente
bisognoso, a differenza della fattispecie civilistica della rescissione del contratto per lesione, nella quale
elemento sufficiente è la semplice consapevolezza da parte del contraente avvantaggiato di trarre una
sproporzionata utilità economica in conseguenza dello stato di bisogno della controparte.
Sentenza penale di patteggiamento - processo civile - elemento di prova - idoneità - efficacia di giudicato -
esclusione.
La sentenza penale, di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. - per quanto inidonea, non contenendo un
positivo accertamento della responsabilità penale di chi patteggia - ad esplicare efficacia di giudicato nel
processo civile, promosso ai fini del risarcimento del correlato danno costituisce un rilevante elemento di prova
per il giudice di merito, per cui tal ultimo, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, seppur indiziaria,
ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, e
il giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione.
Omissis
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione del 10.12.1998, notificato in data 5-9.2.1999, i coniugi S. - M. convenivano in giudizio,
innanzi a questo Tribunale, M. P. e L. V. G. per sentir dichiarare la nullità del contratto di compravendita,
stipulato in data 27.3.1992 per illiceità della causa, ex art. 1343 c.c., poiché il contratto in oggetto avrebbe
integrato la fattispecie del contratto in frode alla legge, ex art. 1344 c.c., in quanto la "ragione pratica" della
stipulazione del suddetto avrebbe costituito il mezzo per la realizzazione del delitto di usura continuata. Altresì,
i coniugi S. - M., chiedevano dichiararsi che gli immobili appartenevano ad essi coniugi, con ordine di
restituzione in loro favore. Ciò, oltre la condanna dei convenuti al pagamento, in solido, della somma di lire
300.000.000 (trecentomilioni), o di altra somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, a titolo di risarcimento
dei danni sia morali sia patrimoniali subiti dagli stessi; in ultimo, la condanna dei convenuti al pagamento, in
solido, delle spese tutte del giudizio, diritti ed onorari.
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Deducevano i coniugi S. - M. che il trasferimento dell'immobile era stato effettuato in favore di P. M. a causa
delle continue richieste minacciose ed usurarie da parte delle sigg.re L. V. G. e V. M. R., rispettivamente madre
e nonna di P. M.
Si costituivano in giudizio P. M. e G. L. V. i quali impugnavano e contestavano tutto quanto ex adverso dedotto
perché destituito di ogni fondamento in fatto ed in diritto, chiedendo il rigetto delle domande degli attori con
vittoria di spese di diritti ed onorari del giudizio.
Deducevano i convenuti che la domanda, oltre che infondata, era inammissibile per l'insussistenza dei
presupposti previsti dalla legge e, soprattutto, per l'insussistenza del rapporto sottostante con cui si intendeva
giustificare la domanda stessa.
Deducevano, in particolare che, se un rapporto vi era stato, questo aveva riguardato solo la Sig.ra M. R. V. e
S. D.
La domanda, così come proposta, è fondata in parte qua.
Invero, l'assunto degli attori risulta suffragato dalla sentenza di patteggiamento n. 397/94 emessa ex art. 444 e
segg. c.p.p. in danno di L. V. G., nonché dal decreto n. 16/96, in atti, applicativo della Misura di Prevenzione
Patrimoniale della confisca nei confronti di L. V. G., emesso dal Tribunale di Brindisi, III Sez. Penale, e
confermato dalla Corte di Appello di Lecce.
Come noto, la sentenza penale, di applicazione della pena, ex art. 444 c.p.p. - per quanto inidonea, non
contenendo un positivo accertamento della responsabilità penale di chi patteggia - ad esplicare efficacia di
giudicato nel processo civile, promosso ai fini del risarcimento del correlato danno costituisce un rilevante
elemento di prova per il giudice di merito. Tal ultimo, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, seppur
indiziaria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente
responsabilità, e il giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione. La "negoziazione" della pena,
pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione, assistita dall'efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato
come prova nel giudizio in sede civile (Cass., 21.3.2003, n. 4193; nello stesso senso 10.11.1998, n. 11301;
24.2.2001, n. 2724; 19.12.2003, n. 19505; 5.5.2005, n. 9358; 30.9.2005, n. 19251; 26.10.2005, n. 20765; cfr.,
inoltre, Cass., 9.10.2000, n. 13425, secondo cui è, altresì, lecito argomentare, ai fini della formazione del
convincimento giudiziale, dai motivi che hanno spinto l'imputato a chiedere il patteggiamento, e ciò anche per
pervenire all'accertamento (positivo) della responsabilità: tale operazione logica rappresenta una valutazione
esteriore agli atti del procedimento penale e costituisce uno degli elementi di convincimento dell'autonomo
giudizio civile).
D'altronde, sotto altro e più generale profilo, il giudice civile può trarre argomenti di prova, idonei a giustificare
il giudizio di colpevolezza in sede civile, da tutti gli elementi in suo possesso, compresi gli atti che provengano
dal procedimento penale e, nel novero di questi, sono includibili anche le dichiarazioni rese, in sede penale,
nel corso delle indagini preliminari, ancorché non confermate in sede dibattimentale. Ciò, con l'unico limite
che la condanna potrà fondarsi su indizi gravi, precisi e concordanti (Cass. Penale, n. 8957/2007, Mass. 3/2008)
Tali devono considerarsi anche quelle cui fa espresso riferimento il decreto n. 16/96, applicativo della Misura
di Prevenzione Patrimoniale della confisca in danno di L. V. G.
Orbene, dalle suddette dichiarazioni, rese da una pluralità di persone, tra le quali anche gli attori, sembrerebbe
doversi desumere, con ragionevole probabilità di approssimarsi alla verità storica, che la L. abbia esercitato
attività di usura anche in danno del S.
Ed, in tale contesto storico fattuale, appare verisimile che i coniugi S. - M. siano stati costretti a tacitare la
propria creditrice, a condizioni particolarmente gravose, tanto da essere costretti a privarsi, in favore del di lei
figlio, di un cespite patrimoniale di valore apprezzabile, come desumibile dalla stessa descrizione fisica del
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bene di cui al rogito di compravendita. D'altronde, le stesse parti hanno, in sede di stipula, valutato il bene de
quo nella misura di lire 110.000.000, (quale corrispettivo previsto, ma non, effettivamente, versato).
Dunque, deve ritenersi integrato, perché, in re ipsa, il requisito richiesto per l'integrazione del reato di usura
prima della novella del 1996 e consistente nell'approfittamento, da parte dell'autore della condotta criminosa,
dello stato di bisogno della vittima, da intendersi quale situazione, che limiti la volontà del soggetto, il quale,
scende a compromessi, per accettare di contrattare in condizioni di inferiorità psichica.
D'altronde, le minacce che gli attori dichiarano essere loro indirizzate - e che rappresentano circostanza
sintomatica di una condotta tesa a sfruttare le condizioni di bisogno della vittima di una vicenda di usura - ,
per quanto non supportate da dichiarazioni di testi, appaiono verisimili, in considerazione della particolare
natura del reato de quo che, spesso, si sottrae, per la sua stessa essenza, alla percezione diretta di soggetti terzi.
D'altronde, come evincibile dalle risultanze istruttorie, M. P. ha ammesso di non aver corrisposto alcuna somma
ai coniugi S. - M. in occasione della stipula del contratto di compravendita, in quanto, illo tempore, privo di
un'occupazione stabile.
Per contro, l'assunto, relativo all'estinzione di vincoli ipotecari pregressi sull'immobile - per quanto non privo
di riscontri nelle dichiarazioni testimoniali e nelle stesse risposte rese dagli attori, a seguito di interrogatorio
formale, da cui emerge la consegna di assegni in favore del rappresentante di una finanziaria o banca - parrebbe
smentito dallo stesso dato testuale del contratto di compravendita.
Vi si legge, testualmente: ''... I venditori in solido garantiscono la proprietà, disponibilità ipotecaria di quanto
venduto..... Vi gravano le seguenti iscrizioni a) n. 586 iscrizione a favore dell'Istituto Finanziario Edilizia
Finance ... b) n. 939 iscrizione a favore dello stesso Istituto c) n. 1126 in favore del Monte Paschi d) n. 916
iscrizione a favore della Banca Tamborrino San Giovanni ... Le relative cancellazioni sono parte in corso e per
il resto vanno curate nei tempi tecnici indispensabili a spese del sig. S.. La presente vendita si effettua per il
prezzo di centodiecimilioni''.
Peraltro, se anche provata, la suddetta circostanza avvantaggerebbe, pur sempre, non solo il debitore-alienante,
ma anche l'acquirente (ovvero il M.), soggetto al diritto di sequela dei creditori ipotecari.
Per quanto concerne la dedotta tacitazione di altre pretese creditorie, vantate da terzi, nei confronti del S., deve
precisarsi che, per stessa ammissione della convenuta (cfr. comparsa di risposta), le stesse sarebbero,
comunque, di importo apprezzabilmente inferiore (38.500.00 più 23.550.000 per complessivi 62.050.000),
rispetto al prezzo dell'immobile, quale convenuto inter partes (110.000.000).
Orbene, sostengono gli attori che il contratto stipulato in data 27.3.1992 sarebbe nullo per illiceità della causa
ex art. 1343 c.c., poiché la "ragione pratica" del contratto imposto ai coniugi S. - M. si sarebbe sostanziato
nella consumazione del reato.
L'assunto è fondato.
Come noto - nella vigenza del quadro normativo anteriore alla novella del 1996 che ha obiettivato il reato di
usura, epurandolo, nella sua fattispecie base da connotati soggettivistici - era già invalsa la prassi di ritenere la
nullità del negozio usurario per illiceità della causa ovvero per contrarietà alla norma imperativa penale (c.d.
nullità virtuale).
Ovviamente, il rimedio radicale della nullità, non poteva prescindere dal preventivo accertamento di tutti gli
elementi costitutivi del reato di usura.
Invero, ritiene questo Giudice che possano essere superate le obiezioni, da taluni mosse, all'individuazione di
tale radicale forma rimediale.
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Si sosteneva, infatti, che la nullità - ed, in particolare, la nullità di tipo virtuale - mal si sarebbe conciliata con
la scelta dello stesso legislatore penale di non criminalizzare l'accordo in sé, ma la condotta, abusiva dell'altrui
libertà negoziale che veniva conculcata in una situazione fattuale in cui la stessa non aveva modo di
estrinsecarsi liberamente, in considerazione dello stato di bisogno in cui versava la vittima dell'usura.
Al fine di inquadrare la suddetta fattispecie, si ricorreva alla figura del c.d. "reato in contratto", quale categoria
qualificatoria distinta dai c.d. "reati - contratto" in cui il disvalore è rappresentato dalla pattuizione in sé e dal
suo concreto contenuto, non rilevando la condotta tenuta dalle parti, in sede di formazione o di esecuzione del
contratto.
Orbene, si affermava, la nullità virtuale poteva operare non per qualunque violazione di norma imperativa,
qual è quella penale, ma solo quando il contrasto con il precetto inerisse lo specifico regolamento di interessi
convenuto inter partes, e, quindi, solo in relazione ai "reati - contratto" e tale non era, appunto, la negoziazione
patrimoniale, conseguente all'usura.
Inoltre, e anche tale argomentazione veniva addotta al fine di escludere l'applicabilità della nullità virtuale -
strumento strutturalmente residuale -, il legislatore del 1942 aveva espressamente previsto l'azione generale di
rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. e ciò al fine di individuare le conseguenze civilistiche dell'usura
"negoziale".
Invero, come pure ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, tali argomentazioni non sono decisive al fine di
escludere la nullità, ove si consideri che "l'elemento caratterizzante il delitto di usura consiste(va) in un
comportamento diretto ad operare sulla determinazione della volontà del contraente bisognoso, a differenza
della fattispecie civilistica della rescissione del contratto per lesione, nella quale elemento sufficiente è la
semplice consapevolezza da parte del contraente avvantaggiato di trarre una sproporzionata utilità economica
in conseguenza dello stato di bisogno della controparte (Cass. Civile, Sez. I, 22.1.1997, n. 628). In particolare,
si affermava che l'ipotesi delittuosa contemplata dal previgente art. 644 c.p. (usura) - che contempla quale
elemento costitutivo quello stesso approfittamento dell'altrui stato di bisogno che è requisito della fattispecie
civilistica della rescissione del contratto per lesione (art. 1448 c.c.) - presuppone la pretesa, sia pure soltanto
implicita, del vantaggio usurario da parte dell'agente (si ha usura quando taluno "si fa" dare o promettere un
immodico vantaggio, quando, cioè, si adoperi attivamente per ottenerlo).
Per contro, la norma civilistica, più ampia, non richiede come necessario un comportamento diretto ad operare
sulla determinazione della volontà del contraente bisognoso, ma valuta, come sufficiente all'effetto giuridico
rescissorio, anche la mera consapevolezza, da parte del contraente avvantaggiato, di trarre dalla stipulazione
del contratto una immoderata utilità economica, grazie allo stato di bisogno della controparte.
Da ciò il delinearsi di due diverse ipotesi: il contratto rescindibile in virtù della consapevolezza dello stato di
bisogno della controparte e il contratto nullo perché il destinatario dell'attribuzione patrimoniale abbia
approfittato della suddetta condizione materiale e psicologica del disponente.
Orbene, data l'attività di coercizione posta in essere perché si addivenisse alla vendita dell'immobile, nonché i
peculiari contenuti della contrattazione ed, in particolare, l'assenza di un corrispettivo, versato, ad opera dei
convenuti, si deve ritenere provato quell'approfittamento dello stato di bisogno che è elemento qualificante
l'usura e che consente di differenziare tale fattispecie, nella sua previgente formulazione, sotto il profilo
soggettivistico, dalla mera rescindibilità del contratto.
In ultimo, proprio in considerazione della residualità della nullità virtuale, si deve prediligere la tesi della nullità
per illiceità della causa, proprio perché, nella fattispecie concreta, lo schema della compravendita immobiliare,
in sé lecito, è stato piegato al fine di un risultato illecito, ovvero il conseguimento di un'utilità economica
usuraia, sub specie del trasferimento immobiliare de quo. Trasferimento volutamente, operato nei confronti di
un soggetto, di per sé, estraneo alla vicenda di usura.
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I danni risarcibili
In astratto, l'usura è idonea a determinare un danno non patrimoniale eziologicamente consenguente alla lesione
dei principi costituzionali della libertà di autodeterminazione e della libertà d'impresa.
Nondimeno, se prima dell'avvento delle Sez. Unite dell'11.11.2008, era pacifica l'affermazione
giurisprudenziale secondo cui: "il soggetto passivo dei reati di usura e di estorsione subisce un'alterazione del
modo di essere, che configura una alterazione peggiorativa della qualità della vita, obiettivamente
apprezzabile, e deve essere definito in termini di danno esistenziale, distinto sia dal c.d. pretium doloris, sia
dal c.d. danno biologico" (Tribunale Milano, del 18.3.2002), la permanente validità di tali conclusioni va,
attualmente, vagliata attraverso il "filtro" imposto dalla suddetta pronuncia.
A tal riguardo, sovviene proprio l'applicazione dei principi enucleati dalle Sezioni Unite, attente nell'ancorare
la risarcibilità del danno non patrimoniale alla configurazione della lesione di un interesse costituzionalmente
rilevante.
Orbene, è indubbio che il coinvolgimento in una vicenda di usura sia idoneo a pregiudicare, da una parte, la
capacità di autodeterminazione dell'individuo con riguardo alla propria sfera patrimoniale; dall'altra, la libertà
d'impresa, quando la vittima abbia lo status di imprenditore, ponendo tal ultimo nell'incapacità di programmare
liberamente le proprie scelte d'investimento.
Ciò premesso, le libertà de quibus costituiscono valori costituzionalmente garantiti come dimostra l'univoco
dato testuale sia dell'art. 13 Cost. sia dell'art. 41 Cost. secondo cui "L'iniziativa economica privata è libera".
Né é idonea a infirmare la validità del predetto assunto, così come l'assolutezza dei suddetti valori, la
circostanza che tali libertà incontrino dei limiti al loro esercizio; non potendosi, ad esempio, la libertà d'impresa
svolgere "in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana".
Ciò in quanto i limiti posti all'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito trovano la propria ragion di
essere nella circostanza che lo stesso - per quanto di rango primario e incomprimibile nel suo nocciolo duro -
interagisce con un sistema valoriale che, spesso, ne necessita un temperamento.
Quanto alla natura del danno risarcibile, i beni de quibus - inerendo alla sfera personale e organizzatoria
dell'imprenditore e del semplice individuo - non hanno una valenza, almeno, direttamente, patrimoniale, non
costituiscono un cespite integrativo della sfera patrimoniale ed economica del danneggiato.
Nondimeno, il danno, conseguente alla compressione della libertà d'impresa o libertà di autodeterminazione
dell'individuo con riguardo alla propria sfera patrimoniale, non avrà natura necessariamente non patrimoniale.
È ovvio che l'accoglimento della pretesa risarcitoria presuppone un adeguato assolvimento dell'onere
probatorio da parte del danneggiato che potrà dedurre e provare, se imprenditore, l'impossibilità di ampliare il
proprio capitale fisso o di dilatare le dimensioni organizzative dell'impresa; se individuo, privo del suddetto
status, l'impossibilità di assicurare una diversa destinazione al proprio capitale.
A tal fine, sarà sufficiente dedurre fatti (e atti) idonei a dimostrare la suddetta compromissione, allegando, ad
esempio, un progetto di ampliamento della propria impresa, rimasto inattuato oppure una trattativa per la
vendita del bene inesorabilmente naufragata.
Orbene, nel caso di specie, gli attori, che, illo tempore, non risultavano rivestire la qualità di imprenditore,
omettono anche solo di allegare un qualsiasi pregiudizio (diverso dall'alienazione del proprio immobile)
conseguente all'essere stati vittime di una vicenda di usura.
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Danno non patrimoniale, come danno morale.
Per contro, nel caso di specie, in conseguenza della natura criminosa dell'usura, deve riconoscersi in capo agli
attori un danno morale quale pretium doloris, consistente nei patemi d'animo, nelle sofferenze e nei turbamenti,
eziologicamente riconducibili alla vicenda usuraia, almeno secondo un criterio di valutazione che è quello
basato sull'id quod plerunque accidit, ovvero sulla considerazione della comune esperienza.
La riconducibilità della fattispecie concreta a quella sequenza naturale di eventi che è data da usura-sofferenza
morale consente di presumere la ricorrenza nel caso di specie del suddetto pregiudizio morale che, come
ricordato, dalle Sezioni Unite del 2008, prescinde, nell'ipotesi di reato, dalla violazione di un diritto della
persona costituzionalmente garantito.
Per quanto concerne il quantum di tali danni, si ritiene opportuno liquidare, in via equitativa, euro 5.000, in
favore di ciascuno degli attori.
Ciò, considerato, in particolare, il tempo decor-so dal trasferimento del dominium, e dalla correlata spoliazione
patrimoniale degli attori, nonché il peculiare contesto fattuale della vicenda de qua.
L'equità calibrata
A tale esito liquidatorio si perviene anche facendo applicazione del criterio dell'equità calibrata in luogo del
c.d. criterio equitativo "puro", che rinviene la propria legittimazione nell'art. 1226 c.c.; norma applicabile anche
in materia di illecito aquiliano per effetto dell'espresso richiamo operato al suddetto dall'art. 2056 c.c. al fine
delinea lo statuto della responsabilità da illecito extracontrattuale.
Infatti, il criterio equitativo puro, in assenza di criteri uniformi che concorrano alla determinazione della base
risarcitoria, si presta, tendenzialmente, a soluzioni risarcitorie che sono condizionate essenzialmente dalla
sensibilità del Magistrato.
Da ciò, la necessità di indispensabili correttivi.
In particolare, una dottrina autorevole propone lo strumento dell'equità calibrata. Poiché il criterio equitativo
si offre a soluzioni risarcitorie così disparate, il Giudice, a fronte della singola fattispecie concreta, deve avere
contezza dei precedenti giurisprudenziali, riferiti alle singole patologie di danno non patrimoniale portate
all'esame dei magistrati; e, sulla base di questi precedenti giurisprudenziali, secondo una sorta di ideale scala
di valori, dovrebbe "procedere a una modulazione proporzionale, ma sempre in senso equitativo del danno".
Per cui, se, a fronte della lesione del diritto a intrattenere relazioni sessuali, si risarciscono X mila euro, a fronte
della lesione del diritto a intrattenere il rapporto parentale col congiunto defunto quale ipotesi
significativamente più grave di lesione di diritti della personalità - si dovrebbe liquidare un'entità economica
apprezzabilmente superiore.
Quindi, l'interprete, in sostanza, secondo la tesi dell'equità calibrata, deve avere presenti quelli che sono i
precedenti giurisprudenziali relative alla singole ipotesi di danno non patrimoniale risarcibile, e poi, in
considerazione di questi precedenti, modulare concretamente il risarcimento in relazione alla fattispecie portata
alla sua attenzione.
Orbene, proprio avuto riguardo alle misure risarcitorie riconosciute a fronte di pregiudizi non patrimoniali di
rango inferiore (si pensi al danno morale derivante da lesioni di lieve enti-tà o a quello riconducibile ad
un'ipotesi di diffamazione, a mezzo stampa), nonché a fronte di eventi lesivi del tipo di quello dedotto in
giudizio, si ritiene equa la riparazione economica accordata nel caso di specie.
Le spese - liquidate come da dispositivo - seguono la soccombenza della L.
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Per contro, costituisce argomento valorizzabile ai fini della compensazione del spese nei riguardi del M., la
sua sostanziale estraneità ai fatti di causa, quale riconosciuta, invero, dagli stessi attori.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da M. M. e D. S., nei confronti di G. L. V.
e P. M., così provvede:
a) dichiara la nullità del contratto di compravendita stipulato in data 27.3.1992 per illiceità della causa ex art.
1343 c.c.;
b) dichiara che i beni meglio specificati in atti e nell'atto introduttivo appartengono e sono di proprietà dei
coniugi S. - M.;
c) ordina la restituzione degli immobili sopradetti nella sfera di proprietà dei coniugi S. - M., quali legittimi
proprietari;
d) condanna la sig.ra V. L. G. al pagamento della somma, a titolo di risarcimento danno morale, di euro 5.000,
in favore di ciascuno degli attori;
e) condanna la sig.ra L. V. G. al pagamento, in delle spese tutte del presente giudizio - liquidate in complessivi
Euro 3.800,00, oltre Iva e Cap come per legge;
f) spese compensate fra gli attori e il M.
Tribunale Novara n.650, 1 ott 2012 Contratto bancario - Anatocismo
Applicazione in un contratto concluso anteriormente all'entrata in vigore della
Delibera CICR 9.2.2000, art. 7 - Condizioni
Tribunale di Novara
1° ottobre 2012, n. 650
Contratto bancario - Anatocismo - Applicazione in un contratto concluso anteriormente all'entrata in vigore
della Delibera CICR 9.2.2000, art. 7 - Condizioni.
Contratto bancario - Commissione di massimo scoperto - Ipotesi - Giustificazione causale - Condizioni
Insussistenza.
Contratto Bancario - Valuta - Determinatezza - Iniziativa - Clausola usi piazza - Inidoneità.
Contratto bancario - Versamenti in conto indebiti - Azione di ripetizione - Disciplina - prescrizione.
Contratto bancario - Versamenti in conto indebiti - Azione di ripetizione - Prescrizione - Onere della prova.
Contratto bancario - Versamenti in conto indebiti - Azioni di ripetizioni - Prescrizione - Interruzione della
prescrizione.
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Per il periodo successivo al 22.4.2000 (entrata in vigore della Delibera CICR), non può ritenersi sufficiente, ai
fini dell'adeguamento dei contratti in essere alla nuova normativa in materia di anatocismo di cui all'art. 120
T.U.B., la semplice pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
La commissione di massimo scoperto è priva di idonea giustificazione causale quando viene calcolata sul
massimo importo utilizzato dal correntista sia intra che extra fido, poiché non vi è l'applicazione di una
fattispecie concreta. Lo stesso è da dirsi anche quando la detta commissione viene applicata sulla parte di fido
accordata ma non utilizzata, come tale non coperta dalla rimuneratività degli interessi.
Non rispetta i requisiti della necessaria determinatezza dell'oggetto del contratto e delle relative pattuizioni la
clausola per cui le valute sono applicate secondo gli usi abitualmente praticati sulla piazza.
In seguito alla dichiarazione di illegittimità della Corte Costituzionale dell'art. 2, comma 61, L. 26.2.2011, n.
10, il dies a quo della prescrizione dell'azione di ripetizione di indebiti versamenti in conto decorre, per i
versamenti intrafido, dalla data di chiusura del conto.
È onere della banca, che eccepisce l'intervenuta a prescrizione dell'azione di ripetizione di indebiti versamenti
in conto, dimostrare che tali versamenti siano intervenuti extrafido.
L'atto di costituzione in mora, interruttivo del corso della prescrizione, non richiede di necessità la
quantificazione del credito relativo (che potrebbe anche essere non determinato, ma solo determinabile).
Il Giudice dott.ssa Simona GAMBACORTA in funzione di Giudice Unico ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 502/2011 di R.G. promossa da:
PINO LEGNAMI S.r.l. in liquidazione (già PINO LEGNAMI S.p.A.) elettivamente domiciliata in Novara,
Corso Cavallotti n. 11 presso lo studio dell'Avv. Simona Maruccio che la rappresenta e difende unitamente
all'Avv. Giuseppe Cuppone del Foro di Lecce come da delega a margine dell'atto di citazione;
parte attrice
contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.p.A. elettivamente domiciliata in Novara, via Magnani Ricotti
n. 10 presso lo studio dell'Avv. Maurizio Calderini, rappresentata e difesa dall'Avv. Riccardo Rossetto del Foro
di Torino in forza di procura in calce all'atto di citazione notificato;
parte convenuta
***
Oggetto: contratti bancari - ripetizione di indebito
***
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Per parte attrice: Voglia l'On.le Tribunale adito, respinta ogni altra istanza:
1. ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 1418
c.c., relativa alla determinazione ed applicazione degli interessi debitori con riferimento alle condizioni
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usualmente praticate dalle Aziende di credito sulla piazza e, per l'effetto, DICHIARARE la inefficacia
degli addebiti in c/c per interessi ultralegali applicati nel corso degli interi rapporti e l'applicazione in via
dispositiva, ai sensi dell'art. 1284, comma 3, c.c., degli interessi al saggio legale tempo per tempo vigente
2. ACCERTARE E DICHIARARE la violazione da parte della Banca convenuta dell'art. 118 T.U.B. nonché
delle regole di correttezza e buona fede nella esecuzione del complesso rapporto di conto corrente
intercorso con la società attrice, con ogni conseguenza sulla ripetibilità dell'indebito percetto e per l'effetto
escludere ogni forma di remunerazione ultralegale
3. ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1283, 2697 e 1418 c.c.,
relativa alla capitalizzazione trimestrale di interessi, competenze, spese ed oneri applicata nel corso dei
rapporti oggetto di causa e, per l'effetto, DICHIARARE la inefficacia di ogni e qualsivoglia
capitalizzazione di interessi;
4. ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1325 e 1418, degli
addebiti in c/c per non convenute commissioni sul massimo scoperto trimestrale; comunque prive di causa
negoziale;
5. ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 1418
c.c., degli addebiti di interessi ultralegali applicati nel corso dell'intero complesso rapporto sulla differenza
in giorni - banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta; nonché
per mancanza di valida giustificazione causale;
6. ACCERTARE e DICHIARARE, per effetto della declaratoria di parziale nullità del rapporti impugnati,
previa rettifica del saldo contabile, l'esatto dare-avere tra le parti dei rapporti sulla base della
riclassificazione dei medesimi, escludendo tutte le voci di costo non pattuite e/o applicate in misura
ultralegale;
7. DETERMINARE il Tasso Effettivo Globale (T.E.G.) degli indicati rapporti bancari;
8. ACCERTARE e DICHIARARE, previo accertamento del Tasso Effettivo Globale, la nullità e l'inefficacia
di ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni, e competenze per
contrarietà al disposto di cui alla L. 7.3.1996, n. 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo
trimestrale di riferimento, con ogni conseguenza ex art. 1815 c.c.;
9. per l'effetto delle suddette violazioni, CONDANNARE la convenuta banca, previa rettifica del saldo finale,
alla restituzione della somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre agli interessi legali creditori e
rivalutazione monetaria, in favore dell'istante società, prudentemente quantificate in € 213.766,54, oltre
spese di CTP, salvo la maggior o minor somma accertata in corso di causa, oltre gli interessi legali a far
data dalla costituzione in mora;
10. CONDANNARE la banca convenute al risarcimento dei danni patiti dagli attori, in relazione agli artt.
1337, 1338, 1366, 1376 c.c., da determinarsi in via equitativa;
11. CONDANNARE la banca convenuta ex art. 96 c.p.c.
12. CONDANNARE in ogni caso la parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio
con distrazione in favore dei sottoscritti procuratori antistatari.
IN VIA ISTRUTTORIA
CHIEDE, anche ai sensi dell'art. 210 c.p.c. e 119 del T.U.B., che l'Ill.mo Sig. G.I. voglia:
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ORDINARE alla convenute di esibire tutti gli estratti conto relativi all'intera apertura di credito intercorsa fra
le parti, ciò con ogni conseguenza sia alla prova di quanto infondatamente richiesto sia sull'entità del saldo
iniziale da cui dovrà iniziare la C.T.U., oltre che tutti i contratti di apercredito inutilmente richiesti in via
stragiudiziale
13. DISPORRE perizia contabile (C.T.U.) avente per oggetto i seguenti quesiti: "con riferimento ai rapporti
diapertura di credito mediante affidamento con scopertura sui c/c impugnati, a) CALCOLARE la durata
solare dell'intera apertura di credito tre le parti in causa; b) CALCOLARE la scopertura media in linea
capitale; c) CALCOLARE il tasso di interesse effettivo globale medio annuo con riferimento ai periodi
trimestrali di rilevazione del c.d. tasso - soglia secondo i criteri dettati esclusivamente dalla L. n. 108/1996
ed art. 644 c.p.; d) DETERMINARE l'effettivo dare - avere sino alla data di esecuzione della C.T.U.,
aggiungendo al capitale effettivamente erogato nel tempo dalla banca i soli interessi al tasso legali; e)
determinare per l'effetto l'ammontare delle competenze indebitamente applicate agli impugnasti rapporti".
Per parte convenuta: In via preliminare:
- dichiarare l'intervenuta prescrizione del diritto alla ripetizione degli interessi passivi e di altre competenze
per i motivi indicati in narrativa;
- dichiarare la prescrizione del diritto al risarcimento dell'asserito danno per i motivi indicati in narrativa;
- dichiarare l'inammissibilità della domanda di restituzione degli interessi passivi e di altre competenze per i
motivi indicati in narrativa.
Nel merito in via principale:
- respingere tutte le domande ex adverso proposte a qualunque titolo nei confronti della Banca Monte dei
Paschi di Siena S.p.A.
In ogni caso, con il favore delle spese, diritti ed onorari di causa oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali
come per legge.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Fatto
Pino Legnami S.p.A. - oggi Pino Legnami S.r.l. in liquidazione - ha convenuto in giudizio la banca Monte dei
Paschi di Siena S.p.A. esponendo di aver intrattenuto con la stessa un rapporto di conto corrente con relativa
scopertura ed una serie di conti anticipi.
In relazione a tali rapporti, ha lamentato l'addebito, da parte della banca, di interessi e competenze non dovuti
perché discendenti da clausole contrattuali a vario titolo nulle, in particolare: interessi ultralegali indeterminati,
interessi anatocistici contrastanti con il divieto posto dall'art. 1283 c.c., commissioni di massimo scoperto non
pattuite e comunque prive di causa, "giorni valuta" non pattuiti, interessi usurari.
La banca si è costituita in giudizio, eccependo in via preliminare la prescrizione dei diritto alla ripetizione delle
somme addebitate sui conti in questione, trattandosi di rapporti sorti anteriormente al 1992. Nel merito ha
contestato le avverse doglianze.
La causa è stata trattenuta in decisione sull'eccezione preliminare di prescrizione ai sensi dell'art. 187, comma
2, c.p.c.
Interessi ultralegali
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Sebbene la causa sia stata trattenuta in decisione in ordine all'eccezione di prescrizione dell'azione di
ripetizione, la causa appare matura anche per la decisione sulle domande di nullità proposte da parte attrice.
Pertanto, avendo queste carattere preliminare rispetto alla domanda di ripetizione, appare opportuno
cominciare la trattazione proprio dalle domande di nullità contrattuale.
Preliminarmente, deve rilevarsi che la non esatta coincidenza tra le conclusioni rassegnate da parte attrice
nell'atto di citazione e nella prima memoria non si sostanzia in una mutatio libelli, come asserito da parte
convenuta.
L'incongruenza, infatti, è di carattere meramente lessicale, restando inalterato il contenuto sostanziale delle
domande, che rimane in linea con la causa petendi delineata nell'atto introduttivo.
Ciò premesso, é pacifico che tra le parti sia intercorso un rapporto di conto corrente contraddistinto con il n.
9337/L, chiuso con ultima operazione recante valuta 19.9.2000, ed una serie di conti anticipi, anche questi già
chiusi al momento della proposizione della domanda.
Parte attrice ha innanzitutto lamentato l'applicazione, nei conti in esame, di interessi ultralegali non pattuiti per
iscritto e comunque indeterminati, con conseguente nullità del relativi addebiti ai sensi degli artt. 1284, comma
3, 1346 e 1418, c.c.
La doglianza è fondata.
Non risulta agli atti, infatti, alcun documento contrattuale che contenga la pattuizione di interessi e delle altre
condizioni applicate al conti impugnati, fatta eccezione per le condizioni generali di contratto prodotte da parte
attrice come doc. 2.
Parte convenuta non ha efficacemente contestato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 115 c.p.c., che tale documento
contenesse la disciplina uniforme applicata al contratto di conto corrente oggetto di contenzioso, sicché la
circostanza deve ritenersi provata.
Il documento in esame, in punto interessi, rimanda alle "condizioni praticate usualmente dalle banche sulla
piazza".
La giurisprudenza si è costantemente pronunciata in ordine alla inidoneità di clausole siffatte ad integrare il
requisito di determinabilità dell'oggetto del contratto e a soddisfare il requisito della forma scritta richiesto
dall'art. 1284, comma 3, c.c., in quanto prive della necessaria univocità attraverso il richiamo a criteri
prestabiliti ed obiettivamente individuabili.
Tale orientamento è pienamente condiviso da questo Giudice, sicché deve essere pronunciata la nullità della
clausola contrattuale in esame, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1284, comma 3, 1346, 1418, comma
II, c.c., per ciò che concerne il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria (è
rimasta incontestata l'affermazione di parte attrice che si tratti di rapporti sortì anteriormente alla riforma del
1992). Per il periodo successivo al 9.7.1992, invece, dovendo la banca adeguarsi alla nuova normativa, (cfr.
tra tante Cassazione, Sez. I, n. 2871 del 9.2.2007), la nullità discende dalle previsioni dell'art. 4 L. n. 154/1992
poi trasfuso nell'art. 117 T.U.B.
Parte attrice, sempre in tema di interessi, ha lamentato altresì la violazione dell'art. 118 T.U.B. che disciplina
lo ius variandi nonché l'applicazione, da parte della banca, di interessi diversi da quelli comunicati.
La doglianza, ad avviso di questo Giudice, può ritenersi assorbita dalla precedente statuizione di nullità, infatti,
a fronte della nullità della clausola relativa agli interessi, verrà chiesto al C.T.U. di ricalcolare l'andamento del
rapporto facendo applicazione dell'interesse legale ex art. 1284 c.c. ovvero dell'interesse ex art. 117 T.U.B., a
seconda dell'epoca delle annotazioni, il che priva di concreta utilità l'accertamento circa l'arbitraria variazione
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del tasso di interesse, in quanto l'interesse legale ovvero l'interesse ex art. 117 T.U.B. sarebbero in ogni caso
più favorevoli per la correntista.
Anatocismo
Parte attrice ha inoltre lamentato l'addebito di interessi composti, discendenti dalla capitalizzazione trimestrale
dei rapporti.
Come è noto, la tematica in analisi è stata oggetto, in passato, di numerose e contrastanti interpretazioni
giurisprudenziali.
L'incertezza che ne era generata può dirsi, tuttavia, superata, da quando sono intervenute le Sezioni Unite della
Cassazione. Il riferimento è, in particolare, alla sentenza n. 21095 del 4.11.2004, che, in considerazione della
declaratoria di incostituzionalità dell'art. 25, comma 3, D.Lgs. n. 342/1999, ha definitivamente sancito la nullità
delle clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi pattuite anteriormente alla Delibera CICR 9.2.2000,
per violazione dell'art. 1283 c.c., perché basate su un mero uso negoziale, e non normativo; e alla sentenza n.
24418 del 2.12.2010, che ha risolto il contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine alle conseguenze della
declaratoria di nullità della clausola anatocistica, affermando che la ricostruzione del rapporto di conto corrente
deve essere effettuata senza operare capitalizzazione alcuna.
In ottemperanza ai principi enunciati, deve quindi essere dichiarata la nullità della clausola contrattuale
(contenuta nelle condizioni generali di contratto) che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi,
con la conseguenza che al C.T.U. verrà chiesto di esaminare qualsiasi capitalizzazione degli interessi.
Ciò con riferimento all'intera durata del rapporto, e quindi anche per il periodo successivo al 22.4.2000 (data
di entrata in vigore delle Delibera CICR), in quanto non può ritenersi sufficiente, ai fini dell'adeguamento alla
nuova normativa, la comunicazione sulla Gazzetta Ufficiale prodotta da parte convenuta come doc. 2.
Sul punto deve rammentarsi che l'art. 7 della Delibera CICR 9.2.2000 ha dettato una regolamentazione dei
rapporti bancari precedentemente costituiti che così recita:
"1. Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della
presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30.6.2000 e i relativi
effetti si producono a decorrere dal successivo 1° luglio.
2. Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni
precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30.6.2000,
possono provvedere all'adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela
alla prima occasione utile, e, comunque, entro il 30.12.2000.
3. Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni
precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela."
Si tratta quindi di stabilire se, nel caso dell'anatocismo, l'adeguamento da parte della banca alla Delibera CICR
possa considerarsi o meno quale condizione peggiorativa della precedente regolamentazione del rapporto.
Ritiene questo Giudice che la risposta corretta sia di segno positivo.
Non può infatti condividersi la tesi, propugnata dalla difesa di alcune banche, per cui il disposto dell'art. 7
sopra trascritto, ed in particolare del 3 comma, andrebbe letto con riferimento alle condizioni pattuite e di fatto
applicate nella regolamentazione del rapporto, sicché l'introduzione del principio di reciprocità nella
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capitalizzazione degli interessi dovrebbe senz'altro considerarsi migliorativa per il cliente, che fino a quel
momento subiva la capitalizzazione con una sperequazione in suo danno.
Una lettura di questo tipo significherebbe far derivare dall'inosservanza della legge (ed in particolare, dalla
violazione del divieto di anatocismo), degli effetti favorevoli per il trasgressore (la banca, in questo caso), il
che appare una conclusione tanto paradossale sul piano logico quanto incongrua sotto il profilo tecnico-
giuridico, e pertanto inaccettabile.
Appare quindi preferibile interpretare il menzionato art. 7, comma 3, nel senso di individuare "le condizioni
precedentemente applicate" non già nelle modalità effettivamente osservate dalla banca nella gestione del
rapporto di conto corrente, bensì in quelle condizioni secondo cui il rapporto avrebbe dovuto essere regolato
alla luce della normativa imperativa vigente.
Assodato, dunque, che l'adeguamento alla Delibera CICR rappresenta una condizione peggiorativa per il
cliente, la banca avrebbe dovuto farne oggetto di specifica pattuizione contrattuale da approvarsi per iscritto.
Di tale pattuizione non vi è prova, sicché dovrà essere eliminata qualsiasi capitalizzazione anche per il periodo
successivo al 30.6.2000 (termine fissato dal CICR per l'adeguamento).
Commissione di massimo scoperto
Altra voce di costo contestata dalla società attrice è la commissione di massimo scoperto. La doglianza di
nullità viene prospettata con riferimento sia alla mancanza di pattuizione che alla mancanza di causa.
La domanda è fondata sotto entrambi i profili.
Nel caso di specie, infatti, la commissione di massimo scoperto non risulta pattuita, nemmeno nelle condizioni
generali di contratto, sicché su questa voce di costo non è configurabile il requisito essenziale dell'accordo,
con conseguente nullità ai sensi degli artt. 1325, 1418 c.c.
Sotto il profilo causale, questo Giudice, a fronte delle molteplici e variegate applicazioni che la banche fanno
di questa voce di costo, ritiene che essa sia priva di valida giustificazione causale ogni volta che venga calcolata
- come sovente avviene - sul massimo importo utilizzato dal correntista, sia intra che extra fido: in tali ipotesi,
infatti, la banca è già remunerata dagli interessi passivi, sicché la commissione in esame si risolve in una
occulta integrazione del tasso di interesse, e comunque in un onere aggiuntivo che va a remunerare per due
volte lo stesso servizio.
Tuttavia, la scrivente nutre dubbi in ordine alla giustificazione causale della c.m.s., anche ove essa venga
applicata sulla parte di fido accordata ma non utilizzata, come tale non coperta dalla rimuneratività degli
interessi.
Non si deve dimenticare, infatti, che la banca è un imprenditore che basa il proprio profitto sul rischio e quindi
che la mancata utilizzazione di una parte delle somme affidate costituisce un rischio che la banca stessa valuta
nel momento in cui concede il fido e determina la misura degli interessi; è noto, infatti, che l'apertura di credito
costituisce una forma di finanziamento più costosa di altre, proprio per il fatto che la banca viene remunerata
solo sulla parte utilizzata e non sull'intera linea di credito, circostanza che spinge le banche ad alzare il tasso
di interesse passivo, proprio al fine di ammortizzare i costi derivanti dalla messa a disposizione di somme che
il cliente potrebbe anche non utilizzare.
È proprio questa maggiorazione dell'interesse che induce ad interrogarsi sull'obiettiva funzione causale della
c.m.s. anche ove calcolata sull'affidato non utilizzato, perché la banca già si tutela nei confronti del cliente
chiedendo un interesse passivo più elevato.
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Infine, non si deve nemmeno dimenticare che il facile, rapido e poco costoso ricorso al credito interbancario,
nonché la attuale smaterializzazione del denaro, oltre alle "economie di scala" che la banca è in grado di attuare
nell'esercizio dell'attività creditizia (e nella gestione del flussi di denaro), rendono davvero irrisorio il costo
che la banca deve sopportare per tenere a disposizione del cliente somme potenzialmente maggiori rispetto a
quelle che il cliente utilizzerà.
Tornando al caso di specie, parte convenuta ha sostenuto la legittimità, sul piano causale, della commissione
di massimo scoperto, descrivendone un funzionamento applicativo riconducibile alla seconda ipotesi
prospettata, ovvero come costo della disponibilità in sé del denaro.
Tuttavia, tale allegazione è rimasta una mera affermazione di principio, in quanto manca nelle difese della
banca qualsiasi riferimento alle concrete applicazioni della c.m.s. come risultanti negli estratti conto, ove
appaiono esplicitate una percentuale ed una base di calcolo, elementi, tuttavia, che di per sé non sono sufficienti
a rendere intellegibile l'effettivo meccanismo applicativo della c.m.s.
Ne deriva che la giustificazione causale di tale corrispettivo nel caso concreto rimane oscura.
Resta da accennare che i recenti interventi normativi in materia di commissione di massimo scoperto in
particolare, D.L. 6.12.2011, n. 201 che ha introdotto il nuovo art. 117-bis T.U.B. e D.L. 24.1.2012, n. 1, che
hanno introdotto precisi limiti condizionanti la validità di siffatte clausole, ribattezzate come "commissione
onnicomprensiva di affidamento" e "commissione di istruttoria per il caso di sconfinamento" - non sono
applicabili alla fattispecie in trattazione, trattandosi di rapporti estinti alla data di entrata in vigore della nuova
disciplina.
Per quanto sopra esposto, deve essere dichiarata la nullità della commissione di massimo scoperto applicata
dalla banca.
Valute
Ulteriore aspetto del rapporto contestato da parte attrice riguarda il c.d. "gioco delle valute", ritenuto nient'altro
che un espediente usato dalla banca per allungare fittiziamente i giorni solari di esposizione debitoria del cliente
(con conseguente aumento degli interessi passivi), decurtando, al contrario, i giorni in cui l'utente deposita
denaro (con correlativa diminuzione degli interessi attivi per il correntista).
Anche tale doglianza è fondata, in primo luogo in quanto i giorni valuta non risultano validamente pattuiti tra
le parti.
Infatti, le condizioni generali di contratto contengono, sul punto, un rinvio agli usi abitualmente praticati sulla
piazza ed alle risultanze degli estratti conto.
Tale rimando rende la clausola in esame affetta da nullità per indeterminatezza, per le ragioni già viste a
proposito degli interessi ultralegali, e perché il requisito di determinatezza o determinabilità dell'oggetto deve
sussistere al momento genetico del contratto, e non può, al contrario, essere ricavato ex post dalla fase esecutiva
del contratto medesimo, e quindi dagli estratti conto, che indicano le valute di fatto applicate dalla banca nel
trimestre.
Si aggiunga che il meccanismo delle valute non appare rispondere ad alcuna giustificazione causale a fronte
dell'ormai esclusivo utilizzo di strumenti telematici che consentono di effettuare operazioni e comunicazioni
tra banche in tempo reale, sicché non appare oggi più rispondere ad alcun apprezzabile interesse la discrasia
tra data valuta e data operazione, che quindi si risolve in un mero aggravio degli interessi corrispettivi dovuti
dal correntista.
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Per questi motivi, dunque, deve essere dichiarata la nullità della clausola che prevede l'applicazione di valute
diverse dalla data operazione.
Conti anticipi
Le declaratorie di nullità sopra pronunciate in relazione al conto corrente ordinario valgono anche con
riferimento ai collegati conti anticipi meglio indicati nella relazione tecnica di parte attrice e nelle produzioni
documentali della banca.
Anche per questi, infatti, manca qualsiasi pattuizione scritta, per cui valgono le medesime considerazioni in
punto interessi ultralegali, anatocistici, commissioni di massimo scoperto, valute.
Usura
Venendo all'esame della censura di usurarietà, ritiene questo Giudice di non potervi dare accoglimento, sia in
quanto formulata in termini estremamente generici, sia, soprattutto, in quanto contrastante con le conclusioni
dello stesso consulente di parte attrice, che nella sua relazione (doc. 1 fascicolo attoreo) attesta il mancato
superamento del tasso soglia sia con riferimento al conto corrente ordinario, sia con riferimento ai conti
anticipi.
Prescrizione
Accertata la sussistenza di ipotesi di nullità parziale inficianti i contratti per cui è causa, può passarsi ad
esaminare la domanda di ripetizione dell'indebito.
In primo luogo, non si condivide l'eccezione di inammissibilità sollevata da parte convenuta con riguardo alla
domanda in esame, non essendo rinvenibile una contraddizione tra tale domanda e quella di rettifica del saldo
contabile.
È evidente, infatti, che il calcolo dell'andamento del rapporto, epurato dalle ipotesi di nullità, rappresenta il
presupposto logico necessario per accertare se dalla chiusura del rapporto esiti una posizione attiva per il
correntista, a cui si riferisce la domanda di condanna.
Ciò posto, passando ad esaminare il tema della prescrizione, è noto che la Corte Costituzionale, con la sentenza
n. 78 del 5.4.2012, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 2, comma 61, del D.L. 29 dicembre 2010,
n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di
sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2011, n. 10.
Ne discende che il tema della prescrizione nei rapporti di conto corrente bancario deve intendersi disciplinato
dai principi fissati dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 24418 del 2.12.2010.
Ciò parta innanzitutto ad interrogarsi se il conto corrente in questione sia stato affidato, ovverosia correlato ad
un contratto di apertura di credito.
Infatti, dalla natura affidata o meno del rapporto discendono, secondo l'insegnamento della Corte, diverse
conseguenze in punto prescrizione.
In particolare, ove i versamenti eseguiti dal correntista abbiano avuto funzione meramente ripristinatoria del
fido concesso, il termine di prescrizione decorrerebbe dalla data di chiusura del conto; ove, invece, nel corso
del rapporto siano individuabili rimesse solutorie, perché afferenti a un conto scoperto ovvero in cui sono stati
superati i limiti dell'affidamento concesso, il dies a quo della prescrizione coinciderebbe con quello della
singola rimessa.
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Nel caso di specie, sin dall'atto di citazione parte attrice ha qualificato come affidato il conto corrente oggetto
di causa (in particolare, a pag. 1 si parla di "contratto di conto corrente bancario con relativa scopertura").
Parte convenuta non ha specificamente contestato la natura affidata del conto corrente intrattenuto dalla Pino
Legnami S.p.A. Al contrario, come si è sopra visto, ha difeso la legittimità della commissione di massimo
scoperto, evidenziandone la natura di corrispettivo per la messa a disposizione, in favore dell'accreditato, di
una determinata somma di denaro, a prescindere dalla sua effettiva utilizzazione, così implicitamente
confermando la sussistenza di fidi.
Ne deriva che la circostanza della natura affidata del conto può considerarsi provata ai sensi dell'art. 115 c.p.c.
Resta a questo punto da chiedersi su quale delle due parti litiganti gravi l'onere di provare la natura solutoria o
ripristinatoria della provvista.
Ritiene questo Giudice che la parte onerata della prova in questione sia la banca, in base alle riflessioni che si
vanno ad esporre.
Pino Legnami S.p.A. ha agito per la declaratoria di nullità di alcune clausole contrattuali e per la correlativa
ripetizione dell'indebito.
All'attore ex art. 2033 c.c., spetta provare di aver eseguito degli spostamenti patrimoniali in favore
dell'accipiens e l'assenza originaria ovvero il venir meno della causa giustificativa dei pagamenti
(rispettivamente, condictio indebiti sine causa ovvero ab causam finitam).
Nel caso di specie, parte attrice ha dato prova di aver eseguito dei versamenti di denaro in favore di parte attrice
attraverso gli estratti conto prodotti, mentre il venir meno del titolo legittimante il pagamento risiede nelle
dichiarazioni di nullità parziali del contratto sopra pronunciate.
L'onere probatorio incombente su parte attrice deve pertanto ritenersi assolto.
Al contrario la banca, quale soggetto eccipiente la prescrizione, avrebbe dovuto specificare per quali, tra i
pagamenti allegati da parte attrice, sarebbe decorso il termine di prescrizione, in quanto aventi natura
propriamente solutoria.
Ciò deriva dall'applicazione dell'art. 2697 c.c. e dalla natura dispositiva dell'eccezione di prescrizione, che
impongono l'onere di tipizzarla e di connotarla rispetto ad una specifica prestazione, non potendo il Giudice
ritenere prescritta una richiesta di prestazione non specificamente individuata.
Al riguardo la Suprema Corte ha statuito che l'eccezione di prescrizione "deve essere dedotta, a pena di
inammissibilità, in modo specifico e tipizzato, con la specificazione cioè di quale delle varie ipotesi di
prescrizione si chiede l'applicazione, anche se indipendentemente dall'adozione di formule rituali e
dall'indicazione di specifiche norme (...)" (Cassazione, n. 6519 del 25.3.2005).
Dunque, ad avviso di questo Giudice, la banca avrebbe dovuto indicare quali, tra i versamenti risultanti dagli
estratti conto prodotti dalla Pino Legnami, si sarebbero prescritti con il decorso di dieci anni dalla data
dell'annotazione in quanto aventi natura solutoria.
A tale carenza di allegazione non può sopperirsi attraverso la C.T.U., chiedendo al consulente di individuare
quali tra le rimesse effettuate sul conto corrente abbiano natura solutoria e quali natura ripristinatoria. In tal
modo, infatti, il suddetto mezzo di prova andrebbe ad assumere una funzione suppletiva rispetto al deficit di
allegazione ed offerta di prova riscontrato nelle difese di parte.
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In conclusione, l'eccezione di prescrizione sollevata dalla banca può essere presa in considerazione solo con
riferimento al tempo trascorso dalla chiusura del rapporto, in quanto solo su tale aspetto la difesa della banca
assume la necessaria specificità.
Sotto tale profilo, deve ricordarsi che è pacifico che il rapporto di conto corrente sia stato chiuso in data
19.9.2000.
Secondo gli insegnamenti della Cassazione, il termine di prescrizione dovrebbe quindi spirare in data
19.9.2010, salvi eventuali atti interruttivi.
L'atto di citazione è stato notificato in data 21.2.2011, per cui diventa essenziale stabilire se sia qualificabile
come atto interruttivo la raccomandata del 16.6.2010 prodotta da parte attrice come doc. 3.
Ad avviso della Giudicante la risposta deve essere positiva.
In primo luogo, non può condividersi la contestazione di genericità sollevata da parte convenuta. Nella lettera
in esame, infatti, vengono specificate le violazioni contestate alla banca così come risulta esplicitata la pretesa
di restituzione delle somme illegittimamente addebitata e l'intenzione di rivolgersi all'autorità giudiziaria in
mancanza di spontaneo adempimento.
Quanto alla mancata quantificazione dell'indebito, deve ricordarsi che secondo l'orientamento della Corte di
Cassazione "in tema di atti interruttivi della prescrizione, l'atto di costituzione in mora non è soggetto
all'adozione di formule sacramentali e quindi non richiede la quantificazione del credito (che potrebbe essere
non determinato, ma solo determinabile), avendo l'esclusivo scopo di portare a conoscenza del debitore la
volontà del creditore di attenere il soddisfacimento delle proprie pretese; e il relativo accertamento costituisce
indagine di fatto, riservata all'apprezzamento del giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità ove
immune da errori giuridici e/o vizi logici" (Cassazione, Sez. III, n. 5681 del 15.3.2006).
Nel caso di specie, in particolare, si tratta di un tipico caso di credito da determinarsi in base alla
documentazione contabile di cui parte attrice chiedeva, con la medesima lettera, l'esibizione.
Circa la contestazione di mancata ricezione della missiva in analisi, deve osservarsi non solo che si tratta di
argomento tardivamente sollevato (memoria n. 2), ma altresì che parte attrice ha prodotto l'avviso di
ricevimento relativo alla raccomandata, da cui la stessa risulta regolarmente ricevuta dalla banca.
Da quanto detto deriva che la lettera del 16.6.2010 deve considerarsi valido atto interruttivo dalla prescrizione;
ne consegue il rigetto dell'eccezione di prescrizione, con riferimento al conto corrente ordinario.
Per quanto riguarda i conti anticipi, è pacifico che la maggior parte di questi siano stati estinti in data anteriore
al 16.6.2000, sicché per questi l'eccezione di prescrizione deve trovare accoglimento, essendo intervenuto, con
l'estinzione, un pagamento vero e proprio, il cui diritto alla ripetizione si prescriva in dieci anni.
Ciò non toglie, peraltro, che ove la passività esistente al momento della chiusura dei conti anticipi sia stata
girocontata sul conto corrente ordinario, saranno ripetibili, in base a quanto sopra detto, gli interessi ultralegali,
anatocistici, c.m.s. generati sul medesimo conto da tale passività.
Per quanto riguarda invece, i conti anticipi estinti in data successiva al 16.6.2010, il diritto di ripetizione degli
addebiti illegittimi non è coperto da prescrizione in forza dell'atto interruttivo del 16.6.2010, che nell'oggetto
si riferisce anche ai conti collegati al conto corrente principale.
*** *** ***
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La statuizione che precede, con cui l'eccezione di prescrizione è stata rigettata in relazione al conto corrente
ordinario ed ai conti anticipi estinti successivamente al 16.6.2000, non si traduce, tuttavia, nella possibilità, per
la parte attrice, di vedere ricalcolato l'andamento del conto a partire dall'inizio del rapporto.
Infatti, il tema della prescrizione va coordinato con i principi in materia di onere della prova.
Deve in particolare ricordarsi che, secondo il maggioritario orientamento giurisprudenziale, quando, nelle
controversie in materia di contralti bancari, l'istituto di credito riveste la posizione di parte attrice (in senso
sostanziale, e quindi anche la posizione di opposta nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo), ha l'onere
di provare I fatti costitutivi posti alla base della propria pretesa creditoria. Ciò si traduce nella necessità di
produrre, oltre al documento contrattuale, tutti gli estratti conto relativi alla intera durata del rapporto, senza
che possa essere utilmente invocata l'insussistenza di un obbligo di conservare le scritture contabili per oltre
dieci anni ai sensi degli artt. 2220 c.c. e 119 T.U.B., "perché non si può confondere l'onere di conservazione
della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito" (cfr. Cassazione, Sez. I, n. 23974 del
25.11.2010; Sez. I, n. 1842 del 26.1.2011).
In mancanza di integrale produzione degli estratti conto, la conseguenza che se ne fa discendere è il far partire
l'indagine contabile dal c.d. "saldo zero", facendo cosi ricadere sulla parte gravata dall'onus probandi le
conseguenze del mancato assolvimento all'onere medesimo (cfr. sentenze della Cassazione sopra richiamate).
Nel caso in cui, invece, sia il correntista a rivestire la posizione di attore, agendo in giudizio per la ripetizione
delle somme indebitamente versate alla banca a titolo di interessi anatocistici, ultralegali etc., incombe su di
lui - ex art. 2697 c.c., - l'onere di provare i fatti posti a base della domanda, e quindi l'esistenza di pagamenti
indebiti.
Tale onere va assolto, secondo la giurisprudenza, mediante la produzione degli estratti conto relativi a tutto il
rapporto contrattuale, atteso che soltanto l'allegazione dell'intera sequenza degli estratti conto consente di
ricostruire in maniera puntuale il rapporto intercorso tra le parti e quindi di verificare la concreta applicazione
di interessi anatocistici, usurari ed altre indebite competenze (Tribunale di Bari, 17.11.2011; Tribunale di
Vicenza, Sez. I, 9.2.2009; Tribunale di Napoli, 4.11.2010).
Ove il correntista attore non assolva a tale onere di produzione, la ricostruzione dei rapporti di dare avere sarà
circoscritta al periodo in relazione al quale risultano prodotti gli estratti conto, per il medesimo principio sopra
visto per cui le conseguenze del mancato assolvimento dell'onere della prova devono ridondare in danno della
parte che di tale onere è gravata: "Nel caso in cui il correntista agisca per la ripetizione delle somme
indebitamente versate sul conto corrente, anche in ragione della nullità di determinate clausole contrattuali,
qualora non abbia prodotto l'intera sequenza degli estratti conto, il saldo da cui partire per l'analisi contabile
deve essere quello a debito risultante dal primo estratto conto disponibile e non saldo zero"; ciò in quanto "il
mancato assolvimento dell'onere della prova, in tale ipotesi, non può che ricadere su parte attrice" (Tribunale
di Bari cit.).
In applicazione degli esposti principi, nel caso di specie non può trovare accoglimento l'istanza ex art. 210
c.p.c. avanzata da parte attrice, finalizzata ad ottenere la produzione in giudizio, da parte della banca, di tutti
gli estratti conto relativi all'intera durata del rapporto.
Al contrario, l'indagine contabile dovrà essere circoscritta agli estratti conto prodotti da parte attrice e
spontaneamente da parte convenuta, ed il saldo di partenza sarà quello più antico risultante dalla suddetta
documentazione.
Domanda di risarcimento dei danni
La domanda di accertamento della violazione, da parte della banca, dei principi della correttezza e buona fede
e la correlativa domanda di risarcimento dei danni non possono trovare accoglimento in quanto generiche e
sfornite di riscontri probatori.
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In particolare, il paragrafo dell'atto di citazione dedicato al tema della violazione della regola della buona fede
contrattuale, si esaurisce nell'elencazione delle norme che di tale canone fanno enunciazione, risultando quindi
carente di puntuali riferimenti al caso concreto ed a specifiche condotte dell'istituto bancario.
Il danno, poi, non è nemmeno allegato, sicché risulta del tutto indeterminato sia in punto consistenza e
tipologia, sia in punto entità.
Pertanto, le domande in esame devono essere rigettate.
Necessità di C.T.U.
La causa deve quindi essere rimessa in istruttoria per l'espletamento di consulenza tecnica contabile con cui si
provvederà alla ricostruzione delle movimentazioni dei rapporti facendo applicazione dei principi enunciati
nella presente sentenza.
In tal senso si provvede con separata ordinanza.
Le spese saranno oggetto di regolazione in sede di pronuncia
definitiva. P.Q.M.
Il Tribunale di Novara in composizione monocratica, non definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza,
eccezione e deduzione disattesa,
dichiara la nullità parziale del contratto di conto corrente ordinario e dei collegati conti anticipi in relazione
all'applicazione di interessi ultralegali, interessi anatocistici, commissioni di massimo scoperto, giorni valuta;
rigetta la domanda di nullità per usura;
rigetta l'eccezione di prescrizione in relazione al conto corrente ordinario ed ai collegati conti anticipi chiusi in
data successiva al 16.6.2000; dichiara prescritto il diritto di ripetizione relativo ai conti anticipi chiusi in data
anteriore al 16.6.2000; rigetta la domanda di responsabilità per violazione del principio di buona fede e di
risarcimento dei danni; rimette la causa in istruttoria come da separata ordinanza; spese al definitivo.
Tribunale Brindisi, 9 ago 2012 Azione di ripetizione d'indebito - saldo 'zero' -
applicabilità - onere della prova - banca - vicinanza alla fonte della prova -
applicabilità - proposizione della domanda riconvenzionale della banca-
irrilevanza
Tribunale di Brindisi
9 agosto 2012
Estensore Antonio Ivan Natali
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Azione di ripetizione d'indebito - Saldo "zero" - Applicabilità - Onere della prova - Banca - Vicinanza alla
fonte della prova - Applicabilità - Proposizione della domanda riconvenzionale della banca - Irrilevanza.
Nel giudizio di ripetizione d'indebito, anche se la banca non abbia proposto domanda riconvenzionale, se non
siano stati depositati gli estratti conti fin dall'inizio del rapporto e il saldo contabile risulti "negativo" per il
correntista, deve assumersi, quale base del riconteggio, un saldo di partenza pari a zero, in quanto il principio
dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., deve essere adeguatamente temperato avendo riguardo al
principio della vicinanza alla fonte della prova che le Sezioni Unite, n. 13533, del 2001, hanno elevato a criterio
principe nella ripartizione dell'onere stesso.
Azione di ripetizione d'indebito - Onere - Attore - Allegazione dell'illegittimità di pattuizioni e/o pratiche poste
in essere dalla banca - Sufficienza.
Nel giudizio di ripetizione d'indebito - i cui presupposti sono l'esistenza di un pagamento (versamento con
funzione solutoria) oppure - come spesso, accade nel rapporto tra cliente e sistema bancario - la soggezione
del correntista ad un addebito o ad una pluralità di addebiti, e, dall'altra, l'illiceità dei predetti esborsi
patrimoniali, dovendosi ritenere tali le diminuzioni patrimoniali non giustificate fin dall'origine l'attore può
limitarsi a dedurre l'illegittimità di pattuizioni e/o pratiche poste in essere dalla banca, e, cioè, che la condotta
della banca non trova giustificazione in alcuna valida pattuizione contrattuale.
Azione di accertamento negativo del debito del correntista - Elementi costituti.
Quando l'azione esperita sia un'azione di accertamento negativo del debito del correntista, fondata sulla illiceità
degli addebiti operati dalla controparte in relazione al rapporto inter partes, elementi costitutivi dell'azione
devono considerarsi le dedotte nullità nonché la misura in cui le stesse hanno, eventualmente, inciso sulle
reciproche ragioni di dare e avere, e, dunque, l'inesistenza in tutto o in parte della pretesa creditoria.
Azione di accertamento negativo del debito del correntista - Onere della prova - Correntista Insussistenza -
Negativa non sunt probanda - Applicabilità.
Poiché, come ribadito dalle Sezioni Unite n. 13533 del 2001, negativa non sunt probanda - la prova che non
esista un credito della banca o che lo stesso non abbia una determinata consistenza quantitativa non può essere
posta carico dell'attore; per contro, esponendosi lo stesso all'onere di una prova diabolica.
Azione di accertamento negativo del debito del correntista - Onere della prova - Banca Sussistenza.
In conformità al principio dell'abituale scissione fra allegazione del fatto e sua prova che costituisce logico
corollario dell'applicazione del principio d'inveterata vigenza per cui negativa non sunt probanda, il "debitore"
può limitarsi ad allegare l'inesistenza del credito, dovendo per contro la banca convenuta fornire la prova
dell'esistenza della pretesa creditoria vantata ed, eventualmente, già azionata nei riguardi del primo; criterio,
rispondente ad un principio di razionalità logica e valevole per qualunque ipotesi in cui sia dedotta in giudizio
l'esistenza di un credito o di una posizione giuridica attiva, anche di carattere reale, e se ne imponga
l'accertamento negativo. C.M.S. - Tasso - Soglia - Inclusione.
La C.M.S. incide direttamente sul costo effettivo del credito erogato e deve, pertanto, rientrare nel calcolo del
TEG, da raffrontare con il c.d. "tasso soglia", oltre il quale il tasso si configura come usurario.
(Omissis)
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione del 12.3.2004, notificato il 12-15.3.2012, la Ditta Individuale F. A., in persona del suo
omonimo titolare e legale rappresentante Sig. F. A., conveniva in giudizio, dinanzi a questo Tribunale, la B.G.
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S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, affinché, previo accertamento e dichiarazione di
nullità delle clausole contrattuali relative agli interessi, alla capitalizzazione trimestrale, alle commissioni di
massimo scoperto, alla valuta d'uso ed alle valute applicabili alle commissioni, remunerazioni e spese,
contenute dai contratti di conto corrente bancario intercorsi con il sopradetto istituto bancario, fosse accertato
e dichiarato il suo credito di € 40.271,98 (S.E. e/o O) e quest'ultimo fosse, pertanto, condannato al pagamento
della detta somma, oltre alla rivalutazione in ragione compensativa della svalutazione monetaria intervenuta -
se ed in quanto dovuta - ed agli interessi legali sul capitale - eventualmente rivalutato - dalla data di
sottoscrizione del contratto di conto corrente bancario o di proposizione della domanda, ovvero da quel diverso
giorno individuato da questo Giudicante, fino al giorno dell'emananda sentenza. In via alternativa e
subordinata, chiedeva che la B.G. S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, in virtù di tutti
o taluni dei titoli e motivi prospettati ed anche in considerazione dell'eventuale riconoscimento degli interessi
sulle somme di denaro utilizzate dall'attore sui ridetti conti correnti, fosse condannata, alla restituzione di quella
diversa somma, maggiore o minore, che sarebbe risultata di giustizia in corso di causa, occorrendo anche ex
art. 1226 c.c., ed oltre, in ogni caso, alla rivalutazione in ragione compensativa della svalutazione monetaria
intervenuta - se ed in quanto dovuta, ed agli interessi legali sul capitale - eventualmente rivalutato - dalla data
di sottoscrizione del detto contratto di conto corrente bancario o di proposizione della domanda, ovvero da
quel diverso giorno che sarebbe stato individuato da questo Giudice, fino al giorno dell'emananda sentenza.
Chiedeva, inoltre, la condanna della Banca convenuta, in persona del suo legale rappresentante pro tempore,
ove ritenute ricorrenti le condizioni di legge, al risarcimento del maggior danno ex art. 1224, 2 comma, c.c..
Chiedeva, altresì, che, nell'ipotesi che, a seguito di C.T.U., fosse risultato un credito della Banca, fosse
accertato e dichiarato che quest'ultimo risultava, comunque, minore rispetto a quello quantificato e preteso,
con estratto conto al 31.12.2003, di ? 31.288,78. Avanzava, infine, richiesta di condanna della convenuta al
pagamento di spese e competenze legali di giudizio maggiorate di spese generali, nonché degli accessori di
legge (IVA e CPA) sulle voci imponibili. Con comparsa di costituzione e risposta con domanda
riconvenzionale del 10.5.2004, si costituiva in giudizio la B.G. S.p.A., la quale impugnava e contestava il
contenuto dell'atto di citazione e dei documenti prodotti a sostegno della domanda, chiedendo il rigetto di tutte
le domande attrici.
Chiedeva, quindi, in accoglimento della spiegata domanda riconvenzionale, condannarsi la ditta attrice, in
persona del suo titolare e legale rappresentante, al pagamento, in proprio favore, della somma di € 600,08,
quale saldo debitore in linea capitale al 13.5.2004 presentato dal conto corrente n. 967990401-80, oltre interessi
al tasso convenzionale con capitalizzazione trimestrale a far tempo dall'1.4.2004 ed € 32.499,41, quale saldo
debitore in linea capitale al 13.5.2004 presentato dal conto corrente n. 967990407-86, oltre interessi al tasso
convenzionale con capitalizzazione trimestrale a far tempo dal 1.4.2004. Chiedeva, infine, la condanna
dell'attore al pagamento delle spese e competenze di lite.
La domanda dell'attrice è fondata in parte qua.
Omessa impugnativa degli estratti conto nei termini ex lege.
Per quel che concerne, l'omessa impugnativa degli estratti conto nel termine previsto dalla legge è opportuno
evidenziare come quanto sostenuto da parte convenuta non meriti condivisione atteso che il correntista può
contestare, nel termine decennale di prescrizione ordinaria, la validità e l'efficacia dei rapporti obbligatori da
cui scaturiscono le partite inserite nel conto. Ciò anche in assenza di impugnazione dello stesso nel termine
semestrale previsto ex lege (v. in tal senso Cass., 5.12.2003, n. 18626; Cass., 26.7.2001, n. 10186; Cass.,
25.7.2001, n. 10129; Cass., 11.5.2001, n. 6548; Cass., 14.5.1998, n. 4846; Cass., 11.9.1997, n. 8989; Cass.,
11.3.1996, n. 1978).
Infatti, la mancata contestazione dell'estratto conto, con l'implicita approvazione di tutte le operazioni bancarie
regolate nel conto stesso, in virtù della natura sostanzialmente confessoria delle annotazioni riportate in conto,
comporta la non contestabilità delle risultanze delle stesse, sotto il profilo meramente contabile, non potendosi
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più revocare in dubbio che siano state compiute determinate operazioni (es. addebiti, accrediti) e secondo
determinate cadenze temporali.
Per contro, rimangono proponibili le censure attinenti alla validità e all'efficacia dei rapporti obbligatori da cui
scaturiscono le partite inserite nel conto, in quanto in tal caso l'impugnativa, non essendo limitata alla
contestazione di accrediti e di addebiti sotto il profilo contabile, non è direttamente collegata all'estratto conto
trasmesso dalla banca (Cass., Sez. I, 5.12.2003, n. 18626).
Dunque, il silenzio del correntista non può, pertanto, assurgere a elemento costitutivo di diritti di credito in
realtà insussistenti in favore dell'istituto di credito.
Nessun rilievo può essere riconosciuto, a tal fine, al richiamo all'art. 1832 c.c. contenuto nell'art. 1857 c.c.,
posto che le norme dettate dal codice civile in materia di conto corrente ordinario non sono analogicamente
applicabili alle operazioni in conto corrente bancario.
Ciò, in virtù delle differenze sostanziali intercorrenti fra le due fattispecie, in quanto, mentre nel conto corrente
ordinario è prevista l'inesigibilità ed indisponibilità delle somme a saldo fino alla chiusura del conto, nel conto
corrente bancario è prevista la possibilità per il correntista di esigere in ogni momento il saldo attivo o disporne
indirettamente.
L'onere della prova del carattere dovuto del diritto di credito che sorga dall'eventuale saldo negativo per il
correntista: l'impatto delle Sezioni Unite n. 13533 del 2001.
Orbene, nel presente giudizio - in cui la banca ha proposto domanda riconvenzionale - si è disposta la
rideterminazione delle ragioni di dare e avere, assumendo quale base del riconteggio un saldo di partenza pari
a zero.
Preliminare alla verifica della liceità e correttezza di tale operazione è l'esatta determinazione della parte che
deve considerarsi onerata della prova del diritto di credito che sorga dall'eventuale saldo negativo per il
correntista.
Invero, come noto, il principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., impone che chi agisce in giudizio
per far valere una propria pretesa, fornisca la prova dei fatti costitutivi della stessa.
Nondimeno, la regola generale dell'art. 2697 c.c. deve essere adeguatamente temperata avendo riguardo al
principio della vicinanza alla fonte della prova; principio che le Sezioni Unite, n. 13533, del 2001, hanno
elevato a criterio principe nella ripartizione dell'onere stesso.
Orbene, quando l'azione esperita sia un'azione di accertamento negativo del debito del correntista, fondata sulla
illiceità degli addebiti operati dalla controparte in relazione al rapporto inter partes, elementi costitutivi
dell'azione devono considerarsi le dedotte nullità nonché la misura in cui le stesse hanno, eventualmente inciso
sulle reciproche ragioni di dare e avere, e, dunque, l'inesistenza in tutto o in parte della pretesa creditoria.
Poiché, però - come ribadito dalle Sezioni Unite n. 13533 del 2001, negativa non sunt probanda - la prova che
non esista un credito della banca o che lo stesso non abbia una determinata consistenza quantitativa non
possono essere poste carico dell'attore; per contro, esponendosi lo stesso all'onere di una prova diabolica.
E, quindi - in conformità al principio dell'abituale scissione fra allegazione del fatto e sua prova che costituisce
logico corollario dell'applicazione del principio d'inveterata vigenza per cui negativa non sunt probanda - il
"debitore" può limitarsi ad allegare l'inesistenza del credito, dovendo per contro la banca convenuta fornire la
prova dell'esistenza della pretesa creditoria vantata ed, eventualmente, già azionata nei riguardi del primo.
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Tale principio, rispondente ad un principio di razionalità logica, ovviamente, è valevole per qualunque ipotesi
in cui sia dedotta in giudizio l'esistenza di un credito o di una posizione giuridica attiva, anche di carattere
reale, e se ne imponga l'accertamento negativo.
Profili sistematici: l'azione negatoria servitutis e l'azione di ripetizione d'indebito.
Si trova puntuale conferma dell'assunto suesposto anche in relazione all'azione negatoria servitutis, in relazione
alla quale l'attore può limitarsi ad allegare l'inesistenza di servitù in danno del proprio fondo e in favore di
quello del convenuto, dovendo, per contro, tal ultimo fornire la prova dell'esistenza del diritto reale minore.
Per quanto concerne la diversa ipotesi dell'azione di ripetizione d'indebito, quale è quella di specie, elementi
costitutivi dell'azione sono, da un lato, l'esistenza di un pagamento (versamento con funzione solutoria) oppure
- come spesso, accade nel rapporto tra cliente e sistema bancario - la soggezione del correntista ad un addebito
o ad una pluralità di addebiti, e, dall'altra, l'illiceità dei predetti esborsi patrimoniali, dovendosi ritenere tali le
diminuzioni patrimoniali non giustificate fin dall'origine.
Orbene, in tale ipotesi - assimilabile a quella già esaminata sotto il profilo della richiesta di un accertamento
di carattere negativo (ovvero l'assenza di titolo per determinati esborsi) - in applicazione del predetto schema
di ripartizione dell'onere probatorio, l'attore può limitarsi a dedurre l'illegittimità di pattuizioni e/o pratiche
poste in essere dalla banca, quando la condotta della banca non trovi giustificazione in alcuna pattuizione
contrattuale, seppur nulla; e, cioè, che gli addebiti della banca sono sine titulo,
Orbene, se nell'ambito della ricostruzione del conto, consti un saldo iniziale negativo e la genesi di questo non
sia suscettibile di ricostruzione, per la carenza di idonea documentazione - ovvero degli estratti conto relativi
al lasso di tempo, intercorso fra l'inizio del rapporto e il saldo de quo - deve ritenersi che l'attore in ripetizione
possa limitarsi ad asserire la non debenza della somma relativa al predetto saldo, per contro, essendo onere
della banca dimostrare la liceità del suddetto importo.
Nell'impossibilità di accertare natura e liceità dell'importo, portato dal saldo negativo, dovrà provvedersi
all'azzeramento del predetto saldo. Né, avverso la predetta soluzione esegetica, sarebbe utile richiamare il
combinato disposto degli artt. 1222 e 2958 c.c., secondo cui le scritture contabili devono essere conservate per
dieci anni dalla data dell'ultima registrazione e non anche per il periodo successivo. Tal ultimo è, infatti, un
obbligo della banca, posto a vantaggio del correntista e costituisce, ovviamente, una fattispecie distinta dalla
facoltà della banca di conservare la documentazione relativa al conto, anche al di là dei limiti temporali di
operatività del suddetto obbligo. Facoltà di cui la banca è titolare e che è strumentale alla soddisfazione
dell'interesse di tal ultima alla ricostruzione dei movimenti di dare e avere inter partes.
D'altra parte, anche in tal caso il principio di vicinanza alla fonte della prova (la banca provvede alla formazione
degli estratti conto) deve indurre a porre a carico della banca l'onere della prova e della produzione in giudizio
della suddetta documentazione.
Al riguardo, giova premettere che, nel caso in cui, nel corso di un giudizio civile, venga formulata istanza di
esibizione documentale ex art. 119 c.p.c., - similmente a quanto già affermato in relazione all'istanza ex art.
210 c.p.c. - la parte nei cui confronti tale istanza è formulata è tenuta a conservare la documentazione oggetto
di essa fino a che il giudice non abbia definitivamente e negativamente provveduto sulla stessa, a nulla
rilevando che, trattandosi di documentazione contabile, sopravvenga, "medio tempore", la maturazione del
termine decennale di durata dell'obbligo di conservazione delle scritture contabili fissato dall'art. 2220 c.c.. Per
contro, come noto, nessun obbligo di conservazione oltre il decennio grava invece sulla parte finché la suddetta
istanza non sia presentata, con la conseguenza che dalla distruzione della documentazione contabile il giudice
può trarre argomenti di prova a norma dell'art. 116 c.p.c. solo se tale distruzione sia avvenuta successivamente
alla presentazione della relativa istanza e durante il tempo di attesa della decisione su di essa. (Cass. Civ., Sez.
I, 28.8.2000, n. 11225).
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Ciò premesso, l'assenza di un obbligo di conservazione consente di escludere che dall'omessa conservazione
si possano trarre conseguenze di tipo "sanzionatorio" per la banca, ovvero che si possano trarre elementi di
prova ai fini del giudizio di fondatezza della pretesa attorea, ma non anche di ritenere sempre e comunque
provata la debenza di una determinata somma, nonché la sua liceità.
D'altronde, sotto altro profilo, il principio dell'onere della prova non può essere addotto, nell'ipotesi dell'azione
di ripetizione, al fine di addossare al correntista anche la prova di fatti che esulano dal suo onere probatorio,
come appunto, l'esistenza di un credito della banca, quale è quello risultante da un saldo negativo; dovendo,
per l'appunto, il correntista fornire la prova della sola illiceità delle poste passive che hanno inciso sui singoli
saldi del rapporto.
Ne consegue che non risponde ad un principio razionale e condivisibile provvedere all'azzeramento del saldo
negativo solo quando sia la banca ad agire al fine di far valere un credito come nell'ipotesi di opposizione a
decreto ingiuntivo, richiesto dalla banca in cui la stessa acquista il ruolo di attore sostanziale, o nell'ipotesi
qual è quella di specie - di proposizione di domanda riconvenzionale di accertamento del credito, proposta
nell'ambito del giudizio di ripetizione del correntista; per contro, muovendo, nel conteggio, da un saldo
negativo quando sia solo l'attore a proporre domande nei confronti della banca.
Sempre per quanto concerne le metodologie di calcolo, la banca ritiene che gli interessi debitori applicati ai
conti anticipi nn. 04/83 e 08/87 sarebbero stati girocontati sul conto principale n. 01/80, per cui la relativa
contabilizzazione avrebbe comportato una duplicazione del credito da interessi. Invero, deve ritenersi che gli
interessi passivi dei conti anticipi, proprio perché girocontati sull'indicato conto principale non siano stati
contabilizzati due volte in quanto per effetto dell'operazione tecnica di giroconto gli interessi e le competenze
girocontate "scompaiono", per così dire, dal conto o dai conti anticipi per essere trasferite e, in tal modo,
comparire sul solo conto principale, ove restano addebitate, con la conseguenza che il relativo ricalcolo avviene
solo una volta.
Capitalizzazione degli interessi debitori.
Ciò premesso, nel merito, si deduce, da parte convenuta, l'esistenza, alla data di entrata in vigore del codice
del 1942, di un uso normativo per la capitalizzazione degli interessi nei rapporti bancari.
In ordine alla suddetta questione, merita condivisione l'orientamento granitico, da tempo espresso dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo cui la clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione
trimestrale degli interessi dovuti dal cliente - oppure la capitalizzazione, con la suddetta periodicità, praticata
in assenza di una preventiva pattuizione - sono illecite in quanto basate su di un uso negoziale e non su un uso
normativo. Tale prassi difetta, infatti, del requisito soggettivo dell'opinio iuris che non può formarsi in capo ad
una sola parte dei consociati e, cioè, dei banchieri, come invece esige l'art. 1283 c.c.. (cfr. Cass., Sezioni Unite,
4.11.2004, n. 21095; Cass., 18.9.2003, n. 13739; Cass., 20.8.2003, n. 12222; Cass., 20.2.2003, n. 2593; Cass.,
13.6.2002, n. 8442; Cass., 28.3.2002, n. 4498; Cass., 28.3.2002, n. 4490; Cass., 1.2.2002, n. 1281; Cass.,
4.5.2001, n. 6263; Cass., 11.11.1999, n. 12507; Cass., 30.3.1999, n. 3096; Cass., 16.3.1999, n. 2374).
La Suprema Corte ha, difatti, chiarito che né le norme del Codice Civile del 1865 né quelle del Codice di
Commercio del 1882 possono costituire fondamento normativo di un uso che costituisca eccezione alla regola
di cui all'art. 1283 c.c.. Né, a fortiori, possono ritenersi, di per sé, dotate di rilievo normativo le raccolte di usi
e consuetudini bancarie, anteriori al 1942, a meno che non si dimostri che esse siano fondate su una norma,
illo tempore, vigente. Condizione, invero, non soddisfatta nel caso di specie.
Peraltro, la pretesa consuetudine normativa di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori non soltanto
era inesistente al momento dell'entrata in vigore del Codice del 1942, ma non può ritenersi che possa essersi
validamente formata negli anni successivi.
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Dalla data di entrata in vigore del Codice Civile alla formulazione delle N.U.B. è possibile rinvenire solo una
sentenza (cfr. 5.10.1953) che esamini il problema dell'anatocismo, ma solo di quello semestrale e non anche
di quello trimestrale (Suprema Corte del 5.10.1953).
Ciò, non equivale ad affermare che, prima del 1942, non fosse conosciuto il fenomeno della cadenza trimestrale
nella capitalizzazione dell'interesse debitore, ma deve comunque escludersi che l'inserzione, in alcuni contratti
di conto corrente bancario, di una previsione di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori potesse
integrare gli estremi dell'uso normativo; potendo, al più, costituire l'indice sintomatico della costituzione di un
uso negoziale (art. 1340 c.c.), da ritenersi, comunque, in contrasto con un divieto (quello di anatocismo)
imperativamente stabilito dalla legge.
Sono, difatti, elementi dell'uso normativo: 1) la ripetizione uniforme e costante di un dato comportamento
(usus); 2) la generale opinione di osservare, così operando, una norma giuridica - (opinio iuris ac necessitatis).
La generalità dei clienti delle banche è convinta, però, non certo di osservare una norma giuridica, ma piuttosto
di dover soggiacere ad un contratto che, seppur contrario ai propri interessi, ha comunque necessità di
sottoscrivere.
Da ciò l'affermazione per cui le norme bancarie uniformi, predisposte da un'associazione di categoria
pianificata alla tutela degli interessi esclusivi delle banche (A.B.I.), non hanno forza normativa (Cass.,
26.10.1968, n. 3572; Cass., 14.12.1971, n. 3638).
L'indirizzo giurisprudenziale innanzi evidenziato risulta ribadito e precisato dalla sentenza n. 21095 del
4.12.2004 delle Sezioni Unite della Suprema Corte, le quali hanno sottolineato che le clausole di
capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori devono ritenersi invalide anche prima di quello che
erroneamente - viene definito come lo storico revirement della Suprema Corte del 1999.
In particolare, in ordine alla communis opinio di validità, a quell'epoca, dell'indicata clausola di
capitalizzazione trimestrale, in base all'assunto in virtù del quale ad una consuetudine in tal senso allora vigente
sarebbe successivamente subentrata una desuetudine, la Cassazione ha osservato che proprio in epoca di poco
anteriore alla suindicata "inversione di rotta", era intervenuta una disciplina alluvionale (si pensi alla legge
antiusura), finalizzata a tutelare maggiormente il consumatore dei servizi bancari.
Tale mutamento del quadro normativo avrebbe indotto l'utente del sistema bancario alla ribellione civile e
giudiziaria avverso alle pattuizioni anatocistiche, in quanto clausole non negoziate e non negoziabili. Le stesse
- già predisposte dalle banche in conformità a direttive delle associazioni di categoria - venivano sottoscritte
dalla parte che aveva necessità di fruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere
a un sistema bancario connotato dalla regola del "prendre ou laisser".
Di qui la riconducibilità ab initio della prassi d'inserimento nei contratti bancari delle clausole in questione ad
un uso negoziale e non già normativo. In altri termini, la funzione assolta dalla giurisprudenza dell'epoca deve,
coerentemente con la sua funzione istituzionale - essere considerata meramente ricognitiva e mai creativa della
regola.
D'altronde - osservava la Suprema Corte nella richiamata sentenza n. 21095/2004 - in tal senso deponeva la
sopravvenuta disciplina normativa (D.Lgs. n. 342/1999) che era stata dichiarata incostituzionale, sotto il profilo
della salvaguardia delle clausole preesistenti, ad opera dall'art. 25. L'eliminazione dell'eccezionale salvezza e
conservazione ope legis delle clausole già stipulate aveva lasciato queste ultime, secondo i principi che reggono
la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriormente in vigore, alla stregua delle quali
esse non potevano che essere dichiarate nulle perché stipulate in violazione dell'art. 1283 c.c..
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Errato risulta, infine, il parallelo tra la normativa del conto di corrispondenza ordinario - ove agli artt. 1823,
1825, 1831 e 1833 c.c. è prevista la capitalizzazione degli interessi - e quella del conto corrente, trattandosi di
due tipi contrattuali diversi in quanto:
- le rimesse annotate sul primo sono inesigibili ed indisponibili sino alla chiusura del conto essendo
destinatealla compensazione con eventuali futuri crediti di controparte, mentre nel secondo il credito
disponibile nel conto è sempre quello disponibile sulla base del saldo giornaliero;
- nel conto corrente ordinario le singole rimesse mantengono la loro individualità; nel conto corrente
bancario, invece, perdono la loro individualità nel senso che non danno luogo a rapporti di credito/debito
autonomi tra loro ingenerando semplici variazioni del saldo disponibile (in tal senso v., da ultimo, Cass.,
22.3.2005, n. 6187).
Affermata l'illiceità della capitalizzazione trimestrale, non può essere accolta la tesi per la quale il pagamento
degli interessi anatocistici darebbe luogo ad adempimento di un'obbligazione naturale, difettando il requisito
di spontaneità di cui all'art. 2034 c.c., atteso che la capitalizzazione trimestrale è stata vissuta quale oggetto di
un'imposizione da parte dell'ente creditizio in omaggio alle direttive provenienti dalle associazioni di categoria.
Né, come precisato dalle Sezioni Unite del 2.12.2010, potrebbe esser condivisa la tesi secondo la quale le
ragioni di nullità enucleate con riguardo alle clausole di capitalizzazione degli interessi debitori inerirebbero,
in via esclusiva, il profilo della loro periodizzazione trimestrale.
La suddetta giurisprudenza, come già detto, ha escluso di poter ravvisare un uso normativo idoneo a
giustificare, nel settore bancario, una deroga ai limiti posti all'anatocismo dall'art. 1283 c.c..
Ciò, non perché abbia posto in dubbio l'esistenza di una consuetudine consistente nel prevedere nei contratti
di conto corrente bancari la capitalizzazione trimestrale degli indicati interessi, ma per il più generale motivo
dell'inesistenza del requisito della "normatività" di tal pratica.
Sarebbe, di conseguenza, arbitrario trarne la conseguenza che, nel negare l'esistenza di usi normativi di
capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto,
anche solo implicitamente, la presenza di usi normativi di capitalizzazione annuale.
Infatti, usi siffatti prima ancora che difettare di "normatività", non trovano alcun riscontro nella realtà storica
e, in particolare, nell'ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della fine degli anni novanta del
secolo passato.
Siffatto periodo, infatti, è stato caratterizzato da una diffusa consuetudine (non accompagnata, però, dalla
opinio iuris ac necessitatis) di capitalizzazione trimestrale, e non anche di capitalizzazione annuale degli
interessi debitori.
Nondimeno, tali considerazioni valgono esclusivamente per il periodo anteriore a quello in cui la
capitalizzazione trimestrale è divenuta lecita per effetto della Delibera che il CICR ha adottato in ottemperanza
dell'art. 120 del t.u.b..
Interessi uso piazza
Per quanto concerne, invece, la clausola che determini il tasso di interesse per relationem, attraverso il
riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, giova precisare quanto
segue.
È ovvio che la clausola de qua viola il combinato disposto degli artt. 1284 e 1346 c.c. che, pur non richiedendo
necessariamente l'indicazione in cifre del tasso d'interesse convenuto e potendo essere adempiuto "per
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relationem", impone, tuttavia, il richiamo per iscritto a criteri prestabiliti e ad elementi, estrinseci al documento
negoziale, obiettivamente individuabili, tali da consentire la concreta determinazione del tasso convenzionale.
Al riguardo - e a dimostrazione di un atteggiamento di particolare sfavore del legislatore nei riguardi di clausole
o prassi applicative generiche o indeterminate, nella commisurazione degli interessi debitori - giova precisare
come l'art. 4 della legge n. 154/92 abbia introdotto il divieto di rinvio agli usi per la determinazione del saggio
di interesse.
Nondimeno, anche anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 154/92, siffatte clausole o prassi venivano
colpite con la sanzione della nullità per contrasto con la previsione di cui all'art. 1346 c.c. poiché, riferendosi
genericamente agli interessi usualmente praticati su piazza, non distinguevano fra le varie categorie di essi e
dunque non consentono di stabilire a quale previsione le parti abbiano in concreto inteso riferirsi (Cass.,
1.2.2002, n. 1287; Cass., 18.4.2001, n. 5675; Cass., 19.7.2000, n. 9465; Cass., 8.5.1998, n. 4696; Cass.,
23.6.1998, n. 6247; Cass., 9.12.1997, n. 12456; Cass., 10.11.1997, n. 11042; Cass., 29.11.1996, n. 10657). In
ogni caso, seguendo un accreditato orientamento interpretativo, le clausole del tipo in esame stipulate
anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 154/92 sarebbero divenute inoperanti a partire dal 9.7.1992,
data di acquisto dell'efficacia della legge stessa.
Infatti, l'art. 4 della citata legge, poi trasfuso nell'art. 117 del D.Lgs. n. 385/93, laddove sancisce la nullità delle
clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se non incide, in base ai principi regolanti
la successione delle leggi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi,
impedisce tuttavia che esse possano produrre per l'avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso poiché
l'innovazione normativa "impinge sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale, generatore di
conseguenze obbligatorie protraentesi nel tempo" (cfr. Cass., Sezioni Unite, 4.11.2004, n. 21095; Cass.,
18.9.2003, n. 13739; Cass., 20.8.2003, n. 12222; Cass., 28.3.2002, n. 4490; Cass., 2.5.2002, n. 6258).
Invero, la suddetta tesi cui questo Giudice aderisce non è la sola, prospettandosi in sede interpretativa anche la
tesi del tempus regit actum (cfr. Cass., 1.3.2007, n. 4853, e Cass., 21.12.2005, n. 28302; nonché Tribunale
ordinario di Cagliari, sentenza 27.5.2002, n. 1441, e Tribunale ordinario di Reggio Emilia, sentenza
17.11.2001), - cui sembra, seppur implicitamente propendere anche la Corte Costituzionale n. 338 del 2009
secondo cui il suddetto meccanismo sostitutivo di eterointegrazione non si applicherebbe ai contratti conclusi
anteriormente alla entrata in vigore della normativa in materi di trasparenza bancaria.
Ciò in virtù del generale principio di irretroattività desumibile dal combinato disposto degli artt. 11 delle
disposizioni sulla legge in generale e 161, comma 6, del testo unico bancario, secondo cui "I contratti già
conclusi e i procedimenti esecutivi in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo restano
regolati dalle norme anteriori".
Dall'applicazione della prima delle nucleate tesi deriva che al contratto privato della clausola nulla si applicano
gli interessi in misura legale e dunque: a) quella calcolata ex art. 1284 c.c. fino all'entrata in vigore della legge
n. 154/92 (e quindi fino al 8.7.1992); b) quella calcolata ex art. 5 legge n. 154/92 (e poi ex art. 117 legge n.
385/93) dopo l'entrata in vigore di tale legge (nel caso di specie le norme applicabili ratione temporis sono gli
artt. 4 e 5 della legge n. 154/92 in considerazione della protrazione della loro efficacia operata dall'art. 161 del
D.Lgs. n. 385/93 atteso che la delibera del CICR, cui la disposizione fa riferimento, è stata adottata solamente
il 4.3.2003, con efficacia dall'1.10.2003 e, pertanto, solo da quest'ultima data è entrato in vigore l'art. 117
t.u.b.); da quel momento infatti la misura legale degli interessi, per i contratti bancari, deve ritenersi quella
prevista dalle citate norme stante la specialità di tali disposizioni rispetto alla disciplina generale contenuta
dell'art. 1284 c.c..
In conseguenza della ritenuta nullità della clausola contrattuale determinativa del tasso degli interessi trova
applicazione il criterio sostitutivo previsto dall'art. 5 legge n. 154/92 (sostituito poi dall'art. 117, 7 comma, lett.
a), del t.u.b. avente identico contenuto) e, quindi, il tasso nominale minimo dei B.O.T. annuali emessi nei
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dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale del conto trattandosi di operazione attiva. Tale deve
qualificarsi quella di erogazione del credito secondo l'elencazione contenuta nell'allegato richiamato dall'art. 2
della legge n. 154/92 operante in virtù della disposizione di cui all'art. 161 t.u.b..
D'altronde, tal ultimo fa, comunque, sempre riferimento, in tutto l'articolato normativo, alla banca come
soggetto principale; per cui deve ritenersi che la qualifica di "operazione attiva" debba riferirsi all'istituto di
credito.
Del resto, non può nemmeno negarsi che la norma abbia una funzione sanzionatoria, a carico della banca che
non ha adempiuto agli obblighi di trasparenza; sanzione che consiste proprio nell'applicazione del tasso
MINIMO dei B.O.T. per le operazioni attive per la banca (passive per il cliente) e del tasso MASSIMO dei
B.O.T. per le operazioni passive per la banca (attive per il cliente).
Infatti, come si evince dalla relazione di accompagnamento al t.u.b. n. 385/93, l'eterointegrazione ex lege del
regolamento contrattuale, prevedendo l'applicazione di un tasso di interesse nominale minimo dei B.O.T.
(emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto) per le operazioni attive (per la banca) ed un
tasso di interesse nominale massimo dei B.O.T. per le operazioni passive (per la banca), non fa altro che
invertire quella forbice che la banca di solito applica ai clienti (il tasso creditore che il cliente riceve dalla
banca è più basso del tasso che lo stesso paga per il prestito del denaro) (cfr. Tribunale di Mantova che
evidenzia la finalità sanzionatoria della norma del t.u.b. di cui si discute: "In conseguenza della relativa nullità
della clausola contrattuale determinativa del tasso degli interessi trova applicazione il criterio sostitutivo
previsto dall'art. 5 della legge n. 154/1992 (sostituito poi dall'art. 117, 7 comma, del t.u.b., avente identico
contenuto) in quanto norma speciale rispetto all'art. 1284 c.c. e, quindi, il tasso nominale minimo dei B.O.T.
annuali emessi nei dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale del conto trattandosi di operazione attiva
(tale dovendosi qualificare quella di erogazione del credito secondo l'elencazione contenuta nell'allegato
richiamato dall'art. 2 della legge" (Tribunale di Mantova, Sez. II - G.U. Dott. Mauro Bernardi, sentenza
16.1.2004).
Quanto all'applicabilità dei tassi riferiti ai dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale del conto, e non di
quelli relativi ai dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, giovino le seguenti considerazioni.
Invero, una interpretazione strettamente letterale dell'art. 117 del t.u.b. farebbe ritenere che vi sia un unico
tasso da applicare al rapporto in mancanza di diversa pattuizione, ossia il tasso BOT dei dodici mesi precedenti
la conclusione del contratto.
Ma se è vero che il tasso riferito al momento della conclusione del contratto appare ragionevole per i contratti
bancari che contengono un'unica operazione di finanziamento, non altrettanto può dirsi per quelli di durata,
ove le operazioni si susseguono nel tempo e vi è la necessità di agganciare la misura degli interessi al costo del
denaro con riferimento al momento in cui le operazioni vengono effettuate.
Per tali contratti, risultando il saggio di interesse soggetto a continue modifiche in funzione dei mutamenti del
mercato, in via interpretativa si è correttamente ritenuto che il valore minimo e massimo dei BOT debba essere
dunque riferito (non al momento della conclusione del contratto, bensì) ai dodici mesi precedenti ogni chiusura
dei conti (trimestrale o annuale) (cfr. oltre alle pronunce di questo Tribunale anche Tribunale di Lecce, Sezione
distaccata di Maglie, n. 407, del 16.12.2009; Tribunale di Mondovì, 17.2.2009).
D'altra parte, una rigida applicazione dei portato letterale dell'art. 117 del t.u.b. condurrebbe a soluzioni
irrazionali.
Quindi, l'adeguamento del tasso ad ogni chiusura trimestrale del conto si giustifica alla stregua della
considerazione secondo cui la previsione contenuta nell'art. 5 legge n. 154/92 e poi nell'art. 117 t.u.b. si riferisce
ad un contratto contemplante un'unica operazione, e non invece a quello che dà luogo (come nell'ipotesi del
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conto corrente) ad un rapporto di durata, caratterizzato da molteplici operazioni poste in essere nella continua
variazione dei tassi di interesse a causa delle mutevoli condizioni del mercato.
Si deve, inoltre, tenere conto del fatto che la già menzionata finalità sanzionatoria (per la banca), delle predette
disposizioni, verrebbe ad essere frustrata in caso di difformità per eccesso fra il tasso calcolato in relazione al
rendimento dei B.O.T. emessi nell'anno antecedente alla stipula del contratto e quello in concreto applicato
dall'istituto di credito durante il corso del rapporto.
Tale eventualità diviene addirittura una certezza ove si consideri la progressiva caduta, nel corso degli ultimi
anni, dei tassi di interesse (fenomeno che ha indotto il legislatore a intervenire in materia di mutui bancari,
come si desume dal preambolo al Decreto Legge 29.12.2000, n. 394).
La finalità perseguita dal legislatore con gli artt. 5 legge n. 154/92 e 117 del t.u.b., d'altro canto, è stata proprio
quella di ancorare il tasso sostitutivo degli interessi ad un altro in qualche modo legato all'andamento del
mercato dei tassi.
Le medesime considerazioni sono estendibili all'ipotesi di applicazione di interessi ultralegali, senza alcuna
previsione al riguardo, neanche di rinvio agli usi piazza.
Deve precisarsi che, nel caso di specie, la banca ha prodotto due fotocopie dei contratti di conto corrente n.
9679904-01-80 e n. 9679904-07-86 (di seguito indicati, per brevità, con i nn. 01-80 e 07-86).
Premesso che deve ritenersi la validità della pattuizione del tasso debitore ultralegale di cui alla fotocopia del
contratto di conto corrente bancario contrassegnato dal n. 9679904-01-80, quindi dal nuovo n. 967990401-80,
deve evidenziarsi come la C.T.U. ha - anche a titolo di interessi debitori ultralegali - evidenziato un credito
dell'odierna attrice.
Esclusione dell'applicazione di C.M.S., e di spese di tenuta conto.
La C.M.S. è stata diversamente definita come il corrispettivo per la semplice messa a disposizione da parte
della banca di una somma, a prescindere dal suo concreto utilizzo, oppure come la remunerazione per il rischio
cui la banca è sottoposta nel concedere al correntista affidato, l'utilizzo di una determinata somma, a volta oltre
il limite dello stesso affidamento.
Ed invero, occorre premettere che, in genere, i moduli standard utilizzati per la conclusione dei contratti di
apertura di credito in conto corrente, pur prevedendo a carico del correntista il pagamento della C.M.S.,
quantificata in un tasso percentuale, omettono di indicarne il significato e le modalità con cui essa si determina.
Già tale prassi non è priva di conseguenze giuridiche, stante la norma che impone di redigere le clausole
predisposte da un operatore professionale in modo chiaro e comprensibile (art. 35 D.Lgs. n. 206/2005).
Sotto altro profilo, la C.M.S. viene giustificata, sul piano causale, quale remunerazione della specifica
prestazione della banca, consistente nella messa a disposizione dei fondi oggetto dell'apertura di credito; tale
prestazione è distinta da quella relativa alla effettiva erogazione dei fondi, che viene remunerata mediante la
corresponsione degli interessi debitori.
Ed, infatti, con sentenza n. 870, del 18.1.2006, la Cassazione ha dato una corretta definizione della C.M.S.
definendola come la "remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del
correntista indipendentemente dall''effettivo prelevamento della somma".
Contrariamente alla sua natura ed alla definizione che ne dà la Suprema Corte, è, però, invalsa la prassi
consistente nel computare la commissione di massimo scoperto in rapporto, non all'ammontare
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dell'affidamento accordato (e non ancora concretamente utilizzato), ma al massimo saldo debitore del cliente,
registrato in un determinato periodo di tempo (in genere, ogni trimestre).
Ne consegue che la misura della C.M.S. è identica, qualunque sia il tempo per il quale quel "massimo scoperto"
è stato mantenuto: in altri termini, la commissione avrà lo stesso importo sia che "lo scoperto" sia durato solo
un giorno, e sia se lo stesso "scoperto" si sia protratto per tutto il periodo di riferimento.
Da questa modalità di applicazione della C.M.S., discende che il costo effettivo del credito sarà tanto più
elevato, quanto più breve è stato il tempo nel quale è stata mantenuta una determinata esposizione debitoria o
"scopertura".
Vi è, quindi, una incolmabile contraddizione tra metodologia di calcolo adottata dalla banca e funzione
tradizionale della C.M.S..
Orbene, proprio alla luce di ciò e aderendo al modello predominate della causa in concreto, potrebbe sorgere
qualche dubbio sulla stessa giustificazione causale della commissione de qua, posto che la sua applicazione
concreta si presenta slegata dall'entità del denaro messo a disposizione dell'affidato (della quale, in thesi,
dovrebbe formare il corrispettivo), per contro risultando collegata alla somma effettivamente erogata (che già
trova una specifica remunerazione negli interessi).
Ecco perché taluna giurisprudenza ritiene invalide le C.M.S., per quanto applicate nei limiti della misura
prevista, e ciò - oltre che in virtù della solo eventuale concorrenza al superamento del tasso-soglia antiusura
anche per mancanza di causa (in concreto).
Infatti, la medesima si sostanzierebbe "in ulteriore e non pattuito addebito di interessi corrispettivi rispetto a
quelli convenzionalmente pattuiti per l'utilizzazione dell'apertura di credito" (Tribunale di Milano, n. 8896, del
29.6.2002).
A tal proposito, è stato anche osservato che "la commissione di massimo scoperto, enunciata quale corrispettivo
per il mantenimento dell'apertura di credito e indipendentemente dall'utilizzazione dell'apertura di credito
stessa, è nulla per mancanza di causa, atteso che si sostanzia in un ulteriore e non pattuito addebito di interessi
corrispettivi rispetto a quelli convenzionalmente pattuiti per l'utilizzazione dell'apertura di credito (cfr.
Tribunale di Milano, 4.7.2002).
In ogni caso, risulta evidente che, applicata con le modalità descritte, la C.M.S. incide direttamente sul costo
effettivo del credito erogato e deve, pertanto, rientrare nel calcolo del TEG, da raffrontare con il c.d. "tasso
soglia", oltre il quale il tasso si configura come usurario.
Una diversa determinazione del TEG, ancorché adottata dalla Banca d'Italia o dall'autorità amministrativa è
inaccettabile, in quanto in palese contrasto con gli artt. 1 e 2 della legge n. 108/96 e pertanto illegittima.
E di tali atti s'imporrebbe la disapplicazione incidenter tantum, perché manifestamente illegittimi.
Ciò premesso - anche a non accedere alla tesi della non giustificabilità causale di tale voce di costo - la
commissione di massimo scoperto non può essere riconosciuta in assenza di esplicita convenzione scritta
perché sarebbe violata la prescrizione della forma scritta ad sustantiam (sentenza Corte Appello Lecce,
20.2.2001).
Ciò, anche per la sua idoneità a consentire prassi anatocistiche, specie qualora non risulti la specifica
determinazione inter partes della sua percentuale o dell'eventuale criterio di calcolo, con conseguente
impossibilità di verificare ex post il procedimento di calcolo attraverso cui la banca ha provveduto alla sua
determinazione. Né, per contro, integrerebbe il requisito della specifica previsione del costo de quo l'eventuale
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rinvio ai criteri usualmente praticati dalle Aziende di credito, sulla piazza" in quanto previsione, per quanto su
detto, generica e, quindi, nulla.
Peraltro, secondo un orientamento più rigoroso - cui questo giudice non aderisce - l'onere di determinatezza
della sua previsione contrattuale dovrebbe essere valutato con particolare rigore, dovendosi esigere, non la
mera e generica contemplazione da parte del regolamento contrattuale ma una specifica indicazione di tutti gli
elementi che concorrono a determinarla (percentuale, base di calcolo, criteri e periodicità di addebito).
In assenza di tali elementi, non potrebbe ravvisarsi un vero e proprio accordo delle parti su tale pattuizione
accessoria, non potendosi ritenere che il cliente abbia potuto prestare un consenso "consapevole", ovvero
rendendosi conto dell'effettivo contenuto giuridico della clausola e, soprattutto, del suo "peso" economico.
In mancanza di ciò, l'addebito delle commissioni di massimo scoperto si tradurrebbe in una imposizione
unilaterale della banca, che non trova legittimazione in una valida pattuizione consensuale (Sul punto, cfr.
Tribunale di Teramo, 20.6.2011, secondo cui "la commissione di massimo scoperto rappresenta per la banca
un elemento retributivo, aggiuntivo rispetto agli interessi praticati, che non ha fonte legale e che richiede
pertanto una specifica pattuizione."; Tribunale di Genova, Sez. VI, 18.4.2011, secondo cui "La commissione
di massimo scoperto costituisce la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a
favore del correntista indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma. Tale commissione, tuttavia,
non è dovuta se non legittimamente ed espressamente convenuta e, comunque, entro i limiti di quanto stabilito
dal contratto. Nel caso in cui nel contratto stipulato tra le parti esista solo un generico richiamo alla
commissione di massimo scoperto, senza che sia altresì stabilita alcuna modalità di imputazione, la clausola
ad essa facente riferimento deve reputarsi nulla, e va pertanto disapplicata, per essere l'oggetto
dell'obbligazione non solo indeterminato ma altresì indeterminabile").
Orbene, sulla base delle risultanze della C.T.U., deve ritenersi che la condizione dell'espressa pattuizione,
ricorra nel caso di specie solo per quanto concerne il conto principale.
Inoltre, la C.T.U. del 9.12.2011 ha evidenziato come, con riferimento al conto corrente ordinario inizialmente
contrassegnato dal n. 01-80, le C.M.S., pattuite nella misura dello 0,250%, risultino differenti negli estratti
conto (non applicata su una prima parte dell'esposizione massima del trimestre ed, invece, applicata sulla parte
eccedente in percentuale più elevata di quella pattuita in contratto) oltre che capitalizzate trimestralmente.
Evidente è, dunque, l'inosservanza, da parte della Banca, di quanto concordato col correntista da cui consegue
la necessità di applicare, per conto, la C.M.S., nella misura pattuita con esclusione di ogni forma di
capitalizzazione.
A tanto deve aggiungersi la mancata pattuizione delle C.M.S. relativamente ai conti anticipi collegati al
suindicato conto principale, contrassegnati dal n. 9679904-04-83 e n. 9679904-08-87 (di seguito indicati, per
brevità, con i nn. 04-83 e 08-87), i cui saldi sono stati girocontati sul suindicato conto principale n. 01-80.
Quanto, invece, al conto anticipi n. 9679904-06-85, le ragioni creditorie della banca, del pari addebitate sul
ridetto conto principale n. 01-80, sono risultate ridotte, come si evince dalla pag. 20 - terzultimo e penultimo
periodo letterale - della C.T.U. del 20.5.2009.
I c.d.d. giorni-banca
La valuta di un'operazione registrata in conto corrente è, come noto, il giorno a partire dal quale la somma
corrispondente diventa fruttifera.
Detta valuta coincide, normalmente, con la scadenza dell'operazione.
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Si è soliti distinguere tra valuta effettiva, da un lato, in cui il giorno, a partire dal quale la somma corrispondente
diventa fruttifera, coincide con quello in cui la banca acquista o perde la disponibilità giuridica delle somme
versate o prelevate; e valuta fittizia, dall'altra, che è quella adottata dalla banca e che risulta dall'aggiunta o
dalla sottrazione di un certo numero dei c.d. giorni banca alla valuta effettiva.
Pertanto, essa è, da senz'altro, da considerarsi una componente di costo a causa della sua incidenza sulla quasi
totalità delle operazioni bancarie, e contribuisce a far lievitare il tasso di interesse effettivo del rapporto.
Tale sistema di computo dei giorni di valuta è stato introdotto uniformemente dall'A.B.I. (Associazione
Bancaria Italiana), in virtù di un accordo interbancario, che, pertanto, potrebbe essere ricondotto agli accordi
lesivi della concorrenza in danno del contraente più debole, "il cliente".
Successivamente, la valuta ha trovato una dimensione normativa, prima con la legge n. 154/92 e, dopo, con il
t.u.b. n. 385/93.
Invero, con la legge sulla trasparenza si è posto un primo limite all'uso, non sempre conforme a buona fede
oggettiva, che le banche facevano di tale strumento.
L'art. 7 prevede infatti che "gli interessi sui versamenti presso una banca di denaro, di assegni circolari emessi
dalla stessa banca e di assegni bancari tratti sulla stessa succursale presso la quale viene effettuato il versamento
sono conteggiati con la valuta del giorno in cui è effettuato il versamento e sono dovuti fino a quello del
prelevamento".
Nel t.u.b. (art. 116, comma 1) viene anche introdotto, in ossequio ad un principio di trasparenza, la previsione
per la quale la valuta deve formare oggetto di adeguata pubblicità nei confronti della clientela.
È evidente come questo meccanismo sia idoneo a consentire alla banca la maturazione di competenze fittizie
in proprio favore e, ovviamente, a discapito del cliente che, se da un lato, vede moltiplicarsi i giorni banca a
suo sfavore nei conti attivi per la banca, li vede diminuire in quelli attivi a suo favore, o nell'ambito dello stesso
rapporto tra operazioni di versamento o prelievo, con l'inammissibile effetto di protrazione fittizia del presunto
debito o decurtazione del periodo di durata del credito.
Lo scarto in più od in meno rappresenta rispettivamente il presunto credito su cui la banca calcola delle fittizie
competenze in quanto in effetti non ha mai concesso detto credito, ovvero il predetto scarto costituisce una
quota di franchigia a favore della banca sul credito ricevuto dal cliente su cui non viene calcolato alcun
interesse a suo favore.
In pratica, la banca concepisce elasticamente i giorni nelle operazioni che le fruttano interessi, mentre sottrae
giorni sulle operazioni che fruttano interessi al cliente o comportano una riduzione dei suoi presunti oneri.
Orbene, perché si abbia un computo in valuta effettiva, dovrà tenersi conto che, se per i prelevamenti, la valuta
dovrà coincidere con il giorno del pagamento dell'assegno, cioè del giorno in cui la banca perde effettivamente
la disponibilità del denaro, per quanto riguarda i versamenti, si dovrà, invece, riportare la valuta corrispondente
al giorno in cui la banca acquista effettivamente la disponibilità del denaro.
Deve, inoltre, considerarsi che, secondo un orientamento più radicale, l'addebito di interessi ultralegali nella
differenza in giorni-banca tra la data di determinazione della valuta delle singole operazioni in c/c e la data
della rispettiva contabilizzazione - se anche convenuto - sarebbe privo di qualsivoglia valida giustificazione
causale. Invero, è ormai predominante - si afferma - la prassi delle transazioni commerciali in tempo reale e
per via telematica per cui non si comprende il senso dell'antergazione o postergazione delle valute, idonea,
invero, a determinare un ingiustificato allungamento della durata contrattuale del rapporto con la
consequenziale, quanto ingiustificata, lievitazione degli interessi ed altre commissioni.
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Pertanto, secondo un orientamento più radicale, la corrispondente convenzione, in quanto diretta al
soddisfacimento di interessi non meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico, dovrebbe considerarsi
illegittima ed inefficace per violazione degli artt. 1322 e 1418 c.c..
Anche la Suprema Corte ha avuto modo di occuparsi dei giorni di valuta ed ha stabilito che "la banca non è
libera di effettuare la registrazione degli accrediti senza limiti di tempo, ma deve a ciò provvedere con la
massima rapidità consentita dagli strumenti tecnici disponibili".
Per quanto riguarda la giurisprudenza di merito, la stessa in numerose recenti pronunce ha affermato che "La
prassi bancaria, consistente nel far decorrere gli interessi sulle somme addebitate da un giorno diverso da quello
di effettivo addebito (c.d. "computo per giorni valuta"), risolvendosi in una surrettizia variazione del saggio
degli interessi passivi praticati al cliente, deve essere approvata per iscritto a pena di nullità, ai sensi dell'art.
1284 c.c.. (Tribunale di Lecce, Sez. II, sentenza 8.1.2007).
Peraltro, secondo altra tesi che trae spunto dalla prassi negoziale, alla luce della normativa a tutela del
consumatore, le clausole che prevedono i cosiddetti giochi di valuta - indipendentemente da un'espressa
pattuizione in ordine ai criteri di calcolo ed ai cd. giorni valuta applicabili - sarebbero da ritenersi di natura
vessatoria, in quanto accentuerebbero il già ingiustificato squilibrio esistente tra il potere forte della banca e la
debolezza del correntista. Tal ultimo sarebbe costretto ad accettare le condizioni imposte dalla banca solo
perché inserite nei moduli predisposti dall'istituto di credito, non suscettibili di negoziazione individuale e la
cui accettazione e sottoscrizione non costituisce una libera e spontanea adesione, ma un presupposto
indefettibile per accedere ai servizi bancari.
Invero, questo Giudice ritiene che la mera previsione dei c.d.d. giorni banca, sia, di per sé, idonea a giustificarne
l'applicazione.
Orbene, nel caso di specie, per quanto attiene alla valuta, la stessa non può dirsi validamente pattuita nel conto
principale, avendo le parti utilizzato l'espressione, ex art. 7 del contratto base in atti, "valuta data di
regolamento".
Espressione che non consente - di per sé di individuare il regolamento al quale le parti abbiano fatto riferimento
al momento della sottoscrizione del contratto de quo, donde la nullità della relativa clausola. Lo stesso dicasi
per i conti anticipi collegati al suindicato conto principale, e da ultimo contrassegnati, dai nn. 04-83 - 08-87 -
06-85, per i quali manca ogni e qualsivoglia disciplina dei giorni valuta illegittimamente applicati dalla banca,
donde la nullità, anche in tal caso, delle relative clausole contrattuali e l'illegittimità dei relativi addebiti.
Per quanto concerne la domanda riconvenzionale, la C.T.U. del 9.12.2011 ha evidenziato un credito per sorte
capitale dell'attrice ammontante ad ? 145.231,39 (cfr. Conclusioni del C.T.U., ultima pagina), di cui ?
63.559,65 in ragione del conto principale n.01-80, ? 14.605,46 in ragione del conto anticipi n. 04-83 (cfr.
C.T.U. del 9.12.2011, § 2, terzultima pagina, - terzo periodo letterale -) ed ? 435,54 in ragione del conto anticipi
n. 08-87 (cfr. C.T.U. del 9.12.2011 - § 3, penultima pagina - ultimo periodo letterale -).
Il raffronto tra i saldi finali dei tre conti può così essere riesposto:
Omissis
In sintesi, sulla base degli EC bancari il saldo complessivo dei tre conti suindicati risulta a debito del cliente
per ? 2.777,69.
In base ai criteri che hanno informato la disposta C.T.U. il saldo complessivo dei tre conti risulta invece a
credito del cliente per ? 145.231,39.
Dalla suddetta somma, occorre detrarre il credito della banca in virtù del conto corrente bancario n. 07-86,
quantificato dalla C.T.U. del 20.5.2009 in ? 57.900,07.
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Pertanto, residua un credito dell'attrice di ? 87.331,32, da maggiorarsi sia degli interessi legali dalla data di
notifica della citazione e, dunque, dal 12.3.2004 fino al giorno del completo soddisfo, che del maggior danno
da svalutazione monetaria, già richiesto con l'atto introduttivo del giudizio, dall'indicata data del 12.3.2004
fino al giorno del completo soddisfo.
Al riguardo, giova evidenziare come, in materia di indebito oggettivo, gli interessi e le somme dovute per
maggior danno ai sensi dell'art. 1224, 2 comma, c.c., decorrono dalla domanda giudiziale, e non già dalla data
del pagamento della somma indebita, dovendosi avere riguardo all'elemento psicologico esistente alla data di
riscossione della somma, a meno che il creditore non provi la mala fede dell'"accipiens", con la precisazione
che, anche in questo campo, la buona fede si presume, ed essa può essere esclusa soltanto dalla prova della
consapevolezza da parte dell'"accipiens" della insussistenza di un suo diritto a ricevere il pagamento (cfr. Cass.,
Sez. III, sentenza n. 5330, del 10.3.2005).
Per quanto concerne il quantum, tale maggior danno, di cui all'art. 1224, comma 2, c.c. (rispetto a quello già
coperto dagli interessi legali moratori non convenzionali che siano comunque dovuti), come noto, deve essere,
in via generale, riconosciuto, in via presuntiva, nelle obbligazioni pecuniarie e tal ultimo va commisurato, in
difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, per qualunque creditore che ne domandi il
risarcimento - dovendo ritenersi superata l'esigenza di inquadrare a tale fine il creditore in una delle categorie
a suo tempo individuate -, nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il
tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio
degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi del primo comma dell'art. 1284 c.c. (cfr Cass. Civ.,
Sezioni Unite, sentenza 16.7.2008, n. 19499).
L'accoglimento della domanda determina la regolamentazione delle spese di giudizio che seguono la
soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Devono essere poste, in via definitiva, a carico della convenuta le spese della disposta C.T.U.. P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Ditta Individuale F. A., in persona del
suo legale rappresentante Sig. F. A., nei confronti di B.G. S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro
tempore, accoglie la domanda dell'attore, e, per l'effetto, così provvede:
1) accerta e dichiara la nullità parziale del contratto di conto corrente ordinario n. 9679904-01-80,nonché dei
contratti che regolano i conti correnti di corrispondenza, accesi dall'attrice presso la Banca convenuta, in
relazione ai profili evidenziati in parte motiva;
2) accerta e dichiara che la Ditta Individuale F. A. è creditrice nei confronti della banca avversaria della somma
di ? 87.331,32, a titolo di indebito oggettivo, comprensiva di interessi attivi, quale differenza tra l'importo
a credito di ? 145.231,39 dell'attrice in virtù dei conti correnti bancari nn. 01-80, 04-83 e 08-87, ed il minor
credito della banca determinato con riferimento al conto corrente n. 07-86 e, conseguentemente, condanna
la B.G. S.p.A., alla restituzione, in favore dell'attrice, della menzionata somma di ? 87.331,32, oltre interessi
legali dal 12.3.2004 e, dalla stessa data, il maggior danno da commisurarsi alla eventuale differenza, tra il
tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio
degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi del primo comma dell'art. 1284 c.c.;
3) condanna la convenuta al pagamento, in favore dell'attrice, delle spese e competenze del presente giudizio,
liquidate in complessivi € 5.200,00, di cui € 320,00 per spese, € 3.680,00 per diritti, ed € 1.200,00 per
onorario, oltre IVA e CAP come per legge;
4) pone, definitivamente, a carico della convenuta, le spese della disposta C.T.U.
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Tribunale Ferrara n.1040, 6 ago 2012 Diritto bancario - Apertura di credito in
conto corrente - Mancata contestazione degli estratti conto (art. 1832 c.c.) -
Conseguenze - Impossibilità di contestare efficacia e validità dei rapporti
obbligatori
Tribunale di Ferrara
6 agosto 2012, n. 1040
Diritto bancario - Apertura di credito in conto corrente - Mancata contestazione degli estratti conto (art. 1832
c.c.) - Conseguenze - Impossibilità di contestare efficacia e validità dei rapporti obbligatori - Esclusione
La mancata contestazione degli estratti conto da parte del correntista nel termine di cui all'art. 1832 c.c.
preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazione ai rapporti obbligatori dai
quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell'estratto conto ma non impedisce di sollevare contestazioni
in ordine alla validità ed all'efficacia dei rapporti obbligatori dai quali derivano i suddetti addebiti ed accrediti.
Gli estratti conto periodicamente inviasti dall'istituto di credito al cliente sono, infatti, documenti che hanno il
mero fine di fornire le informazioni delle operazioni contabilizzate ma certamente non contengono proposte
contrattuali capaci di assumere il valore di patto in difetto di espresso dissenso del correntista.
Diritto bancario - Apertura di credito in conto corrente - Usura (art. 644 c.p.) - Modalità di calcolo del TEG
Inclusione della CMS - Necessità - Irrilevanza delle istruzioni di Banca d'Italia
La necessità di considerare la CMS, come pure le ulteriori spese bancarie e di chiusura, ai fini del calcolo del
TEG deriva anzitutto dal dato testuale dell'art. 1 della L. n. 108 del 1996 certamente non derogabile dalle
direttive della Banca d'Italia essendo queste ultime atti formalmente e sostanzialmente di natura
amministrativa.
Diritto bancario - Apertura di credito in conto corrente - Anatocismo (art. 1283 c.c.) - Delibera CICR 2000
Applicabilità solo a partire dal 22/4/2000 - Possibilità di adeguamento dei contratti già in essere - Effetti
retroattivi - Esclusione - Nullità capitalizzazione trimestrale di interessi e CMS - Sostituzione con altro tipo di
capitalizzazione - Esclusione
La capitalizzazione degli interessi, in base alla citata delibera del CICR, può ritenersi consentita solo per i
contratti stipulati a far data dal 22/4/2000, secondo quanto concretamente pattuito dalle parti per i contratti già
in essere è prevista la possibilità di adeguamento contrattuale, ma senza effetti retroattivi. In conclusione
quando è nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e delle commissioni di massimo
scoperto non consegue alcuna capitalizzazione.
Il Tribunale di Ferrara, in persona del Giudici dott. Paolo Sangiuolo, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 1736/2006 R.G.
TRA
*** in persona del l.r. pro tempore *** assistita e difesa dagli Avv.ti Giuseppe Romano del Foro di Lecce e
Domenico Preziosa del Foro di Trani, in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione (per il primo) e a
margine della comparsa del 29/6/2011 per il secondo
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ATTRIC
E CONTRO
Banca *** S.p.A., in persona del Presidente ***, elettivamente domiciliata in Ferrara presso e nello studio
dell'Avv. Marcello Sacerdoti, in Ferrara, via Borgo dei Leoni n, 70/C che la rappresenta e difende in virtù di
procura generale rilasciata in data 19/7/1996, registrata in Padova in data 23/7/96 Rep. n. 45898 Notaio
Adriano Martini di Padova
CONVENUTA
Oggetto: azione di nullità; annullamento; risarcimento danni
Conclusioni per l'attrice: conclusioni di *** Voglia
l'Ill.mo Giudicante adito,
accertare e dichiarare l'invalidità, la nullità, anche parziali ovvero l'inefficacia, delle condizioni contrattuali
contra legem ovvero contrarie a convenzioni pattizie, relative al corrente sopra indicato, anche in relazione alla
determinazione e applicazione dell'interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale dei saldi debitori,
alla applicazione delle commissioni di massimo scoperto, degli interessi, attivi e passivi, per i c.d. giorni di
valuta, dei costi per competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretesi, oltre la nullità della previsione dello
jus variandi a favore dell'istituto di credito, tanto per le condizioni normative che per quelle economi che, in
quanto dalle convenute, per quanto di ragione, arbitrariamente attribuitosi, seppur mai convenuto e pattuito,
addivenendosi al ricompiuto in conformità a normativa patrizia e di Legge da applicarsi;
per l'effetto
II. accertare e dichiarare che la pretesa della convenuta evidenziata negli estratti conto, alla data del
30/9/2005e per come successivamente modificatasi, quale saldo relativo al conto corrente n. *** è
ingiustificato, illegittimo, ove non illecita, esosa, scorretta e frutto di malafede e, conseguentemente dichiarare
non dovute dall'attrice le somme esposte a debito, sì come petite;
III. accertare, dichiarare che l'effettivo saldo, alla data del 30/9/2005 e per come successivamente
modificatosi, del conto corrente n. *** è pari ad ? 649.344,26 a credito, oltre interessi e rivalutazione come
per legge, ovvero alla somma maggiore o minore che si determinerà all'esito dell'espletanda CTU che sin d'ora
si invoca, in caso di avversa contestazione delle allegazioni attrici;
IV. accertare e dichiarare, altresì, la responsabilità precontrattuale e contrattuale della Banca convenuta
per violazione degli obblighi di buona fede, lealtà, salvaguardia ed informazione richiesti tanto nella fase di
gestazione che nel corso del rapporto contrattuale, altresì per la arbitraria condotta tenuta, dichiarando
sussistente in capo all'istituto di credito la relativa colpa professionale ex art. 2236 c.c., oltre che le denotate
responsabilità pre-contrattuali e nella esecuzione del contratto; sempre per l'effetto
V. condannare la Banca convenuta, al risarcimento di ogni danno patrimoniale e non, con particolar
riferimento alla categoria del danno esistenziale e morale, da apprezzarsi in almeno ? 649.344,26, quale
effettivo saldo del conto corrente sopra indicato alla data del 30/9/2005, ovvero nella somma maggiore o
minore che sarà ritenuta di Giustizia, anche all'esito della disponenda CTU, mercè altresì valutazioni in via
equitativa dei risarcimenti non altrimenti quantificabili".
Conclusioni per la convenuta:
Voglia l'Ill.mo Giudice, ogni contraria istanza disattesa e reietta, respingere tutte le domande formulate
dall'attrice in quanto infondate in fatto e in diritto e conseguentemente dichiarare ***) tenuta alla restituzione
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della somma di ? 196.795,49 corrisposta a parte attrice in forza dell'ordinanza emessa ex art. 186-quater c.p.c.,
oltre che alla refusione delle spese di CTU e CTP quali risultano rispettivamente dalle fatture 167/2008 di ?
8.743,00 e n. 140/2011 di ? 4.223,60 del dott. Baraldi e n. 778/2008 del dott. Saini di € 1.500,00.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio e con spese di CTU da porsi
definitivamente ed interamente a carico di parte attrice."
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato la *** S.p.A., esponeva:
Nel 1994 l'attrice aveva acceso un conto corrente presso l'agenzia di Ferrara della Banca *** S.p.A. senza che
nulla fosse pattuito in tema di criteri di determinazione degli interessi attivi e passivi, spese, competenze e
commissioni.
Per tutta la durata del rapporto la Banca aveva così unilateralmente ed arbitrariamente applicato tassi di
interessi debitori e creditori, operando altresì una capitalizzazione trimestrale sugli interessi debitori.
Contestava quindi le risultanze degli estrani conto formati dalla banca e sosteneva, richiamandosi agli esiti di
una perizia contabile, che sul conto corrente in oggetto erano state addebitate numerose, varie "spese" e
"commissioni" a vario titolo.
A seguito di tale comportamento erano stati fatti gravare sulla correntista costi aggiuntivi ed ingiustificati; ciò,
unitamente alle conseguenza della capitalizzazione trimestrale, aveva comportato "una lievitazione
esponenziale" del tasso effettivo globale applicato al c/c, mediamente superiore al tasso soglia usura.
In sintesi, secondo la prospettazione attorea il c/c avrebbe dovuto recare un saldo in linea capitale di ?
649.344,26 a credito.
Chiedeva quindi l'accoglimento delle domande sopra riportate.
**
Si costituiva la convenuta la quale, contestava ogni avversa deduzione, ricostruiva le vicende relative al conto
originariamente acceso presso la *** poi confluita nella ***, concludendo che alla data del 30.9.2005 il conto
presentava un saldo a debito di ? 13.660.84.
Eccepiva, preliminarmente, la nullità della citazione per indeterminatezza della domanda fondata per
relationem sulle risultanze di quello che appariva essere un semplice prospetto, più che una perizia.
Ancora preliminarmente rilevavo che parte attrice non aveva contestato gli estratti come previsto dall'art. 8 del
contratto, sicché gli stessi si intendevano tacitamente approvati.
Infondate erano le doglianze relative alla asserita illegittimità della commissione di massimo scoperto in quanto
non prevista da alcune norma di legge; inoltre non era dimostrata una erronea applicazione al rapporto dedotto
in causa.
Quanto alla asserita nullità dello jus variandi, richiamava il disposto dell'art. 117, 5° comma, TUB. La cliente,
inoltre, era stata sempre informata delle variazioni.
Quanto alla capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, evidenziava che l'applicazione era stata
legittimamente effettuata a partire dal 22/4/2000, data di entrata in vigore della delibera CICR 9/2/2000.
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Solo per il periodo precedente le doglianze di parte attrice avrebbero potuto apparire fondate, fermo restando
che nei contratti di c/c neppure poteva ipotizzarsi l'applicazione della fattispecie dell'anatocismo.
Quanto, infine, all'asserita usurarietà degli interessi la Banca rilevava che, nel conteggio del Teg non poteva
essere computata la commissione di massimo scoperto; il tasso soglia non era dunque mai stato superato.
Chiedeva quindi il rigetto delle domande attoree, con vittoria di spese.
***
La causa era istruita documentalmente e con CTU;
in data 16/8/2008 veniva emessa ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. in favore dell'attrice per l'importo di ?
160.477,45 oltre interessi dalla domanda al saldo;
All'udienza del 4/6/2009 la causa veniva trattenuta in decisione; con sentenza parziale n. 1752/2009 così veniva
disposto:
Motivi della decisione
In via preliminare deve rigettarsi l'eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza e indeterminabilità
del petitum ex art. 163 c.p.c. sollevata dalla convenuta, poiché l'attrice ha compiutamente esposto nell'atto
introduttivo le ragioni della domanda, consentendo alla convenuta di difendersi con riferimento a tutte le
questioni poste.
Nel merito, all'esito della istruttoria espletata, è risultata
fondato lo doglianza di parte attrice secondo cui per tutto durata al rapporto di conto corrente n. *** intrattenuto
con la Banca convenuta a decorrere dal 1994, la stessa aveva unilateralmente ed arbitrariamente applicato
condizioni economiche (interessi, costi, c.m.s., spese competenze ecc.) in assenza di una pattuizione scritta che
lo legittimasse.
Ed infatti dalla espletata consulenza contabile emerge che non solo nessun contratto di conto corrente è stato
concluso per iscritto tra le parti ma che neppure al momento dell'apertura o successivamente vennero
concordate tra le parti le relative condizioni contrattuali sia con riferimento al tasso degli interessi debitori, sia
a titolo di commissioni, spese ed addebiti di qualsivoglia natura.
Né ha pregio, a fronte di tale emergenza fattuale, l'eccepita mancata contestazione da parte dell'attrice degli
estratti conto inviati dalla Banca.
Al riguardo, è sufficiente rilevare che in giurisprudenza è ormai consolidato il principio secondo cui la mancata
contestazione degli estratti conto da parte del correntista nel termine di cui all'art. 1832 c.c. preclude qualsiasi
contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti obbligatori dai quali derivano gli
accrediti e gli addebiti iscritti nell'estratto conto (salva l'impugnazione per errori, omissioni e duplicazioni di
carattere formale, ai sensi del comma 2 della medesima disposizione), ma non impedisce di sollevare
contestazioni in ordine alla validità ed all'efficacia dei rapporti obbligatori dai quali derivano i suddetti addebiti
ed accrediti, e cioè quelle fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico,
dell'inclusione o dell'eliminazione di partite del conto corrente (cfr. tra le tante Cass., n. 6514/2007; Cass., n.
11749/2006; Cass., n. 10376/2006; Cass., n. 10186/2001).
Gli estratti conto periodicamente inviati dall'istituto di credito al cliente sono, infatti, documenti che hanno il
mero fine di fornire le informazioni delle operazioni contabilizzate ma certamente non contengono proposte
contrattuali capaci di assumere il valore di patto in difetto di espresso dissenso del correntista.
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Da ciò consegue che l'approvazione, espressa o tacita, di estratti conto nei quali sono calcolati interessi in
misura ultralegale o altri oneri economici applicati dalla Banca al rapporto di conto corrente non può supplire
allo mancanza della pattuizione proprio perché l'estratto conto di per sé non è espressione diretta dell'accordo
delle parti (sulla misura ultra legale degli interessi o sugli altri oneri economici passivi applicati in concreto al
rapporto) e non documenta, quindi, la stipulazione dello stesso (cfr. Cass., n. 9791/1994; Cass., n. 11020/1993;
Cass., n. 2690/1987; Cass., n. 439, del 1975).
Ciò posto, fra le soluzioni prospettate dal tecnico d'ufficio, Dott. Enrico Baraldi, per procedere alla
ricostruzione del saldo contabile del conto corrente n. 12669T, appare corretta quella fondata sull'applicazione
dell'art. 117, comma 7, D.Lgs. n. 385/93 (pag. 2 dei chiarimenti alla CTU ipotesi n. 2), il quale recita "In caso
di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano:
a) il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli
similorieventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti
la conclusione del contratto rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive;
b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati nel corso della durata del rapporto per le corrispondenti
categoriedi operazioni e servizi; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto".
È sufficiente sottolineare sul punto che nessun pregio può attribuirsi alle osservazioni critiche mosse dalla
convenuta per il tramite del suo CTP alla applicazione della menzionata norma, oltreché per le considerazioni
svolte dal tecnico d'ufficio nei chiarimenti all'elaborato peritale a pag. 3 e 4 - che si richiamano come parte
integrante della presente motivazione - in punto alla individuazione delle operazioni attive e passive e alla
economicità dell'attività bancario per l'ipotesi di applicazione dell'art. 117, comma 7 citato, per l'inequivoco
tenore letterale della norma citata costituente norma speciale rispetto alla previsione di cui all'art. 1284 c.c.
applicabile, invece, a tutte le ipotesi in cui il contraente non sia un istituto bancario.
Parimenti meritevole di accoglimento è la censura sollevata dalla difesa attorea circa il superamento del tasso
soglia usuraio da parte della Banca nella gestione del rapporto di conto corrente in esame avendo tale
allegazione trovato conferma nella consulenza tecnica contabile citata.
Il CTU nominato, infatti, ha affermato che il tasso effettivamente applicato dalla banca (TEG), tenuto conto
del tasso di interesse applicato e di tutte le spese, le commissioni e competenze applicate non rispetta la soglia
usuraia ex L. n. 108/96 e, in applicazione della sanzione previsto dall'art. 1815, comma 2, c.c., ha quantificato
le somme complessivamente pagate in misura superiore al tasso usurario in € 160.477,45, quale differenza tra
il totale pagato alla banca convenuta nel corso del rapporto ammontante ad € 344.723,92 ed € 185.859,93 quale
sommatoria di interessi, spese e commissioni ricalcolate.
Ritiene, peraltro, il Tribunale di non potere aderire alla quantificazione così come operata dal tecnico d'ufficio
atteso che nel ricalcolo effettuato risulta esclusa, in ragione della sua natura e della sua funzione, la
commissione di massimo scoperto (cfr. pag. 13 dell'elaborato peritale).
Al riguardo ritiene il Tribunale che detta tesi sia infondata perché non conforme sia al quadro normativo di
riferimento che alla interpretazione datane dalla prevalente giurisprudenza di merito e di legittimità.
Ed invero la necessità di considerare la CMS, come pure le ulteriori spese bancarie e di chiusura, ai fini del
calcolo del TEG deriva anzitutto dal dato testuale dell'art. 1 della L. n. 108/96, certamente non derogabile dalle
Direttive della Banca d'Italia essendo queste ultime atti formalmente e sostanzialmente di natura
amministrativa, secondo cui: "Per la determinazione del tasso d'interesse usurario si tiene conto, delle
commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate
all'erogazione del credito".
A ciò si aggiunge che la prevalente giurisprudenza di merito è orientata nel senso sopra detto.
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Sul punto tra le tante: Tribunale Palmi, 8/11/2007, n. 1732: "Il chiaro tenore letterale del comma 4, dell'art.
644, c.p. (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto di tutte le
commissioni, remunerazioni o qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate
all'erogazione del credito), impone di considerare rilevanti nell'ambito della fattispecie di usura tutti gli oneri
che un utente sopporti in connessione al suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la commissione di
massimo scoperto, che è un costo che trova la sua fonte in un rapporto di tipo negoziale tra un cliente e un
intermediario finanziario. La suddetta commissione, inoltre, è un costo indiscutibilmente collegato
all'abrogazione del credito, giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente l'apertura di
credito concessagli dall'intermediario e funge da corrispettivo per l'onere, cui esso intermediario si sottopone,
di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente".
Tribunale Trieste, 20/3/2007: "In tema di usura, l'art. 644, comma 4, c.p., stabilisce che per la determinazione
del tasso d'interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese,
escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito. È quindi configurabile il delitto di usura
a carico del legale rappresentante di una società finanziaria operante nel settore del credito al consumo, in
relazione alla stipulazione di contratti di prestito di denaro con previsione di tassi d'interesse di poco inferiori
al limite legale dell'usurarietà, quando questo limite risulta superato in virtù del computo di voci di costo
addossate al soggetto che richiede il finanziamento. Tra queste voci, in particolare, devono essere considerate
le c.d. spese di tenuta conto, quando l'ente che eroga il credito si limita ad effettuare delle normali registrazioni
contabili interne, relative al rapporto di finanziamento con il cliente, senza instaurare con lo stesso alcun
diverso rapporto assimilabile a quello cui da luogo un conto corrente bancario, destinato o ricevere i versamenti
dovuti per l'ammortamento del prestito. La normativa vigente, infatti, prevede che siano escluse dal computo
del tasso effettivo globale medio le spese di tenuta di un conto corrente, per tale intendendosi il contratto
disciplinato dagli artt. 1823 ss. c.c. o altro contratto atipico adesso assimilabile."
Merita, quindi, accoglimento la domanda di parte opponente tesa alla declaratoria di nullità della clausola di
capitalizzazione trimestrale degli interessi e, pertanto, va dichiarata l'illegittimità dell'anatocismo così come
applicato dalla banca e documentato in sede peritale dalle verifiche compiute dal tecnico d'ufficio.
Ed infatti può oggi ritenersi che la nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale delle poste
debitorie per violazione del divieto di anatocismo imposto dall'art. 1283 c.c. sia un dato pacifico in
giurisprudenza.
Infatti a partire dal 1999, la Corte di Cassazione, rimeditando il precedente orientamento (cfr. per tutte Cass.,
n. 12675/98), ha stabilito che la clausola in questione, per quanto radicata nella prassi bancaria e contenuta
nelle norme bancarie uniformi sui conti correnti di corrispondenza e servizi connessi, corrisponde ad un uso
negoziale, imposto al correntista, e non normativa, con conseguente inapplicabilità dell'art. 1283 c.c., nella
parte in cui esonero dal rispetto dei limiti rigorosi ivi sanciti per l'anatocismo le situazioni sorrette da usi
contrari. L'uso, quindi, può eventualmente rilevare ex art. 1340 c.c., ma mai derogare a norme imperative quale
quella di cui all'art. 1283 c.c. (Cass. civ., sez. I, 11/11/1999, n. 12507; Cass. civ., sez. I, 16/3/1999, n. 2374;
Cass. civ., sez. I, 30/3/1999, n. 3096; Cass., n. 11772/2002; Cass. n. 4498/2002; Cass., n. 8442/2002; Cass., n.
4490/2002; Cass. n. 1281/2002; Cass. n. 15706/2001; Cass., 20/2/2003; Cass., 4/11/2004, n. 21095; cfr. da
ultimo Cass., 25/2/2005, n. 4095).
Anche la Giurisprudenza di merito prevalente ha seguito tale orientamento (cfr. tra le più recenti Tribunale
Mondovì, 17/2/2009, n. 70; Tribunale Monza, 7/4/2006; Tribunale Padova, 25/11/2005; Tribunale Torino,
30/10/2003).
Nonostante tale univoca presa di posizione della Corte di Cassazione vi sono tesi contrarie di alcuni giudici di
merito, non condivisibili a fronte della modifica dell'art. 120 T.U.L.B. apportata con l'art. 25 D.Lgs. 4/8/1999,
n. 342 e dalla successiva adozione della delibera C.I.C.R. 9/2/2000, cui le norme citate appunto rinviavano per
la determinazione delle modalità e dei criteri di produzione di interessi sugli interessi. Inoltre va qui ricordato
che la "norma transitoria", contenuta nello stesse art. 25 D.Lgs. 4/8/1999, n. 342, tramite la quale veniva
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operato il "salvataggio" delle clausole di capitalizzazione trimestrale contenute nei contratti conclusi prima
dell'entrata in vigore della nuova disciplina, è stata travolta dalla Corte Costituzionale, che ne ha dichiarato
l'illegittimità con sentenza n. 425/2000, per eccesso di delega.
Ne consegue che la capitalizzazione degli interessi, in base alla citata delibera del C.I.C.R., può ritenersi
consentita solo per i contratti stipulati a far data dal 22/4/2000, secondo quanto concretamente pattuito dalle
parti (sempre che, comunque, vi sia la stessa periodicità di capitalizzazione per gli interessi debitori e creditori);
per i contratti già in essere è prevista la possibilità di adeguamento contrattuale, ma senza effetti retroattivi,
adeguamento che, nel caso di specie, non risulta essere mai avvenuto.
Non vale ad escludere il diritto all'esclusione dal dovuto di tali poste debitorie, così come vorrebbe parte
convenuta, l'assunto di aver gli opponenti tacitamente approvato gli estratti conto periodici.
Al riguardo, si è già evidenziato che la mancata contestazione degli estratti conto comporta la sola
approvazione delle operazioni materiali, ma non pregiudica le contestazioni sulla validità ed efficacia dei
rapporti obbligatori da cui tali operazioni derivano.
In conclusione, deve affermarsi che la clausola con la quale è stata imposta al correntista la capitalizzazione
trimestrale delle poste passive è nulla per contrarietà alla norma imperativa di cui all'art. 1283 c.c.
Per quanto concerne la quantificazione delle somme pagate in eccedenza da parte attrice occorre,
preliminarmente, stabilire se, nella riliquidazione del saldo di conto corrente occorra applicare il regime della
capitalizzazione semplice ovvero quello della capitalizzazione composta, quest'ultima con periodicità annuale
ovvero semestrale.
Sul punto infatti la dottrina e la giurisprudenza di merito risultano divise: secondo un'opinione più rigida "in
conseguenza della nullità della clausola, contenuta in un contratto di conto corrente bancario, con cui si prevede
la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, non sussiste un diritto della banca
all'anatocismo semestrale o annuale, non sussistendo alcune possibilità di sostituzione legale o inserzione
automatica di clausole che dispongano una capitalizzazione degli interessi passivi con una diversa periodicità",
mentre altra parte della giurisprudenza di merito ritiene che "Il vuoto normativo conseguente alla declaratoria
di nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, deve essere affrontata facendo
richiamo al parametro dell'equità di cui all'art. 1374 c.c. inteso come esigenza di bilanciamento tra i
contrapposti interessi delle parti e tale parametro porta alla soluzione di una clausola di capitalizzazione con
cadenza annuale, in modo da assicurare lo stesso termine previsto a favore dei correntisti in caso di interessi a
loro debito". (cfr. tra le più recenti Tribunale Trapani, 24/1/2007).
A sostegno della cadenza semestrale della capitalizzazione si richiama un passaggio della motivazione di una
sentenza della Cassazione, n. 2374 del 1999 ove, tuttavia, la Suprema Corte si limita - al fine di escludere
l'esistenza di un uso normativo nella capitalizzazione trimestrale degli interessi - a citare un orientamento
formatosi in epoca precedente all'entrata in vigore del nuovo codice civile. Nessun argomento, inoltre, si ricava
dall'art. 1283 c.c., nella parte in cui tale norma consente gli interessi anotocistici "sempre che si tratti di interessi
dovuti almeno per sei mesi", trattandosi di una disposizione "di sbarramento" e non di una condizione
sufficiente, da sola, a legittimare la capitalizzazione semestrale degli interessi.
Né è utile, per i fini voluti, il richiamo all'art. 1831 c.c. in materia di chiusura del conto corrente ordinario sia
per l'insuperabilità del dato testuale dell'art. 1857 c.c. che non richiama tale norma per il conto corrente
bancario sia in quanto l'interpretazione analogica non può essere richiamata in ragione della profonda diversità
di ratio tra il conto corrente bancario - che prevede l'esigibilità a vista del saldo ex art. 1852 c.c. - e il conto
corrente ordinario, che prevede l'inesigibilità delle prestazioni ex art. 1823 c.c. (cfr. sul punto Tribunale Napoli,
24/1/2000; Tribunale Mondovì, 17/2/2009, n. 70).
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In conclusione ritiene il Giudicante, in linea con la dominante giurisprudenza di merito, che debba ritenersi
che alla nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e delle commissioni di massimo
scoperto non consegua alcuna capitalizzazione.
Sul punto, tra le tante: Tribunale Monza, 4/12/2007: "L'obbligazione di interessi presenta una natura speciale
rispetto alla generalità delle obbligazioni pecuniarie.
Dovendosi, pertanto, escludere che gli interessi scaduti rientrino nella disciplina generale prevista, per le
obbligazioni pecuniarie, dagli artt. 1224 e 1282 ss. c.c., e non sussistendo, i requisiti richiesti dall'art. 1283 c.c.
perché gli stessi possono produrre, a loro volta, interessi, non può ipotizzarsi alcuna sostituzione della clausola
anatocistica nulla con una diversa modalità di capitalizzazione degli interessi, Tribunale Benevento, 18/2/2008,
n. 252.
La clausola contrattuale che prevede, in favore della banca, la capitalizzazione trimestrale degli interessi
passivi è da considerare illegittima in quanto in contrasto con la norma imperativa inderogabile ex art. 1283
c.c., la cui inosservanza è sanzionata da nullità assoluta ai sensi dell'art. 1418, comma 1, c.c., senza che possa
essere operata in via sostitutiva la capitalizzazione semestrale o annuale di tali interessi passivi maturati su
conto corrente bancario."
Tribunale Nola, 11/9/2008 "La clausola contrattuale che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi
passivi su contro corrente bancario è nulla ai sensi dell'art. 1283 c.c.: ciò comporta che il contratto debba dirsi
ab origine difettante di una pattuizione sulla capitalizzazione sia essa trimestrale, semestrale o annuale, che
non può essere in alcun modo surrogata perché, altrimenti, si forzerebbe il contenuto del contratto, andando ad
inserirvi - del tutto arbitrariamente - qualcosa che precedentemente non c'era affatto, violando ogni principio
codicistico".
Tribunale Mondovì, 17/2/2009, n. 70
Dichiarata nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e delle commissioni di massimo
scoperto, al conto corrente bancario non è applicabile in via sostitutiva una diversa modalità di capitalizzazione
degli interessi."
Da ciò consegue la necessità anche su questo punto di effettuare un supplemento di indagine peritale ai fini
della corretta valutazione che ha come valutazione la capitalizzazione semplice e tassi "Bot".
Per quanto concerne i giorni valuta si condividono le conclusioni rassegnate sul punto dal CTU circa
l'impossibilità di procedere ai relativi calcoli per la mancanza del contratto inter partes e delle condizioni
concordate sul punto.
Quanto, infine, alla domanda risarcitoria proposta da parte attrice sul presupposto di una responsabilità
precontrattuale e/o contrattuale della Banca convenuta in relazione ai fatti di causa essa non può trovare
accoglimento.
A prescindere da ogni altra questione, infatti, la società attrice non ha offerto alcuna prova concreta di avere
patito un danno (patrimoniale o addirittura non patrimoniale) ulteriore non risarcito dalla rideterminazione del
soldo contabile del conto corrente oggetto di causa.
In conclusione i pur numerosi calcoli effettuati dal CTU non sono sufficienti per determinare quale sia il saldo
del conto corrente alla data del 30/9/2005 sicché, come già evidenziato, occorre conferire un supplemento di
incarico al CTU Dott. Enrico Baraldi, affinché proceda al calcolo di quanto deve essere restituito al correntista
per effetto dei principi affermati nella presente sentenza. Il CTU, dunque, nel rifare i conteggi, si atterrà a
quanto esposto in parte motiva.
Le spese seguono lo soccombenza come per legge, ma verranno liquidate con la sentenza definitiva. P.Q.M.
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IL TRIBUNALE, non definitivamente pronunciando, contrariis reiectis, in parziale accoglimento della
domanda attrice:
dichiara la nullità parziale del contratto di c/c n. ***, acceso presso la Banca convenuta, in relazione alla
determinazione e applicazione degli interessi debitori ultralegali, alla previsione ed applicazione dell'interesse
anatocistico con capitalizzazione trimestrale dei saldi debitori, alla applicazione delle commissioni di massimo
scoperto, degli interessi, attivi e passivi;
Respinge domanda risarcitoria proposta da parte attrice;
Rimette la causo in istruttoria per conferire al CTU un supplemento di calcolo.
***
Espletato l'incombente demandato al CTU, all'udienza del 23/2/2012 la causa era definitivamente trattenuta in
decisione.
***
MOTIVAZIONE
Le argomentazioni esposte da parte convenuta in data successiva all'emanazione della sentenza parziale non
hanno significativi elementi di novità, sicché non si ritiene di doversi discostare dalla precedente pronuncia.
L'unica questione ancora sub iudice è quello della conseguenza della declaratoria di nullità della clausola di
capitalizzazione trimestrale.
Nella relazione integrativa il CTU, preso atto del contenuto dell'ulteriore quesito posto dal Tribunale, ha
elaborato tredici ipotesi, accomunate dai seguenti elementi base:
utilizzo degli estratti conto prodotti in corso di causa, il cui saldo finale al 31/12/2005 indica un valore positivo
per *** di € 467,72 (si veda ricostruzione Tabella A); eliminazione dall'estratto conto delle commissioni di
massimo scoperto, pari ad € 100.511,08; eliminazione dall'estratto conto delle spese addebitate come
competenze trimestrali, pari ad € 12.378,07;
eliminazione delle spese addebitate sull'estratto conto, non indicate contrattualmente, pari ad ? 8.789,18, come
da successiva Tabella B; eliminazione dagli estratti conto di tutti gli interessi attivi e passivi addebitati
trimestralmente dalla banca;
le competenze derivanti da altri rapporti, pari ad € 210.740,25, non sono state capitalizzate, ma inserite al
termine del rapporto.
Parte attrice propende per l'applicazione dell'ipotesi 8, dove sono assunti i seguenti parametri:
. interessi passivi determinati al tasso fisso minimo dei rendimenti BOT fino al 31/3/1997;
. interessi attivi determinati al tasso fisso massimo dei rendimenti BOT fino al termine del rapporto;
. interessi (attivi e passivi) capitalizzati con cadenza annuale
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. interessi (attivi e passivi), entrate ed uscite del conto corrente capitalizzati sulla base della data di esecuzione
dell'operazione.
Ritiene invece il Tribunale che l'ipotesi 4 sia quella maggiormente aderente al disposto della sentenza parziale
sopra riportata e anche di Cass., n. 24418/2010, che esclude ogni forma di capitalizzazione.
I parametri adottati dal CTU sono i seguenti:
. ricalcolo interessi a credito fino al 31/12/2005 al tasso legale;
. ricalcolo interessi a debito fino al 31/3/1997 al tasso legale;
. determinazione degli interessi sulla base della data contabile (circostanza, questa, mai con testata dalla
correntista).
In sintesi, il saldo a credito risultante al 31/12/2005 ammonta ad € 382.942,44.
Su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla domanda al saldo.
Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, così come quelle di CTU
P.Q.M.
Il Tribunale, in parziale accoglimento delle domande proposte da *** nei confronti di Banca ***S.p.A., in
persona del legale rappresentante p.t., dichiara che alla data del 31/12/2005 il saldo a credito del conto corrente
n. *** era di ? 382.942,44.
Per l'effetto condanna parte convenuta, in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento in favore
dell'attrice della somma di ? 382.942,44, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.
Respinge nel resto.
Condanna la convenuta, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento delle spese di giudizio, liquidate
in € *** per diritti, € *** per onorari, oltre IVA e CPA.
Pone le spese di CTU a carico di parte convenuta.
Tribunale Napoli n.7763, 29 giu 2012 Usura sopravvenuta - Applicabilità del
tasso soglia
Tribunale di Napoli
29 giugno 2012, n. 7763
Usura sopravvenuta - Applicabilità del tasso soglia
Qualora i tassi d'interesse previsti dai contratti non siano usurari al momento in cui sono convenuti, non potrà
trovare applicazione l'art. 1815 c.c. in base al quale, se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e
non sono dovuti interessi; l'unico tasso che appare logico sostituire a quello divenuto usurario è quello pari al
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limite massimo del tasso soglia, poiché il tasso di interesse è divenuto illegittimo solo nella misura in cui ha
superato il tasso soglia.
Il Tribunale di Napoli, III Sezione Civile, nella persona del giudice unico Ettore Pastore Minante, ha deliberato
la segue
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 3091/2010 RGAC e vertente
TRA
G.S. S.r.l.
ATTORI
E
BANCA ***
CONVENUTA
Oggetto: In via principale, ripetizione d'indebito in rapporto di conto corrente bancario; in riconvenzionale,
pagamento di saldo passivo in rapporto di conto corrente bancario.
Conclusioni delle parti: Alla udienza del 7/2/2012 le parti così concludevano. Gli attori: come da atto di
citazione e successivi atti di causa. La società convenuta: rigettare le domande degli attori ed accogliere la
propria riconvenzionale, con vittoria delle spese di lite.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 28/1/2010 la G.S. S.r.l., D.B.C., D.B.B., D.B.L. e S.M.R., convenivano
in giudizio la S.p.A. BANCA ***, esponendo che tra la G.S. S.r.l. e la BANCA *** poi divenuta S.p.A. ***,
erano intercorsi a partire dal 1999 i rapporti 4282-56, 4460-50, 4921-91, 300630-91 e 4925-91, mentre gli altri
attori si erano costituiti fideiussori della prima; e chiedendo che, in via principale, tutti i suddetti rapporti
bancari venissero dichiarati nulli ai sensi degli artt. 1418 c.c. e 117, comma 1, TUB, ovvero ai sensi degli artt.
1418 e/o 1419 c.c. e 117, commi 4 e 6, TUB; o venissero dichiarati integralmente nulli ai sensi dell'art. 1418
c.c. ovvero parzialmente nulli ai sensi dell'art. 1419 c.c. perché illegittime le clausole e/o le prassi di fissazione
di tassi debitori ultralegali in violazione dell'art. 1284 c.c., di applicazione dei tassi in violazione della L. n.
108/1996, della prassi anatocistica in violazione dell'art. 1283 c.c., di rinvio su piazza per la determinazione
dei tassi d'interesse soprattutto debitori, di applicazione della commissione di massimo scoperto in violazione
dell'art. 1322 e/o dell'art. 1325 c.c., di applicazione di regime discriminatorio tra valute di accredito e valute di
addebito in difetto di specifica e valida convenzione; per l'effetto, si condannasse la convenuta a restituire agli
attori le somme che la convenuta avesse illegittimamente percepito, o a stornare in loro favore tutte le somme
che avesse illegittimamente addebitato; si condannasse altresì la convenuta a risarcire agli attori il danno da
loro subito e subendo, in via diretta o mediata, per effetto del contegno da essa tenuto, consapevole della nullità
dei rapporti e tuttavia rimasta inerte, danno da liquidare anche equitativamente, oltre interessi e rivalutazione;
con vittoria delle spese di lite.
Con comparsa depositata in data 14/4/2010 si costituiva la S.p.A. BANCA *** chiedendo in via preliminare
che l'atto di citazione venisse dichiarato nullo ai sensi dell'art. 164 c.p.c. e che le domande degli attori venissero
dichiarate prescritte ai sensi degli artt. 2697, 2646 e 2948, comma 1, n. 4 c.c.; nel merito, che la domanda
proposta dagli attori venisse dichiarata improponibile, inammissibile ed infondata, ed in via riconvenzionale
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che gli attori venissero condannati in solido a pagare alla convenuta la somma di euro 205.327,63 oltre interessi
sino al soddisfo; con vittoria delle spese di lite.
In data 1/12/2010 il giudice emetteva ordinanza ex art. 186-ter c.p.c. per la misura di euro 205.327,63 oltre
interessi e spese della procedura.
Nel corso dell'istruttoria veniva esplorata consulenza tecnica d'ufficio dal dr. Enrico Miranda.
Alla udienza del 7/2/2012 le parti concludevano come in epigrafe e la causa passava in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Gli attori vanno condannati in solido a pagare alla società convenuta la somma di euro ***.
La G.S. S.r.l. ha intrattenuto con l'istituto bancario S.p.A. *** - di *** i seguenti rapporti: conto corrente 4282
- 56 poi 400257588, sottoscritto il 19/5/1999 con indicazione di tutte le condizioni economiche; conto corrente
4460 - 50 sottoscritto il 6/9/1999, con indicazione di tutte le condizioni economiche;
rapporto di anticipi su crediti maturati, regolamentato da un contratto quadro sottoscritto il 21/11/2001 con
indicazione delle condizioni economiche, apertura di credito del 16/11/2001 per un ammontare di lire
350.000.000, consistente in parte in apertura di credito pura ed in parte da fido da utilizzare sull'anticipo su
crediti maturati e su accredito SBF con disponibilità immediata - apertura di credito assistita da fideiussione
omnibus per lire 455.000.000 sottoscritta da D.B.B., D.B.C., D.B.L. e S.M.R.; ampliamento temporaneo
dell'apertura di credito del 19/11/2001 sino a lire 425.000.000 con elevazione della fideiussione omnibus a lire
555.000.000; nuova apertura di credito del 10/11/2003 per euro 180.759,91, che conferma sostanzialmente la
prima; ampliamento della precedente apertura di credito del 25/11/2005 sino ad euro 256.000. I contratti di
conto corrente sono stati stipulati anteriormente alla data di registrazione delle prime operazioni in conto. Per
i due contratti di conto corrente è stata prodotta tutta la relativa documentazione contabile. Vi sono invece
alcune lacune nella documentazione di altri due rapporti, quello relativo ad anticipi su crediti maturati e quello
di anticipo di portafoglio salvo buon fine, in quanto alcuni trimestri non sono coperti da estratti conto e conti
scalari; ma queste lacune non hanno sortito effetti, in quanto su tali conti è stato necessario depurare
unicamente gli effetti anatocistici che si sono prodotti sul conto corrente ordinario 4282 - 56.
Gli attori hanno chiesto la ripetizione di somme che sarebbero state illegittimamente addebitate alla correntista
in forza di clausole illegittime; in realtà, solo la G.S. S.r.l. e non i fideiussori era legittimata a proporre tale
domanda, non essendo stato dimostrato che l'istituto bancario abbia riscosso somme dai fideiussori; in via
riconvenzionale, la banca ha chiesto che gli attori venissero condannati a pagare il saldo passivo dei rapporti
di conto corrente. Rispetto alla domanda degli attori, l'istituto di credito ha eccepito la prescrizione: ma poiché,
come si vedrà, il saldo finale, dei rapporti, pur con tutte le correzioni apportate dal CTU, risulta attivo per la
banca, ne discende che la G.S. S.r.l. non ha alcun diritto a ripetere somme, che possa essersi prescritto; resta il
diritto della banca a vedersi corrisposto il saldo passivo del rapporti, rispetto al quale le deduzioni degli attori
sulla illegittimità delle clausole contrattuali si convertono in eccezioni di nullità rispetto alla pretesa di
pagamento della banca, imprescrittibili ai sensi dell'art. 1422 c.c.. Per le stesse ragioni è priva di rilievo anche
l'altra eccezione sollevata dalla banca convenuta, di irripetibilità delle somme versate a titolo d'interessi
ultralegali pur in mancanza di forma scritta, perché tale versamento sarebbe stato eseguito in esecuzione di
dovere morale o sociale, ai sensi dell'art. 2034 c.c.: la domanda di ripetizione è senz'altro infondata, quindi
l'eccezione ex art. 2034 c.c. non ha un oggetto al quale applicarsi.
Si passa quindi ad esaminare le ragioni dedotte dagli attori relativamente alla nullità delle varie clausole
contrattuali in base alle quali è maturato il saldo passivo.
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La prima contestazione ha ad oggetto la modalità di calcolo delle valute e l'applicazione delle spese; tale
contestazione non ha ragion d'essere, poiché nei contratti erano adeguatamente indicate le modalità di calcolo
delle valute e delle spese, sia fisse che per operazione, e la banca si è attenuta alle indicazioni contrattuali.
La seconda contestazione ha ad oggetto l'illegittima applicazione dell'anatocismo. I contratti prevedevano
l'anatocismo trimestrale per i saldi passivi, e quello annuale per i saldi attivi. La delibera Cicr 9/2/2000
stabilisce: "1. Nel conto corrente l'accredito e l'addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le
periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità.
2. Nell'ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli
interessi creditori e debitori.
3. Il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto corrente può, se contrattualmente
stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica". Non risulta che,
durante il rapporto per cui è causa, la banca si sia adeguata alla suddetta delibera Cicr. Come affermato da
Cass., S.U., n. 24418/2010: "È conforme ai criteri legali di interpretazione del contratto, in particolare
all'interpretazione sistematica delle clausole, l'interpretazione data dal giudice in merito ad una clausola di un
contratto di conto corrente bancario, stipulato tra le parti in data anteriore al 22/4/2000, e secondo la quale
previsione di capitalizzazione annuale degli interessi, pattuita nel primo comma di tale clausola, si riferisce ai
soli interessi maturati a credito del correntista, essendo, invece, la capitalizzazione degli interessi a debito
prevista nel comma successivo, su base trimestrale, con la conseguenza che, dichiarata la nullità della
previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art.
1283 c.c. (il quale osterebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli
interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione"; ed a tale
principio ci si uniforma in questa sede. Pertanto, ci si riporta ai calcoli del CTU con i quali è stata espunta la
capitalizzazione degli interessi.
Ancora, gli attori contestano l'illegittima applicazione degli interessi da parte della banca. Il CTU ha verificato
un solo profilo d'illegittima applicazione degli interessi da parte della banca: dal momento in cui è iniziato il
rapporto di c/c del 19/5/1999, sino a quando è stata stipulata l'apertura di credito del 16/11/2001, la banca ha
applicato un fido di fatto, con tasso base nei limiti del fido, e tasso maggiorato per gli sconfinamenti autorizzati.
Ma un tasso ultralegale non de terminato per iscritto viola l'art. 1284, comma 3, c.c., in base al quale in
mancanza di pattuizione scritta degli interessi ultra legali, gli interessi sono dovuti nella misura legale; di
conseguenza, si condivide il calcolo del CTU che fino all'apertura di credito ha applicato unicamente il tasso
base previsto dal contratto di conto corrente.
Infine, gli attori deducono che gli interessi applicati abbiano superato il tasso soglia stabilito dalla Legge n.
108/1996, recante disposizioni in materia di usura. Il CTU ha accertato che al momento in cui furono convenuti,
i tassi d'interesse previsti dai contratti non erano usurari. In corso di rapporto, invece, in alcuni momenti del
rapporto il tasso soglia è stato superato, e ciò ha comportato comunque l'applicazione di un saggio d'interesse
illegittimo, in base al principio enunciato da Cass., n. 14899/2000: "In tema di contratto di mutuo, la pattuizione
di interessi moratori a tasso divenuto usurario a seguito della Legge n. 108 del 1996 è illegittima anche se
convenuta in epoca antecedente all'entrata in vigore di detta legge e comporta la sostituzione di un tasso diverso
a quello divenuto ormai usurario, limitatamente alla parte di rapporto a quella data non ancora esaurito". Il
CTU ha effettuato un doppio calcolo sul superamento del tasso soglia in corso di rapporto, in un caso inserendo
e nell'altro escludendo la commissione di massimo scoperto nel calcolo del Teg applicato dalla banca, Si ritiene
preferibile il secondo calcolo, quello che esclude la Cms dal Teg: infatti, per tutto il periodo in cui è durato il
rapporto il limite previsto dal 3° comma, dell'art. 644, del c.p., oltre il quale gli interessi sono sempre usurari,
stabilito dal Ministero del Tesoro nel tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà, il tutto
ai sensi dell'art. 2 L. n. 108/1996, è sempre stato determinato non prendendo in considerazione le commissioni
di massimo scoperto. È stato determinato un certo valore limite, ed occorre stabilire se nel caso concreto è
stato superato: è chiaro che il calcolo di quello stesso valore nel caso dato, debba essere effettuato esattamente
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con gli stessi criteri con i quali è stato determinato il limite, altrimenti saranno confrontate entità non
omogenee. Né è possibile rielaborare in questa se de lo stesso tasso soglia, poiché l'art. 2 L. n. 108/1996
rimanda espressamente al tasso soglia fissato dal Ministero del Tesoro. Del resto, l'art. 2-bis D.L. n. 185/2008
convertito in L. n. 2/2009, ai commi 2 e 3 stabilisce: "Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti
dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente
dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da patte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 del c.c.,
dell'art. 644 del c.p. e degli artt. 2 e 3 della L. 7/3/1996, n. 108. Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita
la Banca d'Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all'applicazione dell'art. 2 della Legge 7/3/1996,
n. 108, per stabilire che il limite previsto dal 3° comma, dell'art. 644 del c.p., oltre il quale gli interessi sono
usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effetti vo globale medio non verrà effettuata tenendo conto
delle nuove disposizioni. I contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto sono adeguati alle disposizioni del presente art. entro centocinquanta giorni dalla medesima data. Tale
obbligo di adeguamento costituisce giustificato motivo agli effetti dell'art. 118, comma 1, del testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1/9/1993 n. 385, e successive modificazioni".
Dunque è previsto che il MEF emani disposizioni transitorie per attuare il passaggio dalla precedente disciplina
all'attuale, in cui nel tasso soglia è compresa una remunerazione a favore della banca dipendente dall'effettiva
durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente ossia l'equivalente delle precedenti commissioni di
massimo scoperto; ed è previsto che i contratti in corso vengano adeguati entro un certo termine alla nuova
disciplina: se ne deduce che per i contratti precedenti alla entrata in vigore della norma, resti valido il tasso
soglia calcolato con le modalità stabilite dai decreti del Ministero del Tesoro succedutisi nel tempo.
In base a quanto sinora esposto, risulterebbe un credito a favore della banca convenuta pari ad euro 132.657,37
(saldo complessivo in base ai calcoli svolti sulla base dei quesiti posti dalla parte attrice) + 20.400,66 (rettifiche
operate per superamento del tasso soglia, inserendo nel calcolo le CMS) - 2.545,16 (rettifiche da operare
comunque sul saldo per superamento del tasso soglia, pur escludendo le CMS) = 150.512,87. Ma in realtà, il
CTU ha escluso del tutto gli interessi addebitati nei periodi in cui è stato superato il tasso soglia, mentre come
si è visto Cass., n. 14899/2000 parla di un tasso diverso da sostituire a quello usurario (perché non è stato
pattuito un tasso usurario, bensì il tasso è divenuto usurario, cosicché non si applica l'art. 1815 c.c. in base al
quale se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi); e l'unico tasso che
appare logico sostituire a quello divenuto usurario è quello pari al limite massimo del tasso soglia, poiché il
tasso d'interesse è divenuto illegittimo solo nella misura in cui ha superato il tasso soglia.
Dunque, la somma da detrarre per il superamento del tasso soglia, considerato che tale superamento è stato
pari allo 0,22% in un trimestre ed allo 0,69% in un altro, è pari a non più di 100 euro. Ne consegue che il
credito della banca ammonta ad euro 132.657,37 + 20.400,66 - 100 = 152.958,03; oltre interessi come da
contratti in atti (il conto/anticipi su crediti 4921-91 ed il conto/anticipi s.b.f. 0300630-96, gli unici che
presentano un saldo passivo).
La somma dovuta dai garanti non è superiore a quella dovuta dall'obbligata principale G.S. S.r.l.: i garanti
possono infatti opporre alla creditrice le stesse eccezioni del debitore principale, in quanto hanno prestato la
garanzia sulla base di una fideiussione e non di un contratto autonomo di garanzia, come dimostra il fatto che
si sono obbligati a pagare immediatamente a semplice richiesta, ma non senza eccezioni (vedi Cass., n.
5044/2009).
Le spese del giudizio seguono la soccombenza degli attori verso la convenuta e si liquidano come in dispositivo
(la domanda di ripetizione è stata respinta, quella di pagamento del saldo passivo accolta al 75%); ma le spese
della consulenza tecnica d'ufficio restano a carico delle parti in solido, in quanto la consulenza è servita appunto
a ridurre la somma richiesta dalla banca.
P.Q.M.
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Il Tribunale di Napoli, III sezione civile, nella persona del giudice unico Ettore Pastore Alinante,
definitivamente decidendo nella causa iscritta al n. 3091/2010 rgac tra: G.S. S.r.l., D.B.B., D.B.C., D.B.L. e
S.M.R. attori; S.p.A. BANCA ***, convenuta; così provvede:
1) Condanna gli attori a pagare alla società convenuta la somma di euro 152.958,03; oltre ulteriori interessi
come dai contratti conto/anticipi su crediti 4921-91 e conto/anticipi s.b.f. 0300630-96, dalle ultime date
risultanti dagli estratti conto presi in considerazione dal CTU, sino al soddisfo;
2) Pone definitivamente a carico delle parti in solido le spese della consulenza tecnica d'ufficio;
3) Condanna gli attori a rimborsare alla convenuta le spese del giudizio, che liquida in complessivi euro 7.738,
di cui euro 30 per esborsi, euro 2.248 per diritti ed euro 5.100 per onorario, oltre spese generali, Iva e Cpa.
Tribunale Ravenna, 29 mag 2012 Diritto bancario - Conto corrente bancario -
Pagamenti - Definizione
Tribunale di Ravenna
29 maggio 2012
Diritto bancario - Conto corrente bancario - Pagamenti - Definizione.
Diritto bancario - Conto corrente bancario - Azione di ripetizione - Prescrizione - Decorrenza.
Diritto bancario - Conto corrente bancario - Conto scoperto - Versamenti - Natura.
Diritto bancario - Conto corrente bancario - Conto non allo scoperto - Azione di indebito - Prescrizione - Non
decorrenza.
Diritto bancario - Conto corrente bancario - Rimesse - Funzione ripristinatoria - Legittimazione all'azione di
indebito oggettivo - Insussistenza.
Diritto bancario - Apertura di credito - Costituzione - Fatti concludenti - Inammissibilità.
Interessi usurari - Normativa applicabile - L. n. 106 del 2011 - Irretroattività.
Interessi usurari - Calcolo degli interessi - Produzione documentale - Onere probatorio.
Interessi usurari - Sogli d'usura - Onere probatorio - Iura novit curia.
Interesse usurari - Reato di usura - Nullità dei tassi usurari - Taglio soglia - Configurabilità.
Nei rapporti di conto corrente bancario possono considerarsi pagamenti solo gli accrediti confluiti su un conto
corrente bancario scoperto, ossia non assistito da apertura di credito e con saldo negativo (conto non affidato)
o recante un saldo negativo oltre i limiti dell'affidamento (conto sconfinato).
I rapporti di conto corrente bancario non sfuggono alla regola generale secondo la quale ogni singola
prestazione in denaro che si colloca nella fase esecutiva di un rapporto di durata assume giuridica rilevanza in
sé e per sé e, pertanto, ben può formare oggetto di autonoma azione di ripetizione laddove sia derivata da un
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titolo giustificativo nullo; conseguentemente, la prescrizione decennale decorre dall'esecuzione di quella
singola prestazione e non dalla chiusura del rapporto di durata all'interno del quale essa è inserita.
Nel caso di conto scoperto, il superamento del limite di disponibilità riconosciuto al cliente dalla banca fa
sorgere in capo a quest'ultima un diritto di credito liquido ed esigibile alla restituzione delle somme
corrispondenti allo sconfinamento, e comporta che tutti i versamenti diretti a riportare il saldo entro i limiti del
fido hanno natura di pagamenti.
Nell'ipotesi di conto non allo scoperto il termine di prescrizione non decorre quando le rimesse confluiscono
su un conto semplicemente passivo (cioè con saldo negativo entro il limite dell'affidamento), avendo esse, in
tal caso, la funzione di ripristinare quella disponibilità di cui il cliente usufruisce nell'apertura di credito in
conto corrente.
Se le rimesse in conto passivo hanno la funzione di ripristinare la disponibilità di cui il cliente usufruisce
nell'apertura di credito, il versamento che riduce l'esposizione del cliente non è idoneo a legittimare un'azione
di ripetizione di indebito oggettivo.
Non è ammissibile la configurabilità di un'apertura di credito per fatti concludenti.
In tema di tassi usurari, le condizioni applicate ai conti correnti accesi dopo l'entrata in vigore della L. n. 108
del 1996 vanno valutate alla luce del vecchio criterio di calcolo del tasso soglia, non essendo loro applicabile
l'art. 8 del D.L. 13 maggio 2011, convertivo in L. 12 luglio 2011, n. 106.
Incombe sulla parte che deduce l'applicazione di un tasso usurario l'onere di far valere ogni questione inerente
il calcolo degli interessi e l'allegazione della produzione documentale, come ad esempio gli estratti scalari ed
i decreti relativi ai tassi soglia.
L'omessa produzione dei decreti ministeriali attuativi della L. 7 marzo 1996, n. 108 che fissano la cd. soglia
d'usura non può essere rimediata mediante il ricorso al principio "iura novit curia", di cui all'art. 113 c.p.c. in
quanto i predetti decreti ministeriali hanno natura di atti meramente amministrativi.
Sia ai fini della configurabilità del reato di usura (art. 644 c.p.) sia ai fini della configurabilità della nullità dei
tassi usurari (art. 1815, comma 2, c.c.), il superamento del tasso soglia va considerato al momento in cui gli
interessi sono promessi o comunque convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento. N. R.G.
122/2007 omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato i fratelli XXXXX E YYYYY, quali eredi di ZZZZZ, deceduto in
data 28.12.2001, e quali comproprietari dell'Azienda Agricola WWW s.s. convenivano in giudizio la BANCA
S.p.A..
Esponevano che il de cuius Zzzzz era stato titolare del c/c n. 57/1547 (non prodotto da nessuna delle parti)
operativo dal 31.3.1977 al 22.1.2003, data in cui era stato estinto con giro conto del saldo di ? 136,39 sul c/c
n. 57/5586 intestato all'Azienda Agricola www s.s..
Aggiungevano che tale ultimo conto n. 57/5586 aperto il 15.1.12002 presentava un saldo passivo di ?
23.688,67 che in data 19.1.2006 era stato girato a sofferenza.
Assumevano che nel corso di entrambi i rapporti la convenuta aveva:
1) addebitato interessi ultralegali mai validamente pattuiti;
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2) spese e commissioni non concordate;
3) applicato interessi, su prelevamenti e versamenti, con valuta diversa da quella effettiva (producono CTP);
Chiedevano, pertanto, che dichiarata la nullità delle clausole contenute nei moduli standard dei contratti bancari
antecedenti la L. n. 154/92, trasfusa nel TU n. 385/1993 fosse disposto
A. il ricalcolo degli interessi ai sensi dell'art. 1284 c.c. per il rapporto n. 57/1547 costituito ante 1992 con la
conseguente decurtazione di quanto indebitamente richiesto per:
a) capitalizzazione periodica degli interessi
b) interessi ultralegali sullo scoperto
c) capitalizzazione trimestrale degli interessi
d) spese non previste e CMS e restituzione della somma di ? 209.671,90 oltre interessi indebitamente percepita.
B. il ristorno della somma di ? 21.211,57 con riferimento al c/c n. 57/5586 così suddivisa:
a) ? 9.943,60 quale differenza tra interessi convenzionali addebitati (12.469,63) e gli interessi eccedenti quelli
di cui all'art. 117 TUB (2.526,93);
b) ? 1.539,40 per interessi anatocistici con capitalizzazione annuale maturati dal I trimestre 2002 al I trimestre
2006;
c) ? 5.210,63 per CMS addebitate senza alcuna prestazione giustificata;
d) 1.991,91 per spese non dovute contrattualmente;
e) ? 2.526,03 per azzeramento degli interessi legali per superamento del tasso soglia dal 2002 al 2006:
f) del rapporto di c/c ab initio chiedendone la condanna alla ripetizione in La convenuta, costituitasi, eccepiva
l'infondatezza della pretesa attorea di cui chiedeva l'integrale rigetto.
Nel corso dell'istruttoria era esperita una CTU contabile dopodiché la causa era trattenuta in decisione
all'udienza del 15.2.2012.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è infondata sotto i profili che seguono e richiede invece ulteriori approfondi-menti istruttori per
quanto riguarda gli aspetti che si evidenzieranno.
Parte attrice chiede di accertare l'illegittima applicazione, da parte della banca convenuta, delle seguenti voci
per interessi e commissioni: interessi ultralegali per mancata pattuizione per iscritto, in violazione dell'art.
1284, comma 3, c.c., (non ritenendo idonea a soddisfare il requisito formale imposto dalla norma citata la
cosiddetta clausola "uso piazza"); interessi anatocistici per violazione dell'art. 1283 c.c.; interessi usurari per
violazione della L. n. 108/96; commissioni di massimo scoperto sia perché addebitate in difetto di valida
pattuizione (inesistente o comunque mancante di valido oggetto o di causa), sia perché rientranti nel calcolo
dei tassi usurari ai fini del superamento del tasso soglia.
In conseguenza di questa preliminare domanda di accertamento (che si risolve in una domanda di nullità delle
pattuizioni riferite agli accessori di cui si è detto), parte attrice propone una collegata domanda di ripetizione
di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., rispetto alla quale deve porsi un problema di prescrizione (oggetto di
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tempestiva eccezione da parte della difesa della banca convenuta), essendo quest'ultima azione pacificamente
soggetta al termine di prescrizione decennale, decorrente dalla data di ciascun pagamento delle somme che si
intendono ripetere.
A tale fine non può considerarsi l'art. 2, comma 61, del D.L. 29.12.2010, n. 225 (cosiddetto "decreto
milleproroghe"), come modificato dalla legge di conversione 26.2.2011, n. 10 (entrata in vigore il 27.2.2011),
il quale ha previsto che, nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente, la prescrizione relativa "ai diritti
nascenti dall'annotazione in conto" inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa.
Tale norma, a prescindere dall'incertezza applicativa che aveva generato, è stata dichiarata costituzionalmente
illegittima dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 78/2012 e quindi di essa non può tenersi conto ai fini
della soluzione della controversia di cui è causa.
È allora sul concetto di pagamento che occorre concentrare l'attenzione al fine di verificare se quanto parte
attrice chiede in restituzione fosse stato appunto "pagato" oltre 10 anni prima della proposizione della domanda
introduttiva del presente giudizio (2007).
Ora, nei rapporti di conto corrente bancario, è ormai pacifico (a seguito della nota sentenza delle Sezioni Unite
n. 24418/2010, ma anche richiamando l'ormai consolidata giurisprudenza in tema di revocatoria fallimentare
delle rimesse bancarie) che possono considerarsi pagamenti solo gli accrediti confluiti su un conto corrente
bancario "scoperto", ossia non assistito da apertura di credito e con saldo negativo (conto non affidato) o
recante un saldo negativo oltre i limiti dell'affidamento (conto sconfinato).
Infatti la Corte di Cassazione, nella citata sentenza n. 24418/2010, stabilisce tre criteri generali per la soluzione
di controversie analoghe a quella di cui è causa:
a) in primo luogo si precisa che non è soggetto a prescrizione il diritto del correntista alla rettifica delle
annotazioni a debito di interessi derivanti da una clausola nulla del contratto di conto corrente bancario;
b) in secondo luogo si chiarisce che è invece soggetto a prescrizione decennale il diritto alla ripetizione
di quanto pagato a titolo di interessi passivi annotati a debito in forza di un titolo nullo e tale prescrizione
decorre dalla data di ciascun versamento destinato a coprire, in tutto o in parte, il saldo negativo di un conto
corrente bancario non assistito da apertura di credito o il saldo negativo di un conto corrente bancario assistito
da apertura di credito, ma eccedente l'affidamento concesso e nei limiti dello scoperto;
c) in terzo luogo si precisa che, una volta ritenuta la nullità di una clausola che prevede l'anatocismo degli
interessi bancari con riferimento ad una data periodicità della capitalizzazione, non è consentita nessuna
capitalizzazione alternativa.
Nello specifico, la regola generale è quella secondo cui ogni singola prestazione in denaro che si colloca nella
fase esecutiva di un rapporto di durata assume giuridica rilevanza in sé e per sé e pertanto ben può formare
oggetto di autonoma azione di ripetizione laddove sia derivata da un titolo giustificativo nullo.
Conseguentemente, la prescrizione decennale decorre dall'esecuzione di quella singola prestazione e non dalla
chiusura del rapporto di durata all'interno del quale essa è inserita.
Ciò che assume decisiva rilevanza è però che si sia effettivamente in presenza di pagamenti i quali, soli,
possono formare oggetto di una domanda ex art. 2033 c.c. (il cui 1° comma recita: "Chi ha eseguito un
pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato").
È quindi onere della parte interessata (il solvens) promuovere la relativa azione entro il termine ordinario di
prescrizione (decennale), decorrente appunto da quando quel diritto può essere fatto valere ex art. 2935 c.c.,
vale a dire dal momento dell'esecuzione del pagamento stesso.
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Nel caso di conto scoperto, il superamento del limite di disponibilità riconosciuto al cliente dalla banca fa
sorgere in capo a quest'ultima un diritto di credito liquido ed esigibile alla restituzione delle somme
corrispondenti allo sconfinamento e comporta che tutti i versamenti diretti a riportare il saldo entro i limiti del
fido hanno natura di pagamenti.
Diversamente, il termine di prescrizione non decorre (se non dalla chiusura del rapporto come sostenuto da
parte attrice) solo quando le rimesse confluiscono su un conto semplicemente passivo (cioè con saldo negativo
entro il limite dell'affidamento), avendo esse in tal caso la funzione di ripristinare quella disponibilità di cui il
cliente usufruisce nell'apertura di credito in conto corrente.
In quest'ultimo caso non si ravvisa alcun pagamento e quindi il versamento che va a ridurre l'esposizione del
cliente non è idoneo a legittimare un'azione di ripetizione di indebito oggettivo.
L'azione sarà allora possibile solo una volta venuto meno il rapporto (o per iniziativa del cliente o per iniziativa
della banca) e solo dopo che il cliente abbia provveduto a pagare il saldo del conto corrente.
Arrivando allora al punto, non c'è dubbio che, nel caso di specie, è la stessa parte attrice ad agire per la
restituzione di somme che asserisce "indebitamente percette" dalla banca in corso di rapporto e dunque pagate
alla banca, con ciò presupponendo e riconoscendo che le singole rimesse che andavano a controbilanciare i
periodici addebiti di interessi confluissero su un conto corrente scoperto, cioè privo di formale apertura di
credito e con saldo negativo.
L'esame della relazione peritale agli atti conferma del resto questo dato, evidenziando che sul c/c 1547 intestato
a Zzzzz esistessero ogni anno numerose annotazioni in "AVERE" e dunque numerosi accrediti che hanno
consentito al predetto rapporto di chiudere con un saldo negativo di - ? 136,39 alla data del 22.1.2003 (quando
è stato estinto, mediante giroconto di pari importo al c/c n. 5586, come precisato a pag. 9 della relazione
ancorché dalla citazione potrebbe sembrare che il saldo fosse positivo), a fronte di addebiti di interessi per
complessivi ? 97.200,02 durante il corso del rapporto (pag. 102 della relazione).
Inoltre la c.t.u. rileva l'applicazione, nel corso di svolgimento del rapporto n. 1547, di ritenute su interessi attivi
maturati, segno questo che il predetto conto è tornato in più occasioni in attivo, appunto in conseguenza di
accrediti compensativi di precedenti addebiti di interessi.
Deve quindi concludersi che il saldo negativo derivante anche dall'applicazione di interessi passivi e
commissioni veniva periodicamente ripianato mediante frequenti versamenti, come del resto risulta anche
dall'analisi degli estratti conto agli atti.
Manca invece in atti la prova dell'esistenza di un formale contratto di apertura di credito che possa confortare
la tesi secondo cui i singoli accrediti operati in corso di rapporto non costituissero pagamenti ma semplici
rimesse ripristinatorie della disponibilità.
Sarebbe stato onere di parte attrice fornire tale prova, nel momento in cui sosteneva la tesi della decorrenza
della prescrizione solo dalla chiusura del c/c 1547, considerata l'eccezione di prescrizione sollevata dalla banca
convenuta, alla quale avrebbe dovuto contrapporre l'allegazione di fatti idonei a neutralizzarla.
Né tale prova può essere surrogata dalle acquisizioni operate dal c.t.u., considerato che i contratti di apertura
di credito acquisiti dal c.t.u. erano estranei al quesito n. 1 che lo autorizzava solo (e non avrebbe potuto essere
diversamente, in presenza dei limiti di cui all'art. 195 c.p.c.) ad acquisire i contratti di conto corrente bancario
di cui è causa (che sono contratti pacificamente diversi dai contratti di apertura di credito) e le pattuizioni
contenenti le condizioni economiche applicate ai medesimi rapporti.
Parte attrice non ha mai dedotto l'esistenza di una formale apertura di credito accessoria ai conti correnti bancari
in esame, anzi ha dedotto la nullità dei contratti di apertura di credito richiamati ed acquisiti (irritualmente) dal
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c.t.u., rilevando (anche a pag. 7 della propria comparsa conclusionale) che gli stessi non sono mai stati
sottoscritti dal cliente.
Ne consegue quindi e comunque la nullità dei medesimi per difetto di forma scritta, richiesta dalla legge fin
dal 1992 (prima con la L. n. 154/1992 e poi con l'art. 117 del TUB approvato con D.Lgs. n. 385/93), ma ritenuta
necessaria dalla giurisprudenza prevalente anche prima, non ammettendosi la configurabilità di un'apertura di
credito per fatti concludenti (Cass. 5.12.1992, n. 12947; Cass. 21.3.1991, n. 3060; Trib. Milano, 15.10.1984,
in Banca, borsa, tit. cred., 1986, II, 232).
Esclusa allora l'esistenza di contratti di apertura di credito che possano rendere meramente ripristinatorie e non
solutorie le rimesse bancarie finalizzate a coprire le poste passive contestate nel presente giudizio, non vi è
dubbio che il termine di prescrizione dell'azione di ripetizione proposta decorre dalla data contabile di ogni
accredito sui rapporti di conto corrente di cui è causa.
Deve pertanto escludersi la ripetibilità di qualsiasi interesse (ultralegale, anatocistico o usurario) o di qualsiasi
commissione addebitati fino al 1997 ove controbilanciate da accrediti annotati nel medesimo periodo.
Per il periodo successivo occorre considerare quanto segue.
Interessi ultralegali
Per quanto riguarda i tassi di interesse ultralegale applicati, va precisato che, ferma restando la prescrizione di
quanto annotato e pagato prima del 1997, per quanto riguarda il c/c 1547 la mancata produzione ad opera delle
parti del contratto originario, risalente al lontano 1977 non può di per sé costituire motivo sufficiente per
concludere che sia mancata una preventiva pattuizione per iscritto di interessi ultralegali, considerato che la
banca non era tenuta a conservare oltre i 10 anni tale documento, soprattutto dopo che il predetto conto corrente
era stato estinto nel 2003.
La mancata contestazione degli estratti conto per anni, la chiusura del c/c 1547 il 22.1.2003 mediante giroconto
del saldo scoperto sul c/c n. 5586, ed il lunghissimo tempo trascorso legittimano pertanto a ritenere che gli
attori e, prima di loro, Zzzzz avessero sostanzialmente rinunciato a contestare l'applicazione di interessi
ultralegali.
Vale infatti il principio secondo cui: "La rinuncia ad un diritto, se pure non può essere presunta, può tuttavia
desumersi da un comportamento concludente, che manifesti, in quanto incompatibile con l'intenzione di
avvalersi del diritto, la volontà di rinunciare" (Cass., 13.1.2009, n. 460).
Ancora più puntualmente la Suprema Corte ha precisato che "Il comportamento - interpretato alla luce dei
principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. - del contraente titolare di una situazione
creditoria o potestativa, che per lungo tempo trascuri di esercitarla e generi così un affidamento della
controparte nell'abbandono della relativa pretesa, è idoneo come tale (essendo irrilevante qualificarlo come
rinuncia tacita ovvero oggettivamente contrastante con gli anzidetti principi) a determinare la perdita della
medesima situazione soggettiva" (Cass., sez. lav., 28.4.2009, n. 9924).
Coerentemente col principio appena espresso, nella specifica materia bancaria un'attenta giurisprudenza di
merito (Trib. Pescara, 20.1.2008, n. 78, Giudice Unico Dott. Angelo Bozza, leggibile sul sito
www.studiomarcelli.it) ha precisato che: "nel nostro sistema vige il principio generale di conservazione della
documentazione contabile per la durata di dieci anni (art. 2220 c.c.) e l'art. 119, ultimo comma, TUB, consente
di ottenere da parte del cliente-correntista copia di documentazione inerente a singole operazioni se poste in
essere nell'ultimo decennio. Ora, siccome spetta a chi agisce in giudizio munirsi di tutta la documentazione
necessaria per far valere le proprie ragioni, e non rivenendosi principio in base al quale l'istituto di credito
sarebbe tenuto ad una conservazione illimitata delle scritture contabili contrattuali, nulla può pretendersi dalla
parte convenuta in base alla normativa vigente nell'ambito di una domanda di restituzione di indebito e rispetto
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ad estratti contabili che non sono stati a suo tempo neppure oggetto di contestazione; il mancato assolvimento
dell'onere della prova non può che ricadere su parte attrice".
Si aggiunga che parte attrice deduce la nullità dei patti contrattuali che determinano gli interessi con rinvio agli
usi su piazza, ma, quantomeno con riferimento al c/c 1547, il divieto di rinvio agli usi non può operare,
trattandosi di rapporto acceso prima dell'entrata in vigore dell'art. 4 della L. 17.2.1992 n. 154, poi trasfuso
nell'art. 117 del D.Lgs. 1.9.1993, n. 385. Tali norme infatti "non sono retroattive e, pertanto, in relazione ai
contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, non influiscono sulla validità delle clausole dei contratti
stessi, ma possono soltanto implicarne l'inefficacia "ex nunc", rilevabile solo su eccezione di parte" (Cass.
25.2.2005, n. 4093; Cass. 25.2.2005, n. 4092).
Per quanto riguarda il c/c n. 5586, il relativo contratto contiene una previsione sufficientemente specifica in
ordine alla pattuizione degli interessi ultralegali.
Interessi usurari.
Riguardo alla contestata (da parte attrice) applicazione di tassi usurari, va anzitutto precisato che la L. 7.3.1996,
n. 108 è stata recentemente modificata dal D.L. 13.5.2011, n. 70 (c.d. "decreto sviluppo"), convertito nella L.
12.7.2011, n. 106, il quale, all'art. 8, ha previsto che il tasso di interesse applicato si considera usurario se
supera di ¼ e di ulteriori 4 punti percentuali il tasso effettivo globale medio o comunque se supera di 8 punti
percentuali il predetto valore fissato amministrativamente.
In mancanza di disposizioni transitorie, si pone il problema se la nuova misura si applica fin dalla data di
entrata in vigore della L. n. 108/96 o, per meglio dire, a partire dall'aprile 1997, essendo quest'ultimo il
momento in cui la L. n. 108/96 ha avuto effettiva applicazione a seguito dell'entrata in vigore del primo decreto
ministeriale di rilevazione dei tassi soglia.
La Cassazione Penale ha escluso che il nuovo criterio di calcolo del tasso soglia ai fini della verifica
dell'usurarietà del tassi di interesse applicati possa avere efficacia retroattiva ove più favorevole alla banca,
"non essendo intervenuta, in tal modo, una modifica della norma incriminatrice del reato di usura bensì di
norma extrapenale integratrice del precetto penale" (Cass. Pen., Sez. II, 23.11.2011, n. 46669, depositata il
19.12.2011, in Diritto & Giustizia, 2012 ed in www.ilcaso.it, Sez. I, giur., 6799/2012).
Le condizioni economiche applicate al c/c 1547 dopo l'aprile del 1997 e le condizioni economiche applicate al
c/c 5586, acceso dopo l'entrata in vigore della L. n. 108/96, vanno quindi valutate alla luce del vecchio criterio
di calcolo del tasso soglia.
Ora, sul punto la CTU rileva un sistematico sforamento delle soglie d'usura per il conto 1547 ed uno sforamento
delle soglie d'usura a partire dalla data di apertura e dal 1.7.2003 per il conto 5586 (pag. 84 della relazione),
senza tuttavia precisare in che misura ed in quali periodi ciò sia avvenuto.
Parte attrice ha eccepito il superamento dei tassi soglia in maniera del tutto generica, senza evidenziare né i
parametri di riferimento (mediante produzione dei periodici decreti ministeriali di rilevazione dei tassi effettivi
globali medi da cui calcolare il tasso soglia tempo per tempo esistente), né i periodi o l'entità di tale
superamento.
Si ritiene allora, conformemente ad un condivisibile orientamento della giurisprudenza di merito, che "è onere
della parte che eccepisca la violazione delle disposizioni dettate in tema di interessi usurari dimostrare, nel
caso in cui il rapporto sotteso si caratterizzi come continuativo e soggetto a periodiche rendicontazioni (come
quello di conto corrente con contestuale apertura di credito), la sussistenza nel dettaglio, di detta condotta
antigiuridica" e che "risulta inammissibile, in quanto meramente esplorativa, la richiesta, pur rituale di
consulenza tecnica di ufficio" (Trib. Bassano Grappa, 8.2.2010, n. 102, in Guida al diritto, 2010, 23, 70).
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Incombe quindi sulla parte che deduce l'applicazione di un tasso usurario l'onere di far valere ogni questione
inerente il calcolo degli interessi e l'allegazione della produzione documentale, come ad esempio gli estratti
scalari ed i decreti relativi ai tassi soglia (Trib. Napoli, 4.11.2010, in Giur. merito, 2011, 4, 981).
Peraltro l'omessa produzione dei decreti mini-steriali attuativi della L. 7.3.1996, n. 108 che fissano la cd. soglia
d'usura non può essere rimediata mediante il ricorso al principio "iura novit curia", di cui all'art. 113 c.p.c. in
quanto i predetti decreti ministeriali hanno natura di atti meramente amministrativi (Trib. Mantova,
1.12.2009, in www.ilcaso, Sez. I-Giur., doc. n. 2272/2010).
Peraltro, nel caso in cui un contratto a tempo indeterminato (qual è il conto corrente bancario) preveda un tasso
di interesse non usurario al momento della stipula - perché precedente all'entrata in vigore della L. n. 108/1996
(come nel caso del c/c 1547) o perché conforme alla normativa vigente in quel momento (il c/c 1547 è stato
acceso quando ancora la L. n. 108/96 non era in vigore) - ma che pure fosse divenuto tale nel corso del rapporto,
non trova applicazione la norma dell'art. 1815, comma 2, c.c., in ragione dell'espressa disposizione dell'art. 1
D.L. n. 394/2000, come convertito con L. n. 24/2001.
Tale articolo ha precisato che, sia ai fini della configurabilità del reato di usura (art. 644 c.p.) sia ai fini della
configurabilità della nullità dei tassi usurari (art. 1815, comma 2, c.c.), il superamento del tasso soglia va
considerato al momento in cui gli interessi sono promessi o comunque convenuti, indipendentemente dal
momento del loro pagamento.
Poiché la stessa norma precisa che la regola vale per i tassi pattuiti "a qualsiasi titolo", deve ritenersi che non
potrà applicarsi l'art. 1815, comma 2, c.c. (il quale prevede che, in caso di interessi usurari, nulla sia dovuto),
a nessuna operazione finanziaria (non solo ai mutui) conclusa prima dell'entrata in vigore della L. n. 108/96,
potendo quest'ultima disposizione trovare applicazione solo nel caso in cui l'interesse sia usurario nel momento
in cui viene pattuito e non quando sia divenuto tale successivamente.
La disposizione, essendo contenuta in una legge di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva e dunque
si applica fin dall'entrata in vigore della L. n. 108/96.
Parte attrice non ha fornito prove di pattuizioni di interessi usurari successivamente all'entrata in vigore della
L. n. 108/96 (anche soltanto a mezzo della modifica unilaterale delle condizioni contrattuali da parte della
banca ai sensi dell'art. 118 TUB) e pertanto il capo di domanda relativo alla ripetizione di interessi usurari deve
essere rigettato.
Anatocismo
L'anatocismo bancario è divenuto legittimo dopo che è intervenuto il D.Lgs. 4.8.1999, n. 342, recante
modifiche al TUB che, sostituendo l'art. 120, comma 2, TUB, ha previsto la generale ammissibilità
dell'anatocismo bancario applicato ai contratti bancari stipulati dopo la pubblicazione del citato decreto
legislativo, purché adeguato alle modalità ed ai criteri per la produzione di interessi sugli interessi indicati con
apposita delibera del CICR e purché al cliente venga assicurata la stessa periodicità nel conteggio degli interessi
debitori e creditori.
Il CICR ha provveduto a determinare le modalità ed i criteri di maturazione degli interessi anatocistici con
delibera del 9.2.2000, entrata in vigore il 22.4.2000.
Pertanto, da quest'ultima data, la prassi bancaria di applicare interessi anatocistici è divenuta legittima, sempre
che siano osservate le condizioni previste nella delibera CICR del 9.2.2000.
Per i contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della citata delibera le condizioni pattuite dovevano essere
adeguate ai requisiti di legittimità dell'anatocismo previsti dalla citata delibera del CICR entro il 30.6.2000,
nel caso in cui l'applicazione delle nuove condizioni avesse determinato un peggioramento per il cliente.
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La c.t.u. agli atti non consente di verificare l'effettivo rispetto delle condizioni di cui alla delibera CICR del
9.2.2000 nell'applicazione di interessi anatocistici dopo il 22.4.2000, né quale sarebbe stato l'ammontare degli
interessi addebitati dal 1997 al 22.4.2000 sul c/c 1547 in assenza di capitalizzazione (stante la pacifica
illegittimità, durante quel periodo, della prassi di capitalizzare gli interessi convenzionali).
Occorre quindi procedersi ad un supplemento di attività istruttoria al fine di compiere dette verifiche.
Commissioni di massimo scoperto
Per quanto riguarda le commissioni di massimo scoperto applicate, l'orientamento dominante, formatosi prima
dell'entrata in vigore dell'art. 2-bis del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni nella L.
28 gennaio 2009, n. 2, ritiene la pattuizione riferita alla commissione di massimo scoperto affetta da nullità o
per mancanza di causa, considerato che essa va ad aggiungersi all'interesse passivo addebitato al cliente
sull'esposizione debitoria (Trib. Milano, 4.7.2002, n. 8896, in Il Merito, 2003, n. 2, 37; Trib. Busto Arsizio,
Sez. Dist. Gallarate, 18.10.2010, in I Contratti, 2011, n. 12, 1706 ss.) o per indeterminatezza o indeterminabilità
dell'oggetto ex art. 1346 c.c., considerata la mancanza di parametri certi con riferimento alla base di calcolo ed
ai criteri di periodicità (Trib. Piacenza, 12.4.2011, in I contratti, 2011, n. 12, 1133 ss.; analogamente Trib.
Lecce, Sezione distaccata di Campi Salentina, 3.11.2005, in I contratti, 2006, 1, 71 e ss., secondo cui la nullità
sussiste se il contratto non contiene elementi certi e predeterminati per la completa quantificazione di tale
commissione) o ancora per superamento della soglia degli interessi legali prevista dall'art. 1284, comma 2, c.c.
(Trib. Tortona, 19.5.2008, in www.ilcaso.it).
Anche in questo caso dovrà procedersi ad un supplemento di attività istruttoria al fine di accertare l'entità delle
somme addebitate a titolo di commissioni di massimo scoperto dopo il 1997.
In conclusione come da parte dispositiva
. deve ritenersi prescritto ogni diritto di ripetizione riferito ad accrediti anteriori ai 10 anni precedenti la data
di notifica dell'atto di citazione;
. deve ritenersi legittima l'applicazione di interessi ultralegali sia con riferimento al c/c 1547 che con
riferimento al c/c 5586 e preclusa ad oggi ogni contestazione sul punto;
. deve respingersi la doglianza relativa all'applicazione di interessi usurari per mancanza di sufficienti
allegazioni sul punto;
. resta da accertare l'effettiva applicazione di interessi anatocistici illegittimi e di commissioni di massimo
scoperto sul c/c 1547 dopo il 1997 e sul c/c 5586 dalla data di accensione.
P.Q.M.
Il Tribunale di Ravenna, non definitivamente, pronunciando sulla causa in epigrafe trascritta, ogni contraria
istanza eccezione e deduzione disattesa:
dichiara la prescrizione di ogni diritto di ripetizione riferito ad accrediti anteriori ai 10 anni precedenti la data
di notifica dell'atto di citazione;
dichiara legittima l'applicazione di interessi ultralegali sia con riferimento al c/c 1547 che con riferimento al
c/c 5586 e preclusa ad oggi ogni contestazione sul punto; respinge la domanda relativa all'applicazione di
interessi usurari;
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dispone la prosecuzione del giudizio come da separata ordinanza per accertare l'effettiva applicazione di
interessi anatocistici illegittimi e di commissioni di massimo scoperto sul c/c 1547 dopo il 1997 e sul c/c 5586
dalla data di accensione. rinvia alla sentenza definitiva la liquidazione delle spese legali.
Tribunale Larino n.119, 3 mag 2012 Ammortamento alla 'francese': illegittimità
del piano di ammortamento applicato ai mutui fondiari
Tribunale di Larino
3 maggio 2012, n. 119
Ammortamento alla "francese": illegittimità del piano di ammortamento applicato ai mutui fondiari
Si tratta della prima sentenza emessa da un Giudice Togato del Tribunale in tema di illegittimità del piano di
ammortamento applicato ai contratti di mutuo fondiario.
La causa, intrapresa da un imprenditore di Termoli e patrocinata dall'Avv. Carmine de Benedittis del Foro di
Campobasso nell'anno 2009 aveva lo scopo di richiedere all'istituto bancario, che aveva acceso il mutuo in
favore dell'imprenditore termolese, la restituzione degli interessi pagati in più a causa dell'applicazione del
cosiddetto "ammortamento alla francese" alla restituzione rateale del mutuo.
Il Giudice Barbara Previati ha dichiarato illegittimo tale sistema di ammortamento poiché, come giustamente
sostenuto dall'attore, il tasso di interesse stabilito nel contratto di mutuo non era stato rispettato dall'istituto
bancario, dal momento che il maggior tasso di interesse pagato veniva nascosto nel piano di ammortamento
"alla francese" applicato dalla banca che, con tale piano di ammortamento, aveva illegittimamente capitalizzato
l'interesse pattuito.
Difatti, la CTU predisposta dal Giudice ha accertato che l'attore aveva sborsato ben 15.000,00 Euro circa in
più rispetto alla somma che avrebbe dovuto pagare se fosse stato adottato dall'istituto bancario l'ammortamento
semplice o "all'italiana", ovvero senza alcuna capitalizzazione con rate costanti di pari quota interessi e pari
quota capitale.
Il Giudice ha quindi condannato il mutuante al rimborso della suddetta somma, oltre interessi, spese di CTU e
spese legali, riconoscendo all'istituto bancario il solo tasso legale in sostituzione del tasso di interesse
contrattuale, applicando l'art. 1284 del codice civile, poiché l'istituto bancario non aveva rispettato il tasso
pattuito applicando, di fatto, l'interesse ultra-legale illegittimo.
Il Tribunale di Larino, Sezione distaccata di Termoli, in composizione monocratica, nella persona del giudice
designato dott.ssa Barbara Previati, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile in primo grado, iscritta al n. 842 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2009
tra
MISERERE Michele, rappresentato e difeso dall'avv.to Carmine DE BENEDITTIS, elettivamente domiciliato
in Campobasso, alla via Mazzini n. 4018
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Attore
e
CREDITO FONDIARIO S.p.A., GRUPPO FONSPA BANK, in persona del legale rappresentante p.t.,
elettivamente domiciliato in Termoli, via Mazzini n. 11, presso lo studio dell'avv.to Giulia Michela Antignani,
rappresentato e difeso dall' avvocato Vincenzo ROMANO
Convenut
o CONCLUSIONI
all'udienza del 1.12.2011, la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti a
verbale.
ATIORE: Concludeva chiedendo di dichiarare illegittimo il sistema di calcolo alla francese relativo al piano
di ammortamento del mutuo rep. 74661, racc. 13318, acceso in data 26.6.1989; di dichiarare illegittimo il piano
di ammortamento alla francese applicato alla quota riferita all'accollo del mutuo da parte del sig. MISERERE,
effettuato con atto di compravendita del 29.3.1991, rep. 7412, racc. 1775; di accertare la usurarietà degli
interessi applicati alla quota di mutuo indicata, a partire dal trimestre 31.3.1997; di condannare la società
convenuta alla restituzione della somma di Euro 27.008,86, effettuando il calcolo senza conteggiare alcuna
somma a titolo di interessi, o della somma di Euro 15.145,18, applicando solo il tasso di interesse legale.
CONVENUTO: chiedeva il rigetto delle avverse domande.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ritualmente notificato, il sig. MISERERE Michele conveniva in giudizio il CREDITO
FONDIARIO S.p.A., esponendo che:
- egli si era
accollato il contratto di mutuo rep. n. 74661, racc. 13318 (acceso in data 26.6.1989 tra il CREDITO
FONDIARIO S.p.A. e la società CENTROSUD COSTRUZIONI S.p.A., per L. 600.000.000, con interesse del
5% semestrale), stipulando il relativo contratto in data 29.3.1991, per la somma di L. 40.001.000, da restituirsi
in 30 rate semestrali, mutuo estinto anticipatamente il 1.6.2000;
- nel contratto di mutuo era previsto un piano di ammortamento cd. "alla francese", con capitale rivalutabile,
che di fatto aveva comportato una maggiorazione del tasso di interesse pattuito contrattualmente, con
violazione degli artt. 1283 e 1284 c.c., comportando la applicazione di un tasso di interesse composto, non
già semplice (come invece pattuito);
- tale evenienza, unitamente alla rivalutazione della quota di capitale dovuta, aveva determinato un effetto
moltiplicatore sul tasso di interesse applicato ed effettivamente pagato dal mutuatario;
- inoltre, in questo modo erano stati applicati tassi di interesse usurari, in netto contrasto con le prescrizioni di
cui alla L. n. 108/96.
Concludeva chiedendo di dichiarare illegittimo il sistema di calcolo alla francese relativo al piano di
ammortamento del mutuo rep. 74661, racc. 13318, acceso in data 26.6.1989; di dichiarare illegittimo il piano
di ammortamento alla francese applicato alla quota riferita all'accollo del mutuo da parte del sig. MISERERE,
effettuato con atto di compravendita del 29.3.1991, rep. 7412, racc. 1775; di accertare la usurarietà degli
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interessi applicati alla quota di mutuo indicata, a partire dal trimestre 31.3.1997; di condannare la società
convenuta alla restituzione della somma di Euro 27.008,86, effettuando il calcolo senza conteggiare alcuna
somma a titolo di interessi, o della somma di Euro 15.145,18, applicando solo il tasso di interesse legale.
In corso di causa, con comparsa depositata il 17.2.2011, si costituiva il CREDITO FONDIARIO S.p.A.,
rilevando che la applicazione di anatocismo, in caso di mutuo fondiario, era lecita, in quanto prevista dall'art.
38 del r.d. n. 646/1905; inoltre, nel caso di specie era stato puntualmente determinato in contratto il tasso di
interesse da applicare.
Chiedeva il rigetto delle avverse domande.
La causa veniva istruita con la documentazione depositata, nonché con una CTU.
La causa, sulle conclusioni di cui in epigrafe, veniva trattenuta in decisione all'udienza del 1.12.2011 (con
termine per il deposito di comparse conclusionali e repliche di gg. 60+20).
Agli atti è il contratto di mutuo rep. 74661, racc. 13318, del 26.6.1989, stipulato tra il CREDITO FONDIARIO
S.p.A. e la CENTROSUD COSTRUZIONI S.p.A. per L. 600.000.000, in cui veniva pattuito l'interesse del 5%
semestrale con contestuale accensione di ipoteca di L. 1.500.000.000 e la rivalutazione del capitale da
rimborsare; nonché il contratto di compravendita stipulato in Termoli il 29.3.1991, rep. 7412, racc. 1775,
stipulato tra MISERERE Michele e la CENTROSUD S.p.A., con cui il primo acquistava l'immobile ivi meglio
descritto e si accollava la quota di mutuo, già concesso dal CREDITO FONDIARIO, per L. 40.848.458, con
accollo di una porzione di ipoteca, prevedendo una restituzione con 30 rate semestrali per quindici anni; risulta
dagli atti ed è incontestato che il mutuo veniva estinto anticipatamente dal sig. MISERERE in data 1.6.2000.
Con riferimento al contratto di mutuo citato, stipulato originariamente tra la CENTROSUD e il CREDITO
FONDIARIO, in cui successivamente è subentrato il MISERERE, la espletala CTU ha evidenziato che nel
piano di ammortamento allegato al contratto e nel corso del medesimo rapporto è stato applicato un tasso
effettivo diverso - e superiore - rispetto a quello convenuto nella parte letterale del medesimo contratto, con
un'operazione da reputarsi illegittima, ai sensi degli artt. 1283 e 1284 c.c.
Va premesso che il più diffuso tra i piani di ammortamento per i mutui è quello detto "alla francese", cioè a
rata costante. Il rimborso del capitale avviene infatti tramite rate di pari importo per tutta la durata
dell'ammortamento e il tasso d'interesse può essere sia fisso che variabile. Nell'ammortamento alla francese ad
essere uguale non è la quota capitale, ma la rata: così facendo si ottiene un valore "attuale" della somma
concessa. Anche in questo caso, col passare del tempo la parte di interessi decresce, mentre sale quella dovuta
a titolo di capitale. Inoltre, la previsione, come nel caso di specie, della rivalutazione del capitale, può
determinare un ulteriore e progressivo aumento del capitale residuo da restituire, con conseguente applicazione
di tassi di interesse non corrispondenti affatto a quelli preliminarmente pattuiti nel contratto di mutuo.
Venendo al caso in esame, aderendo ai principi già espressi nella condivisibile sentenza di merito n. 113 del
29 ottobre 2008 del Tribunale di Bari, sezione distaccata di Rutigliano, il CTU ha potuto riscontrare che, mentre
nella parte letterale del contratto si stabiliva un tasso rispettoso della normativa civilistica della maturazione
dei frutti civili (tasso fisso semestrale al 5%), nel piano di ammortamento veniva di fatto previsto e applicato
il cd. "ammortamento alla francese", "ossia un metodo che comporta la restituzione degli interessi con una
proporzione più elevata in quanto contiene una formula di matematica attuariale, giusta la quale l'interesse
applicato è quello composto e già non quello semplice (previsto dal nostro c.c., all'art. 821, comma 3)".
Come condivisibilmente sostenuto nella sentenza citata, "il tasso nominale di interesse pattuito letteralmente
nel contratto di mutuo non si può assolutamente maggiorare nel piano di ammortamento, né si può mascherare
tale artificioso incremento nel piano di ammortamento, poiché il calcolo dell'interesse nel piano di
ammortamento deve essere trasparente ed eseguito secondo regole matematiche dell'interesse semplice (...). I
contratti di mutuo per cui è causa sono mutui con rimborso frazionato, in cui alla banca, durante il rapporto, si
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restituisce ratealmente il capitale, originariamente prestato, prima della scadenza finale del mutuo stesso: i
mutui de quibus vengono estinti con una serie di pagamenti (rate), effettuati dal debitore. La rata del mutuo
con rimborso frazionato si è calcolata, però, nel caso in esame, con la formula del cd. interesse composto, non
prevista nella parte letterale del medesimo contralto, che comporta la crescita progressiva del costo,
comprendendo di fatto degli interessi anatocistici".
Anche nel contratto di mutuo per cui è causa è stata riscontrata una divergenza tra il tasso indicato in contratto
ed il tasso concretamente applicato sulla base del piano di ammortamento, col quale, in sostanza, vi è stata
l'applicazione della capitalizzazione composta. evenienza riscontrata all'esito dei calcoli espletati dal CTU
Del resto, atteso l'orientamento della S.C. (cfr. sentenza n. 2593, del 20.2.2003), l'art. 1283 c.c. deve ritenersi
applicabile anche ai contratti di mutuo, con il risultato che gli interessi (in assenza di usi normativi contrari
precedenti al 1942) producono ulteriori interessi solo se la banca propone una domanda giudiziale contro il
cliente o se ciò si conviene dopo la scadenza del contratto.
La Cassazione, in particolare, ha rilevato che "in un mutuo, con rate costanti (ma anche non costanti), che
comprendono parte del capitale e gli interessi, tali interessi non possono certamente divenire capitale da
restituire a chi l'ha concesso"; di conseguenza nel contratto deve esplicitarsi il tasso effettivo del mutuo secondo
lo legge dell'interesse semplice, per la quale detto interesse è la differenza, alla fine del rapporto, tra l'importo
rimborsato e quello prestato.
Tale esplicitazione non è, nel caso di specie, avvenuta, in quanto nello stesso contratto si è proceduto, nel piano
di ammortamento allegato, alla capitalizzazione degli interessi (cd. ammortamento alla francese), mentre nella
parte letterale non era prevista una clausola specifica di capitalizzazione degli interessi: ciò importa lo
coesistenza in uno stesso contratto di due differenti tassi, con la determinazione di un'assoluta incertezza su
quale dei due tassi convenuti sia effettivamente quello convenuto ed applicabile.
In conseguenza di tanto, applicando l'art. 1284 c.c., nella determinazione della somma da restituire al
MISERERE (versata sulla base del citato piano di ammortamento), dovrà tenersi conto, per il computo degli
interressi, esclusivamente del tasso di interesse legale di riferimento, per tutta la durata del rapporto (non
potendosi ritenere che la stipula di un mutuo fondiario - cui, in astratto, attesa la specifica normativa di
riferimento, potrebbe applicarsi l'anatocismo - possa derogare alla previsione di cui all'art. 1284 c.c. e dell'art.
1346 c.c.: in definitiva, nel caso in esame deve ritenersi che vi sia stata difformità tra quanto pattuito nel
contratto e quanto, in concreto, applicato con il piano di ammortamento).
Occorre a tal proposito segnalare che la CTU, con riferimento al contratto di mutuo agli atti, relativamente alla
quota che si era accollato l'attore, ha evidenziato un aumento del costo effettivo del rapporto, conseguente alla
divaricazione fra il tasso nominale e quello effettivo; secondo i calcoli del CTU, la somma pagata dal
MISERERE in più per effetto di tale illegittima operazione ammonta ad Euro 15.100,67, somma ottenuta
considerando la applicazione del tasso di interesse legale senza tener conto della progressiva rivalutazione del
capitale, che di fatto ha inciso anche sul quantum degli interessi pagati. Parte convenuta deve quindi essere
condannata a pagare tale somma in favore dell'attore.
Considerate le date di stipula del mutuo e del successivo accollo del medesimo (rispettivamente 1989 e 1991)
non può essere ritenuta applicabile la violazione della disciplina anti usura.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo; le spese di CTU vanno poste definitivamente
a carico della banca. La presente sentenza è esecutiva ai sensi dell'art. 282 c.p.c.
P.Q.M.
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Il Tribunale di Larino, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta
da MISERERE Michele nei confronti di CREDITO FONDIARIO S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore, ogni altra contraria istanza disattesa, così provvede:
1) Ritenuto illegittimo, rispetto alle previsioni letterali del contratto, il sistema di ammortamento
concretamente applicato al contratto di mutuo per cui è causa, oggetto di successivo accollo da parte dell'attore,
applicato, per effetto di tale illegittimità, il tasso di interesse legale al rapporto in esame, condanna il CREDITO
FONDIARIO S.p.A. alla restituzione della somma di Euro 15.100,67 in favore dell'attore, oltre interessi legali
dalla domanda al saldo;
2) Condanna l'Istituto convenuto, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla refusione in
favore dell'attore delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 3.050,00, di cui Euro 350,00 per
spese, Euro 900,00 per diritti, Euro 1.800,00, per onorario, oltre IVA, Cap e rimborso forfetario spese generali
come per legge, nonché al pagamento delle spese della espletata CTU, già liquidate con separato decreto nel
corso del presente giudizio.
Tribunale Mantova n.251, 20 mar 2012 Commissioni di massimo scoperto
Tribunale di Mantova
20 marzo 2012, n. 251, Sezione Seconda
Commissioni di massimo scoperto
Il Tribunale di Mantova, nella persona del giudice unico Dott. Alessandra Venturini ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I grado iscritta al n. 855/2007 R.G. promossa con atto di citazione notificato il 20.2.2007
da:
*** S.r.l.
rappresentata e difesa dall'avv. *** del Foro di *** e dall'avv. ***, come da procura in calce all'atto di citazione
ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Via ***,
ATTRICE
contro
BANCA *** S.p.A.
rappresentata e difesa dall'avv. ***, come da procura in calce all'atto di citazione notificato ed elettivamente
domiciliata presso lo studio dello stesso in ***,
CONVENUTA
a cui è stata riunita la causa civile di I Grado iscritta al n. 1825/2007 R.G. promossa con atto di citazione
notificato il 13.4.2007 da:
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*** S.r.l., A S, A B e A E
rappresentati e difesi dall'avv. del Foro di *** e dall'avv. ***, come da procura in calce all'atto di citazione ed
elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in ***,
ATTORI
contro
*** S.p.A. in nome e per conto della BANCA *** S.p.A.
rappresentata e difesa dagli avv.ti *** e ***, come da procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta
ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli stessi in ***,
CONVENUTA
in punto a: "Bancari - Opposizione a D.I. 290/2007".
CONCLUSIONI
Il procuratore degli attori chiede e conclude:
" In riferimento alle domande svolte da *** S.r.l., da A E, A B e A S:
Quanto al proc. n. 1825/2007 R.G.:
1) In via pregiudiziale di rito: ritenuta la carenza di una valida procura ad litem (all. l ing. 290/2007 opposta),
in quanto rilasciata da funzionario privo dei relativi poteri e, comunque, in violazione dell'art. 21 dello
Statuto di parte opposta, dichiararsi la inammissibilità del ricorso e, per l'effetto, revocarsi, annullarsi o
comunque dichiararsi la inefficacia del decreto ingiuntivo opposto, con ogni conseguente effetto restitutorio
della somma pagata in data 2.4.2007 e pari a ? 208.575,84=;
2) In via preliminare, sempre in relazione al procedimento n. 1825/2007 R.G.:
Disporsi ex art. 649 c.p.c. la revoca della provvisoria esecutorietà concessa ex art. 642 c.p.c. in assenza dei
requisiti di legge;
3) In via principale di merito, anche riconvenzionale ed in relazione ad entrambe le cause riunite: ritenuto che
in data 2.4.2007 il Sig. E A, al solo fine di ottenere la cancellazione dell'ipoteca giudiziale iscritta
nell'interesse di B, sui propri beni immobili, ha pagato alla Banca *** S.p.A. la somma complessiva di ?
208.575,84=, comprensiva di "capitale" per £ 196.588,15=, interessi per £ 2.283,65=, spese legali per ?
4.459,32=, imposta di registro per ? 507,72=, imposte e tasse ipotecarie per £ 4.077,00=, rimborso spese
per l'iscrizione ipotecaria per ? 660,00=, accertarsi, previa formale contestazione delle risultanze
dell'estratto del conto corrente, così come prodotto dalla convenuta nel procedimento n. 1825/2007 R.G., e
dichiararsi l'invalidità e/o inefficacia a titolo di nullità parziale del contratto di apertura di credito o di
affidamento o comunque del conto corrente n. 175/28125 oggetto del rapporto tra la società opponente e la
banca convenuta, particolarmente in relazione alla clausola di determinazione e di applicazione degli
interessi ultralegali, della determinazione ed applicazione degli interessi, intesi anche come commissione
di massimo scoperto, anatocistici con capitalizzazione trimestrale, e comunque la illegittimità della
variazione dei tassi d'interesse di volta in volta effettuata unilateralmente dalla banca nel corso del rapporto,
alla applicazione della cosiddetta commissione di massimo scoperto (c.m.s.), di cui viene chiesta perciò
l'integrale restituzione, della applicazione sbilanciata degli interessi per i c.d. giorni valuta e in relazione ad
ogni ulteriore voce addebitata dalla banca a titolo di spese, competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo
pretese; accertare e dichiarare, per l'effetto, l'esatto dare/avere tra le parti, con l'esclusione di ogni
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capitalizzazione, anche annuale, in quanto non pattuita, in base ai risultati del ricalcolo che potrà essere
effettuato dal C.T.U. tecnico-contabile e sulla base della intera documentazione relativa al rapporto bancario
intercorso fra la parti, dalla data del 1.1.1997 fino al 8.2.2007, con conseguente revoca, dichiarazione di
inefficacia, o annullamento del decreto ingiuntivo opposto, e con la condanna della banca convenuta al
pagamento della somma che dovesse risultare a credito del correntista, oltre interessi legali e rivalutazione
monetaria, oltre al risarcimento dei danni ulteriori, anche non patrimoniali e morali, subiti per effetto della
sottrazione alla attività d'impresa della relative disponibilità di credito;
4) in via ulteriore di merito, anche riconvenzionale: accertare e dichiarare, previo accertamento del tasso
effettivo globale applicato dalla banca nel corso del rapporto di cui sopra, ivi includendosi anche la c.m.s.,
la nullità e la inefficacia di qualsiasi pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni e
competenze per contrarietà alle norme di cui alla legge n. 108/1996 e all'art. 1815 c.c. in quanto eccedente
il c.d. tasso-soglia nel periodo di riferimento, con la conseguente revoca, dichiarazione di inefficacia o
annullamento del decreto ingiuntivo opposto, oltre al risarcimento dei danni anche non patrimoniali e
morali, e le sanzioni civili conseguenti;
5) In via ulteriore di merito e riconvenzionale: previa riforma dell'ordinanza del 15.6.2007,pronunciata nel
procedimento n. 855/2007; accertato che la banca convenuta ha illegittimamente segnalato alla Centrale dei
Rischi della Banca d'Italia la posizione a sofferenza della società attrice, condannarsi la medesima ad
effettuare la rettifica con effetto retroattivo, della predetta segnalazione, oltre al risarcimento dei danni, che
si quantificano nella somma di ? 50.000,00=;
6) In via ulteriore di merito e riconvenzionale: ritenuto che parte opposta ha agito in giudizio e iscritto ipoteca
giudiziale con colpa grave, in quanto mancava il requisito del periculum, in mora, condannarsi la medesima
a titolo di responsabilità processuale aggravata ex art. 92, comma 1, c.p.c.;
7) In via istruttoria: si richiamano le produzioni già effettuate in entrambi procedimenti, con riserva di ulteriori
produzioni e deduzioni istruttoree ai sensi dell'art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.; si eccepisce la inammissibilità
delle produzioni di controparte, con particolare riferimento al doc. 7, prodotto nel proc. n. 855/2007 R.G.,
e sub 9 nel proc. n. 1825/2007 R.G. e la inutilizzabilità dell'estratto conto, così come prodotto da
controparte; si chiede pertanto l'esibizione in giudizio dell'estratto conto completo, relativamente al periodo
che va dal 1.6.2006, fino alla data del 8.2.2007; fin d'ora si insta per idonea c.t.u., finalizzata a ristabilire il
corretto equilibrio tra le parti e il conseguente esatto saldo del conto corrente;
8) In ogni caso: con vittoria di spese, diritti e onorari del presente giudizio, oltre i.v.a. del 20%, c.p.a. del 2%
e rimborso forfetario del 12,5%;
- In riferimento alle domande di E A:
1. In via principale di merito, anche riconvenzionale: ritenuto che in data 2.4.2007 il Sig. E A ha pagato
alla B S.p.A. la somma complessiva di ? 208.618;95=, e accertato altresì la violazione della medesima dei
principi di correttezza e buona fede e, comunque il fatto illecito dalla medesima realizzato in danno
dell'opponente, anche per responsabilità processuale aggravata a norma dell'art. 96, comma 2, c.p.c., e 96,
comma 1, c.p.c., condannarsi la medesima a restituire ogni somma indebitamente percepita a vario titolo e pari
alla somma in linea capitale di £ 208.618,95= oltre interessi legali dalla data del pagamento indebito, oltre al
risarcimento dei danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali, che si quantificano fin d'ora nella misura di ?
l00.000,00=, o in quella diversa che risulterà in corso di causa;
2. In ogni caso: con vittoria di spese, diritti e onorari del presente giudizio, oltre i.v.a. del 20%, c.p.a. del
2% e rimborso forfetario del 12,5%;
Il procuratore delle convenute chiede e conclude:
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"In via preliminare di rito:
a) Rigettarsi l'istanza di sospensione e di revoca della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposo;
In via pregiudiziale di merito:
b) Dichiarare irripetibili le somme che siano ritenute corrisposte in eccesso;
c) In subordine, dichiarare estinto il diritto di ripetizione per intervenuta prescrizione;
In via principale:
d) Rigettare ogni domanda avversaria, in quanto infondata in fatto ed in diritto;
e) Confermarsi in ogni sua parte il decreto ingiuntivo opposto n. 290/2007 ing. n. 705/2007 R.G., emesso dal
Tribunale di Mantova in data 17.2.2007;
In via subordinata:
f) Nella denegata ipotesi di accoglimento, anche parziale, dell'opposizione al citato decreto ingiuntivo,
condannarsi gli opponenti *** S.r.l., A S, A B e A E, in via tra loro solidale, al pagamento in favore di
Banca *** S.p.A. di ? 196.588,15, o al diverso importo che dovesse risultare in corso di causa, oltre interessi
con le decorrenze e i tassi indicati nel ricorso monitorio;
g) Nel caso in cui sia riconosciuta l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi,
applicarsi il criterio sostitutivo della capitalizzazione semestrale o, in via ulteriormente subordinata, di
quella annuale;
h) In ogni caso; con vittoria di spese, competenze ed onorari, anche del procedimento cautelare ex art. 700
c.p.c., promosso nell'ambito del procedimento di merito n. 855/2007 R.G.
In via istruttoria: come da verbale del 31.5.2011".
FATTO
Con atto di citazione notificato in data 20.2.2007 la società *** S.r.l. conveniva in giudizio Banca *** S.p.A.
esponendo: di aver intrattenuto con la filiale di B S.p.A. il rapporto di conto corrente di corrispondenza n.
28125/5 acceso in data 9.12.1996; che nella "lettera integrativa" il tasso debitore era indicato nella misura
dell'11,00% nel caso di "apertura di credito" e del 14,00% nel caso di "scoperto di conto e/o sconfinamento
"oltre ad una non meglio specificata "commissione trim. di massimo scoperto" al saggio del 0,250%; che il
contratto rinviava per il resto alle "Norme che regolano i conti correnti di corrispondenza" di matrice ABI, fra
le quali, all'art. 7, comma 3, era prevista clausola secondo la quale gli interessi dovuti producevano; a loro
volta, interessi passivi, secondo la capitalizzazione anatocistica degli stessi; che la banca aveva quindi applicato
detta clausola, liquidando ed addebitando in conto con cadenza
trimestrale sia gli interessi passivi, che somme ulteriori a titolo di "commissione massimo scoperto",
commissione unilateralmente aumentata nel tempo dalla banca; che
il saldo debitorio preteso dalla banca ammontava alla somma ? 196.588,15, di cui ? 109.968,72 erano già stati
oggetto di contestazione, in altra causa promossa dall'attrice ed avente ad oggetto contratti di swap conclusi
fra le parti, avendo la banca addebitato sul conto n. 28125 tutto il valore intrinseco o mark to market negativo
per la somma di € 61.800,00; che con lettera del 20.2.2006 la società attrice aveva eccepito vari profili di
illegittimità dei contratti di swap e diffidato la banca a riaccreditare sul conto i differenziali negativi, nonché,
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a rideterminare il saldo debitore del conto corrente, stante la nullità delle clausole di capitalizzazione
trimestrale e della commissione di massimo scoperto; che B. S.p.A. non aveva mai dato riscontro a detta
richiesta e, fallito ogni tentativo di componimento transattivo della vertenza relativa ai contratti di swap, la
società attrice aveva promosso avanti il Tribunale di Mantova la causa n. 5409/2006 rito societario
commerciale; che con lettera spedita il 13.2.2007 B aveva dichiarato di trasferire a sofferenza i rapporti in
essere (delegando alla gestione del rapporto *** S.p.A. senza aver mai prima espressamente revocato gli
affidamenti ed aver esercitato il recesso; che con detta missiva era stato richiesto il pagamento della somma di
€ 196.588,15 a titolo di "saldo debitore"; che in realtà le posizioni debitorie di dare/avere, come
rispettivamente, invocate dalle parti, sia in via giudiziale che stragiudiziale, si elidevano a vicenda; per cui con
lettera del 15.2.2007 la società attrice, oltre ad eccepire la mancata indicazione dei titoli fondanti la pretesa
creditoria della banca, aveva chiesto il blocco del trattamento dei dati personali, e soprattutto la rettifica della
errata e pregiudizievole segnalazione alla Centrale Rischi, riservandosi in mancanza, ogni iniziativa giudiziale;
che stante il silenzio serbato da controparte la società attrice aveva quindi promosso il presente giudizio.
Ciò premesso in fatto parte attrice eccepiva la illegittimità della capitalizzazione anatocistica degli interessi e
delle altre remunerazioni pretese dalla banca, per contrasto con norme imperative, anche successivamente alla
Delibera CICR del 9.2.2000, non potendo la norma imperativa di cui all'art. 1283 c.c. essere derogata da una
fonte primaria di secondo grado, quale l'art. 120 del D.Lgs. n. 385/1993, né da una fonte secondaria quale l'art.
1 della citata Delibera CICR; parte attrice precisava che la mera indicazione in contratto della percentuale di
calcolo della c.d. c.m.s. non appariva sufficiente a soddisfare il requisito della determinabilità a priori, richiesto
dall'art. 1346 c.c. e che la sua applicazione avrebbe potuto comportare il superamento del tasso soglia della
misura degli interessi debitori, con la conseguenza che, se effettivamente applicati interessi usurari, nulla
sarebbe stato dovuto a tale titolo; costava infine, la legittimità del meccanismo con il quale la banca aveva
calcolato le valute degli interessi e commissioni in relazione alle singole operazioni, posticipando gli accrediti
relativi ai versamenti e anticipando i debiti, dilatando in tal modo il montante degli interessi passivi per il
correntista, in violazione del disposto dell'art. 1710 c.c.
La società attrice concludeva quindi chiedendo in via principale: accertarsi l'esatto dare/avere tra le parti,
previa declaratoria di nullità parziale del contratto di conto corrente, in relazione alle clausole di
determinazione degli interessi ultralegali, della determinazione ed applicazione di interessi anatocistici, di
applicazione della cosiddetta commissione di massimo scoperto, di applicazione sbilanciata degli interessi per
i c.d. giorni valuta;
dichiararsi la illegittimità della variazione dei tassi di interesse di volta in volta effettuata unilateralmente dalla
banca nel corso del rapporto e quindi condannarsi la banca convenuta al pagamento della somma risultante a
credito del correntista, oltre ad interessi, rivalutazione e risarcimento dei danni; in via ulteriore di merito
accertarsi la nullità di qualsiasi pretesa della banca per interessi, previo accertamento, con inclusione della
c.m.s., del tasso effettivo globale applicato dalla banca, per contrarietà alle norme di cui alla legge n. 108/96,
oltre al risarcimento dei danni ed infine condanna della convenuta al risarcimento dei danni per illegittima
segnalazione alla Centrale Rischi della posizione a sofferenza della società attrice.
Con comparsa ritualmente depositata si costituiva in giudizio B. S.p.A. chiedendo il rigetto delle domande di
controparte.
In via preliminare la convenuta eccepiva la irripetibilità degli importi corrisposti a B, sia per effetto della tacita
approvazione degli estratti del conto corrente regolarmente inviati, sia in quanto il loro pagamento era avvenuto
in adempimento di un'obbligazione naturale; in ogni caso rilevava che controparte non poteva pretendere la
restituzione di quegli addebiti che la stessa aveva riconosciuto come dovuti nella richiesta di piano di rientro
in data 14.10.2005, accettata da B; sempre in via preliminare la convenuta eccepiva comunque la prescrizione
del diritto di ripetizione delle somme eventualmente versate in eccesso dalla correntista, essendo oggetto della
domanda interessi ed altri importi che erano stati corrisposti periodicamente, per i quali trovava applicazione
il termine di prescrizione quinquennale ai sensi dell'art. 2948, n. 4, c.c., o, in qualsiasi caso, il termine di
prescrizione ordinario di dieci anni, per cui la società attrice poteva richiedere la restituzione dei soli importi
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indebitamente pagati nel decennio anteriore alla proposizione della domanda (non potendo ritenersi atti
interruttivi le missive del legale della società attrice, per le quali non vi era prova del loro ricevimento).
Nel merito, relativamente alla capitalizzazione degli interessi debitori (contrattualmente prevista) la convenuta
osservava che la clausola relativa doveva ritenersi legittima, sia in quanto riproducente un uso normativo (non
essendo condivisibile l'interpretazione contraria di tale prassi, fatta propria dalla Corte di legittimità, che aveva
in tal senso mutato il proprio precedente orientamento), sia in quanto l'anatocismo, in deroga all'art. 1283 c.c.,
era previsto dagli artt. 1823, 1825 e 1831 c.c., dettati in tema di conto corrente ed applicabili per analogia
anche al conto corrente bancario; in via subordinata rilevava come dovesse essere riconosciuta la
capitalizzazione semestrale degli interessi passivi, ossia quella massima consentita dall'art. 1283 c.c., o
comunque quella annuale; precisava peraltro che il contratto di c/c n. 28125, stipulato in data 9.12.1996, era
stato rinegoziato con successivo contratto in data 10.6.2003, che prevedeva la capitalizzazione trimestrale sia
a credito che a debito del cliente, in conformità a quanto previsto dall'art. 120 TUB.
Quanto alle ulteriori domande di controparte rilevava che la società attrice, in sede di conclusioni, aveva
avanzato domanda di declaratoria di nullità parziale del contratto di conto corrente in relazione "alla clausola
di determinazione ed applicazione di interessi ultralegali", domanda inammissibile in quanto non fondata su
alcun motivo in fatto ed in diritto;
precisava che comunque sia nel contratto 9.12.1996 che nel successivo in data 10.6.2003 le parti avevano
espressamente pattuito per iscritto il tasso degli interessi debitori e creditori;
eccepiva del pari l'inammissibilità della domanda formulata, sempre solo nelle conclusioni, di declaratoria di
"illegittimità della variazione dei tassi di interesse di volta in volta effettuata unilateralmente dalla banca nel
corso del rapporto", non fondata su alcuna motivazione in fatto ed in diritto; affermava la validità della clausola
relativa alla commissione di massimo scoperto, pattuita mediante indicazione di un tasso espresso in
percentuale, indicazione sufficiente ai fini della determinabilità dell'oggetto; eccepiva la nullità, per
indeterminatezza, della censura relativa al ritardo, secondo controparte, con cui la banca avrebbe accreditato
le valute dei versamenti e all'anticipo degli addebiti, censura comunque infondata, essendosi la banca attenuta
alle rispettive disposizioni contrattuali; eccepiva del pari l'indeterminatezza delle domande relative al
"sospetto" di applicazione di interessi usurari, rilevando come comunque nella verifica del c.d. tasso soglia
non si doveva tener conto, contrariamente a quanto asserito dall'attrice, della commissione di massimo
scoperto; eccepiva da ultimo la nullità, sempre per indeterminatezza, della domanda di accertamento della
illegittimità della segnalazione effettuata da B alla Centrale Rischi e la conseguente domanda di risarcimento
danni, entrambe comunque infondate, essendo stata la segnalazione effettuata in adempimento degli obblighi
posti a carico dell'Istituto bancario, e in particolare delle istruzioni della Banca d'Italia in merito, a fronte della
situazione economica della correntista, come già evidenziato nell'ambito del sub-procedimento ex art. 700
c.p.c., promosso in corso di causa dall'attrice, volto ad ottenere la cancellazione e la rettificazione, con effetto
retroattivo, della predetta segnalazione, e conclusosi con provvedimento di inammissibilità del ricorso,
difettando il presupposto della strumentalità e del collegamento della misura cautelare richiesta con le domande
oggetto di causa.
In via pregiudiziale chiedeva la riunione al presente procedimento della causa iscritta al n. 1825/2007 R.G.,
pendente avanti ad altro Giudice di questo Tribunale, ed avente ad oggetto l'opposizione proposta dalla società
attrice e dai suoi fideiussori avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da *** S.p.A., in nome e per conto di B
S.p.A., per il pagamento dell'importo di ? 196.588,15, quale saldo debitore alla data del 7.2.2007 del conto
corrente n. 28125, oltre ad interessi e spese, avendo anche in tale sede gli opponenti chiesto la revoca del
decreto opposto per gli stessi motivi qui fatti valere, ed avanzato identiche domande, oltre ad eccepire, in via
pregiudiziale, la carenza di una valida procura ad litem, rilasciata da funzionario privo dei relativi poteri, e a
richiedere, il solo A E, la restituzione dell'importo di ? 208.618,95, - versato in data 2.4.2007 a seguito
dell'emissione di decreto provvisoriamente esecutivo, oltre ad interessi dal pagamento dell'indebito ed al
risarcimento dei danni.
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All'udienza del 24.9.2007 veniva disposta la riunione al presente procedimento della causa parzialmente
connessa iscritta al n. 1825/2007 R.G.
Con rispettive memorie ex art. 183, c.p.c., n. 1, le parti precisavano le conclusioni nelle due cause riunite, come
in epigrafe riportate.
Entrambe le cause sono state istruite mediante c.t.u. contabile.
DIRITTO
Va innanzi tutto rigettata l'eccezione di invalidità della procura alle liti apposta in calce al ricorso monitorio,
per essere stata rilasciata da "funzionario privo dei relativi poteri";
l'eccezione è stata formulata dagli opponenti solo nelle conclusioni dell'atto di citazione in opposizione ad
ingiunzione di pagamento e non è supportata da alcuna motivazione.
La procura per altro è stata rilasciata dal rag. C M, "in qualità di Responsabile ad interim dell'Ufficio periferico
di *** della *** S.p.A. con sede in ***... e come tale rappresentante per gli affari dell'Ufficio periferico, ai
sensi dell'art. 21 del vigente Statuto";
costituendosi in giudizio l'opposta ha prodotto l'atto di nomina a responsabile dell'Ufficio periferico di *** del
rag. C M, al quale, in tale sua veste, l'art. 21 dello Statuto di M.P.S. attribuisce il potere di nominare "Avvocati
e procuratori, con mandato speciale a proporre ogni azione, domanda e gravame ...".
La procura alle liti è stata quindi conferita ai difensori da funzionario dotato dei necessari poteri di
rappresentanza della società opposta.
Ciò premesso verranno quindi esaminate, seguendo un ordine logico, le identiche domande di merito proposte
da *** S.r.l. (di seguito *** S.r.l.) e dai fideiussori opponenti in entrambe le cause riunite.
Per comodità di esposizione il richiamo dei documenti prodotti, senza ulteriore specificazione, dovrà intendersi
riferito ai documenti prodotti nella causa n. 85/2007 R.G.
Va innanzi tutto rigettata l'eccezione di "irripetibilità" degli importi corrisposti dall'attrice (sulla base delle voci
di addebito contestate), sollevata da parte convenuta.
Secondo l'assunto, non meglio giustificato in diritto, detti importi dovrebbero considerarsi irripetibili sia per
effetto della tacita approvazione degli estratti conto inviati dalla banca nel corso del rapporto) sia perché
l'attrice dando spontanea esecuzione a prestazioni, in ipotesi, non dovute, avrebbe così adempiuto ad
un'obbligazione naturale, sia infine per avere l'attrice espressamente riconosciuto il proprio debito nella
richiesta di piano di rientro sottoscritta in data 14.10.2005, accettata da B.
Quanto al primo motivo va rilevato che l'omessa impugnazione degli estratti conto inviati dalla banca preclude
solo la contestazione del fatto dell'annotazione contabile in sé, ma non anche la validità della sottostante
operazione compiuta sul conto corrente di corrispondenza, come sottolineato da costante orientamento
giurisprudenziale, che deve qui condividersi e secondo il quale "... La mancata contestazione dell'estratto conto
e la connessa implicita approvazione di tutte le operazioni bancarie regolate nel conto stesso, attesa la natura
sostanzialmente confessoria delle annotazioni in esso riportate, non comporta infatti l'inammissibilità di
censure attinenti alla validità e l'efficacia dei rapporti obbligatori da cui scaturiscono le partite inserite nel
conto, in quanto in tal caso l'impugnativa, non essendo limitata alla contestazione di accrediti e di addebiti
sotto il profilo contabile, non è direttamente collegata all'estratto conto trasmesso dalla banca" (v. Cass. civ.,
I, n. 18626/2003).
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Quanto al secondo motivo va rilevato che se pur viene considerato adempimento di un'obbligazione naturale
il pagamento di interessi ultralegali non convenuti per iscritto, nel caso ciò che difetta è la "spontaneità" del
pagamento, essendo questo avvenuto per effetto del saldo del conto, come unilateralmente calcolato dalla
banca a seguito di addebiti di poste illegittime, secondo quanto allegato da parte attrice (peraltro diverse ed
ulteriori rispetto agli interessi ultralegali).
Quanto al terzo motivo deve ricordarsi che il riconoscimento di debito comporta unicamente l'inversione
dell'onere della prova in ordine all'esistenza del rapporto fondamentale, dispensando da tale onere colui a
favore del quale viene reso, al pari della promessa di pagamento, con la conseguenza che la prova contraria
(avente ad oggetto sia l'inesistenza del rapporto, sia l'estinzione, l'inefficacia o il diverso contenuto del debito)
deve essere fornita dall'altra parte.
Le censure degli attori devono quindi esaminarsi nel merito.
Risulta dalla documentazione in atti che la società *** S.r.l. ha concluso in data 9.12.1996 con B S.p.A.
contratto di apertura di conto corrente di corrispondenza n. 28125, prodotto da entrambe le parti (doc. 1 parte
attrice, doc. 2 parte convenuta), in parte modificato ed integrato dal "contratto di adesione conto imprese@più
extralarge" stipulato in data 10.6.2003, regolante il medesimo rapporto di conto corrente ed ulteriori servizi
prestati alla cliente (v. doc. 3 parte convenuta).
In entrambi i contratti, in conformità a quanto previsto dall'art. 117 D.Lgs. n. 385/93, è stata espressamente
indicata, e quindi regolarmente pattuita, la misura percentuale degli interessi sia debitori che creditori, per cui
del tutto infondata è l'eccezione di nullità della clausola relativa, avanzata dalla correntista e dai fideiussori.
In relazione alla misura degli interessi in concreto applicati al rapporto di conto corrente n. 28125 questi ultimi
hanno eccepito altresì l'illegittimità della variazione dei tassi di volta in volta unilateralmente effettuata dalla
banca.
La domanda, anche se formulata solo nelle conclusioni dell'atto di citazione deve ritenersi ammissibile, essendo
sufficientemente determinata.
Com'è noto il TUB prescrive, a pena di nullità, la forma scritta dei contratti, l'indicazione specifica del tasso
d'interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati, nonché la possibilità, per l'istituto di credito, di variare
in senso sfavorevole al cliente il tasso d'interesse ed ogni altra condizione, facoltà che deve però "essere
espressamente indicata nel contratto con clausola approvata specificamente dal cliente" (art. 117 D.Lgs. n.
385/93); ai sensi del successivo art. 118 "se nei contratti di durata è convenuta la facoltà di modificare
unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni, le variazioni sfavorevoli sono comunicate al cliente nei
modi e nei termini stabiliti dal CICR. Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le
prescrizioni del presente articolo sono inefficaci. Entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione
scritta, ovvero di altre forme di comunicazione attuate ai sensi del comma 1 il cliente ha diritto, di recedere dal
contratto senza penalità e di ottenere in sede di liquidazione del rapporto, l'applicazione delle condizioni
precedentemente praticate."
La norma (analoga all'art. 6 della precedente legge n. 154/92) quindi consente all'istituto di credito di
modificare anche unilateralmente i tassi di interesse, a condizione che la modifica sia previamente comunicata
al cliente (nelle forme previste dal CICR) e che questi, entro i quindici giorni successivi, non eserciti diritto di
recesso.
Nel contratto di apertura di conto corrente (art. 16, comma 2, come modificato a pag. 2 della lettera integrativa
contratto 9.12.1996) la Banca si è riservata la facoltà di "modificare le condizioni economiche applicate ai
rapporti in conto corrente, rispettando in caso di variazioni in senso sfavorevole al correntista, le prescrizioni
della legge 17 febbraio 1992, n. 154 ..."; detta clausola, con altre, è stata specificamente approvata con doppia
sottoscrizione del correntista.
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La facoltà per la banca di modificare unilateralmente, anche in senso sfavorevole alla controparte, talune
condizioni del contratto, sono state quindi validamente pattuite dalle parti, nel rispetto di quanto previsto dal
TUB.
Solo qualora la convenuta avesse variato il tasso d'interesse applicato al rapporto, in senso più sfavorevole al
cliente rispetto a quanto previsto dal contratto, violando le prescrizioni dell'art. 118 D.Lgs. n. 385/93,
l'eventuale variazione dovrebbe ritenersi inefficace, con conseguente applicazione al rapporto delle condizioni
precedenti alla variazione.
Al fine di verificare detta circostanza sul punto è stata quindi disposta c.t.u. contabile, i risultati della quale
verranno di seguito esaminati.
Fondata risulta invece l'eccezione di illegittimità della capitalizzazione trimestrale, pattuita con il contratto
9.12.1996, ed applicata dalla banca agli interessi dovuti dalla correntista al rapporto dedotto in lite, sino alla
stipulazione del nuovo contratto in data 10.6.2003.
Com'è noto il divieto di pattuizione degli interessi sugli interessi è stabilito - in linea generale - dall'art. 1283
c.c., che consente la capitalizzazione degli interessi scaduti solo dal giorno della domanda giudiziale o per
effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre per interessi dovuti da almeno sei mesi, fatti salvi
gli usi contrari (usi normativi).
La tesi, sostenuta dalla giurisprudenza meno recente, della legittimità della capitalizzazione operata dagli
istituti di credito, si fondava appunto sulla natura di uso normativa attribuibile alla prassi della capitalizzazione
trimestrale degli interessi passivi, generalmente praticata dalle banche ed invocata dalla convenuta.
Con la pronuncia n. 2374/99 la Suprema Corte ha compiuto però un vero e proprio revirement, con cui ha
mutato radicalmente il proprio precedente orientamento, ravvisando nella capitalizzazione trimestrale non più
un uso normativo, ma chiarendo, come argomentato poi anche nelle successive numerose pronunce conformi,
che tale prassi si fonda in realtà su un mero uso negoziale, inidoneo, come tale, a derogare alla disciplina
dell'art. 1283 c.c., norma avente carattere imperativo e natura eccezionale (vedi Cass. civ., n. 2374/99, Cass.
civ., n. 3096/99, Cass. civ., n. 12507/99, Cass. civ., n: 8442/2002, Cass. civ., n. 12222/2003, nonché Cass.
SS.UU., n. 21095/2004).
In particolare la Suprema Corte ha rilevato l'inesistenza di un uso normativo in tal senso antecedente all'entrata
in vigore del Codice Civile del '42, e l'assoluta irrilevanza della previsione di capitalizzazione trimestrale
contenuta, per la prima volta, nelle Norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI nel 1952, trattandosi di
condizioni predisposte dall'associazione di categoria, indirizzate alle associate, ed aventi come tali natura
meramente pattizia.
L'inserimento costante di simili clausole nei contratti stipulati fra i clienti e le singole banche non ha dato luogo
al sorgere di una consuetudine normativa, difettando gli elementi idonei a determinare un uso di tale natura,
ed in particolare l'elemento soggettivo costituito dalla consapevolezza, per entrambi i contraenti, di osservare
un precetto giuridico (opinio iuris ac necessitatis).
Come sottolineato dalla Corte di Cassazione, i clienti si sono infatti uniformati a dette clausole non in quanto
ritenute conformi a norme di diritto oggettivo già esistenti, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli
istituti di credito, in conformità con le direttive dell'associazione di categoria, insuscettibili di contrattazione
individuale e la cui sottoscrizione costituisce presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari, cosicché
l'atteggiamento psicologico del cliente non è di spontanea adesione a un precetto giuridico, ma di mera
accettazione di clausole unilaterali predisposte dal contraente più forte.
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La stessa esigenza di inserire la clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale nei singoli contratti dimostra
anzi l'inesistenza di un uso normativa (che, come tale, troverebbe applicazione, al pari della legge,
indipendentemente dalle previsioni delle parti).
Esclusa l'esistenza di un uso normativo, deve altresì escludersi, come invece sostenuto da B e da *** che la
convenzione anatocistica possa ritenersi validamente pattuita ai sensi degli artt. 1825 e 1831 c.c., disciplina
concernente il conto corrente ordinario, la cui applicazione alle operazioni di conto corrente bancario è
impedita dal mancato richiamo alle suddette norme dall'art. 1857 c.c., così come deve escludersi
un'applicazione in via analogica, stante la diversità causale e funzionale dei poteri dispositivi dei reciproci
crediti attribuiti ad entrambi i contraenti nel conto corrente ordinario, rispetto alla libera disponibilità del
correntista ed alla prestazione di tenuta del conto svolta dalla banca nel contratto di conto corrente bancario
(v. in tal senso Trib. Milano 4 luglio 2002).
Avendo le parti previsto nel contratto 9.12.1996 la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori (art. 7
"Norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi) in violazione del disposto di cui
all'art. 1283 c.c., la clausola relativa deve quindi dichiararsi nulla per contrasto con norma imperativa, con
conseguente diritto della correntista di ripetere quanto indebitamente versato alla banca a tale titolo.
È evidente che, in mancanza di usi normativi contrari, come sopra rilevato, potendo le parti validamente
pattuire convenzione anatocistica solo ai sensi della seconda parte dell'art. 1283 c.c., nel caso, non trattandosi
di interessi maturati dalla domanda giudiziale, né essendo stato allegato che sia intervenuta pattuizione
successiva alla scadenza di interessi dovuti da almeno sei mesi, nessuna capitalizzazione, né semestrale, né
annuale, come richiesto dalla convenuta, può essere applicata agli interessi debitori dovuti dalla società attrice,
in forza del contratto 9.12.1996, con conseguente diritto di ripetizione degli importi a tale titolo addebitati.
La clausola anatocistica risulta invece essere stata validamente pattuita con il successivo contratto 10.6.2003,
essendo la relativa clausola conforme a quanto previsto dall'art. 1 della Delibera CICR 9.2.2000, con la quale
è stata data attuazione all'art. 120 TUB, come modificato dall'art. 25 D.Lgs. n. 342/99.
Deve qui rigettarsi la tesi sostenuta dagli attori, secondo la quale né l'art. 120 TUB, quale norma primaria di
secondo grado, né la delibera del CICR quale fonte secondaria, potrebbero derogare al disposto dell'art. 1283
c.c.
L'art. 120 TUB, come modificato dall'art. 25, comma 2, del D.Lgs. n. 324/99, che delega al CICR di stabilire
unicamente modalità e criteri "per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in
essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia
assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia
creditori" (e quindi rinviando alla norma regolamentare, in virtù della particolare tecnicità della materia,
unicamente l'attuazione del dettato normativo) costituisce infatti disciplina speciale, prevedente una diversa
regolamentazione dell'anatocismo in materia di contratti bancari, che, come tale, costituisce deroga alla
disciplina generale dettata dal codice civile.
La delibera CICR citata, che ha dato attuazione all'art. 120 TUB, entrata in vigore il 23.4.2000, all'art. 2
stabilisce che "Nel conto corrente l'accredito e l'addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le
periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità.
Nell'ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi
creditori e debitori".
Essendo la pattuizione relativa contenuta nel contratto 10.6.2003 conforme al dettato della norma citata
(essendo stata indicata, sia per gli interessi a credito che per gli interessi a debito la "capitalizzazione
trimestrale"), la stessa deve quindi ritenersi validamente pattuita, con conseguente legittima applicazione, a
partire dalla stipula del contratto, da parte della banca, della capitalizzazione trimestrale ivi prevista degli
interessi passivi.
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Va invece disattesa la tesi sostenuta dalla convenuta, di legittima applicazione della capitalizzazione degli
interessi debitori a far data dal 30.6.2000, data in cui B si sarebbe conformata alle prescrizioni della citata
delibera, rendendo trimestrale la periodicità della capitalizzazione sia degli interessi creditori che debitori,
mediante pubblicazione sulla G.U. della modifica in tal senso dell'art. 7 delle norme contrattuali.
Le disposizioni transitorie di cui all'art. 7, comma 2, della citata delibera prevedono infatti un'apposita
approvazione da parte della clientela delle nuove condizioni contrattuali da adeguare alle disposizioni della
delibera, con riferimento ai contratti in corso, qualora le stesse comportino "un peggioramento delle condizioni
precedentemente applicate", ipotesi che si verifica a fronte della previsione di una capitalizzazione trimestrale
degli interessi debitori, in precedenza non dovuta (stante la nullità della relativa clausola contrattuale), e del
diverso importo degli interessi creditori e debitori (questi ultimi determinati in misura assai superiore ai primi).
È del pari fondata, sia in relazione al contratto di apertura di conto corrente che al successivo "contratto di
adesione al conto imprese...", la domanda di declaratoria di nullità della clausola prevedente l'applicazione di
una c.d. "commissione di massimo scoperto", così formulata nel contratto 9.12.2006: "commissione trim. di
massimo scoperto: 0,250%" e "Comm.ne massimo scoperto: dec. 1.4.2003 aliquota 0,7200% (aliquota agg.va
1,2800% su sconfinamento se autorizzato" nel contratto 10.6.2003).
La "commissione di massimo scoperto" integrava istituto che non trovava, neppure nel manuali in materia
bancaria, una chiara definizione ed una certa individuazione sotto il profilo causale.
Accedendo ad un contratto di apertura di credito, sul piano economico, secondo una prima interpretazione, tale
commissione avrebbe dovuto costituire la remunerazione spettante alla banca per la messa a disposizione in
favore del cliente di determinati fondi, per un certo lasso di tempo, a prescindere dalla loro concreta
utilizzazione (con conseguente indisponibilità per la banca della somma concessa); in tale ipotesi la stessa
avrebbe quindi dovuto calcolarsi sull'importo del credito accordato, indipendentemente dall'importo utilizzato;
secondo altra interpretazione, invece, la c.m.s. costituiva la controprestazione per il rischio crescente che la
banca assumeva in proporzione all'ammontare dell'utilizzo concreto dei fondi messi a disposizione, da
calcolarsi sul massimo importo utilizzato in un determinato periodo, secondo una terza interpretazione la
commissione era un accessorio che si aggiungeva agli interessi passivi.
La Corte di Cassazione Civile, in una prima pronuncia in merito, sembrava aver ritenuto preferibile la prima
delle interpretazioni proposte (v. Cass. civ. n. 11772/2002).
Gli istituti di credito non ne facevano però una simile applicazione, calcolandola solitamente sull'importo
utilizzato, e non su quello messo a disposizione del cliente, ma, fatto che più rileva, in tale calcolo non veniva
seguita una prassi uniforme, tale da attribuire un significato univoco alla clausola; a volte il calcolo veniva
effettuato sul massimo saldo dare di un determinato periodo (normalmente un trimestre), oltre il fido concesso;
a volte sia sull'importo affidato che, una seconda volta, sul massimo saldo dare extra fido; a volte sull'importo
massimo che rientrasse in una ininterrotta situazione debitoria di durata superiore ad un periodo del pari
variamente determinato.
Ad un attento esame le varie ipotesi sopra esemplificate non possono però ricondursi ad un'unica fattispecie
giuridica.
Se si ritiene che l'obbligazione del cliente di corrispondere alla banca un ulteriore compenso, per l'apertura di
credito, oltre alla misura degli interessi pattuiti, possa essere sorretta da causa lecita, in quanto, appunto,
remunerazione correlata all'obbligo, a carico della banca, di tenere sempre a disposizione del cliente il massimo
importo affidato, o in quanto correlata al rischio crescente che la banca assume, in proporzione all'ammontare
dell'utilizzo concreto di detto credito da parte del cliente, nel contratto dovrà essere espressamente specificato
che si tratta di una commissione applicata sul finanziamento concesso, o su quello utilizzato, e dovrà esserne
indicata la misura, la modalità e la periodicità di calcolo (in tali casi appare evidente che una simile
"commissione" costituirebbe un costo ed un onere connesso al finanziamento, che si aggiunge agli interessi
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dovuti e che, nel caso di apertura di credito, dovrebbe calcolarsi entro il limite del fido), costo che non potrebbe
quindi rientrare nella semplice dizione "commissione di massimo scoperto".
La mera sintetica espressione "commissione di massimo scoperto" letteralmente indica infatti che si tratti di
un costo applicato dalla banca in relazione ad importi utilizzati oltre l'affidamento concesso (ossia sullo
"scoperto"); interpretazione che risulta sorretta dalla definizione che alla stessa viene data dalla Banca d'Italia
proprio nelle "Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull'usura",
aggiornate al dicembre 2002 (in cui, come già si è detto, la c.m.s. viene esclusa dal calcolo del c.d. "tasso
soglia", non essendo considerata quale onere relativo al credito concesso), così formulata: "Tale commissione
nella tecnica bancaria viene definita come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l'intermediario
dell'onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell'utilizzo dello scoperto
del conto. Tale compenso - che di norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre
un determinato numero di giorni - viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi
nel periodo di riferimento".
Com'è noto il legislatore è da ultimo intervenuto in materia, "legittimando" (con l'art. 2-bis del d.l. n. 185/2008,
convertito con legge. n. 2/2009, peraltro di non chiara formulazione) la previsione contrattuale sia di
commissioni applicate sullo scoperto del conto che di commissioni da corrispondersi per l'utilizzo del credito
concesso, stabilendo che i costi relativi vengano compresi nel calcolo del tasso effettivo globale e calcolati ai
fini del c.d. tasso soglia ai fini dell'usura, norma non applicabile nel caso in esame, ma che ha regolamentato
(e così confermato) quelle che nella prassi erano fattispecie diverse.
Sulla base di quanto sopra riportato deve quindi affermarsi che la "commissione di massimo scoperto",
contenuta nei contratti bancari stipulati in data antecedente al d.l. n. 185/2008, può ritenersi lecita e valida solo
se nella relativa clausola sia espressamente indicato (stante il suo significato non univoco nella pratica) se si
tratti di costo ulteriore, relativo ad apertura di credito, o se commissione applicata sullo scoperto di conto, oltre
l'affidato, con indicazione quindi del dato di riferimento per l'applicazione della percentuale riportata in
contratto e della periodicità della sua applicazione.
Nel caso in esame né la prima né la seconda pattuizione soddisfano il presupposto della determinabilità a priori,
ex art. 1346 c.c., dell'oggetto della prestazione, come sostenuto da parte attrice.
Nel contratto 9.12.1996 la c.m.s., qualificata come "trimestrale", è indicata solo con una percentuale, senza
specificazione degli importi su cui avrebbe dovuto essere applicata, nel contratto 10.6.2003 le "commissioni"
sembrerebbero due, relative ad ipotesi diverse (essendo prevista una seconda aliquota "su sconfinamento se
autorizzato", espressione peraltro non comprensibile, potendo l'utilizzo di somme da parte del cliente o essere
"autorizzato", perché compreso nell'affidamento, o essere effettuato oltre l'accordato e quindi su scoperto di
conto), ipotesi comunque non specificate, né nel loro contenuto, né in ordine alla periodicità di calcolo.
Entrambe le clausole sono quindi nulle, con conseguente diritto della correntista di ripetere gli importi
corrisposti a tale titolo o di veder depurato il conto dagli addebiti relativi.
L'accoglimento della domanda di nullità delle clausole prevedenti la commissione di massimo scoperto assorbe
l'ulteriore domanda avanzata da parte attrice, con cui 'è stato chiesto di accertare "la nullità e l'inefficacia di
qualsiasi pretesa della banca convenuta per interessi... per contrarietà alle norme di cui alla legge n. 108/1996
e all'art. 1815 c.c., in quanto eccedente il tasso soglia nel periodo di riferimento ..." includendo nel calcolo del
tasso soglia "anche la c.m.s."; se nulla è dovuto a tale titolo infatti gli importi relativi non possono essere
considerati ad altro fine.
Solo per completezza di motivazione deve osservarsi che detta domanda risulta comunque infondata.
L'usurarietà degli interessi, comportante le conseguenze invocate dall'attrice, deve sussistere al momento della
loro pattuizione, come previsto dal legislatore con norma di interpretazione autentica (d.l. 29.12.2000
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convertito nella legge n. 24/2001), fermo restando che, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità e di
merito, il c.d. tasso soglia costituisce comunque, anche in corso di rapporto, il limite di esigibilità degli interessi
sia corrispettivi che moratori.
Parte attrice non ha in alcun modo indicato quando gli interessi applicati dalla banca avrebbero superato detto
tasso soglia, né ha prodotto, come suo onere, i D.M. attuativi della legge n. 108/96 (ad eccezione del D.M.
19.12.2006, relativo al trimestre 1° gennaio - 31 marzo 2007), per cui l'allegata usurarietà dei tassi di interesse
applicati dalla banca al momento della loro pattuizione, ai fini invocati, non sarebbe neppure qui verificabile.
Va infine rigettata la domanda di declaratoria di nullità della clausola di "applicazione sbilanciata degli interessi
per i c.d. giorni-valuta e in relazione ad ogni ulteriore voce addebitata dalla banca a titolo di spese, competenze,
e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese", fondata sull'assunto secondo il quale "illegittimamente" la banca
avrebbe calcolato le valute degli interessi e commissioni "posticipando gli accrediti relativi ai versamenti" e
"anticipato gli addebiti".
La doglianza è stata sollevata da parte attrice in modo assolutamente generico, con riferimento ad accrediti od
addebiti rispettivamente posticipati o anticipati rispetto a date in alcun modo precisate, in cui invece la banca,
secondo l'assunto, avrebbe avuto la effettiva disponibilità del denaro.
La determinazione dei giorni di valuta, per le diverse operazioni, rientra fra le "altre condizioni" applicabili al
rapporto ex art. 117 TUB, e come tale costituisce possibile oggetto di pattuizione fra le parti.
In ordine alla decorrenza delle valute per versamenti di denaro, assegni circolari e assegni bancari tratti sulla
medesima succursale si ricorda che la stessa è prevista dall'art. 120 TUB; per quanto riguarda gli altri assegni
pagati dall'azienda di credito risulta pattuita la decorrenza della valuta dalla data di emissione dell'assegno
(richiamando il contratto 9.12.1996, sul punto, l'art. 7 delle "norme", che così prevede, ed elencando invece
espressamente il contratto 10.6.2003 l'applicazione delle valute sia su versamenti che su addebito assegni).
Non essendo possibile evincere dalla mera enunciazione dei principi illustrati in atto di citazione quali
operazioni siano in concreto contestate, ossia in quali casi e in che misura la banca abbia ritardato od anticipato
a suo vantaggio le singole scritturazioni, rispetto a quanto previsto dalla legge o dal contratto, ogni
accertamento, anche di natura peritale, risulta precluso, con rigetto della domanda sul punto.
Deve quindi ora procedersi, in accoglimento alla domanda in tal senso formulata da parte attrice, alla
determinazione dell'esatto saldo del rapporto di conto corrente dedotto in lite, depurato dagli addebiti illegittimi
effettuati dall'Istituto di credito sulla base delle clausole di cui è stata accertata la nullità o l'inefficacia.
Va qui preliminarmente rigettata l'eccezione di prescrizione del diritto della società attrice di "ripetere" somme
indebitamente pagate.
Il termine di prescrizione non è quello quinquennale, previsto dall'art. 2948 c.c., come indicato da parte
convenuta (termine applicabile alla pretesa di pagamento di interessi o di ciò che deve pagarsi ad anno o in
termini più brevi), ma, vertendosi in materia di ripetizione di indebito oggettivo, il termine di prescrizione è
quello ordinario di dieci anni.
La prima liquidazione trimestrale di "interessi e competenze" è stata effettuata in conto in data 31.3.1997; il
conto ha mantenuto da tale data un saldo passivo sino al 18.6.1998, quando un accredito di £ 600.000.000 ha
riportato il saldo in attivo; la prima data di "pagamento" degli indebiti qui fatti valere è quindi il 18.6.1998.
Parte attrice ha provveduto, con lettera raccomandata del proprio legale in data 8.1.2007, ricevuta da B in data
9.1.2007 (v. doc. 44 parte attrice) ad avanzare le medesime istanze oggetto della presente causa, promossa con
atto di citazione di citazione notificato il 20.2.2007.
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Essendo intervenuti nel decennio sia l'atto interruttivo del 9.1.2007, che la proposizione del presente giudizio,
l'eccezione di prescrizione del diritto fatto valere dall'attrice è infondata.
Come già anticipato, ai fine di accertare l'esatto importo dovuto dall'una o dall'altra parte, è stata disposta c.t.u.
contabile.
Nel quesito sottoposto al c.t.u. nominato, è stato quindi richiesto di rideterminare il saldo finale del rapporto
di conto corrente dedotto in lite, attenendosi ai seguenti criteri:
"Esaminati gli atti e la documentazione prodotta, compiuti gli accertamenti ritenuti indispensabili, a ciò
espressamente autorizzato ex art. 194 c.p.c., assunta ogni ulteriore utile informazione e reperito ogni utile
documento presso le parti, nei limiti previsti dall'art. 198 c.p.c., determini il c.t.u. l'ammontare del saldo dei
c/c n. 175/28125 alla data del 7.2.2007, attenendosi ai seguenti criteri, applicati dall'inizio del rapporto:
a) applichi al suddetto rapporto di conto corrente i tassi di interesse previsti nei contratti stipulati dalle parti
indata 9.12.1996 e in data 10.6.2003; verifichi se la banca abbia applicato, nel corso del rapporto, variazione
dei suddetti tassi; applichi variazioni in senso più sfavorevole al cliente solo se precedute da comunicazione
redatta ai sensi dell'art. 118 D.Lgs. n. 385/93 e decorsi quindici giorni dalla comunicazione; applichi in ogni
caso le variazioni adottate dalla banca se più favorevoli per il cliente;
b) escluda la capitalizzazione degli interessi debitori sino al 10.6.2003; applichi la capitalizzazione reciproca
come pattuita nel contratto 10.6.2003, con decorrenza da tale data;
c) escluda ogni addebito per c.m.s.
Si precisa che ciascun versamento (o risultato del calcolo sopra indicato) potrà produrre interessi creditori in
favore del cliente su saldi attivi in linea capitale solo per la parte eccedente gli interessi passivi debitori sino a
quel momento maturati (conteggiati a parte, al fine di depurare il calcolo dall'anatocismo) e che, in modo
analogo dovrà operarsi in presenza di interessi creditori del cliente prima di calcolare interessi debitori su saldi
passivi in linea capitale.
Determinato il saldo del conto alla data del 7.2.2007, calcoli il c.t.u. il debito della società attrice alla data del
pagamento eseguito dal fideiussore A E, continuando ad applicare interessi debitori al tasso pattuito od
eventualmente quello applicato dalla banca, se più favorevole al cliente".
Per quanto già sopra riportato deve qui confermarsi il rigetto di integrazione di c.t.u., avanzata da parte
convenuta in corso di causa e riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, sulla base di criteri fondati
su presupposti errati o contrari a quanto accertato.
Ciò premesso, correttamente il c.t.u. nominato ha quindi proceduto al ricalcolo richiesto, applicando i criteri
di cui al quesito, ed accertando che il saldo del conto corrente n. 28125 alla data di estinzione dello stesso
(7.2.2007) era pari a - ? 49.812,26, anziché a - ? 196.588,15, come quantificato da BAM nella richiesta di
rientro, somma cui devono aggiungersi gli interessi moratori pattuiti.
Ciò accertato deve quindi revocarsi il decreto ingiuntivo, già provvisoriamente esecutivo, ottenuto da *** quale
mandataria di B, per un importo, allo stesso titolo, di ? 196.588,15, oltre ad interessi e spese, nei confronti sia
di *** S.r.l., che nei confronti dei fideiussori A S, A B e A E, oggetto della causa riunita di opposizione n.
1825/2007 R.G.
Poiché il fideiussore A E in data 2.04.2007 ha corrisposto, in virtù del suddetto decreto ed al fine di ottenere
la cancellazione dell'ipoteca iscritta sui suoi beni, la somma complessiva di ? 208.575,84 (comprensiva di
interessi, spese legali, imposte e spese di iscrizione ipotecaria), la convenuta, nella sua veste di cui sopra, deve
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essere condannata a restituire allo stesso la differenza fra detto importo e quanto effettivamente dovuto dai
debitori.
Detta somma, alla data dell'avvenuto pagamento, era pari a complessivi ? 50.401,82, di cui ? 49.812,26 per
capitale ed ? 589,56 per interessi moratori al tasso, dell'8% (pari al tasso convenzionale), correttamente così
calcolati dal c.t.u. per il periodo 7.2.2007 - 2.4.2007, per cui la convenuta deve essere condannata "alla
restituzione in favore di A E dell'importo di ? 158.174,02, oltre ad interessi legali dalla data del ricevuto
pagamento (2.4.2007) alla data dell'effettiva restituzione.
Vanno ora esaminate le ulteriori domande risarcitorie avanzate da *** S.r.l. in entrambe le cause riunite e da
A E.
Deve essere rigettata la domanda di condanna di B alla "rettifica con effetto retroattivo" della segnalazione alla
Centrale Rischi della Banca d'Italia della posizione a sofferenza della società attrice, essendo stata la
segnalazione ovviamente cancellata a seguito del pagamento dell'importo ingiunto e non esistendo "rettifiche
con effetto retroattivo".
Non può neppure essere accolta la domanda di risarcimento danni fondata da parte attrice sulla allegata
illegittimità della segnalazione alla Centrale Rischi effettuata dalla convenuta a seguito del passaggio a
sofferenza del rapporto di conto corrente.
Parte attrice ha a lungo dissertato sulla mancanza, nel caso, dei presupposti richiesti dalla normativa
regolamentare per l'effettuazione di simili segnalazioni da parte degli istituti di credito, nonché sull'errato
censimento a "sofferenza" anche del valore intrinseco negativo di contratti di swap stipulati dalla *** S.r.l. e
da questa contestati (fattispecie estranea alle controversie oggetto di esame), ma non ha offerto prova di alcun
danno risarcibile subito a causa di detta segnalazione.
Risulta quindi superfluo accertare se la segnalazione effettuata dalla banca possa o meno considerarsi errata e
quindi se il comportamento della stessa possa o meno considerarsi inadempimento agli obblighi di esecuzione
del contratto seconda buona fede, non comportando detto inadempimento un danno in re ipsa, ma unicamente
la responsabilità della banca per il risarcimento dei danni che abbiano costituito conseguenza immediata e
diretta dell'eventuale inadempimento.
A tal fine parte attrice ha dimesso unicamente una e-mail inviata dal proprio legale a B, al fine di avere
chiarimenti in ordine alla suddetta segnalazione, per avere ricevuto, secondo quanto allegato analoghe richieste
da parte di altri istituti di credito, finanziatori della società.
Parte attrice non ha però dimostrato né che a seguito della segnalazione altre banche abbiano revocato o
diminuito il credito, né che tale fatto abbia comunque comportato un discredito commerciale.
In assenza di prova in ordine alla sussistenza del danno lamentato la domanda deve quindi essere rigettata.
Va respinta anche l'eccezione di carenza di titolarità passiva sollevata da A E per allegata inoperatività della
fideiussione da questi prestata in ordine al credito fatto valere anche nei suoi confronti.
A E ha infatti allegato di essersi reso fideiussore di *** S.r.l. unicamente per l'adempimento delle obbligazioni
assunte dalla società garantita nei confronti di B "dipendenti da operazioni bancarie"; poiché nella pretesa
ereditaria di B, costituita dal saldo negativo del rapporto di conto corrente, era compresa la somma addebitata
a titolo di differenziale negativo generato dalla operatività del derivato finanziario, detta fideiussione non
poteva ritenersi operante per gran parte del credito.
L'eccezione è infondata. Dal contratto di fideiussione prodotto in sede monitoria (doc. 5), sottoscritto dai
fideiussori in data 27.11.1996 risulta infatti che la garanzia è stata prestata sia per le operazioni bancarie ivi
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elencate, che per "compravendita titoli e cambi, operazioni di intermediazione o prestazione di servizi" e
quindi, anche per operazioni finanziarie, quali quella contestata.
Non può neppure essere accolta la domanda di condanna della convenuta per responsabilità processuale
aggravata ex art. 96 c.p.c., avanzata sia da *** S.r.l. che da A E in proprio, fondata sul presupposto della
mancanza del periculum in mora e quindi per aver la convenuta, con colpa grave, agito in sede monitoria e
iscritto ipoteca giudiziale su immobili di A E, di valore ben superiore al credito ingiunto.
Come ribadito dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte l'iscrizione di ipoteca in base ad un decreto
ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo può essere fonte di responsabilità processuale aggravata, ai
sensi dell'art. 96 c.p.c., ove venga accertata l'inesistenza del credito fatto valere in sede di giudizio di
opposizione, in concorso con l'elemento soggettivo del difetto di normale prudenza, "ma non quando il valore
dei beni assoggettati ad ipoteca sia largamente superiore all'ammontare del credito azionato in via monitoria,
atteso che il creditore non incontra alcun limite quantitativo alla sua possibilità d'iscrivere ipoteca su tutti i
beni costituenti, ai sensi dell'art. 2740 c.c. il patrimonio con il quale il debitore è tenuto all'adempimento delle
sue obbligazioni" (v. Cass. Civ. n. 13107/2010).
Nel caso è stata accertata la sussistenza, anche se in un importo inferiore, del credito fatto valere in sede
monitoria e non può affermarsi che la convenuta abbia agito in assenza di "periculum in mora", pericolo
allegato e documentato con la presenza di ipoteche (legali e volonarie) iscritta sia sui cespiti di proprietà della
debitrice principale che su immobili di proprietà di A E.
Stante l'esito dei due giudizi riuniti e del sub-procedimento ex art. 700 c.p.c., promosso da *** S.r.l., e la
parziale soccombenza delle parti sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite
rispettivamente sostenute nella misura del 40% in entrambi i giudizi, con condanna delle convenute alla
rifusione del 60% delle spese sostenute da *** S.r.l., A S, A B e A E, percentuale che viene liquidata come
indicato in dispositivo, tenuto conto del valore della causa e dell'attività svolta.
Vanno infine poste in via definitiva a carico delle convenute sostanzialmente soccombenti sul punto le spese
di c.t.u.
P.Q.M.
Il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza,
eccezione e deduzione disattesa, così giudica:
revoca, per le causali di cui in motivazione, il decreto ingiuntivo n. 290/2007, emesso da questo Tribunale in
data 17.2.2007 nei confronti di *** S.r.l., A S, A B e A E;
accerta e dichiara che alla data di estinzione del rapporto di conto corrente dedotto in lite il credito di B S.p.A.
nei confronti di *** S.r.l., A S, A B e A E era pari ad ? 49.812,26, oltre ad interessi moratori al tasso dell'8%,
somma dovuta a *** S.p.A., quale mandataria di B S.p.A.;
dato atto dell'avvenuto versamento da parte di A E a B S.p.A., in virtù della provvisoria esecuzione del decreto
sopra indicato, della somma di ? 208.575,84, dichiara tenuta e condanna B S.p.A. a restituire ad A E la somma
di ? 158.174,02, pari alla differenza fra quanto dovuto alla data di pagamento, per capitale ed interessi (?
50.401,82) e quanto corrisposto, oltre ad interessi legali dalla data del pagamento (2.4.2007) all'effettivo saldo;
rigetta tutte le ulteriori domande rispettivamente proposte dalle parti; dichiara compensate fra le parli le spese
di lite rispettivamente sostenute nella misura del 40%;
dichiara tenuta e condanna B S.p.A. e *** S.p.A. alla rifusione in favore di *** S.r.l., A S, A B e A E, del
residuo 60% delle spese di lite da questi sostenute, percentuale che liquida in ? 363,91 per spese non imponibili,
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in ? 181,92 per spese imponibili, ? 3.198,60 per diritti, ? 5.000,00 per onorari, oltre a rimborso spese generali,
IVA e CPA come per legge.
Pone in via definitiva a carico di B S.p.A. le spese di c.t.u.
Tribunale Busto Arsizio n.91, 13 mar 2012 Il calcolo delle valute e il superamento
del tasso soglia antiusura
Tribunale di Busto Arsizio
13 marzo 2012, n. 91, Sez. dist. Gallarate
Il calcolo delle valute e il superamento del tasso soglia antiusura
La c.d. "valuta fittizia" costituisce un mezzo attraverso il quale la durata dell'anno solare viene fittiziamente
allungata, addebitando interessi debitori non dovuti, o accorciata nell'ipotesi inversa di accredito di interessi
creditori per l'utente. L'addebito di interessi per valute, fittiziamente appostate, è invalido per mancanza di
valida giustificazione causale.
Il principio dell'"usura originaria", se da un lato comporta l'irrilevanza dello sforamento dovuto al successivo
decrescere del T.E.G., tasso effettivo globale, in caso di invarianza del tasso praticato, dall'altro impone la
necessità di valutare la conformità al tasso di soglia al momento di ogni variazione del tasso applicato (sia essa
conseguenza di accordo contrattuale o di esercizio dello jus variandi.
SENTENZA
nella causa civile di cui al numero R.G. *9 avente ad oggetto Opposizione a decreto ingiuntivo n. *** emesso
dal Tribunale di Busto Arsizio - Sez. dist. Gallarate;
TRA ***
OPPONENTI
CONTRO ***
OPPOSTA
Omissis
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Premessa. - La Banca Gamma S.p.A., premesso che ha maturato un credito verso Alpha S.r.l. per scoperto
di conto corrente e per mutuo non restituito, ha chiesto e ottenuto decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo
ex art. 649 c.p.c. nei confronti di Alpha S.r.l. e dei garanti Tizio e Caio.
Avverso tale decreto ingiuntivo Alpha S.r.l. e i fideiussori hanno proposto opposizione, chiedendo la revoca
del decreto ingiuntivo opposto. Alpha S.r.l. ha chiesto inoltre in via riconvenzionale la restituzione delle
somme di cui è creditrice in base alla lamentata nullità, tra l'altro, dell'applicazione dell'anatocismo e della
commissione di massimo scoperto.
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Autorizzato il deposito di memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., espletata Ctu, sulle conclusioni rassegnate la
causa è stata mandata in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.
(omissis)
5. Il calcolo delle valute. - Parte opponente ha sostenuto che la banca ha praticato un calcolo scorretto
dellevalute, applicando le cd. valute fittizie in luogo delle valute effettive, metodo in base al quale la banca
conseguirebbe il risultato di protrarre fittiziamente i giorni solari del prestito dell'utente, favorendo l'aumento
degli interessi debitori in favore di essa per un periodo temporale in cui prestito non c'è stato.
5.1. Inquadramento generale. - In linea di inquadramento generale, in giurisprudenza (Cass., 1972
n. 2545) èemerso l'orientamento secondo cui va considerata soltanto la "data" di ciascuna operazione
e non già la "valuta", posto che, ai sensi dell'art. 1852 c.c., il correntista può disporre in qualsiasi
momento delle somme risultanti a suo credito dal conto. In particolare, parte della giurisprudenza di
merito ha affermato che "va certamente condiviso l'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale
- per quanto riguarda i prelevamenti si deve riportare la valuta corrispondente al giorno del pagamento
dell'assegno, ovvero del giorno in cui la banca perde effettivamente la disponibilità del denaro; mentre,
per quanto riguarda i versamenti, si riporta la valuta corrispondente al giorno in cui la banca acquista
effettivamente la disponibilità del denaro (sul punto, si vedano, Trib. Civ. Lecce, sent. del 17.6.2003,
n. 1736; Cass. Civ., Sez. I, sent. 26.7.1989, n. 3507; Cass. Civ., 29.6.1981, n. 4209 e 20.2.1988, n.
1764; Cass. Civ., Sez. I, 10.9.2002, n. 13143). Di qui, la necessità di computare le operazioni di
accredito effettivo delle valute dal giorno in cui la banca ha acquisito o perduto la disponibilità dei
correlativi importi, ovvero, dato che è fatto notorio che tutte le operazioni avvengono dagli anni '80 in
tempo reale, data la totale informatizzazione del sistema bancario, dal giorno dell'operazione. La
valuta fittizia, a ben vedere, costituisce un artificio per il quale la durata dell'anno solare viene
fittiziamente allungata, addebitando interessi debitori non dovuti, o accorciata nell'ipotesi inversa di
accredito di interessi creditori per l'utente. (.) L'addebito di interessi per valute, fittiziamente appostate,
è invalido per mancanza di valida giustificazione causale" (Trib. Bari - Sez. dist. Rutigliano -,
29.10.2008, n. 113).
La questione resta comunque dibattuta nel panorama giurisprudenziale e dottrinale.
5.3. Il caso concreto qui in esame. - Venendo al caso concreto qui in esame, la contestazione è infondata,
avendo il Ctu accertato l'applicazione corretta del calcolo delle valute.
6. Sul superamento del tasso soglia usurario. - Parte opponente ha sostenuto il superamento del tasso
sogliaantiusura.
6.1. Inquadramento generale. - L'art. 1815 c.c., così come modificato dalla legge n. 108 del 1996,
prevede che, nel contratto di mutuo, "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono
dovuti interessi".
Si è discusso se sia rilevante anche la cd. usura sopravvenuta, cioè il superamento del tasso soglia che non
dipende dalla pattuizione originaria di un tasso eccessivo, ma dipende dalla discesa della soglia legale. L'art.
1, comma 1, decreto legge 29 dicembre 2000, n. 394, convertito nella legge 28 febbraio 2001, n. 24 (ritenuto
costituzionale, cfr. Corte Costituzionale n. 29 del 2002), ha operato l'interpretazione autentica della norma,
stabilendo il principio dell'usura originaria: "ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815, comma
2, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono
convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento".
A seguito di tale interpretazione autentica, con riferimento al mutuo sicuramente non è più sanzionabile l'usura
sopravvenuta, a nulla rilevando che la discesa dei tassi determini un superamento successivo del TEG al
momento della scadenza della rata del mutuo e la banca non ha alcun obbligo di adeguamento.
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Il problema si è posto in termini analoghi anche con riguardo ai rapporti di conto corrente bancario con apertura
di credito, nei casi in cui il tasso pattuito non è fisso e non varia secondo parametri determinati ex ante. Infatti,
le banche si avvalgono della facoltà di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, tra cui anche il tasso
di interesse convenzionale. Quindi, è evidente che nei rapporti bancari di conto corrente il superamento del
tasso soglia va accertato non solo con riferimento al momento della pattuizione contrattuale, ma anche al
momento dell'esercizio dello jus variandi nel corso del rapporto, trattandosi di modifica dell'accordo
contrattuale, seppure non bilaterale; quindi, in tal caso occorre valutare la conformità alla legge del tasso al
momento dell'introduzione del nuovo saggio di interesse convenzionale.
Dubbi interpretativi si pongono anche quando sussiste una variazione del tasso che risulta dagli estratti conto,
ma non vi è prova della comunicazione di variazione. In tale evenienza, a condizione che vi sia specifica
contestazione del cliente in ordine a tale (mancata) comunicazione, in dottrina e giurisprudenza sono state
prospettate due soluzioni: affermare che in difetto di comunicazione l'incremento del tasso convenzionale non
è dovuto così che continua ad applicarsi il tasso precedente indipendentemente dall'eventuale superamento del
tasso soglia; oppure, secondo altra impostazione, sostenere che il principio dell'usura originaria, come
comporta l'irrilevanza dello sforamento dovuto al successivo decrescere del TEG in caso di invarianza del
tasso praticato, così impone anche la necessità di valutare la conformità al tasso soglia al momento di ogni
variazione del tasso applicato (sia essa conseguenza di accordo contrattuale o di esercizio dello jus variandi).
In quanto più conforme ai principi espressi dal legislatore in sede di interpretazione autentica dell'art. 1815
c.c., è sicuramente preferibile la seconda tesi.
6.3. Il caso concreto qui in esame. -
(omissis) con limitato riferimento al primo trimestre del 2009, il Ctu ha accertato il superamento del tasso
soglia da parte del tasso convenzionale applicato dalla banca (omissis).
Infatti, in quel periodo il tasso di interessi applicato dalla banca era pari al 14%, mentre il tasso soglia era pari
al 13,68% (cfr. tabella allegata alla relazione peritale). Va però evidenziato che la banca, in virtù di esercizio
di jus variandi, già da agosto 2008 ha introdotto l'applicazione del 14%, che in quel momento era inferiore al
tasso soglia (in quel momento fissato al 14,805%). Quindi, in difetto di specifica tempestiva contestazione
dell'opponente in ordine alla eventuale mancata comunicazione dello jus variandi - in quanto del tutto
inefficace perché tardiva è la contestazione effettuata per la prima volta nella comparsa conclusionale -,
consegue che il tasso applicato del 14% ha superato il tasso soglia solo a causa di un sopravvenuto
abbassamento di quest'ultimo (prima fissato al 15,135%), e non rilevando l'usura sopravvenuta consegue che
non è illegittima l'applicazione degli interessi effettuati dalla banca nella riferita misura.
7. Sullo sconto bancario e sulla quantificazione dell'esposizione debitoria. - Parte opponente ha affermato che
la Banca è in possesso di cambiali scadute e consegnate dalla Alpha in virtù di contratto di sconto bancario su
cambiali; tali cambiali, intanto scadute, non sarebbero state restituite alla Alpha, per cui presumibilmente
sarebbero state incassate dalla Banca stessa, così che i relativi importi dovrebbero essere espunti dal totale
delle somme dovute alla banca.
Lo sconto di cambiali è il contratto in base al quale la banca, previa girata di cambiale in proprio favore,
anticipa al cliente girante l'importo riportato nel titolo previa deduzione dell'interesse; la cessione si riferisce a
crediti non scaduti, ed è salvo buon fine. Nel caso di sconto di cambiali, la banca in caso di mancato pagamento
può agire nei confronti del cliente girante per il pagamento dei diritti derivanti dal titolo e per la restituzione
delle somme anticipate.
Orbene, venendo al caso concreto qui in esame, il rilievo dell'opponente è infondato. Come affermato dalla
banca, il contratto di conto corrente è stato dichiarato risolto a far data dal 30.9.2008, con conseguente revoca
immediata di tutte le linee di credito (come previsto nel contratto di conto corrente), tra cui anche quelle di cui
al collegato rapporto di cessione di crediti in base allo sconto di cambiali, così che la banca non aveva più
titolo per porre all'incasso le cambiali stesse.
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D'altra parte, l'opponente ha affermato che la circostanza dell'avvenuto incasso delle cambiali è meramente
presunta; in realtà, non è emersa nessuna prova dell'incasso, e tale circostanza è anzi contestata dall'opposta,
che ha affermato che le cambiali sono state messe a disposizione della Alpha per il ritiro, senza che questa
però abbia provveduto a ritirarle o a formularle richiesta in tale senso.
Sotto tale profilo quindi l'opposizione è infondata; inoltre, del tutto tardiva (e comunque non provata) è
l'allegazione di un danno per mancato incasso da parte della banca, che avrebbe così impedito a Alpha di
riscuotere i crediti di cui alle cambiali: tale allegazione è stata effettuata specificamente solo nella comparsa
conclusionale, e quindi è tardiva.
8. Sulla quantificazione delle somme dovute da parte opponente all'opposta. - Orbene, sulla base della
relazione peritale che risulta esaustiva e analitica, va effettuato il ricalcolo delle somme dovute alla banca
applicando i criteri di cui sopra.
Il Ctu ha effettuato un calcolo applicando la misura convenzionale degli interessi e sulla base della
capitalizzazione degli stessi operata dalla banca (legittima in quanto conforme alla delibera CICR), ed ha
espunto l'importo richiesto a titolo di commissioni di massimo scoperto; alla luce di ciò, il Ctu ha ristrutturato
il rapporto di dare e avere tra le parti, e ha calcolato in ? 13.131,77. Quindi, essendo il credito della banca
inferiore rispetto a quello risultante dal decreto ingiuntivo opposto, il decreto ingiuntivo va revocato, e in
accoglimento della domanda (subordinata al mancato rigetto dell'opposizione) dell'opposta, Tizio e Caio (nei
limiti della fideiussione, in base alla quale sono obbligati a garantire la banca per i debiti per cui è causa)
nonché Alpha S.r.l. vanno condannati a corrispondere a Banca Gamma S.p.A. la complessiva somma di ?
13.131,77, oltre interessi legali (così come richiesti) dalla data del 19.3.2009 (così come richiesto, pur se la
messa in mora è antecedente in quanto comunicata il 2.10.2008 - cfr. doc. 6 del fascicolo monitorio).
Invece, poiché risulta comunque un credito della banca, va rigettata la domanda riconvenzionale
dell'opponente, con cui è stata chiesta la condanna di Banca Gamma S.p.A. alla ripetizione dell'indebito
conseguentemente alle richieste declaratorie di nullità.
9. Sulle somme mutuate. - La banca ha ottenuto decreto ingiuntivo anche per la restituzione di somme
mutuate a Alpha S.r.l., e in particolare per il pagamento della somma di ? 12.315,20 a titolo di residuo capitale,
? 14.240,82 per 9 rate scadute e non pagate, oltre interessi dal 1.11.2008.
La banca ha assolto pienamente il proprio onere probatorio, provando il titolo (il contratto di finanziamento di
cui al doc. 2 del fascicolo monitorio) e allegando l'inadempimento del debitore.
Viceversa, Alpha S.r.l. non ha fornito prova di fatti estintivi, modificativi o impeditivi della pretesa del
creditore. In particolare, Alpha S.r.l. non ha allegato e provato di avere pagato le somme in questione; inoltre
del tutto generico è il rilievo di parte opponente secondo cui l'inadempimento non sussiste in quanto vi
sarebbero versamenti mensili di importo capiente rispetto alle singole rate, non avendo l'opponente neppure
quantificato negli scritti difensivi l'importo complessivo di tale pagamento in misura superiore rispetto al
dovuto, e non allegando neppure che tale asserito pagamento in misura superiore sia sufficiente a estinguere il
debito complessivamente maturato. Inoltre, premesso che l'imputazione del pagamento deve essere dichiarata
dal debitore solo al momento del pagamento mentre una dichiarazione di imputazione successiva al pagamento
è del tutto inefficace (Cass. Civ., Sez. II, 18.3.2002, n. 3941), va evidenziato che parte opponente non ha
allegato e provato di avere dichiarato, al momento del pagamento, a estinzione di quale debito il pagamento
era rivolto. Anzi, l'opposta ha precisato che, in difetto di dichiarazione di imputazione da parte del debitore al
momento del pagamento ai sensi dell'art. 1193, comma 1, c.c., tali pagamenti sono stati imputati, in
applicazione del criterio suppletivo di cui all'art. 1193, comma 2, c.c., al debito più oneroso e antico, cioè allo
scoperto di conto corrente, che già a fine marzo 2008, periodo di scadenza della prima rata di mutuo non pagata
(cfr. doc. 3 del fascicolo monitorio), superava cinquemila euro (vedi tabella allegata alla relazione peritale, e
relativa al conteggio delle somme dovute con applicazione degli interessi convenzionali, capitalizzazione
trimestrale, e con espunzione della c.m.s.) mentre le singole rate di mutuo che via via scadevano erano di
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importo di poco inferiore a ottocento euro (cfr. doc. 3 del fascicolo monitorio), fino ad arrivare (lo scoperto di
conto corrente) all'importo di ? 13.131,77 (vedi la citata tabella allegata alla relazione peritale) alla data della
messa in mora e revoca del beneficio del termine con lettera del 30.9.2008 (cfr. doc. 6 del fascicolo monitorio);
quindi lo scoperto di conto corrente è credito di importo complessivamente superiore rispetto alle rate di mutuo
fino ad allora non pagate. Inoltre, la banca ha allegato che l'imputazione di tali pagamenti allo scoperto di conto
corrente, effettuata negli estratti conto, non era mai stata prima contestata dalla Alpha. Inoltre, il debito per
scoperto di conto corrente è anche meno garantito, in quanto il credito di cui al finanziamento è garantito anche
dalla cooperativa Omega (come affermato da entrambe le parti).
Ne consegue che l'imputazione operata dalla banca è corretta, e quindi legittimamente è stato revocato il
beneficio del termine.
Analogamente infondato è il rilievo di nullità del contratto, in quanto le somme sarebbero state erogate per
ripianare l'esposizione debitoria maturata da Alpha S.r.l. sul conto corrente: è del tutto irrilevante l'uso che il
mutuatario abbia fatto delle somme, se per ripianare l'esposizione debitoria sul conto corrente, o per altro fine.
Ne consegue che, in difetto di prova di fatti estintivi, modificativi o impeditivi, il credito indicato nel decreto
ingiuntivo fondato su mutuo chirografario, per l'importo di ? 42.538,38, è corretto.
Si aggiunga che dell'obbligazione in questione rispondono anche i fideiussori ingiunti (cfr. doc. 7 di parte
opposta) nei limiti del massimale garantito (che comunque è fissato in ? 120.000,00).
Quindi Alpha S.r.l. e i fideiussori opponenti vanno condannati al pagamento in favore di Banca Gamma S.p.A.
della complessiva somma di ? 42.538,38. Gli interessi sono stati chiesti dalla banca con decorrenza non dalla
messa in mora del 2.10.2008, ma dal 19.3.2009, al tasso legale, così come indicato nel ricorso per decreto
ingiuntivo; quindi sulla somma capitale sono dovuti gli interessi legali dal 19.3.2009.
10. Sulle somme complessivamente dovute. - Alla luce di quanto sopra, il decreto ingiuntivo va revocato
in quanto il credito dell'opposta è stato accertato essere inferiore della somma ingiunta. Quindi, Alpha S.r.l. e
i fideiussori vanno condannati in solido al pagamento della complessiva somma di ? 55.670,15, oltre interessi
legali dal 19.3.2009 fino al soddisfo.
11. Sulla domanda di risarcimento dei danni formulata da parte opponente. - Parte opponente ha
domandato la condanna di parte opposta al risarcimento dei danni per asserita violazione delle regole di
correttezza e buona fede da parte della banca. Tuttavia la domanda va rigettata: il credito della banca è risultato
in gran parte sussistente e fondato, e non vi è prova di comportamenti in mala fede.
12. Sulle spese di lite e di Ctu. - In ragione dell'accertamento del credito in misura di poco inferiore rispetto
a quanto richiesto da parte opposta, risponde ad equità compensare nella misura del 20% le spese della fase
monitoria, mentre il restante 80% viene posto a carico degli opponenti in solido tra loro.
Con riferimento invece alle spese di lite del giudizio di opposizione, per motivi analoghi, risponde ad equità
compensare nella misura del 20% le spese della fase monitoria, mentre il restante 80% viene posto a carico
degli opponenti in solido tra loro.
Nel dispositivo si liquideranno congiuntamente le spese della fase monitoria e del giudizio di opposizione, in
base alla somma ritenuta congrua in ragione della quantità e qualità dell'attività difensiva svolta, della
complessità in fatto e diritto delle questioni trattate, e del valore della causa.
Le spese di espletamento di CTU sono poste in via definitiva a carico di parte opposta nella misura del 20%, e
a carico degli opponenti in solido tra loro nella misura del 80%. P.Q.M.
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Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra istanza, domanda, eccezione e rilievo, così
provvede:
1. accoglie parzialmente l'opposizione, e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo opposto n. *** emesso dal
Tribunale di Busto Arsizio - Sez. dist. Gallarate -;
2. condanna in solido Tizio e Caio nei limiti del massimale garantito, nonché Alpha S.r.l. in persona dell.r.p.t.,
al pagamento in favore di Banca Gamma S.p.A. in persona del l.r.p.t., della somma di ? 55.670,15, oltre
interessi legali dal 19.3.2009 fino al soddisfo;
3. rigetta la domanda riconvenzionale di pagamento dell'indebito formulata da parte opponente;
4. rigetta la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni formulata da parte opponente;
5. liquida le spese processuali sostenute da Banca Gamma S.p.A. in persona del l.r.p.t., sia nella fase monitoria
sia giudizio di opposizione, nella misura complessiva di in ? 11.887,00, di cui ? 287,00 per spese, ? 3.100,00
per diritti ed ? 8.500,00 per onorario, oltre spese generali nella misura del 12,50% su quanto liquidato per
diritti ed onorario, e oltre IVA e CPA come per legge;
6. condanna in solido tra loro Tizio e Caio nei limiti del massimale garantito, nonché Alpha S.r.l. in persona
del l.r.p.t., al pagamento in favore di Banca Gamma S.p.A. in persona del l.r.p.t., del 80% delle somme di
cui al punto 5 del dispositivo, mentre compensa il residuo 20%;
7. pone a carico definitivamente di Tizio e Caio nei limiti del massimale garantito, nonché Alpha S.r.l. in
persona del l.r.p.t. in solido tra loro le spese di C.T.U. nella misura del 80%, mentre il residuo 20% è posto
definitivamente a carico di Banca Gamma S.p.A. in persona del l.r.p.t..
Tribunale Pordenone, 7 mar 2012 Credito derivante da rapporto bancario -
Decreto ingiuntivo definitivo - Interessi superiori ai tassi soglia antiusura -
Debenza degli interessi nei limiti della soglia
Tribunale di Pordenone
7 marzo 2012
Credito derivante da rapporto bancario - Decreto ingiuntivo definitivo - Interessi superiori ai tassi soglia
antiusura - Debenza degli interessi nei limiti della soglia.
Rilevanza della commissione di massimo scoperto ai fini del calcolo del tasso effettivo globale medio praticato
(TEG) - Sussistenza.
Comparabilità del TEG comprensivo di CMS con il TEGM rilevato dalla Banca d'Italia senza CMS
Sussistenza.
Con riferimento a posizioni creditorie oggetto di decreti ingiuntivi definitivi, non potendo più essere proposte
questioni relative alla nullità dei contratti o di clausole dei medesimi per la preclusione che deriva dal giudicato,
gli interessi non potranno comunque essere pretesi, in particolare in sede esecutiva, se non in misura
coincidente (al massimo) con la soglia prevista: si verifica, in conclusione, una inesigibilità parziale (e
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conseguente inesecutabilità parziale) degli interessi, nella parte (e solo nella parte) in cui vi è superamento
della soglia.
In tema di usura, ai fini della valutazione dell'eventuale carattere usurario del tasso effettivo globale medio
(TEG) praticato da un istituto di credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto
praticata sulle operazioni di finanziamento per le quali l'utilizzo del credito avviene in modo variabile. Il chiaro
tenore letterale dell'art. 644 c.p. (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene
conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse,
collegate all'erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della
fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi
rientra indubbiamente la commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo legato all'erogazione del
credito, che ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge
da corrispettivo per l'onere, a cui l'intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista
di liquidità e tenerla a disposizione del cliente.
L'ammontare della c.m.s., che - prima del d.l. 29.11.2008, n. 185 (art. 2-bis, comma I) convertito nella legge
28.1.2009, n. 2 - non trova(va) spazio nel TEGM pubblicato nei decreti ministeriali, deve (doveva)
necessariamente essere ricompreso nel margine di scostamento concesso al TEG praticato dall'intermediario
rispetto al TEGM calcolato dalla Banca d'Italia: rilevato il valore medio di mercato del costo del credito, ogni
incremento di costo, quale che sia la natura o il titolo a cui viene imputato, deve, pena l'emergere di un profilo
patologico in termini di usurarietà, essere compreso nel margine del 50% stabilito dalla legge; appare
conseguente e coerente: a) che, nella rilevazione operata dalla Banca d'Italia la stessa non fosse ricompresa nel
calcolo del TEGM; b) che, al contrario, la c.m.s. applicata sia ricompresa nello specifico calcolo del TEG da
porre a confronto con la soglia d'usura.
Il Giudice dr. Francesco Petrucco Toffolo ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 390/10 del R.G. Tribunale in data 6.2.2010 promossa
da
- Sante Sc., L. Fa., V. Fa., Maria Pia Sc.
attori
contro -
Banca di Credito Cooperativo di SGM Società Cooperativa
- Unicredit Credit Management Bank S.p.A.
- Equitalia Friuli Venezia Giulia S.p.A., Fallimento CDS S.r.l., ICCREA Banca S.p.A., NonPerforming Loans
S.p.A., Unicredit Banca d'Impresa S.p.A., contumaci
convenuti
avente per oggetto: opposizione all'esecuzione immobiliare ex art. 615, comma 2, c.p.c., trattenuta
in decisione decisa all'udienza del 26.10.2011 sulle seguenti (Omissis)
RAGIONI DELLA DECISIONE
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Con ricorso al giudice dell'esecuzione depositato il 2.12.2009, gli odierni attori proponevano opposizione ex
art. 615, comma 2, c.p.c., alle esecuzioni riunite n. 15/2008 E.I. e n. 19/2009 E.I., lamentando "la mancanza
del requisito della certezza del credito in relazione all'illegittima applicazione degli interessi usurari nonché
stante l'illegittimità della capitalizzazione degli interessi maturati ed altre illegalità", indicate più in dettaglio
nelle relazioni peritali di parte prodotte, e rilevando che quanto rappresentato andava a ridurre l'esposizione
debitoria per la quale gli istituti di credito convenuti agivano in executivis; concludevano per "l'inefficacia"
delle esecuzioni avviate nei loro confronti.
Con ordinanza depositata il 10.12.2009 - in seguito confermata dal collegio in sede di reclamo sentite le parti,
il g.e. rigettava l'istanza di sospensione dell'esecuzione ex art. 616 c.p.c. e concedeva termine di 60 giorni per
l'introduzione del giudizio di merito (con successivo provvedimento l'esecuzione è stata comunque sospesa dal
giudice dell'esecuzione).
Con atto di citazione notificato in data 1-3.2.2010, gli esecutati-opponenti hanno introdotto il giudizio di
merito, insistendo nelle deduzioni e domande già prospettate avanti al giudice dell'esecuzione.
Si è costituita As. Finance S.p.A., eccependo la carenza di legittimazione o interesse ad agire dell'opponente
Maria Pia Sc. e concludendo per il rigetto dell'opposizione proposta.
Si è costituita la Banca di Credito Cooperativa di SGM Soc. Coop., rilevando l'infondatezza delle domande
avversarie di cui ha chiesto il rigetto.
Gli ulteriori convenuti sono rimasti contumaci.
La causa è stata istruita con l'esperimento di consulenza tecnica d'ufficio e trattenuta in decisione all'udienza
del 26.10.2011 con l'assegnazione alle parti di termini di rito per scritti conclusivi.
In via pregiudiziale di rito, non può essere accolta l'eccezione di difetto di legittimazione attiva svolta da
Unicredit nei confronti di Maria Pia Sc.: se è vero che (a differenza di quanto vale per gli altri attori) questa è
interessata solo a rapporti di mutuo conclusi con BCC di SGM, l'opposizione all'esecuzione proposta doveva
comunque coinvolgere tutti i creditori intervenuti in quanto litisconsorti necessari; in ogni caso la
vocatio in ius dell'istituto eccipiente era inevitabile effetto della citazione svolta, congiuntamente, dagli altri
attori, parti di rapporti con Unicredit.
Nel merito, l'opposizione risulta parzialmente fondata.
Si deve premettere che gli attori hanno svolto nell'atto introduttivo deduzioni piuttosto generiche, non
indicando con una qualche specificità né i rapporti contestati né i precisi motivi di doglianza; è soltanto in
forza delle perizie di parte, prodotte già avanti al g.e. e dimesse nuovamente al momento della costituzione nel
giudizio di merito, che le deduzioni attoree hanno trovato una più adeguata espressione.
Ne è conseguita la necessità (e la possibilità) di svolgere l'istruttoria, a mezzo dell'esperita consulenza tecnica,
con riguardo limitato ai rapporti oggetto di approfondimento nelle richiamate perizie di parte. Tardiva e
inconferente è invece risultata la richiesta di estendere gli approfondimenti peritali a rapporti cui la parte
interessata non aveva fatto riferimento negli atti diretti alla individuazione del thema decidendum e/o che
neppure risultano azionati nell'esecuzione di cui è causa.
Sono, pertanto, in primo luogo, stati oggetto di opportuna verifica peritale i seguenti rapporti di mutuo: BCC
SGM Mutuo ipotecario n. 104262 del 20.10.2005 Rep. 42164 notaio Corsi; BCC SGM Mutuo ipotecario n.
104264 del 20.10.2005 Rep. 42163 notaio Corsi; ICCREA SPA Mutuo ipotecario del 25.2.2004 Rep. n. 40924
notaio Gerardi; ICCREA S.p.A. Mutuo ipotecario del 11.8.2004 Rep. n. 42518 notaio Gerardi.
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Con riferimento a detti rapporti, la consulenza tecnica d'ufficio ha escluso la presenza di profili patologici; essa
è stata condotta con metodo che appare perfettamente idoneo ed i risultati cui essa è pervenuta devono essere
integralmente recepiti.
Sono stati esaminati, altresì, dalla data della loro accensione al 16.10.2007, i contratti, gli estratti conto, gli
scalari e le garanzie fideiussorie rilasciate per i seguenti rapporti di apertura di credito in conto corrente: BCC
SGM Contratto di Apertura di credito in Conto Corrente n. 04/6060584; BCC SGM Contratto di Apertura di
credito in Conto Corrente n. 04/6100268; UNICREDIT Contratto di Apertura di credito in Conto Corrente n.
30026409; UNICREDIT Contratto di Apertura di credito in Conto Corrente n. 626679.
Con riguardo agli indicati rapporti, si deve premettere che le conseguenti posizioni creditorie in capo agli
istituti di credito sono, tutte, oggetto di decreti ingiuntivi passati in giudicato.
Ne consegue che non possono in questa sede essere esaminate questioni relative alla nullità dei contratti o di
clausole dei medesimi, per la preclusione che deriva dal giudicato: così è, in particolare, per l'applicazione
della commissione di massimo scoperto e per la capitalizzazione trimestrale degli interessi, profili dedotti,
seppur genericamente, in atto di citazione e che tuttavia avrebbero potuto esserlo soltanto con l'opposizione a
decreto ingiuntivo.
L'unico profilo ancora deducibile in questa sede - nei limiti di cui si dirà oltre - è quello relativo alla lamentata
pretesa di interessi usurari, posto che secondo consolidata giurisprudenza, la rilevanza penale della condotta
consente di ritenere proprio del nostro ordinamento un principio assoluto che impone di non dar corso alla
dazione di interessi usurari, neppure sulla base di un titolo passato in giudicato.
A tale risultato si perviene, secondo la giurisprudenza, in quanto vengono in evidenza fatti sopravvenuti alla
formazione del titolo giudiziale che possono, per regola generale, essere fatti valere all'interno del processo
esecutivo, tramite l'instaurazione del procedimento incidentale di opposizione all'esecuzione: "in altri termini,
il giudicato non viene toccato, la clausola continuerà a produrre i propri effetti, ma gli interessi che supererano
nel corso del tempo la soglia normativamente prevista per essere considerati usurari non potranno giustificare
l'esecuzione forzata. In relazione a tali somme il creditore non avrà diritto ad eseguire il titolo" (così Trib. di
Reggio Calabria, sent. 4.2.2004).
Precisa conseguenza di tale ricostruzione, che appare pienamente condivisibile, è quella per cui, da un lato,
non può essere messa in discussione la validità della clausola determinativa degli interessi, e dall'altro lato, gli
interessi non potranno comunque essere pretesi, in particolare in sede esecutiva, se non in misura coincidente
(al massimo) con la soglia prevista: si verifica, in conclusione, una inesigibilità parziale (e conseguente
inesecutabilità parziale) degli interessi, nella parte (e solo nella parte) in cui vi è superamento della soglia (così
anche Trib. di Padova, sent. 10.8.2001).
Ciò premesso, pare opportuno ricordare che la legge 7.3.1996, n. 108, recante "disposizioni in materia di
usura", ha definito il concetto di usura contenuto nell'art. 644 c.p. introducendo nel nostro ordinamento un
limite ai tassi di interesse praticabili dalle banche e dagli intermediari finanziari sulle operazioni di
finanziamento. In particolare, l'art. 2 della citata legge individua nel tasso effettivo globale medio (TEGM)
praticato dalle banche e dagli intermediari finanziari aumentato della metà, il tasso soglia oltre al quale gli
interessi si devono ritenere, per presunzione di legge, usurari. La disposizione legislativa attribuisce al Ministro
del Tesoro (ora dell'Economia), sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio Italiano Cambi, il compito di classificare le
operazioni creditizie per categorie omogenee e di rilevare trimestralmente i tassi annui effettivi globali medi
praticati. Tali dati vengono successivamente pubblicati nella Gazzetta Ufficiale con apposito Decreto
Ministeriale. L'individuazione dei tassi da parte del Ministero, pertanto, avviene con la collaborazione della
Banca d'Italia e dell'UIC a cui è affidato il compito di raccogliere i dati presso gli intermediari bancari e
finanziari che, come evidenziato anche nel decreto ministeriale, a propria volta "
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si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi
della legge sull'usura emanate dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio italiano dei cambi".
Al fine di determinare il tasso effettivo globale (TEG) applicato a ciascun rapporto analizzato, il c.t.u. ha, in
primo luogo, utilizzato, come criterio base, la metodologia di calcolo indicata dalla Banca d'Italia nelle proprie
"istruzioni per la rilevazione" emanate nei periodi 2002-2006, così utilizzando per la verifica del rapporto in
concreto (individuazione del TEG applicato) gli stessi criteri con i quali sono calcolati i tassi che confluiscono
nelle tabelle trimestrali pubblicate con decreto del Ministro dell'Economia e che indicano, maggiorati del 50%,
il limite oltre i quali gli interessi sono considerati usurari.
Sulla base di una ricostruzione dei rapporti così effettuata, emergerebbe l'esclusione del superamento dei tassi
soglia con riferimento a tutte le aperture di credito in conto corrente oggetto di osservazione.
La questione è tuttavia resa assai più complessa (e conduce, come si scriverà, a conclusioni in parte diverse)
in relazione alla problematica della rilevanza, al fine della determinazione del tasso, della
c.d. commissione di massimo scoperto.
Come è noto, recenti sentenze della Cassazione penale (nn. 12028/2010, 28743/2010 e, da ultimo, 46669/2011)
hanno affermato che in tema di usura, ai fini della valutazione dell'eventuale carattere usurario del tasso
effettivo globale medio (TEG) praticato da un istituto di credito deve tenersi conto anche della commissione
di massimo scoperto praticata sulle operazioni di finanziamento per le quali l'utilizzo del credito avviene in
modo variabile.
In senso opposto, la circolare della Banca d'Italia del 30.9.1996, aggiornata al dicembre 2002 e in vigore fino
al secondo trimestre 2009, aveva previsto che la commissione di massimo scoperto non entrasse nel calcolo
del TEG, venendo piuttosto rilevata separatamente in termini percentuali. Tale metodologia è stata posta (per
tutto il periodo che assume rilievo nella presente sede) a fondamento dei decreti ministeriali per la rilevazione
del TEG ai fini di cui all'art. 644 c.p..
Soltanto col d.l. 29.11.2008, n. 185 (art. 2-bis, comma 1) convertito nella legge 28.1.2009 n. 2 si è previsto che
"le commissioni ... comunque denominate ... sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 1815
c.c., dell'art. 644 c.p. e della legge 7.3.1996, n. 108, artt. 2 e 3" (sulla disciplina è ulteriormente intervenuto il
d.l. n. 78/2009, convertito nella legge n. 102/2009).
In applicazione di tale nuova normativa la Banca d'Italia ha emanato innovative istruzioni per la rilevazione
dei tassi globali medi ai sensi della legge sull'usura, ricomprendendo nel calcolo la commissione di massimo
scoperto.
Si deve in primo luogo esprimere convinta adesione all'orientamento espresso dalla Cassazione penale: il
chiaro tenore letterale dell'art. 644 c.p. (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario
si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e
tasse, collegate all'erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della
fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi
rientra indubbiamente la commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo legato all'erogazione del
credito, che ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge
da corrispettivo per l'onere, a cui l'intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista
di liquidità e tenerla a disposizione del cliente.
La (ricordata e solo di recente superata) prassi normativa difforme non può avere l'effetto di sanare l'illiceità
della condotta.
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Non ignora il giudicante che la Corte d'Appello di Trieste, nella recente sentenza n. 746/2011, in dichiarato
contrasto con la giurisprudenza penale ora citata, ha affermato che la disciplina di cui all'art. 2-bis, introdotto
con la legge n. 2/2009 di conversione del d.l. n. 185/2008, ha natura innovativa e non interpretativa, essendosi
conseguentemente ritenuto che il legislatore abbia previsto solo per il futuro l'inserimento della c.m.s. nel
calcolo del TEG.
In realtà, non si dubita della irretroattività dell'intervento legislativo quanto a non applicabilità a fatti precedenti
delle disposizioni dallo stesso introdotte, bensì si osserva che la conclusione positiva circa la rilevanza della
commissione di massimo scoperto ai fini del calcolo del TEG era pienamente valida anche prima della novella,
in quanto obbligata dal chiaro tenore letterale dell'art. 644 c.p..
Tale ultima osservazione incontra, tuttavia, un'importante obiezione, così espressa dalla stessa Corte d'Appello
di Trieste: "ritenendo che anche per il passato la c.m.s. andasse inclusa nel tasso applicato dal singolo operatore,
la comparazione con il TEGM e relativa soglia (TEGM + 50%) - dai quali la c.m.s. era esclusa - avverrebbe
tra realtà economiche evidentemente disomogenee"; l'obiezione nasce dal convincimento che gli stessi
elementi che hanno concorso alla rilevazione del TEGM debbano essere presi a base per la determinazione del
tasso effettivamente applicato (TEG) al fine di confrontare due valori tra loro perfettamente omogenei:
considerare la c.m.s., sommandola agli "interessi" o agli "oneri", ai fini della determinazione del TEG da
confrontare con il TEGM aumentato del 50 % (cd. tasso soglia) che non la contiene, porterebbe ad effettuare
un confronto fra due entità disomogenee.
Si deve tuttavia in primo luogo osservare che la mancanza del parametro "omogeneo" (TEGM calcolato con
inclusione della c.m.s.) per gli anni che vengono in rilievo, se indubbiamente crea una difficoltà operativa (e
di giudizio) assai grave non può giustificare la semplice negazione di giustizia che si avrebbe applicando,
nonostante tutto, l'erronea metodologia recepita nei decreti ministeriali: si ribadisce, la legge n. 108/96 prevede
(e ha sempre previsto) la rilevazione del TEGM con riferimento ad ogni onere correlato all'operazione di
finanziamento, e non vi è dubbio che la c.m.s. sia un onere posto in relazione con lo scoperto di conto corrente
che trova giustificazione quale parziale ristoro per minore redditività che la banca subisce dovendo tenere a
disposizione risorse liquide.
A ben vedere, tuttavia, la difficoltà operativa può ben essere risolta in radice: a ben vedere, l'affermazione
secondo cui, non essendo la c.m.s. compresa nella determinazione del TEGM, non potrebbe neanche essere
compresa nel calcolo del TEG per la verifica dell'usura, costituisce - come osservato da recente autorevole
dottrina - una forzatura logica, una petizione di principio.
In realtà, la Banca d'Italia ha approntato una metodologia di rilevazione volta a cogliere il costo fisiologico
medio di mercato del finanziamento, così determinando il TEGM; l'aggregato dei costi da inserire nel calcolo
del TEG deve invece ricomprendere ogni onere in concreto sopportato per l'erogazione del credito, fisiologico
e non, patologico e non.
Esempio classico della differenza che s'intende sottolineare è la mora, che rientra nella verifica d'usura (v.
Cass., sent. n. 5286/2000, e Corte Cost., sent. n. 29/2002) ma non è (come è ovvio) ricompresa nella rilevazione
del valore medio di mercato.
Se poi si considera - nella forma e modalità impiegate dalla pressoché totalità del sistema bancario, prima che
la legge n. 2/2009 ne riformasse l'utilizzo - la c.m.s. una patologia dei rapporti bancari, appare conseguente e
coerente:
a) che, nella rilevazione operata dalla Banca d'Italia la stessa non fosse ricompresa nel calcolo del
TEGM;
b) che, al contrario, la c.m.s. applicata sia ricompresa nello specifico calcolo del TEG da porre a confronto con
la soglia d'usura.
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L'ammontare della c.m.s., che non trova(va) spazio nel TEGM pubblicato nei decreti ministeriali, deve
(doveva) necessariamente essere ricompreso nel margine di scostamento concesso al TEG praticato
dall'intermediario rispetto al TEGM calcolato dalla Banca d'Italia: rilevato il valore medio di mercato del costo
del credito, ogni incremento di costo, quale che sia la natura o il titolo a cui viene imputato, deve, pena
l'emergere di un profilo patologico in termini di usurari età, essere compreso nel margine del 50% stabilito
dalla legge.
Per mera completezza si rileva invece come non possa essere valutata favorevolmente la metodologia suggerita
dalla Banca d'Italia in una circolare del 2005 (che appare invece pienamente recepita nella sentenza n.
809/2008, del Trib. di Udine), che, utilizzando la separata rilevazione della commissione di massimo scoperto,
suggerisce una duplice valutazione: verificare in primo luogo se il tasso effettivo globale praticato (TEG) sia
superiore al TEGM aumentato del 50% (tasso soglia) relativo al medesimo periodo; verificare in secondo luogo
se vi sia l'applicazione di c.m.s. superiori all'entità della "c.m.s. soglia", con l'ulteriore confronto tra l'importo
della c.m.s. percepita in eccesso e l'ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati)
che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti ("margine"),
ritenendosi superate le soglie di legge solo qualora l'eccedenza della commissione rispetto alla "c.m.s. soglia"
risulti superiore a tale "margine".
È evidente che tale ipotesi, "creata" dalla Banca d'Italia senza alcun supporto normativo, abbia, come
acutamente osservato in dottrina, l'effetto di edulcorare i vincoli di rispetto delle soglie d'usura, introducendo
una soglia per la c.m.s. distinta da quella degli interessi, non prevista nel precetto penale, con indebiti travasi
di margini di flessibilità dove la presenza o meno dell'usura non verrebbe a dipendere esclusivamente dall'entità
di quanto richiesto per il credito erogato, ma anche dalla natura del titolo - interessi o c.m.s. - dell'addebito
operato: uno stesso importo riconosciuto per il credito erogato potrebbe risultare usurario, se riconosciuto
interamente a titolo di interesse e, al contrario, regolare, entro la soglia, se riconosciuto in parte come interessi
e in parte come c.m.s., così restando però tradita la logica voluta dal legislatore del 1996 al fine
dell'individuazione e della sanzione delle condotte usurarie.
In conclusione, la metodologia di calcolo seguita sub b) dal c.t.u. ed ivi indicata come TEG c.m.s., in quanto
elaborata considerando anche la c.m.s. a fini del calcolo del TEG, mediante la seguente formula matematica:
(TEG c.m.s.) = (INTERESSI + ONERI + C.M.S.) X 36.500 / NUMERI DEBITORI
con conseguente confronto del risultato con il TEGM pubblicato nei decreti ministeriali appare, contrariamente
alle apparenze, in tutto coerente con il sistema ed immediatamente applicabile.
L'adozione di tale metodologia si completa, per quanto osservato supra, con un ricalcolo delle posizioni che,
in presenza di crediti oggetto di provvedimenti monitori definitivi, esclude la debenza degli interessi
unicamente per la parte eccedente la soglia.
Seguendo questo metodo di analisi dei rapporti in contestazione, emerge il superamento della soglia nei
seguenti rapporti:
1) contratto di apertura di credito in conto corrente n. 04/6060584 sottoscritto con BANCA DICREDITO
COOPERATIVO DI SGM dalla CDS S.r.l. in data 17.6.2003. L'apertura di credito risulta garantita da una
fideiussione omnibus limitata all'importo di ? 7.000.000,00 rilasciata in data 23.10.2000 e successivamente
elevata nel suo massimale da L. Fa., V. Fa., Sante Sc.. Il credito della banca è oggetto del decreto ingiuntivo
n. 1646/2007 del Tribunale di Pordenone. Il ricalcolo della posizione ha evidenziato addebiti oltre soglia per
? 24.667,10 che, a loro volta nei trimestri successivi, hanno prodotto ulteriori oneri per ? 14.508,82.
Riconducendo gli addebiti al limite della soglia si determina un saldo a debito del correntista di ? 40.811,16;
2) contratto di apertura di credito in conto corrente n. 04/6100268 sottoscritto con BANCA DICREDITO
COOPERATIVO DI SGM dalla CDS S.r.l. in data 23.12.2005. L'apertura di credito risulta garantita da una
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fideiussione omnibus limitata all'importo di ? 7.000.000,00 rilasciata in data 23.10.2000 e successivamente
elevata nel suo massimale da L. Fa., V. Fa., Sante Sc.. Il credito della banca è oggetto del decreto ingiuntivo
n. 1646/2007 del Tribunale di Pordenone. Il ricalcolo della posizione ha evidenziato addebiti oltre soglia per
? 1.257,92 che, a loro volta, nei trimestri successivi, hanno prodotto ulteriori oneri per ? 120,32. Riconducendo
gli addebiti al limite della soglia si determina un saldo a debito del correntista di ? 123.474,41;
3) contratto di apertura di credito in conto corrente n. 000030026409 sottoscritto con
UNICREDITBANCA DI IMPRESA SPA dalla CDS S.r.l. in data 3.5.2004. L'apertura di credito risulta
garantita da una fideiussione omnibus limitata all'importo di ? 325.000,00 rilasciata in data 3.8.2004 da Fa. L.,
Fa. V., Sc. Sante e R. Pietro. Il credito della banca è oggetto del decreto ingiuntivo n. 1845/2007 del Tribunale
di Pordenone. Il ricalcolo della posizione ha evidenziato addebiti oltre soglia per ? 16.612,71 che, a loro volta
nei trimestri successivi, hanno prodotto ulteriori oneri per ? 2.318,00. Riconducendo gli addebiti al limite della
soglia si determina un saldo a debito del correntista di ? 355.280,72.
Gli altri rapporti analizzati sono risultati esenti da censure sotto il profilo delle soglie antiusura.
Ne consegue il parziale accoglimento dell'opposizione proposta, con conseguentemente accertamento negativo
del diritto di BCC SGM e Unicredit di procedere esecutivamente per le somme individuate come inesigibili.
Non spetta al giudice del merito cognitorio ma al giudice dell'esecuzione provvedere, su istanza di parte,
all'eventuale revoca della sospensione dell'esecuzione: l'istanza in tal senso formulata da Banca di Credito
Cooperativo di SGM nella presente sede dev'essere pertanto dichiarata inammissibile.
In punto spese di lite, l'obiettiva incertezza e complessità della controversia e la non univocità degli
orientamenti giurisprudenziali, di cui si è dato atto, inducono a condannare i due istituti di credito parzialmente
soccombenti - che sopporteranno definitivamente, in solido, le spese di c.t.u. - alla rifusione in favore degli
attori Sante Sc., L. Fa. e V. Fa. di metà delle spese di lite, liquidate equitativamente in assenza di nota spese,
con compensazione per i motivi anzidetti dell'ulteriore quota.
Rimangono compensate le spese di lite tra le altre parti del giudizio.
P.Q.M.
Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente
pronunciando nella causa n. 390/10 R.G., così decide:
1. in parziale accoglimento dell'opposizione proposta, che per il resto rigetta, dichiara che, con riferimento ai
crediti calcolati alla data del 16.10.2007: a) la Banca di Credito Cooperativo di SGM non ha diritto di agire
esecutivamente nei confronti di L. Fa., V. Fa. e Sante Sc. per la somma di ? 39.175,92 in forza del rapporto
di apertura di credito in conto corrente n. 04/6060584 (residuando comunque un saldo a debito a quella data
di ? 40.811,16) e per la somma di ? 1.378,24 per il rapporto di apertura di credito in conto corrente n.
04/6100268 (residuando comunque un saldo a debito a quella data di ? 123.474,41); b) Unicredit Credit
Management Bank S.p.A. non ha diritto di agire esecutivamente nei confronti di L. Fa., V. Fa. e Sante Sc.
per la somma di ? 18.930,70 in forza del contratto di apertura di credito in conto corrente n. 000030026409
(residuando comunque un saldo a debito di ? 355.280,72);
2. dichiara inammissibile l'istanza di revoca della sospensione dell'esecuzione proposta da Banca di Credito
Cooperativo di SGM;
3. dichiarate compensate le spese di lite tra le parti per la metà, condanna le convenute Banca di Credito
Cooperativo di SGM Società Cooperativa e di Unicredit Credit Management Bank S.p.A., in solido, al
pagamento, in favore degli attori L. Fa., V. Fa. e Sante Sc., dell'ulteriore quota, quota che liquida in
complessivi ? 9.500,00, di cui ? 9.000,00 per compenso avvocati ed ? 500 per spese, oltre Iva e CPA;
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4. dichiara compensate le spese di lite tra le altre parti del giudizio;
5. pone le spese di c.t.u. definitivamente a carico, in via solidale e nei rapporti interni giusta metà, di Banca di
Credito Cooperativo di SGM Società Cooperativa e di Unicredit Credit Management Bank S.p.A.
Cass. Civile n.943, 24 gen 2012 Atti pubblici: la veridicità e l'esattezza delle
dichiarazioni delle parti possono essere accertate e contrastate con tutti i mezzi
di prova consentiti dalla legge
Cassazione Civile
24 gennaio 2012, n. 943
Atti pubblici: la veridicità e l'esattezza delle dichiarazioni delle parti possono essere accertate e contrastate con
tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge
Con la presente sentenza la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui l'atto pubblico fa piena
prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato nonché
delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui
compiuti, ma non prova la veridicità e l'esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti le quali, pertanto, possono
essere contrastate ed accertate con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge, senza che occorra, o possa
proporsi, querela di falso e non si estende alle valutazioni né alle manifestazioni di scienza o di opinione in
esso contenute. A tale convincimento la Suprema Corte è addivenuta considerando che la fede privilegiata
riguarda la mera constatazione dei fatti, da parte del pubblico ufficiale, senza alcun margine di apprezzamento,
mentre le mere valutazioni, le circostanze che il verbalizzante segnali di aver accertato per averle apprese de
relato e le circostanze che il verbalizzante dichiari aver accertato nel corso dell'indagine per averle apprese a
seguito di ispezione di documenti costituiscono materiale che deve essere liberamente apprezzato dal giudice,
il quale è libero di privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre, scegliendo l'una piuttosto che
l'altra fonte di prova.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Terza Civile, composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIFONE Francesco - Presidente
Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere
Dott. UCCELLA Fulvio - Consigliere
Dott. CARLEO Giovanni - rel. Consigliere Dott.
SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere ha
pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18293/2009 proposto da:
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D.F. (OMISSIS), D.N. (OMISSIS), D.C. (OMISSIS), D.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,
CORSO TRIESTE 87, presso lo studio dell'avvocato ANTONUCCI ARTURO, che li rappresenta e difende
unitamente all'avvocato VASSALLE ROBERTO giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
BANCO DI SICILIA S.P.A. - società appartenente al GRUPPO BANCARIO UNICREDIT (OMISSIS), in
persona del Respondabile del Department Legale Avv. G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
RUBICONE 42, presso lo studio dell'avvocato ROTILI CARLO ALFREDO, rappresentato e difeso
dall'avvocato PERRINO MICHELE giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
UNICREDITO ITALIANO S.P.A.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 1304/2008 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il
13.10.2008, R.G.N. 594/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15.12.2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO; udito l'Avvocato ARTURO ANTONUCCI; udito l'Avvocato MICHELE PERRINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso del 2.12.1999 i coniugi D.F. e M. C. proponevano opposizione ad un'esecuzione immobiliare
promossa dalla Cassa Rurale e Artigiana Popolare coop. a r.l. - poi desistente - e proseguita per impulso
dell'intervenuto Banco di Sicilia con atto in cui detto istituto si affermava creditore della complessiva somma
di lire 625.15.332, dovuta in parte a titolo di saldo debitore di un conto corrente, in parte per 4 effetti cambiari
a fronte di una sovvenzione ipotecaria, in parte per un mutuo industriale. Gli opponenti eccepivano la nullità
ex art. 1418 c.c., di tutti i contratti stipulati con il Banco di Sicilia, in quanto frutto di attività criminose (delitti
di truffa, estorsione ed usura) compiute da dipendenti dell'istituto di credito, chiedendone subordinatamente
l'annullamento per vizio del consenso. In ulteriore subordine gli opponenti contestavano la totale estinzione di
ogni loro obbligazione e, in ogni caso, l'entità della pretesa, la nullità del contratto di mutuo industriale, in
quanto pur trattandosi di mutuo di scopo (impianto ed avvio di stabilimento industriale) la somma mutuata era
stata utilizzata per saldare precedenti debiti e quindi distolta dallo scopo legale cui era stata destinata, nonché
la mancata consegna delle somme mutuate, fatto essenziale per lo stesso perfezionamento del contratto, e, più
in generale, la mancanza di prova in ordine alla stessa pretesa creditoria.
Il BdS, costituitosi, chiedeva il rigetto dell'opposizione.
Successivamente si costituivano D.N., D.S. e D.C. quali eredi della madre, reiterando le medesime istanze. In
esito al giudizio, il Tribunale di Agrigento, rigettate le domande di declaratoria di nullità e di annullamento, in
parziale accoglimento dell'opposizione, dichiarava infondato il credito derivante dal saldo negativo del conto
corrente, riduceva la misura degli interessi moratori, dichiarava la nullità della clausola contrattuale che
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rimetteva al mero arbitrio del mutuante la determinazione del tasso d'interesse dichiarando applicabile la
misura legale, respingeva nel resto l'opposizione.
Avverso tale decisione i coniugi D. - M. proponevano appello ed in esito al giudizio, in cui si costituiva il BdS,
la Corte di Appello di Palermo rigettava il gravame con sentenza depositata in data 13 ottobre 2008. Avverso
la detta sentenza i D. hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi, illustrato da
memoria. Resiste con controricorso il Banco di Sicilia S.p.A..
Motivi della decisione
In via preliminare, deve soffermarsi l'attenzione su un'eccezione sollevata nella memoria ex art. 378 del c.p.c.
dai ricorrenti i quali hanno dedotto la carenza di legittimazione dell'avv. G.M., sottoscrittore della procura a
margine del controricorso.
L'eccezione è infondata alla luce della documentazione prodotta dal controricorrente (copia notarile rilasciata
dal notaio Ugo Serio di Palermo) dalla quale risulta che in data 25.11.2008 l'amministratore delegato del Banco
di Sicilia, dr. B.R., aveva conferito all'avv. G.M. la rappresentanza sostanziale e processuale affinché
provvedesse a rappresentarlo in ogni giudizio ed in ogni fase e grado.
Esaurita tale premessa, va osservato che la prima doglianza, articolata dai ricorrenti sotto il profilo della
violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2700 c.c., si basa sulla premessa che le loro contestazioni erano
fondate sulle risultanze di fatto e di pagamenti verificati ed attestati dal rapporto della Guardia di Finanza del
24 maggio 1995 e che la Corte d'appello aveva disatteso tali risultanze in considerazione del decreto di
archiviazione del procedimento penale, instaurato per vari reati (truffa, estorsione, usura) nei confronti dei
dipendenti dell'istituto di credito, decreto fondato su accertamenti contabili eseguiti dal consulente tecnico su
incarico del P.M.. Ciò posto - così scrivono i ricorrenti - i giudici di secondo grado avrebbero violato l'art. 115
c.p.c., secondo cui il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, e l'art. 116
c.p.c., nella parte in cui consente al giudice di valutare le prove secondo il suo apprezzamento salvo che la
legge disponga diversamente. Ed invero - questa, in sintesi, la conclusione - la Corte avrebbe invece dovuto
"attribuire efficacia probatoria privilegiata, e comunque prevalente rispetto alla CTU esperita in sede penale,
al medesimo rapporto di polizia giudiziaria in relazione alle circostanze di fatto ed ai pagamenti verificati ed
attestati dai verbalizzanti" (così, nel quesito di diritto). La censura è infondata. A riguardo, corre l'obbligo di
avvertire che il principio fissato dall'art. 115, secondo cui il giudice deve decidere iuxta alligata et probata
(secondo i fatti allegati e provati dalle parti), mira soltanto ad impedire che una parte possa subire una decisione
basata su fatti ad essa sconosciuti, in relazione ai quali non si sia potuta difendere, ma non esclude che il giudice
possa avvalersi di elementi comunque emersi dalla compiuta istruttoria per argomentare in merito ai temi del
dibattito processuale, ancorché non ne sia stato richiesto dalla parte stessa.
Invero, accanto al principio dispositivo, nel nostro ordinamento vige il principio di acquisizione processuale,
secondo cui le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte che l'abbia fornite, concorrono
tutte ed indistintamente alla formazione del libero convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza
possa condizionare tale formazione in un senso o nell'altro, e, quindi, senza che possa escludersi l'utilizzazione
di una prova fornita da una parte per trame elementi favorevoli alla controparte (ex multis cfr Cass. n.
16092/2002, n. 1112/2003, n. 10847/2007).
Giova aggiungere che è principio assolutamente consolidato quello secondo cui spetta, in via esclusiva, al
giudice del merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento. Infatti, la valutazione delle
risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle - fra esse - ritenute più idonee a sorreggere la motivazione,
postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al detto giudice il quale, nel porre a fondamento
del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra
altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad
affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. In
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tale quadro, il giudice del merito è quindi libero di dare prevalenza all'una o all'altra fonte di prova. E ciò, fatti
naturalmente salvi i casi tassativamente previsti dalla legge.
A riguardo, i ricorrenti lamentano che la Corte avrebbe invece dovuto attribuire efficacia probatoria privilegiata
al rapporto redatto dalla G. di F. il 24 maggio 1995, e comunque, prevalente rispetto alla CTU esperita in sede
penale in relazione alle circostanze di fatto ed ai pagamenti verificati ed attestati dai verbalizzanti.
L'argomento non è però convincente. A norma dell'art. 2700 c.c., l'atto pubblico fa piena prova, fino a querela
di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni
delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma non
prova la veridicità e l'esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti le quali, pertanto, possono essere contrastate
ed accertate con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge, senza che occorra, o possa proporsi, querela di
falso (Cass. n. 11751/2004, n. 10569/2001, n. 13935/1999, n. 10219/1996, n. 5013/1996, n. 25860/2008), e
non si estende alle valutazioni né alle manifestazioni di scienza o di opinione in esso contenute (tra le tante,
Cass. n. 13449/2004, n. 17106/2002, n. 10695/1999, n. 12834/1999, S.U. n. 12545/1992, n. 9649/2006, n.
22662/2008). E ciò, in quanto la fede privilegiata riguarda la mera constatazione dei fatti, da parte del pubblico
ufficiale, senza alcun margine di apprezzamento, mentre le mere valutazioni, le circostanze che il verbalizzante
segnali di aver accertato per averle apprese de relato e le circostanze che il verbalizzante dichiari aver accertato
nel corso dell'indagine per averle apprese a seguito di ispezione di documenti (come le circostanze di fatto ed
i pagamenti riferiti dai verbalizzanti nel loro rapporto) costituiscono materiale che deve essere liberamente
apprezzato dal giudice, il quale è libero di privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre,
scegliendo l'una piuttosto che l'altra fonte di prova.
Passando all'esame della seconda doglianza, articolata sotto il profilo della motivazione omessa e insufficiente
in relazione all'illecito di cui all'art. 640 c.p.c., deve premettersi che le ragioni dei ricorrenti si fondano sulla
premessa che il BdS avrebbe usato in loro danno artifici e raggiri consistiti nel far credere di poter godere in
tempi brevi del finanziamento industriale e dei contributi Casmez per l'iniziativa intrapresa, nel farsi
immediatamente rilasciare la procura irrevocabile per l'incasso di detti contributi, nell'aver sottotaciuto il
proprio proposito di effettuare, subito dopo, l'anticipata estinzione del mutuo CRAP al fine di aumentare le
garanzie di esso Banco, nell'aver omesso di concedere un prefinanziamento al tasso agevolato in luogo della
più gravosa apertura di credito, nell'aver ritardato la stipulazione del contratto definitivo del mutuo industriale.
La Corte di Appello, pertanto, avrebbe gravemente errato quando: 1) ha ritenuto che la procura irrevocabile
all'incasso rilasciata il 18 gennaio 1998 da M.C. fosse giustificata da coevi prefinanziamenti, in attesa
dell'erogazione del mutuo industriale, mentre i finanziamenti furono invece successivi, come risulta dal
rapporto della G.d.F.; 2) quando ha escluso l'induzione in errore assumendo che i benefici economici previsti
dal mutuo industriale, dovevano essere erogati posticipatamente rispetto agli impegni economici d'impresa. 3)
quando ha escluso che la richiesta di cancellazione delle ipoteche iscritte dal Crap potesse integrare l'elemento
del profitto ingiusto laddove l'ingiusto profitto era costituito prevalentemente dai maggiori interessi addebitati
sulle aperture di credito. La sentenza inoltre avrebbe omesso di motivare: a) in relazione alla antieconomicità
dell'operazione, per effetto della quale le agevolazioni concesse dalla Casmez furono utilizzate per
l'eliminazione del 1 mutuo contratto con la CRAP ed ai coniugi D. fu in concreto erogata la sola somma di
27.350.000; b) in relazione al rifiuto opposto dalla Banca alla richiesta di erogazione di un prefinanziamento
sul mutuo industriale a tasso agevolato D.P.R. n. 218 del 1978, ex art. 66, in luogo delle più costose aperture
di credito; c) in relazione al fatto che il mutuo industriale avrebbe dovuto essere garantito dal privilegio su
impianti, macchinar, scorte e non dall'ipoteca di primo grado della quale non vi era necessità.
La doglianza è infondata. A riguardo, premesso che, come è stato già evidenziato in precedenza, spetta al
giudice del merito in via esclusiva la valutazione delle risultanze probatorie e la scelta di quelle - fra esse -
ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, onde l'irrilevanza del richiamo dei ricorrenti alle risultanze del
rapporto redatto dalla GdF, torna opportuno sottolineare che i giudici di seconde cure, sulla base delle indagini
tecniche fatte espletare dal PM e sulla base della relativa ricostruzione dei fatti operata, hanno spiegato in
maniera chiara ed esaustiva le ragioni per cui, confermando la valutazione del primo giudice, hanno escluso la
sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 640 c.p., evidenziando in particolare l'assenza
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dell'induzione in errore, giacché la richiesta di finanziamento era stata avanzata in base ad una legge che
prevedeva benefici economici posticipati rispetto agli impegni economici d'impresa; l'assenza del profitto
ingiusto, con riferimento alla richiesta di cancellazione delle formalità ipotecarie anteriori, giacché la
prestazione di garanzia ipotecaria di primo grado e la costituzione del privilegio speciale sugli impianti
rientrano nella logica dei finanziamenti industriali a lungo termine con impiego di fondi pubblici; l'assenza
degli artifici o raggiri, giacché la concessione della procura irrevocabile all'incasso di tutti i contributi a fondo
perduto da ottenersi dalla Casmez era giustificata dalla sussistenza di coevi prefinanziamenti effettuati dal BdS
ai coniugi D. nell'attesa della concessione delle provvidenze con conseguente necessità di garantire l'aumento
dell'esposizione debitoria affidata. La motivazione della sentenza appare quindi assolutamente ben articolata,
coerente e non presenta traccia del mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia. Peraltro, il
mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce
vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da
invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle altre risultanze
sulle quali il convincimento è fondato, onde la "ratio decidendi" venga a trovarsi priva di base.
(Cass. n. 9368/2006). Ed è appena il caso di sottolineare come la censura in esame non sia riuscita ad
individuare risultanze processuali tali che, se fossero state accuratamente esaminate, avrebbero portato con
assoluta certezza ad una diversa soluzione della controversia, risolvendosi in oggettivi ed univoci artifizi o
raggiri, adoperati dai funzionari del BdS, al fine di indurre in errore l'altra parte e di viziarne il consenso
negoziale.
Passando all'esame delle due successive censure, deve premettersi che con la terza doglianza, articolata sotto
il profilo della violazione e/o falsa applicazione dell'art. 629 c.p., i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale
avrebbe sbagliato a negare la sussistenza degli elementi costitutivi del citato delitto, in relazione
all'imposizione, nel contratto condizionato del mutuo industriale del 26 gennaio 1979, di clausola che
condizionava la validità del contratto all'iscrizione di ipoteca di primo grado a maggior garanzia della somma
mutuanda, ipoteca di primo grado non richiesta dalla legge, per la quale si rendeva necessario estinguere ogni
debito verso la Crap. In tal modo, la Corte avrebbe trascurato che il comportamento tenuto nella vicenda de
qua dall'istituto di credito concretizzava invece tutti gli estremi del reato di estorsione risolvendosi "nella
prospettazione di un male (rifiuto di erogare il finanziamento) capace di indurre il timore di un concreto
pregiudizio (fallimento dell'iniziativa industriale), con conseguente coercizione dell'altrui volontà (in relazione
alla sconvenienza della operazione), per il conseguimento, da parte dell'istituto di credito, di un profitto
ingiusto (interessi ordinar sull'apertura di credito concessa al fine di estinguere il 1 mutuo) e altrui danno
(differenza tra gli interessi dovuti dall'imprenditore per il 1 mutuo e quelli dovuti per l'apertura di credito e
impossibilità per l'imprenditore di destinare la nuova risorsa finanziaria all'ampliamento della propria attività
..." (così, nel quesito). Con la quarta doglianza infine, per violazione e falsa applicazione dell'art. 644 c.p., i
ricorrenti lamentano che la Corte territoriale avrebbe sbagliato ad escludere la configurabilità dell'elemento
del consapevole approfittamento, da parte del Banco di Sicilia, dello stato di bisogno dei coniugi D.. Infatti la
Corte avrebbe errato ritenendo che non sussiste lo stato del bisogno del soggetto passivo quando il denaro
chiesto a prestito sia destinato allo scopo di intraprendere o incrementare attività commerciali laddove può
invece sussistere quale che sia la natura o la causa della necessità. Inoltre, avrebbe omesso la valutazione del
complesso degli oneri e dei vantaggi conseguiti dalle parti, limitandosi a dichiarare non usurario il tasso
applicato all'apertura di credito e trascurando, quanto all'usurarietà dei vantaggi, oltre la cessione dei contributi
Casmez, l'enorme sproporzione tra le somme erogate dal Banco, ammontanti a lire 298.922.052 e le somme
ricevute per complessive lire 938.369.782, così come risulta accertato nel rapporto della GdF in precedenza
citato.
I motivi in questione, che vanno trattati congiuntamente in quanto propongono profili di censura intimamente
connessi tra loro, essendo entrambi fondati sul comune presupposto di una erronea valutazione, da parte del
giudice del merito, delle risultanze processuali nel ritenere nella vicenda de qua la sussistenza degli estremi
dei reati di estorsione e di usura, sono inammissibili.
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A riguardo, corre l'obbligo di avvertire che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il vizio di
violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema
interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa si pone su un piano estrinseco rispetto all'esatta interpretazione della norma di legge
e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto
l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'uria e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio
a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in
ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo
quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa
(recentemente, in termini, Cass. n. 16698/2010, n. 7394/2010, Cass. n. 24607).
Ciò premesso, va osservato che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi,
hanno malamente interpretato le indicate disposizioni di legge indicate nella intestazione dei motivi, in realtà,
si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a
parere del ricorrente inadeguata, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti
del giudizio di Cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze. Ne deriva l'inammissibilità
delle dette doglianze, ferma restando la necessità di procedere alla correzione della motivazione della sentenza
impugnata, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., ultima parte, nella parte in cui i giudici di appello hanno escluso la
sussistenza del reato di usura, secondo l'originaria formulazione dell'art. 644 c.p., aggiungendo ad
abundantiam, rispetto ad ulteriori numerosi rilievi di cui alla motivazione, la considerazione erronea in diritto
secondo cui il delitto in esame non sarebbe comunque configurabile quando il soggetto passivo si riprometta
dall'operazione anche uno scopo di lucro, sotto il profilo dell'investimento del denaro ricevuto anche per
aumentare i propri affari commerciali.
Ed invero, secondo l'indirizzo di questa Corte, cui questo Collegio intende aderire, non essendo emerse ragioni
per discostarsene, "nel regime anteriore alla legge n. 108 del 1996 il negozio di mutuo era da considerarsi
illecito per pattuizione di interessi a tasso elevato solo nel caso di sussistenza degli estremi del delitto di usura
ai sensi dell'art. 644 c.p. (nella previgente formulazione). In particolare, lo stato di bisogno preso in
considerazione dal detto precetto penale poteva essere indifferentemente determinato da cause incolpevoli
oppure da vizi, prodigalità o altre cause inescusabili, poiché la norma perseguiva la finalità di colpire l'usurario
quale persona socialmente nociva, che non cessava di essere tale, quale che fosse la natura o la causa del
bisogno del debitore, e sussisteva quand'anche l'offeso avesse inteso insistere negli affari al di fuori di ogni
razionale criterio imprenditoriale. Ne consegue che lo stato di bisogno nel reato di usura ricorreva tutte le volte
in cui la persona offesa non era in grado di ottenere altrove e a condizioni migliori la prestazione di denaro o
altra cosa occorrente anche ai fini della sua attività d'impresa e doveva, invece, sottostare alle esose condizioni
imposte per il prestito; deve, pertanto, escludersi che quella privazione o grave limitazione della libertà di
scelta del mutuatario, che qualifica l'usura, fosse incompatibile con il carattere commerciale dell'attività
lucrativa in cui l'usura venga ad inserirsi. (Cass. n. 19698/2008).
Passando all'esame della quinta censura, per contraddittorietà della motivazione in relazione al riconoscimento
di debito costituito dalla lettera 28.4.1983 a firma M.C., va osservato che la doglianza è stata conclusa dal
seguente momento di sintesi, volto a chiarire negli intendimenti dei ricorrenti le ragioni della denunciata
contraddittorietà: "la sentenza d'appello, dopo aver confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui
dichiara non dovuto il debito derivante dal conto corrente n. (OMISSIS) e non dovuti gli interessi di mora
convenuti nel contratto stipulato tra le parti il 26.1.1979, n. 17952 di rep. notaio Incardona, nonché non dovuti
gli interessi ultralegali in relazione al contratto stipulato tra le parti il 22.1.1981, n. 20190 di rep. notaio
Incardona, dichiara esistente il debito riconosciuto nella lettera 28.4.1983 firmata da M.C., seppure
comprensivo di detti importi" La doglianza è inammissibile: innanzitutto, per difetto di autosufficienza perché
i ricorrenti avrebbero dovuto riportare nel ricorso l'intero contenuto del documento, in ipotesi mal interpretato
dai giudici d'appello, al fine di consentire a questo giudice di legittimità di verificare a quali importi si riferisse
il riconoscimento del debito e di valutare le eventuali incongruenze emergenti dalla interpretazione resa dai
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giudici di seconde cure. E ciò, in quanto non è consentita al giudice della legittimità una autonoma ricerca
degli atti, ma solo una verifica del loro contenuto, riportato negli atti difensivi. In secondo luogo, perché il
momento di sintesi deve consistere in una parte del motivo, elaborata in termini chiari, compiuti ed
autosufficienti, senza che la Corte sia obbligata, come nella specie, ad una attività di interpretazione della
doglianza complessivamente illustrata, al fine di poter individuare il fatto controverso, cui si riferisce il
ricorrente, e le ragioni per cui la motivazione sarebbe stata contraddittoria.
Ciò, senza considerare infine che il momento di sintesi elaborato dai ricorrenti non riporta fedelmente il
pensiero della Corte la quale in motivazione non aveva affatto dichiarato esistente il debito riconosciuto nella
lettera 28.4.1983, sulla base di tale riconoscimento, limitandosi ad affermare genericamente che la persistente
situazione debitoria dei coniugi D. poteva, del resto, desumersi dal contenuto della lettera del 28.4.1983 firmata
dalla M., in cui costei riassumeva la propria posizione debitoria in complessive L. 531.408.000 e dichiarava di
voler sistemare le pendenze con versamenti mensili di lire 10 milioni. Con la sesta censura per omessa e
insufficiente motivazione in relazione ai pagamenti ricevuti dal Banco di Sicilia, i ricorrenti lamentano che "il
giudice d'appello, respingendo l'eccezione di intervenuta estinzione del debito esecutivamente azionato, non
ha considerato i pagamenti per complessive lire 938.369.782 ricevuti dal Banco di Sicilia, verificati e attestati
dalla Guardia di Finanza nel rapporto prodotto in atti" (così, nel momento di sintesi) La doglianza è infondata
perchè l'omesso esame di un punto decisivo della controversia, l'omesso compimento di un'indagine o di un
accertamento, al fine di configurare il vizio di omessa o insufficiente motivazione, devono lasciare una traccia
evidente nel ragionamento del giudice mostrando incongruenze oppure salti logici nel suo percorso
argomentativo. Al contrario, vale la pena di sottolineare che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha spiegato
le ragioni della sua decisione in maniera assolutamente chiara precisando, in primo luogo, che i coniugi D. -
M. non avevano fornito alcuna dimostrazione diretta di tutti i versamenti effettuati a deconto dei debiti nel
frattempo accumulati, omettendo di fornire la prova posta a loro carico di aver estinto la debitoria verso il
Banco di Sicilia, ed aggiungendo che, "come ricordato dal primo giudici, i consulenti del PM avevano
concordemente ritenuto che i D. - M. non avessero probabilmente tenuto conto del fatto che tutti i versamenti
in tesi effettuati non erano stati compiuti per ripianare mari mano le esposizioni debitorie ma per coprire le
frequentissime emissioni di assegni bancari da parte loro senza la necessaria provvista e su pressante invito dei
funzionar del Banco".
Giova aggiungere che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al
giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio,
bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale,
delle argomentazioni svolte dal giudice del merito. Ed è appena il caso di aggiungere come nella specie i rilievi
dei ricorrenti consistano nella sostanza delle cose in una diversa valutazione in ordine alla scelta ed
all'interpretazione delle risultanze istruttorie al fine di ottenere un ulteriore esame del merito della causa.
Resta da esaminare l'ultima doglianza per violazione degli artt. 1418 e 1344 c.c., in ordine alla quale i ricorrenti
hanno formulato il seguente quesito di diritto: "In tema di mutuo di scopo legale assistito da contributi pubblici
a fondo perduto, allorché lo stesso venga stipulato sostenendo, su richiesta del mutuante, spese anticipate dal
mutuante, per la costituzione di garanzia ipotecaria in favore dello stesso mutuante e per importo pari allo
stesso mutuo, ma produttive di maggiori interessi, e il mutuo con i relativi contributi politici vengano quindi
integralmente utilizzati e trattenuti dal mutuante per il ripianamento di detto debito nei confronti del mutuante,
deve ritenersi corretta la sentenza che, come nel caso in esame, affermi che lo scopo legale è stato comunque
soddisfatto, o deve, invece, il giudice, come i ricorrenti sostengono, affermare, in applicazione degli artt. 1418
e 1344 c.c., la nullità del contratto per essere state le somme mutuate distolte dallo scopo al quale erano
destinate?".
Con riferimento a quest'ultima ragione di censura, corre l'obbligo di tener presente che, secondo l'orientamento
consolidato di questa Corte, nei c.d. mutui di scopo legale, la destinazione delle somme mutuate costituisce
parte inscindibile del regolamento di interessi voluto dai contraenti. Il relativo impegno assunto dal mutuatario
interviene nel sinallagma con rilevanza corrispettiva rispetto all'attribuzione della somma ed assume rilievo
causale nell'economia contrattuale. Ed invero, come ha già statuito questa Corte "poiché il mutuatario non si
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Documento tratto da Arianna - Normativa Creditizia e Finanziaria
obbliga solo a restituire la somma mutuata, con i relativi interessi, ma anche a realizzare l'attività programmata,
siffatto impegno assume rilievo causale nell'economia del contratto:
pertanto, l'accertamento di un eventuale difetto di causa non può prescindere dalla verifica dell'attuazione o
meno di tale risultato, con la conseguenza che il patto di compensazione tra un debito preesistente nei confronti
del mutuante e le somme mutuate, con la parziale utilizzazione di queste ultime per estinguere i debiti
precedentemente contratti dal mutuatario verso il mutuante, non determinano la nullità del contratto per
mancanza originaria della causa, solo qualora sia stata realizzata l'opera per la quale i finanziamenti sono stati
concessi" (cfr Cass. n. 8564/2009, Cass. n. 3752/1981, Cass. n. 6752/1997, in motivazione).
Ciò posto, se merita di essere condivisa in diritto la premessa su cui si fonda la censura in esame, non può
trascurarsi in senso contrario che la Corte territoriale, sulla base delle risultanze processuali emerse dalla
compiuta istruttoria, ha escluso che le somme oggetto del mutuo siano state distolte dallo scopo legale di
sostegno all'espansione industriale e che non siano mai entrate nella disponibilità dei ricorrenti rilevando in
particolare che "ogni erogazione era stata preceduta dall'accertamento del progredire dei lavori di ampliamento
dell'impianto, il quale alla fine era risultato completato ed entrato in produzione", tant'è che "nel maggio del
1981 è stato erogato il saldo finale del finanziamento, previa verifica del completamento del programma
produttivo" (cfr pag. 15 e 17 della sentenza impugnata). Ne derivava che era stato quindi conseguito lo scopo
legale per il quale il mutuo era stato concesso.
Deve pertanto concludersi che la Corte di appello, facendo riferimento alle espletate consulenze tecniche e con
apprezzamento dei fatti e delle risultanze di causa, sorretto da idonea motivazione, come tale incensurabile in
sede di legittimità, ha escluso la nullità del contratto di mutuo, in quanto le opere finanziate erano state
completate. Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con il principio richiamato, ne consegue
che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di questo giudizio di
legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali che liquida in
Euro 8.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.