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e 5,00 Chris Bangle | Monia Re | Peccati di Gola | Mondomarine | Louisette Azzoaglio | Percorsi letterari in Langa mario calabresi ezio mauro cantine e tartufi l’equilibrio del percorso

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Il magazine della provincia di Cuneo settembre/ottobre 2011

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Chris Bangle | Monia Re | Peccati di Gola | Mondomarine | Louisette Azzoaglio | Percorsi letterari in Langa

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“Oggi, ciò che manca di più agli italiani è lo spazio. Uno spazio fisico ma anche mentale, che significa possibilità, futuro e speranze. Per decenni questa sensazione di apertura è stata il motore della nostra crescita e lo stimolo a pensare positivo”. Così Mario Calabresi, nel suo ultimo libro “Cosa tiene accese le stelle”, sintetizza lo stato d'animo degli italiani: scoraggiamento e disincanto. Viviamo spaventati e impauriti, con la sensazione di avere il terreno che ci frana sotto i piedi, convinti di essere capitati nella peggiore stagione della storia. Nei racconti dei personaggi più o meno famosi che incontra nel suo viaggio, si intuisce, comunque, che in mezzo allo sconforto diffuso esiste una via di uscita: coltivare le passioni e i sogni, perché la libertà si conquista, anche, con la volontà. Il futuro ce lo costruiamo noi. Le scelte sono le nostre e solo la passione può farci fare il salto e aprire le strade che ci porteranno alla meta. Ce lo racconta proprio lui, il direttore de “La Stampa”, in un'intervista fra passato presente e futuro. E se Mario Calabresi entra tutti i giorni nelle case dei cuneesi attraverso il quotidiano che dirige, un altro cuneese, allo stesso modo, è accolto nelle case di mezza Italia. È Ezio Mauro, direttore de “la Repubblica”, che abbiamo incontrato a Dronero, il suo paese natale, che è anche la cittadina all'inizio della Valle Maira, da cui, in un passato neanche troppo lontano, partivano gli “anciué” (acciugai) di cui ricostruiamo la storia fra curiosità e gastronomia. Dai monti alle colline il territorio cuneese, in autunno, è un vero trionfo di profumi e sapori. Così, mentre Cuneo diventa la capitale del “marrone”, Alba si conferma la città principe del tartufo. Vi portiamo nelle Langhe, fra antiche mura e nuove architetture del vino e, in un percorso più inconsueto, alla scoperta dei luoghi protagonisti della letteratura italiana di Beppe Fenoglio e Cesare Pavese. Un paesaggio che ha catturato uno dei più grandi designer di auto, Chris Bangle: dopo aver viaggiato in tutto il mondo, ha deciso di stabilirsi a Clavesana dove continua ad elaborare i propri sogni. Sogni che, in altre modalità, Monia Re, la wedding-planner più famosa d'Italia, riesce a rendere reali, per il giorno più bello della vita.

Roberto Audisiodirettore artistico

[email protected]

EDITORIALE

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Rivista bimestrale della provincia di CuneoAnno III • Numero 11 • Settembre - Ottobre 2011

Direttore responsabile:Alessio Botto • [email protected]

Direttore artistico:Roberto Audisio • [email protected]

Redazione Centrale:Giovanna Foco • [email protected]

Redazione Monaco:Maria Bologna • [email protected]

Concessionaria unica di pubblicità:BB Europa Edizioni • via degli artigiani, 17 - Cuneo

Direzione Marketing & pubblicità:Jolanda Bivona • [email protected]. +39.388.61.86.091

[UNICO] è una pubblicazione di BB Europa EdizioniVia degli Artigiani, 17 • 12100 Cuneo tel. +39.0171.60.36.33Reg. Trib. di Cuneo n. 617 del 1 Agosto 2009

Stampa:TIPOLITOEUROPA • [email protected] • www.tipolitoeuropa.com

Tutti i diritti riservati, è vietata la pubblicazione, anche parziale, senza l’autorizzazione dell’Editore© BB Europa Edizioni. Nell’eventualità che testi e illustrazioni di terze persone siano riprodotti in questa pubblicazione, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non citati. L’editore porrà inoltre rimedio, a seguito di segnalazione, ad eventuali non volute omissioni e/o errori nei relativi riferimenti.

Garanzia di riservatezza per gli abbonati.L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: “BB Europa Edizioni” - Responsabile dati UNICO - Via degli Artigiani, 17 - 12100 Cuneo. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico della “BB Europa Edizioni” saranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 675/96).

Puoi trovare [UNICO] nelle migliori Edicole della provincia di Cuneo. A Torino nella Libreria Internazionale Luxembourg. Nei migliori locali del Principato di Monaco

Questo numero è stato chiuso in redazione il 31 agosto 2011.

In copertina: l'equilibrista di Daniele Molineris.

AlessioBotto DIRETTORERESPONSABILE

[email protected]

CONTRIBUTORS

con il patriocinio di:

Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo numero

hanno scritto:

Roberto AudisioDaniela BiancoMaria BolognaDonato BoscaMario De MasiFrancesco DoglioGiovanna FocoFabrizio GardinaliTerry e Giancarlo MontaldoFabio GuglielmiGonzalo Andres LuzarragaLuca MorosiAlessandro ParolaGianluca PasqualeAdelio Pistelli Alida RoggiaGianni ScarpaceGuido TestaGiorgio TrichiloVanina Maria Carta

hanno fotografato:

Riccardo Abello Roberto AudisioAutori VariOscar BernelliLuigi ChiarleSilvia CrucittiMaria BolognaGEM photographyDaniele MolinerisBruno MurialdoMonaco RealisGiorgio SandroneEnrica ScalfariGianni ScarpaceDonatella Simeonepress office BMWpress office Cerettopress office Fondazione CRCpress office Piemonte Volley press office Palais Princier Monaco

traduzioni: Lidia Dutto

aderente a:

RobertoAudisio DIRETTOREARTISTICO

[email protected]

JolandaBivona DIREZIONEMARKETING & PUBBLICITÀ

[email protected]

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BAGNO TURCO

IDROMASSAGGIO CON ZONA RELAX

CABINE PER MASSAGGI VARI (RILASSANTE, AYURVEDICO, TIBETANO E LINFODRENAGGIO

TR AT TAMENTI CORPO CON MACCHINARI (CAVITAZIONE ABBINATA AL

MODULO E R ASSODAMENTO)

TR AT TAMENTO CORPO E VISO CON LASER

COUCUN E COCONELLE CON CROMOTER APIA

TR AT TAMENTI MANUALI SNELLENTI, DIMAGR ANTI E MODELLANTI CON DUE LINEE CORPO

(PUR ADERM ED ERICSON LABOR ATOIRE)

RICOSTRUZIONE UNGHIE E NAILART CON ESTETISTA ONINOTECNICA PROFESSIONISTA

SOLARIUM CON LET TINO SUN ANGEL ERGOLINE

ESAFACCIALE CON ABBRONZA SCHIENA ED ABBRONZAMANI ERGOLINE

DOCCIA SOLARE CON PEDANA VIBR ANTE

DI MAZZOLA ANTONINAVIA SILVIO PELLICO, 5 - 12037 SALUZZO

TEL. 0175.211991

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RITRATTO10 | ospite quotidiano14 | quel ragazzo di dronero18 | il motore da designer22 | la signora per il sì

STORIA E STORIE26 | il bombardiere sulla bisalta

EVENTI31 | peccare di gusto

LIFE-STYLE34 | carattere langarolo fra le onde42 | charme monegasco e rigore italiano

LUOGHI38 | le strade della memoria

TERRITORIO46 | sua maestà il tartufo61 | raccontare la pietra

GUSTO50 | con il buon gusto andiamo a nozze58 | il meglio oppure niente64 | là dove si posano le stelle

ATTUALITÀ54 | sapere senza frontiere

AZIENDE68 | pronti alla nuova sfida

ITINERARI72 | profumo di mosto e di tartufo

GUSTO78 | acciughe di montagna

SOCIETÀ E COSTUME83 | la capitale dei marroni

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SOMMARIO

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3 | EDITORIALE

7 | SOMMARIO

8 | PRIMO PIANO

67 | L'INTERVISTA IMPOSSIBILE

86 | LIFE-STYLE

90 | BONTÀ A TAVOLA

91 | PILLOLE DI FISCALITÀ

93 | LEGGE

94 | SHOPPING MON AMOUR

96 | FINANZA

97 | ARTE

98 | IN VETRINA - DESIGN

99 | ESSERCI

102 | TRADUCTION FRANÇAISE

RUBRICHE

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PrimoPianoLA GRU DEI GIGANTIRecord mondiale made in Granda grazie a “Industrie Cometto spa” di Borgo San Dalmazzo che ha progettato e costruito un mezzo in grado di scaricare e spostare 55 tonnellate. Il mezzo si chiama “Evo” ed è l’unico al mondo in grado di sopportare quel peso su un solo asse. Il primo Evo è stato consegnato alla Fagioli spa, azienda emiliana specializzata in trasporti eccezionali. L’azienda borgarina - di proprietà al 50% della Bottero spa e al 50% di uno dei suoi soci, l’ing. Ghinamo - progetta, costruisce e commercializza rimorchi e semirimorchi speciali per carichi pesanti. Divenne famosa negli Anni 80 per aver costruito il carrello che muoveva lo Shuttle.

L'ECONOMIA CUNEESE DÀ SEGNI DI RIPRESALa provincia di Cuneo dà segnali economici importanti di ripresa: più ordini, maggiore occupazione, minor ricorso alla cassa integrazione. Si distinguono i settori alimentari, metalmeccanici e chimici. Questo è in controtendenza rispetto alle previsioni nazionali che hanno rilevato un quadro poco confortante per debolezza della domanda interna, minor forza rispetto a quella estera. Le ripercussioni paiono legate alle turbolenze finanziarie globali e alla stretta sui conti pubblici. Se per il terzo trimestre si prospetta una crescita nazionale quasi nulla, si delinea invece una lieve ripresa della congiuntura a livello provinciale: la Granda registra attese positive. (Osservatorio Confindustria Cuneo)

SAVONA-CUNEO NUOVO SISTEMA PORTUALEÈ un fatto di cronaca interessante: mare e monti sono una risorsa da sfruttare. È grande l’interesse per l’idea “Sistema Portuale Integrato Ligure Piemontese”. Il progetto, frutto della collaborazione tra i territori di Cuneo e Savona, è basato su due strutture fondamentali: il Polo Agroalimentare dei Servizi per lo Sviluppo (P.A.S.S.), situato presso il MIAC di Cuneo, ed il nuovo Terminal Portuale di Vado Ligure. Il “Sistema Portuale Integrato Ligure Piemontese”, sviluppato dal Comune di Cuneo in collaborazione con la Società Autostradale Asti-Cuneo e con l’Autorità Portuale di Savona, fa leva sulle effettive potenzialità di integrazione territoriale tra la portualità savonese e l’infrastrutturazione del Cuneese, di fatto destinata a fare proprio di quest’ultima un naturale retro-porto della prima. Il progetto, che si basa in modo prioritario sulla rete autostradale e ferroviaria, prevede di ottimizzare il sistema portuale e l’assetto logistico retroportuale del Cuneese, puntando su più poli specializzati negli ambiti della logistica di Mondovì e della commercializzazione di Cuneo.

INVESTIRE IN SERBIALa Serbia offre importanti opportunità di investimento per le imprese italiane. Le previsioni di crescita del prodotto interno lordo del Paese sono attese, per l’anno in corso, intorno al 3%. Secondo i dati raccolti dal Centro Studi di Confindustria Cuneo emerge che il Paese sta investendo notevolmente nell’interscambio commerciale. L’Italia è il terzo partner della Serbia, con un saldo positivo import-export di 235mln di euro. Il flusso della provincia di Cuneo si è attestato sui 6,7mln di euro. Settori di interesse in uscita: metalmeccanico (53%), tessile abbigliamento (13%), alimentare (11%). In entrata, invece, il Cuneese riceve per lo più prodotti alimentari e chimici.

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PRONTI PER UNA NUOVA STAGIONE Il neo allenatore Flavio Gulinelli dice che l’estate, per lui, è stata soprattutto “un periodo per preparare una stagione all’altezza della squadra che l’aspetta”. La Bre Banca Lannutti stagione 2011/2012 si è ritrovata al Palabrebanca lunedì 8 agosto: la prima settimana palestra e pesi, poi si è passati al resto. La squadra del presidente Valter Lannutti (la Banca Regionale Europea, intanto, ha confermato l’impegno come main sponsor) ha registrato le partenze importanti di Nikolov (Piacenza), Volkov (Kazan) e Parodi finito a Macerata insieme al coach Alberto Giuliani. I tifosi troveranno, in campo, le novità costituite dal brasiliano Leandro Vissotto, uno degli opposti più forti del mondo, l’osservato numero uno ‘Ngapeth, francese ventenne dalle belle speranze, il secondo opposto Cacères (dominicano), il monregalese palleggiatore Baranowicz, il ritorno di Pieri e di Rossi, la novità belga Van Lankvelt e l’ultimo acquisto, il centrale ceco Vesely. Ai primi allenamenti ci saranno soprattutto i “senatori” cuneesi, mentre il centrale Luigi Mastrangelo è impegnato con il gruppo della Nazionale. Lunedì 8 agosto coach Gulinelli e il secondo Camillo Placì hanno salutato capitan Wijsmans, Grbic, Fortunato, Patriarca, Henno. Altri giocatori arriveranno solo qualche giorno prima dell’avvio del campionato (25 settembre, in casa, contro Verona), o addirittura una settimana dopo, come nel caso di Vissotto, impegnato in Sudamerica fino alla seconda giornata. Già il primo novembre Cuneo (detentrice Coppa Italia) e Trento (campione d’Italia, sempre la squadra da battere) si scontreranno per la Supercoppa Italiana, sede ancora da decidere. (G.SCA.)

PrimoPianoCREATIVITÀ MONREGALESEDaniele Beccaria e Franco Giolitti, giovani designer, sono i vincitori del concorso “Disegno Artigiano” indetto da “Manufatto Monregalese” - progetto di promozione e valorizzazione del territorio e della tradizione artigiana monregalese, voluto e condiviso dai comuni di Vicoforte, Chiusa Pesio, Mondovì, Roccaforte Mondovì, Villanova Mondovì - e patrocinato dal Politecnico di Torino (sede di Mondovì), dall’Ordine degli Architetti di Cuneo e dalla Confartigianato. Scopo della selezione: fungere da incentivo concreto allo sviluppo del rapporto tra progettazione, design e mondo dell’hand-made locale. L’evento ha coinvolto disegnatori, architetti e artisti piemontesi invitati a presentare progetti che potessero essere successivamente realizzati da artigiani del territorio monregalese e che fossero funzionali all’arredo urbano dei comuni aderenti alla convenzione. L’obiettivo cardine era tener conto delle eccellenze manifatturiere e delle competenze delle maestranze presenti sul territorio, attive nei settori della ceramica, dei metalli, del vetro, del legno e dei materiali lapidei. Sulla base del bando, sono stati sviluppati cestini, posaceneri da esterni, fioriere e paline informative.

I GUARDIANI GIALLI DEL MADE IN ITALYLa salute ha una garanzia in più: sono “I Guardiani Gialli del Made in Italy”, volontari di Coldiretti, a difesa del made in Italy e del made in Piemonte. Sono una indiscussa novità e hanno il compito di girare nei negozi e nei supermercati per verificare che la tracciabilità dei prodotti alimentari sia garantita, per evitare le speculazioni a danno delle produzioni italiane e, in particolare, di quelle locali. “Coldiretti inaugura una forma di vigilanza a tutela del made in Italy e dei consumatori: i Guardiani del Made in Italy hanno una maglietta e un basco gialli contraddistinti da uno speciale logo identificativo in cui il simbolo di Coldiretti si accompagna a spighe alate - dicono Paolo Rovellotti e Bruno Rivarossa, presidente e direttore di Coldiretti Piemonte - e saranno facilmente riconoscibili dai consumatori. Nel nostro Paese, il compito di vegliare sulla tutela igienico-sanitaria degli alimenti, con compiti preventivi, spetta al Servizio sanitario nazionale, mentre al Nucleo antisofisticazioni e alla Guardia di Finanza, nelle rispettive competenze, è affidato il ruolo di reprimere gli illeciti. Proprio in questo ambito, i nostri volontari segnaleranno ogni situazione sospetta riguardante la genuinità e la sicurezza di un prodotto alimentare, dopodiché Coldiretti provvederà a denunciare le eventuali anomalie riscontrate direttamente agli organi preposti”.

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ospitequotidiano

Langarolo, di Montà d’Alba, da parte di nonna che aveva viti e produceva Arneis.

Dal suo ufficio, in Torino, respira la fragranza delle Alpi. Parla correntemente americano. Usa propriamente l’italiano. Scrittore e giornalista. Direttore del quotidiano La Stampa. Mario Calabresi è l’uomo più intimo della Granda: entra ogni giorno in migliaia di case della provincia di Cuneo.

La carta stampata è morta?No. Ha avuto un declino forte negli ultimi anni. Ora l’andamento si è stabilizzato. Non credo a chi profetizza che tra dieci anni non vi sarà più alcuno a leggere giornali cartacei. Certo dimi-nuiranno, ma continuerà ad essere su carta una stampa di qualità.

Conti a posto e diffusione de La Stampa in linea con le previsioni.In termini medi, la diffusione nazionale è di oltre 280mila copie. Nel solo Piemonte sono 173mila e l’area Cuneese vede distribuite, solo nelle edicole, 23mila copie. A questi dati mancano gli abbonamenti e i a porta a porta. Numeri che parlano chiaro: La Stampa piace.

“LA STAMPA” DEL FUTURO RACCONTATA DALL’UOMO CHE HA STORIA, RICONOSCE IL PRESENTE E NE DIRIGE LA TESTATA. MARIO CALABRESI ENTRA TUTTI I GIORNI IN CASA NOSTRA

Direttore dal 2009.Ho preso un impegno di lungo termine con John Elkann, presidente de La Stampa. L’obiettivo era ed è quello di rilanciare il giorna-le e trasformarlo in nuova dimensione.

Strategie.Tra una manciata di mesi, circa a Pasqua, La Stampa lascia la sua sede storica di via Marenco. La nuova redazione sarà nella zona di via Nizza: un open space di migliaia di metri quadrati. Il modello è quello del Wall Street Journal di New York: struttura integrata che prevede avanguardia tecnologica per una distribuzione delle informazioni su più canali. Metteremo in-sieme figure giornalistiche di qualità, in grado di declinare i contenuti su differenti veicoli: internet, cellulari, iPhone, iPad, carta. Non bi-sogna contrapporre i mezzi di informazione. La nuova “La Stampa” sarà una struttura unica nel panorama europeo.

Lei e gli Stati Uniti: testimone dell’undici settembre prima e voce narrante della cam-pagna presidenziale e dell’elezione di Barack Obama, poi.

DI GIOVANNA FOCO - PHOTO: DANIELE MOLINERIS

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Nel 2001 ho seguito i fatti dell’11 settembre per la Stampa. Poi ci sono tornato nel 2006 come corrispon-dente per La Repubblica per tre anni.

Cosa le manca dell’America?Gli spazi ampi e l’anonimato nelle strade. Per le vie sono riconosciuti solo il presidente degli Stati Uniti e i divi di Hollywood. Per il resto, gli altri milioni di persone sono signor nessuno e nessuno bada a come sono vestiti o su come è il taglio di capelli. Il sostantivo è: libertà.

Quali limiti, quando ha assunto la direzione, ha trovato nei giornalisti La Stampa su cui lavorare?Nessun limite, ma un dato di fatto: i conti in rosso. Questo impediva nel poter mandare

giornalisti e fotografi all’estero per servizi. Ora che i conti sono a posto, posso contare su pro-fessionisti che raccontano e ritraggono i fatti mentre accadono. In qualsiasi parte del mondo.

Lei e i lettori: come misura l’indice di gradi-mento?Andando sul territorio. Ho l’agenda fitta di ap-puntamenti e colgo gli inviti per rappresentare il giornale in occasioni che mi diano l’oppor-tunità di saggiare anche le tendenze. Curo il Piemonte con particolare attenzione. Mia pros-sima presenza è alla Fiera del tartufo di Alba. Quotidianamente, invece, mi sono ripreso la rubrica delle lettere perché volevo costruire un rapporto quotidiano con i lettori de La Stampa. Parlo in maniera diretta, naturale, senza l’a-plomb da direttore.

Nella pagina precedente: Mario Calabresi, direttore de “La Stampa” nel suo ufficio di Torino,

ci racconta il futuro del quotidiano.

Sopra: Figlio di Luigi Calabresi, commissario di polizia assassinato dalle BR nel 1972, ha lavorato

per molti anni negli USA. Di New York ama gli ampi spazi e l'anonimato nelle strade

che gli danno il senso di libertà.

Nella pagina a fianco: nel futuro le informazioni saranno diffuse su più canali: internet, iPad,

cellulari e, naturalmente, carta stampata.

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La nuova “La Stampa” sarà una struttura unica nel panorama europeo

La cronaca nel suo destino: ora narrata, ma da bambino subita. Negli Anni di Piombo, l’ucci-sione di suo padre - Luigi Calabresi - il commis-sario di polizia assassinato nel 1972.Ho scritto un libro (ndr: “Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo”) che negli ultimi anni ha riaperto il dibattito e i libri sul tema si sono moltiplicati. Questo era l’obiettivo della mia pubblicazione: fare in modo che la stagione del terrorismo non fosse dichiarata completamente chiusa, senza aver ricordato le vittime. È naturale girar pagina, ma dobbiamo aver presente lucidamente i fatti. Avevo due anni quando mio papà fu trucidato. Nel libro ho scritto cosa significhi crescere con

CHI È MARIO CALABRESINasce a Milano, il 17 febbraio 1970. Giornalista.

Dal 2009 direttore de “La Stampa”, in sostituzione di Guido Anselmi. In precedenza ha lavorato all’Ansa, a “La Stampa” e alla “Repubblica”, dove è stato caporedattore e corrispondente dagli Stati Uniti. Ha seguito la campa-gna presidenziale americana e l’elezio-ne di Barack Obama.

Ha pubblicato: Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismoMondadori - Milano, 2007

La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsiMondadori - Milano, 2009

Cosa tiene accese le stelleMondadori - Milano, 2011

una storia così faticosa e dolorosa. Oggi mi sento pacificato. Molto di questo lo devo a mia madre che si è data da fare nel coltivare la memoria di nostro papà in maniera serena e non rabbiosa.

“Cosa tiene accese le stelle”È il titolo del mio ultimo libro: storie di italiani

che non hanno mai smesso di credere nel fu-turo. Come dire che occorre guardare oltre la linea dell’orizzonte e intuire che, in mezzo allo sconforto diffuso, la strada esiste. Perché coltivando le proprie passioni non si rimane delusi e perché la libertà si conquista, anche con la volontà.

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Ne ha fatta di strada ed è diventato una del-le firme del giornalismo italiano. Stiamo

parlando di Ezio Mauro. L’attuale direttore de “la Repubblica” ha rispo-sto all’invito di “Unico” e ha deciso di raccon-tarsi ai nostri lettori. Ne emerge il ritratto di un serio professionista, amante del rigore e della sobrietà: sono tratti da autentico “provinciale” che fanno parte del carattere di uomo e giornalista.

Direttore, la ringraziamo per averci concesso l’intervista. “Unico” è il magazine dedicato alla provincia di Cuneo in ogni sua peculiari-tà. Qual è la definizione che Ezio Mauro dà di Cuneo e dei cuneesi?Potrei rispondere citando Hemingway: “Un po-sto pulito, illuminato bene”.

quel ragazzo di droneroDALLA “GAZZETTA DEL POPOLO” ALLA DIREZIONE DE “LA REPUBBLICA”, PASSANDO ATTRAVERSO GLI STATI UNITI: EZIO MAURO SI RACCONTA

DI GIORGIO TRICHILO

A Cuneo lei ha frequentato il liceo: quali sono i luoghi più cari della sua gioventù?Il mio posto è Dronero. Ci sono nato e cresciu-to, conosco tutti e ci ritorno volentieri d’estate. Una settimana a Dronero ad agosto non manca mai. Mi piace tutto: le montagne, la valle, i bo-schi, il fiume, ma soprattutto camminare sotto i vecchi portici, come facevo da ragazzo.

Parliamo della sua attività giornalistica. Il primo articolo è come il primo amore? Che ricordo ne ha? La “Gazzetta del Popolo” mi propose di fare un’inchiesta a Fossano, in tre puntate. Poi non la pubblicò perché la Democrazia Cristiana fa-ceva brutta figura. “Non uscirà mai - mi disse il caporedattore - ma è scritta molto bene. Al primo buco in redazione la chiamerò”. Pensai

Ezio Mauro, 63 anni, direttore de “la Repubblica” dal 1996, in sostituzione del fondatore Eugenio Scalfari. In precedenza è stato prima coodirettore e poi, dal 1992 al 1996, direttore de “La Stampa”.

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che non c’era niente da fare, non sarei riuscito ad entrare in un giornale. Invece dopo un mese mi chiamarono, e tutto cominciò così. Poi è sta-to più facile.

Quali erano i suoi modelli? Ci può fare qual-che nome?Mi piacevano molto Giorgio Bocca e Giampaolo Pansa. Soprattutto Vittorio Gorresio, cuneese, notista politico insuperato. Quando arrivai a Roma come cronista politico per “La Stampa”, Gorresio mi squadrò e mi disse: “Vuoi fare bene il cronista parlamentare? Un solo consi-glio: non mettere mai piede in parlamento”. Era un paradosso, naturalmente. Ma anche un invito a tenere la giusta distanza.

Ezio Mauro inizia come cronista nella “Gazzetta del Popolo” di Torino: era il perio-do degli Anni di Piombo. Se dovesse spiegare a un giovane di oggi que-gli anni, cosa gli direbbe?Sono stati gli anni peggiori della nostra vita. Troppa gente è morta per una sentenza som-maria scritta di notte, in un covo, da qualche fanatico che mimava la rivoluzione. Ho visto troppi morti per strada, troppe ragaz-ze vedove coi bimbi in braccio nelle case di ringhiera, nelle barriere, dove vivevano i poli-ziotti o le guardie carcerarie ammazzate all’al-ba. Sembrava non dovesse finire mai. E invece la democrazia ha vinto, loro sono stati sconfitti per sempre, la fabbrica ha saputo isolarli, lo Stato alla fine ha prevalso.

Lei è stato inviato anche negli Stati Uniti: qual è la differenza tra il giornalismo americano e quello italiano?Quelli americani sono i giornali più belli del mondo, insieme agli inglesi. È un giornalismo informato, capace di far ballare il potere con le sue grandi inchieste. Negli anni in cui ho lavorato a Mosca come corrispondente di “la Repubblica” ho visto lavorare durante viaggi

Dronero, piccolo paese all'inizio della Valle Maira, in provincia di Cuneo, è il luogo dove è nato, e dove riconosce

le sue radici. Il suo rapporto con il mondo della carta stampata inizia nel 1972, come collaboratore della “Gazzetta del Popolo”,

occupandosi soprattutto del terrorismo nero degli anni di piombo.

photo: Gilberto T.

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e reportage Bill Keller del “New York Times” e David Remnick del “Washington Post”: due premi Pulitzer, bravissimi corrispondenti. Il giornalismo italiano è troppo contiguo al po-tere, troppo prudente. La vera faziosità è non vedere, non capire, non dare il giusto nome alle cose.

Twitter, i social network e gli altri canali di in-formazione web rappresentano una minaccia o una risorsa per i giornali di carta stampata?Una grande risorsa, che può allungare a dismi-sura il giornale, farlo durare per tutta la gior-nata, estenderlo alle 24 ore, con aggiornamenti continui. È il giornale perenne, non avremmo potuto sognare di meglio.

Lei ha recentemente pubblicato “La felicità della democrazia” (ed. Laterza) un libro dia-logo con Gustavo Zagrebelsky, già presidente

CHI È EZIO MAURONasce a Dronero nel 1948. Giornalista Inizia la carriera giornalistica alla “Gazzetta del popolo” di Torino (1972-80), dove si occupa in particolare delle vicende legate al terrorismo politico. Dal 1980 al 1987 lavora a “La Stampa”, a Roma, come corrispondente di politica interna, e sempre per “La Stampa” svolge servizi e inchieste all’estero, in particolare negli Stati Uniti. Nel 1988 passa a “la Repubblica” come corrispondente da Mosca. Per 3 anni viaggia nell’ex Unione Sovietica, assistendo alla trasformazione del paese nel periodo della perestrojka. Nel 1990 torna a “La Stampa” come condirettore, per poi assumere nel 1992 la carica di direttore. Da maggio 1996 è direttore de “la Repubblica”.

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della Corte Costituzionale. Cosa unisce se-condo lei queste due parole così importanti?La libertà. La democrazia garantisce la libertà, la felicità ne ha bisogno.

A proposito di felicità, in che cosa i suoi letto-ri di “La Repubblica” la rendono felice?Nel loro legame fortissimo con il giornale, unico in Italia, nella loro passione e nella par-tecipazione attiva alle nostre battaglie. Tutti elementi che trasformano il giornale e i suoi lettori in una community straordinaria.

Un pregio e un difetto di Ezio Mauro diret-tore? Sono testardo. È un difetto che talvolta nel la-voro può diventare un pregio. E poi (questo è un difetto, e basta) sono solitario: non faccio vita mondana, non vado nei salotti, non ho un network di relazioni. I miei amici, per mia for-tuna, sono sempre quelli del liceo.

Un’ultima domanda. Questo numero di “Unico” ospita un’intervista a Mario Calabresi, direttore della Stampa. Quali sono secondo lei le migliori caratteristiche del suo collega? È un ottimo giornalista, ed è certamente una persona per bene.

Nella pagina a fianco: Ezio Mauro in una foto storica

con Eugenio Scalfari, Paolo Garimberti, Marco Ansaldo, Alberto Flores d'Arcais

e l'ambasciatore americano Reginald Bartholomev,

nella redazione di “la Repubblica”. photo: Enrica Scalfari

Nel 1981, per “La Stampa” è inviato speciale, responsabile

della politica internae corrispondente dagli USA.

Dal 1988 è corrispondente da Mosca per “la Repubblica”, viaggiando nelle

Repubbliche dell'Unione Sovietica per raccontare la grande trasformazione

della Perestrojka.

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C'è un genio nella Langa monregalese. Non ha nulla a che fare con il vino perchè non

è un vignaiolo, anche se un po' di “uve” le pos-siede. È, invece, secondo il New York Times, “il designer di auto più influente della sua genera-zione”. Chris Bangle, 54 anni, statunitense, ha “messo su casa”, a Clavesana, frazione Borgata Gorrea. Dopo un passato in FIAT, Opel, ma so-prattutto per 17 anni “deus ex machina” dello stile BMW, ha deciso di lasciare Monaco per trasferirsi nel cuore della Langa monregalese. E ha creato la Cba, la “Chris Bangle Associates”, sede casa sua, dove vive insieme alla moglie Catherine, di origini svizzere. Il genio Bangle si è espresso per un lungo tempo nella pre-stigiosa casa automobilistica di Stoccarda, cor-teggiato da una miriade di imprese, compresa l'italiana FIAT e la multinazionale Samsung. Ora

il motoreda designerPRIMA RESPONSABILE DEL CENTRO STILE FIAT, POI CAPO DESIGNER IN BMW. DOPO AVER GIRATO L’EUROPA HA SCELTO DI STABILIRSI NELLA LANGA DOVE COSTRUISCE IDEE E PROGETTI UNICI

DI GIANNI SCARPACE

non ha tirato i remi in barca di una professione che ha scelto di lasciare ma, semplicemente, ha spostato il suo genio in Langa, nel nord Italia, lui dice “a sud di Torino”, ma solo quando deve interloquire con qualcuno che non ha precisa conoscenza dei confini italiani.Bangle, da poco tempo, ha creato, nella sua abitazione di Clavesana, uno studio di design in un angolo di Langa certamente meno ricca e popolare di quella albese. Il posto lo ha trovato per caso, l'ha scelto per amore del paesaggio che affascina e ha cominciato a costruire idee e progetti per il divertimento di tanti, opere d'arte e oggetti unici. Come, per esempio, la “Big Bench”, la panchina gigante che guarda le splendide colline della zona. L'opera è ben visibile dalla strada che sale da Clavesana ver-so le colline perchè è colorata di rosso e può

Chris Bangle, 55 anni, è considerato forse il più grande designer di auto al mondo. Il suo stile ha influenzato il gusto ed il mercato dell'ultimo decennio. Dopo aver lavorato in tutto il mondo ha deciso di ritirarsi a Clavesana, in un angolo della langa cuneese affascinante e suggestivo dove continua a ideare oggetti. Qui è appoggiato alla “Big bench” una panchina gigante, con gli amici Francesco e Teresa.

Nella pagina a fianco: il prototipo, definito visionario, di “Gina”, auto malleabile con la carrozzeria sostituita da un particolare tessuto elasticizzato, è un progetto del 2008 per BMW.

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CHI È CHRIS BANGLEHa lavorato nel 1981 come designer alla Opel realizzando gli interni della concept car “Opel Junior” che furono premiati per originalità al Salone dell'automobile di Francoforte.Nel 1985 è diventato prima capo designer esterni, poi responsabile del Centro Stile FIAT. Durante la sua attività nel gruppo torinese ha conce-pito modelli come la Fiat Coupè e l'Alfa Romeo 145.Dal 1992 ha lavorato in BMW dove è diventato capo designer. Proprio per i modelli realizzati per la casa tedesca è stato molto discusso per aver stravolto lo stile della casa. Per questo fu organizzata, da alcuni sostenitori del vecchio stile, una petizione on-line per farlo licenziare. Questa pesante critica è nata soprattutto per due modelli: la Serie 7 e la Serie 5. Il mercato ha dato ragione al designer poiché la BMW ha registrato negli ultimi anni un notevole incremento di vendite. Con la Serie 3, a differenza dei modelli prima citati, Bangle ha usato una mano più leggera poiché la linea non risulta stravolta da quella iniziale del 1998. Altri lavori di Bangle sono stati: BMW Serie 1, Serie 6, Z4, X5 e X6. Il 3 febbraio 2009 è stata comunicata la notizia del suo abbandono della direzione del centro stile BMW per passare ad attività non direttamente correlate con il mondo dell'automobile.

contenere decine di persone. “Mi considero una persona aperta e socievole - spiega Mr. Bangle che parla un ottimo italiano - e intendo condividere l'opportunità di guardare a questo splendido territorio da una prospettiva partico-lare. Così, insieme a mia moglie e ai miei amici Francesco e Teresa, abbiamo pensato a questo manufatto da offrire alla gente”. Sulla spalliera c’è una targa in ottone che riporta le parole di una filastrocca scritta dalla signora Teresa in piemontese. Invita ad accomodarsi con gran-de semplicità: “S’i t’è dabsògn ed tiré un pò el fià… set-te sì ensima e… it sentirè torna ma-snà” (“Se hai bisogno di tirare un po' il fiato... siediti qui sopra e... ti sentirai tornare bambi-no” - n.d.r.). Il designer nato a Ravenna (quella statunitense, in Ohio), cresce e si forma in una piccola cittadina del Wisconsin. A scuola, oltre alle materie classiche, insegnano anche discipli-ne tecniche e meccaniche ed è qui, usando il tecnigrafo, che Bangle comincia ad interessarsi di design. Da quel momento comincia la sua ascesa nel panorama internazionale del setto-re. È considerato oggi un creativo all’avanguar-dia, raramente (se non mai) capace di mettere d’accordo tutti, più spesso in grado di stupire e far discutere gli appassionati. Durante la sua permanenza in Germania, Bangle ha dato alla BMW un vero e proprio “new deal” in termi-

Un vero genio del design che oggi continua a creare anche solo

per il proprio divertimento

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ni di stile: è sua la paternità, assieme al suo team, di prodotti dell’elica bianca come Serie 7 (E65/E66), Serie 5 (E60/E61), Z8, Z3 Coupé e Cabriolet, X6, Serie 6. Il suo disegno ha fatto parlare, soprattutto perché ha saputo stravol-gere i canoni di bellezza del costruttore teuto-nico. È il creatore della concept car “Gina”, un concetto visionario che potrebbe cambiare i fu-turi stili di vita. Nessun altro designer ha avuto un impatto di così lunga portata per l'industria automobilistica. E ora? Bangle mette oggi a disposizione il suo genio a 360 gradi e collabora con diverse azien-de, pur rimanendo molto riservato rispetto alla sua nuova attività. Però continua a “creare”, anche per puro divertimento. Circondandosi

di professionisti forti, qualificati, desiderosi di esperienze appaganti dal punto di vista profes-sionale, nel campo del puro design. Lo confer-ma l'architetto Laura Bongiovanni, clavesane-se, 36 anni, laureatasi con il massimo dei voti al Politecnico di Torino nel 1999. Costituisce, con il suo staff, sempre a Clavesana, lo “Studio Manager” della Cba. In passato, durante la col-laborazione con Giugiaro Design ha realizzato lavori significativi e partecipato a numerosi con-corsi in Italia e all’estero. Ha progettato negozi, showroom e stand per marchi internazionali. Si occupa di progettazione d’interni e di interior design per abitazioni private. È stata vincitrice del premio speciale ADI in occasione del con-corso internazionale di idee "Di Porta in Porta" indetto dalla Lualdi Porte, e del premio Abet Laminati riservato ai migliori progetti del Corso di Disegno Industriale. Oltre all’esperienza pro-gettuale nell’ambito lavorativo, è stata docente presso l’Istituto Europeo di Design, per il corso di Digital and Virtual Design. “Stiamo realiz-zando una nuova opera shocking e di grandi dimensioni nella casa di Bangle, a Clavesana - dice l’architetto Bongiovanni. Per ora lo ab-biamo chiamato semplicemente “Tiffany Tree”, l’albero di Tiffany, ma probabilmente si tratta di un nome provvisorio. Su un prato verde, vicino agli alberi da frutta veri e alle vigne, sorgerà un tronco in metallo con una struttura soprastante larga oltre 4 metri e mezzo. Farà ombra a chi passerà in questo luogo magico della campa-gna clavesanese. I mille mosaici colorati che costituiscono l’ombrello dell’albero (come nell'originale modello Tiffany) rifletteranno mille colori sul terreno creando un effetto sor-prendente”. Non è ancora certa la data della conclusione dell’opera, ma lo staff sta lavoran-do alacremente. Panchina gigante e albero di Tiffany, entrambi realizzati da artigiani del po-sto: è solo l'inizio dell'espressione di un genio che ha scelto la “provincia Granda” per vivere un'esistenza che ha già lasciato il segno nella storia del mondo.

Fra le auto disegnate dalla mano di Bangle la BMW X5 è forse una fra le più riconoscibili

nella fascia delle SUV.

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Le gambe si piegano, poi lo slancio verso l’alto. Il corpo si inarca. La mano diviene

potenza. La concentrazione diventa azione e la volontà punto. Vincere è una questione di te-sta. Lei vince e con lei si vince. Un passato nella pallavolo, poi la voglia di sperimentare un altro campo e provare a trionfare ancora. Monia Re è wedding planner. Ha trentotto anni. Vive a Cuneo. Gira l’Italia per organizzare eventi, ma soprattutto le fiabe di chi crede nel “sì”. Il suo logo è “Kairòs”. L’etimo è greco: mo-mento propizio.Il suo primo matrimonio professionale è stato quello per l’anchorman televisivo di Raiuno Amadeus, a Vignale Monferrato nelle Langhe. Le chiesero di organizzare a tempo di record. Ci riuscì. In Italia è stata presa ad esempio per chi voglia fare questo lavoro: arrivare alla

la signora per il sìÈ LA WEDDING PLANNER PIÙ FAMOSA D'ITALIA. DA CUNEO PROGETTA MATRIMONI DA FAVOLA CON LA GRINTA DI UN'AMAZZONE E LA CLASSE DI CHI DI GALATEO SE NE INTENDE

DI GIOVANNA FOCOPHOTO: OSCAR BERNELLI

meta richiede grinta. È socio onorario della Associazione Wedding Planner di Milano, isti-tuto che le ha affidato anche una sezione per wedding coordinator.

Wedding Planner: significa.Letteralmente: “progettista per il matrimonio”. In concreto, il mio ruolo è quello di organizza-re matrimoni dall’inizio alla fine, creando una struttura di base che divenga la scaletta opera-tiva per l’evento. È un lavoro che richiede per-meabilità per poter ascoltare e spesso decodifi-care le attitudine degli sposi, e colpo d’occhio per dar corpo alla cura estrema del dettaglio. Quando i futuri sposi si presentano da me, espongono i loro desideri. In ogni coppia emerge un tema, che può essere un colore, un profumo, un fiore o una variabile come ad

Monia Re, 38 anni, è la wedding planner più famosa d'Italia. Con la sua competenza riesce a concretizzare i sogni che gli sposi hanno per il giorno più bello della vita. Una professione che, a dispetto dell'immagine glamour e un po' frivola che la televisione ci presenta, richiede grande dedizione e sacrifici.

Nella pagina a fianco: Monia assiste personalmente all'allestimento della scenografia, verificando la cura della mise en place di ogni posto tavola, perché tutto sia davvero perfetto.

Mancano pochi minuti all'arrivo degli sposi in chiesa: l'addobbo floreale, la colonna sonora, l'allestimento del banchetto ed il menu sono sotto il suo controllo, perché gli sposi si possano davvero godere ogni attimo di questa giornata indimenticabile.

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esempio il “km0”: qualcosa che si leghi alla loro unione. Proprio quel tema, che può essere con-creto o richiedere elaborazione, diviene il filo conduttore del mio progetto. Dai biglietti di invito alle location che faranno da teatro all’e-vento, il tema è portante.

Come si svolge la sua attività?Redigo un progetto, condiviso con i clienti che mi delegano anche nel rapporto con i fornitori. Gestisco il budget planning, informando i futu-ri sposi su eventuali modifiche di spesa. In linea di principio mi appoggio al servizio catering per il pranzo di nozze, ma non è regola. Ci sono clienti che preferiscono strutture alberghiere. Nell’arco dei mesi, seguo passo passo la sposa:

di solito è la donna che tesse rapporti personali con il wedding planner. In un certo senso, ci sono momenti che il mio ruolo è anche quello, metaforicamente, di valvola di sfogo. Perché la tensione sale di settimana in settimana. La mia pianificazione è rigorosa e concede poco alla improvvisazione. Questo è una garanzia. Perché già, a volte, si deve far fronte a dei fuori programma. Come il brutto tempo che scon-quassa i piani e ci obbliga a resettare tutto e at-tuare quello che noi chiamiamo “l’opzione B”.

Allestimenti e presenza nelle cerimonie: qual è il suo ruolo?I giorni che precedono il matrimonio, seguo fi-sicamente quello che a tutti gli effetti è come se

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fosse un cantiere. Sono pignola e dunque per scelta sono parte attiva presente. Il giorno del matrimonio, ho la regìa della gior-nata: i tempi sono serrati tutto è programmato. Il mio compito è stare dietro le quinte, senza mettermi in mostra e fare svolgere nel suo complesso quella che è la scaletta. A volte, organizzo anche matrimoni coreografi-ci che danno il senso della regìa. In molte oc-casioni, mi devo allontanare un attimo quando l’emozione prende il sopravvento. Io sono la wedding planner e non dovrei farmi vedere piangere.

Ha uno staff?Sì, interno al mio studio e poi, alcuni service esterni come per il catering e il servizio dei fio-ri con il quale interagisco nella redazione del progetto.

Quanto costa un wedding planner?In Italia, tra i 3 e i 5mila euro. La cifra sale quan-

CHI È MONIA REScuola: Iscritta alla facoltà di Scienze Politiche a Torino.Sport: ginnastica artistica fino a dieci anni e pallavolo fino a ventitré. Passioni: La montagna in generale - sia d’estate che d’inverno - e lo sci.Lavoro: esperienza di molti anni come “Specialist Dealers” per alcuni marchi leader in Italia ed in Europa nel settore dell'edilizia.Dal 2007, dopo la frequenza del primo Istituto per wedding planner di Perugia, organizza matrimoni ed eventi speciali.Organizzazione del primo matrimonio Vip: Amadeus e Giovanna nel 2009.Dal 2009 è docente, presso l’Associazione Wedding Planner di Milano. Nel 2010 è il primo “Socio Onorario AWP”.“Matrimonio diVino®”: è il suo marchio rivolto alla clientela internazionale che sceglie di sposarsi nelle LangheCollabora con la redazione di VIEW SPOSA, magazine di settore rivolto agli sposi, alle wed-ding planner e a tutto l’universo femminile in generale.Esperta di galateo e bon ton, organizza corsi a tema e gestisce il blog www.kairoswedding.it.Collabora con altre importanti testate media sul web.

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do si fanno studi progettuali importanti. Ogni wedding planner organizza eventi. Ogni evento è unico.

Come ha conosciuto il mondo wedding?Era il 2006. Periodo tumultuoso dal punto di vista professionale. Una sera, dando voce alla tv, il telecomando si fermò su un programma di Gerry Scotti. In video, una concorrente e le consuete presentazioni. Alla domanda “cosa fa nella vita?”, la sua risposta “sono wedding planner”. Mi si accese la lampadina. Il giorno dopo ero dal mio commercialista. Ho iniziato a frequentare corsi. Provenivo dal mondo dell’ar-redamento e capii in un lampo che quella sa-rebbe stata la mia opportunità per mettere a frutto la mia capacità logica, la predisposizione ad organizzare e la concentrazione che avevo affinato quando giocavo a pallavolo.

Progetti immediati?Due: uno che prevede il servizio di interior design per gli sposi ed è curato da selezionati professionisti del settore e un altro, internazio-nale. Si tratta di Matrimonio diVino®. Nasce dalla collaborazione tra un tour operator delle Langhe e un’agenzia di wedding & coordinator planner. Sono proposti particolari “pacchetti wedding all inclusive”. La terra eletta, ad oggi, è quella di Langa. La formula organizzativa è stata predisposta e creata per rivolgersi sia di-rettamente alle coppie italiane o straniere che agli operatori del settore - agenzie di viaggi e WP - che possono proporre ai loro clienti un raffinato matrimonio “chiavi in mano”.

Il suo corpo è flessuoso, spartito in quel me-tro e ottanta di proporzioni. Gli occhi verdi si lasciano cullare dalle emozioni. È timida, ma la padronanza governa il percettibile. La testa non perde alcun dettaglio. “Ho dei gusti semplicissi-mi mi accontento sempre del meglio”. Lo dice-va Oscar Wilde. Monia Re abbozza un sorriso. È affinità. Anche lei dice: “Sì”.

Nella pagina a fianco:il bouquet della sposa, uno dei protagonisti del giorno del matrimonio, viene realizzato da Monia pochi momenti prima dell'arrivo della sposa. É sempre lei a coordinare tutti i collaboratori nelle varie mansioni.

Si avvicina il momento: è l'ora di accendere le candele per creare la giusta atmosfera.

Finalmente gli sposi sono arrivati in chiesa e tutto sta andando come deve. Un attimo di emozione, ma poi via, c'è ancora molto da fare e la scena è tutta per loro!

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Poche cose resistono al tempo come i ricor-di, le storie e le leggende, soprattutto se c’è

qualcuno che continua ad alimentarli, a portar-seli dentro e a raccontarli, come una specie di missione. L’americano Gary Hill e il cuneese Sergio Costagli non potrebbero essere più diversi. Vivono a migliaia di chilometri di distanza, il primo nelle pianure del Michigan, il secon-do sulle alpi Marittime. Fanno lavori diversi e probabilmente le loro vite non si sarebbero mai incrociate se non fosse per una storia, una leggenda e i ricordi di un reduce della seconda guerra mondiale. Costagli è un “cacciatore di tesori” molto parti-colare. Non cerca casse sommerse piene d’oro, ma le tracce degli aerei caduti sulle nostre mon-tagne, per ricostruirne le vicende. Il fil rouge

il bombardieresulla bisaltaCRONACA DI UNA MEMORIA STORICA SEGNATA DA UNA STRISCIA DI TERRA EROSA DALL'ACQUA, SUI MONTI CUNEESI, DAL 1944. DAGLI STATI UNITI GARY HILL NE SEGUE LE TRACCE PER UNA QUESTIONE DI PATERNITÀ.

DI FRANCESCO DOGLIO

che li ha fatti conoscere e che ha portato Gary a visitare Chiusa Pesio quest’anno è infatti un aereo, più precisamente il bombardiere “fanta-sma” Flying Fortress B-17G, la famosa fortezza volante statunitense, che nel 1944 spanciò sulla Bisalta. Su quell’aereo da guerra volava il padre di Gary, Harlan Hill.Questa storia inizia con una foto in bianco e nero, leggermente ingiallita per il passare degli anni. Davanti al muso dell’enorme bombardie-re, appoggiati al cono del radar centimetrico S2 della fortezza volante, si vedono Harlan e il mi-tragliere Harry Sheroin. È il 24 luglio del ‘44. Le truppe degli Stati Uniti stanno liberando l’Italia. Sulle nostre montagne i partigiani combattono quotidianamente con le pattuglie tedesche. Harlan, Harry e altri otto militari dell’equipag-gio sono di stanza a Tortonella, in provincia di

Nel luglio del 1944 il bombardiere “fantasma” Flying Fortress B-17G, spanciò sulla Bisalta, durante una missione di guerra. Fra i membri dell'equipaggio vi era l'americano Harlan Hill, miracolosamente sopravvissuto. Sessantasette anni dopo, nel luglio 2011, il figlio Gary torna sul posto esatto dello schianto dove srotola la bandiera che il Governo americano ha donato alla vedova del pilota di quell'aereo.

Nella pagina a fianco: Harlan Hill, primo a destra, davanti al portellone del bombardiere da cui si lanciò con i compagni di missione. Erano le ore 12,20 e l'aereo volava a 3.000 m. di altitudine, prima di precipitare sulla Bisalta. A sinistra il mitragliere Harry Sheroin appoggiato al cono del radar centimetrico S2.

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Salerno. Quella mattina si svegliano presto, alle 4,30. Con il loro aereo, insieme ad altri 57 bom-bardieri, devono partire in missione. Il piano prevede di volare fino a Torino per bombardare gli impianti Fiat che, in tempo di guerra, hanno convertito le linee di produzione per riparare i tank italiani e tedeschi. In quella giornata la squadriglia americana sgancerà 156 tonnellate di bombe su Mirafiori, tra le 11,30 e le 11,35, ma l’apparecchio di Harlan non tornerà alla base.Appena prima di Torino l’equipaggio ha proble-mi ad un motore. Forse per una perdita d’olio o per un proiettile arrivato da terra, uno dei mo-tori va a fuoco. Non c’è tempo per bombardare e nemmeno per tornare alla base. Il coman-dante decide di sganciare le bombe in mare e far rotta verso la Corsica, dove c’è una base alleata che potrebbe accoglierli. Il fuoco, però, è troppo intenso e anche gli altri motori van-no in avaria. Non resta che paracadutarsi. Tra le linee nemiche. Il bombardiere, con il pilota automatico innestato, prosegue la sua corsa in linea retta, sempre più in basso, fino a spancia-re sulla Bisalta, a Gias Vaccarile. I primi ad accorrere sul luogo dello schianto sono i partigiani della valle Pesio. Lo trovano quasi intatto. All’interno ci sono ancora indu-menti, pacchetti di sigarette americani e la mi-tragliera Browning calibro, che verrà smontata e utilizzata prima in valle Pesio e poi in valle Maudania. Intanto i 10 militari riescono a toc-care terra. Harlan e un suo compagno vengono catturati e mandati in un campo di prigionia in Polonia, dove verranno liberati nel maggio del ’45. Tutti gli altri riescono ad attraversare le li-nee tedesche e a tornare tra le file alleate per continuare a combattere.Sessantasette anni dopo, nell’anniversario del-lo schianto, Gary arriva a Cuneo, emozionato e felice. Con sé porta una bandiera a stelle e strisce. Il grande drappo ha un grande valore: è la bandiera che il Governo americano ha do-nato alla vedova del pilota di quell’aereo, Harry Ernst, durante i funerale dell’uomo, negli anni

’70. Per Gary questo viaggio è la conclusione di un percorso iniziato con la pubblicazione di un libro di memorie di guerra del padre. “Ero felice di essere in Italia - racconta - ma anche emozionato e un po’ spaventato. Sapevo che mi avrebbero portato sul luogo dello schianto, in montagna”. “Per un sessantaduenne abituato alle pianure americane - dice Costagli - le gole e le pareti della Bisalta possono intimorire, in realtà, poi, il viaggio è andato molto bene”.La sera del 24 luglio Gary e Costagli vengono ricevuti dal sindaco di Chiusa Pesio e dal pre-sidente del Parco della valle Pesio. “L’abbiamo accolto - dice il sindaco di Chiusa Pesio, Sergio Bussi - al museo della Resistenza. Ci aveva rega-

lato, anni fa, un libro con le memorie del padre. Per noi era un’occasione di riflessione su tutti quelli uomini che ci hanno aiutato a fare dell’I-talia un Paese libero. Ci ha detto che farà una festa in famiglia e, con il padre, presto, verrà a mettere una targa sul luogo dello schianto».Al Museo della Resistenza di Chiusa Pesio ci sono tre pannelli con alcune foto d’epoca dell’aereo e di suo padre, frutto delle ricerche di Costagli. “C’è la storia del bombardiere - dice Costagli - e della fine che ha fatto: completa-mente smontato prima dai partigiani, poi dai residenti della valle. Abbiamo incontrato poi il prof. Griseri, presidente dell’Ana di Mondovì che, durante la guerra, utilizzò la mitragliatrice per combattere i tedeschi”. Il viaggio prosegue UN

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alla Certosa di Pesio, dove un fabbro locale forgiò un treppiedi per la grossa arma da guer-ra. “Mi hanno raccontato - dice Gary - che la Browning fu utilizzata da un mitragliere ame-ricano, Robert La Rouche, che in un altro volo fu abbattuto sopra Cairo Montenotte e si unì ai partigiani. Un’altra storia incredibile”.Il giorno seguente, domenica, Gary, Costagli e due guardia parco, partono alla volta di Gias Vaccarile, sul fuoristrada.“Siamo partiti da Limone e abbiamo raggiunto il fianco della Bisalta sullo spartiacque con la valle Pesio - racconta Gary -. Poi abbiamo prosegui-to a piedi fin sopra la verticale del luogo dello schianto”. Lì ci sono prati verdi e spesse mac-chie di rododendri. Gary cammina lentamente, la giornata è tersa. Nel punto dove sessantaset-te anni prima si era schiantato l’aereo del padre c’è una striscia di terra erosa dall’acqua. Ancora

oggi spuntano schegge di alluminio dal terre-no. “Mi sono messo a cercare - dice Gary - con il cuore in gola. Tra le schegge, dopo un po’, è saltato fuori un vero tesoro, due pallottole da 0.50 pollici della mitragliera Browning (12 cm ndr). Incredibile, un’emozione fortissima”.Alle 11,40 il silenzio è totale. Un refolo di vento fa vibrare per un momento un lembo della ban-diera americana, mentre Gary, con delicatezza, la srotola sul prato. “Era commosso - dice Costagli -, è stato un mo-mento intenso”.Una settimana dopo, sulla mail di Costagli, ar-riva una foto. È Gary che la manda. L’istantanea ritrae un interno americano. C’è un tavolo, ci sono Gary e suo padre, Harlan, che oggi ha 88 anni e una memoria di ferro. Di fronte a loro ci sono i due proiettili. Gli occhi di Harlan sono lucidi.

Particolare del bombardiere quadrimotore Flying Fortress B-17G, spanciato il 24 luglio '44 su Colla

Piana poco sopra la verticale del gias Vaccarile.La fortezza volante, con peso di 25 t. presentava

un'apertura alare di 32 m ed una lunghezza di 23m. Era il più grosso e sofisticato bombardiere che

operava nei cieli europei.

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XV Fiera Regionale del Tartufo29 ottobre - 1 novembre 2011“Ex caserma G. Galliano” - Mondovì Piazza

Il turismo, l’economia, il gusto e la voglia di “divertirsi con l’enogastronomia”, ma in ma-

niera intelligente. Sono questi i temi dell’edi-zione 2011 di “Peccati di Gola”, in programma a Mondovì da sabato 29 ottobre a lunedì 1° novembre. La “location” che ospita i pro-dotti di alta qualità del territorio è sempre la Caserma Galliano, a Mondovì Piazza, il quar-tiere più alto, caratteristico e affascinante della città. “Un vero baluardo del gusto”, uno degli appuntamenti più importanti organizzati dal Comune di Mondovì. Ogni anno il visitatore può compiere, attraverso i padiglioni della ker-messe, un vero e proprio “itinerario gustoso” che, partendo dalla degustazione dell'aperitivo con i vini locali, passa ai primi, alle pregiate carni locali per arrivare ai dolci. Più di 80 gli espositori coinvolti, tutti produttori diretti,

peccaredi gustoTORNA A MONDOVÌ L'APPUNTAMENTO PER I GOLOSI CHE NON SI ACCONTENTANO DEGLI ALTRI QUATTRO SENSI

DI GIANNI SCARPACE

impegnati nella presentazione, nella vendita e nei laboratori didattici, gratuiti e rivolti a tutti, per i quali ci si può prenotare durante i giorni della kermesse direttamente all’interno della Cittadella. I temi del peccato? La carne, il pane, i formaggi di alpeggio e molti altri. E per chi ar-riva a Mondovì Piazza utilizzando la funicolare sono previste agevolazioni e sconti.L’accoglienza e la ristorazione sono curate da 500 ragazzi dell’Istituto Professionale per i ser-vizi Alberghieri e della Ristorazione “Giovanni Giolitti” di Mondovì. “A Peccati di Gola - dice Gianni Ferrero, ex assessore ed ex consigliere comunale, considerato il “papà” della manife-stazione monregalese - non si viene solo per una visita. Qui si può assaggiare tutto, con gusto e intelligenza. All’ingresso viene con-segnato al visitatore il “kit del buongustaio”,

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composto da bicchiere da degustazione in ve-tro, posate e una comoda tracolla in tessuto. Quindi, si entra subito nel vivo della manifesta-zione attraversando una Tartufaia dove, a cura della Regione Piemonte - Gestione Proprietà Forestali e Vivaistiche, viene ricreato l’habitat del sottobosco e ciascuno può rivivere la “cer-ca” del prezioso tubero. Il tartufo nero, pre-sentato dall’Associazione Trifolao di Mondovì, Centro Studi Nazionale, i tabui e i gelosissimi cercatori, è il vero protagonista del “peccato”.Il percorso prosegue quindi nel settore dedi-cato al “salato”. Qui fanno bella mostra i for-maggi, i salumi e le conserve delle principali aziende del territorio, per stuzzicanti aperitivi e fingerfood accompagnati da ottimi vini. Si con-tinua poi la visita nel Piazzale Superiore, dove

il Consorzio Fattoria Amica di Coldiretti pre-senta il meglio delle proprie aziende: formaggi e salumi, mieli e nocciole, ortaggi e frutta, con-servati e sottovetro. Un altro modo per cono-scere meglio questo angolo del cuneese.In un altro settore le “cucine di strada” propon-gono lo street food piemontese e non solo, da gustare sul momento, all’interno di una strut-tura trasparente che offre un panorama unico sulle Langhe che incontrano le Alpi Marittime, dalle colline di Briaglia e Vicoforte al confinante Monte Mindino. Qui si gustano per esempio i tajarin del pastificio artigianale Michelis, la car-ne bovina e suina Monregalese, il pescato del giorno della Cooperativa di pesca ‘Il Gagollo’ di Vado Ligure, ma anche zuppe e minestre, birra e vini locali. L’itinerario tra i Peccati di Gola non può che chiudersi in dolcezza con una serie di stand dedicati ai dolci come i biscotti al cioc-colato o al “dopo-pasto” con il caffè, i liquori e digestivi della tradizione.Peccati di Gola è una manifestazione che coin-volge anche l’ascom ed altre associazioni del territorio, sempre attente all’ecosostenibilità: piatti, bicchieri e posate sono da anni in mate-riale mater-bi.

Le Settimane del GustoDal 15 al 30 ottobre, le Settimane del Gusto an-ticipano, con il ricco calendario di appuntamen-ti, incontri e cene, la manifestazione “Peccati di Gola”, annunciandone e sviluppandone i temi portanti tra cui l’indissolubile legame cibo-

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PECCATI DI GOLA IN SINTESIINFORMAZIONI UTILI PER I VISITATORI

Date e orari apertura al pubblico:Sabato 29 ottobre dalle ore 17.30 alle ore 23.30Domenica 30 ottobre dalle ore 10.30 alle ore 23.30Lunedì 31 ottobre dalle ore 10.30 alle ore 23.30Martedì 1 novembre dalle ore 10.30 alle ore 23.30Ultimo ingresso ore 22.00

Luogo di svolgimento:Mondovì Piazza - locali ex caserma Galliano

Inaugurazione:Sabato 29 ottobre 2011 alle ore 16.

Prezzo di ingresso:Biglietto intero: ¤ 8,00 - Biglietto ridotto: ¤ 6,00 euro - Bambini fino a 10 anni gratis

Il biglietto dà diritto a: 1 bicchiere da degustazione con tracolla porta bicchiere e posate in bio-mat e 4 ticket-degustazione spendibili presso le postazioni espositive per la degusta-zione di prodotti.

Nello scenario di Mondovì Piazza le passate edizioni di Peccati di Gola hanno visto protagonisti momenti di formazione nei Laboratori del gusto e, fra gli stand, gli assaggi proposti direttamente dai produttori.

cultura-territorio. Quest’anno il calendario di eventi si apre con “Celià - senza glutine che spettacolo”, primo evento a intolleranza zero, curato dall’Associazione Tolleranza Zero, con stand espositivi di prodotti dedicati a chi sof-fre di intolleranze alimentari, spettacoli, show-cooking e un importante convegno medico scientifico sul tema.

L’iniziativa si svolge sabato 15 e domenica 16 ottobre 2011 in Piazza Maggiore.A partire da Celià, la Città si anima di cene a tema, presentazioni librarie, mostre e conve-gni che richiamano l’attenzione del pubblico sul cibo, le tradizioni culinarie, il valore della conoscenza e del sapere per un alimentazione “buona, pulita e giusta”.

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Vi è un detto popolare che recita: “come una barca in un bosco”, per indicare qual-

cosa che proprio non va. E come tutti i detti è destinato inevitabilmente ad essere smentito. Nel caso specifico dalle barche (anche se, viste le dimensioni e l’opulenza, è un po’ improprio chiamarle così) della Mondo Marine, che han-no origini nelle colline boschive delle Langhe per finire a solcare i mari e gli oceani di tutto il mondo.In verità anche questo non è del tutto esatto. In quanto la sede della società è a Savona dove vengono realizzate, dal disegno fino alla “mes-sa in acqua”, le prestigiose imbarcazioni. Però è pur sempre vero che si tratta di una divisione della azienda Mondo, che ha sede vicino ad Alba, a Gallo Grinzane, e quindi ci si conceda questa lieve, ma un po’ intrigante, imprecisio-

carattere langarolo fra le ondeDAI PALLONI, ALLE PAVIMENTAZIONI PER I CAMPI DI ATLETICA, LA “MONDO” DI GRINZANE CAVOUR SOLCA I MARI CON GLI YACHT DA SOGNO CHE PRODUCE A SAVONA, NEI CANTIERI “MONDO MARINE”

DI FABRIZIO GARDINALI

ne. La Mondo nasce nell’immediato secondo dopoguerra, nel 1948, come produttore di palloni per uno sport molto diffuso nel basso Piemonte e nella confinante Liguria: il pallone elastico. In oltre sessant’anni di presenza sul mercato ha fatto tanta strada, allargando la sua attività alla produzione di pavimentazioni spor-tive, specie campi di atletica e in erba sintetica. Raggiungendo esiti di sicura eccellenza, tanto da essere scelta per ben dieci volte consecuti-ve, da Montreal 1976 a Londra 2012, come for-nitore ufficiale dei Giochi Olimpici.Non solo; forte della sue esperienza, ha avviato una linea di pavimentazioni civili e industriali di alta qualità per mezzi di trasporto, ospedali, centri commerciali, edifici universitari e scola-stici. Ha varato anche una sezione per la pro-duzione di giocattoli per l’esterno, oltre aver

La “Mondo Marine” è una divisione della “Mondo spa” di Grinzane Cavour, l'industria più conosciuta per i palloni, i giocattoli in plastica o le pavimentazioni sportive. Nei suoi cantieri di Savona produce alcuni fra gli yacht più belli del mondo, come il “Manifiq”. Una scocca in alluminio da 40,5 m. dalle linee sinuose e attraenti, disegnata dall'olandese Cor D. Rover.

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raggiunto il traguardo di essere il maggior pro-duttore mondiale di palloni da gioco.Insomma la piccola attività nata alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso all’ombra del castello di Grinzane che fu di Cavour, è diventa-ta un gruppo internazionale costituito da trenta consociate in Europa, Asia e America, con 1.500 dipendenti, 11 impianti produttivi e una rete di commercializzazione che interessa 196 Paesi.Nel 1978 la passione per il mare di Ferruccio ed Elio Stroppiana fa si che nasca il cantiere nautico Mondo Marine, in origine con una pro-

duzione di barche di medie dimensioni per poi passare ai super yacht di oltre 40 metri, in lega leggera e acciaio, progettati e realizzati intera-mente il loco, dal disegno all’imbarcazione fini-ta, utilizzando le tecnologie e i materiali miglio-ri e più raffinati, così che ognuno di essi non è un pezzo seriale bensì unico e non replicabile.“Il risultato del nostro lavoro - affermano i fondatori - è sempre modellato sulle esigenze dell’armatore. Noi troviamo il modo di dare forma ai suoi sogni”.Il cantiere di Savona, del quale oggi è presiden-

Materiali ricercati e cura del dettaglio per barche

che danno forma ai sogni Fra le colline di Grinzane Cavour, nelle Langhe albesi, ha sede il quartier generale della “Mondo”.

Gli interni del “Manifiq”. Mai come in questocaso la scelta del nome anticipa l'elegantesensazione di stupore di chi ha la fortuna di salire a bordo di questo yacht.Un gusto vagamente decò reinterpretato con evidenti elementi di modernità da Luca Dini, designer che ne ha curato l'allestimento.

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te Marco Stroppiana e amministratore delegato Diego Deprati, si estende su una superficie di 35.000 mq. fronte mare, dei quali 9.500 coperti, una banchina di 100 metri per l’ormeggio e tut-te le attrezzature più attuali per lo svolgimento dell’attività.Fino ad oggi sono usciti dalla Mondo Marine 59 yacht, tra i quali il famosissimo (fra gli appassionati) Vessel 50 m. “Tribù”, primo explorer ad aver ottenuto la certificazione Green Star dal Registro Italiano Navale che documenta la minimizzazione dell’impatto ambientale grazie all’adozione di impianti di ultima generazione.L’evoluzione può essere il “Mondo 45”, rea-lizzato in collaborazione con l’ingegner Sergio Cutolo. Lungo poco più di 45 metri, sviluppa-to su quattro ponti, è un mix nato dall’intento di creare un’imbarcazione perfetta sia per il viaggio sia per il confort, fra uno scafo da lavo-

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ro, un battello per ricerca oceanica, una nave da crociera e un superyacht. Può affrontare tutti i mari sotto tutti i climi, raggiungendo una velocità massima di 15 nodi e imbarcando 80.000 litri di carburante che gli garantiscono un’autonomia di 6.000 miglia.Altra realizzazione degna di nota è il “Manifiq”. Quaranta metri e mezzo in alluminio, dal si-nuoso disegno di Cor D. Rover; interni con una commistione fra “Art Decò” e modernità dovuta alla matita dello studio fiorentino Luca Dini Design. In un insieme di materiali pregiati e tecnologia che rendono il lusso tutt’altro che fine a se stesso.Il cantiere è anche impegnato nell’attività di riparazione, ristrutturazione e restauro di im-barcazioni di prestigio.Nel corso del 2011 Mondo Marine, nella clas-sifica stilata ogni anno dalla rivista di nautica internazionale “Show Boats International”, che riguarda i primi venti costruttori a livello mon-diale, è fra gli otto cantieri italiani ai vertici e ha in portafoglio ordini per sei nuovi progetti.Evidentemente, a volte, “la barca nel bosco” va benissimo.

MONACO YACHT SHOW: LUSSO ED ESCLUSIVITÀ NEL PRINCIPATOAnnunciate più di 40 anteprime mondiali, 500 espositori distribuiti su ben 22.000 mq e la selezione di circa 100 super e megayacht da 25 a oltre 90 m, ancorati alle banchine del Port Hercule di Monaco e presentati, per l’occasioni, dai broker e dai cantieri tra i più noti e prestigiosi del mondo. Sono questi i numeri vincenti che, dal 21 al 24 settembre, animeranno la 21a edizione del Monaco Yacht Show 2011, salone nautico dedicato al mondo dello yachting di lusso.Per gli addetti al settore un’opportunità da non mancare, durante la quale tra presentazioni, show e convegni è garantito vero business con tanti zeri. Saranno inoltre organizzati incontri mirati con i maggiori manager delle principali aziende internazionali di superyacht e del settore nautico e, per gli amanti e gli appassionati del mare sarà un’occasione imperdibile per scoprire e toccare con mano prodotti dedicati al mare, così come scoprire le ultime tecnologie e servizi di lusso legati allo yachting esclusivo. M.B.

Nella pagina a fianco: ancora un particolare del “Manifiq”,

il salotto sul ponte principale.

I fratelli Ferruccio ed Elio Stroppiana, rispettivamente presidente e AD della “Mondo”,

che trae il nome dal diminutivo del padre Edmondo, fondatore delle industrie.

Fra gli ultimi nati dal cantiere di Savona il “Mondo 45”. Un mix tra uno scafo da lavoro,

un battello per ricerche oceaniche, una nave da crociera e un superyacht. A bordo si può trovare

tutto ciò che può servire per lunghi giri del mondo all'insegna della comodità.

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Se ci sia, cosa sia esattamente, dove abbia sede e come operi sono in pochi a saperlo.

Parlo del Parco Letterario di Langa, Monferrato e Roero che di tanto in tanto campeggia su depliant e inviti, quasi sempre in occasione di convegni con poco pubblico al salone del libro di Torino. C’è un sito di riferimento (www.parcoletterario.it) che mette in vetrina in bella evidenza gli autori cui si rivolge e, autore per autore, l’ambito territoriale di competenza, in-dicando le strutture turistiche a disposizione e gli Enti che lo promuovono: tra i quali ad Alba il Centro Studi “Beppe Fenoglio”, ad Asti la Fondazione “Centro di studi alfieriani”, a Bra l’Istituto Storico di Bra e dei Braidesi.Ma Parco o non Parco per le camminate griffate con i nomi degli scrittori a denominazione d’o-rigine non c’è che l’imbarazzo della scelta. Si

le strade della memoriaPAGINE DI LETTERATURA CHE SI SFOGLIANO DI PASSO IN PASSO.FENOGLIO E PAVESE: SCRITTORI DA GUSTARE NEI PERCORSI LETTERARI DELL'ALTA LANGA

DI DONATO BOSCAPHOTO: LUIGI CHIARLE

può andare a camminare nei luoghi fenogliani, da San Benedetto Belbo a Murazzano, da Alba a Castino. Basta rivolgersi all’Associazione Terre Alte e tenere a mente la Cascina del Pavaglione, presidio di cultura a San Bovo di Castino dove Beppe Fenoglio ambientò il racconto lungo “La malora”. Ma chi preferisce Cesare Pavese a Fenoglio non ha che da scendere a Santo Stefano Belbo, puntare la casa dove nacque lo scrittore nel 1908, sede dell’Associazione Centro Produttori Moscato o l’antica confra-ternita di San Sebastiano, oggi epicentro della Fondazione Cesare Pavese, del Pavese Festival e di tutte le escursioni che dal fiume Belbo si irra-diano alle colline che gli fanno corona, invitan-do i partecipanti a fotografare case, luoghi, pae-saggi che hanno ispirato lo scrittore. Due passi più a monte di Santo Stefano Belbo, a Mango,

Le valli dell'alta Langa, culla della cultura e della letteratura italiana. Qui hanno vissuto e ambientato le loro opere scrittori come Beppe Fenoglio, Cesare Pavese e Davide Lajolo.

Nella pagina a fianco:lo stagno di San Benedetto Belbo, descritto nei libri di Beppe Fenoglio

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la località che Pavese scelse in prima istanza per ambientare il suo romanzo più tragico “Paesi tuoi”, l’Enoteca Regionale da un canto e la Casa delle Memorie dall’altro invitano a camminare nei luoghi di frontiera tra l’uno e l’altro dei due mondi, lungo percorsi spartiacque che unisco-no invece di dividere. Per non parlare di Davide Lajolo che nel paese dove ha vissuto, Vinchio, gode il privilegio di un museo, di itinerari sali-scendi, di eventi a lui dedicati. Il Parco di oggi, più ideale che concreto, è in realtà un sogno che si rinnova da oltre cin-quant’anni, con due epigrafi funerarie nel cimitero virtuale delle buone intenzioni. Il primo antenato, subito passato a miglior vita, fu una proposta lanciata a Torino nel 1963 dall’architetto Giampiero Vigliano nel corso di un convegno. La proposta non andò in porto a causa di difficoltà oggettive: non esistevano le regioni; non esisteva una legge quadro na-zionale e mancava assolutamente una cultura dei parchi in Italia. L’idea rimase sopita per anni e fu rilanciata in tempi migliori dal Lions e dal Rotary di Alba che finanziarono un gruppo di studio incaricato di raccogliere tutti gli elemen-ti utili per la costituzione di un Parco Letterario delle Langhe. Ci lavorarono quattro persone: Umberto Fava ed Enrico Rivella in qualità di coordinatori, Claudio Rosso per i collegamenti con l’agricoltura, Valter Boggione per gli aspetti letterari.I quattro esperti individuarono oltre 300 luo-ghi citati da Pavese, Fenoglio, Arpino, Einaudi e Monti in un territorio di 50 Comuni da Ceva fino ad Acqui Terme e Canelli. Pensarono im-mediatamente a tre livelli di fruizione: uno, di-dattico, di approfondimento, per studenti delle scuole e dell’Università, uno medio che poteva coinvolgere chi conosceva le opere e desidera-va avvicinare i luoghi che le avevano ispirate ed il terzo di “approccio iniziale” per i turisti che arrivano nei paesi attratti dal vino e scoprono l’esistenza di opere letterarie di qualità.Tra gli obiettivi da perseguire fu subito indi-

cata la partecipazione attiva della popolazione locale alla salvaguardia della tradizione, dalla cultura materiale ai valori architettonici e del paesaggio agrario. Si indicarono come esempio i terrazzamenti della valle Belbo e della valle Uzzone da salvare attraverso un recupero pro-duttivo. Nuclei urbani, cascine, paesaggi: la pa-rola d’ordine era “recupero conservativo” con l’idea di limitare i vincoli e puntare sullo svilup-po turistico ad ampio orizzonte. Lo strumento adatto per passare dal dire al fare apparve a tutti il Premio Letterario Grinzane Cavour e il Segretario tuttofare Giuliano Soria cominciò a disegnare sul territorio la mappa segreta delle sue aspirazioni, inaugurando le due prime sedi, a Mango e a Costigliole d’Asti, ma afferman-do dall’inizio che i luoghi fenogliani (Mango, Castino, Murazzano e San Benedetto Belbo) e quelli pavesiani di Santo Stefano Belbo non erano che le basi di partenza per una succes-siva espansione del Parco in Valle Bormida

(Augusto Monti), a Vinchio (Davide Lajolo), a Bra (Giovanni Arpino).Come sia andata a finire con il Premio Grinzane Cavour è risaputo. La sede di Mango fu la pri-ma ad essere chiusa e ci vorrebbe un Raoul Molinari nel suo stile indimenticabile di sceriffo del Far West per raccontare la commedia degli equivoci e degli inganni che vide naufragare a Mango, nella palazzina liberty di Porta Avene, il progetto di Parco Letterario made in Soria e su quelle ceneri nascere l’Agenzia di Sviluppo Langhe, Monferrato e Roero che oggi gestisce altrove (Alba ed Acqui Terme per intenderci) convegni sul turismo sostenibile, progetti eu-ropei ed energie rinnovabili (www.lamoro.it). Non tira aria migliore neppure al castello di Costigliole d’Asti o nelle altri sedi decentrate (Magliano Alfieri, Santo Stefano Belbo, San Benedetto Belbo) dove il Grinzane Cavour seppe far attecchire l’idea del Parco Letterario acquistando immobili o promuovendo eventi

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a mostrarsi “in repentinità quasi di miraggio, massiva e stregata”, la grande cascina Langa che Fenoglio sognava di comprare se avesse fatto soldi da borghese, diventata sede di ristorante e beauty farm. È quasi certo, però, che lasciato il Pavaglione di Tobia Rabino (nel racconto di Fenoglio mezzadro del padrone della più bella farmacia d’Alba), l’ambulante ligure proseguis-se il viaggio verso il Mango sbucando tra i bo-schi e le vigne che fanno da cornice all’Enoteca Regionale “Colline del Moscato”.Quel che è diventato chiaro a tutti coloro che si occupano di sentieri, pubblicando cartine del buon cammino e informazioni turistiche usa e getta, in primis il professore albese Elio Sabena, ideatore del sodalizio “Trekking in Langa”, è la valenza da attribuire al richiamo letterario di contesto. Che per non annoiare i camminatori non deve avere ridondanza, né la pesantezza stile conferenza delle citazioni ampollose e re-toriche. I turisti che amano il contatto con la natura cercano dati ed elementi di essenzialità e sono loro a decidere cosa merita approfon-dimenti e cosa va lasciato in decantazione. La verbosità prolissa dei proclami della prima ora è stata superata. Nessuna frase ad effetto del tipo “Pavese ha fatto scendere dall’Olimpo e salire dagli inferi gli dei per farli muovere sulle Langhe, in mezzo a vigne, contadini, rive, rita-ni”. Piuttosto l’accortezza di coniugare l’analisi del paesaggio con la scelta dei “b&b” e delle osterie dove riposare e nutrirsi, l’oculata scelta delle cantine da visitare per il rito della degu-stazione, la posizione belvedere delle strutture che ottimizzano il rapporto qualità-prezzo, fa-cendo dell’accoglienza la loro carta vincente. Su questi parametri la collina di Gaminella, epicentro del mondo pavesiano, ha costruito i suoi alti indici di gradimento da collina più imponente del paesaggio santostefanese (“una collina come un pianeta”), talmente lunga da sconfinare nel territorio di Canelli: “la collina di Gaminella, un versante lungo e ininterrotto di vigne e di rive, un pendio così insensibile

da gran “spatuss” e poca sostanza.Sta di fatto che le camminate lievitano e il Parco Letterario, che continuamente rinasce come la famosa araba fenice, sembra essere riuscito nell’impresa di somatizzare tutte le difficoltà iniziali ed i fallimenti in itinere intervenuti. A chi pratica trekking, del resto, polemiche e diatribe non interessano. Interessa piuttosto capire il significato di testi che ha sotto mano o incontrare, cammin facendo, personaggi e luoghi che di quei testi sono l’anima. Entrare in empatia con Pavese, ad esempio: “Si fa l’uva e la si vende a Canelli, si raccolgono i tartufi e si portano in Alba. C’è Nuto, il mio amico del Salto, che provvede di bigonce e di torchi tut-ta la valle fino a Camo... Nuto il mio complice delle prime fughe a Canelli, aveva poi per dieci anni suonato il clarino su tutte le feste, su tutti i balli della vallata” (Cesare Pavese - La Luna e i falò) o con Beppe Fenoglio: “Mentre ero giù nel rittano era passato al Pavaglione un olearo della Liguria che veniva dai miei posti e andava a Mango al mercato; a San Benedetto mia ma-dre gli aveva comperato l’olio a patto che lungo la strada passasse al Pavaglione e che facesse una commissione: dire a me o al mio padrone che mio padre era finito nel pozzo per disgra-zia” (Beppe Fenoglio - La malora).Che si tratti di vignaioli o trifolao, di olivicoltori o ambulanti di pesci, di artigiani o di musici, di bacialé o saltimbanchi, di giocatori d’azzar-do o messaggeri di brutte notizie, il turista fa presto a capire che la letteratura coincide con la memoria collettiva e che l’una e l’altra poggiano su verità storiche. È probabile che, prima di far tappa a san Bovo di Castino per informare della tragedia il giovane servitore Agostino Braida, l’olearo sceso dal Colle di Nava o dal Melegno avesse sostato al quadrivio del Campetto (dov'è tuttora possibile rifocil-larsi alla locanda del Ponte, sede del comando garibaldino durante la guerra partigiana) o a Manera di Benevello dove anche oggi dai ta-voli della moderna “spaghettoteca” continua

Nel Parco Letterario si organizzano spesso camminate e trekking, testo alla mano,

alla ricerca di personaggi e luoghi che di quei testi sono l'anima.

Un modo per entrare in empatia con gli autori ed apprezzare ancor meglio le loro opere.

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che alzando la testa non se ne vede la cima - e in cima chi sa dove, ci sono altre vigne, altri boschi, altri sentieri”. Su altri versanti, più che le vicende di guerra ricordate dal museo “en plein air” dedicato al partigiano Johnny, sono le vecchie pietre del “Pavaglione” a San Bovo di Castino ad avere emozionato i turisti di quella che in Langa chiamano “arvangia (rivincita) let-teraria”. Vecchie pietre ripulite a nuovo anche a San Benedetto Belbo come immagini del mon-do contadino ruvido ed aspro dell’alta Langa che sa aprire il cuore alla gentilezza dei senti-menti. Un invito fra le righe a solidarizzare con Agostino, il servitore protagonista de La malora, nel suo ritorno definitivo a casa: “Ho fatto quel ritorno come la cosa più bella della mia vita. Era la mia povera festa, e ad Arguello mi fermai all’Osteria, comandai una bottiglia di moscato e me la bevetti tutta per festeggiarmi”.

MANGO Enoteca Regionale “Colline del Moscato” - tel. 0141.89291

Associazione “Arvangia”tel./fax [email protected]

SAN BOVO DI CASTINOCascina Il Pavaglione, Associazione Terre Alte, tel. 333.466.3388www.terrealte.cn.it

SANTO STEFANO BELBOAssessorato alla cultura tel. 0141.841819

SAN BENEDETTO BELBOUfficio Turistico e Bibliotecavia Fratelli Cora, 1tel. e fax [email protected]

Fondazione Cesare Pavesetel. [email protected]

COORDINAMENTO TERRITORIALEGAL Langhe Roero Leader, via Umberto I, 1 - 12060 Bossolasco, tel. 0173.793508

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In esclusiva per Unico, attraverso un’inter-vista in cui ricordi, emozioni ed aneddoti,

si sono svelati con grazia e delicatezza senza tempo, scopriamo da vicino chi è Louisette Levy-Soussan Azzoaglio, presidente fondatri-ce di CREM (Club des Residènts ètrangers de Monaco), Segretaria ‘Particulière Honoraire’ e ‘Chargeé de Mission’ presso il Palazzo Princier di Monaco.Sorridente e cordiale Madame Louisette, già al primo incontro, non lascia indifferenti: il suo charme particolare, unito a quel modo di porsi discreta e elegante allo stesso tempo, permet-te all’interlocutore di sentirsi subito a proprio agio. Parlando con lei, cosa non facile visti i tanti appuntamenti che la tengono impegnata durante la settimana, si rimane affascinati dal suo sguardo, limpido e profondo, con un guiz-

charme monegascoe rigore italianoPER LA DONNA DA SEMPRE VICINA ALLA FAMIGLIA GRIMALDI, A FIANCO DIGRACE KELLY, SEGUENDO DALLA NASCITA LA PRINCIPESSA CAROLINA E SASIL PRINCIPE ALBERTO II DI MONACO: LOUISETTE LEVY-SOUSSAN AZZOAGLIO

DI MARIA BOLOGNA

zo che rende speciale tutta la persona. Mentre si esprime con la lingua di Dante resa molto glamour grazie all’uso innocente di qualche intercalare francese, è nei ragionamenti e nelle argomentazioni che Madame Louisette rivela una determinazione ed il rigore tipici di chi vanta chiare origine italiane. E buon sangue non mente: scopriamo infatti che se da parte di padre scorre sangue monegasco, la madre Teresa era originaria di Ceva. Sarà questo a con-ferirle un allure così ‘unica’?La vita di Madame Louisette è un’avventura straordinaria vissuta, in un certo qual modo, esclusivamente sulla vetta di due rilievi mon-tuosi: quello della Rocca monegasca, a fianco della famiglia Grimaldi ove presta servizio fin dalla nascita della Principessa Carolina, poi a fianco dell’indimenticabile Principessa Grace

Lo charme di M.me Louisette Levy-Soussan A zzoaglio, discreta ed elegante, non lascia indifferenti. Padre monegasco e madre cebana hanno influenzato la sua vita, fra il mare del Principato e i monti cuneesi.

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Kelly e di SAS il Principe Alberto II di Monaco durante la reggenza come principe ereditario. E poi, quando non c’è il lavoro, con la famiglia, Mme Louisette cambia ‘vetta’ per trasferirsi tra le cime che circondano Ceva, in provincia di Cuneo, dove, ancora oggi si reca regolarmente per trascorrere in relax i suoi fine settimana.“Ho il Piemonte nel cuore, da sempre - inizia a raccontarci - perché è proprio lì che ho vis-suto buona parte della mia infanzia. Ritornarci, attraversando in auto il Col di Nava, è per me come ritornare alle mie origini, rivivere i miei bei ricordi. A Ceva in particolare, dove ho ri-strutturato quella che un tempo fu la casa dei miei nonni, sento che c’è un’atmosfera magica, senza tempo. Sarà perché da bambina lessi il libro di Heidi ma, quando sono tra queste valli decorate da tanti cuscini vellutati di verde sme-raldo incastonate tra le vette innevate, mi sento protetta e felice. Del resto anche a mio padre, monegasco, piaceva molto andare in Piemonte, in particolare nel Cuneese. Fu infatti proprio a Ceva che, durante un’escursione domenicale in moto, incontrò mia madre: un colpo di fulmi-ne che, dopo poco, si concluse con un felice matrimonio.”

Cosa apprezza di questa regione così vicina al Principato di Monaco?Innanzitutto le bellezze e gli scorci offerti ge-nerosamente dalla natura circostante e la storia delle sue terre. Poi ammiro molto il tempera-mento e l’inventiva delle persone che lì sono nate. Confesso di essere molto orgogliosa di avere molti amici piemontesi ed in alcuni di loro ho sempre apprezzato quell’essere auten-ticamente ‘montagnard’, seri e rigorosi, carat-teristiche queste che spesso sono all’origine di quella verve imprenditoriale che conduce, con successo, a superare i confini nazionali realiz-zando sogni impossibili.

Potendo scegliere: mare o montagna?Entrambe le cose, ovviamente. Il mare fa parte

della mia vita anche se lo preferisco quando è molto agitato, quasi in tempesta. Mi piace il movimento ed adoro ascoltare il rumore che proviene dal porto mentre le barche beccheg-giano urtandosi le une contro le altre, e le cime ed i metalli scandiscono asincroni minuti interminabili. Sono nata a Monaco e per me, se il mare è abitudine, contrapporlo alla mon-tagna, al contrario, mi rilassa. Quando sono a Ceva invece sento come una sorta di attrazione fatale al passato, che tanto è più forte quanto più riscopro, cucinando, i sapori tipici dei piatti piemontesi.

Cosa apprezza di più della gastronomia e del-la tradizione culinaria piemontese?Direi tutto. Mi piace mangiare ma soprattutto cucinare la polenta, come si faceva un tempo, presentata soda e fumante su un grande taglie-re di legno. Sono in molti, tra i miei ospiti, ad apprezzare questo piatto, che è anche il mio preferito, condito e conciato in ogni manie-ra. Ma apprezzo molto anche la bagna caoda e mi diverto molto a preparare le frittate alle erbette, con le bietole dei contadini, gli spinaci e l’erba ‘pera’, una varietà di menta che trovo solo a Ceva e che anche Alain Ducasse usa per cucinare i suoi piatti.

M.me Louisette è la Presidente del CREM, (Club des Residents Etrangers de Monaco). Nell'immagine è attorniata dallo staff che, con lei, organizza attività esclusive ed uniche per gli associati, provenienti da oltre trenta paesi diversi.(photo: WSM-Colman)

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Al Piemonte è legata anche da ragioni senti-mentali, vero?Si. Paolo Azzoaglio, di Ceva è stato mio marito. Ho poi anche due figli che mi hanno regalato due splendidi nipoti ed una piccola pronipote, anche loro spesso con me nella casa di campa-gna, anche se vivono a Monaco. Trovo molto bello riunirci in Piemonte ed insieme trascorre-re dei bei momenti di relax con loro. Amo stare in compagnia ed essere circondata dall’affetto dei miei cari, forse perché non ho avuto fratelli né sorelle.

E del Principato di Monaco, cosa ci può rac-contare?Guardi, non è perché qui ci sono nata e cresciu-ta ma secondo me dovrebbe essere considera-to un modello per tutti gli altri piccoli Stati o per le grandi città. A parte la sicurezza, il clima e la qualità della vita, Monaco è una città-Stato che è sempre stata molto invidiata e, per que-sto, mai così ben conosciuta.Ho sempre sostenuto che al di là del glamour naturale del luogo, questo è un piccolo ma at-tivo Principato racchiuso come una perla sul Mediterraneo, ove vi è tutta una realtà straor-dinaria poco ‘reclamizzata’ e nota. Qui ci sono persone serie e preparate, di nazio-nalità differenti, che hanno scelto volontaria-mente di vivere, con le loro famiglie, e lavorare serenamente. Trovo che la cultura mediatica che un tempo metteva in risalto solo la bella vita, le feste ed il Casinò abbiano oscurato la vera natura del Principato di Monaco. Se pen-siamo a cosa siano riusciti a fare i Grimaldi nei secoli, precursori di mode e tendenze, non possiamo che essere fieri del luogo che acco-glie e favorisce da sempre i talenti di ogni sorta. Inoltre l’apertura all’internazionalizzazione, voluta da SAS il Principe Alberto II, ed il suo recente matrimonio, hanno accresciuto l’in-teresse positivo e diverso per il nostro Paese, favorendo la scoperta delle bellezze che qui risiedono.

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Abbiamo, ad esempio uno splendido Museo Oceanografico che accoglie, oltre all’acquario, opere di artisti contemporanei di rinomata fama. Pensi che dal 9 luglio, al suo interno, è stata allestita una mostra fotografica dedicata al ‘Mariage Princier’ che sta riscuotendo un suc-cesso di pubblico strepitoso. È questo il giusto modo di conoscere il Principato di Monaco, un luogo dove le tradizioni e la modernità si fon-dono per favorire la crescita e l’investimento nel futuro.

Oltre al suo lavoro al Palazzo, ora part-time, è anche Presidente e fondatrice di numerose associazioni umanitarie e di un recente Club, CREM, creato per accogliere ed integrare gli

stranieri residenti nel Principato di Monaco.Si, CREM, inaugurato da poco più di un anno, è un club nato sviluppando quello che propone-va, tanti anni fa, ‘Les Voisins’ associazione con analoghe finalità. A noi serviva una sede accogliente e grazie all’intervento di SAS il Principe Alberto II ne abbiamo una, prestigiosa e molto funzionale. Con tutta l’equipe che mi segue sono così riu-scita a creare qualcosa che potesse permettere di accogliere ed integrare al meglio gli stranieri residenti in Principato. Ad oggi contiamo più di 300 associati e 32 nazionalità rappresentate: ai nostri soci ed ai loro amici proponiamo attività esclusive ed uniche nel loro genere: in pro-gramma abbiamo serate gastronomiche, cultu-

rali e musicali, ed in genere ogni iniziativa che consenta ai partecipanti di sentirsi i benvenuti a Monaco.

Quali sono le prossime attività in progetto?Oltre alla presentazione di un libro in italiano, ad ottobre, prevista nell’ambito della ‘Settimana della lingua italiana’ promossa dall’Ambasciata d’Italia a Monaco, collaboriamo alla realizzazio-ne di diverse iniziative anche con la partecipa-zione di altre associazioni monegasche come, ad esempio, quella della Monaco-Italie e molte altre. Infine, per novembre, abbiamo previsto, un viaggio gastronomico-culturale ad Alba: inu-tile dirle che per me sarà come ritornare... a casa, con qualche amico in più.

Nella pagina a fianco: Palazzo Grimaldi, sulla rocca di Monaco.

M.me Louisette all'inaugurazione del CREM, il 1 giugno 2010, al Mirabeau, alla presenza di SAS Alberto II di Monaco

e del primo ministro di Monaco, Michel Roger. photo: Realis

CLUB DES RESIDENTS ETRANGERS DE MONACOIl CREM ha già compiuto un anno lo scorso 1 giugno. Idealmente situato nel cuore del Principato di Monaco, al piano terreno dell’immobile Le Mirabeau, al n° 1 di Avenue Princesse Grace, il Club nasce per rispondere alle esigenze che i numerosi residenti stranieri del Principato di Monaco da tempo stavano manifestando. Infatti, con i suoi 220 mq, tra salotti, sala biliardo, confortevoli salette ed un bar stile inglese, tutti ar-redati con estrema cura da Lady Tina Green, CREM è a disposizione per favorire, attraverso eventi mirati, lo scambio interculturale e le relazioni sociale-economico tra gli associati. All` iniziativa, nata da un idea di Mme Louisette Levy Soussan Azzoaglio, conosciuta per le sua generosità ed attivismo nella vita associativa del Principato, si sono immediatamente associati in primis SAS il Principe Alberto II, Presidente d`onore e, a seguire, una serie di mecenati come i fratelli Sir David e Frederic Barclay, Patrice Pastor, Claudio e Paolo Marzocco, Italo Bazzoli, Tuscia Hollis e molti altri componenti non meno famosi che compongono il comitato dei membri fondatori.Ma se il club sarà luogo d`incontri e di condivisione, secondo una classica formula già consolidata da altre associazioni monegasche, ben si colloca la definizione dell’Ambasciatore Henry Fissore, che l'ha descritto come strumento "trasversale e complementare", per significare che CREM permetterà di integrare competenze e specifici-tà proposte dalle altre associazioni monegasche esistenti, senza però esserne concorrenti diretti o indiretti. Per info: www.crem.mc.

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“Alba, significa anche profumo e gusto di tartufo”. Sono parole di Franco Piccinelli

mentre scriveva della cittadina piemontese per un geniale libro-raccolta (Cuneo, Provincia Granda) che sarebbe uscito sul finire di marzo 1997 a cura di Luigi Botta e Franco Collidà. Un magnifico volume che racconta la geografia, la storia, l’economia, la cultura della provincia cuneese e, naturalmente, ampio spazio è sta-to ricavato per entrare nei meandri di Alba. Di una città che Piccinelli dimostra di conoscere in ogni suo piccolo dettaglio. “Alba è una capitale vera - sottolinea - perché indiscusso il suo ruolo e inequivocabile la sua fisionomia. Le sue torri continuano a simboleg-giare il gusto della libertà, il senso dell’indipen-denza, il mezzo di un’aggregazione plebiscita-ria che nasceva dalla periferia collinare verso il

sua maestà il tartufoDA ALBA AD ACQUALAGNA: LA RICCHEZZA DALLA TERRA PER IL PIACERE DEL PALATO

DI ADELIO PISTELLI

centro. Dal 1885 ha avuto il treno, altro simbolo di libertà e forse per questo, sulla lunga caldaia delle locomotive a vapore si ergevano due tor-rette e una ciminiera che, per la loro elevazio-ne, potevano spaziare per un vasto orizzonte e raggiungerlo”. Parole cariche di significato che fuoriescono da uno splendido resoconto. Ma, oltre a presentare Alba ieri e oggi, Franco Piccinelli parla anche degli albesi “Gente - af-ferma - che ha sempre saputo che per costru-ire o attivare nuove risorse non è necessario sacrificare quelle preesistenti. Così le industrie che nel dopoguerra hanno trasformato Alba da borgo folcloristico a città d’alta competizione, hanno operato per favorire un’integrazione che anticipò, di almeno vent’anni, la saldatura che si sta verificando in tutta Italia fra città e campagna”.

Da settembre, nelle langhe albesi,inizia la stagione del tartufo bianco, piccolo “frutto” della terra che con il suo profumo ed il suo aroma è divenuto una preziosa risorsa, ricercato dagli amanti della buona tavola di tutto il mondo.

Nella pagina a fianco:la raccolta dei tartufi è riservata a persone esperte, i “trifulau”, sempre accompagnate dai fedeli cani addestrati alla ricerca del prezioso fungo ipogeo.

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Già, le industrie come è diventata, a suo modo, quella del tartufo. Sono nove tra specie e varie-tà presenti nella zona di Alba, tutte commercia-bili. La più importante, il ‘T. Magnatum Pico’, cresce esclusivamente in questi terreni, mentre nelle prealpi, a sud ovest, si può trovare il tar-tufo nero buono, il ‘T. Melanosporum Vitt’. La raccolta? Da fine settembre fino a inverno inol-trato, tempo permettendo.“Questo fungo ipogeo - sono sempre parole di Franco Piccinelli - fu una risorsa preziosa per i contadini quando, a causa delle grandinate, erano costretti a raccogliere e vendemmiare poco e anzitempo. Come è avvenuto per la cu-cina povera delle Langhe fattasi ricca, ricercata e pretenziosa, il tartufo è oggi un autentico diamante gastronomico che, da settembre a gennaio, caratterizza con tocchi di classe im-pareggiabile una cucina in parte tradizionalista, in parte innovativa e fantasiosa, ma sempre di eccellente livello”.Già nel '700 il tartufo piemontese era conside-rato presso tutte le Corti una delle cose più pre-giate. La sua ricerca costituiva un divertimento di palazzo per cui gli ospiti e ambasciatori stra-nieri a Torino erano invitati ad assistervi.Ma arriviamo ai giorni nostri, per parlare di un personaggio che è diventato una pietra miliare nella storia del Tartufo ovvero Giacomo Morra, albergatore e ristoratore di Alba. A metà del secolo scorso intuì la possibilità di rendere il Tartufo un oggetto di culto a livel-lo internazionale, dandogli un nome, “Tartufo d’Alba”, e collegandolo a un evento di richia-mo turistico e enogastronomico. Nel 1949 egli ebbe la brillante idea di regalare il miglior esemplare raccolto quell’anno alla famosissi-ma attrice Rita Haywort, dando così l'avvio ad una consuetudine che, anno dopo anno, ha portato questo piccolo, profumato frutto della terra nelle mani dei più grandi personaggi del mondo, contribuendo a renderlo sempre più ambito e famoso.Alba, da sempre, si trova a condividere la fama

del suo prodotto con Acqualagna. Alzi la mano chi non ha sentito, almeno una volta, discutere sul valore del prodotto piemontese giudicato migliore di quello marchigiano o viceversa. Alzi la mano chi non ha, per una volta, preso posi-zione a favore di questo o quel tartufo. Ci sta. E se volete la teorica rivalità tra Alba e Acqualagna è servita a far aumentare curiosità e interesse per il prodotto. I gradini della popolarità si sca-

TAJARIN ALL'ALBESE

4 uova - 500 g di farina bianca - 3 cucchiai di olio extravergine d'oliva - sale - 250 g di fegatini di pollo - 1 rametto di rosmarino - 1 cipolla - 2 spicchi d'aglio - 3 pomodori grossi - 60 g di burro - 60 g di Tartufo Bianco d'Alba - pepe nero Impastare le uova e la farina aiutandovi con un filino d'olio. Aggiungere un pizzico di sale, amalgamare accuratamente fino ad ottenere un composto consistente ed omogeneo. Suddividere la pasta in panetti e lasciatela riposare coperta per un paio d'ore. Stirare a sfo-glia e, dopo un momento di riposo, spolverare di farina gialla, quindi riavvolgetele su loro stesse per poi tagliare a fettuccine finissime.Posare i tajarin su tovaglia ad asciugare, poi lessarli in acqua salata, scolarli e condirli con il sugo di fegatini, che segue, e con il tartufo bianco a lamelle finissime.Soffriggere la cipolla, il rosmarino, l'aglio tritati in olio e burro, aggiungere i fegatini interi e fateli rosolare da ogni lato. Unire i pomodori passati, salare, pepare e cuocere lentamente finché il sugo non si sia un tantino addensato.

lano anche attraverso il confronto. Conoscere e approfondire, poi, sono le motivazioni che vanno in sinergia per entrare sempre più nei meandri di una curiosità sempre d’attualità quando si parla di tartufo.Alberto Melagrana, marchigiano Doc, chef ri-nomato e conosciuto per le sue ricette presenti anche nel libro “L’altro tartufo del Piemonte” (Sagittario editore, novembre 2010), tiene a

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precisare che: “il vero 'diamante' della cucina internazionale s’identifica in quello che emer-ge dai leggeri e morbidi terreni langaroli. E la scaltrezza di Alba ha fatto il resto, per come è ri-uscita, gradualmente, a far conoscere il suo tar-tufo, quello 'a palla', rotondo. Ad Acqualagna, per contro, hanno rilanciato con quello basso e largo, 'bitorzoluto', frutto del pietroso terreno marchigiano. Probabilmente solo un “trifolau” esperto lo noterebbe. Ma poi, guardandosi intorno per capire se nes-suno s’è accorto di dove ha scovato l’ennesimo prezioso tubero, sicuramente direbbe: vale la pena sollevare la diatriba?”Lui non ha dubbi: “Con quello di Alba, è il migliore al mondo”. Cinquatasette anni, risto-ratore dal 1970, fanese, con la moglie Roberta Roberti gestisce “L’Antico Furlo”, storico locale di riferimento di tutta la zona tartufaia. “Il no-stro prodotto è figlio di una preziosa condizio-ne logistica”. Il terreno della Gola e tutto ciò che lo circonda, è ricco di piante spontanee, come querce, alberi di rovere, castagno, gine-pro e nocciolo. “Abbiamo le condizioni neces-sarie per il tartufo più pregiato come quello bianco. Un tartufo già conosciuto ai tempi dei romani, dei greci, come altri meno pregiati che venivano usati come contorno, mangiati a mor-si. E ci sono poi vecchie ricette che raccontano di tartufi tenuti sotto la brace. Alcuni come il

bianchetto o ‘marzuolo’ (Tuber Borchii Vitt) assomigliano al bianco ma sono meno pregiati, con un riscontro aliaceo, raccolti da metà gen-naio a fine aprile. Da dicembre a metà marzo diventa protagonista il tartufo nero pregiato (Tuber Melanosporum Vitt) mentre, dai primi di maggio a fine anno, presentiamo anche lo ‘scorzone’ (Tuber Aestivum Vitt). Vitt sta per Vittadini, studioso dell’università di Bologna, colui che li ha scoperti e codificati. Come è stato per Pico che accompagna il suo nome al tartufo bianco. Chiaramente molti di que-sti prodotti sono presenti alla Fiera annuale voluta, negli anni sessanta, dall’allora sindaco Ovidio Lucciarini, primo cittadino per oltre un trentennio”.Ma allora la storica diatriba fra Alba e Acqualagna?“Tanto di cappello per i nostri amici piemontesi che hanno capito per primi, a dispetto di tante altre località che si fregiano di essere in posses-so di un territorio che produce tartufo, l’impor-tanza della commercializzazione del prodotto. La Fiera di Alba, per esempio, è arrivata ormai, alla sua ottantunesima edizione, mentre noi a fine ottobre festeggeremo la numero quaranta-sei. L'esperienza in più a favore di Alba la dice lunga sul valore del territorio, sulla capacità di amplificare l’importanza e la qualità del prodot-to tartufo. Il tartufo bianco, poi, è sulle tavole della zona pesarese da metà ottobre, mentre ad Alba è possibile mangiarlo già a fine settembre. Però, in entrambi i casi, si chiude a fine anno. Diatriba con il Piemonte? Sono tante le leggen-de metropolitane ma è il mercato che dice la verità, o quasi. Chiaro, un prodotto non è sem-pre uguale: ci sono annate e annate, un po’ come il vino. Ma Alba, avendo iniziato a com-mercializzare per prima il tartufo, essendo vici-na a Francia e Svizzera e potendo contare su un triangolo industriale ed economico molto forte come Milano-Torino-Genova, ha sempre avuto terreno più facile nella commercializzazione stessa. Così, quando il materiale era scarso, im-

TAGLIATELLINE DI ACQUALAGNA VECCHIA MANIERA al brodo di Cappone con tartufo bianco (per 4 persone)2 uova di gallina; 300 grammi di farina;preparare la sfoglia, farla asciugare, tirarla e tagliare a taglia telline; a parte, preparare una salsa con 50% di brodo di cappone, 50% di burro, scorse di limone, crema di tartufo.Prendere una padella e mettere la salsa; scolare le taglia telline appena cotte nella pentola stessa, aggiungere parmigiano - quanto basta - mettere in un piatto trifolare il tartufo bianco e coprire mentre si porta in tavola, per mantenere l’aromaNB: il cappone viene usato soprattutto nei mesi di novembre-dicembre; a gennaio il brodo viene preparato con la tacchinella.

Alba, con la sua Fiera Internazionale e l'Asta mondiale di Grinzane Cavour, è sicuramente

il centro più riconosciuto a livello mondialeper la raccolta del tartufo bianco che, naturalmente, si trova anche in altre

zone d'Italia, come ad Acqualagna, nella provincia di Pesaro-Urbino.

Il tartufo bianco, per la sua rarità, è considerato un vero “diamante” della gastronomia.

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prenditori di Acqualagna mettevano il proprio tartufo in macchina e via per il Piemonte, dove il prodotto aveva un maggiore valore economi-co per avere così un guadagno migliore. E c’è chi al Nord c’è rimasto e continua a lavorarci. È il caso di Davide Cursietti, cittadino Doc di Acqualagna che, da tempo, fa il commerciante di tartufi nell’astigiano e dove, però, vende an-che prodotti della sua provincia”. L'idea di sviluppare una vera e propria tartu-faia, nel territorio marchigiano, nasce negli anni 1931-32 niente meno che da Benito Mussolini. La Gola del Furlo è tra due monta-gne: Paganuccio e Pietralata. In una delle zone più esposte, in un territorio già ricco di tartufi, un gruppo di ricercatori aveva evidenziato altro terreno fertile. Il Duce, attraverso la Forestale, fece recintare e catalogare quel nuovo grande spazio di ter-reno per far mettere a dimora delle piante, ‘micorizzate’, che dopo 7/10 anni avrebbero aumentato la produzione di tartufi. E, ad una manciata di chilometri (Sant Angelo in Vado) c’è anche un Centro Tartufologico. Dipende dal Centro sperimentale della Forestale diretto da Luigi Gregori, personaggio molto qualificato che mette a dimora e vende piantine di quer-cia e collabora, insieme ad altre persone con un gruppo di francesi, per arrivare definitiva-mente alla coltivazione del tartufo nero e dello scorzone.In questa zona esiste un luogo storico per il tartufo, meta di buongustai ed appassiona-ti: l'Antico Furlo, oggi uno dei più rinomati ristoranti-Locanda marchigiani. “Dall’inizio

dell’ottocento era il riferimento per chi passava per la vecchia Flaminia che, da Fano, portava a Roma” dice Alberto Melegrana che lo gesti-sce dal gennaio del 1990. “Un riferimento di-ventato tassativo o quasi, durante il Ventennio, per Benito Mussolini e Donna Rachele che facevano tappa al Furlo prima di raggiungere l’appartamento estivo a Riccione, oppure per andare a Predappio. Il Duce conosceva bene Domenico Candiracci, proprietario della casa al Furlo ed aveva le chiavi per servirsi di una camera dell’appartamento. L'avrà utilizzata una cinquantina di volte ma, raramente, per dormire. Normalmente arrivava in tarda mattinata per incontrare i vari Podestà della zona per poi pranzare con loro. Me lo rac-contava Raimondo Lecci, nipote del Candiracci, che serviva a tavola proprio il Duce ed i suoi ospiti. Lecci mi aiutò nei primi tempi della mia gestione di ristoratore, facendomi scoprire gradualmente tutti i segreti della cucina del tartufo. Nel 2005 ho ristrutturato l’ingresso ed il ristorante e rimesso mano anche alle sette stanze, una delle quali è dedicata a Mussolini (ancora oggi con la stessa mobilia che il Duce aveva fatto portare da Palazzo Venezia). Camera che utilizzo come Locanda, insieme ad altre sei, tutte indicate da nomi famosi, alcuni dei qua-li hanno frequentato questo posto. Ho stanze che portano il nome di Enrico Mattei, origina-rio di Acqualagna, del corridore Tazio Nuvolari, che si fermò durante le Mille Miglia poi, le altre quattro sono invece dedicate a grandissimi per-sonaggi della nostra Regione come Raffaello, Rossini, Pergolesi e Leopardi”.

Il tartufo: vero diamante della cucina internazionale emerge dai terreni

più leggeri e morbidi

L'Antico Furlo, locale storico di Acqualagna, riferimento già dall'inizio dell'Ottocento per la sua cucina.

La stanza in cui Benito Mussolini sostava e ricevevai Podestà locali è stata restaurata mantenendone le caratteristiche originali. Insieme ad altre sei stanze fa parte della Locanda del Furlo. Fu sua l'idea di sviluppare una tartufaia nel territorio marchigiano negli anni '30.

Alberto Melagrana, chef e titolare del locale dove, in stagione, non mancano mai i tartufi.

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“I sogni son desideri da realizzare” , tratta da “Cenerentola” è infatti la frase prescel-

ta che riassume la mission del Ristorante del Castello dei Solaro, situato a Villanova Solaro (Cn) a metà strada tra Torino e il capoluogo della Granda. Ad aprirci le porte del Castello-ristorante è il titolare Danilo Ronco. La sua storia è quella di una scommessa vinta a favore della buona tavola, della cultura e della valorizzazione del territorio. “Nel 1997 ho riaperto il Castello come ristorante, dopo averne curato il restauro in collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni Culturali e la Regione Piemonte”. Da quell’anno la storia del Castello, destinata altrimenti a cadere nell’oblio, è ricominciata a partire. L’edificio risale alla fine del 1200, quan-do fu costruito da Filippo di Savoia Principe

con il buon gusto andiamo a nozzeSPIACENTI, PER TROVARVI L’ANIMA GEMELLA NON SONO ANCORA ATTREZZATI, MA PER TRASFORMARE IL VOSTRO MATRIMONIOIN UN EVENTO DA FAVOLA VI FORNISCONO TUTTI GLI INGREDIENTI

DI MARIO DE MASI

d’Acaja: un impianto quadrilatero con quat-tro torri sporgenti a pianta poligonale. Nel 1332 Villanova di Moretta passò ai Marchesi del Carretto e successivamente ai Falletti. Infeudato ai Solaro, antica famiglia patrizia, Villanova ne assunse il nome che mantiene tuttora. Un’ultima curiosità: nel 1831 il Castello ospitò Silvio Pellico al ritorno dallo Spielberg, e proprio qui il patriota saluzzese lesse i primi capitoli de “Le mie prigioni”. Ma parliamo di oggi. “Il ristorante Castello dei Solaro è il risultato di spirito di imprenditoria-lità, vision, ma soprattutto passione. La frase di Cenerentola non l’abbiamo scelta a caso: per me e per i miei collaboratori i desideri dei clien-ti vengono prima di tutto”. sottolinea Danilo Ronco.Il Castello è divenuto negli anni una struttura

Il Castello dei Solaro, costruito da Filippo di Savoia Principe d'Acaja alla fine del 1200, dopo un attento restauro che ha richiesto anni di lavoro, ospita oggi un elegante ristorante.

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polifunzionale di 1800 mq, 4 sale, 2 cucine, ideale adatta anche per meeting e convention aziendali in ogni parte dell’anno. Il “piatto for-te”, è proprio il caso di dirlo, sono i matrimoni. Chi sceglie il Ristorante Castello dei Solaro per il pranzo o la cena nuziale può chiedere il massimo e sarà accontentato. Gli sposi sono coadiuvati dal nostro personale specializzato nella cura di ogni dettaglio, dal menu agli ad-dobbi floreali della sala, dall’allestimento dei tavoli alle bomboniere, rispondendo a qualsi-asi esigenza. L’offerta non si ferma qui. Per chi desidera uno spettacolo degno di Hollywood, il menu prevede trasporto presso il ristorante della coppia di sposi in auto d’epoca, aereo o carrozza trainata da cavalli bianchi. E ancora: animazioni, esibizioni musicali, fuo-chi d’artificio. A proposito di Hollywood, sognate per caso di pronunciare il vostro “sì” in modo cool, nel verde di un parco come nella miglior tradizione dei film americani? Risparmiate il costo dell’ae-reo per gli Stati Uniti, potete tranquillamente sposarvi al Castello. Su richiesta è, infatti, alle-stita una suggestiva location in puro stile anglo-sassone, immersa nel parco secolare tra alberi di tiglio, acero e rovere. Il rito civile è officia-to dal sindaco di Villanova Solaro Secondino Brunetti. Danilo Ronco tiene a precisare quest’aspetto: “Le nozze all’americana è una delle attrattive di maggior successo. Abbiamo numerose richie-ste anche da coppie provenienti da Francia, Germania, Austria e da molti altri Paesi euro-pei che scelgono il parco del Castello come scenario per celebrare il loro matrimonio con rito civile. In questo modo abbiamo dato il nostro contributo per far conoscere agli stra-nieri le bellezze della provincia di Cuneo e del Piemonte”. La coreografia è importante, ma per un risto-rante quello che conta naturalmente è il menu. La parola passa, quindi, al Capo chef Daniele Rivoira: “Da buoni cuneesi non possiamo che

Per gli sposi più romanticil'arrivo al castello può avvenire anche su una carrozza trainata da cavalli bianchi.

All'interno della corte del Castelloè stata ricavata la Sala Contessa Eufrasiache si apre, con una spettacolare vetrata, direttamente sul parco. È la sala perfetta per eventi con tanti invitati.

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essere fedeli alla nostra tradizione enogastro-nomica, per questo riserviamo un posto d’ono-re alle carni, ai formaggi locali o ai primi come i ravioli. Ci piace però ‘giocare’ con i sapori e dare sfogo alla creatività, da qui nasce una vera propria rielaborazione dei nostri classici”. Qualche esempio? “Uno per tutti, in quale altro ristorante si ha l’occasione di assaggiare come antipasto l’insalatina di gallina bianca di Saluzzo con sedano, pan di zucchero e ananas?” Rigore, serietà, professionalità sono alla base della qualità del servizio e della cucina del Ristorante Castello dei Solaro. Grazie a questo punto di forza il locale è stato insignito del pre-mio “Ospitalità Italiana” da parte dell’Associa-zione Camere di Commercio. Insomma, non vi resta che sposarvi. Ah già, qualcuno ha ancora il problema di trovare l’a-nima gemella. Come dicevamo in partenza il

Ristorante Castello dei Solaro non fa miracoli, ma ci va vicino. Se pensate a una cenetta ro-mantica per fare colpo sul vostro lui o la vostra lei, qui sono pronti a darvi... più di una mano. Tra gli antipasti il cuoco consiglia petto di tac-chinella alla brace con emulsione di lavanda oppure carpaccio di storione marinato al Roero Arneis. I primi? Risotto alle vongole al tartufo bianco d’Alba oppure i ravioli al Castelmagno con crema di nocciola (Tonda Gentile, natural-mente). Come secondo potete scegliere tra un filetto di Fassone ai frutti di bosco o alla tagliata di Fassone alle erbe di Provenza. E poi ancora i migliori formaggi, i dolci più de-liziosi, il tutto annaffiato da una buona Favorita o un Dolcetto d’Alba. Che ne dite? Non avete che da prenotare la vostra cenetta romantica. E poi.. se son rose fioriranno. Parola di chef.

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I titolari Danilo e Loredana Ronco con, alle spalle, il maitre di sala Fabio Boselli

e lo chef Daniele Rivoira.

Fra gli alberi del parco secolare è possibileallestire un matrimonio hollywoodiano

all'americana, con rito civile, celebrato dal Sindaco di Villanova Solaro.

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Via Roma, 3 - tel. 0171 443411 - fax 0171 443460gabsicurezza. [email protected] Torino, 5 - tel. 0171 443411 - fax 0171 [email protected] DI CUNEO Corso Nizza, 21 - tel. 0171 445111 [email protected]

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Scuola. Le porte si aprono. Sguardi che si reincontrano. Mille parole da spendere

per raccontarsi. Volti nuovi dentro cui scru-tare. Il campanello suona. La lezione inizia. L’attenzione è un dovere: la conoscenza rende l’alunno un futuro uomo libero. Dopo tre anni di attività del progetto “L’Europa a scuola, a scuola d’Europa”, la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo continua ad in-vestire sui temi della cittadinanza con le scuo-le della provincia di Cuneo, facendo tesoro di quanto vissuto e cercando di sviluppare nuove vie per ampliare gli orizzonti al villaggio mon-do, offrendo nuovi strumenti in grado di for-mare gli adulti di domani."La scuola è il nostro futuro” - sottolinea Ezio Falco, presidente della Fondazione CRC. E continua: “In essa riponiamo le speranze per

sapere senza frontiereLA FONDAZIONE CRC INVESTE ANCORA NELLA SCUOLA E NELLA FORMAZIONE EUROPEA. PER QUESTO ANNO SCOLASTICO PARTE IL PROGETTO "CITTADINI D'EUROPA"

DI GIOVANNA FOCO

il nostro Paese e per la nostra comunità: per questo, negli ultimi anni, la Fondazione ha mol-to investito sulla scuola e sulla formazione, e molto continuerà a fare nei prossimi. Questo progetto, in particolare, è l'occasione per offri-re alle giovani generazioni la possibilità di aprir-si ad una prospettiva europea".Visti i buoni risultati del progetto “L’Europa a scuola, a scuola d’Europa”, la Fondazione ha così deciso di rinnovare il proprio impegno nell’ambito dell’educazione civica e del dialogo interculturale, mettendo a disposizione nuove risorse per l’anno scolastico 2011/12, per l’im-plementazione di un nuovo progetto dedicato alla cittadinanza attiva declinata con una di-mensione internazionale, che scenda progres-sivamente ai livelli europeo, nazionale e locale.Il progetto è stato chiamato “Cittadini senza

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frontiere” e mira a rafforzare il patrimonio di conoscenze e relazioni costruito nel corso di questo triennio per accompagnare le scuole verso una progressiva sostenibilità che permet-ta loro di radicare sempre più queste tematiche nei programmi curriculari e nei percorsi forma-tivi degli istituti.Educare alla cittadinanza significa alimentare la vita di relazione, rafforzare la convivenza con gli altri, contribuire all’adozione di regole condivise e tornare a riconoscere il valore della legalità. Cittadini d’Europa significa conosce-re l’Europa. Che non è solo città, montagne o fiumi, ma anche e soprattutto legislazione. Per questo, il progetto “Cittadini d’Europa” ha un occhio di riguardo alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Il documento comprende un preambolo in-troduttivo e 54 articoli, suddivisi in sette capi. Lo strumento legislativo diviene il mezzo, per i popoli d’Europa, per creare tra loro una unio-ne sempre più stretta. Ed il popolo è la somma dei bambini oggi che divengono uomini doma-ni. La cultura all’Europa evidenzia i diritti, ma soprattutto le responsabilità nei confronti degli altri, come pure della comunità umana e delle generazioni future.

ANNO SCOLASTICO 2011/12Inizio Lezioni: 12 settembre 2011Termine Lezioni: 13 giugno 2012 Festività Natalizie: dal 23 dicembre 2011 al 7 gennaio 2012Festività Pasquali: dal 5 aprile 2012 al 10 aprile 2012Altre Festività: 31 ottobre 2011, dal 9 al 10 dicembre 2011, dal 17 al 21 febbraio 2012 carnevale, 30 aprile 2012Note: La scuola dell'infanzia termina le attività educative il 30 giugno 2012.

LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEAIn estrema sintesi, ecco gli argomenti trattati dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’U-nione Europea: la dignità (dignità umana, diritto alla vita, diritto all'integrità della persona, proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, proibizione della schiavitù e del lavoro forzato); la libertà (diritto alla libertà e alla sicurezza, rispetto della vita privata e della vita familiare, protezione dei dati di carattere personale, diritto di spo-sarsi e di costituire una famiglia, libertà di pensiero, di coscienza e di religione, libertà di espressione e d’informazione, libertà di riunione e di associazione, libertà delle arti e delle scienze, diritto all'istruzione, libertà professionale e diritto di lavorare, libertà d'impresa, diritto di proprietà, diritto di asilo, protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione); l’uguaglianza (uguaglianza davanti alla legge, non discriminazione, diversità culturale, religiose e linguistica, parità tra uomini e donne, diritti del bambino, diritti degli anziani, inserimento dei disabili); la solidarietà (diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa, diritto di negoziazione e di azioni collettive, diritto di accesso ai servizi di collocamento, tutela in caso di licenziamento ingiustificato, condizio-ni di lavoro giuste ed eque, divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro, vita familiare e vita professionale, sicurezza sociale e assistenza sociale, protezione della salute, accesso ai servizi d’interesse economico generale, tutela dell'ambiente, pro-tezione dei consumatori); la cittadinanza (diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali, diritto ad una buona amministrazione, diritto d'accesso ai documenti, Mediatore europeo, diritto di petizione, libertà di circolazione e di soggiorno, tutela diplomatica e consolare); la giustizia (diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, presunzione di innocenza e diritti della difesa, principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene, diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato).

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L'impermeabile sgualcito, le scarpe sformate, il sigaro sempre in mano, la cravatta sfilacciata, il cane, una moglie sempre presente ma mai vista... ecco il TENENTE COLOMBO, il detective più amato della televisione, interpretato da Peter Falk. Manca qualcosa? Certo! La mitica macchina scoppiet-tante con cui arrivava sulla scena del delitto o nell'elegante vialetto della villa del sospettato di turno. Un elemento fon-damentale senza il quale il Tenente Colombo non sarebbe il Tenente Colombo. Una sorta di suo alter-ego: volutamente ammaccata, eccentrica ma pur sempre un classico che non può tramontare, e con il suo aspetto trasandato è anche un prezioso strumento psicologico che il Tenente utilizza abilmente contro i suoi avversari per indurli ad “abbassare la guardia”, perchè solo un pazzo andrebbe in giro con un'auto simile.Così come il suo proprietario, la macchina del Tenente Co-lombo è una veterana, continua a far strada e non intende an-dare in pensione. Entrambi avanzano, un poco ansanti forse, ma inarrestabili ed incalzanti... fino in fondo a lavoro com-piuto. Le apparenze ingannano ed entrambi escono sempre di scena vincenti.Mentre tutti sanno bene chi sia il Tenente Colombo e che aspetto abbia la sua auto, pochi sanno che si tratta di quello che rimane di una bellissima e rara PEUGEOT 403 GRAN-DE LUXE CABRIOLET DEL 1959. I creatori e i produttori della serie, Levinson e Link, decisero che la figura del Tenen-

te Colombo aveva bisogno di un’auto che rappresentasse la sua personalità. Peter Falk da subito si oppose a quest’idea: in fondo Colombo aveva già il sigaro, il cane e la moglie misteriosa, non aveva certo bisogno di un’auto!

L'attore diede tuttavia un’occhiata alle auto presenti nel parco dell'Universal Studios ma non trovò nulla che si adattasse al suo personaggio fino a quando tra le lamiere spuntò il musetto di quel-lo che rimaneva di una Peugeot 403 Grand Luxe Convertibile del 1959. L’auto era lì abbandonata da tempo, non era mai stata uti-lizzata e non aveva nemmeno più il motore. Falk disse: “... è lei !”

La 403 fu un modello importante nella storia della Peugeot. Tutto ha inizio grazie all’opera della famiglia Peugeot (che a tutt’oggi controlla il marchio che porta il suo nome) che, nel 1876, decise di avventurarsi nel mondo dell’automobile collezionando da subito successi e stabilendo preziosi record e primati:• nel 1891 la prima attraversata della Francia su un’automo-bile fu fatta su una Peugeot;• una Peugeot fu la prima auto venduta ad un cliente privato in Francia;• nel 1893 una Peugeot fu la prima auto in assoluto a circola-re su suolo italiano (acquistata da Gaetano Rossi, proprieta-rio dell’omonima “Lane Rossi” di Schio - Vicenza);• molte poi le vittorie in storiche competizioni quali la Paris-Ruen nel 1894, la Paris-Bordeaux nel 1895, la Indianapolis 500 nel 1913 e la Vanderbilt Cup nel 1915 negli Stati Uniti.

La Peugeot 403 fu introdotta nel 1955, realizzata negli stabi-limenti (ancora oggi operativi) di Sochaux nella regione fran-cese della Franca Contea. Fu da subito un successo. La pro-duzione era orientata sulle cosiddette 4 porte sedans, vetture per la famiglia, mentre la produzione delle 2 porte convertibili era molto più ridotta: nel 1959, anno di produzione della 403 Cabrio del Tenente Colombo, ne furono realizzati solamente 504 esemplari - Colombo dice sul serio quando afferma che la sua auto “…è una rarità !” .Peugeot decise di cessare la produzione della 403 nel 1962,

dopo averne venduti 1.200.000 esemplari.In una pubblicità dell’epoca, la 403 viene definita come “una delle 7 migliori auto prodotte al mondo” - non ha un aspetto stravagante o estremamente sgargiante e si pregia di “non avere pinne, tagli eccessivi o forme stra-ne”. Il suo soprannome è da subito “ l’indistruttibile ”… e, di fatto, ha lungamente dimostrato di esserlo!I colori disponibili erano il rosso, l’avorio, il giallo, il blu metallizzato, il verde metallizzato, il grigio chiaro, il grigio scuro metallizzato e il nero. Era anche possi-bile scegliere interni in pelle integrale in diversi colori nonché una serie di accessori che all’epoca erano privi-legio solo delle vetture cosiddette “premium”: spalla dei pneumatici di colore bianco, riscaldatore addizionale per lo sbrinamento del parabrezza, cruscotto rivestito, sedili reclinabili, orologio elettrico, lavavetri, contachilometri parziale azzerabile, uno specchietto retrovisore esterno, tromba bitonale e due alette parasole.

NELLA PEUGEOTDEL TENENTE COLOMBO

OMAGGIO A PETER FALK E ALLA PEUGEOT 403 CABRIO. A CURA DI PIERANDREA RINAUDO

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Peter Falk nacque a New York il 16 settembre 1927 da padre polacco di ori-gini ungheresi e da madre russa, entrambi ebrei. A causa di un tumore, all'età di tre anni, perde l'occhio destro per cui gli impiantano una protesi oculare che porterà per tutta la vita. Una particolarità nel suo sguardo che contribuirà alla sua carriera artistica divenendo il suo marchio di fabbrica, anche se Harry Cohn della Columbia Pictures lo rifiutò durante uno dei suoi primi casting, dicendogli: “Per gli stessi soldi posso avere un attore con due occhi”. Il succes-so arriva tra gli anni cinquanta e sessanta con la comparsa in diverse serie televisive. Nel 1961 viene ingaggiato per uno dei ruoli più importanti della sua carriera, Angeli con la pistola di Frank Capra, a fianco del boss Glenn Ford e di Bette Davis. I personaggi che interpreta sono spesso italo-americani, sebbene lui non abbia origini italiane. Ma la consacrazione definitiva arriva con la serie televisiva Colombo, il detective di Los Angeles che interpreta a partire dal 1968 in una lun-ga serie di film TV. L'impermeabile che in-dossa e che lo ha reso così famoso è stato acquistato dallo stesso Falk a New York nel 1968, prima di girare l'episodio pilota. La sua carriera continua con comparse in molte importanti pellicole, con svariati ruoli anche brillanti come in Next con Ni-colas Cage del 2007 o nel video musicale di Gostbusters di Ray Parker Jr. Peter Falk si spegne all'età di 83 anni nella sua villa a Beverly Hills il 23 giugno 2011.

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Nelle brochures di vendita venivano poi messi in evidenza alcuni particolari esclusivi come le corone cromate per i cerchi, i fari fendinebbia e la ventola di raffreddamento del motore a funziona-mento automatico.Ogni componente veniva accuratamen-te realizzato negli stabilimenti Peugeot, solo la radio non veniva fornita come accessorio e da aneddoti pare che Peu-geot puntualizzasse: “la sola cosa che non forniamo è la radio. Noi infatti, non facciamo radio”.Ovviamente l’auto del Tenente Colom-bo era dotata di radio: un altro tocco di classe nascosto!Era poi anche disponibile in opzione una frizione elettromagnetica che con-sentiva una maggior facilità di spunto, eliminava l’eccesso di slittamento del-la frizione e permetteva una guida più “leggera” nel traffico di fine anni ’50.Il motore della 403 era un 4 cilindri in linea aste e bilancieri da 1.468 cm3 che sviluppava una potenza massima di 58 Cv a 4.900 giri minuto. Il cam-bio un 4 marce sincronizzate più retromarcia e la trazione posteriore.In quanto a prestazioni, la 403 era in grado di raggiungere i 130 km/h e spuntare uno 0-100 in circa 20 secondi, niente male per un’auto del ’59 di 4 metri e 50.La 403 è stata l’auto che ha consa-crato Peugeot tra i grandi costrut-tori di automobili, non solo per il numero di esemplari prodotti, ma anche per la qualità, la classe e la componente emotiva che la famiglia Peugeot ha da sempre saputo trasmettere attraverso le sue creazioni. In un episodio del 1973 un po-liziotto chiese al Tenente Co-lombo se avesse mai valutato di cambiare auto e lui rispose: “...io ho già un’altra auto. La guida mia moglie. Ma non è nulla di speciale, solo un mezzo di trasporto”!

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Alba e le terre che le fanno corona vantano una tradizione di prodigiosi vini, la cui fama

ha da tempo varcato i confini nazionali e di ope-rosi vignaioli che, con perseveranza e compe-tenza, hanno saputo valorizzare i loro prodotti e dare vita a prospere aziende. Una di queste è l’azienda vitivinicola Lodali di Treiso, giunta ormai alla terza generazione di produttori. È Giovanni che nel 1939 inizia a vinificare per gli avventori del piccolo negozio-emporio-trattoria da lui gestito in paese, insieme alla moglie. Consapevole, però, che nella zona tutti hanno il vino e ne sono buoni intenditori, pun-ta sulla qualità: “devono essere le uve migliori - sostiene - perché se non vinifichi bene e non fai una buona scelta, i clienti vanno a mangiare e a comperare altrove”. Gli anni della seconda guerra mondiale compor-

il megliooppure nienteSTORIA DI UNA CANTINA CHE HA PORTATO IL VINO ALL’ECCELLENZA

DI ALIDA ROGGIAPHOTO: BRUNO MURIALDO

tano mille difficoltà per tutti ma, per la famiglia Lodali, sono anche anni che contano, che get-tano le basi per sperare in un futuro migliore. Terminato il conflitto, infatti, Giovanni costruisce una casa ed una grande cantina, poiché l’amore per il vino ed il desiderio di dedicarsi a tempo pieno alla vinificazione è sempre più forte. Nel 1955 il figlio Lorenzo si diploma presso la Scuola Enologica di Alba e così tutta la fami-glia concentra i suoi sforzi sul vino; nel 1958 Lorenzo produce i primi cru: Barbaresco e Barolo. Rita, la moglie, non gli è solo compagna di vita, ma anche di lavoro. Insieme rinnovano le attrezzature e qualificano la produzione, no-bilitando il territorio; gli affari vanno bene ed i vini si vendono anche all’estero. È sempre Rita che, dopo la prematura scomparsa del marito avvenuta nel 1982, trova la forza ed il coraggio,

Walter Lodali, rappresenta la terza generazione di una famiglia di viticoltori che dalla fine degli anni '30 coltivano, a Treiso, vigne da cui producono vini riconosciuti per la qualità e l'armonia di aromi.

Nella pagina a fianco: le vigne nel territorio di Treiso, l'etichetta del nuovo vino “Alchimia”, assemblaggio di nebbiolo e petit verdeaux, e le barriques in rovere in cui si affinano i vini.

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con un bimbo ancora piccolo, di proseguire, decisa a portare avanti il progetto ed a punta-re tutto sulla qualità e tipicità dei prodotti. Ci riesce molto bene, tanto è vero che nel 1988 l’azienda Lodali viene ampiamente inserita nel Volume nº 3 de “I Vignaioli storici” di Luigi Veronelli, libro che costituisce l’archivio stori-co dei personaggi della nostra vitivinicoltura e, guarda caso, nella foto è immortalata proprio la signora Rita Lodali!Nel 1998 Walter, sulle orme del padre, si di-ploma in enologia all’Istituto Tecnico Agrario “Umberto I” di Alba ed affianca la mamma nella conduzione dell’azienda di famiglia ove, fin da piccolo, ma già “dentro alle cose del vino” ave-va dato il suo contributo. È lui che, portando nuova linfa vitale, cura ed esalta il terroir dei vigneti Bric Sant’Ambrogio e Rocche dei Sette Fratelli, rinnovando le attrezzature enologiche e perfezionando le tecniche di produzione e di vinificazione, sempre nel rispetto della più pura tradizione locale.

Produzione e novitàPunti di forza sono i tradizionali vini rossi: Dolcetto d’Alba, Barbera d’Alba e Nebbiolo d’Al-ba che affiancano i bianchi, quali Chardonnay Langhe e Moscato d’Asti.Nel 2005 escono dalla cantina le riserve “Lorens” (Lorenzo in piemontese) in memo-ria del padre: “Al ricordo, all’esperienza, alla passione, alla fatica e alla gioia di mio padre Lorenzo”, si legge sull’etichetta nel retro di ogni bottiglia. Il Lorens Barbera d’Alba, il Lorens Barbaresco ed il Lorens Barolo, prodot-ti con uve selezionate delle annate migliori dei vigneti Bric Sant’Ambrogio e Rocche dei Sette Fratelli, rappresentano le punte di diamante della produzione.Nel 2008 nasce, per desiderio di novità e qua-si per scommessa, un vino inedito dal nome “Alchimia” che Walter è stato il primo a speri-mentare nelle nostre zone grazie anche alla col-laborazione dell’enologo Umberto Cagnasso e

dell’agronomo Dario Riverditi. Si tratta dell’as-semblaggio tra un pregiato vino autoctono (il Nebbiolo) ed un vino alloctono d’oltralpe (il Petit Verdeaux) le cui uve sono comunque state coltivate nella nostra terra.La sperimentazione affascina da sempre il gio-vane enologo al punto da indurlo a continuare sulla stessa scia con la produzione di un parti-colare Chardonnay la cui commercializzazione è prevista per l’anno 2014. Nel contempo è, altresì, preventivato un Passito di Moscato in quantità limitata (circa 600 bottiglie) che sarà prodotto con un metodo inedito.

Il filo conduttoreNonostante le innovazioni apportate nel cor-so del tempo, Walter è sempre rimasto fedele alla tradizione di qualità iniziata con il nonno e proseguita con il padre; ne è prova l’invec-chiamento del Barolo “Bric Sant'Ambrogio” e del Barbaresco “Rocche dei 7 fratelli” in botti di rovere di Slavonia da 2.500 litri, rispettivamente

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per 24 e 18 mesi. Spirito di iniziativa, deside-rio di sperimentazione, sfida con se stessi, ma anche rispetto della tradizione e del territorio, sono le linee guida, il leit motiv che accomu-na Giovanni, Lorenzo e Walter: tre generazioni con il cuore e con le radici nelle Langhe, tre generazioni per le quali la qualità e la genuinità sono valori assoluti e ben sintetizzati nella frase “il meglio oppure niente” che soleva ripetere Renzo Lodali al fine di produrre vini di pregio.

Degustazioni di mamma RitaQuesto modus operandi è stato, e continua ad essere, molto ben recepito dalla clientela; sempre più numerose sono le persone che de-gustano con soddisfazione i vini dell’azienda e che, con naturalezza, fanno crescere il passapa-rola. Periodicamente, infatti, la cantina è meta di visitatori italiani e stranieri che acquistano i vini Lodali a seguito di degustazioni proposte con l’accompagnamento di piatti tipici cucina-ti dalla signora Rita. Cedute al figlio le redini dell’azienda mamma Rita - ormai da tutti così chiamata - dà prova della sua abilità culinaria preparando bagnet rossi e verdi, frittelle, frit-tatine alle erbe, cögnà, dolci e torte di noccio-le, tanto per citarne alcuni, sempre all’insegna della genuinità e della qualità dei prodotti, tutti locali, tutti selezionati e da lei personalmente curati. “Il meglio oppure niente” anche in que-sto caso è di rigore.

In cantina la sala delle botti da 2.500 litri in Rovere di Slavonia, per l'invecchiamento

del barolo e del barbaresco.

Walter con mamma Rita sono sempre pronti a ricevere ospiti nella propria cantina,

dove si possono degustare i vini accompagnati da deliziosi stuzzichini dolci e salati.

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“Il mio orecchio si è esercitato ad ascolta-re le pietre. Le ho scavate dal campo, le

ho tagliate con lo scalpello forzando la fessura come se fossero noci. Dopo uno schianto e un soffio s’aprivano a metà e l’aria passava per la prima volta sui pori di pietra all’interno. I sassi sono ostriche per chi li sa toccare…”Queste parole sono incise sulla parete di sinistra all’ingresso del secondo piano del Filatoio di Caraglio, da dove si dipana la mo-stra “Raccontare la pietra” - Eccellenze dell’ar-tigianato in provincia di Cuneo ideata dalla Confartigianato di Cuneo ed allestita dall’Asso-ciazione culturale Marcovaldo. Pensieri efficaci per introdurre la tematica dell’esposizione, scritti da Erri De Luca nel suo libro “Aceto, Arcobaleno” che gli valse il premio “France Culture”. Nella narrazione dell’autore

raccontare lapietraLA MOSTRA DI SCENA AL FILATOIO DI CARAGLIO SINO AL 25 SETTEMBRE: IL PERCORSO SI SNODA IN 500 METRI QUADRATI E NARRA L’EVOLUZIONE DELLA PIETRA LOCALE DALL’ESTRAZIONE AL DESIGN

DI DANIELA BIANCO

campano emerge la pietra come presenza e te-stimone di tre vite raccontate con schiettezza dura, come dura è la pietra vulcanica della casa in cui si dipana la vicenda, trasformatasi in quel frangente custode di un tempo andato. La mostra “Raccontare la pietra” invece propo-ne un’immagine di pietra duttile, dura nel suo impiego strutturale, ma per certi versi “morbi-da” nell’adattarsi alla genialità dell’uomo, una risorsa naturale che tra le abili mani dell’ar-tigiano/artista assume via via nuove forme e ruoli inediti. Una pietra che guarda al futuro della tecnologia, andando però a ricercare nel suo passato l’essenza primordiale di una sem-pre rinnovata vitalità. Parlare di pietra della provincia di Cuneo significa sforare dal senso letterale del termine per abbracciare il quadro variegato di marmi e gneiss che le terre alpine

Nelle mani di uno scalpellino l'abilità e l'esperienza trasformano la pietra in un manufatto artistico unico e irriproducibile.

Nella pagina seguente: nelle cave di Barge e Bagnolo, l'angolo saluzzese della provincia di Cuneo, si è costituita la comunità cinese più numerosa d'Europa, abile nell'estrazione e lavorazione della pietra.

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custodiscono. Si va dai toni bruni dell’Ormea-sca, ai gialli della Bargiolina, ai verdi accesi della Frabosana, fino al grigio sfumato della Luserna e alle tonalità senapate di quella di Langa. Tra questi esempi, molti altri ancora vanno a com-pletare il ricchissimo ventaglio di proposte che la Granda, fin dai secoli scorsi, ha sempre offer-to al genio e all’abilità artigianale. Cuneo, terra di marmi pregiati. Lo sapevano già fin dall’an-tichità e il pregio delle pietre locali aveva velo-cemente travalicato le Alpi verso le capitali eu-ropee. I marmi cuneesi si trovano non soltanto in alcune chiese piemontesi, ma anche nelle Abbazie inglesi, in Germania, in Francia. Non era dunque facile raccontare con una mostra un percorso immortale, un zigzagare tra ruoli ed impegni senza scadere nel banale, nel “già visto”, confondendo la sua dote versatile con un’ostinata ripetitività. Perché la pietra è storia antica: veniva utilizzata qualche millennio fa dall’uomo primitivo come oggi viene impiegata dall’uomo moderno, certo con sistemi più in-novativi, ma protagonista indiscussa è sempre lei, con la sua sfrontata solidità, la sua inequivo-cabile efficienza, il suo blasone che mai rinnega le umili origini. A Confartigianato Cuneo va si-curamente il merito di aver saputo andare “ol-tre” l’elemento, individuandone anima e voce interiore, all’associazione Marcovaldo e ai suoi collaboratori, primi fra tutti i giovani curatori Lara Sappa e Fabio Revetria, con la consulen-za di Vanni Badino già docente al Politecnico di Torino, di aver saputo interpretare con una particolare sensibilità un messaggio di eterni-tà di luoghi, di lavoro, di trasformazione e di espressione. A queste due importanti realtà territoriali, affiancate dall’Ordine degli Architetti della provincia di Cuneo, se ne sono aggiunte altre, dalle istituzionali Regione Piemonte e Camera di Commercio di Cuneo, a quelle finanziarie, Fondazioni Cassa di Risparmio di Cuneo e di Torino, creando un pool di sostegno al pro-getto che rapidamente ha superato il mero

CINESI A BARGE E BAGNOLOLa pietra artefice di cambiamento sociale. È quanto è successo in quell’angolo di Piemon-te, il “Marchesato saluzzese”, dove l’omogeneità territoriale con la Granda cede il passo a trascorsi storici “blasonati”. Su questa terra svetta maestoso il Monviso e proprio qui, grazie ad una risorsa naturale di particolare pregio, la pietra di Luserna, si è costituita la comunità cinese più numerosa d’Europa, un’etnia che proprio nell’estrazione e lavorazione di questo materiale ha scoperto la sua vocazione. Oggi, nei comuni di Barge e Bagnolo, oltre il 12% della popolazione è asiatica e questa presenza è ancora destinata ad aumentare. Quasi tutti i cinesi residenti in zona provengono dal Distretto rurale di Wencheng, vicino alla città di Wenzhou, nella provincia dello Zhejiang, alcuni anche dalla regione del Fujiang. Una emi-grazione che, se nei primi anni si limitava a rispondere alla necessità di manovalanza nel lavoro di estrazione della pietra, oggi sta assumendo la connotazione di un vero e proprio fenomeno sociale, monitorato da numerosi studiosi. Ai primi lavoratori, giunti nella linea di confine che divide le due province di Cuneo e Torino, si sono aggiunti altri compaesani, poi i ricongiungimenti familiari hanno avviato regolari convivenze, mentre emergeva sempre più evidente una difficoltà di integrazione, dovuta alla diversità culturale. Per molti anni la comunità cinese si è isolata dal contesto sociale del territorio, interagendo con esso soltan-to nella collaborazione lavorativa. I problemi della lingua non avevano di fatto favorito gli scambi. Molti adulti non parlavano neppure il cinese mandarino, ma una sorta di dialetto incomprensibile anche ai mediatori culturali. La vera risorsa di integrazione è arrivata però dai bambini e dal oro inserimento scolastico. Per primi e con rapidità notevole, hanno im-parato l’italiano e, dopo un certo periodo di diffidenza, sono stati proprio loro gli artefici di un’inversione di rotta. “L’integrazione è un percorso lungo e complesso - commentano alcuni abitanti di Barge - e ci vuole buona disponibilità da entrambe le parti per aprire una finestra di dialogo veramente costruttivo. Oggi, alla seconda generazione di cinesi insediati, possiamo dire che quella finestra, se non spalancata del tutto, è comunque aperta verso il rispetto reciproco, base essenziale di una comunità sana”.

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appoggio “economico”, attratto dal particolare fascino dei materiali lapidei cuneesi. E così alla pietra la Granda ha spalancato le porte di uno dei suoi monumenti più significativi: il Filatoio rosso, la più antica testimonianza di archeo-logia industriale in Piemonte e tra le prime a livello europeo.Dice Domenico Massimino presidente di Confartigianato Cuneo “Valorizzare i materiali autoctoni significa innanzitutto sostenere il territorio e il suo ambiente e, di conseguen-za, l’artigianato d’eccellenza che li lavora. Il settore lapideo in provincia di Cuneo è una realtà consolidata: conta 219 imprese iscritte al Registro della CCIAA e nell’ultimo anno ha fatto registrare, nonostante la crisi, una crescita del 4,3%. Con la mostra cerchiamo di raggiungere un duplice obiettivo: divulgare sia l’inestimabi-le patrimonio naturalistico della nostra terra, sia l’abilità dei suoi abitanti che da sempre si avvalgono di quei materiali per dare forma alle loro espressioni artistiche e strutturali. La pie-tra nella Granda si esprime in molteplici forme pregiate, impiegate in costruzioni ed opere d’arte a tutti i livelli” Su una superficie di circa 500 mq, è stata rac-contata l’evoluzione della pietra locale, la sua estrazione, le sue tipologie, i vari tipi di lavora-zione e il suo impiego nell’arte, nell’artigianato e nel design. Il percorso espositivo si snoda su sei sezioni tematiche: 1) “Uomini e cave, ieri e oggi” due generazioni a confronto raccontano la profes-sione dello scalpellino, mentre in una sorta di album multimediale scorrono immagini stori-che di cave cuneesi; 2) “Una storia di pietra”, ovvero l’utilizzo della pietra nei secoli, portato in mostra attraverso oggetti di uso quotidiano, steli funerarie, sculture e decorazioni architet-toniche; 3) ”l’estrazione” la cava, ambiente ric-co di suggestioni ma anche luogo di fatica e di lavoro; 4) “i materiali lapidei del Cuneese”, un sintetico campionario della ricchezza lapidea del territorio cuneese, cercando la suggestione

del colore, della vena e della grana del mate-riale; 5) “l’artigianato e l’architettura di pietra”, ancora l’uomo e la pietra in un binomio sinergi-co che porta non solo all’oggetto, ma anche al paesaggio costruito. Arricchito da installazioni suggestive e proiezioni multimediali, si pro-pongono immagini alternate a testimonianze di vita operosa. L’architettura di pietra raccontata dalla voce di tre architetti cuneesi che hanno fatto un sapiente uso della pietra nelle loro ar-chitetture e alcune opere di design sperimenta-le progettate dagli studenti dello IED di Torino; 6) “eccellenze d’arte e artigianato”. Il racconto si conclude con una sezione dedicata alle opere scultoree di artisti nazionali ed internazionali, sculture ed oggetti d’arte, dove la materia è esaltata dalla mano dell’uomo e l’artigianato diventa sintesi fra materia prima e saper fare. Una sintesi, che Erri De Luca, con una mirabile semplicità lessicale, in “Aceto, Arcobaleno” così raccontava: “…I sassi….li accostavo secondo una geometria che essi stessi offrivano, ognu-no disposto ad accogliere solo un’altra forma, come per un destino. Avevo memoria delle asperità e tiravo dal mucchio quella giusta che andava a combaciare con rumore di mani che si accoppiano…”

RACCONTARE LA PIETRAIl Filatoio - Caraglio (Cn)fino al 25 settembre 2011www.marcovaldo.it

Calla Nera, scultura di Daniela Madeleine Guggisberg in Nero di Ormea.

Cava di pietra di Luserna a Bagnolo Piemonte.

L'ingresso della mostra “Raccontare la pietra” al Filatoio di Caraglio.

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Il ritrovare tutte le Langhe sintetizzate a Treiso è un concetto che ha le sue radici lon-

tane nel tempo: le linee morbide delle colline sul cui sfondo svetta il Monviso, le lotte cam-panilistiche per l’affrancamento da Barbaresco, le pagine della saga partigiana di Fenoglio, il vento impetuoso che “tira” in primavera ed in autunno e che racconta leggende fin dai tempi di Alba Pompeia, allorquando la nobiltà si reca-va in villeggiatura a Treiso, non sono che alcune tra le note dominanti di una sinfonia antica, ma fondamentale per comprendere la moderna attualità di questo territorio. Nella prima metà del Novecento, la fama di località collinare salu-bre e paesaggisticamente perfetta per villeggia-re è rafforzata dal forte richiamo delle qualità culinarie ed enologiche. A Treiso si mangia e si beve bene, soprattutto a “Il Tornavento”, quel

là dove si posanole stelleLA CIAU DEL TORNAVENTO, RISTORANTE STELLATO DI TREISO

DI ALIDA ROGGIA

ristorante in piazza, accanto alla chiesa, nei lo-cali dell’ex asilo. Di giorno, facendo scorrere lo sguardo sul paesaggio circostante, si viene poeticamente avvolti da una miriade di colori, profumi e sapori; di sera, poi, cenando in cor-tile, ci si sente un tutt’uno con la volta stellata.In questo territorio fertile e suggestivo da un po’ di tempo, ormai, si è posata un’altra stella: la stella Michelin di Maurilio Garola, non meno affascinante ed avvolgente di quelle celesti, la chiave di molte delizie - per il palato oltre che per gli occhi - “La Ciau del Tornavento”, ap-punto. Come ogni personaggio di indubbio spessore, Maurilio Garola interpreta una storia, sempli-ce e straordinaria al contempo, che intreccia i cieli della Val Sangone - il suo ieri - luminosi e profumati di erbe di montagna, con quelli

Maurilio Garola, chef e titolare de “La Ciau del Tornavento” di Treiso, a cui la Guida Michelin ha riconosciuto la sua famosa stella.

Nella pagina a fianco: la sua cucina segue il territorio ma non disdegna la creatività e la sperimentazione. Piatti che affiancano il territorio e la tradizionepiemontese ai prodotti del mare e della liguria. La cantina, ricca di vini locali ed internazionali, è stata premiata fra le cinque migliori d'Italia.

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delle Langhe - il suo oggi - ridenti di vigneti ed odorosi di vino, funghi e tartufi. Su Maurilio, piemontese “DOC” è già stato scritto tutto: nato a San Secondo di Pinerolo, da una fami-glia contadina, impara ben presto a conoscere l’importanza strategica del pollaio e della stalla, così come quella dell’orto, delle erbe e del sot-tobosco. Dal momento che mamma e papà ar-rotondano lo stipendio servendo nei ristoranti della zona, Maurilio fin da piccolo “bazzica” in quell’ambiente, osserva il cuoco e si lascia appassionare dai fornelli. I genitori, però, già lo vedono lavorare come perito meccanico alla FIAT e così, assecondandone le aspirazioni, fre-quenta l’istituto Avogadro di Torino. L’amore per la cucina è sempre più forte, tant’è che, di nascosto dal padre, “taglia” spesso le lezioni per lavorare al ristorante e coltivare quella pas-sione che da sempre lo anima e che condivide con la mamma, la quale ancora oggi spesso lo aiuta in cucina. Accantonata definitivamente la prospettiva dell’occupazione in fabbrica, Maurilio inizia la sua lunga serie di esperienza come chef, la più significativa è quella presso il ristorante “Le Betulle”, il primo della provincia di Torino a meritare la stella Michelin .Il primo locale di proprietà è in Val Chisone: a San Secondo di Pinerolo nasce l’ “Hostaria La Ciau” (la chiave in Piemontese), come un sa-luto, un invito ad entrare in un luogo dove la cucina si rinnova, nel senso che tende ad avvici-nare, rivisitandoli, la tradizione agli “stili di vita moderni”, mettendo in evidenza anche il pesce ed i grandi vini. Oltre ai clienti entusiasti, fioc-cano le guide di settore e la stima dei più grandi produttori vinicoli di Langhe e Roero; in pochi anni “arriva” anche la prima stella Michelin. Se Maurilio oggi è in Langa lo si deve proprio al vino. Tutte le settimane, infatti, nel giorno di chiusura del suo locale, viene nelle Langhe per incontrare i suoi amici ristoratori: Cesare, Felicin, Guido… e per assaggiare i vini nelle cantine della zona. A “Il Tornavento” di Treiso

mangia poche volte - non più di due o tre - sem-pre in giornate grigie ed uggiose e l’impressio-ne che ne deriva non è certo entusiasmante: trova freddo l’ambiente, non ne approva la gestione e gli piace ancor meno la costruzione, piuttosto rigorosa e risalente all’epoca fascista. Venuto poi a conoscenza che il locale è in ven-dita, vi ritorna, più che altro per curiosità, in una splendida giornata di sole. Proprio quella posizione, proprio quel panorama che spazia dalle Langhe alle Alpi, lo affascinano a tal punto da ribaltare la prima opinione ed indurlo all’ac-quisto, con il consenso dell’allora compagna Nadia, pur legatissima alle valli pinerolesi. La sfida è raccolta: Maurilio sa che non è facile ambientarsi con i “langaroli”, data la loro inna-ta diffidenza, ma sa anche che ce la può fare. Trasforma il nome del ristorante in “La Ciau del Tornavento” perché la “ciau” è per lui emblema di continuità e scaramanzia, la chiave di volta dell’intero suo percorso. Lavora affinchè il loca-le sia caldo ed accogliente: “i clienti - sostiene - devono sentirsi come a casa propria tanto da non volersene più andare”. Nel corso dell’in-tervista ribadisce questo concetto con una

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tunno con i fughi, di cui Maurilio è un esperto da sempre, ed il tartufo, che riempie l’aria con il suo profumo e nobilita moltissimi piatti. È una cucina che affianca alla tradizione piemonte-se, imperniata sulla valorizzazione della carne bianca e rossa, quella ligure, a base di pesce ed olio, lungo l’antica “via del sale” che collegava i monti al mare. Fondamentali sono il decoro ed il colore dei piatti, con preferenza per il ros-so, il verde ed il nero, colori cari e legati all’in-fanzia dello chef. Sapori e colori: un binomio vincente. Ultimamente, poiché sempre più spesso la gente chiede di fermarsi a dormire nel posto in cui mangia, nasce “La Locanda del Tornavento”, adiacente al ristorante e nei locali della vecchia posta del paese. Sono state realizzate, infatti, quattro confortevoli camere, finemente arredate e gestite dall’attuale com-pagna di Maurilio, Cecilia, mamma dei suoi figli Matteo e Luca ed in attesa del terzogenito. Una rosa dei venti sovrasta la costruzione, a ricorda-re che lì lo Scirocco è una risorsa.Questa, dunque, è la filosofia vincente di Maurilio e del suo team; una filosofia che ha portato, ad un solo anno dall’apertura - esem-pio raro - ancora una stella Michelin. “La Ciau del Tornavento”, oggi, è protagonista sulle pagine di guide e di riviste specializzate, ma soprattutto è sulle bocche degli albesi e, in generale, dei buon gustai di tutto il mondo… sicuramente lì si posano le stelle!

similitudine: “la soddisfazione dei miei clienti deve essere come quella di coloro che vanno dal sarto per farsi cucire un vestito su misura; sono talmente entusiasti del risultato che non vorrebbero più togliersi l’abito di dosso”. Il lavoro del ristoratore è per lui un piacere, imperniato non solo sulla cucina ma anche sulle relazioni interpersonali e sul buon vino, la sua “ciau” per conquistare la gente di Langa e… non solo. Sostiene con convinzione che “per avere successo bisogna fare squadra; la squadra interna molto forte sia in sala che in cucina, costituita da una ventina di persone, accuratamente setacciate tra le quali spicca il mio braccio destro Marco Lombardo, creativo ideatore di nuovi piatti. Fondamentale è an-

LA CIAU DEL TORNAVENTOPiazza Baracco, 7 - Treiso (CN)chiuso Merc. e Giov. a pranzoTel. +39-(0)[email protected]

che la squadra esterna, formata da una decina di ristoratori di livello ed amici tra loro, che collabora sia nella ricerca delle materie prime che nel passaggio dei clienti”. Questo è sicu-ramente segno di una profonda lungimiranza commerciale. Massima attenzione è dedicata alle esigenze degli avventori, già a partire dal calore dell’ambiente: un dehor viene integrato alla sala come giardino di inverno, dal pergola-to si gode una vista fantastica, un quadro natu-rale degno di una bella cornice. A lato spicca un modernissimo erbario, caratterizzato da un settantina di erbe aromatiche che improntano la cucina del grande chef nel rispetto e nell’e-saltazione delle sue origini, umili e contadine.Al piano interrato, lungo tutta la superificie del-la sala da pranzo, si snoda la cantina, arricchita da un caveau in cui sono conservati i vini più pregiati, italiani ed esteri. È la più bella e fornita di Langa ed è anche stata premiata tra le cinque migliori d’Italia. Si tratta di un locale climatti-zato che assicura la perfetta conservazione delle bottiglie ed è anche dotato di un sistema informatico per la gestione del vino in tempo reale. La cucina, comunque, è stato il primo investimento di Maurilio. Allargata, rifatta ed adattata alla filosofia della “bien cuisine”- come da lui definita - segue il territorio, con i suoi valori semplici ed autentici, ma non disdegna la creatività e la sperimentazione. È una cucina impostata sulla stagionalità che si esalta in au-

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DI FABRIZIO GARDINALI

l’intervista impossibile

In memoriadell’auto

Mi ha rifatto in rame e acciaio, bene però ovviamente statica

(vera eresia), tal Benvenuto Ferrero e mi hanno piazzato, circondata da un’aiola di fiori, quasi a tributo del “caro estinto”, nel cortile del Municipio di Cuneo, in occasione degli Ottocento anni di fondazione della città.Comico: sono il vestigio di un’auto-mobile e l’amministrazione cittadi-na, che mi fa pure un monumento, odia le automobili. Anzi no. Le ama come mezzo per “far cassa”, im-ponendo parcheggi a pagamento dovunque, che poi dà a gestire a società private (eppure il suolo è pubblico e di tutti, bah), creando difficoltà assurde per la viabilità con la scusa dell’ecologia e di fa-vorire l’uso della “bici”. Già perché amano le biciclette in Giunta. E va bene, ognuno ha i propri gusti, an-che se non posso che disapprovare “per nascita”. Però chissà che sareb-be successo se avessero amato il canottaggio: magari avrebbero reso Corso Dante un canale navigabile?Poi mi hanno messo una targa, decorata con tutti gli sponsor, ov-viamente “istituzionali”, e ci hanno scritto “Ceirano 1903”. Bene. Ma non sapevano che i Ceirano, padri veri dell’au-tomobile in Italia - mica come gli Agnelli e i Lancia che sono venuti dopo facen-dosi i soldi più con l'abilità a maneggiare il denaro che con la meccanica - erano tre, più il figlio di uno di loro. Hanno costruito undici società tra le quali, oltre quelle che portano a vario titolo il loro nome, la Itala, la STAR, la SPA, la SEAT (non quella spagnola, logico).Nomi che fanno vibrare tutti gli appassionati di storia dell’auto. Pezzi di bravura, capolavori di ingegneria che hanno portato il nostro Paese ai vertici mondiali del settore. Non come adesso che facciamo solo più scatolette, in concorrenza ai giapponesi o (orrore) ai cinesi, o cambiamo marchio a veicoli costruiti e pensati a Detroit e basta, magari sostituendo il propulsore con uno più piccolo a gasolio,

così non vanno neppure avanti.Comunque, il mio nome completo è “16 HP” della “Fratelli Ceirano”, azienda di Giovanni Battista e Matteo, progettata dall’ingegner Aristide Faccioli e mossa da un pro-pulsore biblocco a quattro cilindri di 4.562 cc. (quelle sono cilindrate serie).Ero figlia di una collaborazione for-tunata che anni prima aveva portato alla nascita dell’automobile italiana. Infatti dall’incontro fra l’ingegnere che mi ha creata, che era titolare anche di un brevetto per un mo-tore a benzina, e il più anziano dei Ceirano, Giovanni Battista, figlio di un orologiaio di Cuneo, trasferitosi a Torino a fare biciclette (toh, che curiosa combinazione), nacque la “Welleyes”, dallo stesso nome delle bici. Una piccola vettura a due posti con motore bicilindrico di 3,5 HP, cambio a due marce, trasmissione a cinghia e velocità (si fa per dire) di 35/40 Km/h. Costava 4.000 lire nel 1899, quando fu messa in vendita, che era uno sproposito. Però era la prima vettura italiana mai realizzata. Ebbe anche successo. Anzi un po’ troppo per le potenzialità costrut-

tive della piccola azienda, nella quale, per inciso, lavorava anche il giovane Vincenzo Lancia. Si comportò anche molto bene nelle prime competizioni di allora. Alla “Torino - Pinerolo - Avigliana - Torino”, con al volante Cesare Goria Gatti, si piazzò seconda nella sua categoria. Aveva compiuto il percorso di 90 chilometri in tre ore e dieci minuti. Beh, non sorridete: oggi non è che impiegate poi tanto di meno fra traffico, limiti, lavori, semafori, rotatorie e altre diavolerie.In conclusione la appena costituita “Fabbrica Italiana Automobili Torino” offre al Ceirano 30.000 lire e si compra il tutto. Fa qualche modifica, specie alla trasmis-sione che dava qualche problema, e la commercializza col nome di “Modello 3,5 HP”: era nata la prima Fiat.

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Non lo puoi immaginare finché non lo vedi e non lo tocchi. Forme ardite dalle linee

leggere per un materiale duro, forte e impe-rioso: il ferro. Strutture essenziali, avvenenti, spesso accoppiate, in un legame indissolubile, con altri materiali primari: acciaio inossidabile, vetro, legno, pietra o marmo.Scalinate che si sviluppano in evoluzioni dal-la bellezza straordinariamente sobria oppure elementi che sembrano sfidare la fisica ma in realtà ne sono testimoni ineccepibili. Ogni ope-ra rivela i protagonisti entusiasti che le hanno ideate e progettate, plasmando materiali diver-si in un perfetto connubio fra forma e funzione.Sono le creazioni di “Marzero Architetture Metalliche”, un'azienda nata nel 1996, quando due fratelli - Valerio e Claudio Marzero - con passione e lungimiranza, rilevarono l’officina

pronti alla nuova sfidaLA MARZERO PRESENTA LE SUE ARCHITETTURE IN METALLO E L'INNOVATIVO MARCHIO CHE PROGETTERÀ E COSTRUIRÀ INFISSI IN ALLUMINIO PER COMPLETARE L'OFFERTA NEI SERRAMENTI METALLICI

DI SP.AD.

di carpenteria metallica presso la quale già la-voravano. Da subito inizia una vera ricerca per scoprire tutti i segreti di quel materiale già con-siderato dagli antichi più nobile dell’argento: il ferro. Un materiale che spesso non è facile da “domare”, ma che, lavorato e trattato con l'abilità e la maestria della “Marzero” ha dato vita ad alcune fra le realizzazioni più significa-tive non solo nella nostra provincia: a Torino si può ammirare la scalinata interna di Teatro Carignano e la struttura a forma di diamante di Palazzo Bricherasio, a Londra è stato invece realizzato un negozio per un famoso marchio italiano di gioielleria. E poi molte ville private a Montecarlo, in Liguria e in altre regioni italiane.La ricerca continua di nuovi sistemi sempre all'avanguardia, lo studio e la sperimentazione di nuovi metodi rende Claudio Marzero un pro-

Lo staff Marzero al completo davanti all'obbiettivo di Tino Gerbaldo.

Nella pagina a fianco:La sede della Marzero Architetture Metalliche di Corneliano d'Alba, Progetto Arch. Livio Rosso.

Particolare della scala principale nel Teatro Carignano di Torino, progetto Arch. Paolo Marconi di Roma e Arch. Giancarlo Battista di Napoli.

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fessionista che, insieme al suo staff, sa trovare sempre la soluzione più giusta e funzionale, concretizzando in maniera quasi “fotografica” i progetti presentati dai clienti. Ogni realizza-zione è diversa ed unica, frutto di una sinergia solida e concreta fra maestranze artigiane, tec-nica costruttiva e materiali, ogni volta diversi. Un’energia inarrestabile, frutto di anni di espe-rienze e capacità acquisite con cui plasmare la materia.Le ormai numerose realizzazioni, diverse per tipologie e soluzioni, costituiscono un bagaglio di conoscenze che garantiscono realizzazioni esclusive, personalizzate e funzionali.Ogni progetto viene prima attentamente analizzato e poi interamente sviluppato ed ingegnerizzato nello studio di progettazione interno. Questo consente di affidarsi, in totale fiducia, alle mani di un’equipe tecnica e creati-va che penserà all'opera in tutti i suoi particola-ri, avendo sempre ben presente le esigenze del committente. Il risultato sarà così assolutamen-te unico ed esclusivo, come un abito su misura, cucito “addosso” al cliente. Realizzazioni complete in tutte le loro parti, come si dice “chiavi in mano”, in cui l’interven-to di partners e professionisti attentamente se-lezionati garantiscono la qualità e professionali-tà richiesta. Ogni esecuzione, sia di carpenteria che di finitura, viene eseguita sotto il qualifica-to ed attento controllo del team progettista: possono essere le fondazioni o la struttura di un edificio, le scale e le ringhiere, le pavimen-tazioni, le pensiline, le verande o ancora gli ele-menti e i complementi di arredo più partico-lari come scaffali, bagni, librerie e tavoli, tutto è costantemente controllato in ogni sua fase. Materiali differenti vengono uniti e plasmati per dare origine a vere e proprie architetture, valorizzandone bellezza e trama fino ad arrivare ai serramenti per i quali la Marzero Architetture Metalliche si affida da anni ai sistemi ed ai pro-filati in acciaio e acciaio inox “Jansen”.Ogni opera rivelerà sicurezza, bellezza, e quella

impercettibile ma reale preziosità che distingue un lavoro eseguito a regola d’arte. Senza dimenticare che ogni opera realizzata è corredata di tutte le certificazioni sulla sicu-rezza e sulla corretta esecuzione previste dalle attuali normative.Testimone del risultato è il particolare rapporto che la Marzero ha saputo costruire con i più grandi architetti, non solo cuneesi, ma dell'in-tero panorama italiano, che in questa azienda trovano la risposta ad ogni loro desiderio. Ognuno di essi, nel tempo, ha contribuito alla crescita professionale con nuove idee e nuovi stimoli, e con alcuni di loro il legame è partico-larmente sentito.Un entusiasmo ed una passione che non si esaurisce mai, alimentata dalla soddisfazione dei risultati e dalle realizzazioni eseguite. Tanto che Claudio ed il suo staff, con la stessa tenacia e la stessa determinazione, sono ora pronti ad affrontare un nuovo obbiettivo: la realizzazione di serramenti di alta qualità interamente in al-luminio. Una nuova storia ed una nuova sfida in cui convogliare tutta l’esperienza acquisita, sorprendente per l’innovazione delle proposte.

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Una nuova impresa travolgente e dinamica che coinvolgerà, in un nuovo ramo societario - la “Marzero infissi” - gli stessi dipendenti. Sono proprio loro i primi a credere nel valore della propria azienda e dei suoi titolari al punto da scegliere di investirci il proprio impegno ed il proprio futuro, forti della preparazione e della conoscenza acquisita in questi anni di successi. Un’azione che dimostra da sola quanto sia in-scindibile il valore della crescita aziendale, dalla passione per il lavoro. Una fiducia che, recipro-camente, salda i rapporti fra quanti collaborano ad un obbiettivo comune: il risultato finale e la soddisfazione del committente. La filosofia del nuovo progetto è quella di sem-pre: qualità e competenza ai massimi livelli per realizzare serramenti innovativi, sfruttando le caratteristiche dell'alluminio: tagli inediti,

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leggerezza, durata e resistenza con uno stile nuovo e contemporaneo dalle linee rigorosa-mente essenziali, utilizzando l’alluminio che, dopo l’ossigeno ed il silicio è il terzo elemento più presente sulla terra; eppure è il più giova-ne tra i metalli in uso, essendo stato prodotto per la prima volta su scala industriale solo poco più di cento anni fa. Le sue caratteristiche di leggerezza e robustezza ne fanno il materiale ideale per i serramenti con la possibilità di sfi-dare nuovi limiti di forma e dimensione. È nota la sua resistenza alla corrosione, caratteristica che lo pone fra i materiali ideali per l'utilizzo in esterni, in tutte le sue possibilità. Infatti per la Marzero l'alluminio non è solo sinonimo di serramento, ma componente che diventa parte integrante in numerose realizzazioni come ele-mento strutturale nella creazione di facciate e coperture o ancora come particolare estetico nell'esecuzione di parapetti, ringhiere e rivesti-menti. Inoltre è facilmente ed economicamen-te riciclabile. I suoi scarti, così come i suoi rot-tami, hanno una valorizzazione economica po-sitiva rendendone conveniente il recupero ed il riciclo. I profili utilizzati hanno una intermi-nabile serie di finiture e colori, assecondando il gusto della committenza anche più esigente e difficile. Sono utilizzati esclusivamente profili e sistemi “Metra”, un nome di provata qualità ed efficacia.

MARZERO S.A.S. Via Mastri Cestai, 412040 - Corneliano d’AlbaTel +39 0173 [email protected]

Nella pagina a fianco:abitazione privata di Alassio, progetto Marzero s.a.s.

Stabilimento industriale di Cherasco, progetto MM Architettura Studio Associato di Bra

Sotto:i nuovi uffici Ferrero presso l'ex filanda di Alba, progetto Studio A.S. di Torino

Complesso residenziale a Torino, progetto Studio Rolla di Torino

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Chi non le ha mai viste, drappeggiate di velluto e oro, non può immaginare il fa-

scino delle colline di Langa in autunno: festoni di filari cuciti addosso ai versanti come broccati preziosi che appena finita la raccolta dei grap-poli cominciano a cambiare colore e da verdi smeraldo si fanno rosso rubino o giallo ocra, a seconda del vitigno coltivato. E il profumo del mosto che invade le contrade, di paese in paese, da Barolo a Barbaresco, spandendo il fascino di vendemmie mitiche. Fascino irresistibile per i visitatori italiani e an-cor più per gli stranieri, che hanno fatto regi-strare il 54% delle presenze in zona, oltre mez-zo milione nel 2010. Per un giorno, un week-end, una settimana, alla Langa non si rinuncia. Pregustando la stagione del tartufo che verrà.Benchè sia difficile da credere, non è più solo il

profumo di mosto e di tartufo DOVE IL VINO RINNOVA IL SUO FASCINO TRA ANTICHE MURA E NUOVE ARCHITETTURE

DI TERRY E GIANCARLO MONTALDO

vino la prima attrattiva dell’enoturista. Secondo l’ultimo rapporto Censis/Città del vino è la vo-cazione gastronomica dei territori circostanti alla meta che incide maggiormente nella mo-tivazione alla scelta di questo tipo di viaggio. Così come la specializzazione nell’offerta di un prodotto unico, inimitabile. Guarda caso la Langa questi indicatori li possiede tutti. Nello spazio di poche, fortunate decine di chilometri concentra grandi vini, grandi tradizioni gastro-nomiche e il segreto del tartufo bianco d’Alba. Sarà per questo che rimane in testa da anni nel-la classifica delle mete preferite dagli enoturisti. Ma questa non è terra per turisti frettolosi o disattenti. Da sempre è per chi sa alzare gli oc-chi dalla strada e guardarsi attorno. Le aziende vinicole spuntano dappertutto: si mimetizzano nel verde, dietro le facciate storiche nei paesi,

In uno degli angoli più suggestivi della langa, in località Monsordo-Bernardina a Gallo Grinzane, l'azienda Ceretto ha restaurato un antico casolare dell'ottocento, trasformandolo in una modernissima cantina. Simbolo dell'innovazione è “l'acino”, un edificio-scultura sospeso sui vigneti, da cui godere a 360 gradi del panorama circostante.

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scavate sotto le colline. A ben vedere c’è del nuovo in Langa, per lo più tradizionale, ma qualche volta sfacciato, perfino contradditto-rio, tuttavia da visitare. Le architetture del vino e di quello che ruota attorno al mondo eno-gastronomico da qualche anno sono diventate protagoniste. E alcune strutture sono davvero da non perdere. Il nostro itinerario inizia da Barolo, un borgo di poche centinaia di anime nel cuore della ter-ra che dà origine a questo splendido vino del Nebbiolo.Prima di entrare in paese, ai piedi della famosa la collina dei Cannubi, un edificio moderno che ne riprende il profilo accoglie la cantina di Terre da Vino. Realizzata su progetto di Gianni Arnaudo, la grande cantina è uno spettacola-re laboratorio di idee e attività, che unisce la produzione all’arte e il lavoro all’accoglienza. Tutto l’anno, le grandi vetrate che si perdono a vista d’occhio invitano alla visita, consentendo il passaggio dei turisti attraverso una passerella sospesa sulla barricaia.Il centro storico di Barolo è un grappolo di case che fa corona al castello dei Falletti (oggi pro-prietà del Comune), di recente restaurato, dove hanno sede l’Enoteca Regionale del Barolo e il Museo del Vino - il WiMu - entrambi visitabi-li. Camminare per la via che porta al castello è come tuffarsi nel passato, nell’Italia ottocente-sca di Silvio Pellico, che curò la biblioteca di casa Falletti e della marchesa Giulia Colbert di Maulevrier, che ebbe merito nella definizione del Barolo moderno, per farne dimenticare il sentore dolciastro e renderlo secco e austero.Il Museo del Vino propone un viaggio assolu-tamente originale nel mondo enoico tra imma-gini e colori, musiche e suoni, parole e gesti. Progettato da François Confino, il WiMu sfrut-ta il passaggio tra i vari piani per raccontare i tempi del vino, il vino nella storia e nelle arti, il castello e i Falletti. Al n° 1 di Via Roma, si apre il portone della Marchesi di Barolo, una bella casa padronale

nel passato appartenuta ai Falletti. Sotto il gran-de cortile sonnecchiano le vecchie cantine, vari piani interrati dove la produzione continua an-che nelle cinque grandi botti che appartennero alla Marchesa Giulia Falletti e racchiudono in sé più di 150 anni di storia. Le cantine sono visita-bili sempre, come la vineria, il punto vendita e la grande enoteca, che conserva bottiglie dagli anni Trenta ad oggi. La strada che da Barolo sale a Monforte d’Alba apre panorami ariosi verso la pianura di Cuneo. Una borgata di case bianche si delinea sulla destra, poco prima del paese, sul bricco di una collina. È il complesso settecentesco di Rocche dei Manzoni. Pazientemente ristrutturato da Valentino Migliorini, nelle antiche cantine rac-chiude un segreto inatteso: un’imponente sala rotonda in stile neoclassico completamente af-frescata con le vicende e i personaggi del vino. Visione quasi onirica da non perdere. Il vecchio centro storico di Monforte, arroccato in alto attorno alle mura medioevali, offre un’al-tra sorpresa. Giulio Perin, farmacista pentito

Fra Barolo e Monforte d'Alba si trova il complesso settecenteso di Rocche dei Manzoni che racchiude, nelle antiche cantine, un imponente sala rotonda in stile neoclassico.

A Barolo, ai piedi della famosa collina dei Cannubi, la cantina Terre da Vino appare come uno spettacolare laboratorio di idee e attività. All'interno si può visitare la grande barricaia passeggiando su una suggestiva passerella sospesa.

Nelle pagine seguenti: le Case della Saracca, nel centro storico di Monforte d'Alba, sono un complesso di edifici sapientemente restaurati lasciando inalterato il fascino del tempo. Ospitano un albergo ed un wine bar.

Nel castello Falletti di Barolo è stato realizzato Wi-Mu, spettacolare e unico museo del vino.

Veduta della tenuta di Fontanafredda, tappa essenziale per gli eno-turisti. UN

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trasformatosi in oste per amore del Barolo, ha ricavato dalle vecchie Case della Saracca, oggi collegate da corridoi scavati nella roccia, un piccolo albergo su tre piani e un fornitissimo wine bar. La ristrutturazione monacale in pie-tra, cristallo e acciaio corten curata da Marco Poncellini dà effetti estremamente suggestivi. Chi può resistere al fascino di una notte in pie-no medioevo, nella stanza detta degli amanti, con letto a baldacchino sospeso? Venendo da Monforte via Roddino la strada per Serralunga d’Alba regala una discesa mozzafia-to, curve tortuose che guardano est e ovest, un crinale dopo l’altro.In località Boscareto, alla sinistra della strada, dove c’era un vecchio cascinale circondato dai vigneti oggi sorge il Boscareto Resort, lussuo-sa e discussa struttura recettiva, tutta vetro e cemento, che però ha il merito di offrire, in-sieme a grande cucina e grandi vini, una spet-tacolare balconata sul disegno ininterrotto di colline, valli e vigne. Una volta scesi a valle, alla vostra destra comin-cia il grande regno di Fontanafredda.Diceva una pubblicità degli anni settan-ta: “Fontanafredda è un’isola, intorno il Piemonte”. Ma oggi Fontanafredda è “l’isola che c’è” e dedica grandi spazi alla vite e all’uo-

IL BAROLOUn tempo, il Barolo era il vino della nobiltà, oggi lo è della potenza e ricchezza olfatti-va. Accanto alla storia, è stata la legge a sancirne qualità e blasone. Nel 1966 il Barolo è diventato Doc, nel 1980 Docg e nel tempo è cresciuto in qualità e piacevolezza. Come vogliono legge e tradizione, il Barolo nasce dal Nebbiolo coltivato in undici pa-esi di collina, in Langa, dove occupa i versanti assolati e protetti: Barolo, Castiglione Falletto e Serralunga d’Alba per l’intero territorio, Cherasco, Diano d’Alba, Grinzane Cavour, La Morra, Monforte d’Alba, Novello, Roddi e Verduno solo in parte.Dopo la maturazione minima di tre anni, nel calice brilla un colore granato che ri-corda i mattoni al tramonto, si libera un profumo complesso che unisce il fruttato, le spezie e l’etereo e la pienezza del sapore diventa ricchezza e persistenza.Di questo nettare nel 2010 sono state prodotte 11.985.000 bottiglie che raggiunge-ranno le tavole del mondo intero.

Per un giorno, un weekend, una settimana, alla Langa

non si può rinunciare.

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mo. Fontanafredda è 100 ettari e più di vigneti, ma è anche il bosco dei pensieri, è il grill-gar-den, è il wine shop, è teatro, in una parola è un borgo, quasi un paese nel paese. Delle case, la parte fuori terra è dedicata all’uomo. Ma la parte interrata, con mura possenti e arcate inattese, stretti cunicoli e maestose scalinate, è tutta per il vino. Una tappa essenziale per gli enoturisti. Si arriva ad Alba percorrendo la strada che da sempre unisce Barolo alla città delle “cento torri”, passando per Gallo Grinzane, crocevia che smista il traffico della zona. Sulla destra incombe la mole possente del Castello che fu di Cavour. Sulla sinistra le colline di La Morra e Verduno, dove il castello che fu di Carlo Alberto ospita un ristorante della tradizione e le antiche cantine che maturavano il vino del re, ancora oggi visitabili. Poco più avanti, in località Monsordo-Bernardina, l’azienda Ceretto, dopo il cubo di vetro e la cappella multicolore di Lewitt, ha portato a termine una nuova provocazione architettonica, un padiglione rotondo e traspa-rente, dove è possibile “degustare il vino degu-stando il panorama”: è l’Acino ideato da Luca e Marina Deabate, visibile anche dalla strada. Riprendendo a salire le colline, da Alba la strada conduce alla zona del Barbaresco, oltre la val-letta che diede i natali all’imperatore romano Publio Elvio Pertinace. Man mano che si sale, compare orgogliosa la torre medioevale di Barbaresco, unita un tempo da un passaggio segreto al castello che oggi appartiene alla can-tina Gaja. Adibito solo all’accoglienza azienda-le, ha subito una bella ristrutturazione che lo ha riportato allo splendore di un tempo. Disposti sui due lati della via principale, il castello e l’a-zienda sono uniti da un collegamento sotterra-neo, che conduce anche all’ultima, ardita rea-lizzazione: la cantina-magazzino di cinque piani completamente interrata nel profilo collinare e appena visibile dall’esterno. Anche questa è architettura del vino.

LUOGHI DEL GUSTO WI-MU WINE MUSEUM CASTELLO DI BAROLO Piazza Falletti - 12060 Barolo CN tel. 0173 386697 - fax 0173 380714www.wimubarolo.it

MARCHESI DI BAROLOVisita cantine e degustazione ditre vini: 9 euroVia Roma, 1 - 12060 Barolo CN tel. 0173 564400 - fax 0173 564444 www.marchesidibarolo.com

PODERE ROCCHEDEI MANZONIVisita cantine e degustazione di tre vini: 15 euroLoc. Manzoni Soprani, 312065 Monforte d’Alba CN tel. 0173 78421 - fax 0173 787161 www.rocchedeimanzoni.it

LE CASE DELLA SARACCA Vinobar Salumeria e Cantina con Cucina e CamereVia Cavour, 312065 Monforte d’Alba CN tel. 0173 789222 www.saracca.com

LA CIAU DEL TORNAVENTO Piazza Baracco, 712050 Treiso CN tel. 0173 638333 - fax 0173 638352 www.laciaudeltornavento.it

FONTANAFREDDA Visita cantine e degustazione di tre vini: 10 euroVia Alba, 1512050 Serralunga d’Alba CN tel. 0173 626184prenotazione indispensabile via e-mail: [email protected] www.fontanafredda.it

CASTELLO DI VERDUNO Visita cantina storica e degustazione: 6 euroVia Umberto I, 912060 Verduno CN tel. 0172 470284 www.castellodiverduno.it

CERETTOVisita cantina e acino e degustazione di tre vini: 15 euro.Seminario D.O.C e D.O.C.G, visita tenuta e degustazione di quattro vini: 25 euro.Loc. San Cassiano, 34 - Alba CNtel. 0173.282582 - www.ceretto.it

CASTELLO DI NEIVE visita cantine e degustazione di tre vini: 12 euroVia Castelborgo, 112052 Neive CN tel. 0173 67171 - fax 0173 677515 www.castellodineive.it

LA BORSA DEL TARTUFOwww.tuber.it

IL BARBARESCODa sempre, il Barbaresco è il vino dell’armonia e accompagna la tavola con grande eleganza. La piacevolezza dei suoi caratteri si esprime in un colore granato vivo e in-tenso, in un profumo che confonde le fragranze di frutti e fiori con il patrimo-nio prezioso delle spezie e dell’etereo e nel sapore pieno, caldo e persistente, dove l’equilibrio diventa piacere.Come per il Barolo, la legge ne ha san-cito la qualità nel 1966 (Doc) e poi nel 1980 (Docg).Nasce dal Nebbiolo sui versanti pieni di sole dei paesi di Barbaresco, Neive e Treiso, ai quali si unisce la piccola frazione di San Rocco Seno d’Elvio di Alba. Accompagnato dal rigore dei vi-ticoltori e dalla saggezza dei cantinie-ri, dopo due anni di invecchiamento è pronto per il mercato. Nel 2010 le vigne del Barbaresco hanno prodotto 4.435 mila bottiglie, con un mercato rivolto a tutto il mondo, ma che conti-nua a privilegiare la realtà italiana.

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In realtà, nelle terre del Barbaresco, sono le ge-ometrie dei vigneti a impreziosire il paesaggio: filari pettinati che si rincorrono e s’intrecciano in un affascinante labirinto. Dal punto di vista produttivo prevalgono le piccole esperienze, che hanno seminato le colline di “case-azienda” di mattoni rossi.Fanno eccezione la maestosa Tenuta Cisa Asinari dei Marchesi di Gresy, che alla Martinenga ha fatto rivivere uno splendido casolare dei secoli passati senza rinunciare al fotovoltaico e la Cooperativa Produttori del Barbaresco che ha compiuto un efficace re-styling della cantina di produzione con un ritor-no al tetto di coppi elegantemente inserito nel verde. Tra le colline del Barbaresco è il Castello di Neive che segna il rapporto con la storia: sale affrescate e arredi d’epoca accolgono i vi-sitatori più attenti. Situato nel cuore di uno dei borghi più belli d’Italia, ospita nelle maestose cantine la produzione del Barbaresco e le pupi-tres di prestigiosi spumanti, mentre nel cortile interno sostano ancora un grande torchio ed una pesa gigantesca che risalgono alla metà dell’ottocento. Così come il vino, anche la cuci-na e l’ospitalità dispongono di tanti piccoli luo-ghi di accoglienza, osterie, trattorie, enoteche e vinerie che tutto l’anno intercettano il flusso turistico che percorre queste colline. Tra tutti, spicca il prestigio della Ciau del Tornavento che Maurilio Garola e Nadia Benech hanno rea-lizzato sul baluardo collinare di Treiso: la ricon-versione di un edificio anni ’30 in perfetto stile littorio in uno splendido ristorante che sfrutta l’aria di modernariato per inserire particolari chic come il caminetto stilizzato in rame e la balconata marina style.Treiso è il posto giusto per godersi il sole al tramonto che lascia le parti più basse nella pe-nombra, mentre sulla collina le vigne continua-no a catturare la luce e l’orizzonte comincia a vestirsi di tinte pastello. Il Monviso le osserva maestoso, certo felice di avere dirimpetto un paesaggio così.

IL TARTUFOPura essenza, né più né meno. Il tartu-fo bianco d’Alba è solo questo. Quello che la leggenda racconta essere figlio di un fulmine scagliato da Giove conti-nua ad essere un mito, nonostante gli studi e le analisi chimiche. Dal punto di vista scientifico non si differenzia granchè dai suoi parenti meno pre-giati: pochissimi lipidi e glucidi, una trascurabile percentuale di proteine, un po’ d’azoto, poche elementi e tanta acqua, più dell’80%. Una formula che non risolve l’interrogativo sulle sue qualità afrodisiache. Allora da cosa deriva il suo fascino? Solo dal suo pro-fumo, intenso, inebriante, misterioso. Un profumo che si esalta al calore, ma si disperde miseramente nella cottu-ra. Si conserva al fresco e si consuma solo crudo. Alla Borsa del tartufo, nella stagione 2010, è stato stimato attorno a 220 euro all’etto. Ma nelle annate scarse come il 2007 ha raggiunto an-che quotazioni di 450 euro all’etto. Del resto, chi si sognerebbe di discutere il prezzo di uno Chanel n.5?

Nel Castello di Neive sale affrescate e arredi d'epoca accolgono i visitatori che nelle cantine interrate

possono scoprire i segreti del Barbaresco.

La torre medioevale di Barbaresco domina il piccolo borgo in cui si distingue il castello, oggi

sede della cantina Gaja.

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Antico Borgo MonchieroLocalità Monchiero Alto, 3 - MONCHIERO [CN]

Tel. +39 0173 792190 - [email protected] - www.marachellagruppo.it

A Monchiero Alto, in provincia di Cuneo, si torna indietro nel tempo fino al Settecento, quando al Santuario della Madonna del Rosario giungevano i pellegrini e trovavano rifugio nella casa canonica adiacente.

Il Marachella Gruppo ha recuperato lo storico edificio per trasformarlo in un prestigioso hotel a 4 stelle: l’Antico Borgo Monchiero. L’edificio ha rinnovato la vocazione all’accoglienza adattandosi alle esigenze dei tempi. L’arredamento è raffinato e le camere sono dotate di ogni confort: aria condizionata, connessione wi-fi, safety deposit box, televisione satellitare.

La piscina e il solarium sono collocati nei giardini, accanto ai frutteti, la ristorazione propone il meglio della produzione enogastronomica locale e dalla terrazza si gode il panorama delle Langhe.

Le finestre aperte tra le spesse mura offrono al viaggiatore squarci suggestivi sulle colline ed esistono chicche come il centro benessere scavato nel tufo, la sala conferenze adorna di marmi e stucchi, le scritte in latino sulle lunette, per riscoprire il passato attraverso la memoria dei secoli.

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Cosa metta d’accordo il pesce azzurro del Mediterraneo con la Rocca Provenzale e

cosa combini meravigliosamente il profumo di mare con l’aria frizzante dei 2000 metri, nessu-no potrebbe indovinarlo su due piedi, se non sapesse che stiamo parlando di Valle Maira. Fessura profonda tra rocche e vette altissime, la Valle Maira, a dispetto del nome (maira si-gnifica “magra” in Piemontese), è uno scrigno di piccoli grandi patrimoni culturali e gastrono-mici che si fatica ad elencare, poiché qui ogni pietra, ogni strada e ogni sentiero parla della propria storia e di chi l’ha percorsa tante vol-te per sfuggire alla miseria di un tempo. Uno di questi grandi tesori nascosti è l’Engraulis encrasicolus, detta comunemente “acciu-ga”, un pesce umile, popolare e forse un po’ “snobbato” dalla cultura gastronomica fino a

acciughedi montagnaLA PROVINCIA DI CUNEO HA DATO I NATALI A NUMEROSI ACCIUGAIA CUI SI DEVE LA DIFFUSIONE DEL NOTO PESCE AZZURRONELLA NOSTRA CUCINA TIPICA

DI VANINA MARIA CARTA

qualche decennio fa, che tuttavia ha portato con sé ricchezza e fortuna in terra sabauda. E proprio quel pilastro della nostra cucina regio-nale - poiché senza l’acciuga non avremmo la nostra tanto amata bagna caoda - nasce dalla commistione tra il mare e la montagna, tra la cultura del pesce e quella del burro, dall’incon-tro tra i commercianti ittici e i montanari della Valle Maira. Il “salto dell’acciuga” dal mare alla montagna ha origini antiche e rimanda a una storia che parla non di un mestiere ma di tanti mestieri itineranti - come quello dell’acciugaio - che portavano i valligiani a scendere in pianura durante il durissimo periodo invernale d’alta quota, per trovare i mezzi di sostentamento. L’emigrazione stagionale divenne, a cavallo dei secoli XIX e XX, un fenomeno che coinvolgeva

Un pesce tanto piccolo e umile ha fatto la storiae l'economia di una vallata. Ma non solo, perché si è identificato con un mestiere antico,quello dell'acciugaio, che non è andato perduto, ma ha trovato nuove forme nel tempo, fino a oggi.

Nella pagina seguente: Scorci suggestivi di Celle Macra. Da qui provenivano alcuni dei grossisti più importanti, come Giacomo Salomone e Giacomo Martini, entrambi presenti sul mercato di Milano. photo: Giorgio Sandrone.

Un classico Piemontese: l’acciuga arrotolata nel peperoncino piccante sott’olio. photo: GEM Photography.

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una buona parte della popolazione maschile della vallata e che riguardava un numero im-precisato di mestieri, tra questi alcuni davvero singolari e ormai scomparsi: oltre agli acciugai (anciué), arrotini, bastai, bottai, calderai, cal-zolai, carbonai, cardatori, pastori, raccoglitori di salnitro, scaricatori di porto, spaccapietre e venditori di tele (soprattutto di canapa, colti-vata in valle). E poi c’erano quei cavié di Elva (pelsiers in occitano, da pèls “capelli”) che in pianura vagavano di casa in casa a ritirare i ca-pelli femminili, i quali venivano poi trattati e la-vorati dalle donne di valle, e venduti soprattut-to all’estero per la fabbricazione di parrucche. I mezzi, in una vallata così stretta e difficile da coltivare, erano pochi, e così l’ingegno si sfor-zava di trovare il modo di sopravvivere con le risorse reperibili, dai capelli ai prodotti della terra, e come spesso accade, le sorti di questi mestieri si intrecciavano in scambi commerciali oggi improbabili. E proprio da uno scambio, quasi beffardamen-te, parte la nostra storia, l’epopea degli acciugai che, in forme diverse, ancora oggi si perpetua.Nel nostro "viaggio nel passato" ci accompa-gna Riccardo Abello, nipote di quel Giacomo Salomone di Celle Macra che, forte di un fiuto speciale per gli affari - e per le acciughe - ha tra-mandato ai propri discendenti la passione per questo mestiere. Oggi Riccardo Abello è titolare di un’azienda leader nel settore del pesce salato, ed è il fau-tore e il Presidente della Confraternita degli Acciugai (www.confraternitadegliacciugai.it).

Come arriva l’acciuga in Valle Maira?Difficile distinguere tra leggenda e realtà; tut-tavia l’ipotesi più plausibile rimanda a un mo-mento di scambio tra un contadino della valle che, giunto a Genova per vendere i capelli della moglie, finì per barattarli con un barile di acciu-ghe, il quale a sua volta dovette fruttare bene sulla via del ritorno. In questo immaginario intriso di mitologia, non bisogna dimenticare

il ruolo del sale, quell’oro bianco che garanti-va la conservabilità dei cibi, indispensabile ma storicamente sottoposto a dazi: ecco allora che le acciughe, ben sistemate sulla superficie dei barili, nascondevano il sale, “importato” così di frodo dalla costa fino alle montagne.

Come si diventava acciugai e come si diffuse il mestiere?La vita itinerante dell’acciugaio - venditore ambulante di pesce salato che quasi creava una simbiosi con il proprio carretto e la pro-pria merce - era dura e l’aiuto dei garzoni era indispensabile. Fu così che dopo le prime gene-razioni dei più anziani, originari soprattutto di Moschieres (oggi frazione di Dronero), arrivò l’ondata dei garzoni che provenivano anche da altre zone come quella di Celle di Macra. Spesso erano ragazzini di 12-13 anni a cui veni-va affidato “un giro”, come a piccoli ambulanti in erba che lavorano con ogni condizione cli-matica, tirando carretti spesso sovraccarichi. Come avvenne per i cavié, gli anciué giunsero lontano, colonizzando tutta la Pianura Padana.

STORIA D’ACCIUGHEConsiderata fin dal Medioevo cibo povero per eccellenza, poiché emblema della Quaresima e della mortificazione (non a caso costituiva il “premio” destinato all’ultimo classificato al Palio di Asti, alla fine del XIII secolo), l’acciuga iniziò ad occupa-re un posto d’onore sulle mense dei più ricchi a partire dal Rinascimento, anche se la vera “riabilitazione” avven-ne più tardi, con Pellegrino Artusi e il trattato La scien-za in cucina e l’arte di mangiar bene (1891). Artusi riscoprì gli ingredienti “popolari” della cucina italiana, facendo dell’acciuga uno dei segreti di molte salse. Oggi la reinterpretazione in chiave moderna delle eccellenze regionali rappresenta l’obiettivo di molti chef blasonati, e la bagna caoda è riproposta in innumerevoli varianti e abbinamenti, dalle versioni puriste, alcune realizzate con olio di nocciola come avveniva in origine (quando l’olio di oliva era ancora raro nelle nostre vallate), alle forme della nuova avanguardia gastronomica.

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Sebastiano Rovera (‘l loup) o i Delpui. I carichi venivano poi smistati e inviati via treno ai depositi delle grandi città (Milano, Torino, Asti, Cuneo), dove si approvvigionavano diret-tamente gli acciugai o altri grossisti che gestiva-no a loro volta squadre di venditori. Ma come spesso accade, anche “i piccoli garzoni cresco-no”: i ragazzi più spigliati e brillanti si misero in proprio, diventando a loro volta grossisti o piccoli imprenditori, e favorendo la diffusione capillare del mestiere.

Come si è evoluto nel tempo il mestiere dell’anciué?La vendita ambulante ai mercati (con posto fisso) si diffuse a partire dagli anni Cinquanta, proprio quando molti iniziarono a mettersi in proprio. E fu proprio in concomitanza con il primo dopoguerra che si assistette a un nuo-vo grande mutamento: la motorizzazione. Dal carretto, rigorosamente costruito in Valle Maira (quasi tutti i carretti degli acciugai, tipicamente dipinti di blu, erano prodotti in Frazione Tetti di Dronero), si passò a mezzi a tre ruote come il mitico Ercolino Moto Guzzi, oppure il Gilera 500, e poi la Balilla a tre marce, per finire con il

Con il tempo, a seconda delle delle aree di provenienza della Valle Maira, si crearono delle vere e proprie zone di attività: i garzoni raggiungevano i parenti e le “colonie” si allarga-vano. Ad esempio a Milano arrivavano quelli di Celle; quelli del Vallone della Margherita si sta-bilivano nel basso Piemonte, mentre Torino e il Canavese erano le destinazioni degli acciugai di Paglieres e Soglio.

Come avveniva l’approvvigionamento del pesce? Le prime zone di approvvigionamento erano quelle sulla costa ligure, in particolare Genova, dove il pesce arrivava dalla Spagna oppure dalla Sicilia, già lavorato e salato. Gli acciugai lo cari-cavano sulle some e lo portavano in pianura, attraverso le antiche vie del sale che valicavano le Alpi e gli Appennini liguri.Il sistema cambiò radicalmente all’inizio del se-colo scorso, quando il commercio del pesce sa-lato prese piede: i più anziani diventarono gros-sisti, acquistando interi carichi di pesce, come faceva mio nonno, Giacomo Salomone, detto ‘l sciai, insieme a personaggi come Giacomo Martini (‘l capural), Giacomo Rovera (Net),

SAPORE DI SALE

La lavorazione e la conservazione delle acciughe sotto sale rappresenta un’attività quasi totalmente artigianale, poiché necessita di un lungo periodo di tempo e di molta manodopera, in particolare femminile. Non esistono, infatti, macchinari in grado di sostituire le donne nella selezione del pesce in base alla pezzatura, nella sua eventuale pulizia, diliscatura e filettatura, e nella fase di disposizione all’interno delle latte. Per la produzione delle latte, ad esempio, dopo la scapatura (asportazione delle teste), le acciughe sono divise per pezzatura e da quel momento l’operazione non può essere interrotta fino all’inscatolamento. Dopo essere state disposte a strati con il sale all’interno della latta, viene aggiunto un colletto plastico che ne raddoppia il volume (sono necessari 16-18 kg di prodotto fresco per ottenere 10 kg di acciughe pressate e salate). A questo punto sulle latte si porranno dei pesi che presseranno il pesce in 1-2 settimane, spurgandolo delle impurità (viscere, grasso, acqua) e facendolo scendere al livello del bordo. Successivamente, inizia un periodo di “decantazione”. Le latte vengono poste in torri di pressatura, dove subiranno diverse operazioni tra cui un ulteriore spurgo di grasso, il lavaggio esterno ogni 2-3 giorni e il cambio della salamoia ogni 2 settimane. E dopo 120 giorni le nostre acciughe sotto sale sono pronte per la vendita.

Acciughe marinate. photo: Donatella Simeone

(www.ilcucchiaiodoro.blog.tiscali.it)

Nella pagina seguente:Giacomo Salomone, nonno di Riccardo Abello,

tra fusti di acciughe (1946). photo: Riccardo Abello.

Sotto: la pesca del pesce azzurro (inizio XX secolo) a Cogoleto (Ge)

photo: Comune di Cogoleto.

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campion-negozio negli anni Sessanta, utilizzato ancora oggi. Fu così che la vendita porta a porta si trasfor-mò progressivamente in quella che è ancora oggi la vendita ambulante.La nascita dei primi supermercati fu un altro duro colpo, a cui però gli acciugai seppero rispondere in modo adeguato, diventando gestori di piccole botteghe itineranti dove il prodotto era di qualità superiore, e soprat-tutto proponendo una vasta gamma di pesce conservato, che andava dal merluzzo salato, allo stoccafisso e alle aringhe affumicate, dal tonno alle sarde, e poi olive e conserve di ogni tipo. Oggi molti di quei camion-negozio sono diventati botteghe e gastronomie “stanziali” di alto livello, negozi per gourmet, dove l’ac-ciuga non è più “il cibo dei poveri”, ma una chicca gastronomica ricercata e la qualità del-la merce non è quella reperibile nella grande distribuzione.

Tra i mestieri itineranti, quelli dell’anciué e del cavié sono tra i più conosciuti. Come hanno influito sull’economia e la storia della vallata?Si può dire che il giro dell’anciué fosse in dire-zione opposta a quella del cavié: se quest'ulti-mo si spostava a valle per comprare o barattare i capelli e riportarli in alta valle (Elva) in prima-vera inoltrata, dove i fremo (le donne) li avreb-bero lavorati, il primo scendava fino in Liguria, prima per acquistare il pesce, e in un secondo momento per organizzare per la vendita am-bulante, diretta fondamentalmente in pianura. Il mestiere dell'acciugaio in prima battuta fu causa di un significativo spopolamento per la vallata, poiché gli anciué tornavano soltanto a maggio dal loro giro e portavano con sé un gran numero di giovani, forza lavoro rubata alla fatica contadina. Tuttavia, alla lunga, l'attività produsse ricchezza e sviluppo, sopravvivendo alla Guerra e alla modernità trovando poi uno

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sviluppo nell’industria o nel commercio del pe-sce conservato. Ne è la dimostrazione il fatto che alcuni discendenti di quegli anciué oggi sono diventati imprenditori o sono rimasti in attività nel settore ittico. In altri casi, alcune famiglie si trasferirono in Spagna, dove nacquero grandi aziende (come la Fredo, fondata da Chiaffredo Nasari). Tutto ciò purtroppo non si può dire per i cavié, un mestiere andato totalmente perduto. Per gli anciué, quindi, la storia è stata più generosa sul lungo periodo e oggi molte delle giovani generazioni, impegnate nel settore, possono affermare con orgoglio di perpetuare una tra-dizione antica, che ha contribuito alla fortuna della nostra cultura gastronomica.

LUOGHI DEL GUSTO GASTRONOMIA ALDO GHIOVia Brofferio,10 - Dronero (CN)tel. [email protected](gastronomia, pasta fresca, pesce con-servato e prodotti sotto vetro)

LOCANDA DEI GELSI Via della Resistenza,22Villar San Costanzo (CN)tel. +39.0171.910062cell. +39.338.3317782 [email protected](Locanda Occitana)

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PALÈNTLoc. S. Antonio, Via Centrale 6San Damiano Macra (CN)tel. +39.0171.900400Fax +39.0171.900942www.palent.it(liquori e infusi biologici)

CASEIFICIO VALLE MACRAVia Fratelli Isaia, 24Villar San Costanzo (CN)tel. +39.0171.902162(Toma della Morra)

MUSEO SELESDEI MESTIERI ITINERANTI Confraternita di San Rocco, Borgata Chiesa - Celle di Macra (CN)Info: Espaci Occitan - Via Val Maira 19 - Dronero (CN)tel/fax +39.0171.904075 [email protected] www.espaci-occitan.orgInfo e prenotazioni: Comune di Celle di MacraBorgata Chiesa 1 - Celle di Macratel. [email protected] www.celledimacra.cn.it

L'ACCIUGA NEL PIATTORicette di acciughe per tutti i gusti di Diego Crestani e Roberto Beltramo, I Libri della Bussola, Dronero. Storia, tradizione, pesca e lavorazione delle acciughe accompagnano un ric-co ricettario per un’opera completa, che mostra tutta la versatilità di questo umile pesce azzurro: dal tipico “pane burro e acciughe” alla bagna caoda e agli abbinamenti più disparati, in più di 50 soluzioni differenti.

Regina della tradizione gastronomica piemontese come di quella meridionale, l’acciuga dimostra una versatilità straordinaria in cucina.

Ecco un altro grande classico, semplicissimo da preparare: la pasta con le acciughe. photo: Silvia Crucitti (www.kitchenqb.it).

Sotto: il Museo Seles dei Mestieri Itineranti a Celle di Macra.

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Le prime edizioni della Fiera del Marrone risalgono alla fine degli Anni ‘30, in piazza

Galimberti. Cuneo era infatti uno dei più forniti centri di prodotti castanicoli del nord Italia, gra-zie ai numerosi castagneti delle frazioni e delle valli circostanti. L’idea della Fiera nasce quin-di per creare un grande evento, da affiancare all’annuale mercato delle castagne che si svol-geva in quella che oggi è via XX settembre. Con l’inizio della II Guerra Mondiale la Fiera viene sospesa e soltanto nel 1999 se ne recupera l’eredità, quando Edue Magnano, da poco no-minato nella neonata Azienda Turistica Locale, ha l’intuizione di promuovere la città attraver-so un prodotto tipico: riscoprendo quanto era stato fatto negli Anni ’30, Magnano individua la castagna. Rinasce così la Fiera del Marrone, che riscuote

la capitale dei marroniA CUNEO, UNO DEGLI APPUNTAMENTI DI MAGGIOR SPICCO PER LE PRODUZIONI TIPICHE DEL TERRITORIO PIEMONTESE. MA COME È NATA L’IDEA?

DI FABIO GUGLIELMI

subito un grande successo: via Roma si riem-pie di espositori, di castagnari e di profumo di caldarroste. L’idea di Magnano non si limita però al solo mercato, ma vuole da subito carat-terizzarsi come un punto di riferimento per gli operatori del settore. Grazie agli stretti rappor-ti con l’ambiente universitario, fin dalla prima edizione trova grande spazio la parte scientifi-ca, con convegni e tavoli di lavoro sulle princi-pali problematiche della castanicoltura.Con la 2a edizione iniziano però i primi proble-mi. L’Aazienda Turistica Locale si defila dall’or-ganizzazione e Magnano si trova costretto ad “inventare” un nuovo soggetto promotore: na-sce così l’Associazione per la valorizzazione del-la castagna, che assume la titolarità della Fiera. L’Associazione, di cui fanno parte il Comune di Cuneo, la Coldiretti, l’Unione industriale

Le caldarroste, castagne arrostite sul fuoco, nella classica padella forata, sono le protagoniste dell'autunno cuneese. Nel secondo week-end di ottobre la Fiera Nazionale del Marrone attirerà a Cuneo migliaia di visitatori facendo rivivere una tradizione che risale alla fine degli Anni '30.

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CURIOSITÀ• Nei primi anni del ‘900 la castagna di Cuneo era famosa anche all’estero, tant’è che negli

USA la castagna era chiamata “le Cuneo”• La prima IGP cuneese è stata la castagna• San Rocco Castagnaretta deve il suo nome ai molti castagneti che un tempo si trovavano

in quella zona dell’altipiano di Cuneo• Durante la terza edizione della Fiera sono comparse le Castamele, ovvero delle mele

che riportavano una sagoma di castagna sulla buccia. Per realizzarle sono state attaccati, a mano, centinaia di bollini a forma di castagna sulle mele in maturazione sulla pianta.

• Nelle edizioni successive nacque la Castanella, ovvero una caramella di castagna, realizza-ta facendo essiccare le castagne in modo da poterle succhiare

• Nel 2009 alla Fiera hanno partecipato anche delegazioni della Camera di Commercio da Houston (USA) e dalla Grecia

• Nelle ultime edizioni la conferenza stampa di presentazione della Fiera si è svolta a Torino, presso Eataly

• Nell’edizione 2010 la Fiera ha raggiunto il pareggio di bilancio, non andando a pesare sul bilancio del Comune di Cuneo

• Nell’edizione 2010 sono state consumate 250 quintali di castagne, che corrispondono a circa 165.000 sacchetti di caldarroste

• Nel 2009 e 2010 la percentuale di occupazione degli alberghi nel raggio di 10 km da Cuneo superava il 70%

• L’indotto della Fiera, tra spese dirette, prodotti venduti e incassi di alberghi, bar e risto-ranti, si aggira sui 4 mln di euro

• Nel 2009 alla Fiera hanno partecipato come ospiti gli alfieri della Contrada della Selva, con cui Cuneo è gemellata fin dal 1959

• Durante la Fiera si celebra anche l’adunata degli “Uomini di Mondo” (dalla famosa frase di Totò), cioè di quanti hanno fatto il militare a Cuneo

e la Comunità montana Gesso Vermenagna e Pesio, forma una commissione per selezionare gli espositori e redige un disciplinare tecnico per richiedere l’IGP per la castagna Cuneo, in modo da dare un valore aggiunto al prodotto.«La Fiera è solo un momento della vita dell’as-sociazione - amava ripetere Magnano - quello in grado di dare visibilità. Il vero scopo è pro-muovere la castagna, aiutare l’agricoltura e favorire il recupero dei boschi.» La castagna poteva infatti fare da traino per gli altri prodotti del territorio, creando un circuito virtuoso tra le eccellenze gastronomiche cuneesi. La chiave di tutto è quindi promuovere il consumo delle castagne, facendone un prodotto usato tutto l’anno. Anche per questo durante la Fiera ven-gono organizzate cene a tema con alcuni chef “stellati” di grande richiamo, mentre i ristorato-ri della città sono invitati ad inserire nei menù almeno un piatto alle castagne. Nelle edizioni successive la Fiera continua a crescere, ma necessita di professionalità sem-pre maggiori: per questo nel 2004 viene ceduta la titolarità dell’organizzazione al Comune di Cuneo («È stato come dare una figlia in adozio-ne» dirà Magnano). L’Associazione infatti, pur continuando a gestire la Fiera, aveva bisogno di supporto e l’ingresso del Comune dà un forte segnale in questo senso. La spinta propulsiva delle prime edizioni va però scemando e, no-nostante il prestigioso riconoscimento di Fiera di interesse regionale del 2005, per un paio di edizioni vive una fase di stanca. È nel 2007, in quello che è definito “l’anno della svolta”, che la Fiera ritrova il suo slancio. Con la 9a edizione si creano infatti i presupposti perché la Fiera diventi quella sognata dal suo ideatore (Edue Magnano purtroppo non potrà vederla, perché è mancato 2 anni prima). Nel 2007 nascono così i saloni tematici, che ridisegnano la Fiera e i suoi spazi, e viene redatto, grazie anche al con-tributo di conoscenze di Slow Food, un nuovo disciplinare per gli espositori, maggiormente stringente. Nel 2008 si completa il percorso

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iniziato l’anno precedente, per merito anche di Domenico Giraudo, da poco nominato as-sessore al Commercio col compito di seguire la Fiera. Grazie forse alla sua giovane età il neo assessore guarda alla Fiera con occhi nuovi e decide di ripensarla completamente. Cambia la disposizione degli stand (dalla doppia fila centrale che guarda ai portici alle 2 file laterali orientate al centro), rinascono con nuova lin-fa i laboratori, divisi tra quelli sensoriali (Alle origini del gusto) e quelli artigianali (i Mestieri artigiani), ma soprattutto viene data maggio-re importanza alla comunicazione, elemento in grado di far crescere la Fiera in termini di presenze e di prestigio. Nel 2009 si colgono i frutti del rinato entusiasmo: il Marrone diventa Fiera nazionale, nasce il Padiglione del Mobile per il legno di castagno e trovano spazio i birri-fici artigianali e la carne piemontese, oltre agli spettacoli ripetuti durante tutta la giornata. Aumentano ancora gli espositori, che oramai coprono tutte le regioni italiane e molti paesi stranieri, e la Fiera si trova ad aver bisogno di nuovi spazi: si allarga così a Piazzetta Audiffredi, Piazza Torino e, per la prima volta dopo gli Anni ’30, ritorna su Piazza Galimberti. Nascono ini-ziative collaterali alla Fiera, come le proposte turistiche di Conitours e di Terre di Granda, e ritrova spazio la parte scientifica, con Castanea, il 1° Congresso Europeo sul Castagno, che riu-nisce a Cuneo studiosi, professionisti e tecnici provenienti da tutto il mondo.Il salto di qualità è certificato l’anno successivo dai patrocini del Ministero dell’Agricoltura e del Turismo e dalle importanti partnership con Terra Madre e Eataly, che nei giorni della Fiera diventa vetrina della castagna IGP e delle eccel-lenze cuneesi. Gli espositori crescono ancora (saranno 240) e la Fiera si allarga ancora, fino a coprire metà piazza Galimberti. Il sogno di Magnano finalmente si è avverato: attorno alla castagna, la Fiera è diventata una vetrina delle eccellenze del territorio e un punto di riferi-mento per la castanicoltura italiana.

Una foto storica del mercato delle castagne, in via Roma, dove i raccoglitori del piccolo frutto arrivavano dalle vallate circostanti con sacchi e carri ancora trainati da cavalli.

In basso: la fiera Internazionale del Marrone attira migliaia di visitatori fra gli stand che hanno sostituito i banchi ed i sacchi di tela delle prime edizioni. Oggi, come allora, tutto si svolge nella centrale via Roma.

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LifeStyLeL'ARTE DAL SALELa Via del Sale, mostra internazionale di “arte contemporanea dal Roero alla Langa sino al mare”, è alla sua ottava edizione. Realizzata dall'Associazione Il Fondaco (www.ilfondaco.org) con il sostegno della Regione Piemonte, la Via del Sale 2011, è dedicata alla memoria dello scrittore Nico Orengo, che insieme a Silvana Peira è stato il curatore di tutte le sette precedenti edizioni. Gli artisti allestiscono le loro opere in alcuni dei paesi che gli scorsi anni hanno ospitato la rassegna: Canale Enoteca Regionale del Roero, Bergolo , (Pieve di S. Sebastiano), Levice (chiesa di San Rocco), Prunetto (castello degli Scarampi), Monesiglio (ex Filanda), Camerana (Chiesa di S. Antonio), Final Borgo (chiostro di S. Caterina). Il percorso riscrive lo snodarsi della Via del Sale, l'antica strada del commercio che portava dai monti al mare e che ancora oggi collega i luoghi in cui si svolge la manifestazione. La mostra è visitabile sino al 16 ottobre.

A SANTO STEFANO BELBO IL MARE SULLA PELLELe foglie lentamente cadono. La bruma fa capolino. L’autunno è stagione: inevitabile e cadenzata. Nessuna opposizione, ma una possibilità: sulla pelle ancora sale, per fare emergere raggi d’estate dentro sé. È questo il sogno che si può realizzare in Langa, dove esiste un vecchio monastero trasformato nel Relais San Maurizio, Luxury Spa Resort.“Salus per aquam”, dicevano i latini. Ben venga, dunque, questa Spa a Santo Stefano Belbo. L’acqua di San Maurizio sgorga dalla roccia su cui sorge il vecchio Monastero. È ricca di minerali come il magnesio, il sodio, il rame, il ferro, tutti oligoelementi presenti anche nell’acqua marina. Angelo Cerina, fondatore della Scuola di talassoterapia e balneo-talassoterapia in Italia è il direttore scientifico e medico della Medical & Beauty Spa La Via del Sale del Relais San Maurizio Luxury Spa Resort.

A CHERASCO GOLF E TARTUFIProfumo di tartufo sui green del Golf Club di Cherasco, tra fine settembre e tutto il mese di ottobre. Infatti, come è ormai tradizione consolidata in occasione della Fiera di Alba dedicata al prezioso tubero, il prestigioso sodalizio sportivo cheraschese organizza le “Gare del tartufo”. Si tratta di undici giornate di competizioni, sei delle quali riservate ai giocatori dilettanti e cinque Pro Am, che si avvieranno il 26 settembre con la 14° Pro Am Witt Italia e si concluderanno il 2 novembre. Un evento che richiama appassionati del golf e della buona e raffinata tavola dall’Italia e dall’e-stero che quest’anno, grazie alla collaborazio-ne con l’Ente Fiera di Alba e Cherasco Eventi si arricchisce anche di appuntamenti culturali e di intrattenimento affinché gli ospiti, oltre l’enogastronomia, possano conoscere ancora meglio le bellezze paesaggistiche e storiche del nostro territorio. Conosciuto fin dall’an-tichità, il tartufo è sempre stato apprezzato come elemento prezioso della tavola da intellettuali e politici, sovrani e artisti e, per l’ennesima volta, in questo autunno 2011 sarà il premio “goloso” dei golfisti più bravi.

da Cuneo e provincia

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LifeStyLeL'ATLETICA DÀ SPETTACOLOSenza contare le partite di Super Coppa Uefa e qualche concerto, è davvero raro vedere gli spalti dello stadio Luis II assiepati di pubblico. Eccezion fatta per il Meeting di atletica Herculis 2011, decima tappa del Samsung Diamond League, svoltosi a Monaco. In gara alcuni dei grandi campioni che, a ritmo incessante, hanno dato spettacolo per più di due ore. Tra questi Usain Bolt che, con la migliore prestazione della stagione ha segnato, nella gara dei 100 metri, il tempo di 9’88'', e l'emozionante gara del Keniano Brimin Kipruto che, nei 3000 siepi, per un solo centesimo non ha raggiunto il primato mondiale di 7'53''64 registrato nel 2004 dall’atleta del Qatar Saif Saeed Shaheen. Presenti per tutta la durata delle competizione LL.AA.SS il Principe Alberto e la Principessa Charlène. Quest'ultima, come ambasciatrice dello Special Olympics Monaco, in compagnia delle due atlete monegasche, Sandra Franco (3 medaglie d'oro al tennis da tavolo) e Khadija Danzinger (medaglia d'argento ai 100m), è salita anche sul podio per premiare alcuni dei vincitori delle varie discipline presenti alla competizione internazionale.

MICS, PER I PROFESSIONISTI DELLA NOTTEDal lancio ‘roboante’, ambientato durante lo scorso GP di F1 sulle terrazze dell’ex immo-bile che accoglieva le antiche fonderie monegasche, Richard Borfiga e la sua equipe sono quasi pronti a sorprendere, con effetti speciali, centinaia di partecipanti che affolleranno la seconda edizione del MICS, Monaco International Clubbing Show, unico salone al mondo dedicato ai professionisti dell’animazione e agli organizzatori di eventi notturni. L’evento, che lo scorso anno ha riscosso un gran successo per affluenza di publico e animazioni aperte liberamente anche al pubblico, proporrà al Grimaldi Forum, dal 9 all’11 novembre 2011, tre giorni di divertimento e show spettacolari, come l’esibizione di freestyle motocross previsto sul porto Hercule.

MONACO MÉDITERANÉE FOUNDATIONCon la conferenza del 12 settem-bre, animata dall'ex presidente della banca Mondiale, James Wol-fensoh, e che tratta il tema « Mon-de en 2050 », debutta il trimestre culturale della Monaco Médi-terranée Foundation, (MMF) importante istituzione monegasca presieduta da Enrico Braggiotti. A seguire, il 27 settembre, atte-so l'intervento del Principe El

Hassan Bin Talal di Giordania Jordanie, zio dell'attuale sovrano della Giordania: a lui il compito di affrontare l'annoso problema de « La Méditerranée ou la Mémoires des deux Rives : Un moment de vérité ». Il 6 ottobre, è poi la volta della cerimonia di selezione e di premiazione della terza edizione del Prix Méditerranéen du Journalisme de la Fondation Anna Lind, di cui la MMF è capofila nel Principato di Monaco. Infine, il 21 novembre, a chiudere il ciclo di conferenze in francese del 2011, introdotte come al solito dal Direttore dell'Istituto Francese delle Relazioni Internazionali Thierry de Montbrial, tocca ad una donna “non comune”, presidente dell'Universcience, Claudie Haigneré.Per assistere gratuitamente alla programmazione delle conferenze della MMF, previste quasi tutte alle 18H30 presso la Salle Belle Epoque dell’Hôtel Hermitage (tranne quella di Wolfensoh che si svolgerà alle 18H00 presso il Salon Méditerranée del Méridien Beach Plaza) consultare il sito www.monaco-mediterranee-foundation.org

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LifeStyLeIL MATRIMONIO IN MOSTRATra le foto, gli abiti nuziali, il diadema ed altri oggetti appartenenti ai novelli sposi, LL.AA.SS il Principe Alberto II e la Princessa Charlène, fino all'22 novembre in esposizione presso la mostra «L’Histoire du Mariage Princier» allestita al Museo Oceanografico di Monaco, da qualche settimana, svetta anche il modellino del mitico battello «Pourquoi-pas IV», offerto come dono di nozze ai novelli sposi dal Presidente della Repub-blica Francese Nicolas Sarkozy.

GELATO ITALIANODopo Mentone e Monaco, l’eccellenza del gelato artigianale italiano approda anche nel Cuneese, a Mondovì, in un noto centro commerciale. Merito di questo successo il lavoro e la qualità degli ingredienti utilizzati dai titolari Roberto e Nicoletta Stampfl che, con altri familiari, rappresentano l'arte del gelato da più di 20 anni. La nota gela-teria aperta nel cuore di Monaco, vanta clientela di alto rango oltre ad essere, praticamente a tutte le ore, punto di riferimento e luogo di ritrovo non solo per gli italiani, ma anche per i residenti ed i turisti di passaggio nel Principato. Il gusto più ricercato? L’autentico 'cioccolato nero' che, abbinato alla nocciola, alla pesca ed al melone, sono diventati dei must per quest’estate 2011.

DANTE IN MUSICAA partire dal 1° e fino al 25 ottobre, all’antepri-ma del tour mondiale de ‘La Divina Comme-dia’, musical promosso con il patrocinio di

SAS il Principe Alberto II, delle più alte cariche istitu-zionali italiane presenti a Monaco, e con la parte-cipazione del Comites e dell’Associa-zione Dante Alighieri, se-guiranno più di una decina tra spettacoli teatrali, recital

di poesie organizzate in collaborazione con l’Associazione Monaco-Italie, oltre a presen-tazioni di opere letterarie di autori italiani e proiezioni cinematografiche. Le diverse inizia-tive promosse in onore della lingua di Dante e delle eccellenze della nostra bella Italia, sono in realtà coordinate dall’Ambasciata d’Italia a Monaco, e rientreranno nell’ambito della “XI edizione della Settimana della Lingua italiana nel Mondo” che quest’anno sarà dedicata al 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Per il programma delle manifestazioni - alcune aperte liberamente al pubblico, ndr - consulta-re il sito dell’Ambasciata d’Italia a Monaco.

LO STADIO NAUTICO FA 50Con un allegro spettacolo animato da sport acquatici acrobatici, tuffi, nuoto sincronizzato ed il grande ritorno del Catch sull’acqua - sport quest’ultimo che, più di 40 anni fa, fa infiammava il pubblico della Costa Azzurra - il Comune di Monaco ha festeggiato i 50 anni dello Stadio Nautico. Un’attrazione estiva e popolare che, con i suoi scivoli d’acqua ed il bacino olimpionico alimentato con acqua di mare filtrata e riscaldata a 26° C, si trasforma, in inverno in pista di pattinaggio e di karting sul ghiaccio, ospitando ogni anno più di 82.000 persone. Alla manifestazione hanno assistito, oltre al Principe e la Principessa Charlène, diverse personalità monegasche ed un numeroso pubblico proveniente anche dalla vicina frontiera italiana e francese.

...E POI CI TROVEREMO COME STAR..È di Alba il nuovo cuoco entrato a dirigere le cucine nella corte ‘gourmand’ del neo ristorante monegasco “Roxy Bar” di Silvio Rossi, piemontese anche lui. Il locale, dal nome storico celebrato, 'per coincidenza', anche da una celebre canzone di Vasco Rossi, sta pian piano affermando la sua fama grazie all’accurata selezione di vini e specialità gastro-nomiche rigorosamente 'made in Provincia Granda'. Assolutamente imperdibile il suo famoso bunet bianco, invenzione riuscita del cuoco albese Claudio Chiesa che, con un caffè ancora una volta rigorosamente torrefatto in Piemonte, non ha eguali per profumo e gusto. Come dire che, anche a Monaco, l’eccellenza della Granda non ha rivali.

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Vola da Cuneo Levaldigi

Da oggi anche a CASABLANCA

SEMPRE PIÙ

B a c a u - B u c a re s t - C a g l i a r i - L o n d r a - P r i s t i n a - T i r a n a - Tr a p a n i - H u rg h a d a

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a cura di Gonzalo Andres Luzarraga - chef

tradizione contemporaneaANATRA GLASSATA ALLA CITRONELLA CON SCALOGNI CARAMELLATI NEL SUO GRASSO

Il Marachella RistoranteVia Nostra Signora del Popolo, 9CherascoTel +39 0172 488482www.marachellagruppo.it

Ferruccio Rivolta, direttore con una lunga esperienza nella ristorazione e fine cono-

scitore di vini, e Gonzalo Andres Luzarraga, chef cresciuto professionalmente tra New York e Montecarlo, ma con solide radici cuneesi, sono accomunati da una grande passione per la ricerca e la buona tavola, e si sente. È una cucina attenta al territorio, i prodotti si alter-nano secondo le stagioni: ortaggi, frutta, fun-ghi, tartufi. La carne è straordinaria, accompa-gnata dai grandi vini rossi che sono custoditi con riguardo nelle cantine del Monastero di Cherasco. Rivolta e Luzarraga si muovono alla scoperta dei piccoli produttori locali per trovare le materie prime con le quali costrui-re i piatti del Marachella Ristorante, con l’o-biettivo di esaltare i profumi della natura. Qui entrano in gioco ricerca e tecnologia, a cui lo chef Luzarraga presta grande attenzione, per cucinare in modo innovativo. Nascono vere

esperienze per il palato, come l’insalata di lu-mache con mele verdi e spinaci croccanti, dove i sapori sono netti, e “la lumaca sa di lumaca”, come nelle antiche sagre di paese. Oppure la carne cruda con il tuorlo d’uovo grattugiato: un piatto reso possibile dalla capacità di gesti-re l’uovo in modo originale, per riproporre un accostamento di gusti tipico di questa regione. E ancora, i cappellacci di barbabietola con sie-ro di latte di capra, da sciogliersi in bocca, il risotto allo zafferano con polvere di liquirizia, i savarin di polenta con tuorlo d’uovo, fonduta e tartufo bianco. Sono piatti da gustare, e da vedere. La presentazione è attenta ai dettagli, con sfumature francesi, per appagare l’occhio. Al Marachella Ristorante di Cherasco sanno che “non esiste una grande cucina senza una grande sala”. Il servizio è accurato, senza inu-tili fronzoli, quasi minimalista. Essenzialità è la parola d’ordine, per condividere con i clienti

l’emozione di un viaggio sensoriale. In un con-testo come il Monastero di Cherasco, che per secoli ha ospitato le riflessioni dei monaci e oggi rinnova in modo sorprendente la sua fun-zione attraverso la cultura del cibo.

Ingredienti: Petto d'anatra - Citronella - Scalogni n. 10 - Grasso d'anatra 200gr - Aglio uno spicchio - Rosmarino un rametto - Succo d'arancia 300gr - Scorzette d'arancia 50gr - Pepe nero

Preparazione: In un sacchetto sottovuoto ada-giare il petto d'anatra l'aglio, il rosmarino, il suc-co d'arancia, le scorzette, sale e pepe in grani, infine il succo d'arancia, fare cuocere per 90 mi-nuti a 65° in forno a vapore, lasciar raffreddare.Prendere la citronella tagliarla a fili molto sottili scottarla in acqua bollente per pochi minuti e raffreddare in acqua e ghiaccio.Pelare gli scalogni, salare e pepare, immergerli nel grasso d'anatra fino a cottura ultimata.Scaldare una padella (meglio se di rame), to-gliere il petto dal suo sacchetto e praticare delle incisioni sulla pelle, adagiare sulla padella dalla parte della pelle fino ad arrivare alla dora-tura desiderata.Scaloppare il petto d'anatra, adagiarlo sul piatto con gli scalogni e la citronella.

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a cura di Gianluca Pasquale - Dottore Commercialista e Revisore Contabile

novità fiscali 2011MANOVRA CORRETTIVA

Il D.L. 6 luglio 2011 n. 98 (cd. “manovra cor-rettiva”) contiene numerose novità fiscali in

materia di imposte dirette, Irap, Iva e altre im-poste indirette.

Ho sentito parlare di un condono avente ad oggetto i processi tributari, come funziona?a definizione delle liti pendenti non riguarda la totalità dei processi fiscali, ma solo le cause:relativamente alle quali il ricorso introduttivo è stato notificato alla controparte, al più tardi, il giorno 1 maggio 2011; di valore fino a 20.000 euro; in cui è parte l’Agenzia delle Entrate. La c.d. “pendenza” della lite deve sussistere, come detto, alla data del 1 maggio 2011: per-tanto, da un lato il ricorso deve essere stato no-tificato entro tale data, dall’altro occorre che al 1 maggio 2011 la causa (nel senso processuale) sia ancora “in corso”.Il c.d. “valore” della causa deve essere riferito all’importo contestato nel ricorso introdutti-vo, al netto di sanzioni e interessi. Pertanto, è definibile un avviso di accertamento in cui vengono richiesti euro 50.000, se le somme a titoli di imposta, al netto delle sanzioni e degli interessi, sono al massimo pari a euro 20.000.La nuova disciplina richiede, inoltre, che l’A-genzia delle Entrate sia parte della lite, quindi sono comunque escluse dalla definizione le cause che riguardano tributi non gestiti dalla stessa (es. Ici, Tarsu, Tosap, Dazi, Accise).

Quali sono le novità in materia di indagini finanziarie? Mediante le c.d. “indagini finanziarie”, l’Agen-zia delle Entrate o la Guardia di Finanza pos-sono esaminare, ad esempio, i conti correnti del contribuente al fine di rinvenire elementi

sintomatici di evasione. A tal fine, i funzionari possono rivolgere apposita richiesta a banche e istituti di credito, i quali, se del caso, sono ob-bligati ad esibire alle autorità fiscali ogni docu-mentazione concernente i rapporti intrattenuti con il contribuente.Il DL 98/2011 ha previsto espressamente che le suddette richieste possono avere come desti-natari anche le società e gli enti di assicura-zione, per le attività finanziarie da essi svolte.

Quali sono le principali novità in tema di contribuenti minimi? Per favorire la costituzione di nuove imprese, la “manovra correttiva” ha riformato e concentra-to il regime dei “contribuenti minimi” e quello delle “nuove iniziative produttive”.A partire dal 1 gennaio 2012, il regime dei “con-tribuenti minimi” si applica esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un’attività d’impresa, arte o professione oppure l’hanno intrapresa successivamente al 31/12/2007. Tuttavia, per poter fruire del regime:il contribuente non deve aver esercitato, nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività, attività arti-stica, professionale ovvero d’impresa, anche in forma associata o familiare;l’attività da esercitare non deve costituire, in nessun modo, mera prosecuzione di altra at-tività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, escluso il caso in cui l’attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’e-sercizio di arti o professioni;qualora venga proseguita un’attività d’impresa svolta in precedenza da altro soggetto, l’am-montare dei ricavi, realizzati nel periodo d’im-posta precedente, non deve essere superiore a

Euro 30.000. Se i requisiti sono soddisfatti, il nuovo regime può essere applicato per il pe-riodo d’imposta in cui l’attività è iniziata e per i quattro successivi. Tuttavia, in relazione ai soggetti con meno di 35 anni di età, è possibile fruire del nuovo re-gime anche oltre il quarto periodo d’imposta successivo a quello di inizio dell’attività, ma non oltre il periodo d’imposta in cui il contri-buente compie il 35° anno di età. Dal 1 gennaio 2012, l’imposta sostitutiva dovuta dai “contri-buenti minimi” è ridotta dal 20% al 5 %.

Ho sentito parlare di un’addizionale della tassa automobilistica per i veicoli di maggio-re potenza, come funziona?Alle autovetture e agli autoveicoli per il tra-sporto promiscuo di persone e cose di potenza superiore ai 225 chilowatt (ossia 306 cavalli) è dovuta un’addizionale del c.d. “bollo auto” in misura pari a Euro 10 per ogni chilowatt di potenza superiore ai 225. Suddetta addizio-nale si applica a partire dall’anno 2011 ed un provvedimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che dovrà essere emanato entro il 4 ottobre 2011, individuerà le modalità ed i termini per il versamento dell’addizionale. In caso di omesso o insufficiente versamento, si applicherà la sanzione del 30% dell’importo non versato.

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a cura di Alessandro Parola - Avvocato

lo stalkingL'INTRODUZIONE NEL CODICE PENALE DELLA TUTELA CONTRO GLI “ATTI PERSECUTORI”

Uomini gelosi ed assillanti, fidanzate ferite dall'infedeltà del vostro compagno, atten-

ti! Il Codice penale italiano, con il D. L. n. 11/09 (convertito in Legge n. 38/09), ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di “stalking”, espressione mutuata dal termine anglosassone usato in ambito venatorio “to stalk”, (fare la po-sta attendendo la “preda”), attribuendo rilevan-za penale a quel complesso di comportamenti più in generale definiti “atti persecutori”.Definiamo innanzitutto in che cosa consiste il reato introdotto. Lo stalking consiste in una serie di atti e/o molestie tenuti nei confronti di una persona, reiterati e continuati nel tempo e tali da ingenerare in essa stati di ansia, paura e oppressione fino al punto di compromettere il normale svolgimento della sua vita quotidiana. Il nostro Legislatore, con l'introduzione dell'art. 612 bis del codice penale, ha inteso quindi for-nire una tutela contro tali comportamenti, indi-viduando però dei precisi criteri affinchè una condotta possa essere considerata persecutoria e, come tale, punibile penalmente. Il codice pe-nale ha quindi previsto che sia punito - con la reclusione da sei mesi sino a quattro anni - chi con condotte reiterate nel tempo, minaccia o molesta un soggetto in modo da cagionargli un perdurante stato di ansia e di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolu-mità propria o di un suo prossimo congiunto, ovvero di constringerlo ad alterare le proprie abitudini di vita. La norma introdotta tende quindi a tutelare la libertà morale di una persona, intesa come facoltà del soggetto di autodeterminarsi nelle azioni e nelle abitudini quotidiane della propria vita - frequentazioni di posti e di persone, spo-stamenti nei luoghi preferiti - senza il timore o

l'ansia di trovarsi costretta a modificare o alte-rare le proprie abitudini a causa di comporta-menti di terzi.Oltre alla libertà di autodeterminazione, la nor-ma introdotta tutela altresì l'incolumità indivi-duale, intesa come il benessere fisico e psicolo-gico della vittima in quanto nella maggior parte dei casi di stalking nella vittima è presente un grave stato di ansia o paura che comporta una vera e propria lesione del diritto di mantenere la propria salute psicofisica.L'Osservatorio Nazionale sullo stalking ha rile-vato che la maggior parte dei casi di stalking, nel 55% dei casi, si verifica all'interno delle relazioni di coppia, seguito da un 25% di casi che riguardano le molestie ricevute sul posto di lavoro. Vittime di tale comportamento sono, nell'86% dei casi, le donne.Le molestie compiute, per essere rilevanti ai fini dell'accertamento del reato di stalking, consistono in atti che di per sé possono non essere penalmente rilevanti, ma che lo diventa-no proprio in virtù della reiterazione nel tempo di tali condotte in modo tale da comprimere la libertà personale dell'individuo. Si pensi ad esempio ad un pedinamento continuo ed assil-lante della vittima, al continuo invio di comuni-cazioni mail o sms, a ripetuti appostamenti in determinati luoghi dove lo “stalker” sa trovarsi la propria vittima. A tutela di chi subisce tali comportamenti, la Legge ha individuato due tipi di rimedi per assicurare la cessazione im-mediata della molestia e, se del caso, l'avvio di un procedimento penale nei confronti del mo-lestatore. Il nostro ordinamento prevede infatti che la vittima di stalking possa, ancora prima di iniziare un procedimento penale contro il molestatore, rivolgersi alle autorità di polizia

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per ottenere dal questore, una volta esperite le necessarie indagini, un ammonimento formale all'autore della molestia. Qualora ciò non fosse sufficiente a far cessare la condotta del mole-statore, sarà possibile rivolgersi direttamente al giudice penale mediante il deposito di que-rela nei confronti del molestatore. Il Giudice penale, al fine di assicurare una immediata tu-tela della libertà della vittima potrà intimare al querelato - in pendenza del processo e quindi ancor prima dell'eventuale condanna - il divieto di avvicinarsi alla vittima ed ai luoghi che questa frequenta fino al punto di arrivare a vietargli, qualora lo ritenga opportuno, di comunicare attraverso qualsiasi mezzo con la vittima o con i suoi congiunti.

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a cura di Guido Testa - Promotore Finanziario

borsa in saldoTITOLI DI STATO ITALIANI: OPPORTUNITÀ DI INVESTIMENTO

Agosto 2011 non sarà ricordato tanto per il caldo afoso, o per le solite lunghe code

dei vacanzieri, ma per l’accentuarsi della crisi finanziaria globale, con le principali borse in picchiata e paesi, compresa la nostra “povera” Italia a rischio default.Persino l’America, la più grande potenza finan-ziaria mondiale, ha visto declassare la propria affidabilità dalle più famose case di rating, se-guita in Europa da vari Paesi compresa l’Italia.Mi piace ricordare però che queste famose case di rating, sono le stesse che negli ultimi dieci anni hanno dato valutazioni su aziende e Paesi che poi nel giro di poco sono state cla-morosamente smentite. Una su tutte è la Banca Lehman Brothers, valutata con la tripla A, quin-di assolutamente affidabile, solo pochi mesi prima del suo catastrofico fallimento!Questo mi fa pensare che gli interessi che muo-

vono queste società di rating spesso sono legati a speculazioni o giochi di potere e non alla vera analisi della salute finanziaria del soggetto che valutano.Ecco perché sono convinto che il nostro Paese non possa essere messo al pari di Grecia o Irlanda, Paesi che stanno affrontando una vera debacle, e di conseguenza non vedo nei titoli di stato italiani motivi di disperazione ma oppor-tunità d’investimento, con tassi sicuramente in-teressanti. Stesso discorso vale per molti titoli quotati sulla borsa italiana, dove hanno visto il loro prezzo scendere in caduta libera fino a livelli che oggettivamente, analizzando il loro patrimonio non hanno molto senso, come dire che se volete vendere il vostro alloggio, il prez-zo oggi offerto è più basso del valore dei soli mobili in esso contenuti.Sembra un assurdo ma per alcune aziende

è proprio cosi! Prendiamo le Assicurazioni Generali: prima della crisi del 2007 valeva 42 miliardi, oggi ne vale 18 pur avendo asset inve-stiti per oltre 470 miliardi dei quali almeno 25 solo d’immobili.Possibile che l’intera compagnia possa essere comprata con un assegno che vale due terzi del 7% circa degli investimenti propri, pari più o meno a 325 miliardi?E che dire del gruppo Intesa Sanpaolo che pri-ma del 2007 dopo la fusione valeva 67 miliardi e oggi quota appena 20, prezzo di un gruppo che solo per citare qualcosa di concreto ha una collezione di capolavori da Caravaggio a De Chirico oltre agli immobili che da soli valgono più del prezzo pazzo oggi in borsa.Per non parlare di Eni, il nostro colosso petroli-fero quotato oggi meno di un sesto delle “sue” riserve certe di petrolio.Ecco perché vedo in questa bufera finanziaria più occasioni per guadagni futuri che paura e vendite affrettate con perdite certe, tanto più che sono numerose le aziende che hanno già da qualche tempo avviato piani per il riacqui-sto di azioni proprie.L’Espresso, Piaggio, Brembo ecc hanno già ini-ziato piani di buy-back, ricomprando le proprie azioni a prezzi stracciati, impiegando in modo efficiente la cassa in mancanza di alternative e in più risollevando i valori di borsa di quelle stesse società.

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a cura di Luca Morosi

agendaGLI APPUNTAMENTI DELL'AUTUNNO IN PROVINCIA

A TAVOLA NEL RISORGIMENTOLa curiosa mostra “A tavola nel Risorgimento” si articola in sette sezioni nelle quali si de-streggiano i personaggi che hanno preso parte al processo di unificazione nazionale e che hanno lasciato una traccia indelebile nella coscienza popolare. A legare il tutto un’insolita chiave di lettura, la tavola, con i suoi riti e le sue vicissitudini, che presenta le sfaccettature di un’intera epoca.

Castello del Roccolofino al 30 ottobre 2011fraz. San Quintino 17, Busca (CN)www.marcovaldo.it

POTAGER ROYALRitorna l’appuntamento autunnale che porta ogni anno nel Parco Reale del Castello di Racconigi, durante un intero fine settimana, oltre 60 espositori da tutta Italia e più di 15.000 visitatori per una grande festa di tutti gli amanti dei fiori e delle piante. 25-26 settembre 2011

DIVERTISSEMENT NEL PARCO Il parco del castello si anima con rievocazioni, letture e animazioni per grandi e piccini. Tra i vari appuntamenti a tema, “Il Castello per i Bambini” è un’occasione in più per scoprire la residenza sa-bauda: ogni domenica mattina, con tutta la famiglia e con argomenti a misura di bambino sono pro-poste visite che arricchiscono il consueto percorso. E ancora, sempre domenica ma nel pomeriggio, l’evento “Giocavamo così” - in collaborazione col Museo del Giocattolo di Bra - propone un viaggio alla scoperta dei balocchi di una volta, con interessanti laboratori interattivi nel parco del castello. Ottobre 2011

Castello di Racconigivia Morosini 1, Racconigi (CN)www.ilcastellodiracconigi.itwww.abbonamentomusei.it

INCONTRI D’ESTATE E AUTUNNOAL CASTELLO DELLA MANTAIl Castello della Manta propone fino all’autun-no inoltrato visite guidate, cene e spettacoli per grandi e piccini, rendendo così fruibili in modo allettante i suoi preziosi ambienti densi di storia ed arte.

Castello della Mantafino al 29 ottobre 2011via al Castello 14, Manta (CN)www.fondoambiente.it

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affidabilità e prestazioni a dimostrazione che anche l'alimentazione a gpl può competere in velocità ed efficienza.La classifica generale vede sempre in testa il giovane albese Alberto Viberti, diciassettenne con grinta da campione della scuderia Kaster Machines di Cherasco, seguito da Lorenzini della Europlast e Fontanella della Tunap.Prossimi appuntamenti il 16 e 17 settembre sull’autodromo umbro di Magione e 16 otto-bre per la gara finale sul circuito di Franciacor-ta dove, come sempre, ci sarà da divertirsi.

green scout cup ad adriaLa quarta tappa del Green Scout Cup, trofeo monomarca organizzato da BRC e riservato alle Kia Venga 1.6 alimentate a gpl, è arrivato in Emilia, ad Adria, sul circuito internaziona-le “Raceway”, dove gli organizzatori del cam-pionato hanno messo in programma la prima gara in notturna. Spettacolo doveva essere e spettacolo è stato. Emozioni forti e brividi per alcuni spettacolari incidenti che hanno coin-volto, fra gli altri, anche Jimmy Ghione della scuderia Biemmedue. Ancora una volta le auto preparate dal Team BRC hanno dato prova di

LE AUTO ECOLOGICHE DI BRC IN GARA di R.A.

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L’AEROPORTOL’Aeroporto di Torino, di cui SAGAT è la società di gestione, dispone di un complesso infrastrutturale moderno e confortevole in grado di offrire servizi vantaggiosi ai propri utenti.I collegamenti con i principali hub europei di Amsterdam, Bruxelles, Francoforte,Istanbul, Londra, Madrid, Monaco, Mosca, Parigi e Roma consentono di raggiungere qualunque destinazione nel mondo tramite scalo intermedio. L’offerta di voli low cost sullo scalo oggi ha raggiunto circa il 30%.La rete dei collegamenti vi permette di raggiungere le più importanti città italiane e d’Europa con pratiche coincidenze con il resto del mon-do. Completano il network le principali compagnie charter e tour operator che offrono servizi per raggiungere le mete di vacanza in Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente.L’Aeroporto di Torino è situato al centro di un’importante rete di vie di comunicazione che lo rendono comodamente raggiungibile.Un servizio di trasporto pubblico, bus e treno, collega lo scalo con le principali stazioni ferroviarie di Torino e con il centro città.Durante la stagione invernale sono programmati collegamenti autobus verso le principali località montane e sciistiche del Piemonte, in par-tenza dal terminal bus situato accanto al parcheggio multipiano di fronte all’aerostazione.La comoda superstrada connessa con la tangenziale e la rete autostradale consente di raggiungere direttamente le più importanti città del Piemonte, del nord Italia e del sud della Francia. A meno di due ore d’auto dall’aeroporto si possono raggiungere le principali località monta-ne e sciistiche, i punti di maggior interesse storico ed enogastronomico del Piemonte e le vicine località marine della Liguria.Dopo i riconoscimenti in campo internazionale, ACI Europe - Best Airport Awards 2007 e 2008, l’Aeroporto di Torino ha ottenuto nel 2009 la Certificazione ISO 9001/2008, a conferma dell’impegno della SAGAT nell’assicurare ai passeggeri e alle imprese servizi efficienti e di qualità.

NUMERI UTILIInformazioni Voli (orario 06.00-23.00) tel. 011.5676361/2Biglietteria Aerea (orario 05.30-20.30) tel. 011.5676373Bagagli Smarriti SAGAT Handling (orario 08.00-24.00) tel.  011.5676200 Consegna 09.00-12.00 / 14.00-21.00Bagagli Smarriti Aviapartner* (orario 08.00-24.00) tel. 011.5676785 Consegna 09.00-13.00 / 15.00-22.00* solo per: Air France, Brussels Airlines, Lufthansa, RAM

Sala Riservata 06.00-20.00 tel. 011.5676535Sala Riservata Air One 05.00-21.00 tel. 011.5676618Sala Riservata Alitalia 05.30-21.00 tel. 011.5676538

Ufficio Merci   tel. 011.5676310/1Parcheggio Multipiano   tel. 011.5676361/2 Infermeria H24   tel. 011.5676205

Segreteria Generale SAGAT   tel. 011.5676378 Ufficio stampa SAGAT tel.011 5676356Oggetti Smarriti tel. 011.5676473Business Centre tel. 011.5678345Informazioni Turistiche (09.00-20.00) tel. 011.535181

COLLEGAMENTI da e per L’AEROPORTOLo scalo dista 16 chilometri dal centro di Torino a cui è collegato da un’efficiente rete di servizi e da una superstrada collegata alla tangenziale ed alla rete autostradale.Informazioni:Autolinee SADEM Torino-Aeroporto tel. 011.3000611Autolinee SAVDA Aosta-Aeroporto tel. 0165.262027Collegamento ferroviario GTT Torino - Aeroporto tel. 011.2165352CTA - Noleggio con conducente tel. 011.9963090Taxi (all’uscita del livello ARRIVI) tel. 011.5730-5737-3399Terravision - Shuttle Service tel. +44.1279.662931 - 346/7206199

AUTONOLEGGI:Auto Europa, AVIS, Budget, Europcar, Grimaldi Autonoleggio, Hertz, LocautoRent, Maggiore/Rent, Sixt-Win Rent, Targarent

AVIAZIONE GENERALEEsair, Turin Flying Handler

COMPAGNIE AEREEAir Dolomiti, Air France, Air Italy, Air Malta, Albanian Airlines, Alitalia, Blu-Express.com, British Airways, Brussels Airlines, Carpatair, Darwin Airline, Iberia, LOT - Polish Airlines, Lufthansa, Luxair, Meridiana, Royal Air Maroc, Ryanair, Wind Jet

HANDLERAviapartner, SAGAT Handling Spa

photo: beppe miglietti

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COLLEGAMENTI da e per L’AEROPORTOLo scalo dista 16 chilometri dal centro di Torino a cui è collegato da un’efficiente rete di servizi e da una superstrada collegata alla tangenziale ed alla rete autostradale.Informazioni:Autolinee SADEM Torino-Aeroporto tel. 011.3000611Autolinee SAVDA Aosta-Aeroporto tel. 0165.262027Collegamento ferroviario GTT Torino - Aeroporto tel. 011.2165352CTA - Noleggio con conducente tel. 011.9963090Taxi (all’uscita del livello ARRIVI) tel. 011.5730-5737-3399Terravision - Shuttle Service tel. +44.1279.662931 - 346/7206199

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MARIO CALABRESIde Giovanna Foco - Pg 10Originaire des Langhe piémontaises, plus exactement de Montà d’Alba, du côté de sa grand-mère qui possédait des vignes et produisait de l’Ar-neis. Dans son bureau de Turin, Mario Calabresi respire la fragrance des Alpes. Il parle couramment américain et s’exprime dans un italien très pur. Écrivain et journaliste. Directeur du quotidien « La Stampa ». La presse écrite est-elle morte ? Non. Elle a fortement déclinée ces dernières années. Désormais, l’évolution s’est stabilisée. Je ne crois pas ceux qui prophétisent que personne ne lira plus de journaux dans dix

ans : la presse de qualité survivra. Équilibre budgétaire et diffusion de « La Stampa » confor-mes aux prévisions.En moyenne, la diffusion nationale est de plus de 280 000 exemplaires, dont 173 000 au Piémont et, en particulier, 23 000 sur la zone de Coni, sans compter les abonnés et les ventes à domicile. Des chiffres qui parlent d’eux-mêmes : « La Stampa » plait. Directeur depuis 2009. J’ai pris un engage-ment à long terme avec John Elkann, président de « La Stampa ». L’objectif est de relancer le journal et de lui donner une nouvelle dimension. Stratégies. Dans quelques mois, aux environs de Pâques, « La Stampa » quittera son siège historique de la rue Marenco. La nouvelle rédaction s’installera dans la zone de la rue Nizza : un plateau ouvert de plusieurs milliers de mètres carrés, sur le modèle du Wall Street Journal de New York, une structure intégrée exploitant toutes les technologies à l’avant-garde pour une distribution de l’informa-tion sur plusieurs canaux. Nous réunirons des fonctions journalistiques de qualité, en mesure de décliner les contenus sur différents supports : internet, téléphones portables, iPhone, iPad, papier. Vous et les États-Unis : témoin du onze septembre, puis rapporteur de la campagne présidentielle et de l’élection de Barack Obama. J’ai suivi les évènements du 11 septembre 2001 pour « La Stampa » et j’y suis retourné de 2006 à 2009 en tant que correspondant pour « La Repubblica ». Que vous manque-t-il des États-Unis ? Les grands espaces et l’anonymat dans la rue. Seuls le Président des États-Unis et les stars d’Hollywood y sont reconnus. Les autres millions d’Américains sont anonymes et personne ne se soucie de votre tenue vestimentaire. En un mot : la liberté. Lorsque vous avez pris la direction de « La Stampa », quelles limites avez-vous trouvé chez les journalistes ? Aucune limite, mais un fait : des comptes dans le rouge qui empêchait toute mission de journalistes et de photographes à l’étranger. Désor-mais, les comptes sont équilibrés et je peux compter sur des professionnels qui retracent et photographient les évènements du monde entier en temps réel. Vous et les lecteurs : comment mesurez-vous l’in-dice de satisfaction ? En allant sur le terrain, à travers des rencontres et des invitations pour représenter le journal : des occasions qui me permettent également de cerner les tendances. Ma prochaine rencontre : la Foire de la truffe d’Alba. Par ailleurs, j’ai repris la rubrique du courrier car je souhaite établir un rapport quotidien avec les lecteurs de « La Stampa ». La chronique de votre destinée : un drame subi dans votre enfance et désormais retracé. Au cours des années de plomb, l’assassinat en 19 72 de votre père, le commissaire de police Luigi Calabresi. J’ai écrit un livre (ndr : « Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo » « En repoussant les ténèbres. Histoire de ma famille et d’autres victimes du terrorisme ») qui, au cours de ces dernières années, a rouvert le débat et les libres sur ce thème se sont alors multipliés. C’était l’objectif de la publication : faire en sorte que les victimes ne soient pas oubliées avant de refermer la période du terrorisme. Il est tout à fait naturel de tourner la page, mais nous devons garder ces évènements en mémoire. J’avais deux ans lorsque mon père fut assassiné. Mon livre retrace ce que signifie grandir avec un évènement aussi pénible et douloureux. À cet égard, je dois beaucoup à ma mère qui a su, avec sérénité et sans colère, cultiver la mémoire de notre père. « Cosa tiene accese le stelle » (« Qu’est-ce qui fait encore briller les étoiles ? ») C’est le titre de mon dernier livre : des récits sur les Italiens qui n’ont pas cesser de croire dans le futur : il faut toujours regarder au-delà de l’horizon et pressentir l’existence du chemin à suivre au milieu du découragement général. Parce qu’en cultivant ses propres passions, on évite les désillusions et parce que la liberté se gagne à force de volonté.

EZIO MAUROde Giorgio Trichilo - Pg 14Que de chemin parcouru pour devenir l’un des grands noms du journa-lisme italien. Il s’agit d’Ezio Mauro. L’actuel directeur de « La Repubbli-ca » a répondu à l’invitation de « Unico » et a décidé de se livrer à nos lecteurs. Il en ressort le portrait d’un professionnel sérieux, amoureux de la rigueur et de la sobriété : des caractéristiques d’authentique « pro-vincial » qui font partie du caractère de l’homme et du journaliste. La parole est à Ezio Mauro. Nous vous remercions de nous avoir accordé cette interview. « Unico » est le magazine dédié

à la province de Coni sous toutes ses coutures. Quelle est la définition qu’Ezio Mauro donnerait de Coni et de ses habitants ? Je pourrais répondre en citant Hemingway : « Un endroit propre et bien éclairé ». Vous avez fréquenté le lycée de Coni : quels sont les lieux les plus chers de votre jeunesse ? Ma ville, Dronero. J’y suis né, j’y ai grandi. Je connais tout le monde et j’y retourne volontiers en été. Tout me plait : les montagnes, la vallée, les forêts, le fleuve, mais surtout la marche. Parlons à présent de votre activité de journaliste. Le premier article est comme son premier amour ? Quel souvenir en gardez-vous ? La « Gazzetta del Popolo » me proposa de faire un reportage à Fossano, en trois volets. « L’article ne sera pas publié - me dit le rédacteur en chef - mais c’est très bien écrit. Au premier poste qui se libère dans la rédaction, je vous appellerai ». Je pensais alors que jamais je ne pourrais intégrer un journal. Mais, ils m’appelèrent un mois plus tard et tout commença ainsi. Quels ont été vos modèles ? Pouvez-vous les citer ? Giorgio Bocca et Giampaolo Pansa me plaisaient beaucoup. Et surtout Vittorio Gorresio, originaire de Coni, un rédacteur politique sans égal. Lorsque je suis arrivé à Rome en tant que chroniqueur politique pour « La Stampa », Gorresio me toisa et me dit : « Tu veux réussir en tant que chroniqueur parlementaire ? Un seul conseil : ne met jamais les pieds au parlement ». C’était évidemment un paradoxe mais également une invitation à garder ses distances. Ezio Mauro a débuté comme chro-niqueur à la « Gazzetta del Popolo » de Turin au cœur des années de plomb. Si vous deviez expliquer ces années à un jeune d’aujourd’hui, que lui diriez-vous ? Ce furent les

pires années de notre vie. Trop de gens sont morts à cause d’une sentence sommaire écrite, de nuit, dans le repaire de fanatiques qui mimaient la révolution. Mais la démocratie a gagné et ils ont été éliminés à jamais : à la fin, c’est l’État qui a prévalu. Vous avez également été envoyé spécial aux États-Unis : quelle est la différence entre le journalisme américain et le journalisme italien ? Les journaux américains sont les plus beaux du monde avec les journaux anglais. C’est un journalisme averti, capable de bou-sculer le pouvoir à travers de grandes enquêtes. Lorsque j’étais correspondant de « La Repubblica » à Moscou, j’ai pu observer, lors de leurs reportages, Bill Keller du « New York Times » et David Remnick du « Washington Post » : deux prix Pulitzer, deux excellents correspondants. Le journalisme italien est trop prudent. Twitter, les réseaux sociaux et les autres canaux d’information de la toile représentent-ils une menace ou une ressource pour les journaux de la presse écrite ? Une grande ressource. Ils permettent d’allonger le journal et de l’étaler sur la journée entière, avec une mise en jour en continu. C’est le journal perpétuel. Vous avez récemment publié « La felicità della democrazia » (« Le bonheur de la démocratie », éditions Laterza), un dialogue libre avec Gustavo Zagre-belsky, ancien président de la Cour constitutionnelle. Qu’est-ce qui unit, selon vous, ces deux mots aussi importants ? La liberté. La démocratie garantit la liberté, le bonheur en a besoin.À propos de bonheur, que vous apportent les lecteurs de « La Repubblica » ? Leur lien très fort avec le journal, unique en Italie, leur passion et leur participation active à nos batailles. Une qualité et un défaut du directeur Ezio Mauro ? Je suis têtu. C’est un défaut qui, parfois, peut s’avérer une qualité dans le travail. Et puis, je suis solitaire : je ne participe pas à la vie mondaine. Par bonheur, mes amis sont encore ceux du lycée. Une dernière question. Ce numéro de « Unico » contient une interview à Mario Calabresi, directeur de « La Stampa ». Quels sont, à votre avis, les traits caractéristiques de votre confrère ? C’est un excellent journaliste et quelqu’un de très bien.

LOUISETTE LEVY-SOUSSAN AZZOAGLIOde Maria Bologna - Pg 42En exclusivité pour Unico, cette interview nous permet de découvrir qui est Louisette Levy-Soussan Azzoaglio, présidente fondatrice du CREM (Club des résidents étrangers de Monaco), Secrétaire particulière honoraire et Chargée de mission auprès du Palais Princier de Monaco. Souriante et cordiale, Madame Louisette ne laisse pas indifférent : son charme particulier, sa discrétion et son élégance mettent immédiate-ment l’interlocuteur à l’aise. Elle s’exprime dans la langue de Dante très

glamour grâce à l’emploi, naturel, de quelques mots en français, mais c’est dans le raisonnement et l’argu-mentation que Madame Louisette révèle une détermination et une rigueur si caractéristiques de ses origines italiennes : le père est monégasque et Teresa, sa mère, était originaire de Ceva. La vie de Madame Louisette est une aventure extraordinaire qui s’est déroulée sur le faîte de deux reliefs montueux : le rocher monégasque, au service de la famille Grimaldi dès la naissance de la princesse Caroline, puis aux côtés de l’inoubliable princesse Grace Kelly et de SAS le Prince Albert II de Monaco lors de la régence en tant que prince héréditaire ; les som-mets entourant Ceva où Mme Louisette se rend en famille pour passer des fins de semaine en toute tranquillité. « Le Piémont est dans mon cœur depuis toujours - nous dit-elle - car c’est là que j’ai passé une grande partie de mon enfance. À Ceva en particulier, où j’ai restauré la maison de mes grands-parents, je ressens cette atmo-sphère magique et intemporelle. Je me sens protégée et heureuse. Du reste, mon père, monégasque, adorait se rendre au Piémont, en particulier dans la région de Coni. Ce fut à Ceva qu’il rencontra ma mère : un coup de foudre qui se conclut par un mariage heureux. » Qu’appréciez-vous de cette région si proche de la Principauté de Monaco ? En premier lieu, les beautés et les panoramas de la nature environnante et l’histoire de ses terres. J’admire également beaucoup le tempérament et l’imagination des gens qui y sont nés. J’avoue être orgueilleuse de compter de nombreux amis piémontais, sérieux et rigoureux : des qualités qui sont souvent à l’origine de ce formidable esprit d’entreprise qui permet de franchir les frontières nationales et de réaliser des rêves fous. Que choisiriez-vous : la mer ou la montagne ? Les deux, bien sûr. La mer fait partie de ma vie, même si je la préfère lorsqu’elle est très agitée, quasiment en furie. Par contre, lorsque je suis à Ceva, je ressens une sorte d’attraction irrésistible pour le passé, d’autant plus forte lorsque je redécouvre, en cuisinant, les saveurs si caractéristiques des plats piémontais. Qu’appréciez-vous le plus de la gastronomie et de la tradition culinaire du Piémont ? Tout. J’aime manger mais surtout cuisiner la polenta, à la mode d’autrefois, présentée ferme et fumante sur une grande planche de bois et également la bagna cauda. Vous êtes également liée au Piémont par des raisons sentimentales, n’est-ce-pas ? Oui. Paolo Azzoaglio, originaire de Ceva, a été mon mari. J’ai eu deux enfants qui m’ont offert deux splendides petits-enfants et une arrière-petite-fille. C’est un bonheur que de se réunir au Piémont et passer de bons moments ensemble. Et de la Principauté de Monaco, que pouvez-vous nous dire ? Voyez-vous, ce n’est pas parce que j’y suis né et que j’y ai grandi mais, selon moi, elle devrait être prise en exemple par tous les autres petits États et par les grandes villes. À part la sécurité, le climat et la qualité de vie, Monaco est une cité-État qui a toujours été très enviée et qui donc n’a jamais été appréciée à sa juste valeur. Au-delà du glamour naturel du lieu, c’est une petite Principauté active, une perle de la Méditerranée dans son écrin. Il s’y trouve des personnes sérieuses et préparées, de différentes nationalités, qui ont choisi d’y vivre avec leur famille et d’y travailler sereinement. Je trouve que la culture médiatique qui, il fut un temps, ne reportait que la belle vie, les fêtes et le casino, ont éclipsé la vraie nature de la Principauté de Monaco. Si l’on pense à ce que les Grimaldi ont réussi à faire au cours des siècles en tant que précurseurs de modes et de tendances, on ne peut qu’être fier de ce lieu qui accueille et encourage, depuis toujours, les talents de toute sorte. Par ailleurs, l’ouverture à l’internationalisation, voulue par SAS le Prince Albert II, et son récent mariage ont accru l’intérêt pour notre pays. Outre vos activités au Palais, désormais à mi-temps, vous êtes également la présidente et la fondatrice de nombreuses associations humanitaires et d’un club tout récent, le CREM, créé pour accueillir et intégrer les étrangers résidant dans la Principauté de Monaco. Oui. Le CREM, inauguré il y a un peu plus d’un an, est né du développement d’un autre club, « Les Voisins », qui proposait, il y a de nombreuses années, des finalités analogues. Nous avions besoin d’un siège accueillant et, grâce à l’intervention de SAS le Prince Albert II, nous bénéficions d’un emplacement prestigieux et très fonctionnel. À ce jour, nous comptons plus de 300 membres représentant 32 nationalités différentes. Nous proposons, aux membres et à leurs amis, des activités exclusives et uniques en

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leur genre : au programme, des soirées gastronomiques, culturelles et musicales et, plus généralement, toute initiative permettant, aux participants, de se sentir les bienvenus à Monaco. Quels sont vos projets ? Outre la présentation d’un livre en italien, en octobre, prévue dans le cadre de la « Semaine de la langue ita-lienne » promue par l’Ambassade d’Italie à Monaco, nous collaborons à la réalisation de différentes initiatives avec la participation d’autres associations monégasques comme, par exemple, celle de la Monaco-Italie et bien d’autres encore. Enfin, nous avons prévu, en novembre, un voyage gastronomique et culturel à Alba : inutile de vous dire que ce sera, pour moi, un retour… à la maison.

LES « LANGHE » :UNE SENTEUR DE MOÛT ET DE TRUFFE de Terry e Giancarlo Montaldo - Pg 72Le charme envoûtant des Langhe en automne : des festons de vigne cousus sur les versants des collines comme de précieux brocards qui, dès la fin des vendanges, passent du vert émeraude au rouge rubis ou au jaune ocre. Et le parfum du moût qui envahit les ruelles, de village en village, de Barolo à Barbaresco, est d’un charme irrésistible pour les italiens et, plus encore, pour les étrangers, qui représentent 54% des

visiteurs, soit plus d’un demi-million en 2010. Cet espace très réduit - quelques dizaines de kilomètres - con-centre de grands vins, de grandes traditions gastronomiques et le secret de la truffe blanche d’Alba. C’est pour cette raison que ce territoire reste, depuis de nombreuses années, en tête du classement des destinations préférées des œnotouristes. Notre itinéraire démarre à Barolo, un petit village d’une centaine d’âmes au cœur de la terre qui produit un vin splendide à partir du cépage du Nebbiolo. Avant d’entrer dans le village, aux pieds de la fameuse colline de Cannubi, un bâtiment moderne abrite la cave des « Terres du Vin ». Créée sur un projet de l’architecte Gianni Arnaudo, la grande cave est un laboratoire spectaculaire grouillant d’activités et d’idées, qui unit la production à l’art et le travail à l’accueil. Le centre historique de Barolo est une grappe de maisons formant une couronne autour du château des Falletti (aujourd’hui propriété de la commune), récemment restauré, où se trouvent le siège de l’Œnothèque Régionale du Barolo et le Musée du Vin - le WiMu. Le Musée du Vin propose un voyage très original dans le monde de l’œnologie à travers des images et des couleurs, des musiques et des sons, des mots et des gestes. Au n° 12 de la Via Roma, s’ouvre le portail d’une belle maison de maître « Marchesi di Barolo » (« Marquis de Barolo »), ayant appartenue aux Falletti. Sous la grande cour, som-meillent les anciennes caves s’étalant sur plusieurs niveaux où la production est, entre autre, conservée dans les cinq grands fûts ayant appartenu à la marquise Giulia Falletti et qui renferment plus de 150 ans d’histoire. Les caves peuvent se visiter, tout comme la vinerie, le point de vente et la grande œnothèque, qui conserve des bo-uteilles des années 30 à ce jour. La route qui, de Barolo, monte vers Monforte d’Alba, s’ouvre sur des panoramas dégagés de la plaine de Coni. Une bourgade aux maisons blanches se profile à droite sur un coteau, peu avant le village. C’est le complexe du XVIIIe siècle de « Rocche dei Manzoni », patiemment restauré par Valentino Miglio-rini. Les anciennes caves révèlent un secret inattendu : une salle ronde imposante dans un style néoclassique entièrement décorée de fresques représentant les évènements et les personnages liés au monde du vin. Le centre historique de Monforte, agrippé autour des murailles médiévales, offre une autre surprise. Giulio Perin, un pharmacien converti en hôtelier par amour pour le Barolo, a créé, dans les anciennes maisons « Case della Saracca », aujourd’hui reliées par des galeries creusées dans la roche, un petit hôtel sur trois niveaux et un bar à vins très bien fourni. Qui peut résister au charme d’une nuit en plein Moyen-âge, dans la chambre dite des amants, avec son lit à baldaquin ? En venant de Monforte par Roddino, la route vers Serralunga d’Alba présente une descente à couper le souffle, des virages en épingle d’est en ouest, une crête après l’autre. Dans la localité de Boscareto, à gauche de la route, où s’érigeait autrefois une vieille ferme entourée de vignes, se dresse désormais le Boscareto Resort, un complexe de réception luxueux et très discuté. En rejoignant la vallée, com-mence le grand domaine de Fontanafredda sur la droite. Fontanafredda, c’est plus de 100 hectares de vignes, mais également la « Forêt des pensées », le barbecue, le magasin à vins, le théâtre, en un mot un village dans le village. La partie hors sol des maisons est dédiée à l’homme, mais la partie enterrée, avec ses murs imposants et ses arcades inattendues, ses galeries étroites et ses escaliers majestueux, est entièrement consacrée au vin. Une étape incontournable pour les œnotouristes. On arrive à Alba en prenant la route qui, depuis toujours, relie Barolo à la ville aux « cent tours » en passant par Gallo Grinzane, carrefour de répartition du trafic de la zone. Sur la droite, s’érige la masse imposante du château ayant appartenu à Cavour. Sur la gauche, les collines de La Morra et de Verduno, où le château ayant appartenu à Charles-Albert de Savoie abrite un restaurant à la cuisine traditionnelle et où les anciennes caves ayant conservé le vin du Roi sont encore visitables. Un peu plus loin, dans le lieu-dit Monsordo-Bernardina, l’exploitation Ceretto a réalisé, après le cube de verre et la chapelle multicolore de Lewitt, une nouvelle provocation architecturale, un pavillon rond et transparent, où l’on peut « déguster le vin en admirant le panorama ». En montant de nouveau sur les collines, la route mène d’Alba au terroir du Barbaresco. Au fur et à mesure de la montée, surgit fièrement la tour médiévale de Barbaresco, autrefois reliée par un passage secret au château appartenant aujourd’hui à l’exploitation vinicole Gaja. Le château, dédié à l’accueil, a été remarquablement restructuré et a retrouvé tout son éclat d’antan. Disposés des deux côtés de la rue principale, le château et l’exploitation sont reliés par un passage souterrain conduisant également à la dernière réalisation audacieuse : les cinq niveaux de la cave-dépôt enterrée dans la colline et à peine visible de l’extérieur. Puis, le majestueux domaine Cisa Asinari des Marquis de Gresy, qui, à Martinenga, a fait revivre une ferme splendide des siècles passés sans renoncer au photovoltaïque et la Coopérative des pro-ducteurs du Barbaresco qui a repensé le style de la cave de production avec un retour au toit de tuiles élégam-ment inséré dans la verdure. Le Château de Neive s’érige parmi les collines du Barbaresco. Situé au cœur de l’un des plus beaux villages d’Italie, ses caves majestueuses abritent la production du Barbaresco et les pupitres de prestigieux mousseux. Dans la cour intérieure, sont exposées une grande presse et une gigantesque bascule remontant à la moitié du XIXe siècle. Tout comme pour le vin, la cuisine et l’hospitalité disposent de nombreux points d’accueil, d’auberges, de restaurants, d’œnothèques et de vineries. Le plus remarquable est celui de la « Ciau del Tornavento » que Maurilio Garola et Nadia Benech ont réalisé à Treiso : la reconversion d’un bâti des années 30 dans le plus pur style du licteur en un splendide restaurant. Treiso est l’endroit rêvé pour admirer le coucher du soleil qui laisse les parties basses dans la pénombre, alors que, sur les collines, les vignes capturent encore la lumière et que l’horizon commence à se parer de teintes pastel sous le Mont-Viso majestueux.

ANCHOIS“DE MONTAGNE”de Vanina Maria Carta - Pg 78Personne ne peut deviner ce qui met d’accord les anchois, poisson de la Méditerranée, le parfum de la mer avec l’air frais des 2000 mètres de la montagne, mais oui! Nous sommes en train de parler de la Vallée Maira. La Vallée Maira, malgré son nom (maira signifie “maigre” dans la langue piémontaise ), est un coffret riche en petits mais merveilleux patrimoines cul-turels et gastronomiques. Parmi ces trésors cachés il y a l’an-chois, poisson modeste mais populaire. C’est véritablement ce

mélange entre la mer et la montagne, entre la culture du poisson et celle du beurre qui fait apparaitre une parmi les recettes les plus renommées de la cuisine piémontaise, la bagna caoda, dont la naissan-ce a eu lieu de la rencontre entre les commerçants de poissons et les montagnards de la Vallée Maira. Le “bond” qui a fait l’anchois de la mer jusqu’à la montagne a des origines très anciennes et renvoie à une histoire qui raconte des métiers itinérants d’autrefois, comme celui du marchand d’anchois, métiers qui portaient des habitants de la vallée à descendre vers la plaine pendant l’hiver, très dur en haute altitude, afin de trouver des moyens pour pourvoir à la subsistance de la famille. Entre le XIXème et le XXème siècle, l’émigration saisonnière fut un phénomène typique d’une bonne partie de la population du sexe masculin de la vallée et qui porta à faire un grand nombre de métiers désor-mais disparus, parmi lesquels : le marchand d’anchois (ce qu’on appelait anciué), le rémouleur, le tonnelier, le chaudronnier, le cordonnier, le charbonnier, le cardeur, le berger, le salpêtrier, le fort des halles et des ports, le casseur de pierres, le marchand de toiles (surtout de chanvre, cultivée dans la vallée). Et, après, il y avait ce qu’on appelle les cavié, typiquement de Elva, qui allaient dans toutes les maisons de la plaine chercher les cheveux des femmes; les cheveux étaient ensuite traités par les femmes de la vallée pour être enfin vendus à l’étranger pour la fabrication de perruques. C’est en vérite d’un échange que presque railleusement part notre histoire, l’épopée des marchands d’anchois, qui se perpétue aujourd’hui encore de toutes formes différentes. Pour avoir un témoignage direct, nous avons parlé avec Riccardo Abello, un des descendants de Giacomo Salomone de Celle Macra qui fut celui qui, ayant beaucoup de flair pour les affaires et pour les anchois, a transmis la tradition et la passion pour ce métier à ses descendants. Aujourd’hui Riccardo Abello est le titulaire d’une parmi les plus importantes entreprises dans le secteur du poisson salé, étant aussi bien le Président de la Confraternita degli Acciugai (Confrérie des Marchands d’Anchois) (www.confraternitadegliacciugai.it). Comment arrive l’anchois en Vallée Maira? Entre réalité et légende, l’hypothèse la plus plausible renvoie à un échange fait par un paysan de la vallée qui, arrivé à Gênes pour vendre les cheveux de sa femme, finit par les troquer contre un barrot d’anchois et celui-ci – dit-on – lui fit gagner beaucoup d’argent sur la route du retour. Dans cet imaginaire, pétri de comtes et de légendes, il ne faut pas oublier le rôle du sel, l’or blanc qui assurait la conservation des aliments, indispensable mais soumis au paiement de droits et de taxes: voilà alors que les anchois, bien placées sur la surface des barrots, cachaient le sel, introduit ainsi en fraude de la côte jusqu’aux montagnes. Comment on devenait marchand d’anchois et comment s’est répandu ce métier? La vie itinérante du marchand d’anchois était difficile et il était indispensable d’embaucher des garçons. Sou-vent ceux-ci étaient des gamins de 12-13 ans auxquels on confiait “un tour”, de petits ambulants qui travaillaient en toutes conditions, traînant une charrette souvent trop lourde pour eux. Comme ce fut pour les cavié (les marchands de cheveux), les anciué arrivèrent très loin, jusqu’à la Plaine Padana, en créant au fur et à mesure de véritables zones d’activité. Comment on faisait l’approvi-sionnement du poisson? Les premiers endroits d’approvisionnement étaient ceux de la côte de la Ligurie, en particulier Gênes, où le poisson arrivait de l’Espagne ou de la Sicile déjà travaillé et salé. Les marchands d’anchois le chargeaient à dos de mulet et le portaient vers la plaine à travers les anciennes routes du sel qui traversent les Alpes et les Apennins de la Ligurie. Quelle est l’évo-lution de ce métier dans le temps? La vente des ambulants aux marchés eut lieu à partir des années ’50, quand plusieurs parmi eux décidèrent d’entamer leur activité au niveau individuel. Le deuxième changement eut lieu grâce aux moteurs. Laissé le chareton, rigoureusement fabriqué dans la Vallée Maira, les marchands commencèrent à acheter les moyens de transport à trois roues, comme la moto Ercolino Moto Guzzi, ou la Gilera 500 et après les voitures, comme la Balilla, et enfin le camion-magasin des années Soixante, qu’on utilise encore à présent. La naissance des premiers su-permarchés donna une nouvelle secousse mais la réponse des marchands d’anchois fut importante, en gérant dès lors de tous petits magasins itinérants où le produit est de qualité supérieure et surtout en proposant une vaste gamme de poisson conservé. Parmi les métiers itinérants celui de l’anciué et du cavié sont les plus connus. Comment ont-ils affecté l’économie et l’histoire de la vallée? On peut affirmer que le tour de l’anciué (le marchand d’anchois) était en direction opposée à celle du cavié (le marchand de cheveux): si ce dernier se déplaçait vers la plaine pour acheter ou troquer les cheveux et les remonter dans la haute vallée (par example, à Elva) vers la fin du printemps pour les faire soigneusement travailler par les mains des femmes, les autres descen-daient vers la Ligurie, avant tout pour acheter le poisson, deuxièmement ici ils s’organisaient pour la vente ambulante. Ce métier, avec toutes ses difficultés, produit richesse et développement pour trouver ensuite son évolution dans l’industrie ou le commerce du poisson conservé. Plusieurs descen-dants des anciens anciué aujourd’hui sont des entrepreneurs ou ont une activité dans le secteur, de très importants sont maintenant en Espagne, tandis que le métier du cavié a disparu complètement.

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