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UN MONDO DI PLASTICA La plastica è stata creata dall’uomo più di cento anni fa: nel 1907 il chimico belga Baekeland ha ottenuto un nuovo materiale sintetico che ha chiamato “bachelite”. Nel 1910 diede inizio lui stesso alla produzione industriale. Nel 1920 nacque la “fòrmica”, molto usata nelle cucine. Poi arrivarono il polistirolo, il polietilene, il nylon, il rayon, il cellophane, il plexiglass, il pvc. Oggi viviamo circondati da oggetti di plastica e dobbiamo molto a questo materiale dalle caratteristiche particolari, ma in cento anni di storia non abbiamo ancora imparato a controllarla: solo il 10% viene riciclato e il resto spesso finisce ad inquinare l’ambiente. Ne è un esempio il Pacific Trash Vortex.

Tesina di Maturità di Sara Scerbo

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Una tesina di maturità scientifica riguardante l'inquinamento in mare e più specificatamente l'Isola di Plastica e il fenomeno del Pacific Trash Vortex

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UN MONDO DI PLASTICA

La plastica è stata creata dall’uomo più di cento anni fa: nel 1907 il chimico belga Baekeland ha ottenuto un nuovo materiale sintetico che ha chiamato

“bachelite”. Nel 1910 diede inizio lui stesso alla produzione industriale. Nel 1920 nacque la “fòrmica”, molto usata nelle cucine. Poi arrivarono il polistirolo, il polietilene, il nylon, il rayon, il cellophane, il plexiglass, il pvc. Oggi viviamo circondati da oggetti di plastica e dobbiamo molto a questo materiale dalle caratteristiche particolari, ma in cento anni di storia non abbiamo ancora

imparato a controllarla: solo il 10% viene riciclato e il resto spesso finisce ad inquinare l’ambiente. Ne è un esempio il Pacific Trash Vortex.

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COS'E' LA PLASTICA? CHIMICA E CARATTERISTICHE

Sono detti materie plastiche tutti quei materiali artificiali, ottenuti dalla lavorazione del petrolio, con una struttura macromolecolare tale da subire, in determinate condizioni di temperatura e pressione, cambiamenti permanenti di forma. Chimicamente, le materie plastiche sono in genere il risultato della polimerizzazione di una quantità di molecole base (monomeri) per formare catene anche molto lunghe.

Alla base polimerica possono venire aggiunte

svariate sostanze ausiliarie (dette "cariche" o additivi) a seconda dell'applicazione cui la materia plastica è destinata. Tali sostanze possono essere plastificanti, coloranti, antiossidanti, lubrificanti ed altri componenti speciali. Le cariche hanno quindi la funzione (tra le altre) di stabilizzare, preservare, fluidificare, colorare, decolorare, proteggere

dall'ossidazione il polimero, e in genere modificarne le proprietà di lavorabilità, l’aspetto e la resistenza. Le caratteristiche vantaggiose delle materie plastiche rispetto agli altri materiali sono la grande facilità di lavorazione, l'economicità, la colorabilità, l'isolamento acustico, termico,

elettrico e meccanico (dalle vibrazioni), la resistenza alla corrosione e l'inerzia chimica, nonché l'idrorepellenza e l'inattaccabilità da parte di muffe, funghi e batteri.

La cosiddetta plastica può essere classificata in materiali termoplastici, termoindurenti ed elastomeri. La

gomma, pur avendo chimicamente e tecnologicamente molti aspetti affini, non è considerata tale. Le termoplastiche hanno la caratteristica di acquistare malleabilità, ossia di

ammorbidire, per azione del calore e quindi di poter essere facilmente modellate a formare oggetti finiti per poi tornare ad essere rigide per raffreddamento. Questo processo teoricamente può essere ripetuto più volte in base alle qualità delle diverse materie plastiche che possono quindi essere riciclate. I termoindurenti hanno, come nel precedente caso, la caratteristica di ammorbidire per effetto combinato di calore e pressione, per essere successivamente modellati, ma induriscono per reticolazione tridimensionale e sono quindi

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molto più complessi, tanto da non essere quasi riciclabili: se questi materiali vengono riscaldati dopo l’indurimento non tornano più ad ammorbidire, ma si decompongono carbonizzandosi. Gli elastomeri hanno invece la caratteristica principale di avere una grande deformità ed elasticità e possono essere sia termoplastici che termoindurenti.

Il principale difetto della plastica non è tanto il fatto che non sia riciclabile, quanto quello che non sia biodegradabile. Essa infatti è nella

maggior parte dei casi interamente e facilmente riciclabile (per esempio il PET), anche se in alcuni casi (come quello della plastica di bassa qualità o dei termoindurenti) la procedura è più

complicata poiché esse hanno una struttura polimerica troppo complessa e in quanto il costo di rilavorazione è generalmente superiore al costo di produzione di plastica nuova. Talvolta è addirittura infattibile poiché la plastica può contenere diossine, una famiglia di composti tossici utilizzata durante la lavorazione.

Lo smaltimento dei rifiuti plastici, quindi, avviene di solito per riciclaggio o per stoccaggio in discariche e bruciando libererebbe le diossine (si tratta di quei polimeri che contengono atomi di cloro nella loro molecola, come ad esempio il PVC). Purtroppo le numerosissime materie plastiche presenti sul mercato non possono essere mescolate fra di loro. Esistono tuttavia impianti che permettono di separare automaticamente le varie tipologie di plastiche in tempi rapidi e quindi economicamente vantaggiosi, e che sono già stati adottati in diversi paesi; la

maggior parte di essi opera in più stadi separando le diverse tipologie di materie plastiche per densità grazie all’utilizzo di liquidi di differente densità che agiscono differentemente sui diversi tipi di plastiche attraverso il galleggiamento o

l'affondamento.

Queste difficoltà hanno incentivato negli ultimi anni la diffusione della bioplastica, ossia una plastica biodegradabile, in cui una piccola percentuale di resina è sostituita da farine vegetali quale quella di mais.

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Classificazione della plastica

Le plastiche si classificano inoltre con un sistema americano detto SPI (Society of the Plastics Industry), che consiste in un triangolo (che è il simbolo del riciclo) con un numero dentro (che corrisponde a un tipo di plastica).

Simbolo Abbreviazione Nome del polimero Usi

PETE o PET Polietilene tereftalato o arnite

Riciclato per la produzione di fibre poliestere, fogli termoformati, cinghie, bottiglie per bevande. (vedi: Riciclaggio delle bottiglie in pet)

HDPE Polietilene ad alta densità

Riciclato per la produzione di contenitori per liquidi, sacchetti, imballaggi, tubazioni agricole, basamenti a tazza, paracarri, elementi per campi sportivi e finto legno.

PVC o V Cloruro di polivinile Riciclato per tubazioni, recinzioni, e contenitori non alimentari.

LDPE Polietilene a bassa densità

Riciclato per sacchetti, contenitori varii, dispensatori, bottiglie di lavaggio, tubi, e materiale plastico di laboratorio.

PP Polipropilene o Moplen Riciclato per parti nell'industria automobilistica e per la produzione di fibre.

PS Polistirene o Polistirolo

Riciclato per molti usi, accessori da ufficio, vassoi per cucina, giocattoli, videocassette e relativi contenitori, pannelli isolanti in polistirolo espanso (es. Styrofoam).

ALTRI

Altre plastiche, tra le quali Polimetilmetacrilato, Policarbonato, Acido polilattico, Nylon e Fibra di vetro.

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UNA VACANZA ISPIRATRICE

Questo Natale sono tornata in vacanza in Sardegna in una località dove avevo già trascorso varie estati. Queste sono le immagini della spiaggia, che d’estate è decisamente più pulita. Le mareggiate ed il vento vi avevano trasportato una

enormità di spazzatura, anche una mela, ma soprattutto plastica, plastica, plastica…

Mi sono ricordata di una gita sull’isoletta di Mal di Ventre, sul versante occidentale ridotta ad una pattumiera quando il nostro accompagnatore ci aveva spiegato che ormai avevano rinunciato a pulire, visto che alla prima mareggiata tutto si sarebbe sporcato nuovamente.

Tra i rifiuti abbiamo trovato ciabatte, pinne, un salvagente, galleggianti e pezzi di reti ma quello che ha attirato di più la nostra attenzione è stata una bottiglietta che veniva decisamente da molto lontano: abbiamo fotografato il tappo nella speranza

di trovare qualcuno che ce ne sapesse dire la provenienza.

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Il fatto che la plastica non sia biodegradabile, unito al fatto che fin dalla sua creazione è stata riciclata in minima parte, ha dato vita per altro ad un livello di inquinamento allarmante.

L’inquinamento che provoca la non biodegradabilità della plastica sembra spesso un argomento banale o in ogni caso molto lontano dalla nostra realtà quotidiana, come l’inquinamento acustico o quello luminoso. La verità è che mi capita sempre più spesso di scontrarmi con la chiara constatazione che non è affatto così:

sempre più spesso mi capita di alzare gli occhi al cielo e vedere sempre meno stelle, sempre più spesso mi trovo a cercare invano una via lattea ormai quasi invisibile. Sempre più spesso sono costretta a saltellare in spiaggia facendo lo slalom tra i rifiuti. I rifiuti che invadono le nostre

spiagge sono segni molto evidenti di un problema di più ampia portata. Le plastiche, infatti, non si decompongono come accade ai materiali naturali: il mare, il moto ondoso, il sole e l'abrasione meccanica riducono la plastica in minuscoli frammenti: ogni singola bottiglia di plastica può essere ridotta in così tanti piccoli pezzi da poterne mettere uno per ogni miglio di costa nel mondo.

Lo stato in cui versano i nostri fiumi, i nostri torrenti, è una denuncia costante della nostra noncuranza. Chiunque abbassi lo sguardo su un qualunque rivo, soprattutto in città o vicino alla foce, potrà constatare uno scenario simile a questo: sulla riva tutti gli alberi sono ormai scheletri, ricoperti di sacchetti, teloni, brandelli di ogni sorta, scatoloni, cassette, bidoni ma soprattutto avvolti da plastica grigia, nera, blu, verde, gialla o rossa, gli involucri di ciò che consumiamo, abbandonati e pescati dai rami. Tutta questa plastica che si impiglia di solito ai rami durante le piene, viene trasportata generalmente dai fiumi ogni giorno fino al mare. Anni fa, un anziano pescatore sardo sosteneva di poter navigare senza bussola da Olbia a Civitavecchia, solo seguendo la scia della plastica. Oggi perderebbe la scommessa: tutto il mare è invaso dalla plastica.

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UN PO' DI NUMERI

La produzione di plastica assorbe ogni anno l’8% della produzione di petrolio.

È molto difficile fare una stima di quanta plastica venga prodotta ogni anno nel mondo. Attualmente si pensa che la cifra possa aggirarsi attorno ai 200 milioni di tonnellate e che questa cresca al ritmo del 3,5% all’anno, il che significa che ogni 20 anni la quantità di plastica prodotta raddoppia. Di questa plastica circa la metà viene utilizzata per produrre articoli monouso o imballaggi che vengono buttati via entro l’anno e solamente il 5% scarso viene riciclato.

In Canada, la piccola città di Leaf Rapids (Manitoba) è stata la prima città a proibire i sacchi di plastica. Le stime del National Geographic parlano di una cifra compresa tra i 500 miliardi e il trilione di unità utilizzate ogni anno in tutto il mondo. Costose da riciclare secondo Jared Blumenfeld, direttore del dipartimento del Medio Ambiente di San Francisco: per il riciclaggio di una tonnellata di borse di plastica si spendono 4.000 dollari, comprare la stessa quantità nuova costa soltanto 32 dollari. Come risultato, si stima che solo l’1–3 % di tutti sacchi di plastica venga riciclato.

Negli ultimi 10 anni la quantità delle bottiglie di plastica abbandonata è aumentata del 67%, quella dei sacchetti di plastica del 54% e quella dei mozziconi di sigaretta del 44% (non biodegradabili poiché contengono acetato di cellulosa).

Il sacchetto di plastica è tra i dodici rifiuti che si trovano più comunemente dispersi nell’ambiente. Gli Stati Uniti producono ogni anno 100 miliardi di buste di plastica.

Pare che oltre il 5% di tutta la plastica prodotta dagli anni 50 ad oggi sia finita in mare e che tutt’oggi il 10% della plastica prodotta annualmente arrivi

costantemente in mare. Di questa, il 20% viene gettata dalle imbarcazioni ma ben l’80% arriva dalla terraferma,

sospinto dal vento o trasportato da scarichi d’acqua e fiumi.

Il 70% della plastica che finisce in mare inoltre è molto pesante e si adagia sul fondale e ben il 90% dei rifiuti che galleggiano in mare è costituito da plastica.

Nel mare del Nord alcuni scienziati tedeschi hanno contato 110 pezzi di rifiuti per chilometro quadrato sul fondale: 600

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mila tonnellate di rifiuti solo nel mare del Nord.

Nel giugno del 2006 un rapporto elaborato all’interno di un programma di salvaguardia ambientale delle Nazione Unite ha stimato in circa 20.000 unità i detriti presenti in 1 km quadrato di superficie marina. In alcune aree la quantità di unità in detriti presenti superava i 400.000 pezzi per km quadrato.

PACIFIC TRASH VORTEX

Ciò che vediamo sulle spiagge però è solo un piccolo spiraglio nel grande problema della plastica in mare. La plastica nell’oceano infatti, tende ad

accumularsi in quelle aree di mare dove i venti e le correnti sono deboli.

Si chiama Pacific Trash Vortex, ma anche “vortice di plastica”, “pattumiera asiatica” e “isola di plastica”. Ha un diametro di 2500 chilometri ed è profondo 30 metri. Il suo peso ha raggiunto 3,5 milioni di tonnellate. E' come se fosse un'immensa isola composta da spazzatura anziché rocce.

Questa incredibile e poco conosciuta discarica si è formata a partire dagli anni Cinquanta, nel nord dell'Oceano Pacifico. Le correnti circolari provocate dalla North Pacific Subtropical Gyre coprono un'ampia area, all'interno della quale l'acqua ruota lentamente in senso orario, avvolgendosi in una lenta spirale. Qui i venti sono deboli e le correnti tendono a sospingere qualsiasi materiale galleggiante verso il centro del vortice. Ci sono poche spiagge su cui approdare in quest'area, e così i rifiuti stazionano al centro della spirale con una tale concentrazione che ci sono sei chili di plastica per ogni chilo di plankton: un'area estesa quanto il Texas piena di rifiuti, che ruota lentamente su se stessa. In realtà, il “continente di plastica” non è tutt’uno: c’è una massa orientale, a sud-ovest del Giappone e una occidentale, a nord-ovest delle Hawaii. Il vortice del Pacifico del Nord è solo uno dei cinque maggiori vortici oceanici, ed è possibile che questo problema sia quindi presente anche in altre zone. Il Mar dei Sargassi, nell'Atlantico, è famoso per le sue correnti blande e alcune ricerche hanno evidenziato un'alta concentrazione di particelle di plastica nell'acqua.

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Spiega Marcus Eriksen, dell’Algalita Marine Research Foundation: «L’idea primaria che la gente si era fatta consisteva in una specie di isola di plastica su cui si poteva perfino camminare. Non e' esattamente cosi'. In realtà è quasi come una zuppa di plastica. Probabilmente si tratta di un area grande quasi due volte gli Stati Uniti continentali».

Occasionalmente, improvvisi mutamenti nelle correnti oceaniche provocano la caduta, da parte di navi cargo di interi container che non solo vanno ad alimentare il Nord Pacific Gyre, ma si arenano su spiagge poste ai confini del Pacific Trash Vortex.

La più famosa è avvenuta nel 1990; dalla nave Hansa Carrier sono caduti in mare ben 80.000 scarpe, tra stivali e

scarpe da ginnastica della Nike che, nei tre anni successivi, si sono arenati tra le spiagge degli stati della British Columbia, Washington, Oregon e Hawaii. E questo non è stato l'unico caso: nel 1992 sono caduti in mare decine di migliaia di giocattoli da vasca da bagno e nel 1994 attrezzatura per hockey. Questi eventi sono molto utili per determinare, da parte di diverse istituzioni, i flussi delle correnti oceaniche su scala globale.

Per la mancanza di vita questa superficie oceanica è pochissimo frequentata da pescherecci e assai raramente è attraversata anche da altre imbarcazioni. Ed è per questo che è poco conosciuta ai più. La maggior parte di questa plastica anziché biodegradasi si "fotodegrada", disintegrandosi in pezzi sempre più piccoli, fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono la cui ulteriore biodegradazione è molto difficile. La fotodegradazione della plastica può produrre inoltre inquinamento da PCBs.

Il galleggiamento di tali particelle che

apparentemente assomigliano a zooplancton, inganna spesso gli animali marini che se ne cibano, causandone l'introduzione dei polimeri nella catena alimentare e portando gli animali stessi alla morte. In alcuni campioni di acqua marina presi nel 2001 la quantità di plastica superava di sei volte quella dello zooplancton (la vita animale dominante dell'area). Una piccola percentuale biodegradabile si decomporrà solo tra centinaia di anni, provocando da qui ad allora danni alla vita marina. In tutti questi anni i governi dei Paesi coinvolti dal fenomeno non hanno mosso un dito, soprattutto perche' pare che la bonifica della zona sia proibitiva da tutti i punti di vista, primo quello economico, come tentare di setacciare l'intero deserto del Sahara.

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MOORE E ROTHSCHILD

Solo associazioni ed enti privati si sono interessati al problema e sono migliaia le tonnellate di rifiuti fino ad ora raccolte (con speciali setacci o reti). Per diversi anni alcuni ricercatori oceanici, tra cui Charles Moore, hanno investigato a fondo la diffusione e la concentrazione dei detriti plastici presenti nel North Pacific Gyre utilizzando una rete a strascico rettangolare. A 10 m di profondità è stata individuata una concentrazione di detriti pari a poco meno la metà di quella in superficie, detriti che consistono principalmente di monofilamenti, fibre di polimeri incrostati di plancton.

Charles Moore ha scelto il destino di spazzino del mare. Californiano da tre

generazioni, nasce in una famiglia di petrolieri, da un padre industriale chimico.

Classico ragazzo miliardario, si laurea a San Diego in chimica e spagnolo, e si getta a capofitto nel business: forniture di arredi e settore ittico, principalmente.

Come il padre, che lo aveva portato sin da piccolo a veleggiare verso mete remote, dalle Guadalupe alle Hawaii, Moore ha una passione per il mare. Tanto che nel 1994, dopo aver corso per un quarto di secolo tra contratti e bolle di consegna, decide di svoltare e fonda l’Algalita Marine Research Foundation. Un anno dopo vara “Alguita”, un catamarano in alluminio per la ricerca oceanografica. Salpa da Hobart, in

Tasmania e organizza la sua prima spedizione, finalizzata a monitorare la contaminazione antropogena delle coste australiane.

E' però nella primavera del 1997 che la sua vita cambia davvero, radicalmente. Racconta lui stesso: «Durante una regata, di ritorno dalle Hawaii, decido di navigare in una zona poco battuta del Pacifico, perché solitamente ci sono venti deboli e alta pressione. Per tali ragioni, sin dall’antichità è sempre stata evitata dai velieri. Quei marinai la chiamavano “the horse latitude” (la latitudine o rotta dei cavalli), perché ci sarebbero voluti proprio questi animali per muovere una nave nelle “piatte”». E si imbattè nella pattumiera del vortice del Nord Pacifico mescolata «like a soup» (come dice Marieta Francis, il direttore esecutivo della fondazione).

Curtis Ebbesmeyer, un oceanografo, la paragona alle membra di un gigantesco organismo vivente, che si «divincola come un grosso animale senza guinzaglio» e che quando approda sulla terra, come succede nelle Hawaii, «è come se vomitasse confetti di plastica sulle spiagge».

Le “isole” di spazzatura, prese insieme, si spingerebbero dalle coste giapponesi a quelle californiane, ma in verità nessuno è ancora riuscito a determinarne con esattezza i confini: si dice che insieme sono grandi come il Canada. Moore in molti suoi viaggi si è concentrato sulle Hawaii, dove ha studiato l’impatto dell’inquinamento da plastica su quest’area e sui suoi abitanti: foca monaca,

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tartarughe, uccelli marini.

David Rothschild invece, , rampollo di una famiglia inglese di banchieri, laureato

in medicina naturale, dopo aver vissuto in Nuova Zelanda a coltivare erbe rare, dopo esser stato al Polo Nord ed aver visto sciogliersi il ghiaccio, dopo aver fondato Adventure Ecology, un’associazione che unisce cultura e ricerca scientifica, ha varato il “Plastiki”, chiamato così in onore del “Kon-tiki”, la zattera fatta di tronchi con cui l’esploratore norvegese Thor Heyerdahl attraversò l’oceano Pacifico nel 1947.

Il “Plastiki” è un catamarano completamente ecologico, realizzato utilizzando dodicimila bottiglie di plastica

riempite di anidride carbonica per renderle più resistenti, con le vele ricavate da plastica riciclata, un metodo di raccolta per l’acqua piovana e un orto verticale con 98 varietà di vegetali tra frutta e verdura, una cyclette che trasforma l'energia meccanica in energia elettrica, pannelli solari e molti altri apparecchi che ne assicurano l'autosufficienza.

Il “Plastiki”, con a bordo proprio Rothschild e altri cinque esperti. Partito da San Francisco, dovrebbe arrivare fino a Sydney, costeggiando proprio l'“isola di plastica”, infatti egli afferma «Adesso ho un solo obiettivo: mostrare al mondo intero che “l’isola della spazzatura” non è una cosa lontana dalla nostra vita quotidiana. Dove credete che finiscano i pezzetti di plastica che ogni giorno ingoiano milioni di pesci? In noi».

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CONSEGUENZE SUGLI ANIMALI

L'inquinamento da plastica in mare potrebbe anche non sembrare un problema così grave, ma non è così.

Purtroppo, i pezzi di plastica più grandi vengono spesso ingeriti da uccelli marini e da altri animali, che li scambiano per prede. Molti uccelli marini vengono trovati morti con un tappi di plastica nello stomaco. Molte tartarughe vengono trovate morte con migliaia di piccoli pezzi di plastica nello stomaco e nell'intestino. Si stima che ogni anno più di un milione di uccelli marini,

centomila esemplari di mammiferi e moltissime tartarughe vengano uccisi dall'ingestione di plastica. Questi rifiuti possono anche soffocare i fondali e uccidere le forme di vita, anche invertebrate, che li abitano. I rifiuti di plastica inoltre sono inoltre delle vere e proprie bombe chimiche: assorbono molti dei più pericolosi agenti chimici inquinanti che si trovano disciolti nell'oceano. Un animale che mangia per sbaglio questi frammenti di plastica si trova quindi ad essere esposto ai composti chimici pericolosi concentrati su ogni frammento e, tramite lui, anche tutti gli altri organismi che fanno parte della stessa catena alimentare, compreso l'uomo.

A livello mondiale sono almeno 143 le specie marine che sono rimaste vittime di entanglement (quando gli animali rimangono imbrigliati in sacchetti, reti o altri rifiuti plastici e finiscono per morire di fame, soffocamento o annegamento) con la quasi totalità delle specie di tartarughe marine che inghiottono i sacchetti

scambiandoli per meduse, la loro preda principale. Le specie che inghiottono plastica sono stimate in 177 di cui il 95% è costituito da uccelli marini. Trattandosi di

plastica ciò che ha causato la morte dell'animale torna libero di fare altri danni una volta che l'organismo si è decomposto.

Il 76% delle tartarughe marine catturate dalle reti di

pesca avevano detriti di plastica nell’apparato digestivo e il 96% degli uccelli avevano frammenti di plastica nello stomaco.

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Per esempio:

nell’aprile del 2002 una balena morta è stata ritrovata sulle coste della Normandia. Dopo l’autopsia sono stati ritrovati 800 kg di sacchi di plastica (inclusi due di un supermercato inglese) e di imballaggio.

nel dicembre 1994 l'autopsia di una tartaruga liuto indicava che essa era morta di fame, principalmente a causa dell’ostruzione dell’apparato digestivo per l’ingestione di spazzatura di plastica e di

metallo.

nel dicembre 1998 un'altra tartaruga liuto, è stata ritrovata sulla costa di Galloway nel dicembre 1998 in cattivissime condizioni: aveva 57 kg di sacchi di plastica che bloccavano l'apparato digestivo.

nello Shetland, contadini proprietari di terreni adiacenti al mare riferiscono che alcuni sacchi di plastica sono portati dal vento e finiscono nei loro campi. Il 20% degli interrogati aveva del bestiame malato a causa dell’ingestione di plastica.

L'entanglement non sempre causa la morte dell'animale, infatti spesso ne limita la crescita o provoca l'amputazione di un arto o ancora blocca la circolazione di una

parte del corpo se l'animale vi rimane impigliato. È il caso di questa Sterna Reale il cui becco ha

penetrato il sacco di plastica che è rimasto attaccato al collo come una collana. Le sterne infatti sono uccelli marini che cacciano volando in picchiata verso l'acqua e i pesci

che vedono dall'alto con il loro becco affilato. Per loro i sacchetti di plastica sono invisibili o possono addirittura essere scambiati per prede.

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Spesso capita anche che gli uccelli marini raccolgano la spazzatura marina come i pezzi di sacchi di plastica per costruire il loro nido: questo comporta un rischio di entanglement sia per gli adulti che per la prole di alcuni uccelli. Un studio del 1991 ha trovato che il 97% di tutti nidi di Ganneti in Terranova avevano della plastica incorporata.

Quello che ad un primo sguardo potrebbe sembrare un mosaico è il contenuto estratto dallo stomaco di un albatros, spazzolino incluso. Questa foto è stata scattata da Rebecca Hosking.

BIBLIOGRAFIA

Ho trovato informazioni in rete consultando questi siti:

http://www.inerba.org/Salute-e-Ambiente/Pacific-Trash-Vortex-%7C-Cinque-milioni-di-

chilometri-quadrati-di-rifiuti-nell-oceano-pacifico.html

http://www.polimerica.it/modules.php?name=Stories_Archive&sa=show_topic&year=8

http://www.greenpeace.org/italy/campagne/oceani/inquinamento/vortice-plastica

http://www.sanfrancescopatronoditalia.it/articolo_archivio.php?id_articolo=445

http://www.gaiaitalia.it/home/component/content/article/34-yootheme/125-basta-

sacchetti-di-plasticamercoledi-16-settembre-iniziativa-a-milano-di-gaia-adt-e-lush.html

http://blogs.myspace.com/index.cfm?fuseaction=blog.view&friendId=360483731&blogI

d=512795736

http://www.sviluppo-web.it/news/scienze/pericolo-plastica-rischi-per-salute-umana-e-

ambiente/

http://www.nicolascretton.ch/Ban_plastic_bags/Plastic_bag_pollution_revised.pdf

http://www.greenme.it/muoversi/eco-turismo/1785-plastiki-il-catamarano-di-bottiglie-

di-plastica-e-pronto-per-la-traversata-oceanica

http://www.ternimagazine.it/16294/salute-e-ambiente/ecologia-un-reportage-dellhippy-

david-rothschild-su-unisola-di-immondizia-grande-tre-volte-la-spagna.html